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#magistero pontificio
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«Vi spiego perché Massoneria e Chiesa sono incompatibili»
«Vi spiego perché Massoneria e Chiesa sono incompatibili»
Ci sono circa seicento documenti, approvati dai Papi, che condannano la massoneria, in qualunque forma. La Libera Muratoria «nega in linea di principio il valore della verità rivelata», rifiutando ogni fede nei dogmi insegnati dalla Chiesa. L’indifferentismo religioso dei massoni è caratterizzato da «una concezione di stampo deistico», incompatibile con la concezione cattolica. La Bussola…
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Calendari "papali" del 2024 in PDF di Cooperatores Veritatis per voi
Ogni anno il nostro dito prepara dei calendari “papali”, ovvero dedicati ai papi e al loro magistero, che mette a disposizione gratuitamente a tutti coloro i quali desiderano scaricarli. Continue reading Untitled
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amicidomenicani · 1 year
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Quesito Gent.mo Padre Angelo Bellon, Le invio, in allegato, uno stralcio di un articolo giornalistico, tratto dal quotidiano “Il Mattino”, ma la cosa è di dominio pubblico e tutti ne parlano. Il Santo Padre ha detto che potrebbero essere rivisti i contenuti della “Humanae Vitae” di Paolo VI. La prima domanda che mi sorge spontanea non è tanto legata alla pillola in sé, che comunque è una cosa importante, ma è la seguente: noi semplici fedeli ci possiamo fidare del Sommo Pontefice e della Chiesa Docente quando ci dicono una cosa, se poi, ad esempio dopo 50 anni, ci dicono una cosa diversa? Grazie per la sua attenzione. Un caro saluto. Cristino Risposta del sacerdote Caro Cristino, 1. il Papa non ha detto che possono essere rivisti i contenuti dell'enciclica di Paolo VI. Inoltre non ogni parola del Papa è Magistero della Chiesa, soprattutto quando parla nelle interviste nelle quali non gli viene chiesto di esprimere la dottrina della Chiesa, ma una sua opinione. 2. Il Vademecum per i confessori del Pontificio Consiglio per la famiglia (12.2.1997) scrive:  “La Chiesa ha sempre insegnato l’intrinseca malizia della contraccezione, cioè di ogni atto coniugale intenzionalmente infecondo. Questo insegnamento è da ritenere come dottrina definitiva ed irreformabile.  La contraccezione si oppone gravemente alla castità matrimoniale, è contraria al bene della trasmissione della vita (aspetto procreativo del matrimonio), e alla donazione reciproca dei coniugi (aspetto unitivo del matrimonio), ferisce il vero amore e nega il ruolo sovrano di Dio nella trasmissione della vita umana” (n. 2.4). 3. Che cosa si deve intendere per dottrina definitiva? Nella “Nota dottrinale illustrativa della formula conclusiva della professione di fede” della Congregazione per la dottrina della fede che accompagna il motu proprio Ad tuendam fidem (18.5.1998) di Giovanni Paolo II si legge: “Il Magistero della Chiesa, comunque, insegna una dottrina da credere come divinamente rivelata o da ritenere in maniera definitiva con un atto definitorio oppure non definitorio.  Nel caso di un atto definitorio, viene definita solennemente una verità con un pronunciamento ex cathedra da parte del romano, pontefice o con l’intervento di un concilio ecumenico.  Nel caso di un atto non definitorio, viene insegnata infallibilmente una dottrina dal Magistero ordinario e universale dei vescovi sparsi per il mondo in comunione con il successore di Pietro. …  Di conseguenza, quando su una dottrina non esiste un giudizio nella forma solenne di una definizione, ma quella dottrina, appartenente al patrimonio del deposito della fede, è insegnata dal Magistero ordinario e universale che include necessariamente quello del papa, essa allora è da intendersi come proposta infallibilmente” (n.9). 4. E ancora: “Per quanto riguarda la natura dell’assenso dovuto alle verità proposte dalla chiesa come divinamente rivelate o da ritenersi in modo definitivo è importante sottolineare che non vi è differenza circa il carattere pieno e irrevocabile dell’assenso, dovuto ai rispettivi insegnamenti. La differenza si riferisce alla virtù soprannaturale della fede: nel primo caso l’assenso è fondato direttamente sulla fede nell’autorità della parola di Dio (dottrine de fide credenda); nel secondo caso, esso è fondato sulla fede nell’assistenza dello Spirito Santo al Magistero e sulla dottrina cattolica dell’infallibilità del Magistero (dottrine de fide tenenda)” (n. 8). 5. Il Magistero della Chiesa su questa materia si è espresso anche in maniera collegiale nel sinodo celebrato nel 1980 il cui insegnamento è stato proposto da Giovanni Paolo II nella Familiaris consortio: “Questo sacro Sinodo, riunito nell’unità della fede col Successore di Pietro, fermamente tiene ciò che nel Concilio Vaticano II e, in seguito, nell’enciclica Humanae vitae viene proposto, e in particolare che l’amore coniugale deve essere pienamente umano, esc
lusivo e aperto alla nuova vita” (FC 29). 6. Giovanni Paolo II ha approfondito e confermato a più riprese la dottrina dell’Humanae vitae. In un passo saliente del suo Magistero si è espresso così: “La prima, ed in certo senso la più grave difficoltà (sul nostro tema), è che anche nella comunità cristiana si sono sentite e si sentono voci che mettono in dubbio la verità stessa dell’insegnamento della Chiesa. Tale insegnamento è stato espresso vigorosamente dal Vaticano II, dall’enciclica Humanae vitae, dalla esortazione apostolica Familiaris consortio e dalla recente istruzione Donum vitae. Emerge a tale proposito una grave responsabilità: coloro che si pongono in aperto contrasto con la legge di Dio, autenticamente insegnata dal Magistero della Chiesa, guidano gli sposi su una strada sbagliata. Quanto è insegnato dalla Chiesa sulla contraccezione non appartiene a materia liberamente disputabile tra i teologi. Insegnare il contrario equivale a indurre nell’errore la coscienza morale degli sposi” (5.5.1987). 7. Di fronte a tali espressioni non si può neanche immaginare una riformabilità del Magistero. Anche a questo proposito va applicato il detto teologico: “Roma locuta, causa finita”. Il Magistero della Chiesa ha parlato, la discussione è finita. Con l'augurio di ogni bene, ti benedico e ti ricordo nella preghiera, padre Angelo
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Papa:L.Fontana, suo magistero misericordioso e promotore di pace
(ANSA) – ROMA, 13 MAR – “In occasione del decimo anniversario dell’elezione al soglio pontificio, desidero rivolgere a Sua Santità Papa Francesco le espressioni dei più sentiti auguri di un sereno e fruttuoso proseguimento del Suo Magistero misericordioso e promotore di pace”. Lo afferma il presidente della Camera Lorenzo Fontana. (ANSA).    RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA Ottieni il…
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incamminoblog · 1 year
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Cardinale Raniero Cantalamessa Il Vangelo è potenza di Dio per chiunque crede(rom1,16)
Seconda Predica di Quaresima Dall’Evangelii Nuntiandi di san Paolo VI all’Evangelii gaudium dell’attuale Sommo Pontefice, il tema dell’evangelizzazione è stato al centro dell’attenzione del Magistero papale. Ad esso hanno contribuito le grandi encicliche di san Giovanni Paolo II, come pure l’istituzione del Pontificio consiglio per l’evangelizzazione, promosso da Benedetto XVI. La stessa…
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anticattocomunismo · 3 years
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Togliete il nome di Giovanni Paolo II dall'Istituto sulla famiglia
Togliete il nome di Giovanni Paolo II dall’Istituto sulla famiglia
Sulla pagina Facebook del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II è apparso uno scandaloso post che, a sostegno di Joe Biden, sostiene che «difendere il diritto all’aborto non significa difendere l’aborto». Giudizio diametralmente opposto a quello che è stato il Magistero del papa polacco, che non merita di essere continuamente infangato. Piuttosto chiamate l’Istituto Amoris…
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pomposita6292 · 4 years
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“Caro Papa Bergoglio,
mi chiamo Moni Ovadia, sono un ebreo agnostico di professione saltimbanco che pratica il suo mestiere contrabbandando la spiritualità dell’esilio ebraico, soprattutto nelle sue espressioni umoristiche e paradossali. Nella vita e sul palcoscenico, sono un “attivista” che, nei limiti delle sue capacità, ma con passione, si impegna a favore dei diritti degli ultimi e delle minoranze, della loro dignità, della giustizia sociale e della pace. Talora mi capita anche di pubblicare le mie personali riflessioni su libri, articoli e altri scritti. Le scrivo per assolvere un dovere e un impegno cogenti.
Alcune settimane fa, con decine di migliaia di persone in Italia e non solo, ho condiviso la perdita di un grande amico, un fratello, un Maestro. Si chiamava Andrea Gallo, Don Andrea Gallo, era un prete cattolico. Sì, un prete cattolico! Mai, neppure in una sola delle molteplici occasioni in cui ci siamo visti, ha omesso di dirmi che la Chiesa Cattolica era la sua Chiesa. Lei, sicuramente, ne ha sentito parlare. E’ stato uno degli uomini più amati di questo nostro travagliato Paese.
Perché dunque mi sono risolto a scriverLe in quello che sarebbe stato il giorno del suo ottantacinquesimo compleanno? Perché Don Gallo mi ha eletto come suo direttore spirituale e, nel corso di molte occasioni pubbliche, ha confermato questa elezione. Lei capirà, quando nel corso delle molte manifestazioni in cui abbiamo condiviso la nostra comune passione spirituale, politica e civile, Don Andrea ripeteva che il suo direttore spirituale era un ebreo agnostico, le persone presenti ridevano affettuosamente con allegria e tenerezza come si reagisce ad una battuta, ma la cosa era ed è seria.
Il Gallo sapeva che non poteva affidare in mani migliori il senso più profondo del suo magistero di uomo e di prete cattolico, non perché io sia così degno, tutt’altro, ma perché lui sapeva che io, pur con tutti i miei limiti e peccati, lo avrei custodito come il più prezioso dei lasciti.
Caro Papa Bergoglio, io non Le scrivo per chiedere che Lei faccia aprire un fascicolo per la beatificazione di questo prete da marciapiede - come lui stesso si definiva - e non glielo chiedo perché, con tutto il dovuto rispetto, il Gallo per noi che lo abbiamo conosciuto, è già Santo. E chi se non un santo avrebbe potuto dare corpo vivo alla più dirompente delle Beatitudini di Gesù? Nella Chiesa, nella comunità, nel cuore di Andrea, gli ultimi, i tossicodipendenti, le prostitute, i transgender, i ladri, i poveri, i disperati, erano i primi. Per me personalmente il Gallo era uno Tzàddik, il giusto sapiente delle comunità khassidiche. Noi ebrei attribuiamo la santità solo al Santo Benedetto. Comunque, Don Andrea, prete cattolico ed io, ebreo agnostico, eravamo uniti da una comune spiritualità.
Le religioni possono separare, la spiritualità unisce credenti, diversamente credenti e non credenti.
Ecco, per questa ragione io mi permetto di rivolgerLe questa richiesta: Lei che ha mostrato particolare sensibilità per gli ultimi, per lo scandalo delle ingiustizie e delle disuguaglianze, Lei che ha avuto la forza di rubricare nella legislazione dello Stato Pontificio il ripugnante reato di tortura, di abolire la crudeltà dell’ergastolo, trovi il modo di dedicare un’omelia al prete cattolico Don Andrea Gallo, grande cristiano, partigiano, antifascista e uomo di pace. Il suo corpo non è più fra noi, ma il suo pensiero e la sua energia vivono e vivranno nelle nostre menti e nei nostri cuori e in quelli dei giusti di ogni tempo a venire.
Di don Gallo, l’umanità ha bisogno”.
Moni Ovadia
(Scritta a Bergoglio il 18 luglio 2013)
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paoloxl · 5 years
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Ormai diciotto anni separano dal vertice di Genova tra le otto potenze politiche, economiche e militari del Pianeta. Forse pochi ricordano l’ordine dei lavori di un meeting internazionale andato in scena tra il 19 e il 22 luglio del 2001, con un contenuto decisionale modesto, se non quello di rinsaldare le scelte macroeconomiche già diffusamente sperimentate sin dall’inizio degli anni Novanta. Molto di più, nella memoria collettiva e nei tribunali, è rimasto e resta dei cortei svoltisi in città, della forza d’urto di un servizio di sicurezza resosi responsabile di violazioni dei diritti umani, secondo sentenze di giurisdizioni interne e internazionali ormai passate in giudicato. E molto si ricorda delle immagini: scenari quasi libanesi o egiziani di fumogeni, cariche, pestaggi, fermi illegittimi e guerriglia urbana.
La memoria non inganna se si colloca il 2001 nella sua cornice storica. Le forze socialdemocratiche e democratiche europee, asiatiche e, in parte, latino-americane che avevano governato per buona parte del decennio precedente scontavano ormai una sconfitta storica, data dall’incapacità di quel riformismo temperato di farsi concreta azione di risposta alle domande di giustizia sociale. Andava in scena un mutamento contestuale di molte maggioranze nazionali, con parole d’ordine più nette ma non per questo più rassicuranti e fortunate negli effetti.
Da lì a meno di due mesi, gli attacchi terroristici dell’11 Settembre avrebbero riscritto definitivamente una nuova psicologia collettiva di come l’Occidente guardi ad Est e di come l’Oriente guardi ad Ovest. Gli osservatori meno distratti, nel filone degli studi dell’analisi economica del diritto, notavano i primi segni di una forte ascesa geopolitica e produttiva di Brasile, Russia, India, Cina, Iran e Sudafrica. Giustamente, però, una parte degli studi sul post-colonialismo ammoniva: quella poderosa risalita non addita un nuovo modello di sviluppo, anzi essa mette paura all’alleanza atlantica perchè si svolge ben all’interno, risolutamente all’interno, delle regole della competizione capitalistica.
Tornando alla realtà italiana, il movimento noglobal sembrava incarnare l’ultima e residua forma di opposizione sociale in un contesto di legislatura dove la maggioranza imperniata su Forza Italia e la leadership di Silvio Berlusconi aveva ottenuto una performance con pochi precedenti nella storia della Repubblica. I cinque anni di centrosinistra erano stati all’opposto a dir poco impopolari. Sul piano costituzionale, si era cambiato il Titolo V della Carta, con una modifica che ampliava senza troppo criterio le competenze dell’ente regione, dando il via a una stagione elefantiaca di spesa pubblica decentrata priva di ritorni sul piano delle prestazioni sociali. Era stato inoltre fortemente irrobustito l’articolo 111 della Costituzione, nel quadro di un ordinamento che asseriva di voler implementare le garanzie penalistiche e, in un altro ramo della scienza giuspubblica, voleva pure migliorare e favorire la partecipazione del cittadino al procedimento amministrativo. Proprio Genova dimostrerà oltre ogni ragionevole dubbio il duplice fallimento di questi intendimenti teorici.
Il blocco sociale che costituiva l’ossatura dei manifestanti non aveva diretti canali di riconoscimento politico: il principale partito del centrosinistra era incerto tra sporadiche partecipazioni individuali e più o meno dichiarate accuse di estremismo e isolazionismo. Le modeste forze alla sua sinistra intuivano certo la possibile visibilità derivantene ma i cortei non ebbero specifico aiuto dai partiti costituiti. Era una sorta di vizio frequente nell’arco progressista di quegli anni: appoggiare le spore del dissenso solo alla loro piena evidenziazione sociale, e non anche nella loro fase di formazione (sarà così otto anni dopo nella contestazione di massa dei lavoratori al Protocollo sul Welfare siglato da un governo di centrosinistra, con ben quattro ministri e un presidente della Camera provenienti da organizzazioni e partiti almeno apparentemente schieratisi a sinistra del PD e delle sue “dimagranti” politiche sociali).
Partecipò anche una modesta ma non irrilevante componente di sinistra di base cristiano-sociale, anticipando quel che tutt’oggi avviene nell’opinione pubblica cattolica. Si fronteggiano sui temi politici e civili, ieri sulla globalizzazione e oggi sulle migrazioni nel Magistero pontificio, due orientamenti di nicchia, ma dichiaratamente agli antipodi, pur nell’indifferenza generale. Una parte dell’associazionismo laicale era su posizioni terzomondiste, vicine alle teologie sudamericane della liberazione. Il teologo gesuita Felice Scalia in un libro di quegli anni espresse simpatia per i movimenti popolari di lotta sociale, parlando con benevolenza dei “nuovi spartachisti”. Altra parte dell’intellettualità cattolica giudicava e giudica posizioni del genere cedimenti mondani alla sinistra politica, anche quando quelle stesse istanze sono declinate in prospettiva prettamente evangelica.
Dopo l’uccisione di un manifestante, il popolare gruppo rock irlandese degli U2, in concerto al vecchio Delle Alpi di Torino, dedicò genericamente una vecchia canzone del loro repertorio, Sunday Bloody Sunday, al rifiuto della violenza in ogni sua forma, come se anche la musica leggera di orientamento solidaristico risentisse il disagio dell’indicibile, il non sapersi dichiarare, prima di tutto, contro i soprusi visibilmente patiti in tanti spezzoni dei cortei e in tanti degli alloggi dei manifestanti.
È questa però sede di una riflessione giudiziaria di sistema, non di un bilancio politico. Quello, se si fosse voluto, avrebbe dovuto esser fatto molto tempo fa. Amnesty International e Human Rights Watch denunciarono apertamente il trattamento dei manifestanti come la più grave violazione dei diritti umani in un ordinamento democratico, in tempo di pace, sin dalla fine della Seconda Guerra mondiale. I procedimenti successivi alla fine del G8 accertarono l’intenzionale fabbricazione di prove false a danno dei manifestanti: uno scenario raccapricciante per l’operatore del diritto. Il processo penale liberale, esso stesso dispositivo ideologico, si basa comunque sia su un metodo dell’indagine diametramentalmente opposto: la prova si ricerca e la sua formazione, salvo casi tassativi, avviene in dibattimento e solo in dibattimento.
Nel 2015 la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia  proprio in riferimento ai fatti di Genova per violazione dell’articolo 3 della CEDU e conseguentemente del divieto di trattamenti inumani e degradanti. Sconsolanti però alcuni procedimenti penali celebratisi presso la giurisdizione italiana. Quelli riguardanti le condotte illecite delle forze dell’ordine si scontrarono col limite della non identificabilità di molti dei responsabili e da allora un ampio movimento internazionale di attivisti ha patrocinato, sin qui vanamente, l’obbligo di codici identificativi su caschi e divise. I processi contro i manifestanti furono essenzialmente di due tipi: da un lato quelli di orientamento prevalentemente ideologico (ad esempio, il cd. “Sud Ribelle”) che hanno contestato per anni agli imputati reati associativi privi però di qualunque addentellato materiale, che dovrebbe invece essere a base del diritto penale sostanziale e processuale; dall’altro, quelli relativi a ipotesi di devastazioni e saccheggi, che sono apparsi in molti casi non meno impositivi, sul fronte patrimoniale delle pretese statali e sul piano delle richieste comminatorie di condanna, decisamente più aspre della media di volte in cui si procede per le medesime ipotesi delittuose.
L’Italia, in diciotto anni, non ha davvero ancora fatto i conti con queste pagine molto poco edificanti. Nel 2006 la Rosa nel Pugno (lista di radicali e socialisti) e Rifondazione Comunista proposero una commissione d’inchiesta sul G8 di Genova, mancando però poi la conclusiva formalizzazione e istituzione dell’organo. Possiamo concluderne che non fu necessariamente un male. È sufficiente sfogliare un manuale di diritto parlamentare, dai tempi della Commissione Moro in poi, per capire quanto la politica abbia vandalizzato un altrimenti preziosissimo strumento costituzionale, ora -sui vari temi- addivenendo a nulla, ora confezionando pezzi di verità di comodo inidonee a farsi sapere e giustizia collettiva.
Certo è che un Paese non in grado di analizzare le proprie sconfitte difficilmente saprà partecipare del suo futuro.
Domenico Bilotti – Yairaiha onlus
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«Instaurare omnia in Christo». Il motto che il Sommo Pontefice San Pio X (1835-1914) scelse per il suo pontificato (1903-1914) condensava in brevi ma incisive parole il programma di quei cattolici, che per il loro attaccamento al papato ed al Magistero pontificio – in particolar modo durante il Concilio Vaticano I (1868-1870) – venivano definiti “ultramontani” (da ultra montes, “al di là dei monti”, rispetto al punto di vista degli episcopati francese e tedesco). «Instaurare tutto in Cristo» fu l’ideale al quale si consacrò Giovanni Cantoni, piacentino, classe 1938. Egli fu al contempo l’interprete e il testimone di una generazione che aveva vissuto e perso la seconda guerra mondiale, ma che dalla sconfitta traeva nuova linfa, voglia di riscatto e, soprattutto, fede verso cose “che non muoiono”. Dopo essere transitato per il pensiero di Julius Evola (1898-1974), Cantoni maturerà sempre più una visione del mondo scevra da velleitarismi ideologici ed orizzonti infecondi per aderire al pensiero contro-rivoluzionario o ultramontano. Questo – fa notare Cantoni – è esplicitato dal «Magistero pontificio, che si è venuto sviluppando in modo particolare a partire dalla metà del XVIII, sollecitato dalla socializzazione degli errori e di costumi disordinati, quindi dagli avvenimenti e dalle istituzioni che ne sono derivati». (G. Cantoni, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione nel cinquantenario (1959-2009) «istruzioni per l’uso», in Idem, Sugarco, Milano 2009, p. 16) Esso soggiace ad una visione del mondo, o per meglio dire, ad una “filosofia della storia” di cui sant’Agostino «primo fra tutti delineò ed elaborò», precisa Leone XIII nella Epistola Saepenumero considerantes (1883). Continua a leggere l'articolo su 👉 www.lintellettualedissidente.it (link diretto all'articolo sulle instastory) #17aprile #lintellettualedissidente #news #notizia #notizie #informazione #quotidiano #giornale #societa #cristo #filosofia #latinoamerica #americalatina #religione #nicolasgomezdavila #pliniocorreadeoliveira #letteratura #cristianesimo https://www.instagram.com/p/B_E-6PzIvEY/?igshid=1a8fpy64a3ysb
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bergoglionate · 7 years
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Nessuna irriverenza o blasfemia nei riguardi del Romano Pontefice, ma la richiesta di un serio e cattolico magistero pontificio, più che mai necessario a seguito della confusione e dell'apostasia.
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ourvaticancity-blog · 6 years
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Alice nel paese di “Amoris laetitia”
La folgorante critica di una studiosa australiana all’esortazione post-sinodale: “Abbiamo perso ogni punto d’appoggio e siamo caduti come Alice in un universo parallelo, dove nulla è ciò che sembra essere”. di Sandro Magister (07-06-2016) Occhio all’autrice del volume qui sopra, prima edizione critica di un capolavoro di san Basilio il Grande andato perduto nell’originale greco ma giunto a noi grazie a un’antica versione in siriaco attestata in cinque manoscritti, pubblicato due anni fa dalla storica editrice Brill attiva in Olanda dal XVII secolo. L’autrice è Anna M. Silvas ed è studiosa tra le più rinomate al mondo dei Padri della Chiesa, soprattutto orientali. Appartiene alla Chiesa greco-cattolica di Romania e vive in Australia, ad Armidale, nel Nuovo Galles del Sud. Insegna nella University of New England e nella Australian Catholic University. I suoi principali soggetti di studio sono i Padri Cappadoci, Basilio, Gregorio di Nazianzo, Gregorio di Nissa, lo sviluppo del monachesimo, l’ascetismo femminile nella prima cristianità e nel Medioevo. Tiene inoltre corsi sul matrimonio, la famiglia e la sessualità nella tradizione cattolica al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia di Melbourne. Quello che segue è il suo commento all’esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia, pronunciato davanti a un folto pubblico con vescovi e sacerdoti e poi pubblicato sul sito web della parrocchia del beato John Henry Newman a Caulfield North, nei pressi di Melbourne: > Some Concerns about “Amoris Laetitia”. Il testo originale del commento è arricchito con alcune note a piè di pagina e un epilogo con un brano di san Basilio, qui omessi. Ma non una parola di più. Il commento di Anna M. Silvas è tutto da leggere. Brillante, acuto, competente, schietto. Un esempio luminoso di quella “parresìa” che è dovere di ogni battezzato. Alcune preoccupazioni riguardo Amoris laetitia di Anna M. Silvas "In questa conversazione vorrei illustrare alcune delle mie preoccupazioni più pressanti riguardo Amoris laetitia. Queste riflessioni sono raccolte in tre sezioni. La prima parte illustrerà le preoccupazioni di carattere generale; la seconda parte si concentrerà sull’ormai famigerato capitolo ottavo; e la terza parte indicherà alcune implicazioni di Amoris laetitia, per i sacerdoti e il cattolicesimo." Sono consapevole che Amoris laetitia, in quanto esortazione apostolica, non ricade sotto un qualsiasi titolo di infallibilità. Eppure è un documento del magistero pontificio ordinario, e quindi rende piuttosto arduo il proposito di criticarla, soprattutto dottrinalmente. Mi sembra una situazione senza precedenti. Vorrei che ci fosse un grande santo, come san Paolo, sant’Atanasio, san Bernardo o santa Caterina da Siena, che possa avere il coraggio e le credenziali spirituali, cioè la profezia del tipo più vero, per dire la verità al successore di Pietro e richiamarlo a un migliore quadro concettuale. In questa fase l’autorità gerarchica nella Chiesa sembra essere entrata in una strana paralisi. Forse questa è l’ora dei profeti, ma di profeti veri. Dove sono i santi, con “noi”, intelletti, purificati dal lungo contatto con il Dio vivente nella preghiera e nell’ascesi, dotati di parola ispirata, capaci di un tale compito? Dove sono queste persone? Preoccupazioni generali "Scolpite su tavole di pietra dal dito del Dio vivente (Es 31, 8; 32, 15), dicono le dieci “parole” proclamate agli uomini di ogni tempo: “Non commettere adulterio” (Es 20, 14) e: “Non desiderare la moglie del tuo prossimo” (Es 20,17)." Nostro Signore stesso ha dichiarato: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei” (Mc 10, 11). E l’apostolo Paolo ha ribadito l’espressione: “Sarà chiamata adultera se vive con un altro uomo mentre il marito è vivo (Rom 7, 3). Con un silenzio assordante, la parola “adulterio” è del tutto assente dal lessico di Amoris laetitia. Invece vi troviamo qualcosa chiamato “unione irregolare”, o “situazione irregolare”, con “irregolare” tra virgolette, come se l’autore volesse tenersene a distanza. “Se mi amate”, dice il Signore, “osserverete i miei comandamenti” (Gv 14, 15) e il Vangelo e le lettere di Giovanni ripetono questo ammonimento del Signore in vari modi. Ciò non vuol dire che la nostra condotta è giustificata dai nostri sentimenti soggettivi, ma piuttosto che la nostra disposizione soggettiva è verificata nella nostra condotta, vale a dire nell’atto obbedienziale. Purtroppo, quando scorriamo “Amoris laetitia”, troviamo che anche i “comandamenti” sono del tutto assenti dal suo lessico, come lo è anche l’obbedienza. Invece troviamo dei cosiddetti “ideali”, che compaiono più volte in tutto il documento. Un’altro concetto chiave che non trovo nel linguaggio di questo documento è il timor di Dio. Cioè quello stupore di fronte alla realtà sovrana di Dio che è il principio della sapienza, uno dei doni dello Spirito Santo nella cresima. Davvero questo santo timore è da tempo scomparso da una vasta parte del discorso cattolico moderno. Si tratta di un’espressione semitica che sta per “eulabeia” ed “eusebia” in greco e per “pietas” e “religio” in latino, il cuore di una disposizione verso Dio, lo spirito autentico della religione. Un altro registro di linguaggio che manca in Amoris laetitia è quello della salvezza eterna. Non si trovano in questo documento anime immortali che anelano all’eterna salvezza! È vero, troviamo “vita eterna” ed “eternità” nominate nei nn. 166 e 168 come l’apparentemente inevitabile “compimento” del destino di un bambino, ma senza alcun accenno a imperativi di grazia e di lotta, insomma di salvezza eterna, che facciano parte di quel cammino. Dato che la cultura intellettuale intrisa di fede di ciascuno è formata per dare eco alle parole che egli ascolta, la loro assenza produce un fischio nelle mie orecchie. Guardiamo poi quello che troviamo nel documento stesso. Perché un testo tanto prolisso, con tutte le sue 260 pagine, più di tre volte la lunghezza della Familiaris consortio? Questa è sicuramente una grande scortesia pastorale. Eppure papa Francesco vuole che si legga “ogni parte con pazienza e con attenzione” (n. 7). Bene, alcuni di noi hanno dovuto farlo. E gran parte del testo è di tipo noioso e volatile. In generale trovo il discorso di papa Francesco, non solo qui ma ovunque, piatto e unidimensionale. “Superficiale”, potrei definirlo, e anche “semplicistico”: nessun senso di profondità dischiuso da parole sante e vere, che ci invitino a prendere il largo. Una delle caratteristiche meno gradevoli della “Amoris laetitia” sono i molti commenti bruschi e insofferenti di papa Francesco, le puntate polemiche che tanto abbassano il tono del discorso. Si resta molte volte perplessi riguardo alla fondatezza di questi commenti. Per esempio, nella famigerata nota 351, il papa ammonisce i sacerdoti che “il confessionale non dev’essere una sala di tortura”. Una sala di tortura? In un altro passaggio, al n. 36, dice: “Spesso abbiamo presentato il matrimonio in modo tale che il suo fine unitivo, l’invito a crescere nell’amore e l’ideale di aiuto reciproco sono rimasti in ombra per un accento quasi esclusivo posto sul dovere della procreazione”. Chiunque abbia la minima conoscenza dello sviluppo della dottrina sul matrimonio sa che il bene unitivo ha ricevuto una grande rinnovata attenzione almeno a partire da “Gaudium et spes” 49, con un retroterra storico di qualche decennio. Per me, queste caricature impulsive e infondate sono indegne della dignità e serietà che dovrebbe avere una esortazione apostolica. Nei nn. 121-122 abbiamo un esempio perfetto della qualità erratica del discorso di papa Francesco. Dopo una iniziale descrizione del matrimonio come “segno prezioso” e “icona dell’amore di Dio per noi”, nel giro di poche righe questa immagine di Cristo e della sua Chiesa diventa un “tremendo peso’” che viene imposto sui coniugi. Egli ha già usato questo termine, “peso”, al n. 37. Ma chi si è mai aspettata un’immediata perfezione degli sposi? Chi non ha concepito il matrimonio come progetto di tutta una vita, di crescita nel vissuto del sacramento? Il linguaggio di papa Francesco sull’emozione e sulla passione (nn. 125, 242, 143, 145) attinge non dai Padri della Chiesa o dai maestri della vita spirituale nella grande tradizione, ma piuttosto dalla mentalità dei media popolari. La sua semplicistica fusione tra eros e desiderio sessuale nel n. 151 soccombe alla visione laicista e ignora la Deus caritas est di papa Benedetto, immersa in una esposizione meditata del mistero di eros, di agape e della croce. Ci si trova a disagio davanti al linguaggio ambiguo dei nn. 243 e 246, che fa pensare che in qualche modo sia colpa della Chiesa, o sia qualcosa di cui la Chiesa debba chiedere scusa, il fatto che dei suoi membri entrino in un’unione oggettivamente adulterina, e in tal modo si escludano dalla santa comunione. Questa è un’idea guida che pervade l’intero documento. Qualche volta durante la lettura di questo documento ho fatto una pausa e ho pensato: “È da tante pagine che non sento parlare di Cristo”. Troppo spesso siamo sottoposti a lunghe tirate di consigli da zio di campagna che potrebbero essere dati da qualsiasi giornalista laico, senza la fede, del genere che si trova nelle pagine del Reader’s Digest, o in uno di quei supplementi sullo stile di vita abbinati ai giornali del fine settimana. "È vero, alcune delle dottrine della Chiesa sono solidamente sostenute, ad esempio contro le unioni dello stesso sesso (n. 52) e la poligamia (n. 53), l’ideologia del “gender” (n. 56) e l’aborto (n. 84); ci sono conferme della indissolubilità del matrimonio (n. 63) e del suo fine procreativo e un sostegno della Humanae vitae (nn. 68, 83), dei diritti sovrani dei genitori nell’educazione dei propri figli (n. 84), del diritto di ogni bambino a una madre e a un padre (nn. 172, 175), dell’importanza dei padri (nn. 176, 177). Si trova anche qua e là qualche pensiero poetico, come ad esempio sullo “sguardo” contemplativo di amore tra gli sposi (nn. 127-8) o sulla maturazione del buon vino come immagine della maturazione dei coniugi (n. 135)." Ma tutta questa lodevole dottrina è minata, a mio avviso, dalla retorica dell’esortazione nell’insieme, e da quella dell’intero pontificato di papa Francesco. Queste conferme della dottrina cattolica sono benvenute, ma bisogna chiedere: hanno in qualche misura più peso dell’entusiasmo fuggevole ed erratico del titolare attuale della cattedra di san Pietro? Lo dico seriamente. Il mio istinto mi dice che la prossima materia in pericolo di andare all’aria sarà il cosiddetto “matrimonio” tra persone dello stesso sesso. Se è possibile costruire una giustificazione di stati di oggettivo adulterio sulla base del riconoscimento degli “elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più all’insegnamento della Chiesa sul matrimonio” (n. 292), “quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico ed è connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole” (n. 293) ecc., fino a quando si potrà rinviare l’applicazione del medesimo ragionamento alle coppie dello stesso sesso? Sì, i bambini possono essere in questione, come sappiamo molto bene dall’agenda omosessuale. Già l’ex curatore del Catechismo cattolico, [il cardinale Christoph Schönborn], alla cui ermeneutica di Amoris laetitia come “sviluppo della dottrina” papa Francesco ci ha rimandato, sembra essere “in evoluzione” sulla potenziale “bontà” di “unioni” dello stesso sesso. Lettura del capitolo otto E tutto questo prima di arrivare a leggere il capitolo otto. Mi sono chiesto se la straordinaria prolissità dei primi sette capitoli aveva lo scopo di sfinirci prima di arrivare a questo capitolo cruciale, e farci abbassare la guardia. Per me, l’intero tenore del capitolo otto è problematico, non solo il n. 304 e la nota 351. Non appena ho finito di leggerlo ho pensato: è chiaro come il sole che papa Francesco voleva fin dall’inizio qualche forma della proposta Kasper. Ed ecco qui. Kasper ha vinto. Tutto questo spiega i taglienti commenti di papa Francesco alla fine del sinodo del 2015, quando censurò i “farisei” di corte vedute, evidentemente coloro che gli avevano impedito di ottenere un risultato ancora migliore in linea con la sua agenda. “Farisei”? Che improprietà di linguaggio! Quelli erano in un certo senso i modernisti del giudaismo, i padroni di diecimila sfumature e, più pertinentemente, quelli che tenacemente sostenevano la pratica del divorzio e del nuovo matrimonio. I veri analoghi dei farisei in tutta questa vicenda sono Kasper e i suoi alleati. Andiamo avanti. Le parole del n. 295, sulle osservazioni di san Giovanni Paolo II sulla “legge di gradualità” in Familiaris consortio 34, mi sembrano sottilmente sleali e corrompitrici. Perché cercano di cooptare e corrompere Giovanni Paolo proprio a sostegno di un’etica “della situazione” per opporsi alla quale il santo papa spese tutta la sua amorevole intelligenza pastorale ed energia. Sentiamo allora che cosa san Giovanni Paolo dice veramente sulla legge di gradualità: “I coniugi… tuttavia, non possono guardare alla legge solo come ad un puro ideale da raggiungere in futuro, ma debbono considerarla come un comando di Cristo Signore a superare con impegno le difficoltà. Perciò la cosiddetta ‘legge della gradualità’, o cammino graduale, non può identificarsi con la ‘gradualità della legge’, come se ci fossero vari gradi e varie forme di precetto nella legge divina per uomini e situazioni diverse. Tutti i coniugi, secondo il disegno divino, sono chiamati alla santità nel matrimonio”. La nota 329 di Amoris laetitia presenta anch’essa un altro corrompimento furtivo. Cita un passaggio di Gaudium et spes 51, riguardante l’intimità della vita coniugale. Ma tramite un gioco di prestigio nascosto lo mette invece sulla bocca dei divorziati risposati. Tali corrompimenti sicuramente indicano che i rimandi e le note, che in questo documento sono utilizzati come colonne portanti, devono essere adeguatamente verificati. Già nel n. 297 vediamo la responsabilità delle “situazioni irregolari” trasferita al discernimento dei pastori. Passo dopo passo le argomentazioni portano avanti sottilmente un’agenda precisa. Il n. 299 domanda come “diverse forme di esclusione attualmente praticate” possono essere superate, e il n. 301 introduce l’idea di un “colloquio col sacerdote in foro interno”. Non si può già indovinare in che direzione l’argomentazione procede? "Si arriva così al n. 301, che fa a meno delle precauzioni mentre discendiamo nel vortice delle “circostanze attenuanti”. Qui sembra che la “vecchia Chiesa gretta” finalmente è stata sostituita dalla “nuova Chiesa gentile”: nel passato magari pensavamo che coloro che vivono in “situazioni irregolari” senza pentimento fossero in un stato di peccato mortale; ora invece è possibile che non siano affatto in uno stato di peccato mortale, infatti la grazia santificante può essere all’opera in loro." Si spiega poi, in un eccesso di puro soggettivismo, che “un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere i valori insiti nella norma morale”. Ecco una circostanza attenuante che batte tutte le altre circostanze attenuanti. Stando a questa tesi, possiamo allora discolpare l’invidia originaria di Lucifero perché aveva “grande difficoltà nel comprendere” il “valore insito”, per lui, della maestà trascendente di Dio? A questo punto sento che abbiamo perso ogni punto d’appoggio e siamo caduti come Alice in un universo parallelo, dove nulla è ciò che sembra essere. Una serie di citazioni di san Tommaso d’Aquino è introdotta a sostegno, sulla quale io non sono qualificata per commentare, se non per dire che, ovviamente, la verifica e la contestualizzazione sono fortemente indicate. Il n. 304 è un’apologia altamente tecnica della morale casistica, sostenuta in termini esclusivamente filosofici senza nessun accenno a Cristo o alla fede. Non si può non pensare che questo passaggio sia di altra mano. Non è lo stile di Francesco, anche supponendo che sia il suo pensiero. Infine arriviamo al cruciale n. 305. Inizia con due delle scadenti caricature che ricorrono in tutto il documento. La nuova dottrina che papa Francesco aveva messo in vista un po’ prima, adesso egli la ripete e ribadisce: una persona può essere in una situazione oggettiva di peccato mortale – perché è di questo che egli parla – e vivere e crescere ancora nella grazia di Dio, sempre “ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa” che – la famigerata nota 351 dichiara – può includere “in certi casi” sia la confessione che la comunione. Sono sicura che molti già cercano assiduamente di “interpretare” tutto questo secondo una “ermeneutica della continuità”, per mostrare la sua armonia, presumo, con la tradizione. Potrei aggiungere che in questo n. 305 papa Francesco cita se stesso quattro volte. In realtà, sembra che per papa Francesco il punto di riferimento citato più frequentemente in Amoris laetitia sia se stesso, e anche questo è interessante in sé. Nel resto del capitolo papa Francesco cambia rotta. Fa la contorta ammissione che il suo approccio può dare “luogo a confusione” (n. 308). A questo egli risponde con una discussione sulla “misericordia”. All’inizio di n. 7 aveva scritto che “tutti si vedano molto interpellati dal capitolo ottavo”. Sì, ma non proprio intendendo ciò in uno spensierato senso euristico. Papa Francesco ha francamente ammesso in passato che egli è il tipo di persona che ama fare “casino”? Beh, credo che possiamo concedere che qui egli ha certamente raggiunto tale scopo. Mi sia permesso raccontare di un amico piuttosto taciturno e prudente, un uomo sposato, che mi ha detto, prima che l’esortazione apostolica fosse pubblicata: “Oh, come spero che egli possa evitare l’ambiguità”. Ebbene, penso che anche la più pia lettura di Amoris laetitia non consente di dire che egli abbia evitato l’ambiguità. Per dirla con le stesse parole di papa Francesco, “troviamo fenomeni ambigui” (n. 33) in questo documento e, mi permetto di dire, in tutto il suo pontificato. Se siamo stati messi nella situazione impossibile di criticare un documento del magistero ordinario, consideriamo se in Amoris laetitia non sia proprio papa Francesco che relativizza l’autorità del magistero, elidendo il magistero di Giovanni Paolo, specialmente in Familiaris consortio e Veritatis splendor. Sfido chiunque a rileggere con proprietà l’enciclica Veritatis splendor, poniamo i nn. 95-105, e a non concludere che c’è una dissonanza profonda tra quell’enciclica e questa esortazione apostolica. Negli anni della mia giovinezza mi sono arrovellata sopra l’enigma: come si può essere obbediente al disobbediente? Perché anche un papa è chiamato all’obbedienza, anzi, lo è in modo preminente. Implicazioni che vanno al di là di “Amoris laetitia” Le serie difficoltà che prevedo, per i sacerdoti in particolare, sorgono dallo scontrarsi delle interpretazioni sulle scappatoie discretamente piantate in tutta l’Amoris laetitia. Che cosa farà un giovane sacerdote novello che, ben informato, vorrà sostenere che i divorziati risposati non possono in alcun modo essere ammessi alla santa comunione, mentre il suo parroco ha una politica di “accompagnamento”, che al contrario prevede che possono? Che cosa farà un sacerdote con un simile senso di fedeltà, se il suo vescovo e la sua diocesi decidono per una politica più liberale? Che cosa farà una regione di vescovi nei confronti di un’altra regione di vescovi, quando ogni gruppo di vescovi decide come tagliare e dividere le ”sfumature” di questa nuova dottrina, in modo che, nel caso peggiore, ciò che è ritenuto essere peccato mortale su un lato del confine è “accompagnato” via e condonato sull’altro lato del confine? Sappiamo che questo sta già accadendo, ufficialmente, in talune diocesi tedesche, e non ufficialmente in Argentina e anche qui in Australia, da anni, come posso verificare nella mia famiglia. "Tale esito è così sconcertante che potrebbe segnare, come ha suggerito un altro mio amico, anche lui sposato, il crollo della narrazione cristiana cattolica. Ma naturalmente anche altri aspetti del deterioramento ecclesiale e sociale ci hanno portato a questo punto: lo scempio del falso rinnovamento nella Chiesa in questi ultimi decenni; la politica sbalorditivamente stupida della inculturazione applicata a una sradicata cultura occidentale di secolarismo militante; l’inesorabile, progressiva erosione del matrimonio e della famiglia nella società; l’attacco alla Chiesa che è più potente dall’interno che dall’esterno, come papa Benedetto denunciava; la prolungata defezione di alcuni teologi e laici in materia di contraccezione; gli spaventosi scandali sessuali; gli innumerevoli sacrilegi; lo smarrimento dello spirito della liturgia; gli scismi interni “de facto” su tutta una serie di gravi problemi e approcci, sottilmente mascherati con una parvenza di unità “de iure” della Chiesa; i modelli di profonda dissonanza spirituale e morale che ribollono ai giorni nostri sotto il titolo consunto di “cattolici”. E ci meravigliamo che la Chiesa sia in uno stato indebolito e stia scomparendo?" Potremmo anche tracciare i lunghi antecedenti temporali di Amoris laetitia. Siccome sono di un’animo un po’ all’antica, vedo questo documento come il cattivo frutto di certi sviluppi del secondo millennio nella Chiesa occidentale. Ne sottolineo brevemente due in particolare: la forma fortemente razionalista e dualista del tomismo promossa dai gesuiti nel XVI secolo e, in tale contesto, la loro elaborazione della comprensione casistica del peccato mortale nel XVII secolo. L’arte della casistica è stata applicata in una nuova categoria di scienza sacra chiamata “teologia morale”, in cui, mi sembra, la regola di calcolo è sapientemente maneggiata per stimare – tecnicamente, caso per caso – la colpevolezza minima necessaria per evitare l’imputazione di peccato mortale. Che spirituale meta! Che spirituale visione! Oggi la casistica rialza la sua brutta testa nella nuova forma dell’etica della situazione, e Amoris laetitia, francamente, ne è piena, anche se essa è stata esplicitamente condannata da san Giovanni Paolo II nell’enciclica Veritatis splendor! Perorazione Posso esortarvi in ??qualche modo che possa aiutare? San Basilio pronunciò una grande omelia sul testo: “Solo presta attenzione a te stesso e custodisci la tua anima con diligenza” (Dt 4, 9). Dobbiamo prima di tutto prestare cura alle nostre disposizioni. I Padri del deserto hanno diversi racconti in cui un giovane monaco persegue la sua salvezza eterna con l’eroica mitezza della sua obbedienza a un abate con imperfezioni serie. E finisce con l’ottenere anche il pentimento e la salvezza del suo abate. Non dobbiamo lasciarci tentare da reazioni di ostilità verso papa Francesco, o rischiamo di cadere nel gioco del diavolo. Anche questo profondamente imperfetto Santo Padre dobbiamo onorare, e sostenere nella carità, e pregare per lui. Con Dio nulla sarà impossibile. Chissà che Dio non abbia portato Jorge Mario Bergoglio in questa posizione al fine di trovare un numero sufficiente di persone che preghino efficacemente per la salvezza della sua anima? Ho notato che i cardinali Sarah e Pell tacciono. Ci può essere della saggezza in questo, almeno per ora. Nel frattempo, chi ha delle responsabilità nel governo della Chiesa dovrà dare disposizioni pratiche per quanto riguarda le questioni spinose di Amoris laetitia. Prima di tutto, nella nostra mente, non dobbiamo avere alcun dubbio su quale è e sarà sempre il reale insegnamento del Vangelo. Ovviamente, qualsiasi strategia di pressione per un chiarimento ufficiale della futura pratica pastorale deve essere tentata. Sollecito in particolare i vescovi australiani a fare questo. Alcuni potrebbero trovarsi in situazioni molto difficili rispetto ai loro confratelli, quasi esigendo le virtù di un confessore della fede. Sono pronti alla fustigazione, metaforicamente parlando, che li potrebbe colpire? Certo uno potrebbe scegliere la sicurezza illusoria della vacuità convenzionale e della simpatia superficiale, una grande tentazione per ecclesiastici come anche per uomini d’affari. Non lo consiglio. I tempi sono gravi, forse molto più gravi di quanto sospettiamo. Siamo messi alla prova. “Il Signore è qui. Egli ti chiama”. Sulla disposizione eucaristica appropriata per i divorziati-risposati Recentemente ho avuto un po’ di corrispondenza e-mail in cui un amico mi ha sottoposto alcuni punti sulle disposizioni eucaristiche giuste per quelli in “situazioni irregolari”. Nella mia risposta ho espresso il mio pensiero su ciò che credo sia la condotta spiritualmente e sacramentalmente consigliabile per un cattolico che si trova appunto in una “situazione irregolare”. C’è – gli ho detto – un’amabile signora che viene di solito a messa nella nostra cattedrale e si siede vicino all’entrata. Ho avuto una conversazione con lei, e ho appreso che lei si trova in una di queste “situazioni irregolari”, ma è ancora molto diligente nel venire a messa, senza però partecipare alla santa comunione. Lei non si scaglia contro la Chiesa, né dice “È colpa della Chiesa”, o “Com’é ingiusta la Chiesa!”, sentimenti che invece ho sentito da altri che ho garbatamente ammonito. Io trovo il comportamento di questa signora ammirevole nelle circostanze date. La migliore posizione nella preghiera per coloro che sono in queste situazioni e ancora non arrivano alla misura di pentimento richiesto (e così alla confessione) ma non vogliono smettere di guardare verso Dio, è quella di presentare se stessi al Signore nella messa proprio nel loro stato di privazione e di necessità, non correndo avanti per “agguantare” l’eucaristia, ma cercando di aprirsi all’azione della grazia e a un cambiamento delle circostanze, se e quando ciò sia possibile. Il mio pensiero riguardo alla loro situazione è che è meglio che si tengano onestamente, anche se dolorosamente, nella tensione della loro situazione di fronte a Dio, senza sotterfugi. Credo che questa sia il migliore posizionamento per il trionfo della grazia. Chi di noi non può identificarsi con questa situazione diseguale nella lotta spirituale della propria vita, cioè con il combattere duramente con qualche passione apparentemente intrattabile e a malapena trovare la via per uscirne fuori, oppure col trovarsi intrappolato a lungo in qualche peccato prima che la nostra vita morale emerga in un luogo di maggiore libertà? Chi non ricorda la famosa preghiera di Agostino a Dio, alla vigilia della sua conversione definitiva: “Domine, da mihi castitatem, sed noli modo“: O Signore, dammi la castità, ma non subito? Penso che quando queste persone frequentano la messa e si astengono dal prendere la comunione, la loro può essere una grande testimonianza per tutti noi. Sì, è un grido che ci chiama a prendere cura delle nostre disposizioni nel presentarci a partecipare ai santissimi, deificanti Corpo e Sangue del nostro Signore. A proposito di ciò mi viene in mente di riportare un detto dell’attore Richard Harris, un guastafeste di cattolico non osservante per molti anni: “Ho divorziato due volte, ma preferirei morire da cattivo cattolico piuttosto che far cambiare la Chiesa perché si adatti a me”. Trovo più pienezza di verità in questo che in… beh, meglio che non lo dica. FONTE: chiesa.espresso.repubblica.it
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Il teismo ateo dei teologi cattolici
Il teismo ateo dei teologi cattolici
Stefano Fontana non ha paura di affermare che tutti i problemi della Chiesa cattolica vengono dalla filosofia moderna. Purtroppo neppure il magistero pontificio, in particolare quello recentissimo, ne è rimasto immune.
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1985 quando Giovanni Paolo II raccomandava il magistero di san Pio X
1985 quando Giovanni Paolo II raccomandava il magistero di san Pio X
Forse pochi ricordano il vero ed autentico magistero – soprattutto – di alcuni Pontefici, fermandosi troppo spesso alle immagini per esempio, che si ricordano di Giovanni Paolo II con i suoi gesti… ma pochi conoscono il suo magistero, il suo insegnamento, i consigli… E’ il caso della sua visita a Riese, nel ripercorrere il pensiero e l’opera di San Pio X nel 1985. In quell’occasione per il 150°…
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tmnotizie · 7 years
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di Alceo Lucidi
SAN BENEDETTO – A salire sul palco della Palazzina Azzurra, domenica 23 luglio, è stato Don Antonio Mazzi per il decimo appuntamento degli “Incontri con l’autore”. La rassegna che procede a vele spiegate e che prevede quest’anno oltre trenta autori, ha ospitato il prete milanese che, da più di trent’anni, fa parlare di sé con la sua associazione “Exodus”, nata a Milano al Parco Lambro, sparsa orma in tutto il mondo, con alcuni centri in Africa, per il recupero di tossicodipendenze e “devianze” (soprattutto a livello giovanile).
Un’opera benemerita portata avanti da questo sacerdote così poco prete – o un “mezzo prete” come ama definirsi – che non ha mai smesso di sorprendere, contestare, turbare, vincere il conformismo con la parola e, prima ancora, con le opere.
Il confronto con il magistero pastorale di Papa Francesco viene quasi spontaneo e Don Mazzi non ha mancato di rimarcarlo in un libro che segue alcune felici pubblicazioni immediatamente precedenti a carattere eminentemente pedagogico (Le beatitudini del marciapiede, Il Mondo e l’infradito. Come aiutare un figlio dopo averlo rovinato, Educatori senza frontiere. Diari di esperienze erranti, Non mollare. Consigli per affrontare la vita). Trattasi di un glossario delle parole più significative utilizzate da Bergoglio nelle sue omelie a Santa Marta che, come è facile prevedere, non si risolve in una semplice disquisizione teologica od etimologica del pensiero e del verbo del Papa, venuto dalla fine del mondo, che ha cambiato alla radice il modo di intendere l’apostolato pontificio, ma entra più decisamente nel senso immediato, sociale, delle catechesi bergogliane.
Se – per riprendere l’espressione di Don Antonio nella prefazione del libro dal titolo Dio perdona con una carezza – la figura del Papa è stata sempre attorniata da un’aurea di mito inattingibile, di monarca assiso sugli scranni del potere, anche ripensando alla figura della nonna, con Francesco, come per una rivoluzione silenziosa, umile, capace di estrinsecarsi in semplici ma efficaci gesti, tutto si ribalta.
Sappiamo della sua vita dimessa, dell’abbandono delle stanze vaticane per la residenza di Santa Marta, dove alloggiano le delegazioni dei cardinali durante i concistori, del nutrito numero di indigenti e senza fissa dimora che trovano, ogni giorno, ora riparo e conforto in una Chiesa divenuta di colpo più grande, delle omelie gonfie di amore e carità, ispirate al Vangelo, che vanno dritte al cuore dell’ascoltatore. Ed è proprio la veste del parroco che sta tra la gente, che parla all’agorà, che non manca di sferzare i facili accomodamenti delle sfere gerarchiche cattoliche, spesso ripiegate su stessi e lontane dai bisogno del popolo dei fedeli e della complessità del mondo attuale che hanno colpito il “prete contro”, di periferia, Don Mazzi. Lo dice lui stesso che da quel 13 dicembre dello scorso, quando fu chiamato ad assistere ad una messa del Papa a Santa Marta, la sua vita è, insensibilmente ma inesorabilmente, cambiata.
Nel lessico “bergogliano” sono almeno due i termini ad emergere con forza (grazie anche all’ottima presentazione del testo di Mazzi da parte del prof. Fernando Palestini che ha avuto il compito di avviare e stimolare il dibattito): Perdono e Misericordia.
Se il Perdono dovrebbe essere connaturato al cristiano in nome di quel Dio divenuto uomo, sottoposto all’umiliazione e alla sconfitta, al centro della propria fede, altrettanto decisiva è la sfida della Misericordia (tanto da spingere Bergoglio ad indire alla fine del 2015 un anno giubilare speciale). Don Antonio la chiama “mitezza”, intesa come struggimento per il diverso, ascolto dell’altro da sé, ricerca del “lontano”, dello “straniero” (Efesini, 2,12).
L’empatia che Don Mazzi ha creato con il pubblico della Palazzina, scendendo tra la gente, guardando in viso le persone che ha incontrato, salutando con calore, ci ha ricordato l’esempio di un altro grande sacerdote, padre David Maria Turoldo, che trascorse l’ultimo fase della sua vita nel monastero di S. Egidio a Fontanella Sotto il Monte, nei luoghi dell’infanzia di Giovanni XXIII, parlando a tutti (gente comune e personaggi pubblici) e diventando l’ascoltato profeta di una società incredula e distratta. A giudicare da quanto Don Antonio, con franchezza e generosità, ci ha raccontato, delle tante storie di persone sole ed infelici che ha strappato ad un destino di violenza, del cammino, difficile ma entusiasmante, fatto con i suoi “ragazzi”, di cui è padre e pedagogo, sembra proprio che la lezione dell’ottantasettenne prete milanese abbia fruttificato.
La settimana entrante del programma degli Incontri con l’autore ha in serbo molte soprese. Gianluigi Paragone, giornalista ex-Rai e, ormai ex-La 7, presenterà il suo primo libro dal titolo Gang Bank lunedì 24. A seguire, martedì 25, Maurizio De Giovanni (Rondini d’inverno), mercoledì 26 Paolo Condò (I duellanti), Paolo Di Mizio (Teneri lupi) giovedì 27 e Barbara Garlaschelli (Non volevo morire vergine) venerdì 28. Tutte le serate si terranno alla Palazzina Azzurra ad ingresso gratuito.
Foto tratta da Google
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tertiomillennio · 12 years
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Magistero Pontificio
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Condanna del relativismo culturale
  […]A questo fine è diretta quella pessima, né mai abbastanza esecrata ed aborrita "libertà della stampa" nel divulgare scritti di qualunque genere; libertà che taluni osano invocare e promuovere con tanto clamore. Inorridiamo, Venerabili Fratelli, nell’osservare quale stravaganza di dottrine ci opprime o, piuttosto, quale portentosa mostruosità di errori si spargono e disseminano per ogni dove con quella sterminata moltitudine di libri, di opuscoli e di scritti, piccoli certamente di mole, ma grandissimi per malizia, dai quali vediamo con le lacrime agli occhi uscire la maledizione ad inondare tutta la faccia della terra. Eppure (ahi, doloroso riflesso!) vi sono taluni che giungono alla sfrontatezza di asserire con insultante protervia che questo inondamento di errori è più che abbondantemente compensato da qualche opera che in mezzo a tanta tempesta di pravità si mette in luce per difesa della Religione e della verità. Nefanda cosa è certamente, e da ogni legge riprovata, compiere a bella posta un male certo e più grave, perché vi è lusinga di poterne trarre qualche bene. Ma potrà mai dirsi da chi sia sano di mente che si debba liberamente ed in pubblico spargere, vendere, trasportare, anzi tracannare ancora il veleno, perché esiste un certo rimedio, usando il quale avviene che qualcuno scampa alla morte?[…]
S.S. GREGORIO XVI (1831-1846), Enciclica Mirari Vos, del 15 agosto 1832 
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Pio XI, un papa contro i totalitarismi
Pio XI, un papa contro i totalitarismi
Il 6 febbraio di cent’anni fa, Achille Ratti veniva eletto Papa, assumendo il nome di Pio XI. Nei suoi 17 anni sulla Cattedra di Pietro scrisse encicliche contro comunismo, fascismo e nazismo. Istituì la festa di Cristo Re. E diede grande impulso alla musica sacra, proseguendo l’opera dei suoi predecessori. (more…)
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