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#famiglia originale
artistdinzel · 2 years
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gregor-samsung · 30 days
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“ Se dovessimo tener conto delle letture importanti che dobbiamo alla Scuola, ai Critici, a tutte le forme di pubblicità e, viceversa, di quelle che dobbiamo all'amico, all'amante, al compagno di scuola, vuoi anche alla famiglia - quando non mette i libri nello scaffale dell'educazione - il risultato sarebbe chiaro: quel che abbiamo letto di più bello lo dobbiamo quasi sempre a una persona cara. Ed è a una persona cara che subito ne parleremo. Forse proprio perché la peculiarità del sentimento, come del desiderio di leggere, è il fatto di preferire. Amare vuol dire, in ultima analisi, far dono delle nostre preferenze a coloro che preferiamo. E queste preferenze condivise popolano l'invisibile cittadella della nostra libertà. Noi siamo abitati da libri e da amici. Quando una persona cara ci dà un libro da leggere, la prima cosa che facciamo è cercarla fra le righe, cercare i suoi gusti, i motivi che l'hanno spinta a piazzarci quel libro in mano, i segni di una fraternità. Poi il testo ci prende e dimentichiamo chi in esso ci ha immersi: tutta la forza di un'opera consiste proprio nel saper spazzar via anche questa contingenza! Eppure, con il passare degli anni, accade che l'evocazione del testo faccia tornare alla mente il ricordo dell'altro: alcuni titoli sono allora di nuovo dei volti. E, siamo giusti, non sempre il volto di una persona amata, ma anche quello (oh! raramente) del tal critico o del tal professore. È il caso di Pierre Dumayet, del suo sguardo, della sua voce, dei suoi silenzi, che nelle Letture per tutti della mia infanzia dicevano tutto il suo rispetto per il lettore che grazie a lui sarei diventato. E il caso di quel professore la cui passione per i libri sapeva dotarlo di un'infinita pazienza e regalarci perfino l'illusione dell'amore. Doveva proprio preferirci - o stimarci - noialtri allievi, per darci da leggere quel che gli era più caro. “
Daniel Pennac, Come un romanzo, traduzione di Yasmina Mélaouah, Feltrinelli (collana Idee), 1998²⁶, pp. 70-71. (Corsivi dell’autore)
[1ª edizione originale: Comme un roman, éditions Gallimard, 1992]
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nusta · 5 months
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Oggi sono stata al cinema con una mia amica, abbiamo visto il nuovo film di Miyazaki, "Il ragazzo e l'airone", che nella versione originale si chiama "How do you live?" e forse il titolo così è più appropriato al film. È stato strano, perché è stato lento più di quanto siano già solitamente lenti alcuni film dello studio ghibli, ma è stato anche uno dei primi film che non mi hanno commosso come invece spesso mi succede, e nonostante la trama sia una di quelle che si presterebbero molto alla commozione, dato che parla di lutto e sofferenza e rinascita. Forse è anche perché non sono più abituata a vedere film al cinema e l'atmosfera è diversa, o forse era l'abbiocco post pranzo o forse semplicemente il ritmo di questo film è tale che una seconda visione è più godibile di una prima, quando ancora non sai cosa aspettarti e pensi che sta passando un sacco di tempo e ancora non è successo niente di particolarmente strano. Mi ha ricordato in molti momenti degli altri film di Miyazaki, il viaggio onirico de La città incantata, le porte su altri mondi de Il castello errante di Owl, la malattia e la fuga/smarrimento della famiglia de Il mio vicino Totoro, la distruzione della guerra di Si alza il vento. Ci sono anche  le vecchine e le creaturine e la natura che ci sono in tantissimi altri film di Miyazaki, sembrava proprio una citazione continua, ma forse è semplicemente il suo universo che è popolato di questi elementi e, una volta che li conosci, li riconosci inevitabilmente in ogni film.
Tornata a casa, dopo averne parlato un po' con la mia amica per condividere impressione e frustrazione, perché anche per lei a livello emotivo non ha avuto l'impatto che ci aspettavamo, ho cercato un po' di opinioni online e ho salvato qualche post di tumblr. A quanto pare, oltre alla lettura più immediata dell'elaborazione del lutto e della condizione di malattia, c'è una metafora generazionale e anche una estremamente personale di Miyazaki rispetto al suo mestiere e alla sua storia con il suo mentore. Alcuni la leggono anche verso l'altra direzione, con suo figlio. In ogni caso sono ancora più convinta che a una seconda visione piacerà di più anche a me. Commuovermi però non lo so, vedremo quando sarà il caso, credo sia proprio una questione di ritmi e di investimento emotivo nei personaggi, non so se questi sono riusciti ad entrarmi nel cuore con la stessa immediatezza degli altri che di solito sono raccontati nei suoi film e in generale nei film dello studio ghibli.
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Primavera di libri
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Torniamo a suggerirvi nuove letture e film “raccomandati” dai vostri bibliotecari di fiducia.
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Un autentico caso letterario l’inedito di Gabriel García Márquez Ci vediamo in agosto, che, come narra la leggenda a proposito dell’Eneide di Virgilio, l’autore avrebbe voluto distruggere: “un omaggio alla femminilità, una storia di libertà e di desiderio che non si sopisce con l’età e nemmeno con l’amore coniugale”. I figli hanno consentito la pubblicazione di questo breve romanzo, che esce in contemporanea in tutti i paesi e ci delizia come una sorpresa inaspettata, nonostante la volontà del suo artefice, forse troppo esigente con sé stesso.
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Tutt’altro che deprimente, Piccoli suicidi tra amici di Arto Paasilinna è ormai diventato un classico. Scritto con stile quasi cronachistico, la sua apparente freddezza (che peraltro ben si addice alle gelide lande della Finlandia da cui provengono i personaggi del libro) non fa che accrescere l’ironia, magari un po’ macabra, di cui è pervaso. “… ogni giorno è per ciascuno sempre il primo della vita che gli resta da vivere, anche se siamo troppo occupati per rendercene conto” è la sintesi filosofica di un romanzo divertente, originale, che si risolve in un inno non banale alla vita, alla solidarietà, all’amicizia. Un vero toccasana “per tempi agitati”, citando Mauro Bonazzi, come sono quelli in cui ci troviamo a vivere. Dalla postfazione di Diego Marani: “Una delle cose più belle dei romanzi di Paasilinna è che dopo il tumulto, il fragore e le spericolate rincorse tutto si risolve delicatamente, come una risata di cui resta solo il gioioso ricordo, nell’acqua increspata d’un lago, nel vento della sera, nell’odore di foraggio appena tagliato. … In questo libro la grande beffata è la morte”.
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Ambientato a Bologna durante le festività natalizie tra la fine del 1953 e l’inizio del ’54, Intrigo italiano di Carlo Lucarelli ci ripropone la compagnia del commissario De Luca, sempre ombroso, inappetente e drogato di caffeina. Lo accompagna un giovane poliziotto che lo introduce negli ambienti musicali degli amanti del jazz, di cui era appassionato un noto professore morto in circostanze non chiare. Ma il mistero si infittisce quando anche la vedova viene trovata uccisa e De Luca stesso è controllato dai Servizi Segreti. Non siamo più in tempo di guerra mondiale, ma di guerra fredda e anche i migliori si devono aggiornare. Un giallo di classe, con una ricostruzione storica sempre molto accurata. È del 2022 il ritorno del commissario Marino, segretamente ma attivamente antifascista, in Bell’abissina, dopo l’esordio del 1993 con Indagine non autorizzata, quando era ancora soltanto ispettore. Si tratta di un cold case soltanto apparente, perché la serie di delitti, legati da somiglianze via via sempre più chiare, si protrae dal passato al presente pericolosamente minacciato dall’imminente scontro bellico. Marino ha un temperamento diverso da quello di De Luca e si getta anima e corpo in questa indagine che coinvolge corrotti fiancheggiatori del regime. Un incontro, come dice l’autore stesso nei Ringraziamenti, tra la storia, con la s minuscola, frutto di fantasia, e la Storia, quella del secondo conflitto mondiale che Lucarelli conosce molto bene e che ha trattato anche in diverse trasmissioni televisive.
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Irresistibile la doppietta di Simenon che vi proponiamo. Gli altri, inedito in Italia fino alla pubblicazione di Adelphi del 2023, è scritto in forma di diario-confessione e ci guida con il suo ritmo irresistibile tra i meandri di un suggestivo castello francese, che racchiude, ça va sans dire, una morte misteriosa, una giovane e affascinante castellana, nonché un burbero e attempato maggiordomo, sospettosamente depositario di ogni segreto… Come sempre, con pochi abili tratti l’autore descrive una serie di personaggi che non potrebbero essere fra loro più diversi, anche se appartenenti alla stessa famiglia: la sua penna riesce a far sembrare del tutto naturali e accettabili legami apparentemente inconciliabili e al limite della moralità. Il finale è riservato all’apertura del testamento: a chi andrà la cospicua eredità del vecchio Antoine Huet? Ma soprattutto: in che modo la ricchezza influirà sulla vita e le abitudini dei protagonisti? A voi il piacere di scoprirlo. Il romanzo La prigione inizia ex abrupto con un misterioso omicidio, su cui la polizia indaga. Ma duplice è la ricerca intrapresa dall’autore: da una parte il movente del delitto, dall’altra la psicologia del protagonista, costretto a scavare nella sua vita per scoprire su sé stesso e sulle persone che gli erano più intimamente vicine segreti che ignorava o che, più probabilmente, cercava di rimuovere per superficialità, paura o inadeguatezza. Così la prigione diventa una metafora per descrivere una vita fasulla che implode in un solo istante di un giorno d’autunno. Al di là del caso limite rappresentato dal fatto di sangue e delle inevitabili differenze di carattere, è talmente accurata l’analisi psicologica che ogni lettore potrebbe ritrovare qualcosa di sé nell’indole del protagonista e comprendere i suoi atti apparentemente privi di logica. Simenon, come sempre, con ritmo inesorabile e accanito vaglio introspettivo ci conduce all’unica soluzione possibile.
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Furio Scarpelli e Agenore Incrocci hanno firmato, sotto la nota sigla di Age&Scarpelli, “le più memorabili sceneggiature dell’epoca d’oro del cinema italiano”, da Totò le Mokò di Bragaglia, a La banda degli onesti di Mastrocinque, C’eravamo tanto amati di Scola, I soliti ignoti, L’armata Brancaleone e La Grande guerra di Monicelli, per citarne solo una minima parte. Tra gli inediti di Scarpelli che Sellerio sta ripubblicando (è del 2019 Amori nel fragore della metropoli) vi consigliamo Si ricorda di me, signor tenente?, romanzo che introduce i protagonisti alternando, con la tecnica del flash back, la narrazione contemporanea al memoriale di guerra. Lo scavo nel complesso passato del personaggio principale porterà alla luce gravi traumi, profondi e rimossi sensi di colpa. Ma chi è lo sgangherato seccatore che apostrofa con la domanda del titolo il vecchio Giulio, tranquillo pensionato che passeggia per le vie della Milano del 1999? Un truffatore, un commilitone o un rigurgito della sua coscienza addormentata? Si legge piacevolmente tutto d’un fiato.
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Per una lettura diversa dal solito vi proponiamo Nightmare Alley, La fiera delle illusioni di William Lindsay Gresham, “una tipica storia noir”, da cui sono stati tratti ben due film: un classico con il fascinoso Tyrone Power in una veste per lui inedita e il recentissimo remake di Guillermo Del Toro con Bradley Cooper, Cate Blanchett, Willem Dafoe. Diviso in due parti (con un finale ad anello): da un lato il fantastico, bizzarro, grottesco mondo del circo, con i suoi misteri e le sue crudeltà; dall’altra quello dell’alta borghesia, non meno pericoloso. In sintesi, il libro e i due film sono “Tre facce della stessa storia che presentano tutte letture degne di essere lette e viste per una storia che potrebbe benissimo svolgersi anche al giorno d’oggi. I prestigiatori, che siano o meno appassionati di mentalismo/spiritismo, vi troveranno molti spunti interessanti.”
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Un prezioso suggerimento dal passato: se vi fosse sfuggito, potete rimediare cogliendo dai nostri scaffali Il peso falso di Joseph Roth. Un autentico gioiello che mischia allo stile formulare dei poemi omerici, un’autentica passione d’amore e una finissima riflessione sull’essere umano, dominato dai suoi difetti, quasi deterministicamente volto verso il male, incapace di sfuggire alla tentazione del peccato, anche quando è mosso dalle migliori intenzioni. I temi sono quelli consueti della poetica di Roth, e spesso tornano anche gli stessi personaggi, che inevitabilmente cadono nella colpa: il tutto senza pessimismo né amarezza, anzi forse con una leggera sfumatura di fatalistica ironia.
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Come una diabolica matrioska le vicende biografiche dell’autore, Herbert Clyde Lewis, giornalista e scrittore americano, nato a New York da ebrei russi emigrati, si ripercuotono sul protagonista del romanzo per poi accanirsi inspiegabilmente sulle vicissitudini editoriali dell’opera che vi vogliamo consigliare, Gentiluomo in mare. Sì, perché come l’autore ebbe una vita difficile, nonostante gli incessanti sforzi profusi per affermarsi e l’indubbio talento, così il protagonista di questo delizioso romanzo breve è vittima di “una sorte bizzarra e cattiva”, per citare la splendida canzone di Lauzi-Conte, e infine la novella fu ingiustamente ignorata alla sua prima pubblicazione nel 1937 per essere poi “ripescata” (è proprio il caso di dirlo) dall’abisso dei libri dimenticati per la prima volta in Argentina nel 2010: da quel momento il successo, più che meritato anche se postumo, divenne planetario. Davvero “una perlita”, come fu definito nella recensione argentina.
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schizografia · 8 months
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Cari Fratelli Warner,
evidentemente ci sono molti modi di conquistare una città e di conservarne il dominio. Per esempio, quando questo film era ancora in fase di progetto non avevo idea che la città di Casablanca appartenesse esclusivamente alla Warner Brothers. E invece, solo pochi giorni dopo aver pubblicato il nostro annuncio, riceviamo la vostra lunga, ominosa missiva che ci intima di non usare il nome Casablanca. Sembra che nel 1471 Ferdinando Balboa Warner, il vostro bis-bis-bisavolo, mentre cercava una scorciatoia per la città di Burbank capitasse per caso sulle coste dell'Africa e, levando in aria il suo Alpenstock (barattato poi con un centinaio di acri di terra), battezzasse quel luogo Casablanca. Non riesco proprio a capire il vostro comportamento. Anche se intendete rispolverare il vostro film, sono sicuro che col tempo lo spettatore medio imparerà a distinguere Ingrid Bergman da Harpo. Io non so se ci riuscirei, ma di sicuro mi piacerebbe provarci. Voi sostenete di essere i proprietari di Casablanca e vietate a chiunque di usare questo nome senza il vostro permesso. “Ma come la mettiamo con Warner Brothers”? E' vostro anche questo? Probabilmente avete il diritto di usare il nome Warner, ma Fratelli? Professionalmente, noi siamo fratelli da molto più tempo di voi. I Marx Brothers se la sgavettavano in giro per i teatri quando il Vitaphone era ancora un sogno proibito nella mente del suo inventore, e del resto prima di noi ci sono stati altri fratelli: i Fratelli Lumière, i Fratelli Karamazov, Dan Fratelli, un esterno che giocava nel Detroit, e la canzone "Fratello, ti avanza un nichelino?" (che originariamente s'intitolava "Fratelli, vi avanza un nichelino?", ma siccome un nichelino in due era da pidocchi hanno buttato fuori un fratello e preso tutto il malloppo all'altro). E tu, Jack? Credi che il tuo sia un nome originale? Ebbene, non lo è. Si usava molto tempo prima che tu nascessi. Lì per lì mi vengono in mente due Jack: quello di "Jack e la pianta di fagioli" e Jack lo Squartatore, una figura di portata storica veramente incisiva. Quanto a te, Harry, probabilmente firmi i tuoi assegni nella ferma convinzione di essere il primo Harry di tutti i tempi; gli altri sarebbero impostori. Ma io ricordo due Harry che ti hanno preceduto. C'era Harry del faro, di rivoluzionaria memoria, e un Harry Appelbaum che abitava all'angolo fra la Novantatreesima Strada e Lexington Avenue. Purtroppo, Appelbaum non era molto noto. L'ultima volta che ho sentito parlare di lui, vendeva cravatte da Weber e Heilbroner. E veniamo allo studio Burbank. E' così che voi fratelli chiamate la vostra sede, mi pare. Il vecchio Burbank non c'è più, forse vi ricordate di lui. Era un asso del giardinaggio; sua moglie soleva ripetere che Luther aveva dieci pollici verdi. Che donna spiritosa doveva essere! Burbank era il mago che a forza di incrociare frutti e verdure li rendeva talmente scombinati e nevrotici che non sapevano mai se entrare in sala da pranzo sul piatto dei contorni o su quello del dessert.
E' solo una congettura, s'intende, ma chissà, forse i discendenti di Burbank non vedono di buon occhio quella fabbrica che si è messa a sfornare pellicole cinematografiche nel territorio della loro città, appropriandosi del nome Burbank e usandolo come copertura. E' perfino possibile che la famiglia Burbank vada più orgogliosa della patata prodotta dal vecchio che non dei vostri "Casablanca" o magari "Gold Diggers of 1931". A quanto pare mi è venuta fuori una bella filippica, ma vi assicuro che non ne avevo l'intenzione. Io "adoro" la Warner. Alcuni dei miei migliori amici sono nella Warner Brothers. E' perfino possibile che io stia commettendo un'ingiustizia nei vostri confronti e che voi, poverini, siate estranei a questo comportamento da botoli ringhiosi. Non mi sorprenderebbe affatto scoprire che i capi del vostro ufficio legale sono all'oscuro di quest'assurda diatriba, giacché io sono in buoni rapporti con molti di loro e si tratta di brave persone con i ricci neri, i completi doppiopetto e un amore per il prossimo che è più saroyaniano di Saroyan. Ho la sensazione che questo tentativo di impedirci di usare il titolo sia stato partorito dalla mente di qualche azzeccagarbugli dal musetto aguzzo, che sta svolgendo un breve apprendistato nel vostro ufficio legale. Lo conosco bene, quel genere: fresco fresco di università, affamato di successo e troppo ambizioso per seguire le naturali leggi della promozione. Questo scellerato causomane ha probabilmente istigato i vostri avvocati (che sono perlopiù brave persone con i ricci neri, i completi doppiopetto, eccetera) a tentare la diffida. Ebbene, non la passerà liscia! Gli daremo battaglia fino all'ultimo appello! Nessun esangue avventuriero legale riuscirà a spargere zizzania fra i Warner e i Marx. Dentro di noi siamo tutti fratelli, e rimarremo in armonia fino a che l'ultima bobina di Una notte a Casablanca avrà terminato di svolgersi sul suo rullo.
Ossequi,
Groucho Marx
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fiat500nelmondo · 5 months
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Fiat 500 D: la versione Sprint della Cinquecento d'epoca
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Dal 1960 la Fiat 500 D ha fatto la storia. Un auto che ha segnato un'epoca e continua anche oggi a vivere nei cuori degli appassionati.
La Fiat Nuova 500 D, conosciuta affettuosamente come "Cinquino", rappresenta un capitolo fondamentale nella storia automobilistica italiana. La sua introduzione nel 1960 segnò una svolta per la Fiat, grazie a prestazioni e finiture migliorate rispetto ai modelli precedenti. Questo articolo esplora la storia, il design, e le specifiche tecniche della Fiat 500 D, un'autovettura che ha lasciato un'impronta indelebile nel cuore degli italiani e degli appassionati di auto d'epoca.
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  La Nascita di un Simbolo: La 500 D
Nel 1960, il Salone di Torino fu testimone del lancio della nuova Cinquecento D. Questo modello, evoluzione della Nuova 500 lanciata nel 1957, si distingueva per il suo motore più potente e le rifiniture di qualità superiore. Con un bicilindrico da 499,5 cm³ e 17,5 CV, la 500 D sfiorava i 100 km/h, un notevole incremento rispetto alla versione originale.
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Un Design Funzionale
La Fiat 500 D ereditava la linea della Nuova 500 con alcune modifiche estetiche significative, tra cui un tettuccio apribile più corto e la parte posteriore del padiglione in lamiera. Il suo design compatto non era solo un simbolo di modernità, ma rispondeva anche alle esigenze di mobilità in un'epoca di grandi cambiamenti sociali e urbanistici in Italia.
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Motore e Prestazioni: Un Salto di Qualità
La Cinquecento D si distingueva per le sue prestazioni migliorate, grazie al motore derivato dalla precedente versione Sport. Con una velocità massima di circa 102 km/h, la 500 D garantiva un'esperienza di guida più dinamica, ideale per le nascenti autostrade italiane. Le modifiche apportate al motore e ai rapporti del cambio rappresentavano un progresso tecnico significativo per l'epoca.
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Economia e Accessibilità: Il Prezzo della 500 D
Nonostante le sue caratteristiche avanzate, la Fiat 500 D era venduta a un prezzo competitivo, fissato a 450.000 lire. Questa politica di prezzo accessibile contribuì notevolmente al suo successo commerciale, rendendola una scelta popolare tra gli automobilisti italiani.
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Innovazioni e Aggiornamenti: Evoluzione Continua
La 500 D vide una serie di aggiornamenti nel corso degli anni, tra cui modifiche ai deflettori, al serbatoio, e miglioramenti all'interior design come l'introduzione di un portacenere e di alette parasole imbottite. Queste innovazioni rispecchiavano le mutevoli esigenze e aspettative degli automobilisti italiani.
Colori e Stile: L'estetica della Cinquecento D
La gamma colori della Cinquecento 500 D era vasta e variava nel tempo, offrendo una scelta quasi ventennale di tinte. Dai classici avorio, blu scuro, e verde chiaro, a tonalità più vivaci come il rosso e il celeste, la Cinquecento D si presentava in una varietà di colori che rifletteva la sua personalità vivace e versatile.
La Fiat Cinquecento D nelle Città Italiane: Un Fenomeno Urbano
La Fiat 500 D divenne un elemento caratteristico delle città italiane durante gli anni del boom economico. La sua dimensione compatta e la maneggevolezza la resero l'auto ideale per gli spazi urbani, testimoniata dalla sua presenza onnipresente nelle fotografie d'epoca.
L'Eredità della D
La Cinquecento D non fu solo un'auto: divenne un simbolo di un'era, un'icona di design e ingegneria. La sua evoluzione continuò con l'introduzione della versione F nel 1965, che incorporò ulteriori miglioramenti in termini di sicurezza e design. L'ingegner Dante Giacosa, padre della 500, continuò a guidare queste innovazioni, assicurando alla 500 un posto nella storia dell'automobilismo. Con oltre 640.000 esemplari prodotti, la 500 D rimane una delle auto più amate e ricordate, un simbolo di un'epoca di cambiamento e progresso.
E voi?
Avete storie o aneddoti particolari che legano voi o la vostra famiglia a questo iconico modello? Condividete con noi le vostre esperienze personali e ciò che la Fiat 500 D significa per voi! Read the full article
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chez-mimich · 9 months
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MANODOPERA
Intitolare un film “Manodopera”, quando il titolo in lingua originale è “Interdit aux chiens et aux Italiens” è una scelta molto discutibile, ma si sa che a decidere è la distribuzione, secondo le regole del mercato e non certo il regista. Passiamo allora a parlare del film di Alain Ughetto, francese di origine italiane, che ha debuttato con questo gioiellino al Festival internazionale del film d’animazione di Annecy del 2022. Si tratta di un film scarno che non concede quasi nulla allo spettacolo (anzi alla spettacolarizzazione), un film poetico come capita, sempre più spesso, per i film di animazione che per capacità narrativa non sono certo meno efficaci del cinema tradizionale. Il film, se non strettamente autobiografico, è comunque un film sugli antenati del regista originari di Ughettera, una frazione di Giaveno, paese ai piedi del Monviso. Ed è proprio tra questa montagne che conduce la propria misera esistenza la famiglia Ughetto, i cui componenti sono costretti a migrare oltre confine nella vicina Francia per lavorare come muratori, manovali, spazzacamini. Una Patria, quella italiana, che si è sempre o molto spesso, dimenticata dei proprio figli, quando erano economicamente bisognosi, ma poi se ne è sempre ricordata al momento di inviarli in guerra. Non è una storia nuova, si sa, ma è una storia di chi non vuol vedere un certo “patriottismo” di maniera, vivo e vegeto, anche ai nostri giorni. Alain Ughetto escogita un dolcissimo, ma altrettanto geniale dialogo a distanza con la nonna che sembra essere il tramite tra gli avi e la contemporaneità. Non era certo impresa facile rendere con la plastilina e le tecnica dello stop-motion, una gamma di emozioni così intense e sentimenti così amari come quelli dei protagonisti di questa storia, ma Ughetto è riuscito a ricostruire questa saga famigliare fatta di sofferenza e umiliazione, una saga di quel “mondo dei vinti” come lo chiamò il grande scrittore piemontese Nuto Revelli, a cui il film è idealmente dedicato. “Interdit aux chiens et aux italiens” è come voler dire “sono troppi” o magari “ci vuole il blocco navale” oppure “portateli a casa vostra” e tutto l’armamentario di espressioni para-razziste che riempie tutti i giorni le pagine dei social, le pagine di alcuni giornali e che purtroppo, viene sbraitato da troppi italiani. Fortunatamente il mondo del cinema sembra aver “preso coscienza” (uso del tutto volontariamente un’espressione da anni Settanta) del problema che non è quello dei migranti, ma quello del razzismo e della incapacità di gestire un esodo causato dall’ingiustizia sociale. Prossima puntata “Io capitano” di Matteo Garrone…
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140eoltre · 11 months
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"− Dal punto di vista della vita privata? Io ho deciso di vivere come figlia, non ho mai pensato di avere un'altra famiglia. Questo come donna mi ha reso più libera di impiegare tempo e tenacia per ciò che volevo fare. Mi stava a cuore l'amore inteso come conquista, il piacere di piacere. Come con il pubblico: piacevo agli spettatori, conquistavo gli uomini. − Una volta conquistati non le interessavano più? Purtroppo questo era un mio difetto. È una cosa che oggi non farei, mettere via tutti quegli uomini che ho messo via. Probabilmente anche il marito serve, col tempo diventa un compagno, un complice, una persona di fiducia. Questo io non ce l'ho perché non ho mai voluto sposarmi. Ho una struttura da dongiovanna. E me ne sono pentita, di mariti se ne sono proposti diversi e io ero fuggitiva, ma è stato sbagliato perché adesso mi farebbe piacere. − Ha tanti amici? Sì, ma non è proprio lo stesso. Da piccola volevo scrivere i nomi di tutti quelli che avevo conquistato, era una lunga fila. E si è allungata per tanti anni. Finché il mio ultimo compagno, molto più giovane di me, è morto in un incidente d'auto. Da allora penso: potrei fare un elenco di tutti gli amici e le amiche che ho. Sono elenchi allegri. Io sono innamorata dell'amore. − Non rimpiange la mancanza di figli? No, non avevo nessun interesse per i figli. Pensavo solo al mio nome e all'amore, che è un grande antidoto contro la morte. E anche se adesso non ho un innamorato, penso che potrei averlo benissimo nonostante io sia grande. Mi servirebbe, contro la malattia, la morte. − La morte le fa paura? Non riesco ad accettarla, perché amo molto la vita. Prima di andare via, spero di trovare un modo per godermi tutto il tempo che sto qua, in maniera piena. − Diceva che si è sempre sentita «diversa»: fin da bambina? Abbastanza. Credo di essere una persona un po' originale, ho dentro una forza canterina. Questo, unito a una visione tragica, fa di me una persona singolare. Poi, siccome non sono andata a scuola e ho sempre vissuto di fantasia, è facile che nel bisogno io chieda aiuto a me stess a anziché ai libri. − Se non andava a scuola, non aveva compagni. Si sentiva sola? Sì. Da una parte vedevo i ragazzi che andavano a scuola e pensavo: poveretti devo alzarsi, prendere paura del maestro... sa, io temevo molto i rimproveri. Dall'altra avevo molto tempo a disposizione, le ore diventavano lunghe, anche quando stavo a lavorare in sartoria. Questo procedeva di pari passo con i traumi: portare la mamma (che era bipolare, ndr) al manicomio, vedere mio padre criticato. Ma io li ho affrontati anche con aria canterina, e non ho mai voluto abbandonare i miei genitori.
PIERA DEGLI ESPOSTI intervistata da Marina Cappa per Vanity Fair n. 48 del 4 dicembre 2019
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canesenzafissadimora · 9 months
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Oggi il nonno compra le stesse cose dei suoi nipoti, non è mai successo nella storia umana. Quella differenza era un fatto salutare, ognuno viveva il tempo giusto della sua esistenza. Oggi i genitori vogliono essere più giovani dei figli, tutto questo appiattisce e amicalizza un rapporto che invece deve essere fondato sul riconoscimento dei ruoli. Non esiste più il capitano, il punto di riferimento. È forse il compimento del ‘68, dalla rivolta anti-autoritaria. Ma ora una generazione che ha contestato i padri è diventata serva dei propri figli. Non è capace di dire i no, di orientare senza usare l’autoritarismo, ma l’esperienza.
C’è un armistizio: io ti faccio fare quello che vuoi, tu non mi infliggi la tensione di un conflitto.
Ma così si spegne il desiderio di autonomia, l’ansia di recidere i cordoni, l’affermazione piena della propria identità.
Il conflitto generazionale è sparito. E non è un bene».
«Se hai tutto, non cerchi nulla. Una delle applicazioni di intelligenza artificiale più usate dai ragazzi si chiama “Replica”. Non è assurdo? Ogni generazione ha cercato di creare, non di replicare. Si voleva non ribadire, ma stupire, non accettare il frullato di quello che c’è, ma l’invenzione del nuovo.
Noi stiamo diventando soli e ne siamo contenti. Abbiamo smesso di parlarci. Nelle scuole, in famiglia, nelle sezioni, nelle parrocchie, nei circoli o nelle piazze. Se vogliamo salvarci dobbiamo disallinearci, dobbiamo rinunciare all’ovvio, vivere la vita da un punto di vista originale. Non dobbiamo replicare, dobbiamo inventare».
E la sessualità?
«Oggi è vissuta senza desiderio. I ragazzi che frequentano giovanissimi i siti porno aumentano la fruizione ma finiscono col banalizzare il meraviglioso mistero del sesso. L’erotismo è scoperta, non fruizione. Casanova diceva “L’erotismo è l’attesa” e invece ora è tutto spiattellato. Troppo e troppo presto. Celebriamo la libertà sessuale uccidendo l’erotismo.
Paolo Crepet
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Kōkyōkyoku delle anime dei mafiosi.
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The history of this Au is translated in Italian and English.
Before starting with the story, we want you to know that this Au only takes place in a fictitious Italy (obviously) and that in this Au the surface (by surface we mean Italy) is divided into two territories. And those territories are: The human territory and the monster territory.
-Storia di questo Au:
La storia di questo Au nasce a Lucivirona nell'anno 180X, dove ci sono solo due bande:
La Banda degli Umani e La Banda dei Mostri.
Spesso entrambe le bande gareggiavano per i loro territori: il Territorio Umano chiamato: Determinazyorona e il Territorio dei Mostri chiamato: Nuova Verona di Speranza.
Uno dei principali leader della Banda dei Mostri erano: Asgore, Gaster (in questo Au Gaster fu ucciso da alcuni umani) e Toriel.
Ci fu un tentativo di tregua ed entrambe le bande pensarono addirittura di firmare un trattato di pace e di ottenere che gli umani mandassero una giovane ragazza chiamata: Kyrith come loro ambasciatrice a Nuova Verona di Speranza per essere adottata dalla famiglia Dreemurr e questa fu una prova per vedere se i mostri e gli umani potessero firmare il trattato di pace.
Ma Kyrith è stata uccisa da alcuni mostri. Asriel ha cercato di proteggere Kyrith da quei mostri, quei mostri, vedendo che Asriel stava proteggendo Kyrith, hanno colpito Asriel, lasciandolo gravemente ferito e debole.
Dopo essere stato colpito, Asriel ha afferrato il corpo di Kyrith ed è andato all'ingresso del territorio umano e proprio lì Asriel lasciò il corpo di Kyrith e se ne andò per tornare a casa sua. Asriel arrivò a casa e cadde a terra, fortunatamente Toriel riuscì a curarlo.
Gli umani vennero a conoscenza della morte di Kyrith e ruppero il trattato di pace.
Dopo tutto questo, Asgore ha detto a tutti i mostri che qualsiasi essere umano che oserà entrare nel loro territorio verrà ucciso senza pietà.
A causa di ciò che disse Asgore, Toriel divorziò da lui, abbandonò la sua posizione di leader della banda di mostri e andò a vivere in un'altra zona della città con Asriel.
-Due anni dopo: Anno 182X-
Una giovane donna di nome: Kaira è entrata nel territorio dei mostri, alcuni mostri l'hanno vista e hanno cercato di ucciderla, per fortuna Toriel stava passando e l'ha salvata.
Toriel voleva adottarla ma a causa di problemi finanziari non poteva, Toriel portò Kaira a casa Skelebros.
Sans e Papyrus la accolsero e la adottarono come un'altra sorella, gli anni passarono e Kaira divenne la leader degli skelebros.
In questo Au Toriel è riuscito finalmente ad adottare Kaira, tuttavia Kaira è ancora la "sorella" e leader degli skelebros.
In questo Au Kaira ha le capacità dei 6 giovani entrati nel territorio dopo Kyrith.
In questo Au Kyrith è l'amico di Kaira, un giovane fantasma che solo Kaira può vedere e sentire.
In questo la personalità di Au Asriel è simile a quella della sua versione originale.
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-History of this Au:
The story of this Au arises in Lucivirona in the year 180X, where there are only two gangs:
The Gang of Humans and The Gang of Monsters.
Frequently, both gangs competed for their territories: The Human Territory called: Determinazyorona and The Monster Territory called: New Verona di Speranza.
One of the main leaders of the Gang of Monsters were: Asgore, Gaster (in this Au Gaster was killed by some humans) and Toriel.
There was an attempt at a truce and both bands even thought about signing a peace treaty and to achieve that the humans sent a young girl called: Kyrith as their ambassador to New Verona di Speranza to be adopted by the Dreemurr family and this was a test for see if the monsters and humans could sign the peace treaty.
But, Kyrith was killed by some monsters.
Asriel tried to protect Kyrith from those monsters, those monsters, seeing that Asriel was protecting Kyrith, hit Asriel, leaving him very badly injured and weak.
After being hit, Asriel grabbed Kyrith's body and went to the entrance to the human territory and right there Asriel left the Kyrith's body and left to return to his home. Asriel arrived at his house and fell to the ground, fortunately Toriel was able to heal him.
The humans learned of Kyrith's death and broke the peace treaty.
After all this, Asgore told all the monsters that any human who dares to enter his territory will be killed without mercy.
Because of what Asgore said, Toriel divorced him, abandoned his position as leader of the monster gang, and went to live in another area of the city with Asriel.
-Two years later: Year 182X-
A young lady named: Kaira entered the monster territory, some monsters saw her and tried to kill her, luckily Toriel was passing by and rescued her.
Toriel wanted to adopt her but due to financial problems he couldn't, Toriel took Kaira to the Skelebros' house.
Sans and Papyrus welcomed her and adopted her as another sister, the years passed and Kaira became the leader of the skelebros.
In this Au Toriel was finally able to adopt Kaira, however Kaira is still the "sister" and leader of the skelebros.
In this Au Kaira has the abilities of the 6 young people who entered the territory after Kyrith.
In this Au Kyrith is Kaira's friend, a young ghost that only Kaira can see and hear.
In this Au Asriel's personality is like the original version of him.
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artistdinzel · 2 years
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gregor-samsung · 1 month
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" Sto qui, sulla soglia di un altro mondo palpitante. Possa Dio avere pietà della mia anima. Sono pieno di tristezza perché so di aver spezzato il cuore della mia povera madre e perché la mia famiglia è stata colpita da un’angoscia insopportabile. Ma ho considerato tutte le possibilità e ho cercato con tutti i mezzi di evitare ciò che è divenuto inevitabile: io e i miei compagni vi siamo stati costretti da quattro anni e mezzo di vera e propria barbarie. Sono un prigioniero politico. Sono un prigioniero politico perché sono l’effetto di una guerra perenne che il popolo irlandese oppresso combatte contro un regime straniero, schiacciante, non voluto, che rifiuta di andarsene dalla nostra terra. Io difendo il diritto divino della nazione irlandese all’indipendenza sovrana, e credo in essa, così come credo nel diritto di ogni uomo e donna irlandese a difendere questo diritto con la rivoluzione armata. Questa è la ragione per cui sono carcerato, denudato, torturato. "
Bobby Sands, Un giorno della mia vita, introduzione di Sean MacBride, Premio Nobel per la Pace, e di Gerry Adams, Presidente dello Sinn Féin; traduzione e cura di Silvia Calamati, Edizioni Associate, Roma, 1989¹; p. 115.
[Edizione originale: One Day in My Life, The Mercier Press, Cork, Ireland, 1982]
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multiverseofseries · 1 month
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Wednesday: Essere un Addams oggi
Mercoledì, la serie tv firmata da Tim Burton che porta su Netflix i personaggi de La Famiglia Addams, costruendo un racconto Young Adult a tinte dark che diverte e convince.
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Strano è chi lo strano fa. Con questa parafrasi della citazione cult di Forrest Gump viene spontaneo riferirsi a Mercoledì la serie fenomeno, del 2022, firmata da Tim Burton che ha portato la Famiglia Addams, su Netflix. Un outsider che racconta un'altra outsider, con la benevola accettazione che il ruolo richiede, con quel compiacimento inevitabile e sacrosanto per quell'anima dark che gli Addams incarnano da sempre.
Una scuola speciale
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Mercoledì: una scena della serie Netflix
La chiave di accesso al mondo degli Addams per Tim Burton è Mercoledì, la figlia adolescente, un personaggio che permette al regista e agli autori della serie, Alfred Gough e Miles Millar, di declinare quello specifico mondo dark con un approccio narrativo originale e appetibile per il target primario della piattaforma streaming, virando verso il teen drama a sfondo soprannaturale, con tanto di mistero di fondo e toni da commedia nel condurci tra i corridoi e le aule delle Nevermore Academy, la scuola per studenti speciali in cui la protagonista viene dirottata dopo uno spiacevole incidente nella struttura scolastica che frequentava in precedenza. In questo nuovo ambiente Mercoledì deve imparare a padroneggiare i propri poteri psichici, ma anche far luce su eventi che hanno coinvolto la sua famiglia venticinque anni prima e su una serie di omicidi che sta mettendo in pericolo gli abitanti della cittadina in cui si trova la scuola.
Dentro e fuori il mondo Addams
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Mercoledì: una scena della serie Netflix
Alfred Gough e Miles Millar sono noti per essere stati autori di Smallville e a pensarci bene non è tanto diversa l'operazione che hanno compiuto su Mercoledì: attingere a un popolare franchise per guardarlo da una prospettiva diversa. Se nel caso della serie WB (poi CW) avevano scelto di raccontare gli anni da liceale (almeno nelle prime stagioni) di Clark Kent, qui si fa qualcosa di simile nel mostrarci una Mercoledì a contatto con la quotidianità scolastica e con il relativo circondario, costringendola a confrontarsi con un mondo che vive secondo regole che fa fatica ad accettare e, soprattutto, capire. Mercoledì "vede il mondo in bianco e nero", a dirlo è Tim Burton stesso, nel corso della presentazione della serie al Lucca comics di due anni fa, ed è la stessa visione ch eporta avanti lui stesso al punto da renderlo un suo marchio di fabbrica, un impronta riconoscibilissima e caratterizzante. Tim Burton, regista dei primi quattro episodi della serie, fa suo il punto di vista di Mercoledì e ci propone il mondo attraverso i suoi occhi, ma si diverte a guardare anche al quotidiano della ragazza e della sua peculiare famiglia dall'esterno.
Sotto il segno di Edgar Allan Poe… e Tim Burton
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Mercoledì: Jenna Ortega, protagonista della serie Netflix
E Tim Burton fa questa operazione divertendosi a giocare con la cultura popolare, soprattutto quella che è più vicina al mondo interiore della protagonista di Mercoledì: ci si muove così sotto il segno di Edgar Allan Poe, si ammicca al Carrie di Brian De Palma, si propongono cover al violoncello di canzoni popolari come Paint it Black o Nothing Else Matters dei Metallica. Gioca, Tim Burton, e quando si gioca si arriva in modo naturale a un traguardo importante: divertire. In questo Mercoledì funziona benissimo, perché ci immerge con gusto e con brio nel mondo in bianco e nero della giovane Addams, sintonizzandoci sulla sua particolare visione della vita, lasciandoci empatizzare con lei nel confronto/scontro con il mondo normale laddove ci si trova a muoversi, ma affascinati da quello fuori dal comune che la Nevermore accoglie, protegge e guida.
L'indagine di Mercoledì
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Mercoledì: La protagonista al violoncello nella serie Netflix
Questo gioco e questa rivisitazione del mondo Addams funziona, diverte, intrattiene, ben sostenuto dalle spalle della protagonista Jenna Ortega, figura centrale di un casting ben costruito: la giovane attrice propone una versione originale, credibile e adeguatamente infastidita dal mondo di Mercoledì, ne incarna tristezza e disappunto, prontezza di spirito e brillante fastidio; la guida con sicurezza tra le maglie della storia, anche laddove l'intreccio si rivela un po' troppo esile sul fronte del mistero e dell'indagine che comporta. Non un peccato mortale, perché quello che conta nell'accoglierci e condurci nel triste mondo di Mercoledì è il tono, l'approccio che ci è sembrato quello giusto per rivisitare e raccontare in modo diverso questi personaggi, rendendo l'operazione sensata e riuscita.
In conclusione troviamo un Tim Burton giocoso e coerente con se stesso e che si dimostra capace di rivisitare con la serie Mercoledì il mondo de La famiglia Addams in modo originale e intrigante. Il regista è aiutato da una Jenna Ortega immensa calata perfettamente nel ruolo, efficacissima nel proporre un ritratto originale e coerente della protagonista, rendendosi motore del racconto e perno attorno a cui far ruotare un cast ben costruito.
👍🏻
La protagonista Jenna Ortega, una Mercoledì originale e coerente.
Il tono scelto da Tim Burton, che si diverte anche a giocare con la cultura popolare.
L’approccio scelto per rivisitare il mondo Addams in una chiave diversa.
👎🏻
Nulla.
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abatelunare · 2 months
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Tariffe parecchio salate
Ray era un giocatore di baseball. Dico era perché una malattia degenerativa fa sì che non lo sia più. Acquista una casetta con piscina in cui si trasferisce con la famiglia. E, insperatamente, la sua sclerosi migliora in modo sosprendente. Peccato vi sia un prezzo da pagare. E pure bello salato. Night swim è un horror dalla storia sicuramente poco originale. Però il regista la racconta benissimo. Mantenendo molto alta la tensione. Si ha sempre la sensazione che stia per accadere qualcosa di terribile. Che in effetti accade. L'importante, qui, non sono gli effetti speciali o la minaccia soprannaturale. Conta l'atmosfera, resa con abile mestiere. Il che permette di sorvolare su alcune ingenue incongruenze. Mi ha sorpreso. Perché mi aspettavo qualcosa di molto peggio.
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Michele Romano (27 giugno 1980) è un politico,giornalista libico di origini italiane, fondatore del partito Movimento nazionale sociale e ministro della cultura ed ex militare.
È attualmente sposato con Giorgia Grieco
Breve biografia
Michele Romano nasce il 27 giugno 1980 a Benghazi in una famiglia libica che ha sempre rifiutato l'identità araba, di origini napoletane e di religione cattolica  romana discedente dai colonialisti italiani che aveva portato Benito Mussolini in Libia.
Nel 2000, Michele iniziò a lavorare come giornalista e insegnante fino al 2022 sempre nella città di Benghazi.
Michele ebbe due figli maschio e femmina soltanto nel 2005,un anno dopo dal matrimonio con Giorgia Grieco nel 2004.
Nel 2023, Michele continuò a lavorare come giornalista e si unisce al partito Fasci di combattimento di Felix Foster e venne reclutato come militare dove inizia a servire nelle campagne militari in Libia e in Egitto con successo militare aiutando Felix nel neo colonialismo, nel neo fascismo e collaborò anche di deportare Margherita Sforno in Tunisia dove venne uccisa da Marwan Ibn Youssef e Paola Levi in Israele quando Felix interrompe la relazione con quest'ultima.
Michele riuscì in seguito a fuggire  e sopravvivere anche con la morte di Felix Foster ucciso dai ribelli libici di Muhammad al-Husseini in modo brutale insieme alla sua amante Esmeralda Messina.
Il 14 febbraio, Michele si trasferisce a Tripoli insieme alla sua famiglia e avvia una riconciliazione nazionale con il presidente libico Muhammad al-Husseini che il quale gli permette di mantenere i diritti di minoranza attraverso "The people of book" del Corano essendo un cristiano,fondare il partito Movimento nazionale sociale e dire quello che gli pare attraverso il diritto di opinione ma non gli fu permesso di riportare il partito originale Fasci di combattimento e il neo colonialismo che violerebbero appunto la costituzione libica ma Michele si oppone non essendo d'accordo e non si pentì mai di aver sostenuto Felix Foster fino al giorno della sua morte e sconfitta.
Il 19 febbraio, Michele fa un patto atlantico con il presidente statunitense James Sawyer se ha bisogno di un alleato anticomunista.
Il 20 febbraio, Michele fu felice che Felix Foster è ritornato in vita e fece alleare il suo partito Movimento nazionale sociale con il partito di Felix Foster, Partito Nazionale Fascista.
Il 7 marzo, Michele viene sconvolto dal fatto che Felix Foster è stato ferito da un attentatore dello Stato Islamico e viene nominato come ministro della cultura dal presidente libico Muhammad al-Husseini sostituinendo il precedente ministro.
Significato del nome:
Michele è un nome italiano di origini ebraiche che significa "Chi è come Dio"
Personalità:
L’uomo cancro ascendente vergine è un uomo tranquillo e discreto, ma molto efficace in quello che intraprende, anche se si tratta solo di cose che è sicuro di poter fare. Non gli piace correre rischi e molte situazioni gli causano ansia. La sua sensibilità può essere facilmente ferita, quindi è meglio che si circonda di persone dolci e comprensive. È un uomo corretto che non tradirebbe mai la fiducia di nessuno. Quello dell'uomo Cancro Ascendente Vergine è un carattere carismatico e determinato, onesto e dai forti valori etici.
Informazioni:
Data di nascita: 27 giugno 1980
Luogo di nascita: Benghazi,Libia
Luogo di residenza: Tripoli,Libia
Nazionalità: Libico
Origini: Italiane
Segno zodiacale: Cancro
Professione: Politico,giornalista e ministro della cultura
Partito politico:
-Fasci di combattimento (2023) -Movimento nazionale sociale (2023-in corso)
Religione: Cristiano cattolico
Lingue: Italiano,Inglese e arabo
Restrizioni:
-Non può esaltare Felix Foster e le sue opere neo fasciste e neo colonialiste per scopi propagandisti
-Non può esporre al pubblico i simboli neo fascisti e nemmeno i libri che riguardano Felix Foster
-Non può fare il saluto romano
Con con chi interagisce:
-Felix Foster, capo del Partito Nazionale Fascista
-Presidente libico Muhammad al-Husseini
-Italiani che aveva importato Felix Foster e libici di origini italiane che aveva importato Benito Mussolini
-Justice and Construction Party (Fratellanza musulmana)
-Presidente statunitense James Sawyer
Parenti:
Vincenzo Romano (nonno,deceduto)
Isabella Fontana (nonna,deceduta)
Carlo Romano (padre)
Rachele Leone (madre)
Giorgia Grieco (moglie)
Matteo Romano (figlio)
Lucia Romano (figlia)
Francesco Romano (fratello)
Stefania Colombo (cognata acquisita)
Marco Romano (nipote)
Prestavolto:
Giorgio Almirante
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ambrenoir · 9 months
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Mia mamma non amava i Beatles. Ai genitori di oggi piacciono i Maneskin. Il conflitto è diventato una sorta di baratto. La rivoluzione dei ragazzi è stata taciuta dalla comunità, che l’ha avvolta in un conservatorismo estremo. Pasolini sarebbe molto preoccupato, la sua denuncia del consumismo si è inverata. Oggi il nonno compra le stesse cose dei suoi nipoti, non è mai successo nella storia umana. Quella cesura era un fatto salutare, ognuno viveva il tempo giusto della sua esistenza. Oggi i genitori vogliono essere più giovani dei figli, tutto questo appiattisce e amicalizza un rapporto che invece deve essere fondato sul riconoscimento dei ruoli. Non esiste più il capitano, il punto di riferimento. È forse il compimento del ‘68, dalla rivolta antiautoritaria. Ma ora una generazione che ha contestato i padri è diventata serva dei propri figli. Non è capace di dire i no, di orientare senza usare l’autoritarismo, ma l’esperienza. C’è un armistizio: io ti faccio fare quello che vuoi, tu non mi infliggi la tensione di un conflitto. Ma così si spegne il desiderio di autonomia, l’ansia di recidere i cordoni, l’affermazione piena della propria identità. Il conflitto generazionale è sparito. E non è un bene».
«Se hai tutto, non cerchi nulla. Una delle applicazioni di intelligenza artificiale più usate dai ragazzi si chiama “Replica”. Non è assurdo? Ogni generazione ha cercato di creare, non di replicare. Si voleva non ribadire, ma stupire, non accettare il frullato di quello che c’è, ma l’invenzione del nuovo. Noi stiamo diventando soli e ne siamo contenti. Abbiamo smesso di parlarci. Nelle scuole, in famiglia, nelle sezioni, nelle parrocchie, nei circoli o nelle piazze. Se vogliamo salvarci dobbiamo disallinearci, dobbiamo rinunciare all’ovvio, vivere la vita da un punto di vista originale. Non dobbiamo replicare, dobbiamo inventare».
E la sessualità?
«Oggi è vissuta senza desiderio. I ragazzi che frequentano giovanissimi i siti porno aumentano la fruizione ma finiscono col banalizzare il meraviglioso mistero del sesso. L’erotismo è scoperta, non fruizione. Casanova diceva “L’erotismo è l’attesa” e invece ora è tutto spiattellato. Troppo e troppo presto. Celebriamo la libertà sessuale uccidendo l’erotismo
Paolo Crepet
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