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#immagine invertita
enos43 · 1 year
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Lo spirito di osservazione
Lo spirito di osservazione é tratto da Project Management per tutti, il terzo libro della trilogia del management, che fa seguito a NOS Management e Project Management per esordienti e curiosi. Project Management per tutti nasce grazie all’intuizione di alcuni amici che, a seguito della lettura di Project Management per esordienti e curiosi, mi pregarono di scrivere un libro sul project…
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crazy-so-na-sega · 2 months
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riflessioni
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LUI: Guarda nello specchietto: AZNALUBMA è AMBULANZA al contrario!
LEI: Te ne accorgi solo adesso?
LUI: Ammetto di non averci mai badato. Immagino sia scritto al contrario proprio per facilitarne la lettura nel retrovisore.
LEI: certo, non c'è altra ragione.
LUI: però è curioso, non trovi?
LEI: che cosa?
LUI: che la scritta sia invertita sull'asse orizzontale ma non su quello verticale.
LEI: e perché mai dovrebbe essere altrimenti?
LUI: non so. Però mi chiedo perché gli specchi invertano la destra e la sinistra ma non l'alto e il basso. Guarda, prendo questo libro sulla musica pop e te lo mostro allo specchietto. Perché mai l'immagine della parte superiore dell'immagine del titolo è la parte superiore dell'immagine del titolo, ma l'immagine della parte sinistra del titolo non è la parte sinistra dell'immagine del titolo? Osserva la scritta "pop". Nello specchio leggiamo "qoq". Ma perché non leggiamo invece "bob"?
LEI: attento, frena! Anzi, lascia in pace il retrovisore e guarda quella pozzanghera. Osserva l'insegna luminosa di quel negozio di dischi. Non vedi che cosa succede quando la parola "pop" si riflette nella pozzanghera? Io leggo proprio "bob". Questa volta la "p" diventa una "b" non una "q": l'inversione avviene nella direzione verticale, non in quella orizzontale. Vorresti forse dire che mentre gli specchi riflettono destra e sinistra ma non alto e basso, le pozzanghere riflettono alto e basso ma non destra e sinistra? Come spiegheresti la differenza, visto che una pozzanghera non è altro che uno specchio coricato?
LUI: aspetta un attimo. In realtà nulla ci vieta di vedere la "p" invertita sull'asse destra sinistra anche nella pozzanghera. Basta...basta mettersi a testa in giù. Ecco, guarda, se mi metto a testa in giù la "p" sembra di nuovo una "q" e leggo "qoq" anche nella pozzanghera.
LEI: Fai attenzione alla strada, altro che mettersi a testa in giù! Comunque, se ti metti a testa in giù per guardare nella pozzanghera, perché non lo fai quando guardi nello specchietto retrovisore? Allora la "p" del tuo libro diventa una "b", non una "q", e leggi "bob". Se ti metti a testa in giù, lo specchio retrovisore non inverte affatto destra e sinistra ma solo alto e basso.
LUI: Questo ragionamento non mi convince. Se ti ho proposto di mettermi a testa in giù nella pozzanghera è perché volevo assumere il punto di vista degli abitanti della pozzanghera, che per l'appunto vivono a testa in giù rispetto a noi.
LEI: Ma allora perché non fai la stessa cosa con il retrovisore? Perché non immagini di essere uno dei suoi abitanti? Dato che vivono con destra e sinistra scambiate, secondo quanto dici, quella che per te nello specchio è una "q" per loro è una "p". Quindi il problema scompare. E' proprio per questo, mi concederai, che gli abitanti dello specchio riescono a leggere AMBULANZA come noi. Se li osservi bene, quando leggono muovono il capo da destra a sinistra (anche se immagino che avranno delle difficoltà ad usare i loro retrovisori).
FICCANASO: (Compare nello specchietto, dopo aver segnalato fastidiosamente con gli abbaglianti) Attenzione: state sbagliando tutto, nel retrovisore l'unica inversione si produce nella direzione avanti/indietro.
LUI e LEI: Prego?
FICCANASO: Se indico verso l'alto, mi vedete farlo anche nello specchio. Se metto la freccia a sinistra, nel retrovisore mi vedete lampeggiare sulla vostra sinistra. Non c'è inversione in nessuno dei due casi. Se però comincio a sorpassarvi, allora si che le cose cambiano: la mia immagine viene verso di voi nella direzione opposta rispetto al mio effettivo senso di marcia. L'unica inversione è avanti/indietro.
LEI: Ma no: lei sta parlando di alto/basso, destra/sinistra, avanti/indietro in un senso diverso, legato allo spazio esterno. Lei sta parlando di direzioni assolute. Noi parlavamo delle direzioni soggettive.
FICCANASO: E' proprio questo il punto. Quando si dice che gli specchi invertono destra e sinistra ma non alto e basso si sta parlando di inversioni molto differenti.
LUI: E che cosa si dovrebbe dire?
FICCANASO: Bisognerebbe dire che gli specchi invertono sempre una direzione assoluta, quella perpendicolare alla superficie dello specchio: pensate ancora alla pozzanghera.
LUI: Allora quando ci guardiamo allo specchio l'inversione corporea che osserviamo sarebbe un'illusione?
FICCANASO: Dipende da come ci disponiamo rispetto alla direzione avanti/indietro. Se stiamo di fronte allo specchio, allora diremo che sono invertite la destra e la sinistra del corpo (e per estensione tutti gli oggetti, come le lettere dell'alfabeto, che per essere usati richiedono che il nostro corpo assuma una certa direzione: quindi "pop" diventa "qoq"). Se invece ci allineiamo alla direzione avanti/indietro, allora è come se ci mettessimo a testa in giù: saranno alto e basso corporei ad essere invertiti, e "pop" diventerà "bob".
LUI e LEI: E se ci mettessimo di profilo?
FICCANASO: Bisogna fare attenzione a come formulare la domanda. E adesso, scusate, devo assolutamente uscire dal vostro specchietto...Grazie...aznalubma'l erassap raf oveD.
R.Casati A.C.Varzi (Semplicità insormontabili) 39 storie filosofiche -racconto ispirato da Ned Block
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gaetaniu · 9 months
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Alvei Fluviali invertiti nella regione di Aeolis
Le creste sinuose di questa immagine presentano forti caratteristiche di antichi alvei fluviali a meandri, conservati come topografia invertita (vedi in blu nella seconda immagine). Gli antichi sedimenti fluviali che costituiscono le dorsali potrebbero aver permesso ai fluidi di produrre cementi (ad esempio, calcite o ossidi di ferro) per rendere la litologia del canale resistente agli agenti…
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corallorosso · 4 years
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Chi difende Willy? Se a uccidere un bianco fossero stati 4 neri sarebbe scoppiato il finimondo Di Giulio Cavalli Eppure ci sono dentro tutti gli elementi della propaganda salviniana: c’è una zona che, a detta degli stessi abitanti che la abitano, è completamente sfuggita al controllo delle forze dell’ordine, una zona di quartiere e spaccio, una zona dove spesso accadono atti di violenza. Una zona franca, direbbe Matteo Salvini, che è sempre pronto a prendere parola quando accadono cose di questo tipo. Ci sono persone dedite allo spaccio, alla violenza, che fieramente si mostrano in tutta la loro prepotenza sui loro canali social. I due fratelli Marco e Gabriele Bianchi vengono raccontati come ragazzi che sfociavano spesso nell’uso delle mani, forti della loro preparazione sportiva e di un pensiero in cui la forza diventa una virtù da esibire con cura. Cè tutta la vigliaccheria di chi se la prende con un ragazzo di 21 anni, Willy Monteiro Duarte, che ha avuto la sfortunata idea di provare a difendere un amico, la sua colpa sarebbe tutta qui, ha avuto l’ardire di sedare una rissa che invece era un fiume di violenza inarrestabile e che si sarebbe sfamato solo con la morte. L’hanno ucciso a calci e pugni, a mani nude, come un in brutto video di quelli che circolano in rete. E Willy era un ragazzo come tanti, con il sogno di giocare nella Roma di cui era tifosissimo e con la passione della cucina. Giovani, italiani, spacciatori, picchiatori, pregiudicati. Sono il prototipo dei nemici di Matteo Salvini, solo che quelli contro cui sbraita Salvini ogni volta devono essere neri e invece questi, per sua sfortuna, sono bianchi. Ora immaginate questa notizia invertita: immaginate gli editoriali, immaginate i politici sbraitare, immaginate l’emergenza sicurezza scritta su qualche prima pagina, immaginate le pelose descrizioni di quello che rischiamo, immaginate il leader leghista accusare il governo, le istituzioni, magari organizzare una bella fiaccolata. E invece sulla tragedia di Willy non si dice niente, non esce niente. Il caso di Colleferro contiene tutti gli ingredienti per raccontare che la violenza non ha un’etnia, non ha un colore e non ha una fede religiosa e notare la differenza di trattamento che questa notizia ha rispetto alle altre simili è una cosa che fa rivoltare lo stomaco. Invocano sicurezza tutti i giorni, ma hanno bisogno che i protagonisti corrispondano ai loro pregiudizi. Altrimenti non se ne fa niente, questa morte non è usabile, è da scartare, da cacciare via.
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camminidiliberta · 3 years
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Teologia e neuroscienze. Due discipline, alcuni punti di contatto
Pur senza pretesa di esaustività, di seguito verranno illustrati i principali argomenti di interesse comune tra teologia e neuroscienze. Verrà approfondito solo l’argomento relativo al Sé, all’identità soggettiva, in quanto è quello che coinvolge i temi fondamentali della concezione teologica dell’essere umano. In altre parole, il discorso sull’identità tocca il nucleo del dialogo interdisciplinare. Altri temi verranno qui solo accennati.
Ad ogni modo, il primo, in termini temporali, punto di contatto tra spiritualità e neuroscienze è costituito dall’investigazione neuroscientifica dell’esperienza interiore: la vita contemplativa e le neuroscienze hanno qualcosa in comune? L’esperienza spirituale sfugge ad ogni indagine materiale o, al contrario, non è che il risultato di processi fisici? In ambito buddista sono stati effettuati vari studi sull’attività cerebrale di persone che praticano la meditazione. Il neurologo Francisco Varela iniziò ad occuparsi del fenomeno nel 1987, fondando il Mind and Life Institute. Grazie alla neuroplasticità in cervello può essere modificato, evolvendo in funzione delle esperienze di vita. Matthieu Ricard sottolinea come siano state svolte ricerche (“Long-term mediators self-induce hig-amplitude gamma synchrony during mental practice”, in Proceedings of the national academy of science, Vol. 101, n. 46, 2004), su uomini e donne, orientali e occidentali, con dalle 10.000 alle 60.000 ore di pratica meditativa, misurandone gli effetti sul cervello e sui connessi aspetti psicologici; inoltre fa notare come bastino 30 giorni di meditazione quotidiana per vedere apparire una modifica delle funzioni neurali correlate alla coscienza (Courau Thierry-Marie et al. “L’essere umano al vaglio delle neuroscienze”, in Concilium: Rivista internazionale di teologia, 4, 2015, p 28). Ricerche di questo tipo possono servire per analizzare il potenziale di trasformazione umano; si tratta di studi replicabili sulla preghiera, sulla contemplazione e su altre pratiche pastorali e liturgiche, per valutare gli effetti a lungo termine delle stesse sulla mente e sul cervello delle persone cristiane praticanti.
Un secondo punto di contatto rilevante è costituito dall’indagine sul rapporto tra cervello e morale. Sul tema sono stati scritti testi importanti, come The Ethical Brain di Michael Gazzaniga, tuttavia il dibattito è stato alimentato da un articolo seminale di Green e colleghi (“An fMRI investigation of emotional engagement in moral judgment”, in Science 2001) in cui si è cercato di misurare il coinvolgimento, nel giudizio morale, delle aree cerebrali associate agli aspetti emotivi. Il pregio dell’articolo è stato il servirsi di dilemmi: porre i soggetti sperimentali di fronte a scelte moralmente difficili, misurandone l’attività cerebrale. In particolare si è confrontata l’attivazione delle aree emotive nelle scelte morali che coinvolgessero l’azione personale dei partecipanti. Allo scopo si sono proposte due tipi di scelte, che possono essere categorizzate come il dilemma del treno e il dilemma del cavalcavia. Nel primo caso si domandava ai soggetti sperimentali se, nel caso un treno fuori controllo stesse arrivando ad uno scambio, e tirando una leva si potesse indirizzare il convoglio verso una direzione dove avrebbe ucciso una persona, mentre se non si fosse tirata la leva il convoglio ne avrebbe uccise cinque, fosse moralmente legittimo tirare la leva, sacrificando così quella persona. Nel secondo dilemma invece, l’unico modo per evitare che il treno uccida le cinque persone, sarebbe spingere una persona giù da un cavalcavia, così uccidendola, in modo che il suo corpo frenasse il convoglio. In entrambi i casi si baratta la vita di un individuo per quella di cinque. Tuttavia nel primo caso la maggior parte dei soggetti ha sostenuto che sia moralmente giusto tirare la leva, causando il numero di morti minore; nel secondo caso, un maggior numero di persone ha affermato che non sia giusto spingere una persona sui binari. Pur a fronte di un identico numero di deceduti, la reazione umana è diversa. Questa ricerca ha evidenziato un maggior coinvolgimento emotivo, dei tempi di elaborazione della risposta più lunghi e una minore probabilità di intervenire, nel caso del dilemma del cavalcavia. Di fatto l’importanza della ricerca è consistita nell’allargare lo studio della morale dalla sola filosofia alle scienze biologiche. I nuovi strumenti di ricerca neuroscientifica consentono di studiare il rapporto tra religiosità e giudizio morale: attraverso ricerche a carattere longitudinale, ossia ripetute nel tempo, è possibile valutare come cambino gli atteggiamenti morali, e come l’esperienza e l’educazione, ivi comprese quelle di matrice religiosa, possano incidere sulla formazione di valori e sulle scelte morali.
Vi è poi il tema dell’identità sessuale, a livello cerebrale e corporeo. La ricerca cerebrale sul genere e sulla sessualità restituisce un dato biologico complesso, evidenziando una grande ampiezza dei poli idealizzati di femminile e maschile. La teologia farebbe bene a prendere atto delle concezioni antropologiche che emergono dalle scienze della vita, per non ricadere nei propri pregiudizi, e riproporre schemi di epoche passate.
Un ulteriore punto di contatto è il tema della malattia e della salute, nonché la relazione tra salute, anche mentale, e salvezza. Il tema del benessere è infatti rilevante a livello spirituale, testimonianza ne è l’attenzione alla salute posta da numerosi movimenti di tipo New Age, dove si può quasi parlare di culto della salute. Si tratta di un argomento allo stato attuale ancora molto poco studiato.
Infine, vi è il tema antropologico di fondo del confronto tra teologia e neuroscienze, che trova la sua radice nei termini di homo capax Dei. Il problema alla base è se il nostro cervello inventi Dio, o percepisca Dio. Questione posta da Alexander e Andrew Fingelkurts (“Is our brain hardwired to produce God, or is our brain hardwired to perceive God? A systematic review on the role of the brain in mediating religious experience”, in Cognitive Processing, 10, 2009): dopo aver esaminato sistematicamente i numerosi argomenti a favore dell’una e dell’altra prospettiva, gli autori concludono diplomaticamente che non ci sia alcuna evidenza conclusiva sulla natura dell’esperienza religiosa, che pertanto entrambe le prospettive siano valide. Tuttavia va aggiunto che l’aut-aut con cui viene proposto il tema, invenzione contro percezione, riflette il più ampio dualismo con cui si affronta la questione religiosa, ossia da un punto di vista teologico e fideistico, o da uno scientifico e materialistico. Invece la questione va lasciata aperta, superando la dicotomia con uno sguardo integrale sull’essere umano, come organismo capace di coscienza, credenze ed esperienze religiose. Affrontare l’argomento in modo unilaterale è, infatti, comunque parziale. L’esperienza religiosa è un fenomeno universale, presente in tutte le culture e durante le varie fasi della vita, si riflette nell’attività neurale, non dipende da singole regioni del cervello, anche se può essere indotto con stimolazioni cerebrali specifiche, mostra una base ereditaria, ed è modulato da aspetti culturali e sociali. Per essere studiato in maniera completa occorre la collaborazione di discipline diverse.
Al contrario, le concezioni dualistiche, propugnando opposizione tra anima e corpo, sono foriere di vere e proprie barricate disciplinari. Da parte della comunità teologica, ci può essere il timore che il cervello umano venga individuato come “l’inventore delle idee di Dio e di anima” finendo così per stravolgere l’antropologia cristiana. Il teologo Eduardo Cruz, ribadisce come le fondamenta dell’antropologia cristiana poggino sul concetto di imago Dei, intesa come anima, immortale e incorporea; in caso contrario, ovvero se il cervello si inventasse Dio, “la dottrina dell’Imago Dei … sarebbe così ridotta a un insieme di proposizioni devozionali, elementi fittizi che tentano di dare una qualche dignità all’essere umano. L’equazione è come invertita, per cui risulta una imago hominis proiettata nella figura di un essere fantastico.” (in Courau, 2015, p 127). Cruz paventa la risoluzione del discorso teologico in un discorso sull’essere umano, ovvero nell’immaginazione. Da un punto di vista umanistico e razionale, la componente divina e sovrannaturale viene reinterpretata come il prodotto della mente umana, e questo porta alla banalizzazione. Invece, affinché le discipline dialoghino, è importante ricordare che sono possibili modi diversi di fare esperienza del mondo, di dare senso ad una realtà che non è immediatamente sensibile. Ciò non toglie che il programma dell’incontro interdisciplinare tra teologia e neuroscienze implichi la naturalizzazione del fenomeno da studiare. Porre il fondamento dell’antropologia in un’imago Dei che si manifesta oltre la vita corporea, significa trincerare il proprio oggetto di studio in modo che non sia raggiungibile, precludendone l’analisi tanto alle discipline culturali che alle scienze naturali e sociali.
La mancanza di attenzione agli aspetti corporei, situati in contesti di vita, sociali, culturali, linguistici, di genere, lungo la storia umana, è stato un difetto della teologia occidentale. Essa ha basato la propria idea di essere umano su di una concezione dell’imago Dei, ossia di essere creato a immagine di Dio quanto all’anima e allo spirito, tralasciando l’aspetto materiale, in quanto il libro di Genesi (2,7) racconta che l’essere umano divenne vivente quando Dio trasmise il soffio di vita, ed è pertanto una imago Dei in spiritu. Questo tipo di posizione è un punto di partenza che rende difficile il dialogo tra neuroscienze e teologia. Si possono comunque trovare posizioni alternative, all’interno della stessa riflessione teologica cristiana.
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camomillasensibile · 3 years
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Non tutto capita per caso, non tutte le cose "brutte" insegnano solo cose brutte... io dalla mia esperienza ho imparato a vivere giorno dopo giorno, senza rimandare ciò che posso fare oggi, che posso dire oggi... le parole tempo, futuro, progetti... mi hanno spaventato in passato e continuano a farlo...solo che ora accanto allo spavento ci sta anche un senso di gioia e semplicemente accettazione del fatto che la vita è oggi e domani chissà... Sarà che la parola tempo in latino (tempus) significa anche taglio, facendomi pensare qualcosa di doloroso o che in greco τεµνω significa separo... e questo mi fa pensare che il tempo non per forza unisce ma anzi se ne passa tanto forse separa...come avviene nella vita...
E vogliamo parlare della parola futuro che è etimologicamente e strettamente legato al verbo essere (latino)...
Alcune popolazioni sudamericane, spazialmente, hanno un'idea invertita di passato e futuro: per loro il passato sta avanti, perché è noto, si vede; il misterioso futuro arriva alle spalle. E forse non sarebbe una cattiva immagine da adottare: lavora meglio il carpentiere ben presente sui mattoni posati, di quello che rimastica il progetto ultimo, assorto. Invertirebbe anche lo sguardo della discendenza: non sarebbe il padre che guarda il figlio, ma viceversa. Realizzerebbe il vecchio detto della Terra che non è eredità dei genitori, ma prestito dei figli. E specie in un momento di grave incertezza sul futuro, come questo, può essere una prospettiva che rende equilibrio nell'imprimere ciò che potrà o dovrà essere.
È diventata (nel caso prima non lo fosse) una parola necessaria e piena di promesse, ma anche di preoccupazioni e di incertezza, soprattutto per chi ha perduto casa o lavoro o affetti o luoghi. Sarà complicato imparare a fare i conti con il futuro e con il passato, perché i confronti saranno difficili tra due tempi che rischiano di essere molto diversi, come prima e dopo una guerra.
Mentre la parola presente,  come significato ha anche quello di Dono... e cos'è se non un dono ESSERCI OGGI ED ESSERE QUI... perciò IO SONO QUI...
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ligaora · 5 years
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#Repost @attaccapanni.press (@get_repost) ・・・ Ed eccovi svelata la copertina di @lrnzlrnzlrnzlrnzlrnzlrnzlrnzlr per SYNTH/org! Dietro questa bellissima immagine c'è una sua ricerca profonda e un complesso concetto con cui lui interpreta il tema di SYNTH/org.⠀ Sullo sfondo sacrale della Chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane (dell'insuperato Borromini, a Roma) si eleva in una rappresentazione invertita di una tutt'altro che Candida Rosa del Paradiso, la Singolarità tecnologica incarnata in un Robot dal processore infinitamente potente e connesso. ⠀ ⠀ Per supportare il progetto, seguite il link in bio da @attaccapanni.press !#synthorg #attaccapanni #attaccapannipress #lrnz #indie #comics #indiecomics #comicsanthology #fumetti #fumettiitaliani #robot #robots ⠀ https://www.instagram.com/p/By8b9ZGiF94/?igshid=mhezgkzgdr9r
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Nuovo post su http://www.fondazioneterradotranto.it/2018/04/14/procul-omne-venenum-facebook-si-fa-per-dire-chiama-fondazione-terra-dotranto-risponde-si-fa-per-dire/
PROCUL OMNE VENENUM. Facebook (si fa per dire ...) chiama, Fondazione Terra d'Otranto risponde (si fa per dire ...)
di Marcello Gaballo e Armando Polito
Sgombriamo preliminarmente il campo da qualsiasi equivoco in cui il titolo, lì per lì, potrebbe far incorrere. Mark Zuckerberg non si è messo in contatto con questo blog per porgere anche ad esso le sue scuse per qualche trafugamento di suoi dati, come ha fatto da poco col Congresso americano, i cui cervelli (come quelli di qualsiasi altro organo governativo di rappresentanza avrebbero dovuto da tempo quanto meno sospettare l’inconveniente. Invece,come al solito, si tenterà di chiudere, magari maldestramente, la strada dopo che le vacche sono fuggite e sono state messe e vendute sul mercato …
Eppure, senza Facebook, quanto stiamo scrivendo non avrebbe avuto occasione o ragione di esistere, perché esso nasce da una semplice richiesta di aiuto che Mario Cazzato ha rivolto in un commento ad un suo recentissimo post apparso, sul suo profilo facebookiano, l’11 aprile u. s.
Tutto ciò spiega il primo si fa per dire … del titolo; per quanto riguarda il secondo, esso si riferisce ai magri risultati del nostro tentativo di risolvere il quesito che poneva e che può condensarsi nella lettura dell’immagine che segue.
Il lettore che abbia interesse troverà notizie sul contesto nel post prima ricordato.
Cominciamo dalla parte testuale.
Nel cartiglio superiore si legge  PROCUL OMNE VENENUM, la cui traduzione è Lontano (da noi) ogni veleno. Si direbbe il motto riportato a caratteri maiuscoli sulla lista accartocciata che sovrasta lo stemma nobiliare, che araldicamente è ineccepibile e completo nelle sue diverse parti: lo scudo a testa di cavallo, sulla cui immagine interna torneremo tra poco, l’elmo, il cimiero (in questo caso una testa di cavallo o di liocorno) e gli svolazzi. Il tutto egregiamente intagliato ed evidente realizzazione di esperte maestranze. L’unica perplessità è suscitata dalla collocazione del motto che generalmente si tende a posizionare in basso rispetto allo scudo.
Le indagini fatte, anche per il poco tempo ad esse dedicato, non hanno consentito di sapere a quale famiglia il motto appartenesse, ma solo di ricostruire, in qualche modo, la sua origine. I testi citati di seguito sono stati trascritti fedelmente, errori di stampa (o meno …) compresi. Sulla famiglia alla quale sarebbe da ascrivere lo stemma torneremo alla fine.
In Advento del P. Maurilio di S. Britio, Vigone, Milano, 1665 a p. 92 inizia una predica sulla concezione di Maria Vergine dal titolo Monte Olimpo o l’altezza di Maria sopra tutte le Creature. Al suo interno (p. 1069 si legge: “Che nella cima dell’Olimpo non vi siino animali nocivi, alcuni, (non sò se vera, ò favolosamente) l’affermano; ma dell’Olimpo della Vergine posso ben dire procul omne venenum, mercè che Iddio nell’sstante della sua Concettione gli diede in dote Caelum, una cum Paradiso, come attesta Epiffanio.”.
Il concetto e la locuzione sono ribaditi in Teatro morale di Giovanni Battista Bovio da Novara, Bernabò e Lazzarini, Roma, Roma, 1749, p. 20: “Egli è volgato quel detto dell’Olimpo, qual’è situato tra la Macedonia, e la Tessaglia, Nubes excedit Olimpus. Fu effigiato con altri monti più bassi, che gli formano intorno umile, ed ossequiosa corona, col motto Ultra omnes, affinchè s’intendesse, che non ha superiore, ne pari. Nella cima di lui non vi sono animali nocivi,onde porta nel capo il motto: Procul omne venenum.”
La locuzione stessa, però, appare come la riduzione di una più estesa e che costituisce il motto della marca tipografica di Girolamo Cartolari attivo a Roma dal 1543 al 1559. Ecco come appare (invertita) in una pubblicazione del 1546.
Intorno ad un liocorno impennato; con in alto sole, luna e stelle e sullo sfondo un paesaggio, si legge, procedendo per ogni sIngola parola da destra verso sinistra:
SINT PROCUL OBSCURAE TENEBRAE ET PROCUL OMNE VENENUM (Siano lontano le oscure tenebre e lontano ogni veleno). Difficile dire se ci sia un collegamento tra questa iscrizione e il liocorno da una parte e, dall’altra, la sua presenza parziale e quello che si direbbe una viverna, cioè un drago con due zampe d’aquila, ali e, all’estremità della coda di serpente, un pungiglione in grado di iniettare, secondo la leggenda, un veleno mortale o, nel migliore dei casi, paralizzante. Se è così, all’immagine andrebbe attribuita una valenza apotropaica o scaramantica, anche se il motto ben si sarebbe adattato pure se il mostro fosse stato un generico drago, simbolo di vigilanza e protezione.
Chiudiamo con la trascrizione e traduzione dell’epigrafe sottostante.
LUCIAE BONATAE FOROIULIENSIS/ALOISII FIDELIS E MEDIOLANENSI NOBILITATE/OLIM CONIUGIS SACELLUM HOC AERE EX/CITATUM ET S(ANCTO) IO(ANNI) BAPTISTAE DICATUM/DIRUTUMQUE POSTEA AB EADEM FIDELI FAMI/LIA RESTITUTUM COENOBITARUMQUE DILI/GENTIA EXORNATUM UT PIO POSITUM/EST ANIMO ITA GRATO ADVERSUS VIRTUTE MULIEREM INSTAURATUM EST
Questa cappella di Lucia Bonati friulana1, già moglie di Luigi Fedele2, di milanese nobiltà, danneggiata da eventi atmosferici e dedicata a S. Giovanni Battista e andata in rovina, dalla medesima famiglia Fedele poi ricostruita e decorata  a cura dei cenobiti, come fu con pio animo costruita così  con (animo) grato nei confronti di una donna di virtù fu dedicata.
Sulla famiglia Bonati abbiamo trovato quanto segue. Esso è poco, ma ne confermerebbe, almeno l’origine lombarda.
Giovanni Battista Pacichelli in Il regno di Napoli in prospettiva, Parrino e Mutio, Napoli, 1703, p. 254 registra i Bonati fra le famiglie nobili di Milano, a p. 262 tra quelle di Orvieto
‘Vincenzo Lancetti in Biografia cremonese, Tipografia di Commercio al boschetto al commercio, Milano, 1820,, v. II, pp. 391-392, scrive:
“BONATI Traco, ed Albino, chiari nella storia di Crema del duodecimo secolo. Nell’assedio che Federico I pose a quel castello l’anno 1559, avvenne che i Cremaschi, presa di mira co’ loro mangani, un’alta macchina che secondo l’uso di quei tempi aveva fatto costruire per approcciare il castello, e non sapendo l’Imperatore come far cessare la tempesta di que’ massi, ordinò che parecchi prigionieri Cremaschi venissero alla macchina legati, acciò il timor di uccidere i loro parenti rallentasse la furia degli assediati. Ma in essi la carità della patria ad ogni altri riguardo prevalse, così che ove de’ loro rimasero uccisi, tra i quali fu il povero Tacco. Ridotte però le cose all’estremo, e convenendo trattare una capitolazione, la quale venne stipulata il giorno 25 di gennaio dell’anno 1160, ALBINO de’BONATI fu uno de’ due Comaschi, che il Consiglio elesse a parlamentare. Così il Fino nel primo libro della sua Storia,  i quale anche nell’atto di investitura della sovranità accordata al Benzoni nel 1403 offre un ZANINUS DE BONADIE Ttra gli accettanti. Egli è quindi probabile che da questa famiglia Cremasca sia discesa la linea tuttor fiorente de’ BONATI di Cremona; de’ quali (per non parlar dei viventi) nessun altro so ricordare che il prete ANTONIO morto nel 1718, di cui dà notizia l’iscrizione che Vaivani riporta al n. 438.”.
Ci rendiamo perfettamente conto che, anziché rispondere compiutamente alla domanda principale, di averne suscitate altre, e non poche; ma per questa colpa (se di colpa si tratta …)  il lettore se la prenda, eventualmente, con Mario Cazzato e, ancor prima, con Facebook …
__________
1 Anticamente Forum Iulii (mercato di Giulio Cesare) era l’attuale Cividale; poi il nome derivato, Friuli, pasò ad indicare l’intera regione. Appare perciò errata la traduzione da Forlì che si legge in http://www.artefede.org/public/ArteFede/santacroce_apparato1.html; Il nome omano di Forlì era Forum Livii, la cui forma aggettivale sarebbe stata, nell’iscrizione, FOROLIVIENSIS.
2 Così in Giulio Cesare Infantino, Lecce Sacra, Micheli, Lecce, 1634, p. 120:”Vi è ancora dentro la medesima Chiesa [S. Croce] una Cappella della famiglia Fedele, ove si vede una bella dipintura in tela di San Giovanni Battista: opera di Girolamo Imperato Napolitano.”.
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enos43 · 1 year
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Manager e dipendenti
Manager e dipendenti é un capitolo di Project Management per tutti, il terzo libro della trilogia del management, che fa seguito a NOS Management e a Project Management per esordienti e curiosi. Project Management per tutti nasce a seguito dell’intuizione di alcuni amici che, a seguito della lettura di Project Management per esordienti e curiosi, mi pregarono di scrivere un libro sul project…
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gaetaniu · 1 year
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Una antica attività fluviale
La regione di Eoli su Marte è ricca di antiche forme fluviali (create dall’acqua che scorre) come canali e delta, spesso con topografia invertita: ciò che era in basso ora è in alto a causa dell’erosione differenziale. Questa immagine mostra parte dell’anaglifo stereo. L’elemento curvo rialzato era un canale fluviale, ma i sedimenti grossolani o i materiali induriti hanno reso il fondo del…
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gaetaniu · 3 years
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Meandri in forma di cresta nella regione di Zephyria
Meandri in forma di cresta nella regione di Zephyria
In questa immagine, un antico sistema fluviale sinuoso è circondato da caratteristiche soprannominate “yardangs”. Gli yardang sono le forme di terra simili a creste che si allineano approssimativamente da nord a sud. Queste caratteristiche sono state create quando il vento ha raschiato ed eroso la roccia del letto. Il rilievo sollevato del fiume serpeggiante suggerisce una topografia invertita,…
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