Tumgik
#giampaolo rugarli
valentina-lauricella · 7 months
Text
Per me Leopardi non costituisce studio, ma pura evasione. Può sembrare un paradosso, cercare - e trovare - la felicità in un noto pessimista (sebbene ri-valutato) e la serenità in un personaggio complesso, imprendibile, frustrante per chi esiga una totale tomografia fenomenica. Per quanto sia auspicabile che la biografia degli artisti non sia più ingombrante della loro opera, la vita di Leopardi, la sua persona, sono entrate nell'immaginario popolare e in quello di altri artisti, che hanno così creato, dal nucleo originario del dato reale, una costellazione di ampliamenti, interpretazioni, corresponsioni.
L'ombra di Leopardi perdonerà il verosimile, pensa Giampaolo Rugarli, autore del libro Il bruno dei crepuscoli, perché è meglio il verosimile che abbia un'anima, e giunga al pubblico, piuttosto che l'arido vero, illuminato da una cruda luce, che non commuova altrettanto o addirittura per nulla. Perché non rendere la stessa vita di Leopardi una poesia (revisionata, balbettata, enunciata con una voce ch'è quasi un fiato, ma tesa e tenuta insieme da un filo di senso superiore)? Sembra quasi cosa dovuta, piuttosto che intento per il quale ci si debba scusare.
Rugarli in questo intento riesce benissimo; con risultati esteticamente altalenanti, ma compensati dall'altalena di emozioni che riesce a generare nel lettore. Qui e lì, la carenza di materiale biografico certo, si rende evidente, non sufficientemente coperta dall'invenzione letteraria, che pure si mantiene sempre coerente; non tradisce la logica né la psicologia; non rompe l'incanto della sospensione dell'incredulità.
Il primo capitolo è costituito dal monologo della cugina di Leopardi, Geltrude Cassi Lazzari, giovane e robusta donna maritata che si sorprende ad essere turbata dal cugino molto più giovane di lei, sgraziato e deforme, che però fa baluginare intelligenza e carisma tali da trasformare la pena e il fastidio iniziali in un delirio che la tiene sveglia.
Il secondo è anch'esso un monologo, scritto come personale orazione funebre, dalla prostituta romana Dafne, che ricorda, probabilmente a un passo dalla morte per colera, il periodo in cui la sua vita s'intrecciò, in modo impalpabile e inesplicabile, ma persistente, alla vita del ragazzo Leopardi, ospite dello zio Antici.
Il terzo è costituito dagli appunti del giovane nobiluomo Papadopoli, allievo di latino e greco del Leopardi. I due diventano amici, e il ragazzo diventa preoccupato spettatore della vicenda in cui Leopardi cercherà l'umiliazione prostrandosi ai piedi della rotondeggiante, umoralmente labile dea Teresa Carniani Malvezzi.
Nel quarto capitolo, Ranieri accenna, in una lettera alla sorella, ai tumulti sentimentali del periodo fiorentino di Leopardi, in cui egli passa dalla venerazione della virago Fanny Targioni Tozzetti all'abbandono a lui, testimoniato dalle famose letterine amorose con cui lo implorava di tornare a Firenze, manifestando la volontà di quel "sodalizio" che poi si protrasse ben oltre il volere dei suoi contraenti.
L'ultimo capitolo, redatto dal medico Mannella, testimone del periodo più aspro della malattia di Leopardi, quello napoletano, è il più drammatico e torbido, in cui le ambiguità, le menzogne, le manipolazioni operate dai fratelli Antonio e Paolina Ranieri, sembrano isolare il fragilissimo Leopardi in un precoce sudario di morte, desiderata e provocata, che infine si compie.
È un viaggio a più voci attorno alla psiche di Leopardi, che riesce a restituire un ritratto profondamente armonico e credibile della sua personalità, dal quale lo scaturire della sua opera sembra naturale, quasi necessario. Questa non è una mera biografia, ma un'opera letteraria parallela, a sé bastante, che paradossalmente potrebbe funzionare anche se Leopardi non fosse mai esistito come persona reale, ma fosse stato, da sempre e per sempre, un personaggio padrone dell'immaginario, e la sua vita una parabola archetipica in cui ciascuno può rispecchiarsi e provare a interpretarsi.
3 notes · View notes
abatelunare · 1 year
Text
Libri che vanno letti 33
Sentite, io la vedo così. Le ragioni per cui si dovrebbe leggere Il manuale del romanziere di Giampaolo Rugarli sono sostanzialmente due. La prima è l’ironia con cui è stato scritto. Si fa leggere più che volentieri. La seconda è che, a dispetto del titolo, non è un manuale. Ho anche le prove. Leggete cosa scrive l’autore a pagina 9:
Il libro è stato ispirato dal fastidio e dalla noia che le scuole di scrittura creativa  suscitano in me: così la mia intenzione primaria, se non forse esclusiva, rimane quella di offrire agli aspiranti romanzieri uno strumento che, a bassissimo costo, li aiuti a a capirsi e a capire. Se possibile, a respingere la tentazione di scrivere romanzi, cedendo invece a quella di leggerli.
Lo vedete che avevo ragione? Va proprio letto.
Tumblr media
5 notes · View notes
pensarenmusaranyes · 3 years
Quote
Ara els convidats ballaven: l'un davant de l'altre, remenaven els culs i les anques, es fregaven les vísceres, agitaven les mans amb gestos vagues d'al·lusió o de reny, feien petar els dits. El sintetitzador, sobtat i imprevisible, va llançar un xiulet, l'electrònica i la selva s'ajudaven. El xiscle del moog era la sirena dels barcos, el ronc dels avions de reacció, el xeric dels pneumàtics, la detonació de les P 38, però també era el crit de basarda del primer cavernícola que s'havia adonat que havia de morir, del que significava morir. Després, altres homes, menys salvatges i més fantasiosos, s'havien imaginat l'ànima i havia vingut l'època del clavicèmbal i dels pianos. Però aquell crit de basarda, en aparença oblidat, continuava fiblant i el sintetitzador, després de milers d'anys, el tornava a descobrir.
La troga, Rugarli
0 notes
tmnotizie · 5 years
Link
ASCOLI PUCENO – Appuntamento domenica 20 gennaio (alle ore 18,00 presso la libreria Rinascita di Ascoli Piceno, in piazza Roma 7) con il romanzo La rampicante di Davide Grittani(LiberAria Editrice, Bari 2018; Pagg. 222; Prezzo di copertina 16,50 euro; Collana Meduse) che alcune indiscrezioni del mondo editoriale dànno tra i canditati al Premio Strega 2019 (https://www.illibraio.it/premio-strega-2019-voci-sui-candidati-948207/). Dialogano con l’autore Lucia Marinangeli, presidente AIDO – Marche, Paolo Cappelli presidente AIDO – Ascoli Piceno ed Eleonora Tassoni, libreria Rinascita – Ascoli Piceno.
Un libro che sta emozionando e contagiando i lettori, grazie a una storia molto complessa ma anche molto affascinante.Completamente ambientata nelle Marche, dal Fermano al Maceratese, dalla regione che con straordinaria dignità ha reagito a tutto ciò che le è successo negli ultimi anni, a cominciare dal sisma del 2016. Una storia realmente accaduta (agli inizi degli anni Novanta) che Davide Grittani ha ricostruito recuperando fatti e misteri, mescolando con cura una trama d’altri tempi a personaggi e circostanze dei nostri giorni.
Ognuno di noi si trascina una sua “controstoria” dell’11 settembre, non di ciò che successe quel giorno ma di ciò che stava facendo in quel momento. In un piccolo paese che porta il nome del mare ma s’aggrappa alle colline, l’11 settembre 2001 un adolescente scopre di non essere ciò che credeva. Comincia una scivolosa rincorsa alla verità, un viaggio miserabile e commovente durante cui è costretto a misurarsi con ipocrisie, inganni, generosità, necessità e vendette.
Nella calma imperturbabile di Sant’Elpidio a Mare ribolle il sangue di un ragazzo: un ragazzo che decide di ribellarsi alle logiche del branco, mentre una bambina sente voci nella sua testa e dispensa una strana saggezza, e mentre un padre impone rispetto comprando i destini di chi lo circonda. La rampicanteracconta la piccola e maestosa epopea di Riccardo Graziosi, la sua avventura umana dall’età di 15 ai 30 anni.
Una trama fitta, tirata dalla prima all’ultima pagina, giocata sull’incapacità degli uomini di rendersi conto del privilegio che gli è stato concesso dalla vita, sull’importanza del dono (ammesso che uno appia riconoscerlo) e sulla perversa casualità della fortuna.
Una tragedia pop e shakespeariana che parte da lontano e arriva fino alle Marche dell’ultimo terremoto (2016), una storia spietata e romantica che indaga le nostre coscienze, come dice Dacia Maraini a proposito de La rampicante, fino a chiederci se «ci siamo meritati tutto ciò che abbiamo avuto?» Davide Grittani affronta alcuni dei temi più cari alla letteratura universale, come la relazione tra padre e figlio, il rapporto dell’uomo con la giustizia e con il denaro – e quindi essenzialmente con la verità – passando per la stringente attualità di argomenti come l’adozione e il disagio infantile, fino all’atto estremo, solenne e irreversibile della donazione d’organi.
Furio Colombo descrivendo La rampicante sostiene che il romanzo «è come un documentario, narrato però con impetuosa espressività letteraria. Incalzano i fatti, le sequenza di eventi, la durezza delle parole e dei sentimenti, che hanno una brutale vitalità rara nella fiction».
Il continuo incalzare dei fatti e l’agilità coinvolgente con cui la storia procede, riportando paradossalmente tutto al punto di partenza, suggellano il titolo del libro: La rampicante. Riccardo trascorrerà la vita a implorare comprensione e meditare vendetta, inciampando continuamente nei rami dell’edera: simbolo del destino che non scende a patti, che non accetta compromessi.
Adesso questo romanzo, che sta girando l’Italia con numerose presentazioni allestite e in corso di allestimento, è tra i papabili a una candidatura al Premio Strega 2019, cioè la competizione letteraria ed editoriale più importante dell’Italia e tra le più importanti d’Europa. Fa un certo effetto, saper chw alla base di questa esperienza ci siano una storia e un’ambientazione che sono state calate totalmente all’interno delle Marche, di un territorio che attraverso queste pagine racconta del fascino straordinariamente misterioso di un popolo così nascosto, così essenziale. «Una storia coraggiosa e importante, ambientata nelle Marche che nessuno conosce bene quanto il silenzio e la dignità».
Hanno detto de “La rampicante”
«La donazione degli organi resta il più misterioso e affascinante metodo per tornare a nascere. Sono davvero pochi i romanzi che se ne sono occupati senza scadere nella banalità, quello di Davide Grittani lo fa addirittura con una discreta dose di cinismo. Nelle mani del lettore, alla fine del libro, resta l’interrogativo che forse sta alla base di tutte le coscienze: ci siamo meritati tutto ciò che abbiamo avuto?». Dacia Maraini
«Scritta in una lingua delicata, questa è la storia di come un tormento finisca per diventare una rivelazione. L’autore riporta la vita nelle terre scosse dal terremoto, e lo fa con la necessaria crudeltà della letteratura. Un libro molto denso, pieno di personaggi che si mostrano e nascondono continuamente come dentro scatole cinesi. Un omaggio alla poesia delle Marche, alla forza d’animo dei marchigiani». Wanda Marasco
«La ampicante è come un documentario, narrato però con impetuosa espressività letteraria. Incalzano i fatti, le sequenze di eventi, la durezza delle parole e dei sentimenti, che hanno una brutale vitalità rara nella fiction. Di questo romanzo di Grittani si può dire che la narrazione, risoluta e tenace, supera l’invenzione. Non consola, fa luce». Furio Colombo
«Un romanzo che incanta alla pagina, emoziona e coinvolge come poche altre storie. Grittani riesce a rapire la coscienza del lettore, che poi è la principale missione degli scrittori. La scrittura, visiva ed agile, appare dotata di una rara intensità». Roberto Pazzi
«La rampicante racconta di un Paese di cui non ci vergogniamo mai abbastanza, dei delitti e delle pene che ogni giorno si consumano nelle pieghe della nostra provincia. Scritto con una voce raffinata e cinica, il romanzo di Grittani parla di usura, amore, morte ma anche di trapianti e speranze. Parla delle Marche, terre magiche e misteriose in cui nulla sembra avvenire per caso. Nemmeno il terremoto, che scuote la vita dei personaggi ma che soprattutto scuoterà la coscienza dei lettori». Andrea Purgatori
«Un viaggio all’interno di una terra che non si risparmia, che lesina le parole avvolgendosi in un silenzio senza redenzione; un’esperienza narrativa che forse va al di là delle possibilità umane di comprensione, offrendo al lettore uno spunto di riflessione necessario seppur crudele; un percorso ad ostacoli che si muove tra la donazione degli organi, il ricordo ancora vivo del terremoto e la percezione della solitudine a cui tutti gli uomini – buoni o cattivi – sono destinati. Un appello alla vita che, come l’edera, resiste e persevera. Tutto questo è La rampicante di Davide Grittani». Giulia Ciarapica
«La capacità di riconoscere e aggrapparsi alla bellezza appartiene alle anime tormentate, come quelle di Riccardo ed Edera, protagonisti di un romanzo potente che intreccia ombra e luce, vita e morte, segreti e rivelazioni, sconfitte e rinascite. Questo continuo gioco di opposti, presente anche nell’esistenza di ognuno di noi, è narrato benissimo da Grittani che, con scrittura solida e mai compiaciuta, compone paesaggi umani nei quali sostare. Sullo sfondo le Marche, metafora di mondi interiori che tremano dal di dentro, eppure in grado di ricominciare». Paola Cereda
Davide Grittani (Foggia, 1970) è giornalista e scrittore. Dal 2006 al 2016 ha curato la prima mostra internazionale della letteratura italiana tradotta all’estero Written in Italy, che ha raccolto ed esposto (in 16 Paesi di tutti i Continenti) una biblioteca di oltre 3200 traduzioni in rappresentanza di 800 autori italiani dal 200 ad oggi, 56 lingue e 24 alfabeti: per Written in Italy si è aggiudicato il Premio Maria Grazia Cutuli 2010.
Ha pubblicato il romanzoRondò. Storia d’amore, tarocchi e vino (Transeuropa 1998, allora diretta da Massimo Canalini) e E invece io (Biblioteca del Vascello 2016, Torino) presentato in concorso al Premio Strega 2017. Della sua scrittura e delle sue attività si sono occupati a vario titolo Alessandro Piva, Giorgio Barberi Squarotti, Giampaolo Rugarli, Dacia Maraini, Ettore Mo, Corrado Augias, Marcello Sorgi, Wanda Marasco, Andrea Purgatori, Massimo Canalini, Fabio Geda, Roberto Pazzi, Stefano Petrocchi, Mario Sansone e Furio Colombo. La rampicante (LiberAria Editrice 2018, Bari) è il suo terzo romanzo.
0 notes
gwtelevision · 7 years
Text
Dacia Maraini a Morigerati per il Premio Rugarli 2017
Dacia Maraini a Morigerati per il Premio Rugarli 2017
Domenica 1 ottobre alle ore 18:00 presso il Centro sociale di Morigerati, si terrà la seconda edizione del Premio dedicato e intitolato a Giampaolo Rugarli, scrittore scomparso nel 2014; una delle voci più miti e riflessive della letteratura italiana, autore di numerosi romanzi e abituale frequentatore del Cilento. Vincitrice della seconda edizione è la scrittrice Dacia Maraini, che sarà presente…
View On WordPress
0 notes
valentina-lauricella · 8 months
Text
«La strada per Recanati è in salita, non brusca ma abbastanza per frenare il passo ai cavalli. La terra era bruna, umida, spaccata in solchi dall'aratura: supposi avessero seminato il frumento, il frumento doveva essere una delle maggiori ricchezze di quella contrada, anche se di tanto in tanto apparivano uliveti e vigne spoglie. Balenavano, a mezzo di enormi estensioni sative, altissimi lecci, il cui fogliame, perenne, verde cupo, esplodeva simile a una nuvola di mala ventura contro il turchino del cielo. […] Giacomo bisbigliò poche inintelligibili parole, mi parve si rivolgesse a me con l'appellativo: «Signora», ma nulla compresi di quello che tentò di sussurrare. Era intimidito, emozionato. Forse perché la madre non smetteva di osservarlo, e non vi era benevolenza in tanta attenzione. Era uno spettacolo penoso contemplare il povero Giacomo in confusione, e purtroppo l'imbarazzo esacerbava ciò che la sua persona mostrava di abnorme, di sgraziato. […] All'improvviso, Giacomo mi sorrise e, in quell'attimo, si illuminò, acquistò le sembianze di un angelo. Mi sentii smarrita (non oso credere turbata) e, per espellere un sentimento inesplicabile quanto molesto, dentro di me mi accanii contro quell'infelice che mendicava niente più di una carezza, non altrimenti che un cane tignoso da tutti respinto. Allora ricambiai il sorriso, e una dolcezza celestiale discese nel mio cuore. Sventuratamente la cugina Adelaide intercettò il sussurro delle nostre anime: non fu contenta. […] Non so se pregò che io e il figlio Giacomo rimanessimo fulminati quella notte stessa o se, con gli occhi della mente, già ci vide preda delle fiamme eterne: carpì il sorriso che ci eravamo scambiati, e decretò che quel sorriso era peccato».
(Da "Il bruno dei crepuscoli", di Giampaolo Rugarli)
Tumblr media
Paragonare a un infelice cane tignoso un giovane filologo di prim'ordine con un QI stimato in 175 punti, mi sembra riduttivo e inappropriato, tuttavia questa persistenza dell'errore di considerare Giacomo "brutto e rifiutato dalle donne", fa parte del suo mito.
2 notes · View notes
valentina-lauricella · 7 months
Text
Mi lesse lui stesso queste atroci parole ["Tutto è male..." e seguenti]; e io mi dissi che, un giorno o l'altro, qualche pensatore insoddisfatto della vita ne avrebbe fatto uso per manipolare in teoria universale il proprio scontento.
Non tocca a me di giudicare: ma il mio amico sarà ricordato non per il suo pensiero (e chi vorrà farlo si troverà nella necessità di illustrare un non pensiero, ciò che, a conti fatti, potrà risultare più comodo e più spettacolare), semmai per le sue intermittenze, per i suoi scarti d'umore, per le sue incoerenze... un groviglio identico a quello che ciascuno di noi porta nel cuore. Dare voce a tale groviglio è dare voce al sentimento, alla passione: impresa impervia cui i poeti sembrano più vocati dei filosofi.
Da Il bruno dei crepuscoli, di Giampaolo Rugarli, capitolo III (Appunti sparsi di Antonio Papadopoli, gentiluomo veneziano).
2 notes · View notes
pensarenmusaranyes · 3 years
Quote
Todos somos espiados, a todos nos amenaza un desastre. ¿Y por qué? Porque en la raíz de todo está en la troga
La troga
Giampaolo Rugarli
1 note · View note
pangeanews · 4 years
Text
Quella vita di me**a di cui andare orgogliosi. Beccatevi questo capolavoro: si intitola “La vita schifa”, lo ha scritto Rosario Palazzolo. Per fortuna, si tiene alla larga dai romanzi italiani degli ultimi trent’anni
Questo è solo il parere di un autore, di uno scrittore che decide di occuparsi di un altro scrittore. E per quanto emendabile, questa puntualizzazione diventa necessaria quando uno come me (che ha fatto dell’integralismo estetico la propria religione) incontra un romanzo come La vita schifa (un’opera che diversi critici avranno chiuso a pagina tre, ma che proprio per questo merita un coraggioso approfondimento di cui spero di essere degno). Rosario Palazzolo non è uno scrittore puro. È un attore, tra le altre cose nel cast de Il Traditore di Marco Bellocchio. Ma ha sempre scritto monologhi e testi teatrali, racconti e romanzi. Ed ha sempre letto, essendo costretto a farlo per mestiere (gli scrittori possono bluffare sulla loro formazione, gli attori no perché i copioni non si possono improvvisare). E la prima sensazione che mi è venuta addosso, immergendomi ne La vita schifa, è che le letture di anni di palcoscenico si siano stratificate con una magnifica casualità, si siano sovrapposte come placche tettoniche in una specie di patchwork, raccogliendosi intorno a una trama di per sé non molto originale – sebbene frutto di una lodevole intuizione – fino a collocarsi in precise cavità coniche come la kriptonite di Superman. Ognuna al suo posto, con pochissime eccezioni. Questa perfezione involontaria, quasi inconsapevole, fa de La vita schifa (Arkadia Edizioni, collana SideKar diretta da Ivana e Mariela Peritore e Patrizio Zurru) uno dei libri più belli letti negli ultimi anni.
*
Che Dio ci liberi dalla trama
Liberiamoci subito della presenza/assenza di Ernesto Scossa, killer di mafia che – una volta morto, anzi proprio in qualità di morto ammazzato – guarda la sua vita dal di fuori e la radiografa con lo scanner delle parole. Ne scaturisce una confessione amarognola, un atto d’accusa verso il mondo che respinge le persone in un angolo e verso sé stesso in quanto angolo del mondo. Ma non è questo che m’interessa evidenziare del romanzo, quanto la sua estetica e la sua lingua. Elementi che combinati diventano musica, giri di frasi che finiscono sempre nel modo giusto, senza mai una sbavatura, grovigli di pensieri misurati persino nell’abbuffata di aggettivi, schiocco di note che nascondono l’invadenza del racconto e fanno sembrare tutto così adeguato, necessario, puntuale come la morte (appunto). Scritto nel siciliano vero – non la lingua di Camilleri, ma un siciliano così vero da azzannare mentre lo leggi e lo sbagli – di chi a Palermo deve tutto, La vita schifa attraversa le stagioni di questo Ernesto con la presunta anarchia e la rinnegata lucidità dei veri artisti. Di chi sa dove condurre il Lettore, perché padrone della storia e libero da ogni compromesso commerciale. «(…) mi ricordo di lei distesa, piccola come le cose minute, mi ricordo che allungo una mano per toccarla e nel mio pensiero, nel mentre che la tocco, di colpo spariscono tutte cose, come se il padreterno ha deciso di voltarci pagina, era l’ottantacinque e io avevo quasi nove anni, nove anni, e cosa potevo saperne a nove anni, delle cose che cambiano, come potevo figurarmi le rivoluzioni del tempo che fanno scoppia lo spazio, tipo certe telenovele che si guardava mia madre, dove a un certo punto sparivano tutti, pure le città: sabrina morì nell’ottantacinque, il vecchio coi baffi se ne andò in pensione e il bar cominciò a vendere pure patatine, mia nonna la portarono al ricovero e io cominciai a odiare il fuxia, e i capelli annodati». Sorvolando sull’interpunzione, nel senso che sono davvero poche le virgole non necessarie al testo, il romanzo è quasi tutto avvolto in queste nuvole narrative straordinariamente brevi, veloci ed eroiche. Ecosistemi che non hanno bisogno di nulla e che nulla chiedono al Lettore, se non di fidarsi della scelta che ha fatto. Ecco, Rosario Palazzolo ha il merito di onorare quel patto non scritto – invece andrebbe stipulato ogni santo giorno, ad ogni scontrino emesso da una libreria – tra Lettore e autore. Non promette nulla, libera subito dall’orgasmo della trama – pronti partenza svelata, morto che parla – eppure accompagna per mano lungo strade strette e incantevoli, ai cui lati non ci sono stese le calze degli operai ad asciugare ma passati prossimi, trapassati, indicativi strabici e futuri anteriori che disorientano senza smarrire, incalzano senza spaventare. La vita schifa quasi non ha trama, ed è un bene che Editore e Curatori abbiano favorito questa condizione senza imporre – come forse avrebbe fatto qualsiasi altra casa editrice di medio/grande entità – una soluzione storica e filologica, una continuità narrativa prossima al severo sviluppo degli eventi. Palazzolo si fa dirigere dal testosterone, peculiarità che impone anche al suo personaggio, e utilizza la virilità come indicatore di una bussola: punta là dove c’è da fottere, oltre che da uccidere, e in questa rincorsa semiseria e drammatica allo sticchio si snoda una personalità rara, un personaggio senza carne, quasi spirituale, un uomo del quale – grazie al cielo – nessuno si ferma a dire com’è fatto e cos’ha detto, perché al Lettore interessa solo farsi attraversare da Scossa.
*
Lui è Rosario Palazzolo
Nemmeno letto al premio Strega
La vita schifa è stato segnalato, più che opportunamente da una brava filologa come Giulia Ciarapica, all’ultimo premio Strega. Nemmeno preso in considerazione, anzi conoscendo i meccanismi forse nemmeno sfogliato dai giurati, il romanzo non è entrato in dozzina. Non lo faccio notare per stupore, ma perché i limiti di questi meccanismi sono così evidenti che, se avessero letto La vita schifa, i componenti del comitato direttivo si sarebbero accorti che questo libro si tiene alla larga da tutti i romanzi italiani degli ultimi trent’anni. Non è un romanzo banale, non è un romanzo borghese né noioso, non è romanzo sulla storia del Paese – che qualcuno ci liberi da queste sofferenze – e non è nemmeno il romanzo di un autore mandato dal Picone di turno: PD, Forza Italia o Sinistra radical chic che cita Hegel con disprezzo e legge Fabio Volo. Se lo avessero letto, quelli dello Strega avrebbero notato che La vita schifa è un capolavoro perché non ambisce a sopprimere nessuno dei difetti su cui si lavora per mesi nelle scuole di scrittura, non asseconda le pulsioni degli editor di far chiarezza dentro pagine in cui non ci sarebbe nulla da chiarire, non strizza l’occhio alle versioni più becere dei gialli verso cui da una dozzina d’anni proviamo una pulsione erotica tanto potente quanto ingiustificata, non apparecchia frasi memorabili con l’ambizione con finiscano in Smemoranda o nelle fascette editoriali che dicono cose tutte uguali e inutili allo stesso modo. La vita schifa è un capolavoro perché non ha alcuna ambizione di esserlo, perché non soffre della febbre sottocutanea dell’eternità. «Grazie molte, e sono io che ti devo ringraziare, gli avrei detto, a questo, perché soldi ce n’erano rimasti pochi visto che avevo chiesto a katia di non prenderne alla banca ché se uno deva andare a morire mica gli servono, e poi erano soldi dell’altra vita, c’avevo detto, e l’altra vita era finita, e per primo dovevamo crederci noi alla nostra morte o qualcosa del genere, mi pare, e così, il giorno dell’epifania, dopo l’applauso, tutto il paese è venuto a presentarsi con noi, tutti in fila con io sono tizio e io sono caio, e porco il precipizio erano dieci giorni che la gente sapeva che eravamo a apecchio e manco un saluto e adesso eccoli tutti apparati come se eravamo apparsi dal nulla in quel momento là». La vita schifa è straordinario per tante ragioni: soprattutto perché ignora la bigotta scuola italiana, quel retrogusto cattocomunista che ne immobilizza ogni (vera) evoluzione dai tempi di Ennio Flaiano. Senza storia, senza protagonisti, senza artefici, senza vincitori e vinti, ma con la forza della vita (sebbene schifa) che da sola basta a spingere un romanzo che avrebbe meritato molto di più quello che finora ha avuto.
Davide Grittani
*Davide Grittani (Foggia, 1970) ha pubblicato i reportage “C’era un Paese che invidiavano tutti” (Transeuropa 2011, prefazione Ettore Mo e testimonianza Dacia Maraini) e i romanzi “Rondò” (Transeuropa 1998, postfazione Giampaolo Rugarli), “E invece io” (Biblioteca del Vascello 2016, presentato al premio Strega 2017), “La rampicante” (LiberAria 2018, presentato al premio Strega 2019 e vincitore premio Città di Cattolica 2019, Nicola Zingarelli 2019, Nabokov 2019, Giovane Holden 2019, inserito nella lista dei migliori libri 2018 da la Lettura del Corriere della Sera). Editorialista del Corriere del Mozzogiorno, inserto del Corriere della Sera.
L'articolo Quella vita di me**a di cui andare orgogliosi. Beccatevi questo capolavoro: si intitola “La vita schifa”, lo ha scritto Rosario Palazzolo. Per fortuna, si tiene alla larga dai romanzi italiani degli ultimi trent’anni proviene da Pangea.
from pangea.news https://ift.tt/2CQIHyT
0 notes