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#diritto coloniale
Il colonialismo eterno tra progresso e progressismo
Il colonialismo è spesso visto come un’opera sanguinaria di invasori e sfruttatori, ma se si indaga più a fondo si scoprirà facilmente che la storia coloniale è diversa da come sinora ci è narrata imponendoci una visione estremamente manipolata.Innumerevoli nomi, opere ed eventi sono stati cancellati. Documenti storici alterati se non nascosti dai cani da guardia del passato.Attraverso la…
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crazy-so-na-sega · 2 months
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L’idea che il sionismo sia un colonialismo di insediamento non è nuova. Gli studiosi palestinesi che negli anni ’60 lavoravano a Beirut nel Centro di Ricerca dell’OLP avevano già capito che quello che stavano affrontando in Palestina non era un progetto coloniale classico. Non inquadravano Israele solo come una colonia britannica o americana, ma lo consideravano un fenomeno che esisteva in altre parti del mondo, definito come colonialismo di insediamento. È interessante che per 20-30 anni la nozione di sionismo come colonialismo di insediamento sia scomparsa dal discorso politico e accademico. È tornata quando gli studiosi di altre parti del mondo, in particolare Sudafrica, Australia e Nord America, hanno concordato che il sionismo è un fenomeno simile al movimento degli europei che hanno creato gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia, la Nuova Zelanda e il Sudafrica. Questa idea ci aiuta a comprendere molto meglio la natura del progetto sionista in Palestina dalla fine del XIX secolo ad oggi, e ci dà un’idea di cosa aspettarci in futuro.
Credo che questa particolare idea degli anni ’90, che collegava in modo così chiaro le azioni dei coloni europei, soprattutto in luoghi come il Nord America e l’Australia, con le azioni dei coloni che arrivarono in Palestina alla fine del XIX secolo, abbia chiarito bene le intenzioni dei coloni ebrei che colonizzarono la Palestina e la natura della resistenza locale palestinese a quella colonizzazione. I coloni seguirono la logica più importante adottata dai movimenti coloniali di insediamento, ossia che per creare una comunità coloniale di successo al di fuori dell’Europa è necessario eliminare gli indigeni del Paese in cui ci si è stabiliti. Ciò significa che la resistenza indigena a questa logica è stata una lotta contro l’eliminazione e non solo di liberazione. Questo è importante quando si pensa all’operazione di Hamas e di altre operazioni di resistenza palestinese fin dal 1948.
Gli stessi coloni, come nel caso di molti europei che arrivarono in Nord America, America Centrale o Australia, erano rifugiati e vittime di persecuzioni. Alcuni di loro erano meno sfortunati e cercavano semplicemente una vita e delle opportunità migliori. Ma la maggior parte di loro erano emarginati in Europa e cercavano di creare un’Europa in un altro luogo, una nuova Europa, invece dell’Europa che non li voleva. Nella maggior parte dei casi, hanno scelto un luogo in cui viveva già qualcun altro, i nativi. Quindi il nucleo più importante tra loro era quello dei leader e ideologi che fornivano giustificazioni religiose e culturali per la colonizzazione della terra di qualcun altro. A questo si può aggiungere la necessità di affidarsi a un Impero per iniziare la colonizzazione e mantenerla, anche se all’epoca i coloni si ribellarono all’Impero che li aveva aiutati e chiesero e ottennero l’indipendenza, che in molti casi ottennero e poi rinnovarono l’alleanza con l’Impero. Il rapporto anglo-sionista che si è trasformato in un’alleanza anglo-israeliana è un esempio.
L’idea che si possa eliminare con la forza il popolo della terra che si vuole, è probabilmente più comprensibile – non giustificata – sullo sfondo dei secoli XVI, XVII e XVIII, perché andava di pari passo con la piena approvazione dell’imperialismo e del colonialismo. Era alimentato dalla comune disumanizzazione degli altri popoli non occidentali e non europei. Se si disumanizzano le persone, è più facile eliminarle. L’aspetto unico del sionismo come movimento coloniale di insediamento è che è apparso sulla scena internazionale in un momento in cui le persone di tutto il mondo avevano iniziato a ripensare il diritto di eliminare gli indigeni, di eliminare i nativi e quindi possiamo capire lo sforzo e l’energia investiti dai sionisti e successivamente dallo Stato di Israele nel cercare di coprire il vero obiettivo di un movimento coloniale di insediamento come il sionismo, che era l’eliminazione dei nativi.
Ma oggi a Gaza stanno eliminando la popolazione nativa davanti ai nostri occhi, quindi come mai hanno quasi rinunciato a 75 anni di tentativi di nascondere le loro politiche di eliminazione? Per capirlo, dobbiamo apprezzare la trasformazione della natura del sionismo in Palestina nel corso degli anni. (segue nel link)
molto interessante
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blogitalianissimo · 3 months
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Ciao, sto seguendo per quel che posso i tuoi reblog a proposito della guerra in Palestina. Stando a Wikipedia, sezione ventunesimo secolo, l'ultimo conflitto tra le due parti risale al 2021 con 11 giorni di scontro per poi arrivare ad una tregua, se così può essere chiamata. Si è ripreso con l'attentato della Palestina (o Hamas) ad ottobre 2023 per arrivare fino ad oggi. Non mi torna il fatto di non citarlo quasi mai, o meglio, si parla di tutto ciò come se tutta la colpa ricadesse solo ed esclusivamente su Israele stesso. Mi piacerebbe creare una discussione normale, sperando di non offendere ecc., sono uno che appoggia l'indipendenza di entrambi gli stati (anche se poi mi sa di situazione simil Corea).
"si parla di tutto ciò come se tutta la colpa ricadesse solo ed esclusivamente su Israele stesso", perché è esattamente così.
In breve ed in modo estremamente semplicistico, e chiedo scusa se sarò (come molto probabile) imprecisa: Israele è un esperimento coloniale da parte di europei di origine ebrea che spinti dall'ideologia sionista hanno deciso di colonizzare la cosiddetta "terra promessa", volevano una "loro patria" e si sono quindi sentiti in diritto di levarla agli abitanti della Palestina. Già dall'ottocento ci sono state migrazioni da parte degli europei per colonizzare pezzi di territorio palestinese, e nel 48 addirittura la fondazione di uno Stato che non dovrebbe nemmeno esistere in quanto frutto di una massiccia colonizzazione europea.
La ripartizione del territorio, come dici tu, c'è stata da parte dell'ONU (oltre ad altri tentativi di una pace tra israeliani e palestinesi), ovviamente in modo assolutamente impari e a favore dei coloni europei, che comunque non contenti hanno continuato e stanno continuando a colonizzare il territorio palestinese, adottare politiche di apartheid e bombardare civili palestinesi, perché il sionismo punta all'intera colonizzazione della "terra promessa", e i palestinesi non sono "graditi".
Le reazioni violente in risposta ad Israele non sono altro che il frutto di soprusi che la Palestina sta subendo da oltre 75 anni, ed è assolutamente imparagonabile la "forza" palestinese a quella israeliana. Israele ha tutto l'Occidente che l'appoggia, essendo appunto uno "Stato" fondato dagli europei, è come se si stesse paragonando un bambino con una fionda ad un uomo armato fino ai denti.
Perciò no, non sono assolutamente d'accordo con la coesistenza dei due stati, la Palestina ai palestinesi, e i sionisti* se ne tornassero in Europa/Occidente.
*edit: invece nulla in contrario all'integrazione delle persone decenti
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gregor-samsung · 4 months
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" Dopo la seconda guerra mondiale al sionismo è stato permesso di diventare un progetto coloniale, in un periodo in cui il colonialismo veniva rifiutato dal mondo civilizzato, perché la creazione di uno stato ebraico offriva all’Europa, e in particolare alla Germania occidentale, una facile via d’uscita dai peggiori eccessi dell’antisemitismo. Israele è stato il primo a riconoscere «una nuova Germania»; in cambio ha ricevuto molti soldi, ma anche, cosa ben più importante, carta bianca per trasformare l’intera Palestina in Israele. Il sionismo si è posto come soluzione all’antisemitismo, ma è diventato la ragione principale della sua prolungata presenza. Questo «patto» non è nemmeno riuscito a sradicare il razzismo e la xenofobia che ancora si trovano nel cuore dell’Europa, e che hanno prodotto il nazismo nel continente e un brutale colonialismo al di fuori di esso. Che il razzismo e la xenofobia siano ora rivolti contro i musulmani e l’islam è un fatto intimamente connesso alla questione israelo-palestinese, e potrebbe essere ridimensionato una volta trovata una risposta autentica a tale questione. Tutti meritiamo un finale migliore per la storia dell’Olocausto. Questo potrebbe comprendere una Germania fortemente multiculturale che indichi la strada al resto d’Europa, una società statunitense che affronti con coraggio i crimini razziali del suo passato, un mondo arabo che estrometta barbarie e disumanità… Ma niente del genere può accadere se continuiamo a cadere nella trappola di trattare i miti come verità assolute. La Palestina non era vuota e il popolo ebraico aveva altri luoghi da poter chiamare casa, la Palestina è stata colonizzata – non «redenta» –, e la sua gente non se ne è andata volontariamente nel 1948, ma è stata espropriata. I popoli colonizzati, anche secondo la Carta delle Nazioni Unite, hanno il diritto di lottare per la loro liberazione, anche con un esercito, e la conclusione positiva di tale lotta sta nella creazione di uno stato democratico che includa tutti i suoi abitanti. "
Ilan Pappé, Dieci miti su Israele, traduzione di Federica Stagni, postfazione di Chiara Cruciati, Tamu editore, 2022. [Libro elettronico]
[Edizione originale: Ten Myths About Israel, New York: Verso, 2017]
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curiositasmundi · 5 months
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[...] Come giornaliste, giornalisti, video e fotoreporter siamo sconvolti dal massacro dei nostri colleghi, delle nostre colleghe e delle loro famiglie da parte dell'esercito israeliano. Siamo al fianco dei nostri colleghi e delle nostre colleghe di Gaza. Senza di loro, molti degli orrori sul campo rimarrebbero invisibili. Ci uniamo alle nostre colleghe e ai nostri colleghi statunitensi e francesi nel sollecitare la fine delle violenze contro i e le professioniste dell’informazione a Gaza e in Cisgiordania, e per invitare i responsabili delle redazioni italiane ad avere un occhio di riguardo per le ripetute atrocità di Israele contro i palestinesi. Le nostre redazioni, senza il lavoro di chi ora è sul campo, non sarebbero in grado di informare il pubblico italiano rispetto a ciò che sta accadendo nella Striscia. Eppure, la narrazione quasi totalitaria della nostra stampa sembra essere poco oggettiva nel riportare le notizie. Molteplici redazioni italiane e occidentali stanno continuando a disumanizzare la popolazione palestinese e questa retorica giustifica la pulizia etnica in corso. Negli anni sono state diverse le accuse di doppio standard. Tra le più eclatanti il caso della BBC, analizzato dalla Syracuse University nel 2011 e lo studio di come, negli ultimi 50 anni, la stampa statunitense ha coperto le notizie relative alla questione palestinese con una predilezione per il punto di vista israeliano. Nel 2021 più di 500 giornalisti hanno firmato una lettera aperta in cui esprimevano preoccupazione per la narrazione dei fatti di Sheikh Jarrah. Nelle stesse settimane, diversi accademici italiani hanno inviato una lettera aperta alla Rai in merito alla copertura delle stesse notizie. Le nostre redazioni hanno in troppi casi annullato le prospettive palestinesi e arabe, definendole spesso inaffidabili e invocando troppo spesso un linguaggio genocida che rafforza gli stereotipi razzisti. Sulla carta stampata e nei programmi di informazione, la voce palestinese è troppo spesso silenziata. Non è stato dato abbastanza spazio a giornalisti e giornaliste arabofone esperti ed esperte sul tema, che sarebbero in grado di dare anche il punto di vista dei Paesi della regione. La copertura giornalistica ha posizionato il deprecabile attacco del 7 ottobre come il punto di partenza del conflitto senza offrire il necessario contesto storico - che Gaza è una prigione de facto di rifugiati dalla Palestina storica, che l'occupazione di Israele dei territori della Cisgiordania è illegale secondo il diritto internazionale, che i palestinesi sono bombardati e attaccati regolarmente dal governo israeliano, che i palestinesi vivono in un sistema coloniale che usa l’apartheid e che in Cisgiordania continuano i pogrom dei coloni israeliani contro la popolazione indigena palestinese. Gli esperti delle Nazioni Unite hanno dichiarato di essere "convinti che il popolo palestinese sia a grave rischio di genocidio", eppure diversi organi di informazione non solo esitano a citare gli esperti, ma hanno iniziato una campagna denigratoria contro esperti indipendenti delle Nazioni Unite, come Francesca Albanese, Relatrice speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati. Il nostro compito, però, è fare informazione, fare domande scomode e riportare i fatti. L’omissione delle informazioni e il linguaggio che incita alla violenza, come la richiesta della bomba atomica su Gaza, sono comportamenti che rischiano di diventare complicità di genocidio, ai sensi dell’art. II.c della Convenzione di Ginevra del 1948 sul genocidio. [...]
Via - Lettera aperta: Condanna della strage di giornalisti a Gaza e richiesta di una corretta copertura mediatica della pulizia etnica e del rischio genocidio in corso.
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toscanoirriverente · 2 months
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Usare a sproposito “genocidio” serve a giustificare il terrorismo di Hamas, le teorie complottiste contro Israele e a negare diritti alla popolazione ebraica
Genocidio. Se fosse soltanto una questione nominalistica si potrebbe anche soprassedere. Se si trattasse solo di rimettere a posto l’uso di quella parola in ambito giuridico e disciplinare si potrebbe anche lasciar perdere. Ma non è una questione nominalistica, e l’uso improprio di quella parola fa ben altro, e ben peggio, che trascurarne la dovuta collocazione legale.
Se anche questo non fosse un segno preciso di quanto è grave l’affare, sarebbe stupefacente vedere come persone anche intelligenti, non prevenute nel giudizio in un senso o nell’altro, lascino intendere che dopotutto è una questione di formule verbali, quel che succede chiamalo come vuoi ma ci sono stragi e massacri che bisogna fermare e condannare.
La realtà è che quell’uso è pericolosamente improprio a prescindere dai criteri di legge che limitano e giustificano il richiamo della figura. È improprio, pericolosamente improprio, per fatto civile, storico, culturale. E politico.
Genocidio, infatti, per l’uso che si fa della parola, per l’intenzione di chi ne fa uso e, soprattutto, per la disavvertenza di chi non ne coglie l’improprietà, né i motivi che dovrebbero censurarla – facendo le viste che appunto si tratti solo di un nome magari innocuamente sbagliato, tutt’al più una irrilevante devianzioncella rispetto al formale tracciato della legge –, è questo: è il perfezionamento e completamento della cospirazione ebraica nel sopruso e nello sterminio. Questo è, in quell’uso violentemente improprio, questo è nelle intenzioni di chi vi ricorre e nella trascuratezza di chi lascia che vi si ricorra: è lo sprigionarsi sanguinario del maligno ebraico, lo sviluppo in armi della sopraffazione giudaica che ha messo radici in quella terra usurpata e da lì ha preso a coltivare le sue ambizioni di potenza sino alla programmazione e attuazione della soluzione finale.
Genocidio è la continuazione, con i tank imbandierati di stelle – le nuove svastiche –, dell’insinuazione ebraica nel sistema delle banche e finanziario. Genocidio è la prosecuzione, tramite l’apartheid coloniale imposto dai barbuti con Uzi e filatteri, del dominio giudaico a Hollywood e in Big Pharma.
Genocidio è “gli ebrei” che vogliono fare ai palestinesi le stesse cose che i nazisti hanno subito dagli ebrei, come dice una funzionaria dell’Onu dicendo esattamente così, non Israele, non il governo israeliano: ma “gli ebrei”.
Genocidio è l’intollerabile, e finalmente chiara a tutti, illegittimità della pretesa ebraica di impedire che abbia sfogo e trionfi il sacrosanto diritto di liberazione dal fiume al mare. Genocidio è l’insubordinazione degli ebrei al dovere di rimanere nel ghetto. Genocidio è la sopravvissuta al campo di sterminio che rifiuta di dichiararsi appartenente alla schiatta genocidiaria. Genocidio è l’ebreo genocida il cui genocidio non è venuto dal nulla. Genocida è il nome della cosa, l’ebreo.
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colonna-durruti · 5 months
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Potere al popolo
🔴PERCHE' POTERE AL POPOLO NON ERA IN PIAZZA IERI ALLA MANIFESTAZIONE "CONTRO L'ANTISEMITISMO" A PIAZZA DEL POPOLO? PER NOI RIFIUTARE L'ANTISEMITISMO OGGI VUOL DIRE ESSERE AL FIANCO DEL POPOLO PALESTINESE.
Vogliamo essere chiari. Rifiutare, oggi, concretamente, l'antisemitismo, vuol dire essere solidali con il popolo palestinese.
E chi, come Salvini, Tajani e La Russa, ma anche Schlein e Conte, ha manifestato ieri spalla a spalla "contro l'antisemitismo" sotto la bandiera di uno stato genocida come Israele, sta in realtà fomentando l'odio razziale nelle nostre società.
Partiamo dalla definizione più semplice, quella di antisemitismo. Essa è "l'avversione nei confronti dell'ebraismo, maturatasi in forme di persecuzione o addirittura di mania collettiva di sterminio da una base essenzialmente propagandistica, dovuta a degenerazione di pseudoconcetti storico-religiosi o a ricerca di un capro espiatorio da parte di classi politiche impotenti". E' l'odio per gli ebrei in quanto ebrei.
Se una lezione ci ha lasciato l'Olocausto, è quella di non ripetere la disumanizzazione di una etnia o di una religione in quanto tali, facendone un capro espiatorio da abbattere e sterminare. Tanto Zygmunt Bauman, quanto Hannah Arendt (autrice quest'ultima non a caso per lungo tempo osteggiata dalla stessa cultura israeliana) hanno dimostrato che lo sterminio degli ebrei ad opera dei nazifascisti non sia stata una parentesi diabolica della nostra modernità burocratica, ma una sua conseguenza diretta, che rischia di ripetersi in forme diverse.
La sostanza di ciò che è avvenuto agli ebrei nel corso del Novecento, si sta riproducendo oggi in forme diverse in quel fazzoletto di terra che è la Palestina ai danni degli arabo-palestinesi, e ciò da almeno 75 anni. Il sionismo, alla base della fondazione dello Stato di Israele, è infatti una corrente politica dell'ebraismo europeo che nasce alla fine dell’800 in piena epoca coloniale e che teorizza la fondazione di uno stato ebraico, Israele appunto, nella regione della Palestina storica.
Il sionismo non solo immagina, ma pratica questo processo, a partire dagli inizi del 900, intensificandolo mentre la Palestina era sotto controllo britannico. Nei fatti, quello che il movimento sionista ha realizzato in Palestina in alcuni decenni - precedenti alla seconda guerra mondiale e all’Olocausto - è la colonizzazione di una terra che gli scritti sionisti pretendono “vuota”, o abitata da rozzi e inferiori arabi (come sempre accade nel contesto di una colonizzazione).
E' su questa base che è nato lo Stato di Israele. Un progetto che da prima della sua nascita ha goduto dell'assenso del colonialismo occidentale e in particolare anglosassone, il quale, mentre in Europa non muoveva un dito per contrastare le pericolosissime ondate antisemite che vi prendevano piede, aveva bisogno di un alleato in Medio Oriente per contrastare le legittime aspirazioni nazionali e anticoloniali delle masse arabe.
Scrive Ilan Pappe che “Il concetto di “transfer” era ed è profondamente radicato nel pensiero politico sionista” così come la “connessione tra sionismo e colonialismo” e “ l'idea di un'economia esclusivamente ebraica". Dal 1948 in poi l'espansione israeliana è esplosa, dell’esproprio di terre e risorse a danni dei palestinesi, della cacciata di 800.000 arabi dalla regione (oggi sono 6 milioni i profughi palestinesi che non hanno diritto a tornare nella propria terra, alle proprie case).
Il sionismo è anche l’ideologia che copre e legittima questo movimento - ormai vecchio di quasi un secolo - di espulsione ed espropriazione fatto sulla pelle dei palestinesi, lo stato di apartheid di fatto in cui vivono gli arabi palestinesi e la pulizia etnica che continua imperterrita nel tentativo di sterminare la popolazione autoctona.
Esso si basa sulla continua vittimizzazione del carnefice: mentre occupa le terre palestinesi, uccide a sangue freddo in Cisgiordania, Israele ha bisogno di raccontare a sé e agli altri come la legittima resistenza del popolo palestinese, che è anche resistenza armata all'occupazione, sia guidata dall'odio "degli ebrei in quanto ebrei", cioè da antisemitismo, e non dal diritto all'autodeterminazione del popolo palestinese che ne è esattamente l'opposto in quanto principio che riconosce a tutti i popoli pari dignità.
Israele ha bisogno di disumanizzare gli arabi e di equipararli ai nazisti, in un gioco di specchi pericoloso, che ha effetti devastanti nelle società occidentali dove vivono milioni di stranieri e cittadini arabi o di origine araba.
L'illusione ottica che la propaganda israeliana spaccia per verità da decenni, e che era alla base della manifestazione di ieri, consiste appunto nel far coincidere il progetto sionista di colonizzazione della Palestina con l'essere ebrei tout court, e dunque di far coincidere la critica alla colonizzazione, ossia l'antisionismo, con l'odio per gli ebrei, ossia l'antisemitismo.
Noi invece vogliamo dirlo forte e chiaro. Chi oggi in Italia è più ferocemente a sostegno della politica coloniale e razzista di Israele, sono non a caso gli stessi à la Ignazio La Russa che hanno il busto di Mussolini in casa, ossia di colui che ieri ha contribuito a deportare e sterminare milioni di ebrei in tutta Europa. Sono gli stessi personaggi che ancora oggi covano o mantengono relazioni nemmeno tanto velate con personalità, correnti e gruppi apertamente antisemiti.
Le immagini di Schlein e Conte a braccetto con questa gente ci dicono solo di quanto il centrosinistra italiano sia succube dell'ultradestra e della politica estera USA, e di come ci sia un maledetto bisogno di far crescere una vera sinistra oggi, concretamente antirazzista e senza se e senza ma per il diritto all'esistenza, all'autodeterminazione e alla resistenza del popolo palestinese.
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dominousworld · 2 months
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UN DEFICIT COGNITIVO DIFFUSO
UN DEFICIT COGNITIVO DIFFUSO
di Maurizio Ulisse Murelli Solo un deficiente (cioè, colui che è manchevole di supporto cognitivo e capacità di ragionamento) può negare che gli USA stanno incendiando il mondo. Solo un deficiente non capisce che le basi militari americane in Siria, Iraq e altrove nel mondo sono gli avamposti di uno Stato coloniale imperialista e che le genti di quegli Stati hanno il dovere (e non il diritto)…
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La Terra e le popolazioni Indigene stanno morendo per la nostra ossessione per l'oro! Per favori, Scegli il diritto alla vita rispetto ai profitti in oro e vanità!
Per favore aiuta la natura, le popolazioni indigene e la fauna selvatica:
Boicottare tutti i prodotti derivanti dalla deforestazione; oro, olio di palma, pietre preziose, legni esotici, soia, carne di manzo, ecc. !!!
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spazioliberoblog · 6 months
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Prestate attenzione alla collera!
di ANNA LUISA CONTU ♦ La guerra Israelo-palestinese è una guerra coloniale, nonostante i governi occidentali e i loro mass media vogliano presentarla come uno scontro di religioni, tra musulmani ed ebrei, o peggio, uno scontro di civiltà. Intessono narrazioni dei buoni contro i cattivi, del diritto di Israele alla sua difesa quando è il paese occupante, creano la de-umanizzazione dell’avversario…
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cinquecolonnemagazine · 8 months
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La lotta per la libertà nella storia: un cammino senza sosta
La lotta per la libertà è stata un filo conduttore nella storia dell'umanità, con uomini e donne che si sono battuti per ottenere l'autodeterminazione e difendere i propri diritti fondamentali. Dalle rivoluzioni e guerre d'indipendenza alla lotta per i diritti civili e umani, questa è una storia di coraggio e determinazione nel determinare la libertà. Lotte per la libertà nella storia: le rivoluzioni per l'indipendenza Le rivoluzioni per l'indipendenza sono stati dei momenti cruciali nella storia, in cui i popoli si sono ribellati contro il dominio straniero per ottenere la libertà e l'autonomia. Dalle colonie americane che si ribellarono contro il dominio britannico nella Guerra d'Indipendenza Americana, alle nazioni latinoamericane che lottarono per emanciparsi dal controllo coloniale spagnolo, queste lotte hanno segnato il passo verso la sovranità e l'autodeterminazione. La lotta per la libertà non si è limitata solo al contesto delle nazioni. Nel corso della storia, gruppi di persone si sono scontrati per ottenere i propri diritti civili e umani, lottando contro la discriminazione, l'oppressione e la segregazione. Movimenti come il Movimento per i Diritti Civili degli afroamericani negli Stati Uniti, guidato da figure come Martin Luther King Jr., hanno portato a importanti cambiamenti legislativi e culturali, promuovendo l'uguaglianza e la giustizia. La lotta per l'indipendenza nazionale La storia è costellata di nazioni e popoli che hanno combattuto per ottenere l'indipendenza nazionale e la libertà dal dominio straniero. Dall'India guidata da Mahatma Gandhi nella lotta contro l'Impero Britannico, alla lotta di Nelson Mandela contro l'apartheid in Sudafrica, questi leader hanno incanalato la nonviolenza e il sacrificio personale per realizzare un cambiamento sociale duraturo. La lotta per la libertà ha coinvolto anche la lotta per i diritti delle donne. Nel corso della storia, le donne hanno lottato per ottenere il diritto di voto, l'accesso all'istruzione e l'uguaglianza nei confronti degli uomini. Movimenti come il femminismo hanno contribuito a cambiare le norme sociali e culturali, spingendo verso una maggiore parità di genere. La Lotta contro il colonialismo e l'imperialismo La lotta per la libertà ha assunto anche forme geopolitiche, con le nazioni soggette al colonialismo e all'imperialismo che hanno combattuto per ottenere l'indipendenza e la sovranità. I popoli delle colonie africane e asiatiche, come l'Algeria e l'India, hanno condotto lotte lunghe e difficili per liberarsi dai loro colonizzatori, ottenendo finalmente l'autodeterminazione. La lotta per la libertà è stata una costante nella storia umana, un cammino verso l'autodeterminazione e la realizzazione dei diritti fondamentali. Dalle rivoluzioni per l'indipendenza alle lotte per i diritti civili e umani, questa storia è stata segnata da uomini e donne coraggiosi che hanno combattuto per un mondo più giusto e libero. Questi movimenti hanno ispirato cambiamenti profondi, portando a riforme sociali, politiche e culturali che hanno plasmato il nostro mondo odierno. La lotta per la libertà continua ancora oggi, con nuove sfide e opportunità di creare un futuro più equo e rispettoso dei diritti umani. In copertina foto di Dimitris Vetsikas da Pixabay Read the full article
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nedsecondline · 8 months
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La Terra e le popolazioni Indigene stanno morendo per la nostra ossessione per l’oro! Per favori, Scegli il diritto alla vita rispetto ai profitti in…
foto: Barrick Gold Corporation L’oro è una reliquia coloniale che dobbiamo riconoscere con urgenza come essenzialmente priva di valore: la …La Terra e le popolazioni Indigene stanno morendo per la nostra ossessione per l’oro! Per favori, Scegli il diritto alla vita rispetto ai profitti in…
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lamilanomagazine · 1 year
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Modena, assegnato il premio “Stefano Chiarini” a Francesca Albanese
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Modena, assegnato il premio “Stefano Chiarini” a Francesca Albanese.   Francesca Albanese, relatrice speciale Onu sulla situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi, ha ricevuto questa mattina, sabato 15 aprile, il premio intitolato al giornalista “Stefano Chiarini” che viene assegnato ogni anno come riconoscimento all’impegno di giornalisti, artisti, operatori umanitari nel far conoscere la realtà della situazione umanitaria in Palestina. La consegna del Premio, giunto alla 14ª edizione e promosso dall’associazione modenese “Per non dimenticare”, si è svolta nella sala di Rappresentanza di Palazzo Comunale alla presenza dell’assessore alla Cultura del Comune di Modena Andrea Bortolamasi. Alla cerimonia, condotta dal presidente del Premio internazionale Chiarini Flavio Novara, hanno partecipato Tullia Chiarini, figlia di Stefano, rappresentanti dell'ambasciata palestinese in Italia; Kassem Aina, presidente dell’associazione BeitAtfalAssumoud che opera nei campi profughi in Libano; Bassam Saleh, giornalista palestinese; Mirca Garuti dell’associazione “Per non dimenticare”. Il Premio 2023 è stato assegnato a Francesca Albanese per la sua relazione “Situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967”, trasmessa all’assemblea generale dell’Onu, e l’impegno e la professionalità “nello svolgere l’importante lavoro di ricerca e accertamento del mancato rispetto dei diritti umani dei territori occupati di Palestina”. Nella motivazione si sottolinea, inoltre, che la relazione di Albanese “ha consentito di ribadire quanto enunciato dall’articolo 1, comma 4, del Protocollo aggiuntivo alla Convenzione di Ginevra che riconosce il diritto alla ribellione ai popoli che lottano contro la dominazione coloniale e l’occupazione straniera e contro i regimi razzisti, nell’esercizio del diritto dei popoli all’autodeterminazione sancito nella Carta delle Nazioni Unite”. Il premio, si legge ancora nella motivazione, vuole essere un riconoscimento alla caparbietà e all’impegno costante nel portare avanti la propria testimonianza “nonostante le numerose difficoltà e gli attacchi pubblici subiti”. Francesca Albanese, avvocata, è relatrice speciale Onu sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi da maggio 2022. Il Relatore speciale è un esperto indipendente ed esterno alle Nazioni Unite che viene nominato dal Consiglio per i diritti umani per esaminare e fare rapporto su un argomento specifico in materia di diritti umani oppure sulla situazione di un paese. Albanese, che ha lavorato anche come esperta di diritti umani per le Nazioni Unite, è borsista affiliata dell’Institute for the study of international migration della Georgetown University. Stefano Chiarini, a cui è dedicato il Premio, era un giornalista esperto di Medio Oriente, corrispondente e poi inviato del Manifesto. Nel 1991, durante la prima Guerra del Golfo, è stato l’unico giornalista occidentale, insieme a Peter Arnett di Cnn, a rimanere a Baghdad durante le prime fasi dell’offensiva di Desert storm. A inizio degli anni Duemila ha fondato l’associazione “Per non dimenticare Sabra e Chatila”. È morto a Roma, per un infarto, nel 2007.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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kommunalka-blog · 1 year
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IL DISCORSO DI PUTIN AL CLUB VALDAI (2022). ANALISI DI LUCA LOVISOLO.
Concetti chiave: universalismo, colonialismo, mondo unipolare, equilibrio degli interessi.
Le attività della Russia in Ucraina sono parte di una strategia di ampio respiro. Il discorso del presidente russo al Valdaj ha portato brillantemente alla luce come la guerra d’Ucraina sia solo una parte di un’aggressione che è rivolta a noi occidentali come difensori della modernità. Allo stesso tempo la guerra in Ucraina, nell’idea di mondo di Putin, si ricollega alle guerre caucasiche dei primi anni Duemila. Come la guerra di Cecenia, anche la guerra d’Ucraina è e resta, nella visione del mondo di Putin, una questione di mantenimento della sovranità territoriale russa. Putin vede la guerra in Ucraina come operazione militare di portata interna. In Ucraina, la Russia, secondo lui, combatte contro intrusi, «fascisti» (o, ultimamente, «satanisti») che nel 1991 hanno dichiarato uno Stato indipendente su una parte di territorio russo e da quel momento lo governano senza averne diritto. Se si elimina la guerra in Ucraina come causa delle sanzioni e delle decisioni conseguenti, davvero non le si capisce più.
Negando l’universalità dei diritti umani, la Russia mette in discussione un fondamento giuridico e storico. La negazione dell’universalità dei diritti umani è forse l’elemento più importante della dottrina delle relazioni internazionali nella Russia post-sovietica. E’ bene sottolineare un principio che molti politici occidentali sembrano non aver ancora recepito del tutto: la realizzazione della visione del mondo russa presuppone l’eliminazione dell’Occidente come luogo d’origine della società aperta, poiché la dottrina russa nega la validità universale dei diritti umani, che sono la base del modello di sviluppo occidentale. Per raggiungere questo scopo, la Russia ritiene giustificato qualunque mezzo: guerra militare, ingerenza nei processi democratici, ricatto energetico. La guerra in Ucraina mostra quanto in fretta, in tutto ciò, vengano superati i freni inibitori della morale.
L’Occidente pensa che tutti i Paesi del mondo debbano accettare il suo sistema e svilupparsi sulla base di esso. E’ ciò che sta accadendo proprio oggi, pensa Putin. Secondo Putin, questo pensiero unico dell’Occidente costituisce un modello di dominazione dal quale nasce una globalizzazione coloniale, intesa come strumento di mantenimento del potere.  Affinché il modello di sviluppo occidentale non si spezzi, prosegue Putin, L’Occidente limita la libertà di proporre modelli diversi, li qualifica come propaganda e come minacce contro la democrazia. Ora, dice Putin, il modello neoliberale di sviluppo occidentale è entrato in una crisi dottrinale.
Come Putin intende il contratto sociale: Lo Stato prevale, se il rispetto dei diritti individuali lo mette in pericolo. Questo è il perno intorno al quale si capovolge la visione del mondo – anzi, la visione della persona umana, tra la Russia e l’Occidente.
Putin mette in chiaro la visione della Russia: la base della civilizzazione umana sono le società tradizionali dell’Oriente, dell’America latina, dell’Africa e dell’Eurasia. Putin fa capire chiaramente con queste parole, qual è il nostro ruolo nel nuovo ordine mondiale: siamo una minoranza tollerata. Su di noi prevale la maggioranza dei non-occidentali.
Ora, dice Putin, il mondo unipolare deve essere sostituito da un mondo multipolare. Ogni civilizzazione ha una diversa concezione dell’Uomo e della sua natura. Mentre i valori occidentali mirano all’universalità, i valori tradizionali delle altre civilizzazioni non sono postulati fissi e riproducibili, che si adattano a tutti.  Se però si ricerca che cosa significa «mondo multipolare» nella dottrina russa delle relazioni internazionali, se ne trova una definizione che rallegra assai meno, nella brillante rappresentazione data da Aleksandr Dugin durante una conferenza tenuta all’Università di Mosca nel 2012: Il mondo multipolare sarà possibile solo dopo che il mondo unipolare sarà stato liquidato in modo definitivo e irreversibile. Come sempre, Putin esprime in forma più eufemistica e politicamente presentabile gli stessi concetti che Dugin formula in modo estremo e dottrinario. E’ solo questione di tempo, e anche la versione dura e originale diventa normalità, nel dibattito pubblico.
La base del mondo multipolare non sono i diritti umani ma l’equilibrio degli interessi tra i diversi attori. Attori del nuovo ordine mondiale non sono più gli Stati nazionali, ma le civilizzazioni. Qui Putin riprende un altro concetto-chiave della dottrina di Aleksandr Dugin, secondo il quale le protagoniste del mondo multipolare saranno, appunto, le civilizzazioni – non le classi, come nel marxismo; non lo Stato, come nel realismo; non il sistema democratico, come nel liberalismo. 
L’Eurasia è una civilizzazione, dove con Eurasia si intende di fatto lo spazio post-sovietico e prima russo-imperiale. L’Europa diventa di fatto un soggetto subordinato della civilizzazione russa ed eurasiatica. Il mondo multipolare è l’unica opportunità anche per i Paesi europei, afferma Putin. L‘«Occidente autentico e tradizionale» è quello i cui valori corrispondono ai postulati dei partiti filorussi e populisti, sia di destra sia di sinistra. Il messaggio è chiaro: la Russia, in combutta con le forze filorusse europee, plasmerà il nostro continente a sua immagine e somiglianza. Il presidente russo cita consapevolmente la questione omosessuale, perché sa che questo tema, come la questione delle migrazioni, è un ambito dei diritti fondamentali molto controverso in Occidente. Con queste argomentazioni Putin raccoglie consenso e semina divisione nelle società occidentali. Se Putin citasse direttamente i diritti che aggredisce, con la sua visione del mondo – separazione dei poteri, libertà di espressione e altre libertà fondamentali – le popolazioni occidentali reagirebbero negativamente (almeno per il momento, in futuro si vedrà).
I motori del mondo multipolare, nella visione del mondo russa, sono tutti coloro che sul piano economico, politico e militare, ideologico e culturale, si oppongono agli Stati Uniti: Cina, Iran, America latina e altri, elenca Dugin. La Russia è aperta verso tutti quegli Stati che si sottraggono alla cooperazione internazionale con gli Stati uniti e l’Occidente. Al posto dell’Unione europea e delle altre istituzioni di stampo occidentale arrivano l’Unione eurasiatica e il noto e temuto progetto dell’Europa da Lisbona a Vladivostok.
Comandamento supremo del nuovo ordine mondiale è il mantenimento delle «civilizzazioni», costi quel che costi, sotto la guida del più forte. Se georgiani, ucraini e altri non si sentono parte della civilizzazione eurasiatica, devono essere tenuti sotto il suo tetto con la forza. L’equilibrio degli interessi tra le civilizzazioni significa, perciò, verso l’interno, che la potenza dominante di ciascuna civilizzazione consolida il suo potere, con qualunque mezzo. La guerra in Ucraina è espressione ed esempio di questo processo di riequilibrio. Il mantenimento dell’equilibro di potenza prevale, nei realisti, sul rispetto di regole e valori. Così è anche nel nuovo ordine mondiale di Putin. Il nuovo mondo sarà un «mondo senza sanzioni» – in altre parole, un mondo in cui ogni Stato potrà fare e disfare ciò che vuole. L’unico limite alla totale libertà di azione sarà l’equilibrio degli interessi. Regimi autoritari, violazioni dei diritti umani, oppressione delle minoranze e simili sono parte del gioco, se servono a mantenere l’equilibrio degli interessi.
Applicato alla quotidianità concreta della guerra, ciò significa: Putin porta all’esasperazione gli ucraini e l’Occidente con attacchi missilistici, terrorismo e tortura, nella convinzione che l’Ucraina e l’Occidente prima o poi cederanno, vorranno negoziare e accetteranno la visione del mondo russa per pragmatismo. I cosiddetti «pacifinti» occidentali – i partiti populisti, i leader d’opinione filorussi, la Chiesa cattolica – che si ergono contro il sostegno e le forniture di armi all’Ucraina, condividono la stessa convinzione di Putin.
AUTO-CONFUTAZIONE
La Russia partecipa da sempre all’elaborazione del diritto internazionale. Ha contribuito a scrivere e ha firmato trattati internazionali.
La Russia post-sovietica, da parte sua, ha siglato innumerevoli trattati, in molti di questi riconosce le frontiere e la sovranità dell’Ucraina.
CONCLUSIONE
L’Occidente – il mondo della società aperta, dell’economia di mercato e dei diritti umani – è davvero una minoranza, rispetto al resto del pianeta. In quanto minoranza del mondo, possiamo conservare il nostro modello di società solo se manteniamo nel tempo il nostro primato intellettuale.
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anaizitphoto · 1 year
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20 novembre 2020 Giornata internazionale per i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza. In questa data fu approvata, dall’Assemblea Generale della Nazioni Unite, la Dichiarazione Universale dei Diritti del fanciullo, revisionata, sempre un 20 novembre ma del 1989, come Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, ratificata dall'Italia nel 1991. 20 novembre 2020 Giornata della Consapevolezza Nera Dia da Consciência Negra La Giornata nazionale della consapevolezza dei neri è una data di celebrazione e consapevolezza della forza, resistenza e sofferenza che la popolazione nera ha vissuto in Brasile dalla colonizzazione . Durante il periodo coloniale , circa 4,6 milioni di africani furono portati in Brasile per servire come schiavi, lavorando principalmente sui raccolti di canna da zucchero e sui servizi domestici, e più tardi sulle miniere e altri raccolti. Le condizioni di vita degli africani e dei neri schiavi nati in Brasile erano estremamente precarie. Gli schiavi, oltre ad essere sottoposti a lavori forzati , venivano sottoposti a trattamenti degradanti e umilianti , non avendo diritto a cure mediche, istruzione e nessun tipo di assistenza sociale. "Não lutamos por integração ou por separação. Lutamos para sermos reconhecidos como seres humanos." (Malcom X) #anaizitphoto🇮🇪🇧🇷 #undermyskin https://www.instagram.com/p/ClLxbGzsyLS/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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