Tumgik
#mi mancano i miei zii
killiandestroy · 4 months
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pensando al video di colapesce dimartino che parlano del fatto che mr rain scrive solo quando piove e gli consigliavano di trasferirsi in sicilia
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ilpianistasultetto · 4 months
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Questi giorni non si parla d'altro che di blocchi stradali degli agricoltori, bloccano strade perche' i guadagni sono ridotti al lumicino viste alcune normative europee, aumenti di carburante, di mangimi e anche la fine di esenzione IRPEF. Sono imbufaliti perche' i loro prodotti gli vengono pagati pochissimo e rivenduti a tantissimo. Eh, gli agricoltori.. Mi riviene in mente mia Zia Maria, sposata con quello che poi divenne mio zio Mario. Furono gli unici della parentela fino al terzo grado a rimanere su quelle colline ascolane a fare gli agricoltori. Trent'anni di agricoltura campando con i loro pochi prodotti, con qualche contributo annuale dello Stato, zero tasse e contributi previdenziali figurativi ovvero, non si pagavano contributi ma risultavano come pagati ai fini pensionistici, questo prevedevano ( e prevedono ancora) certe leggi proprio a tutela di chi rimaneva o entrava nel mondo dell'agricoltura. Poi, e' arrivato il momento della pensione ( a 60anni). Sui 900 euro lui e 900 lei. Poi e' arrivato il momento dell'invalidita' civile per mio zio Mario e dopo qualche anno anche per mia zia Maria, 400 euro cadauno. Perche' racconto tutto questo? Semplice! Due persone che per una vita intera non hanno mai versato una lira di tasse ma che hanno usufruito di sanita' per loro, scuole per i figli, di pensioni e da qualche anno di casa di cura. Insomma, sembra brutto quantificare ma direi una cifra importante. Sapete, di agricoltori come i miei zii ce ne sono migliaia di migliaia nel nostro Paese e tutti nelle loro stesse condizioni. Sono quelli che adesso bloccano le strade per lanciare il loro grido di dolore, pronti a marciare su Roma. Manifestano contro chi, nel bene e nel male li sostiene da 70anni e non un fiato contro chi gli impone i prezzi, contro i grossisti e la grande distribuzione, quelli che gli tengono il cappio intorno al collo. Gente che applaude e vota convintamente chi stravede per il libero mercato ma..non per loro, non per loro. Loro vogliono le massime tutele possibili, il libero mercato va bene per tutti gli altri. Inutile dire che sto dalla parte degli agricoltori ma solo di quelli consapevoli, non dei furbetti o degli sciocchi, quelli che protestano sbagliando bersaglio. Non si puo' battere le mani a chi racconta le bellezze del capitalismo e poi lagnarsi quando si viene chiamati a pagare il conto. Non ci si puo' spellare le mani a favore di chi butta miliardi e miliardi di euro per sostenere le guerre dei potenti prepotenti e poi, un domani, lagnarsi perche' si e' invasi dal grano ucraino. Non si puo' votare chi promette "mai patrimoniali' per i grandi capitali e poi lagnarsi che mancano gli aiuti all'agricoltura. Quella parte, per me, puo' andare tranquillamente a fanculo e mi resta difficile dare loro solidarieta'.
@ilpianistasultetto
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Carissimo mio diario...
Ieri io e Ale abbiamo avuto una discussione, discussione non così animata e fuori controllo ma che mi ha ferita un pò. Una discussione come tante altre in realtà, di cui probabilmente lui nemmeno si è accorto vista la chiamata serena e tranquilla che mi ha fatto questa mattina.
È stata una discussione alimentata sicuramente anche dal mio nervosismo e tutta la situazione che sto vivendo che non riesco a gestire da sola, come al solito quando qualcosa non va cerco lui e mi sento come se mettesse tutto avanti a me. Come se tutto fosse più importante di me.
La discussione, in tutta onestà, non era tanto pesante da incrinare il nostro rapporto perché si trattava solamente di una mia richiesta che aveva totalmente ignorato. Mi spiego meglio: alcuni miei parenti sono saliti in Toscana dalla Calabria e mi hanno chiesto di lui per conoscerlo e passarci un pomeriggio o qualche ora al massimo, dalla sua risposta avevo capito che era impegnato e che non gli faceva nemmeno tanto piacere e va benissimo ci mancherebbe altro. Il giorno dopo se non mi sbaglio o il pomeriggio stesso lui mi chiama per chiedermi di andare a vedere un film al cinema con lui e i suoi fratelli, davvero?
Se ci ripenso oggi con più lucidità mi rendo conto di quanto sia una cosa legittima, non aveva il piacere di conoscere i miei zii ma di andare al cinema con i suoi fratelli e per quanto sia una cosa giustissima li per li mi ha ferita. È stata un pò la goccia che poi ha fatto partire in me pensieri di ogni tipo.
Mi sono sentita ancora una volta poco importante, messa da parte e non capivo come passare poche ore con dei miei parenti fosse così drammatico. Fino alla sera non l'ho più sentito e questi piccoli pensieri sono diventati montagne.
Esco con Jacky per schiarirmi un pò le idee e inizio a pensare a tutta la mia vita fino ad arrivare a una conclusione: io lo amo e lui mi ama, su questo non ci sono dubbi e spero che mai ci saranno. Per me lui è la persona più importante del mondo, la persona che mi ha fatto scoprire l'amore vero, puro e incondizionato, la persona che mi ha fatti stare più bene, che mi ha fatto ridere di più, che mi ha fatto provare le emozioni più forte e mi ha fatta sentire amata ma probabilmente l'amore non è abbastanza. Molto probabilmente l'amore da solo non può sistemare tutto soprattutto quando i modi di amare e dimostrare l'affetto sono diversi.
Quando io e Ale siamo insieme stiamo bene, capitano discussioni o incomprensioni ma continuiamo a rispettarci e chiariamo facilmente (quasi sempre). il vero problema si manifesta quando ci separiamo perché io mi sento single.
Questa situazione a me non piace moltissimo e non riesco a fare finta di niente, mi aspetto delle cose che non arrivano, dei messaggi, delle chiamate, dei gesti, delle parole che puntualmente non arrivano e io provo a far finta di niente e ripetermi che non mi interessano queste cose perché lui mi ha altro, ma forse non è così. Ale mi da tanto ma forse quel tanto non mi basta, forse io ho bisogno proprio delle cose che mancano nella nostra relazione.
In tutto questo io capisco benissimo essere un problema solo mio che nasce da me perché solo io sono così dipendente da lui, lui al contrario è totalmente autonomo, indipendente e non ha bisogno di niente e nessuno perché è in gamba, forte, coraggioso, intelligente e riesce in tutto quello che fa. Sicuramente nei momenti di lontananza anche lui manco e questo non lo metto in dubbio ma nei momento di difficoltà lui si tiene tutto dentro per sé, si rialza da solo, si da forza da solo e non ha bisogno di me.
È questo il motivo per il quale decido di chiedergli una pausa, per staccarmi un pò da lui e trovare la mia stabilità e serenità, la mia autonomia e riprendere la mia vita in mano anche perché da quando è entrato lui nella mia vita io mi sono sempre concentrata molto su di lui e sulla nostra storia lasciando sullo sfondo me stessa. Non che mi sia mai stato chiesto, ho deciso io di farlo per non affrontare tutti i miei problemi irrisolti e stupidamente ho pensato che fare finta di niente e vivere la mia vita serenamente ignorando tutto ciò che non andava bene sarebbe stata la cosa migliore.
Ma se è vero che non si può stare bene con gli altri e far star bene gli altri se prima non si ama noi stessi, questa sarebbe stata la decisione giusta: riprendere in mano la mia vita, capire cosa voglio fare, chi voglio essere e se poi questo amore era davvero amore avremmo avuto un'altra occasione.
Se questa è la decisione giusta perché è tanto dolorosa e difficile?
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october24th · 3 years
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Resoconto Giorno 112
Mi sono addormentata un po’ tardi, non riuscivo a dormire. Verso le quattro e mezza mi sono svegliata, dopo aver sognato Robb, e decido di mandargli un messaggio. Era sveglio, ha risposto. Dopo un po’ gli ho ridato la buonanotte e mi sono riaddormentata. Zero incubi. Sveglia presto.
Stamattina non ho proprio voglia, non ho le forze. Ho fatto colazione, sistemato casa e disegnato/scritto sul diario. Mi sono accorta di avere un modo strano, sicuramente eccessivo, di esternare i miei sentimenti. Faccio davvero cose strane capaci di allontanare le persone. Quando ci penso mi sento male perché da un lato cerco di tenere a bada questa mia caratteristica e dall’altro i sentimenti non collaborano. Io le spavento le perone, davvero. Vabbè comunque, non ho pranzato. Ho riposato direttamente, gli occhi mi lacrimavano dal bruciore, poi mi sono preparata per il lavoro. Mi sono trovata carina guardandomi allo specchio. Quando sono arrivata da zia ho salutato Wendy la cagnolina e il gatto Fuffy al quale non sto per niente simpatica, mi guarda malissimo! Dopo ho salutato mio cugino Antonio e poi Nicola dandogli un abbraccio. Mi sono messa a parlare un po’ con Nico e poi ho iniziato ad aiutare Antonio. Abbiamo fatto prima spagnolo, geografia e geometria e poi ci siamo dedicati a matematica in vista del compito di domani. In questi giorni l’ho aiutato io facendogli notagli gli errori, ma oggi non gli ho detto nulla. L’ho lasciato fare da solo con calma e ha fatto tutto alla perfezione! Che soddisfazione! Deve concentrarsi per bene, se domani sbaglia giuro che mi prendo collera eh! È stato bravissimo oggi. Ho notato che nei miei confronti si è sciolto un po’, non è più rigido o intimorito... ora ride e sembra avere più voglia di lavorare. Anche oggi Nicola è stato in stanza con noi. Dopo sono stata a parlare con lui e poi abbiamo raggiunto i miei zii e mio padre in salotto per cenare tutti insieme. Abbiamo mangiato i tortellini in brodo, zia li ha preparati appositamente per me. Erano buoooniiiiiisssssimi. Ho detto a papà che il 31 andiamo da zia a cena, praticamente comando io sisi. Dopo abbiamo guardato un programma in tv e poi sono ritornata a casa. Fa freeeddddooooo. Lucia mi ha consigliato altri film da vedere che domani scaricherò a casa di papà; li scriverò nel resoconto.
Ora sono a letto. Prima ho scritto nel gruppo whatsapp che ho con le mie amiche e ora stiamo parlando. Mi sto divertendo, mi mancano un sacco. Faccio la scema, come al solito... e uso un botto di stickers. Ma come facevamo prima senza?! Ora prendo il diarietto e lascio scorrere ciò che sento.
Posso dire una cosa? In questi giorni pensavo un po’... e un po’ mi spaventa dirlo perché ho paura di rendermi conto di essermi sbagliata... però l’ho superata. Credo di averla superata. Cazzo, non è colpa mia! Non lo è per niente. Non sono stata coraggiosa? Beh, l’ho trovato dopo il coraggio, ma l’ho trovato! Ne sono uscita, l’ho allontanato. E non è un gran cosa questa? Non devo esserne fiera? Ha approfittato di me? È na merda lui. Sto bene.
Avada Kedavra: l’anatema che uccide, è una delle tre Maledizioni Senza Perdono; uccide qualunque persona o animale venga colpito da essa e produce un lampo di luce verde accecante.
17 Dicembre
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theshitiseverywhere · 3 years
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È proprio vero che ti rendi conto di quanto sono importanti certe cose quando non ce le hai più, mi manca tantissimo andare a teatro e ai concerti, mi mancano i miei zii e i miei cugini che non vedo da quasi da un anno, mi manca passeggiare per il centro e sentire la musica degli artisti di strada, mi manca abbracciare le persone a cui voglio bene.
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beautifullpain · 3 years
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ho pianto.
ho passato la maggior parte di queste sere, da un po’ di tempo a sta parte, a piangere.
non riesco più a sopportare tutto sto peso: la scuola, le relazioni con i parenti, i problemi familiari, tutto.
non riesco più a reggere il peso che tutto ci pone addosso, dalle pseudo liti con gli zii, i fratelli, le sorelle; alle cose più ‘stupide’ tipo le semplici mancanze. ebbene io le ho messe in quest’ordine. non credo sia molto chiaro come concetto, è tarda sera e non so spiegarmi. però posso dire che in realtà tutti i litigi, le prediche, le rotture che le persone, a partire dai parenti stretti, a chiunque altro, sono il meno; perché l’unica cosa che provavo e provo ora, successivamente agli accaduti, è rabbia, tanta rabbia. perché, premettendo che non mi faccio problemi a fare i primi passi, alcune persone dicono e pensano che sia sempre io a doverli fare, ma a loro nulla costa provarci, mica devo per forza farlo io, se poi comunque dall’altra parte non c’è un riscontro positivo e quindi mi passa pure la voglia.
come stavo dicendo, le liti sono il meno ora come ora, perché mi mancano da morire le persone. soprattutto alcune, di quelle mancanze che te le senti fin dentro negli organi e nelle ossa, che proprio ti viene da tirarti i capelli e da urlare perché ti mancano, vuoi vederli ma non puoi.
io mi sento così oggi e tanti altri giorni: vorrei strapparmi i capelli e urlare forte, tanto tanto.
sono arrabbiata con la vita perché io ci provo ad affrontarla nel modo migliore, ma forse non lo è, e proprio per questo mi manda indietro sempre dei problemi che mi torturano e mi logorano in una maniera assurda.
a dirla tutta, veramente, non ce la faccio più.
lo dico con le lacrime agli occhi, dispiaciuta; non ce la faccio più.
la scuola mette pressione, mi fa male, mi fa venire le crisi isteriche, mi stressa da morire. non la reggo più, la scuola non è bene, non è imparare, la scuola è tossica. i professori si prendono gioco di noi, perché è un periodo diverso e loro se lo godono a loro vantaggio, mettendo in svantaggio noi.
i casi di depressione, i suicidi giovanili ma anche tra le persone più adulte, sono aumentate tantissimo. la causa più comune per depressione e suicidio, nei giovani, al giorno d’oggi, è la scuola.
sono stanca di non sentirmi capita, di non poter dire ciò che mi passa per la testa, perchè ho paura di essere vista come ridicola.
mio padre sta male, è ricoverato, e dopo averlo visto per l’ultima volta, dato che le condizioni sanitarie non lo permettono, due settimane fa, posso dire che piango anche adesso a pensarci.
sono stanca, stanca morta, stanca da morire.
e sono una vigliacca, perché nonostante tutto, non avrei mai il coraggio di mettere fine a tutto, perché penso sempre che magari un giorno avrò qualcosa per cui essere felice e non avrò nemmeno più la parvenza di cosa sia la tristezza che provo oggi.
ho bisogno di un abbraccio, di quelli che ti stringono tanto e ti fanno sentire protetta, ti fanno uscire dalla testa tutti i pensieri brutti, nei momenti come questo.
ho bisogno di tutti quei baci che non ho preso in tutto questo tempo, per paura di cercarli e farli miei.
ho bisogno di respirare serenamente, senza problemi.
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Chi l'avrebbe mai detto, eravamo a parlare di psicosi a inizio febbraio ed ora siamo tutti chiusi in casa e l'Italia é zona rossa, la situazione è grave. Tutto chiuso, si esce solo per fare una grande spesa o per problemi di salute e lavoro. Ogni sera si ascolta al tg il necrologio e le vittime sono sempre più; è un mese che siamo in quarantena e non ci sembra di vedere la luce alla fine del tunnel. Abbiamo paura di starci vicino, non ci fidiamo degli altri e ci siamo chiusi nei nostri nuclei familiari, tristi di non poter abbracciare i nostri cari, altrettanto chiusi tra loro.
Inizialmente questa quarantena non mi pesava, sapevo di potercela fare insieme alla mia famiglia, tutto il giorno in pigiama. È stato un momento di relax, ma poi le cose sono peggiorate. Abbiamo terminato qualsiasi cosa da fare, non ci va nemmeno più di cucinare e mangiare, stiamo sempre a vedere film in TV o su Netflix. Dobbiamo costruire una nuova routine e quindi io e mia sorella abbiamo ripreso le lezioni telematiche e a studiare. Ho la fortuna di avere quattro piani di casa col giardino e due cani, quindi un po' il tempo passa. Ho ripreso a leggere Harry Potter, dal primo libro, mi sembrava il momento ideale per dedicarsi ad una lettura di piacere. Si va avanti, ma la situazione non migliora. Sempre più annoiati e ci manca abbracciare i nostri parenti, il mio fidanzato, suo papà e le videochiamate non sono più sufficienti. Ogni giorno chiamo Mauro per sapere come sta, ogni sera dopo cena chiamiamo i miei zii e i miei cugini a turno, stiamo ore al telefono, ogni giorno sento i miei amici, per parlare di qualsiasi cosa. Benedetta tecnologia, che ci avvicina così tanto. Mi mancano tutti così tanto e non poterli guardare negli occhi è terribile, vederli attraverso uno schermo non è abbastanza e ci sentiamo tutti soli. La notte non dormiamo più con tranquillità e la paura sta aumentando. Abbiamo preso ad accompagnare mia madre in auto a lavoro e la andiamo riprendere, perché lei non guida e anche se lavora a due passi da casa. Non usciamo più nemmeno per fare spesa quell'unica volta ogni due settimane, aspettiamo di finire tutto in dispensa. Non incontriamo nessuno, ci togliamo scarpe e vestiti quando rientriamo e disinfettiamo tutto. Papà ha detto che se si ferma a pensare gli vengono attacchi di panico ed ora il tempo per pensare è anche troppo. Restare sereni è difficile. Parliamo tra di noi, ci chiamiamo, messaggiamo e nessuno crede che questa situazione finirà presto. Si ha paura ad ammalarsi di qualsiasi cosa e di morire. Siamo a marzo e si inizia a pensare che l'anno scolastico si concluda qui e di avviare esami telematici. Staremo così fino a luglio?Nessuno ha un parametro per capire quando tornare alla normalità e soprattutto torneremo mai alla normalità? Quando tutto sarà finito, dovremo fare un bilancio, la crisi economica sarà pesantissima, le persone morte da sole dovranno essere ricordate, ci staremo ancora lontani per paura, ci schiferemo gli uni con gli altri e non usciremo con la stessa tranquillità. Si riprenderà il lavoro per colmare i debiti di questi mesi, abracceremo le persone che amiamo e a cui siamo stati costretti a stare lontani. Quanto vorrei in queste situazioni che si potesse vivere insieme chiusi in casa e non solo con il proprio nucleo familiare. Le attività riprenderanno piano piano, non credo ci sarà il boom di gente per strada, perché saremo tutti incerti e ancora terrorizzati. Si vedrà, spero presto. Non pensavo mai che ci saremo trovati in una situazione del genere, quasi apocalittica, con uno scenario che ricorda quello desolante delle guerre e in un momento che viene definito il più critico , per l'Italia, dal secondo dopoguerra. Siamo persi, sconcertati da un nemico invisibile, impotenti e impauriti. Non si sa nulla del covid-19, non c'è una cura certa, né un vaccino e ci vorrà ancora un anno dicono
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tuaccendiedioscrivo · 5 years
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In questi anni della mia vita ci sono state tante cose che mi hanno permesso di essere felice e altre che mi hanno permesso di essere triste  e cosi sono cresciuta. Ricordo ancora il mio primo grande dolore, 13 ottobre 2013 come dimenticare questa data, mi sono sentita annientata, quel giorno un pezzo del mio cuore è volato via con te. Penso sempre a mia nonna, in qualsiasi momento della mia vita, la ritrovo in ogni cosa bella che faccio, ad oggi vorrei tanto poter ricevere un suo abbraccio, vorrei sapere cosa pensa di me, vorrei sapere se condivide le mie scelte e se quello che sto facendo è giusto. Se ripenso a tutto quel dolore che abbiamo vissuto nel 2013 non riesco a credere che ancora ad oggi ognuno nelle nostre piccole imperfezioni continuiamo a tenerci la mano ogni giorno della nostra vita. Ripenso al 2014, al mio eterno disagio, alla mia volontà di cambiare ma non riuscirci, ripenso al mio sentirmi inutile, non apprezzata, non all’altezza, ripenso a tutti i no, a tutte le offese che mi sono entrate in nelle orecchie che si sono fissate lì dentro la testa e che mi hanno permesso di cambiare, ma non per le persone ma per ME STESSA. Ripenso al 2015, al mio anno preferito, la mia rivoluzione, nel 2015 sono rinata un’altra volta. Ho vinto una battaglia che combattevo da tempo, ho acquistato sicurezza, sono diventata tutto quello che desideravo e qualcuno mi ha rubato il cuore cosi all’improvviso. Ripenso alla mia famiglia, alla felicità di essere tutti insieme in quel giorno tanto speciale.. Ripenso al 2016, alla mia non voglia di studiare, alla mia vita che sembrava così bella solo perché mi sentivo amata, accettata e per la prima volta nella mia vita bella. Ripenso a quel 6 agosto 2016, alla tua partenza, al dolore che mi ha lacerato il cuore un’altra volta come quel maledetto 13 ottobre 2013, ripenso al mio addio per te, ripenso al tuo ultimo messaggio, ripenso alle ultime parole che mi hai detto, al tuo non essere all’altezza quando invece tu sei sempre stato ALTEZZA DI TUTTO.  Ripenso all’ansia di quel esame, ripenso ai libri che mi hanno salvato la vita, ai miei libri che sono stati la mia dimora, ripenso alla nuova me, che nel dolore in quel 2016 è rinata un’altra volta. Ripenso al 2017, al mio addio per te, ma che addio non è mai. Ripenso un’altra volta ai miei libri, alle poesie di Pablo Neruda, ripenso a me, al mio nuovo cambiamento, alla mia voglia di imparare, migliorare e recuperare. Ripenso al  10 dicembre, al tuo ritorno, alla tua nuova partenza, ripenso a me, al muro che mi ero costruita e che si è distrutto mesi dopo un’altra volta perché quando si ama una persona la distanza non esiste. Ripenso a mia zia, al suo ritorno dopo 4 anni, al suo abbraccio, ripenso alla mia famiglia che comunque vada amo alla follia.  Ripenso ai miei successi scolatici, ripenso un’altra volta ai miei libri, ripenso a mia nonna che mi manca con tutta la mia vita, ripenso a me, al mio cambiamento, ripenso al tuo ritorno, alla tua sigaretta, al tuo sguardo, al mio cuore che batte, alle canzoni che ti ho dedicato, ripenso a te che sei l’unica forza che ho, ripenso alla tua partenza, ripenso a quel giorno che ti ho visto andare per l’ultima volta e che non sei più ritornato per quasi un anno e mezzo. Ripenso alla tua nuova vita, ripenso alla mia vita senza di te. Ripenso al 2018 che ho amato, alle mie nuove amicizie, ripenso un’altra volta ai miei libri, ripenso alla mia febbre per capodanno, ripenso ad Alessia, Silvia, Helena, Francesca, Carmen, Erica, Simona e Sara loro che hanno reso il mio 2018 bellissimo. Ripenso a Gemma e Giorgio, grazie a loro ho conosciuto ragazze fantastiche. Ripenso al mio sogno, ripenso a Firenze, l’emozione di essere lì, l’emozione di poter ammirare tutta quella bellezza con la tristezza però di non essere con le persone con chi avrei voluto essere. Ripenso all’odio che avevo in quel periodo verso il diritto del lavoro e l’amore che provavo per la letteratura italiana e francese. Ripenso ai miei 18 anni, senza mia nonna, ripenso un’altra volta a mia nonna. Ripenso a quel giorno ai templi, ripenso a quelli che oggi sono delle vecchie amicizie ma che un po’ mi mancano. Ripenso al 2019, che nel bene e nel male sta arrivando al termine, ripenso al primo ultimo giorno di scuola, ripenso la prima visita al tribunale, ripenso ai miei libri, ripenso alla mia scelta, poi penso a  Giovanni Falcone e spero di diventare come lui, ripenso poi ai miei libri, ripenso un’altra volta a Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, ripenso al loro amore che ormai è diventato eterno, ripenso alla strage del 23 maggio 1992 a Capaci e mi chiedo come l’essere umano possa essere così vigliacco da uccidere un suo fratello solo per corruzione, penso ai 57 giorni di Paolo Borsellino, penso alla sua famiglia, Agnese, Lucia, Manfredi, Fiammetta e mi chiedo come una famiglia possa accettare tutto questo? Penso alla strage del 19 luglio 1992 via D’Amelio, penso allo Stato che non ha fatto nulla e ho rabbia, rabbia perché NON SI PUO’ MORIRE COSI. Penso a Rocco Dicillo, Antonino Montinaro, Vito Schifano, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Eddi Cosina, Claudio Traina e Vincenzo Li Muli, penso a tutti i servitori dello Stato che non avuto paura di morire. Ripenso a Falcone e Borsellino, grazie perché grazie alla vostra storia, al vostro lavoro, al vostro impegno so in quale parte voglio stare. Grazie perché anche se già sono 27 anni che non ci siete più, le vostre idee continuano ancora a camminare nelle gambe di tutti noi siciliani onesti. Ripenso ai miei vecchi sogni e mi rendo conto di quanto sono cresciuta. Ripenso a mio padre, al suo essere cosi riservato, al suo essere dolce e ma anche severo, ripenso al suo lavoro che occupa gran parte delle sue giornate, ripenso ai suoi sacrifici, ripenso a tutti i suoi si e mi rendo conto di essere fortunata di averlo come padre. Grazie perché mi hai insegnato ad essere onesta e guadagnarmi tutto con il mio proprio sudore. Ripenso a mia madre che da quando sono nata non ha fatto altro che prendersi cura di me, che mi ha sempre detto di si a tutto, che mi ha protetta, sostenuta e elogiata, alla persona che ogni volta che qualcosa va storto si abbatta ma poi si riprende come una forza della natura, ripenso a mia madre e alle sue lacrime per la mancanza dei suoi genitori che ogni volta mi spezzano il cuore perché mi sento impotente senza poter far nulla. Vorrei tanto renderti felice e orgogliosa di me, comunque vada la mia vita, mammina mia sappi che sei la persona che più amo e che non smetterò mai di ringraziare. Ripenso a mia sorella, al suo voler proteggere la sua piccola sorellina che ormai è crescita, ripenso alla nostra complicità, ripenso ai nostri litigi che riempiono le nostre giornate, ma sei l’unica persona che mi capisce e comprende. Amo il tuo essere diversa perché al giorno d’oggi i valori che tu hai non li possiede nessuno e se ogni tanto ti dico che io la tua vita non la vorrei mai vivere, non è una cosa negativa , ma è solo che io ho fatto scelte diverse.  Ti voglio bene e grazie per essere mia sorella, non ti cambierei per nulla al mondo. Ripenso ancora una volta a mia nonna, alla donna che mi ha cresciuta, alla donna che mi ha amato, alla donna che io ho amato, alla ragione della mia vita che mi manca più di ogni cosa. Ripenso ai suoi abbracci, ai suoi baci, al suo modo di essere, alla sua gentilezza, al suo essere buona sempre con tutti, al suo amore. Ripenso al suo passato, alle sue sofferenze che avrei voluto passarle io e non lei, ma io non sarei stata all’altezza. Nonna sono così fiera di te. Sarai incisa per sempre nel mio cuore come sulla mia pelle Abuela. Ripenso a mio nonno, il padre di mia madre, che non ho conosciuto perché è andato via troppo presto, ma che ho conosciuto grazie ai racconti di mia mamma e dei miei zii, sappi che sono fiera di te, sono orgogliosa di come ti guadagnavi il pane.  Sono fiera di somigliarti, me lo dicono tutti. Sai Nonno, da sempre mi sono sentita un po’ vuota perché mi sei sempre mancato. La vita con me è stata ingiusta perché anch’io mi meritavo di conoscere un GRAN UOMO COME TE. Ripenso alla mia famiglia, ai miei zii, ai miei cugini che amo follemente. Ripenso a mio nonno, il padre di mio padre, che ad oggi non c’è più, ripenso a quell’unico abbraccio che mi ha dato in quel giorno così brutto, ripenso ai pranzi e alle cene di capodanno, ripenso alle giocate a carte, ripenso a tutto quello che hai passato e mi dispiace così tanto e a volte vorrei solo piangere perché un uomo non può soffrire così prima di morire. Ho passato solo poco tempo con te a causa della distanza, mi manchi..   Ripenso alle mie amiche che mi sono sempre state accanto in ogni momento della mia vita, ai giorni passati con loro, alla fortuna di avere delle amiche come loro che in questi anni mi hanno permesso di essere sempre felice e di avere una spalla dove potermi appoggiare per sempre. Grazie senza di voi la mia vita non sarebbe la stessa.  Ripenso a te, che mi hai cambiato la vita al meglio, a te che non sei qua vicino a me ma che ti ho sempre nel cuore. Ripenso a tutte le persone che ho incontrato in questa mia vita. Grazie perché ognuno di voi mi ha permesso di cambiare. Un grazie va a i miei professori che nella mia vita sono stati dei pilastri, perché mi hanno insegnato ad avere sete di sapere e che hanno contribuito alla mia formazione, senza di loro ad oggi non sarei la stessa. Un grazie va alle miei compagne che in questa mia nuova avventura non ci saranno e che mi mancheranno tantissimo. Un grazie va a me, per la mia costanza, per la mia voglia di conoscere, scoprire  e rivendicare. Che la mia vita possa contribuire a smuovere le coscienze delle persone. Un grazie va a Dio che mi permette ogni giorno di svegliarmi, di vivere, apprendere, studiare, avere una famiglia che mi ama come io amo loro. Mi auguro che un giorno il mondo possa ritrovare l’umanità e vivere pacificamente senza più crudeltà, sofferenza, corruzione ma soprattutto senza più INVIDIA. Amate, amate voi stessi e amate gli altri, amate la diversità, amate e sostenete chi fa la differenza, chi si batte per un ideale, chi vuole migliorare la società, siate curiosi, DOCUMENTATEVI, combattete l’ignoranza e ragionate con la vostra testa, ma ricordatevi che siamo tutti uguali.
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didimam · 5 years
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A pranzo alla Macchia.
Compleanno dei miei zii, piena estate, le scelte sono due... Mare o montagna?
Per oggi andiamo in montagna, ci dirigiamo alla Macchia dell'Antonini. Un posto tranquillo, con una grande distesa verde per fare pic-nic, giocare a pallone, carte o semplicemente prendere un po' di sole o fare una pennichella al fresco di un albero. L'area è attrezzata anche con barbecue per fare grigliate nel verde. Insomma le attività non mancano. Noi arriviamo a pranzo e ci fermiamo nel ristorante "la macchia Antonini" è l'unico ristorante, difficile sbagliare, cucina tipica toscana.
Per partire prendiamo il gran tagliere di salumi e formaggi, ci sono 4 tipi di formaggi diversi per stagionatura e composizione, gli affettati sono davvero molto buoni, il prosciutto crudo abbonda, rigatino e diversi tipi di salame. Mio zio mi ha detto che loro hanno un'azienda agricola. Ecco perché sono così speciali!! Poi deliziose bruschette con il pomodoro, sembrano banali, ma a volte le cose più semplici sono le più difficili.
Per i primi ci dividiamo in due... Tagliolini ai funghi e maccheroni al ragù di cinghiale. Personalmente ho amato i tagliolini, saporiti, ben conditi, funghi davvero ottimi. I maccheroni delicati ma i tagliolini non si battono.. Per la didi abbiamo fatto fare due ravioli di ricotta e spinaci (fatti a mano da loro, come tutto il resto della pasta) e aveva ragione la cameriera, ne bastava solo uno. La didi, apprezza molto ma dopo aver mangiato un po' di crudo, qualche fettina di pane e i pomodori della bruschetta ha la pancia un po' piena e l'ultimo raviolo lo mangiamo noi grandi. Decidiamo di prendere anche i funghi fritti... Ma dopo antipasto e primo, tra l'altro abbondanti arrivo a fatica ad assaggiarli... Sono ottimi ma mi sono davvero sopravvalutata e non riesco a mangiarne più di uno.
Non abbiamo assoggiato i dolci perché avevamo la torta di compleanno della pasticceria Paganelli di Monsummano Terme (semifreddo alla pesca, delicato, fresco, l'ho trovato buonissimo nonostante non sia un'amante della pesca) ma i dessert che ho visto passare erano davvero invitanti.
Il vino quando siamo in tanti è quasi sempre della casa. Come in questo caso, un vino semplice, capace di farti apprezzare i piatti tipici della cucina toscana senza fare da protagonista al pranzo. Il mio consiglio, se è un'occasione più intima, fatevi portare una buona bottiglia di rosso. Il proprietario è sommelier e vi saprà consigliare al meglio.
Un posto aprrovato dalla didifamily, il personale è stato cordiale con noi, con la piccola didi, nonostante sia negli ultimi tempi diventata più agitata e magari combina qualche danno al tavolo (butta in terra forchette, cucchiai, pane ecc), hanno dimostrato grande disponibilità e non è scontato!!
Ci torneremo sicuramente, anche per una merenda pomeridiana.
Un saluto da noi... E al prossimo ristorante!
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lilsadcactus · 6 years
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Non per farmi giudicare, non per farti pena, non per farmi perdonare ma per farmi conoscere. Un giorno ti dirò delle giornate passate a letto pensando che non potevo farcela e che da un momento all'altro avrei guardato le mie mani e le avrei viste scomparire come quando si spegne una candela coperta da un bicchiere. Ti dirò del suono che aveva la mia solitudine da bambina, del sapore che aveva la mia tristezza. Ti chiederò se anche tu te lo ricordi.
Forse a un certo punto ti racconterò anche di quella volta che litigai con le mie cugine e una di loro mi disse "tanto io lo dirò alla mia mamma. E tu non ce l'hai. Tu non hai nessuno a cui dirlo"; aveva ragione, i bambini hanno questa capacità che poi molti una volta cresciuti dimenticano: ti dicono la verità anche se fa male. Non avevo una mamma, non avevo un papà, non li ho mai avuti. Ho conosciuto mia madre ma è una donna come tante, una sconosciuta che per puro caso mi ha partorito una sera del 1999. A inizio dicembre, tra il 2 e il 5, neanche lei lo sa con certezza. Il mio compleanno ufficialmente è il 3 dicembre. Non poteva essere il 5, apparteneva già a mio fratello. Il 2 diceva "non me lo hanno concesso i medici" e il 4 era troppo vicino al 5. Così ha fatto scrivere sul certificato di nascita 3 dicembre 1999, niente orario. Meraviglioso il sud America.
Quando avevo 14 anni mi arrivò una richiesta di amicizia su Facebook: era mio padre. Accettai e con la spavalderia di una giovane incazzata col mondo gli scrissi qualcosa come "pezzo di merda non mi hai mai cercata o proclamata tua figlia e adesso con che faccia mi chiedi l'amicizia su Facebook?" Sono quasi sicura di avergli augurato la morte. Sono sicurissima di essermi messa a piangere. Non che mi mancasse in fondo non avevo mai conosciuto mio padre. Ma era lì adesso, l'altro genitore, lo sperma che aveva generato la ragazzina problematica che sono sempre stata era lì e mi chiamava "Mabellita". Con quale coraggio, con quale diritto si permetteva di ricordarmi che non avevo mai avuto una famiglia. Te lo racconterò così capirai perché non so mai come comportarmi con i genitori degli altri.
Quando mi chiederai perché non voglio bene a mio fratello ti racconterò delle mattine fredde in cui andavo ad aprirgli la porta di casa così da farlo entrare senza che gli zii o la nonna notasse che aveva passato la notte fuori a bere con i suoi amici. Avevo 6 anni e passavo le notti sveglia, in attesa che tornasse per mettermi una giacchetta, aprire la porta senza fare rumore, fare le scale, aprire la porta di metallo che faceva un rumore assordante se spinta in un certo modo. Poi dovevo prenderlo quasi in braccio e rifare tutto fino a metterlo a letto. Avevo 6 anni e sulle mie spalle gravava il peso di un fratello adolescente.
Lui non ha mai aperto una porta per me. Non ha mai coperto le mie cazzate adolescenziali. Non ha mai preso calci e pugni per difendermi. Io sì, sempre.
Ti dirò che l'unico ricordo felice che ho con lui sono le partite a calcio in mezzo alla strada quando avevamo 3 e 9anni. La terra che entrava nelle ferite delle ginocchia sbucciate e un pallone più spellato di noi. Ma avevamo degli amichetti con noi, quando stavamo con loro era tutto bello. Non c'entrava niente il sangue, era un amico anche lui.
Ma se ricorderò quei momenti inevitabilmente dovrò raccontarti la parte brutta di quelle partite. La parte brutta ha un nome: Marta, madre di mio padre. Ogni volta che tornavamo a casa sporchi sapevamo cosa ci aspettava. La parte brutta mi ha lasciato mille cicatrici nel corpo e nell'anima. Le mie posso anche fingere di non vederle, di averle dimenticate. Ma quando guardo mio fratello senza la maglietta e girato di schiena mi torna tutto in mente. Ricordo le cinghie della cintura e il rumore che fa la pelle che si apre e sanguina. Ricordo l'odore del sangue e il sapore di un pugno in faccia. Se non piango molto davanti alle persone è perché dai 2 ai 6 anni ho imparato che quando ti fanno del male è meglio starsene zitti, se ti sentono piangere tornano indietro e te ne fanno il triplo. La schiena di mio fratello mi urla "quella volta non mi hai difeso, stronza" e per quanto io mi dica che avevo solo 5 anni e non potevo sopraffare una donna che pareva un armadio a 3 ante la sua schiena continuerà a dirmi che sono colpevole, che dovevo difenderlo, che dovevo mettermi in mezzo prima e non dopo 6 colpi. Anche se avevo paura, anche se volevo morire per sfuggire a quei momenti: 6 colpi, 6 colpi, 6 colpi. Ho aspettato 6 colpi e la schiena di mio fratello me lo urlerà sempre. Ricordo di essere corsa a nascondermi sotto al lettone, poi c'è solo dolore. Poche lacrime. Marta che va in cucina e io che prendo il disinfettante per curare mio fratello. Lui mi tira un pugno. Col labbro rotto gli medico le ferite. Avevo 5 anni. Lui piange, Marta torna, mi urla addosso, io sto calma. Ingoio sangue per tutta la sera. Di notte vado in bagno e in silenzio prendo il rasoio, faccio brutti pensieri.
Alle elementari avevo questa amica di nome Rosa che diceva "non vado mai nei negozietti da sola" ed io non capivo perché, in fondo da noi in ogni strada ci sono tanti negozi sparsi tra le case. Nella via di mia nonna Maya ne contavo almeno 10. Avevo 6 anni e andavo da sola dove volevo quando volevo, senza paura.
Non avevo paura di niente. E in Ecuador c'era di che aver paura ad ogni angolo di strada. Eppure io con tutta la calma del mondo ero amica di un noto rapinatore che viveva dall'altra parte della città e lo andavo a trovare prendendo bus o taxi solo per giocare col suo cane. A 7 anni non avevo più paura di niente, mi dicevo che tanto ormai mi avevano fatto tanto male e di sicuro non potevano fare di peggio. Una volta nei bagni della scuola provai a tirare un pugno a un compagno che rideva di Rosa e passai le lezioni a stringere la mano che faceva male. Volevo sentire quel dolore, non avevo mai picchiato nessuno. Il giorno dopo tirai un pugno allo specchio del bagno e quando Rosa mi chiese perché rimasi in silenzio, lei andò a cercare la maestra ed io rimasta sola pensai "perché così mi esce sangue e sento qualcosa", prima che arrivasse la maestra presi un pezzo di vetro e mi tagliai il braccio per la prima volta.
Ti racconterò perché non credo nella scuola ricordando quella volta che mi aspettava il titolo di caposcuola con diploma per i voti perfetti e invece l'hanno dato a Rosa perché i suoi venivano sempre a prenderla a scuola e parlavano con le maestre mentre io mi picchiavo con tutti tranne che con lei e quando chiamavano a casa per parlare con i miei le zie dicevano che forse la settimana dopo sarebbero passate dal preside ma non passavano mai. Io le dissi che ero contenta per lei ed era vero, sapevo quanto studiava e sapevo che faceva sempre i compiti. Lo sapevo perché io non li facevo mai, chiamavo sua mamma per farmeli dire e la mattina a scuola li iniziavo di fretta. Non studiavo mai per le verifiche ma prendevo comunque ottimi voti. Lei aveva anche il padre a farle ripetizioni, già alle elementari conosceva il programma delle medie/superiori. Era intelligente e bellissima, una delle mie prime cotte era Rosa: capelli neri, occhi verdi, piena di parole gentili e timida. Le dissi che era meglio se quel titolo lo aveva lei perché io non ne sarei stata all'altezza. Era l'anno del mio ottavo compleanno.
A 9 anni mi fecero fare un'accademia militare. Odiavo mettere la divisa. Odiavo i professori. Odiavo studiare. Odiavo tutto perché non c'era più Rosa. Facevo a botte ogni giorno e tornavo a casa dallo zio che mi tirava uno schiaffo per aver fatto a botte. Ridendo andavo in camera e dormivo finché la nonna non mi diceva di mangiare qualcosa.
Mia nonna Maya cucinava per tutta la famiglia ovvero per la zia e lo zio e le due figlie, per lo zio scapolo, per me e mio fratello, per gli zii che a volte venivano a pranzo con i 3 figli, per mia cugina, per gli zii che passavano con le cugine e Alex. Quando sono andata a vivere da lei mi ha praticamente obbligato a fare colazione, quindi dai 6 ai 10 anni mi svegliavo, mi lavavo la faccia con acqua bollente perché lei la preparava così in una bacinella e poi andavo in cucina dove dovevo mangiare pane con formaggio, uovo sodo, latte o caffè nero a scelta: io prendevo sempre un caffè, ma lei ogni mattina mi diceva che ero troppo piccola, i bambini bevono latte Mabelle, non vedi le cugine? Io rispondevo caffè, per favore. Rigorosamente bollenti anche loro, tanto che metteva un'altra bacinella con acqua ghiacciata e poi ci immergeva la tazza di caffè. Mi piaceva bere il suo caffè caldo e riscaldarmi il pancino.
Ora non mangio mai al mattino perché mi da la nausea. E sono diventata allergica al caffè, almeno a quello italiano mi dico, sicuramente se torno in Ecuador mi passa. È sciocco ma ci credo veramente. Mi manca il caffè della nonna appena sveglia. Mi mancano i suoi capelli bianchi intrecciati e le sue mani rugose e il suo sorriso caldo. Mi manca tantissimo. Se c'è qualcuno che avrà sempre il mio affetto incondizionato è lei. Mi si spezza il cuore quando penso che non la vedo da 8 anni ormai e forse non la vedrò per molti altri anni dato che non ho i soldi per tornare da lei.
Adesso una paura c'è l'ho: ho paura di non fare in tempo. È una donna anziana e ha troppe preoccupazioni.
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killiandestroy · 1 year
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I've had colla zio for less than 24 hours etc etc
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vinci-te-stessx · 2 years
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21 dicembre 2021
La famiglia prima di ogni cosa.
Ama la tua famiglia.
Mi mancano gli zii, le ziee, le cugine, le nonne, mi manca un albero genealogico, mi mancano delle storie da ascoltare, mi manca sapere da chi ho preso i miei difetti e i miei pregi, mi manca vedere mia mamma felice, mi mamcano quei pranzi di Natale che non abbiamo mai avuto, quelli felici insieme dove non si vede l'ora di condividere insieme le cose fatte. Di giocare con la zia rompiballe e lo zio vhe grida ambo al primo numero. Mi manca sentire la voce di mia nonna, e sapere che è grazie a lei se sono al mondo.
Sono stata per anni in cerca di altre famiglie, perché non trovavo la mia.
Io però ho una famiglia. Manca solo volersi bene.
Mancano 4 giorni a Natale e mancano le tradiziono di questa terra. Siamo animali fatti di tradizioni, abbiamo tutte bisogno di un luogo da chiamare Casa.
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1:Angela  2:Toro 3:I serpenti,i luoghi chiusi,i topi. 4:I miei nipoti,la musica,scrivere. 5:Vanessa-Jennifer. 6:Arrogante di Irama. 7:Carattere. 8:Falsità. 9:Arcobaleno. 10:Nessuno fino ad ora. 11:Si. 12:Male. 13:Riavere indietro una persona. 14:Single. 15:Non so sceglierne uno. 16:Non saprei sceglierne solo una. 17:Ne ho tantissimi. 18:I miei nipoti,la musica e la lettura. 19:La morte,litigare,piangere. 20:Dipende dalla persona. 21:Alcuni zii,i miei nonni paterni e mio cugino. 22:I miei nipoti. 23:Li amo. 24:Natale. 25:E’ sempre stato lo stesso. 26:Ne ho tante. 27:Nessuno. 28:Non ne ho una da fare. 29:La falsità,l’ignoranza e l’odio. 30:Cani. 31:Avevo un cane. 32:Fino ad ora su nulla. 33:Nessuno. 34:Ne ho tantissimi. 35:Non ha importanza per me,mi interessa di più il carattere della persona. 36:I miei parenti che mi mancano. 37:Ne ho tante. 38:Londra. 39:Visitare l’Inghilterra. 40:Ho fatto il linguistico. 41:Non ne ho uno in particolare. 42:Qualsiasi cosa. 43:Sono andata ad un compleanno. 44:Non ne ho uno. 45:Ne ho tante. 46:Non ne metto. 47:No 48:Non lo so ancora. 49:Bevo solo durante qualche uscita con gli amici oppure durante una festa in famiglia.Non fumo. 50:Mi sto annoiando.
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alohomelmora · 7 years
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Nella vita di tutti i giorni un personaggio con la caratterizzazione di Hannah Baker verrebbe più che semplicemente criticato. E’ così. Io lo so. Perché è qualcosa che ho provato sulla mia pelle. Da persone che reputavo le mie migliori amiche.
Non voglio fare di quanto scriverò le mie “cassette”, non ho intenzione di fare alcune idiozia, semplicemente ho anche io le mie ragioni che mi hanno portato a pensare, a volte, se valesse davvero la pena continuare ad andare avanti. Se non fosse meglio sparire, iniziare da capo altrove.
Mi importa sin troppo di quello che le persone pensino di me, è vero. Lo so. Vivo seguendo il giudizio delle persone, spaventata addirittura da quello che potrebbe essere ciò che pensano nei miei confronti.
Annullo me stessa, a volte, al pensiero che quella persona potrebbe forse non accettarmi più.
Ho mille difetti, ma credo allo stesso tempo di avere altrettanti pregi. Non sono orgogliosa, e sono disposta a tutto pur di non perdere un’amicizia. Ma è un punto, questo, che toccheremo più avanti.
La prima ragione che mi fa pensare che ho sbagliato tutto nella mia vita, è il non aver  mai avuto un ragazzo. Non ho mai fatto un’esperienza come quella che tutti raccontano, niente primo bacio. Già.
E non importa cosa pensiate, è fottutamente imbarazzante. Mi vergogno anche solo di dirlo in giro, probabilmente è per questo che nessuno lo sa. Credo di averlo raccontato a tre persone soltanto, e non sono neanche certa sia il numero esatto. Come questo mi fa sentire? Da schifo. Probabilmente sono semplicemente una sfigata, è così che mi sento. Magari sembra una cosa stupida, ma è qualcosa che ti fa completamente crollare il tuo pensiero di te stessa. Probabilmente è anche per questo che non ho autostima e mi sento brutta. A volte tendo a guardarmi allo specchio e pensare che forse ciò che vedo non è poi così male, ma poi mi rendo conto che non è così. Mi sto semplicemente sopravvalutando.
Tutti parlavano del loro primo ragazzo, dei loro ex, ed io che ogni volta che questo accadeva cercavo di cambiare discorso. Ma non sempre riuscivo a farlo perché ogni volta che aprivo bocca era come se da quest’ultima uscisse la cavolata del giorno. Ammesso e concesso che ci fosse qualcuno ad ascoltarmi. Ed eccoci qui alla seconda ragione: L’esclusione. Ti sei mai sentito importante per qualcuno? Io no. C’era sempre qualcuno che veniva scelto prima di me. E non era come essere scelti per ultimi alle partite di pallavolo a scuola, ma peggio, perché quelle persone che reputavi le tue migliori amiche non ci pensavano due volte a sostituirti con qualcuno che, a quanto pare, era mille volte migliore di te. Ho subito mille critiche da S. anche solo per le canzoni che ascoltavo, o ciò che mi piaceva, ma la cosa peggiore è stata quando, dal nulla, mi sono ritrovata al banco da sola senza uno straccio di spiegazione perché M. aveva deciso di prender posto vicino ad S. dopo che quest’ultima aveva litigato con MG. Ed io? Cosa ne era di me?
Sola. Esclusa. Quasi come se a nessuno importasse della mia presenza.
Probabilmente è per questo che con il tempo, ogni volta che qualcuno sceglieva qualcun altro a me, cavolata o meno, ne restavo ferita. E quando dall’altra parte ne venivo criticata ci stavo peggio. Non è colpa mia se tutti mi mettono da parte, prova anche solo ad immaginare come /tu/ ti sentiresti al mio posto, anziché farmene una colpa, prova per una misera volta ad immaginare come io possa sentirmi ad essere esclusa. Fa male. Molto male.
Che sia poi il fake, o quanto vivi tutti i giorni, è solo un remind di come tu sia passeggera nella vita di qualcun altro.  Di come sostituirti sia facile. E più tendono a incolparti e farti capire quanto tu sia stupida, più stai da schifo, più non capiscono che la tua è solo paura di essere sostituita. Non voglio essere la prima scelta di nessuno, non voglio pretendere nessuno a far sì che io sia la loro prima scelta, ma per una volta vorrei che qualcuno capisse, i loro gesti, seppur piccoli e futili, possono creare mille graffi in qualcuno, e quei mille graffi non fanno che ingigantire una cicatrice già esistente. Non ero gelosa perché SK aveva a che fare con L., ero infastidita dal fatto che non capisse come potessi sentirmi messa da parte. Quante possibilità ci sono che una persona dimentichi casualmente sempre e solo ciò che deve commentare a me? Tutti quei “domani” che non si sono mai avverati e sono durati mesi. Perché bisognava farmene una colpa se ci restavo male? Io non ti ho fatto una colpa dicevi di non aver tempo, e non importa cosa tu possa anche solo pensare, non ho MAI messo i pg sulla nostra amicizia. Ed avrei mille e mille ragioni da elencare, ma non voglio farlo. Non ho intenzione di rinfacciarti nulla.
Ma se non ti sei resa conto del mio repentino cambiamento, di come i miei modi di pormi siano poi cambiati in quella che sarebbe poi stata l’ultima volta che ci siamo sentite, è perché, come tutti, è difficile capire quanto una persona soffra o stia male. Al punto magari da rinunciare a quella che reputi un’amicizia importante, un’amicizia che l’ha fatta star male perché vedeva dall’altro lato quelle che erano risposte fredde e distaccate. E quando ti fa star male smette di essere un’amicizia. Diventa passato. Quindi okay. Tu saresti stata meglio senza di te, io avrei aggiunto un altro nome alla  lista di persone che perdevo. Perché a quanto pare sono brava in questo.
Si è mai chiesto qualcuno perché cambiavo atteggiamenti e non ero più me? No.
Così come nessuno si sarà accorto che questo è una terza ragione per cui sono la persona noiosa, sempre assente e triste e lamentosa che sono.
Ricordo ancora la volta in cui chiamavo insistentemente le mie amiche, quelle con cui uscivo ogni sabato e domenica, e loro non rispondevano. Avevano iniziato a frequentare D. ed io a D. non piacevo. Era dunque più facile eliminare quel peso “depresso” che ero, e forse sono ancora, anziché ribellarsi a D.
Ci tengo a specificare che non voglio la compassione di nessuno, voglio solo sfogare tutto ciò che ho dentro perché credo di essere arrivata ad un punto in cui mi è impossibile anche solo alzarmi dal letto con un sorriso.
Continuo a sentirmi dire di farmi delle nuove amiche, uscire, ma io faccio schifo a farmi delle nuove amiche.
La quarta ragione è questa: Non so farmi amici.
Ho spesso provato a legarmi tanto a qualcuno, ma il giorno dopo andavo nel dimenticatoio, ed ero troppo spaventata dal poter disturbare, per poter scrivere. Questo è perché amo i gruppi. Che siano gruppi di WhatsApp o su Facebook. Mi sento più a mio agio. Ma solo se non sono gruppi troppo numerosi.
Gruppi piccoli e ristretti, con persone fidate.  
Credo che qualcuno, forse, leggerà queste righe.
Se Hannah Baker avesse fatto ascoltare le cassette a Tony o Clay prima, sarebbe stato diverso.  So che Hannah Baker era uno stupido personaggio di una serie tv, ma credo che al contempo sia il simbolo di mille altre persone, reali, che come lei hanno fatto la sua scelta.
Una scelta che per quanto mi riguarda non mi ha mai direttamente toccata. Non ho mai pensato di arrivare a tanto. Credo.
Mi sono limitata a pensare “se dovessi sparire, cosa penserebbero gli altri di me?”, “Se dovessi star male, tanto male, chi si preoccuperebbe?”.
Anche dal punto di vista della famiglia non sono poi così fortunata. Il punto cinque è dedicato a loro.
Non ho più i nonni. Né i nonni materni, né i nonni paterni. Dal lato di mia madre erano nove figli, ed io sono cresciuta con soli tre zii. Tra cui una non si faceva scrupoli a sottolineare che tipo di schifezza avesse davanti ai suoi occhi.  L’altro mio zio è morto quattro anni fa. Ero lì. Quando l’hanno tirato fuori dalla sua auto e messo sull’asfalto, io ero lì.
Col tempo, tuttavia, ho avuto modo di conoscere gli altri miei zii, vedendo spesso anche due di essi.  Non abbastanza spesso da passare le feste come il Natale o la Pasqua tutti insieme.
Passiamo al lato di mio padre. Sei figli, uno andato via troppo presto. Ha una figlia, che non ha mai avuto la fortuna di godersi. Lei aveva un anno quando lui ci ha lasciati, ora ne ha 17. Ricordo poco di lui, ma mia madre dice che stravedeva per me e gli somigliavo, forse è per questo che io e mie cugina sembriamo quasi sorelle. Lei però è più carina di me.
Ho sempre immaginato di fare una grande tavolata tutti insieme ad una festa, ma temo che mai accadrà una cosa del genere. L’unica volta in cui abbiamo fatto una tavolata tutti insieme è stato il giorno del funerale di mia nonna.
Neanche ai matrimoni riusciamo a stare tutti allo stesso tavolo.
Ho una ventina di cugini, ma non sono ben legata a nessuno di loro. Non più almeno. Ma questo temo sia complicato anche solo da capire per me stessa.
Mancano solo nove giorni al mio compleanno, e se prima avevo voglia di festeggiare o fare qualcosa con le mie amiche, ora quella voglia è sfumata. Magari se butto fuori tutto ciò che ho dentro, o anche solo una minima parte, la mia voglia di far qualcosa torna.
Lo spero.
Perché tutti il giorno del proprio compleanno hanno stupende sorprese e belle giornate, ed io non voglio che il mio compleanno sia una giornata come tutte le altre. Almeno per un giorno, solo per uno, voglio sentirmi importante. Non mi importa se questo si chiama compassione. E’ il mio compleanno, il mio giorno. Solo per un giorno.
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s-memorando · 6 years
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Intervento di Pina Angela De Vincenti durante la presentazione del libro L’età dell’oro
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Leggo il libro durante un lungo viaggio in autobus che mi conduce da Firenze a Mirto-Crosia, il mio paese dove sono nata. Scorrono notte, strada e parole, che creano in me la suggestione di vivere più viaggi nello stesso momento, partendo dai racconti a ritroso delle protagoniste del libro. È un libro che profuma di speranza già dalla dedica. “dedicato a chi, ancora oggi, si impegna a cambiare il mondo”. L'età dell'oro è un libro scritto oggi, in un contesto molto diverso da quello che hanno vissuto le sue protagoniste: è un tempo, il nostro, in cui i sentimenti prevalenti sono quelli della provvisorietà, dell'instabilità e dell'inquietudine che non lascia intravedere segnali buoni di futuro. Le pagine del libro raccontano le storie di nove donne che hanno deciso di scoprirsi al di là dei loro rispettivi ruoli all'interno della Cgil e della società. Ho provato a immaginarle come voci fuori dalla scena, in un teatro che, invece, di volta in volta cambiava scene e paesi, fino a farci vivere una Firenze che iniziava il confronto con una nuova fase storica, popolata dalle facce di genitori, figli, colleghi, avversari politici, amicizie e tanto altro. Sullo sfondo, le varie lotte per la conquista di diritti civili, sociali e di cittadinanza, marce per la pace e manifestazioni per i diritti del lavoro. È a quegli anni che dobbiamo buona parte dei diritti di cui, ancora oggi, godiamo sui posti di lavoro, nonostante i maldestri tentativi quotidiani di sottrarceli. Finalmente anche le donne possono esercitare la possibilità di esprimere il loro voto alle elezioni politiche e vantare il diritto di poter avere un lavoro, anche se nei luoghi di lavoro vengono relegate alle mansioni meno importanti, spesso tenute in silenzio in un angolo. Non manca il lavoro, mancano i diritti. Anche quelli che a noi sembrano scontati come la possibilità di spostarsi dalla postazione di lavoro per raggiungere i servizi igienici. Chiaramente mi ha entusiasmata molto il modo in cui le protagoniste si sono avvicinate al mondo del sindacato, mosse dall'istinto di contrastare le ingiustizie, dal desiderio di libertà e dal sogno, e la promessa, di essere protagoniste del mondo. Ad un certo punto il libro si fa carne e sangue. Le donne decidono di spostare ricordi e attenzioni sui loro percorsi familiari: l'albero genealogico, di uomini e donne, che ci forma e ci plasma anche quando non lo vogliamo. La crescita personale passa spesso attraverso il rifiuto dei canoni personali e nel terzo incontro le donne scelgono di identificarsi con una figura a noi molto familiare, quella della matrioska. La bambola che contiene dentro di se, altre bambole più piccole: la nonna, la madre, la figlia, la nuora, la nipote. E il racconto passa dalle mani e i pensieri delle donne che filano il DNA a quelle che cercano di spezzare il cordone ombelicale, attraversate dal desiderio di non assomigliare alle proprie madri che spesso sono taciturne e severe, assolutamente incapaci -a causa della loro formazione sentimentale- di esprimere apertamente i loro sentimenti. Nelle varie storie del libro ritrovo un po' anche la mia. Sono fisicamente identica a mia madre, tanto che le persone mi riconoscono per strada perché somiglio molto a lei, e sono cresciuta sulle ginocchia delle mie nonne. Ho avuto anche la fortuna di conoscere i miei bisnonni paterni, ed è stata comunque tutta la famiglia di mia madre ad occuparsi di me nei primi anni di vita. Era una famiglia di agricoltori e di coltivatori diretti, che alternava una vita molto modesta a regole comportamentali rigide e strimpellate di chitarra serali. Nasco il 19 marzo da una madre che ha lavorato per trentacinque anni nei campi e un padre, solo inizialmente, non molto cosciente del suo ruolo – le cose cambieranno radicalmente negli anni fino a creare un rapporto molto forte e intenso con lui-. Mamma tornava a casa con la pelle bruciata dal sole, l'odore dei campi impregnato nel naso e una stanchezza atavica, pesante che non le consentiva di stare sveglia più di cinque ore al giorno. Ho sofferto molto la sua mancanza e, nonostante lei provasse a fare del suo meglio, lo spazio tra me e lei diventava sempre più ampio tanto che, da adolescente, decisi di mettere in un angolo il mio desiderio di protezione, -l'obiettivo giornaliero di provarle tutte per attirare le sue attenzioni- abbandonando tutti i riti e piccole consuetudini che erano solo nostri. Ero diventata grande, stavo crescendo e mamma, forse, era una donna come le altre che faceva una strada che non coincideva con la mia. Ero ancora troppo giovane per capire. La mia famiglia paterna, invece, è una famiglia matriarcale, gestita con non poche difficoltà da una donna rimasta vedova troppo presto, madre di dieci figli e mai amata abbastanza. Nei momenti delicati -ce ne sono stati tanti- il suo motto era “apparecchiate la tavola” e, con l'aiuto di un esercito, di una armata di nuore, nel giro di due ore metteva a sedere trentadue persone, tra figlie e nipoti di primo grado. Questa famiglia grande e complicata mi ha fornito tutti gli strumenti necessari per stare al mondo, in un rapporto basato sul confronto, i veti, lo scontro e anche l'accettazione. È lì che ho imparato che non siamo tutti uguali ma che il rispetto deve essere uguale per tutti. Io e nonna Maria avevamo un rapporto molto conflittuale, lei non accettava che nessuno la contraddicesse ed io non ho mai accettato che l'amore si potesse “erogare a quote” e che a qualcuno ne spettasse più che ad altri. La monitoravo a vista ed ero sempre lì a sottolineare le differenze di peso e di misura. Lei, ovviamente, negava. Questi momenti erano alternati ad un gioco che facevamo solo noi: davanti al camino le chiedevo di raccontarmi la storia della famiglia di mio nonno, che a sua volta era complicata e piena di colpi di scena. Le facevo le stesse domande a distanza di qualche mese e lei, che ripartiva, ogni volta, pazientemente d'accapo, narrava sempre una storia diversa. Alcune donne impari ad amarle davvero tardi, spesso quando non ci sono più. Nonna è andata via nel maggio del 2003 e nonostante siano passati quasi quindici anni, ogni volta che torno a casa, passando dalla sua porta, spero di vederla spuntare da lì, come faceva ogni volta che rientravo da scuola. Nonna Angela è Angela come me. Una donna ribelle, senza padroni, libera come l'aria e da sempre poco compresa. È affetta da “attimi di dimenticanza”, ma non molla. È una roccia. Sono stata la prima delle nipoti a scegliere e ottenere di allontanarmi da casa a diciannove anni, dopo un fintissimo sciopero della fame estivo -mangiavo solo quando non mi vedeva nessuno- e di decidere di mantenermi economicamente da sola, in una città lontana, nella disapprovazione generale di tutti, compresi gli zii che successivamente hanno visto partire le loro figlie, attribuendo a me la colpa delle loro scelte. Arrivo a Firenze il 19 ottobre del duemila. Il venticinque dello stesso mese lavoravo in un bar. Cresci cercando di scappare da casa, di rinnegare le origini, la tua storia, spesso anche la tua appartenenza familiare. Diventi grande quando accetti che loro sono un po' te e tu sei un po' loro e che con l'amore è meglio farci la pace che la guerra. Sono figlia e nipote, non sono ancora mamma anche se mi piacerebbe diventarlo. Mi piacerebbe avere due bambine, e vederle crescere sane, felici e combattenti, e crescere insieme a loro e aiutarle e sostenerle nel lungo percorso della vita. Ho incontrato tante donne nel periodo fiorentino: donne forti e orgogliose che non arretrano di un passo, alternate che vivono soggiogate dal giudizio maschile, dal desiderio di sentirsi amate e apprezzate dagli uomini. Ho imparato che alcune donne si riconoscono da sole, istintivamente, spesso anche senza parlarsi. Sono quelle che fanno parte della mia “famiglia di donne”, ne ho inventata una tutta mia, una famiglia speciale. Nel ringraziarvi per questo libro emozionante, umano e formativo, concludo con un brano del libro e una citazione. “L'immagine di infinite matrioska mi viene davanti agli occhi. Una bambola dentro l'altra: io dentro mia madre, poi dentro mia nonna, poi la mia bisnonna e così via. Ada, Arianna, Ilde, Erminia e poi? Ho perso il ricordo delle mie antenate come una fuga di specchi, in cui l'ultima immagine è assolutamente indistinguibile. E tu? Piccolo o piccola mia sarai l'ultimo anello di una catena iniziata non so dove e che finirà non so quando. Spazio nascosto, spazio segreto, spazio percorso da una corrente di desiderio. Spazio che mi separa da ciò che desidero ma che allo stesso tempo mi consente di raggiungerlo. Attendo il compimento di ciò che la natura ha preparato per me, attendo con la mano abbandonata sul ventre che la creatura bussi per venire al mondo. Uscire da me per farsi altro, conseguenza di qualcosa che ha preceduto il suo esistere: passione, gesto, atto d'amore. Chiunque sia, lui o lei, si farà legame per entrare in una rete di reciprocità, di relazioni di appartenenza e di dipendenza”. Un proverbio indiano invece narra che: “Una mamma che educa un bambino educa un uomo; una mamma che educa una bambina, educa un popolo”. L'augurio che mi sento di esprimere è quello di farci ancora uomini e popolo. È importante oggi, quanto ieri. Non possiamo sottrarci da questa acuta richiesta del mondo. Uomini e popolo. La storia insegna che non c'è bisogno di molto altro per cambiare le cose per sempre e noi, non possiamo perdere questa occasione.
5 giugno 20018
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