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#hans fittko
barrowsteeth · 1 year
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Transatlantic (2023) 1.06 | Pure Psychic Automatism
Proud of yourself? Once everyone's on a boat and halfway to Martinique, maybe. I'm proud of you.
GIF ID in ALT. Caption plain text: Transatlantic 2023 1.06 Pure Psychic Automatism. Proud of yourself? Once everyone's on a boat and halfway to Martinique, maybe. I'm proud of you. End plain text.
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lasaraconor · 1 year
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billfarrah · 10 months
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For your Send Me A Character ask game: Lisa Fittko
First impression: wow she's gorgeous step on me pls
Impression now: i love how multifaceted she is even though she is more of a supporting character than a lead. i love that she's more of your typical "strong female character" when compared to mary jayne but she is still very much feminine and we don't get that terrible stereotype of a woman needing to be closed off and unemotional in order to be strong. she is the muscle and she is headstrong but she still has moments of tenderness and softness just like all of the other characters. she wants love and affection the same as everyone else. i love that she was able to have a meaningful connection with paul and it didn't turn into a love triangle with her, paul and hans and she wasn't made to feel guilty over experiencing a connection when she dearly needed it.
Favorite moment: i love the moments with her and paul in bed together and also the moment where the dance with each other at the party. the shot of her as she puts her arms around his shoulders and smiles softly is so lovely. also the moment of her stomping on the radio was iconic.
Idea for a story: i don't really have any but as with all the characters would love stories about what she gets up to after the war.
Unpopular opinion: don't think i have any. when a fandom is so small there aren't really a lot of opinions that are popular or unpopular lol.
Favorite relationship: her and paul were really lovely together.
Favorite headcanon: she could drink all the men at the villa under the table.
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the-breath-in-air · 1 year
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Max Riemelt portrayed Kay Engel in Free Fall.
Max Riemelt portrays Schmidt in World on Fire, a series about a diverse group of civilians attempting to navigate and fight back against fascism and the Nazis.
Hanno Koffler portrayed Marc Morgmann in Free Fall.
Hanno Koffler portrays Hans Fittko in Transatlantic: a mini series about a diverse group of civilians attempting to navigate and fight back against fascism and the Nazis.
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maddalenarobin · 4 years
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Quando torneremo a viaggiare torneremo da Walter Benjamin. Percorreremo il suo ultimo tragitto e ci fermeremo nel luogo in cui scelse di morire. Partiremo da Marsiglia; perché lì era arrivato, in una giornata d’agosto, da una Parigi occupata dai tedeschi. Uno tra i tantissimi esuli, che erano scesi a sud e si erano bloccati di fronte al mare. Avrebbe voluto rifugiarsi in Inghilterra ma, non essendo riuscito a ottenere un permesso d’uscita francese, aveva deciso di andare a piedi fino in Spagna, attraversando i Pirenei, come facevano centinaia di altri profughi e di lì trovare un imbarco verso gli Stati Uniti. “Non senza amarezza mi piego all’infausta costellazione che sembra sovrastarci”. Con queste parole il 20 agosto 1940, Benjamin lasciò Marsiglia con un passaporto rilasciato dall’American Foreign Service e il visto di transito del consolato spagnolo; portava la sua pesante cartella di cuoio nero, dentro la quale era il suo ultimo manoscritto la cosa più importante per lui: “Il manoscritto deve salvarsi. Vale più della mia stessa vita”. Con lui erano quella che sarebbe diventata la seconda moglie di Erich Fromm, e il di lei figlio sedicenne.
Da Marsiglia ci muoveremo anche noi in direzione sud lungo la costa del Golfo del Leone; attraverseremo la Camargue e poi giù fino al porto di Sète e ancor più giù fino a Narbonne e poi Perpignan fino ad arrivare a Port-Vendres, a 18 km dal confine con la Spagna.
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Perché fu a a Port-Vendres che i tre profughi si fermarono, da Lisa Fittko (moglie di Hans Fittko che era stato internato con Benjamin nel campo di Verruche), che li avrebbe aiutati ad oltrepassare il confine.
Seguendo i passi di Benjamin percorreremo la Route Lister, una via usata da tempo immemore dai contrabbandieri, perché, passando attraverso i vigneti carichi dell’uva dolce e scura di Banyuls, si snoda ai piedi di un costone che protegge dalla vista delle guardie francesi di pattuglia. Benjamin, che soffriva di cuore, risalì con molta fatica quell’ultimo tratto verso la libertà, camminava molto lentamente e respirava a fatica, ma ce la fece e, mentre il sole calava sul 25 settembre 1940, lui e i suoi compagni di viaggio raggiunsero la vetta ed entrarono in Spagna.
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Chissà cosa provò davanti allo stupefacente panorama che si presentò ai suoi occhi, con l’azzurro intenso del Mediterraneo e la ferrigna scogliera che precipitava a picco nel turchese della costa spagnola. Certo è che entrò in Spagna pieno di speranza; ma quella speranza si infranse immediatamente all’ufficio della dogana di Portbou.
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Proprio da quel giorno, infatti, entrava in vigore un decreto emanato dal governo Petain, in accordo con Madrid, che impediva agli apolidi di entrare in Spagna se non muniti di un’autorizzazione di espatrio francese. Hannah Arendt, ricordandolo, scrisse: “La sfortuna gli si era incollata sulla pelle. Un giorno prima Benjamin sarebbe passato senza problemi”. Per Benjamin invece la libertà era diventata impossibile. Il giorno dopo sarebbe dovuto ritornare nella repubblica di Vichy e per lui ciò significava la deportazione e il campo di sterminio. Quella notte stessa Benjamin decise di suicidarsi, scrisse un’ultima lettera indirizzata ad Adorno e si uccise con le compresse di morfina, che aveva portato con sé proprio per non cadere in mano ai nazisti: “la mia situazione senza speranza non mi lascia altra scelta che uccidermi. È in un piccolo villaggio dei Pirenei, dove nessuno mi conosce, a Port-Bou, che la mia vita finisce”.
Fu sepolto nel cimitero comunale, i suoi compagni di viaggio pagarono l’affitto del loculo per soli cinque anni. Dopo tale periodo il suo corpo fu calato in una fossa comune, il che rese impossibile la sua identificazione. Impressionate dal suicidio di Benjamin, le guardie di frontiera consentirono agli altri fuggiaschi di proseguire. A Portbou finirà anche il nostro viaggio; ci fermeremo lì ,in quel minuscolo villaggio di frontiera spagnolo, che ti accoglie con un Guernica strizzato tra i condomini, a rendere omaggio alla memoria di un grande uomo nell’unico modo possibile: riflettendo sulle guerre di ogni tempo e natura, sulla barbarie di un mondo, che da sempre si fa dominare dal capitale, sull’indifferenza verso i più deboli, che ne sono vittime indifese e invisibili. E non c’è posto migliore per farlo di questo monumento “in memoriam”, ideato dallo scultore Dani Karavan e da lui chiamato Passatges (con riferimento all’opera incompiuta di Benjamin, Passagenwerk), inteso come un luogo di passaggio del divenire storico.
Il monumento si tuffa nel mare, di fronte ad una piccola scogliera; si trova a pochi metri dal cimitero municipale, dove una lapide commemorativa suggella i resti del filosofo berlinese. Scendendo le scale di quel non-luogo che, coperte da un tunnel in acciaio conducono verso il mare, il nostro cammino è interrotto da una parete di vetro, sulla quale è inciso, un frammento di Benjamin: “È compito più arduo onorare la memoria di esseri anonimi che non quella di persone celebri. La costruzione storica si consacra alla memoria di coloro che non hanno un nome”. Credo sia proprio questo ciò che chiede ora Benjamin, il nostro “essere qui” non dovrà essere solo un pellegrinaggio al luogo in cui lui visse le sue ultime ore. A Portbou convergono molte vite, sono quelle di chi, ancora oggi, condivide con Benjamin la condizione di prigioniero, improvvisamente privato di ogni diritto e che non riesce più a comprendere dove si collochino la linea dell’amicizia, quella della lealtà, quella della dignità di sé. Quella di Benjamin era la dimensione del fuggitivo, del profugo, una condizione che rappresenta la genealogia delle molte scene che riempiono la nostra quotidianità. La nostra quotidianità, che è il sistema politico malato e incancrenito in cui viviamo, che impone un linguaggio pubblico escludente, in cui la paura e l’odio per il diverso non ammettono la possibilità di pensare a una politica di accoglienza. Inevitabile è anche pensare al suicidio: Una vita che si interrompe è un libro chiuso per sempre e, se il libro è stato chiuso volontariamente, si possono solo fare ipotesi. Perché si uccise? Fu un atto di libertà, come scrive Hannah Arendt in Le origini del totalitarismo: “uccidersi in condizioni drammatiche quando la propria vita è in mano ai tuoi carnefici, o rischia di divenire loro preda, corrisponde a un atto di libertà. Ovvero è la dimostrazione che ancora si possiede una personalità e dunque si è ancora proprietari del proprio corpo”? Oppure non aveva più voglia di lottare e ha deciso di lasciare che il mondo si chiudesse su di lui perché lo sforzo di immaginare la sopravvivenza era superiore alla sua immaginazione. Non c’era salvezza, e desiderava uccidersi. Era certo che, tra poco, ci sarebbe stata un’altra guerra mondiale, distruggendo per sempre la civiltà umana. Nel 1940, attraverso Angelus Novus Benjamin, esprimeva la sua visione messianica della storia, l’attesa perpetuamente insoddisfatta di una redenzione a venire, in cui l’essere umano sarà portato lontano dal tempo e dal progresso, lasciandosi alle spalle le tragedie e gli orrori che l’umanità ha creato, seminando morte e distruzione ad ognuno dei suoi passi. Riscattare questi orrori e rendere giustizia alle vittime non è secondo Benjamin, un compito di una divinità né della storia dell’umanità: le macerie della storia non trovano giustificazione, non acquisiscono dignità per ciò che hanno prodotto o per quello che hanno rappresentato e la storia dell’uomo è da sempre la storia di sangue e morte. Per questo l’Angelo di Klee guarda angosciato il passato, mentre il vento lo spinge via, quando vorrebbe restare tra quelle vittime per tenerle strette a sé, per garantire ad esse un significato di qualche tipo. L’unica redenzione possibile è quella offerta dalla memoria: solo serbando il ricordo delle vittime, e perciò testimoniando della loro morte, dell’insensatezza della loro sconfitta e delle loro sofferenze, si può interrompere il giogo della visione della storia ufficiale, raccontata dai vincitori, dell’engeliano “carro trionfale che incede su cumuli di cadaveri”.
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“C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradio, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che gli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta”. Se l’Angelo della Storia ha il viso rivolto al passato, verso dove o verso cosa era rivolto quella notte di settembre il viso di Walter Benjamin, uomo libero, filosofo ed ebreo errante dal 1933? Seduti a Portbou, di fronte al tramonto sul Mediterraneo cercheremo di capire.
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  La strada verso Portbou e gli ultimi sguardi di Walter Benjamin Quando torneremo a viaggiare torneremo da Walter Benjamin. Percorreremo il suo ultimo tragitto e ci fermeremo nel luogo in cui scelse di morire.
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hintergrundrauschen · 5 years
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Mit Jolande Fleck bin ich im September für eine Woche nach Portbou, Spanien gereist. Der Ort, gelegen in einer Bucht zwischen schroffen Felsen, dem Meer und den Ausläufern der Pyrenäen und offenkundig von den Auswirkungen eines Massentourismus verschont, wirkt ein wenig aus der Zeit gefallen und auf Anhieb sympathisch (bis auf sporadische Begegnungen mit der lokalen Grenzpolizei, die, wie die Grenzkontrollen an den Bahnhöfen, das Thema Flucht sofort aktualisierten). Mag es auch eine gehörige Portion Projektion und Pathos sein, so beschrieb ich in späteren Gesprächen das Gefühl, das sich aus der merkwürdigen Konfrontation der atemberaubenden schönen Landschaft, der Verlassenheit des Ortes, der doch zugleich positiv-gemeinschaftlichen Lebendigkeit der Bewohner und der überall zu Tage tretenden Geschichte ergab als eine Art Aura, die irgendwo zwischen einer nicht unproduktiven Melancholie und entspannender Gelassenheit pendelte. Der Ort und die Region ist ein geschichtlicher Knotenpunkt, der nicht nur durch die Geschichten vieler Menschen, die nach der Niederlage Frankreichs vor den Nazis geflohen sind, geknüpft wurde. Der Siegeszug der Barbarei manifestierte sich schon zuvor mit  dem Sieg der spanischen Faschisten und ihrer deutschen und italienischen Helfer im April 1939 und der Flucht hundertausender Republikaner, Kommunisten und Anarchisten über die spanisch-katalanische Grenze auch in dieser Region nach Frankreich. Viele der vor Franco Geflohenen halfen nur wenige Monate später in den Fluchtnetzwerken denen, die, wie Benjamin, aus Frankreich nach Spanien fliehen mussten.    
Wir wanderten an einem Tag die ca. 17Km der sogenannten Fittko-Route von Banyuls sur mer über die Berge nach Portbou. Über diesen alten Schmugglerpfad führten Lisa und Hans Fittko die Verfolgten und Hilfesuchenden nach Spanien und retteten ihnen damit das Leben. Die Route besteht streckenweise aus längeren steilen und gerölligen An- und Abstiegen. Daher ist es durchaus erstaunlich, dass Benjamin mit seiner Herzerkrankung diese Strecke geschafft hat. Was Lisa Fittko, Benjamin und die beiden Begleiter, Henny und José Gurland (Mutter und Sohn), nicht wussten: Ausgerechnet am Tag ihrer Flucht änderten sich die Visa-Bestimmungen in Spanien. Benjamin besaß zwar ein Durchreisevisum für Spanien und ein Einreisevisum für die USA, jedoch kein Ausreisevisum für Frankreich. Ohne dieses Ausreisevisum konnte man nicht legal, etwa im Zug, die Grenze überqueren - daher der Weg über die Berge. Zuvor war es aber möglich, auch nach dem illegalen Grenzübertritt mit der Meldung an einer spanischen Passstation und dem Durchreisevisum weiterzureisen. Daher meldeten sich auch Benjamin und die Gurlands abends bei ihrer Ankunft in Portbou an der dortigen Polizeistation, um die Weiterreise zu legalisieren. Dies nicht zu tun, wäre bei den vielen Kontrollen im Inland an Bahnhöfen usw. unklug gewesen. Nun trat jedoch am 25. September 1940 jene Bestimmung in Kraft, dass Ausländern ohne frz. Ausreisevisum die Durchreise trotz entsprechdem Visum zu verwehren ist. Benjamin und die Gurlands mussten zurück nach Frankreich, durften jedoch unter anderem aufgrund von Benjamins Gesundheitszustand die Nacht in einer Pension verbringen bis zur drohenden Ausreise. Laut Aussagen von Gurland und einer weiteren Zeugin informierte Benjamin sie um ca. 22 Uhr, dass er eine große Menge Morphium genommen habe. Benjamin diktierte, so Gurland, ihr den bekannten Abschiedsbrief an Adorno, den sie später vernichtete und dessen Inhalt sie mündlich Adorno weitergab. Benjamin verstarb am 26. September 1940. Unter dem Eindruck des Todes Benjamins ließ die Polizei die Gurlands weiterreisen. Vieles der Umstände von Benjamins Tod bleibt rätselhaft und fragwürdig. Auch über den Verbleib der ominösen Tasche mit angeblichen Manuskripten gibt es verschiedene Spekulationen.
Das fünfte Bild zeigt eines der Häuser, in denen 1940/41 Lisa und Hans Fittko zeitweilig in Banyuls sur mer lebten. Von dort brachen sie immer wieder mit den Hilfesuchenden zu den Fluchtrouten auf. Walter Benjamin gehörte zu der ersten Gruppe, die Lisa Fittko dank wertvoller Informationen vom Bürgermeister Banyuls Vincent Azéma über die Berge führte. Das vorletzte Bild zeigt die kleine Gruppe von einheimischen und wenigen zugereisten Menschen, die am Todestag von Benjamin an der Gedenkveranstaltung am “Passagen”-Memorial teilnahm. Dort erfuhren wir nicht nur Näheres zu den drei Teilen des Memorials, sondern es wurde auch über eine der Mythen um Benjamins Tod aufgeklärt. Die - auch für die Mordthese immer wieder vorgebrachte - Frage, wie ein Jude und Selbstmörder auf einem katholischen Friedhof beerdigt werden konnte, beantwortet sich damit, dass das Wandgrab, in dem Benjamin für die ersten fünf Jahre bestattet wurde, in einem nicht-katholischen Teil des Friedhofs lag. Das Grab selbst war ein Freimauergrab. Henny Gurland hatte die Bestattungsgebühr für fünf Jahre bezahlt. Nach dem Ablauf dieser Zeit wurden Benjamins Überreste in ein Massengrab umgesetzt, das heute verschollen ist. Der bekannte, immer wieder gezeigte “Grabstein” auf dem Friedhof von Portbou ist lediglich ein Gedenkstein. Das mutmaßliche, heute katholische Wandgrab Benjamins trägt heute die Nummer 563. Verifizieren konnten wir diese Information nicht.
(Text wird fortgesetzt)
Hinter den Kursivierungen verstecken sich Links.
Wer sich mit der Thematik der Flucht aus Frankreich näher beschäftigen möchte, dem empfehle ich unter anderem die Bücher von Lisa Fittko sowie das Buch (Auslieferung auf Verlangen) von Varian Fry. Letzterer organisierte ein umfassendes Fluchthilfe- und Unterstützungsnetzwerk von Marseille aus und arbeitete auch mit den Fittkos zusammen.
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