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COLORI SMALTO AUTUNNO/INVERNO 2022-23
COLORI SMALTO AUTUNNO/INVERNO 2022-23
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persointraduzione · 3 years
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Singolari Pluralità
Singolari Pluralità
I. Alessandro
Alessandro sedeva sul gradino in pietra alla base della porta a vetri, osservando il sole che lentamente scendeva oltre le colline dove il grano era stato mietuto da poco e dove i contadini bruciavano le stoppie. In quella luce calante che virava dall'arancio al viola ed al blu le lunghe linee ondulate di fuoco sollevavano una sottile coltre di fumo grigio e di lontano si poteva odorare lieve l'odore di bruciato. Una piccola radio a cassette, posata sulla panchina di fianco all'ingresso suonava rock anni '70. Qualche timida stella faceva capolino in alto, nel cielo che rapido si scuriva, mentre pigramente le dita della mano sinistra del ragazzo piluccavano more di gelso da una ciotola. Erano fresche, lavate con l'acqua della fontana al centro della villa pubblica. La lunga via davanti alla porta della vecchia casa di famiglia ospitava per lo più garages o rimesse. Alcune automobili erano parcheggiate sulla destra, mentre dal campetto da calcio giungevano le grida dei giocatori dell'ultima partita. 
Un cane di chissà chi sbucò dal vicolo e rallentò appena il suo passo per guardarmi. Nessuno dei due, probabilmente capì l'altro ed il quadrupede riprese il suo cammino verso le auto. I genitori ed i nonni del ragazzo avrebbero tardato, ma non importava. Lì in paese il tempo aveva un altro valore ed un'altra misura rispetto a quello della città lontana. Chiudendo gli occhi il ragazzino si lasciò pervadere dalla musica e sorrise piano, per il piacere di quelle sensazioni sonore, che gli tennero compagnia fino alla fine della cassetta.
Alzatosi entrò in casa, nelle ombre fresche del soggiorno e salì le scale verso la sera con il canto dei grilli che si alzava dalla siepi e dagli sterpi dabbasso.
II. LUISA
Luisa camminava per i corridoi della scuola senza far rumore, guardandosi intorno e si diresse al bagno delle ragazze. Si avvicinò alla finestra a la aprì cercando di non farsi sentire. Si frugò nelle tasche ed estrasse il suo piccolo spinello. Di nuovo diede un'occhiata in giro per vedere se ci fosse qualcuno. Era l'ultima ora. Con l'accendino diede fuoco alla strana sigaretta che teneva tra le dita. Inspirò con lentezza e pian piano si rilassò, guardando dalla finestra. Il cortile della scuola era verde di tigli, i motorini e le biciclette erano allineati lungo il muro sud dell'edificio. Di là dal cancello le macchine passavano ed oltre ancora il fiume scorreva verde ed opaco, verso ovest. 
Luisa chiuse gli occhi ed una spirale di colori si avvitò nel buio delle palpebre serrate. L'odore strano di quel fumo proibito pian piano stava scemando. La sigaretta era finita. Un vociare rumoroso riempì l'aria ed alcune ragazze si diressero verso il bagno. Luisa gettò il residuo del mozzicone nel wc, tirò l'acqua dello sciacquone e si chiuse dentro, aspettando che le altre andassero via. 
Trascorse un po' di tempo prima che tutto tornasse al silenzio. Seduta sul coperchio del water Luisa respirava piano, con un orecchio teso a cogliere cosa accadesse fuori, ma per il resto avviluppata in una sensazione di pace e di ispirazione. Con uno sforzo di volontà corse a sciacquarsi il viso con acqua fredda e scese le scale verso il portone. Ancora c'erano compagni che si attardavano nell'atrio. 
La sua vecchia bicicletta coperta di adesivi la aspettava nella rastrelliera. Luisa aprì il lucchetto, tirò un profondo respiro e salì, pedalando verso casa nel tepore primaverile. I suoi capelli neri e viola si muovevano piano mentre la bicicletta avanzava lungo il viale, sfiorata da un traffico costante. I suoi jeans larghi e tagliati erano slavati e vissuti e la maglietta nera col logo dei NOFX, ricordo di un concerto di qualche mese prima si stringeva sulle sue forme di diciassettenne. 
Arrivata sotto casa, davanti al portone del palazzo, mise la bici sotto la tettoia ed entrò in casa. I suoi non sarebbero tornati prima di quella sera. 
Con le sue mani bianche, le unghie con lo smalto viola, si grattò piano il naso col piercing nella narice destra. Aprì il frigorifero e si fece un sandwich freddo, poi andò in camera, infilò nello stereo una cassetta con le sue canzoni preferite degli Skid Row e si sfilò i pantaloni. Si mise nel letto a pancia sopra. Gli effetti dello spinello erano molto deboli, Luisa si sentiva strana, languida. La sua mano destra scivolò nel suo intimo e piano, delicatamente, si diede piacere, fino a tremare e a sospirare. Subito dopo si addormentò, la finestra aperta che portava dentro il monotono suono delle macchine, del traffico sulla strada.
III. Nima e Fokar
Il terreno umido e fresco su cui sedeva Nima profumava di autunno. Il sole del tardissimo pomeriggio scendeva verso le colline che si alzavano sparse dalla enorme pianura erbosa. Il modesto rilievo su cui la ragazzina si era fermata ospitava anche qualche albero dal tronco scuro, coperto di muschio dal lato che guardava a settentrione. Le foglie, in quel tramonto senza vento, erano immobili, nelle loro sfumature tra il giallo, il rosso e il marrone. A terra diverse di loro erano morbidamente planate ruotando piano, chissà quando. Una falce di luna, in alto, brillava lattea ed intensa nel silenzio del cielo. 
Mentre il disco solare iniziava a sparire all'orizzonte, l'aria si tingeva di colori sempre più cangianti, ma la luce era ancora abbastanza intensa da consentire di vedere con chiarezza. 
L'aria cominciò a rinfrescare. La ragazzina frugò nel suo tascapane di fibre naturali, estrasse un piccolo involto di tela grezza dentro la quale si trovavano tre gallette aromatizzate alle erbe selvatiche. Con le mani leggermente screpolate le estrasse una per una, sgranocchiandole. Quel rumore sembrava essere l'unico in quei dintorni, l'unico percepibile al suo orecchio almeno. 
Terminato lo spuntino Nima si alzò e con le mani si pulì alla bell'e meglio i pantaloni color caki, si stirò la schiena e prese a scendere il modesto rilievo passando tra i radi alberi ed immergendosi nell'enorme mare erbaceo, in direzione di casa. Non ci avrebbe messo molto, al massimo una quarantina di minuti, pensò.
Mentre il suo avanzare produceva il fruscio familiare causato dal movimento nella prateria. Ora il cielo si era fatto scuro ed era piuttosto freddo. La ragazzina strofinò le mani sulle braccia coperta dalla leggera camicia estiva, ma non serviva a molto.
Dopo una camminata abbastanza agevole, Nima arrivò a casa sua. L'edificio semplice a pianta circolare, sviluppato su due piani appariva grigio scuro nella sera. Le luci della cucina erano accese. I nonni dovevano essere già a tavola, erano abituati alle escursioni della nipote ed al fatto che i suoi orari erano piuttosto imprevedibili.
La porta si aprì e nonna Dema guardò la nipote dodicenne e le sorrise indicandole il piatto con lo stufato di borgel e funghi. La piccola sedette sulla sedia di materiale sintetico e salutò nonno Tarus, che sedeva davanti al proiettore olografico fumando il suo tabacco preferito, che si levava dalla pipa in legno rossastro, disegnando deboli volute ed aromatizzando l'aria della cucina.
Al termine della cena Nima salì in camera e si mise seduta alla finestra, guardando la notte, nel cielo povero di stelle. Il sistema di Nerod si trovava ai confini più estremi della galassia. Verso oriente si poteva ammirare il fiocco rossastro della nebulosa di Rotar, uno degli oggetti più luminosi del nero cielo di Kuoner, il pianeta della ragazzina. Kuoner era una grande fattoria, popolato da indigeni e coloni di un altro mondo lontano. 
D'improvviso un suono simile ad un tonfo attirò lo sguardo di Nima verso il cielo occidentale. Una strana sensazione la colse, come se il cielo scorresse da una parte all'altra, ruotando rapidamente. La vertigine se ne andò così come era arrivata e finalmente la giovane capì cosa fosse successo. Nel cielo si era materializzata una nave di classe V che si dirigeva verso la fattoria. 
Il velivolo scese a circa cento metri dall'edificio e si aprì il portellone anteriore, dal quale scesero tre persone. 
I nonni di Nima uscirono e chiamarono a gran voce verso i nuovi venuti. Nima scese le scale di corsa e si gettò a capofitto verso uno dei tre. 
Dopo una lunga assenza il cugino Fokar era rientrato dai suoi viaggi commerciali, insieme ai suoi compagni.
Sotto il pergolato all'aperto i viaggiatori consumarono un pasto veloce e parlarono a lungo con Nima ed i nonni dei loro viaggi e dei loro commerci. La notte si faceva sempre più fredda ma Nima non ci faceva più caso. I suoi occhi vagavano nel cielo a cercare rotte invisibili. Avrebbe voluto seguire il cugino, ma era ancora troppo giovane. Una vita in un posto come Kuoner non era la sua massima aspirazione. 
Quando fu tornata nel suo letto il sonno la colse subito, senza che la sua immaginazione potesse perdersi verso lo spazio lontano. 
Fokar si affacciò alla porta della sua stanza immersa nel buio e la salutò a bassa voce. Il mattino successivo, di buon'ora sarebbe dovuto ripartire. Camminare nel corridoio della casa in cui era cresciuto gli diede una fitta al cuore. La vita del mercante gli piaceva, ma l'effetto della nostalgia a volte era forte e quello che avrebbe voluto era tornare a fare il contadino e l'allevatore in quella grande prateria.
Nonna Dema era già tornata a dormire, mentre Tarus sedeva nel buio a fumare. Sentì il ragazzo scendere silenziosamente gli ultimi gradini e si voltò a guardare la sua sagoma. Il vecchio si alzò ed abbracciò il nipote, per poi dargli una pacca sulla spalla ed augurargli un buon viaggio. Fokar aveva gli occhi umidi di pianto e la sua mano li asciugò prontamente, mentre come un film nella sua mentre scorrevano immagini, suoni e parole di quasi trent'anni di vita in quel posto. 
Era tardissimo e il ragazzo si stese sul divano, mentre il nonno saliva in camera.
Il sonno arrivò lentamente, a singhiozzo, fino a dare a Fokar l'illusione che il tempo non fosse passato e che lui ancora vivesse lì.
IV. Angela e Carmen
La sera del paese in festa era tutta una luce. Bancarelle, famiglie, anziani, bambini che sciamavano caotici lungo le vie, capannelli di persone che parlavano davanti ai bar o alle panchine lungo le vie.
Nel piazzale antistante la scuola i ragazzi ascoltavano musica dance e pop mixata da un Dj improvvisato ma dal buon fiuto. Il volume assurdo si abbatteva su quella distesa di asfalto illuminata dai lampioni pubblici e da un set di luci da palco piuttosto approssimativo. Tanti ballavano, molti si scambiavano sguardi, alcuni sparivano sul retro dell'edificio. C'era chi beveva qualcosa e chi rideva come matto a chissà quali battute. 
Angela se ne stava con un gruppo di amici a parlare del più e del meno. I suoi capelli biondi, mossi, incorniciavano un viso simpatico, su cui poggiavano degli occhiali piuttosto fini. Angela ebbe un sussulto quando i suoi occhi incontrarono quelli di Carmen. Era successo ancora, ma in modo molto lieve. Un qualcosa le blocco stomaco e respiro, la schiena tremò. Carmen ricambiò lo sguardo. Magrissima, capelli lisci, castani, a caschetto, grandi occhi verdi. 
Angela era una ragazza molto semplice, nata e cresciuta in una famiglia di lavoratori poco istruiti, un ambiente povero di stimoli, mentre Carmen era figlia di un medico e di una insegnante, figlia unica, coccolata ma non viziata. Carmen leggeva molto, sentiva molta musica, viaggiava coi genitori. Era una delle più evolute del paese.
Durante la serata le due ragazze si persero e si ritrovarono più volte, fino a che sedettero vicine su un muretto. Si conoscevano e si misero a parlare del più e del meno, fino a quando Angela, con una fasulla nonchalance chiese a Carmen se avesse dato già il suo primo bacio. Sicura l'amica le disse di sì, più di uno ad un paio di ragazzi. Angela abbassò lo sguardo sentendosi sfigata. Carmen le disse, che non c'era problema, come amica lei c'era. Angela sgranò gli occhi e la guardò. Carmen annuì sorridendo. Le disse di andare verso la fontana fuori dal paese seguendola a distanza.
Gli occhi di Angela seguirono la figura di Carmen che usciva dal complesso scolastico e che imboccava la via che usciva dal paese. Col cuore che batteva all'impazzata la seguì con la testa che faceva mulinare mille pensieri e paure. Così nervosa non era stata mai. Quando entrò nel buio percorse qualche decina di metri cercando di trovare l'amica, ma senza vederla. Di punto in bianco la voce di Carmen la chiamò ed Angela la vide. Le due sedettero su un muretto in mezzo alla vegetazione. Carmen carezzo le spalle dell'amica e cercò i suoi occhi nel buio. I due volti si avvicinarono. Angela, inesperta sbattè un labbro sui denti di Carmen, che sorrise e che poi unì le sue labbra a quelle di lei, per poi schiuderle piano ed iniziando una dolcissima danza di lingue e respiri. Il bacio fu breve. Le due si guardarono ed Angela ringraziò Carmen...una cosa piuttosto stupida da fare, pensò.
Alzatesi dal muretto, le ragazze tornarono alla festa. Per qualche strano motivo, da quel momento in poi il loro rapporto divenne assolutamente ordinario e quelle grandi emozioni che Angela aveva provato furono archiviate nella cassettiera dei ricordi. Perfino il sapore di quel bacio scomparve, nessuna delle due lo ritrovò mai.
V. Stefano
Il letto sfatto era illuminato dalla luce proveniente da una finestra su cui la pioggia si accaniva con violenza in quel mattino d'estate. Guido si faceva una doccia fresca ed era assetato. Stefano, il suo giovane compagno, dormiva pesantemente, ancora. 
Uscito dalla doccia Guido andò a svegliare il ragazzo. I due si scambiarono un leggero bacio e si diressero in cucina a consumare una colazione a base di succo d'ananas ghiacciato, yogurt e frutta. Poco dopo Guido uscì per andare ad un appuntamento di lavoro. Stefano si lavò e si vestì. Mentre stava mettendosi la camicia il suo cellulare suonò con un numero sconosciuto. Il suo sguardo indugiò sullo schermo ma poi decise di non rispondere, salvo cambiare idea all'ultimo, ma la linea cadde. Con uno sbuffo il ragazzo si disse che con ogni probabilità era pubblicità.
Una volta pronto fece per uscire ed andare a lavoro, quando il telefono squillò nuovamente e questa volta rispose, ma dall'altra parte solo silenzio, poi la linea cadde di nuovo. 
Senza pensarci troppo, Stefano si incamminò sotto i portici e si diresse al negozio che gestiva col fratello. Un negozio di musica vintage, dai dischi, agli strumenti, alla memorabilia. Al suo arrivo il fratello maggiore Gianni lo rimproverò per il ritardo, ma la giornata andò molto bene ed il battibecco fu presto dimenticato. Al momento della chiusura Guido chiamò per invitare Stefano a cena, ma il ragazzo rifiutò. Era stanco, quella sera avrebbe solo fatto un aperitivo con il fratello e la cognata, poi sarebbe andato a casa. 
Dopo essere entrato nel suo piccolo appartamento in centro, Stefano si spogliò ed accese l'aria condizionata. 
Gettatosi sul divano accese la tv, ma proprio in quel momento squillò ancora il telefono con quel numero sconosciuto. Innervosito Stefano rispose che lo scherzo non gli piaceva. A quel punto una voce giovane di ragazza si fece sentire, era Giulia, la sua ex. Il giovane cercò di mantenere una tono neutro ma lo sforzo fu vano perchè Giulia manifestamente cercava di ottenere le attenzioni di Stefano, il quale le ribadiva gentilmente di avere chiarito definitivamente il proprio orientamento sessuale.
Sentire il dolore di Giulia, tuttavia, gli provocava grande dispiacere. Erano stati non solo fidanzati ma anche molto amici e complici per anni. Un rapporto così non si cancellava con un colpo di spugna, doveva ammetterlo. 
Durante la conversazione una pausa cadde improvvisa. Quella finestra di silenzio creò un inatteso inciampo. Giulia trattenne il respiro, mentre Stefano percorse i contorni del viso di lei, nella sua memoria. Non si vedevano da più di un anno...i suoi capelli chiari, lisci, a caschetto, i grandi occhi nocciola ed il fisico magro e minuto. Giulia era una ragazza dal carattere complesso e contraddittorio, frequentarla era stato piacevole, ma molto impegnativo, forse anche perchè Stefano sentiva sempre più intenso il desiderio verso figure maschili. Combattere con quella cosa non era stato facile e quando si decise a parlarne apertamente con lei le cose erano scoppiate, un intero mondo era andato in pezzi, schegge dolorose si erano sparse ovunque e si erano conficcate dentro entrambi.
Guido era arrivato qualche mese più tardi e la loro relazione era cominciata in modo difficile e stentato, ma poi si era assestata e Stefano aveva ricominciato a vivere in modo sereno.
Giulia, con quella chiamata, era ricomparsa in modo inaspettato e francamente Stefano non capiva il perchè visto come si erano lasciati. Durante quella pausa, quel silenzio lungo ed inatteso, mentre i ricordi riaffioravano, gli occhi di Stefano si inumidirono e lui deglutì, per poi asciugarsi le lacrime. La conversazione riprese con Stefano che chiese “Giulia, perchè? Perchè hai chiamato?”. La ragazza non rispose subito, poi disse “Mi manca...come mi facevi sentire...tanto”.
Stefano sospirò e rispose “Giulia, lo sai..dai..io sono diverso. Abbiamo avuto una storia molto intensa, ma io sono, ormai lo so...omosessuale. Non è che non pensi ai nostri tempi insieme, tu sei stata importantissima nella mia vita, per quasi nove anni, non è poco. Non è stato facile per me capire...capire tutto quello che sono, voglio dire, non solo l'orientamento sessuale, anzi forse quella è la cosa più semplice da accettare. Ho trascorso molto tempo a capire quali fossero i miei limiti, i miei desideri, i miei talenti. Ho ingoiato molte cose amare, mi sono odiato, ferito. Forse, anzi, sicuramente non sono stato il solo, non ho la presunzione di avere avuto l'esclusiva in questo senso. Ho avuto la fortuna di avere un fratello come Gianni ed una cognata come Deborah ed un nipote come Franco...loro sono sempre stati con me, colmando l'assenza dei miei genitori. E poi ho incontrato Guido, non lo hai mai incontrato e....è un uomo straordinario. Mi ha aiutato moltissimo a ricomporre i pezzi della mia vita, ad affrontare le implicazioni interiori ed esteriori della mia omosessualità. Guido mi tiene per mano, mi dona passione, sicurezza, tenerezza e poi è una persona ricca e profonda. Sono stato molto fortunato ad incontrarlo”.
Seguì un'altro piccolo silenzio e poi Giulia biascicò un “Vaffanculo!” appena udibile ma comprensibile e poi riprese la parola “Allora è vero...che sei solo...irrimediabilmente....”.
“Cosa?” chiese  Stefano “Un frocio? Sì, lo sono, è quello che sono. Sei contenta? E' chiaro adesso?”.
Giulia eruppe in un pianto dirotto. Stefano non seppe né che dire né che fare. “Giulia, dai, non fare così..cosa...cosa pensavi...voglio dire...non è stato facile neppure per me. Non credere che solo perchè ho chiarito il mio orientamento sessuale il resto..voglio dire … la vita di prima sia scomparsa via, sparita nel nulla. Io, sono sempre Stefano, lo stesso che ha vissuto per anni con te, lo stesso che hai conosciuto e con cui hai condiviso tanto. Tu per me sei stata una delle persone più importanti della mia vita, non rinnegherò mai neppure un secondo della nostra vita insieme, neppure un secondo, fosse anche di dolore. Ti ho amata come mai avevo amato nessuno prima ed in un certo senso come forse non amerò nessuno mai. Quello che … quello che è successo, il fatto di comprendermi, accettarmi, la forza di prendere la mia strada è stato doloroso, te l'ho già detto. La fine della nostra storia mi ha disintegrato, credevo che nulla più sarebbe successo. Non mi importava essere gay o etero o qualunque altra cosa. Prima di tutto ero, sono, sarò una persona e...sprofondai in una depressione tremenda”.
Giulia sospirò “Stefano...scusa...io...mi dispiace, sono stata egoista, io...volevo solo..speravo che forse avremmo potuto in qualche riprovarci. Sono una cretina. Tu ormai sei lontano. Io non ho più avuto nessuno, ho sempre pregato che saresti tornato, che ci saremmo ritrovati ed avremmo messo a posto i pezzi di tutto quello che eravamo. Non ero sicura che tu fossi davvero...dai...hai capito. Pensavo fosse una cosa passeggera, una...curiosità, diciamo”.
Stefano sorrise ma Giulia non poteva vederlo “Sì, beh...pure io ci ho pensato alcune volte, ma è stato un pensiero ozioso, dettato da una nostalgia, dall'affetto evocato dai ricordi, ma no...non è più possibile. Quella che chiami curiosità me la sono tolta ed ho capito che non era tale. Vedi Giulia, non è che essere gai significa solo andare a letto con altri uomini, voglio dire...non è solo sesso. Io, noi, siamo persone e ci innamoriamo come tutti. Ci sono gay, cosi come etero, che desiderano una vita da single, in cui la componente sessuale non si lega ad un solo partner, così come esistono gay monogami o poliamorosi...è esattamente come per tutti. Io e Guido non condividiamo solo una mutua attrazione sessuale, ma anche sogni, progetti, guardiamo al presente ed al futuro...insieme. Siamo una coppia”.
Giulia abbassò lo sguardo verso il tappetino scendiletto, si passò una mano tra i capelli e mosse la testa in un lento sì “Ho....ho capito Stefano, ti prego, scusami. Sono stata inopportuna, avrei dovuto lasciare i ricordi dove stavano”.
“Non ti preoccupare, forse, al tuo posto avrei fatto lo stesso. Giulia, non dimenticarlo mai, io ti ho amata tanto e di voglio bene ancora. Se in qualche modo pensi che potremmo essere vicini, in un modo diverso...beh...io sono, sarò sempre qui per te”.
Giulia salutò Stefano e si stese sul letto, svuotata, con gli occhi fissi sul soffitto.
Stefano guardò lo schermo del cellulare. Lo appoggiò di fianco a se, si alzò ed andò in bagno, infilando la testa sotto l'acqua del lavandino, fredda.
Era l'ora dell'aperitivo, avrebbe fatto tardi.
VI. Raùl
Quella notte di fine settembre non sembrava voler portare con sé il sonno. Raùl spense la televisione, ne aveva guardata troppa. Era già mezzanotte passata. Si alzò dal divano ed andò alla finestra. La strada in cui abitava era illuminata da lampioni accesi alternativamente, per via del risparmio energetico. In giro non c'era nessuno, perlomeno non lì di sotto.
Meglio provare a prendere un po' d'aria, aria metropolitana. 
Raùl indossò i suoi jeans neri, gli stivaletti in pelle piuttosto vissuti, una maglietta dei Deep Purple ed un vecchio gilet nero in pelle. Uscì dall'appartamento e prese l'ascensore. Il condominio era più buio e silenzioso di una maledetta tomba. I passi lungo il corridoio dei garage risuonavano con una eco amplificata. La porta metallica si aprì verso l'alto con un modesto cigolio e Raùl entrò, alzò la moto dal cavalletto e la spinse fuori, richiuse il garage, salì, accese il motore e uscì fuori nella notte. Il rumore rombante della sua custom arancione prese a martellate il silenzio e la coppia di acciaio e carne si diresse verso la Avenida Carlos V, ancora percorsa da molte auto. Raùl guidò per un bel po' senza meta, zigzagando tra le luci dei fari e dei lampioni fino a che non si fermò davanti ad un locale chiamato la Bodega Asturiana. Una volta ci lavorava un suo amico che adesso abitava in Austria. Non aveva mai capito come mai un latino avesse potuto infilarsi nel cuore del mondo germanico. Bah, affari suoi.
La moto si fermò davanti all'ingresso, il locale era ancora aperto. Raùl scese ed entrò per un piccolo spuntino di formaggio, prosciutto e vino rosso. Gli avventori, a quell'ora non erano tanti anche perchè la chiusura era imminente. 
C'era un uomo sulla sessantina, coi capelli brizzolati. Sovrappeso, dallo sguardo perso in chissà quale pensiero, c'era una donna intenta a creare un piccolo origami con un fazzoletto di carta. Aveva i capelli biondi, era piuttosto magra, occhi azzurro slavati, indossava un vestitino piuttosto leggero, color carta da zucchero. Non aveva nulla che non andasse, ma nel complesso Raùl la trovava incongrua e fastidiosa.
Ad un tavolo lontano c'erano due ragazzi sulla trentina, probabilmente amici, che bevevano e scherzavano rumorosamente.
Terminata la sua consumazione, il motociclista uscì, sperando di trovare un'aria più fresca, ma quella notte la città non voleva lasciare che il vento la penetrasse e scorresse in lei, l'unico modo di respirare era guidare, senza sosta. 
Come incrinando un leggero strato di ghiaccio il pensiero del lavoro aprì una crepa nella coscienza di Raùl. Il giorno dopo avrebbe dovuto alzarsi presto ed avrebbe avuto a lezione alcuni ragazzi difficili della scuola. Un tonfo di disagio gli si tuffò nello stomaco ed una imprecazione uscì dalle sue labbra mentre avviava la moto. Doveva tornare tornare a casa e dormire, a costo di ingollare qualche pasticca. Imboccando la grande rotatoria di Plaza De La Independencia, la moto sfrecciò verso Avenida Carlos V e poi verso Calle Pedro Antonio de Alarcòn, dove viveva Raùl.
Quando il centauro rientrò nel suo appartamento disordinato erano quasi le due. Non era stato via molto. Buttò i vestiti sulla poltrona, senza accendere le luci e poi si recò in bagno, prese una pastiglia di tranquillante e si mise a letto. Dopo un po' il sonno arrivò e fu una benedizione.
Il mattino dopo, alle 7.00, la sveglia prese a schiaffi l'aria della stanza e Raùl si alzò a sedere col cuore che batteva forte. Ma che cavolo...
Occorsero alcuni secondi per capire cosa, dove, come, quando e perchè (soprattutto), ed alla fine una doccia fresca riuscì nell'intento di riavviare i processi cognitivi dell'insegnante, il quale si vestì nel modo più decente possibile, scese dabbasso e prese la metro diretto alla scuola, con lo sguardo che saettava nel vagone a tracciare una mappa dei viaggiatori, tutti apparivano diversi, a giudicare dai loro volti, nel loro piglio mattutino.... Raùl scosse la testa e si disse che quel mattino, per lui almeno, non sarebbe stata proprio cosa. 
VII. Darmon
Darmon camminava sfinito col suo zaino carico di cristalli di Puron, il sentiero polveroso sembrava non finire mai. La miniera penitenziario si estendeva a perdita d'occhio, in ogni direzione, le enormi macchine per la escavazione erano attive tutto il giorno e tutta la notte sul fondo di quell'enorme cratere. Infinite teorie di minatori percorrevano sentieri come quello su cui camminava lui. Uomini di tutte le età, alcuni vigorosi, altri macilenti, ma tutti stracarichi, avanzavano in fila verso i punti di raccolta per poi ripercorrere il tragitto in senso contrario, più e più volte al giorno.
Il cielo era color del rame, il respiro pieno di polvere, così come tutto il corpo ed i vestiti mezzi laceri.
La sera venne tardi, troppo tardi, così come tutti i giorni. Darmon ed i suoi compagni si radunarono fuori dai cancelli di ingresso in attesa dei trasporti che li avrebbero condotti ai loro alloggi, situati a circa venti km dal posto di lavoro. Si trattava di grandi palazzi popolari, composti di piccoli appartamenti. Nello stesso complesso si trovava un edificio che fungeva da refettorio ed ospedale.
Quando il trasporto arrivò, Darmon ebbe la fortuna di trovare un posto vicino al finestrino. Non c'era molto da vedere in realtà. Tutta quella regione era sostanzialmente desertica ed il paesaggio era di una gran monotonia, specie se si era distrutti dalla fatica.
Arrivato al centro dormitorio, il trasporto si fermò di fronte al grande refettorio e tutti gli operai sciamarono fuori. Darmon entrò nel luogo che tutto era fuorchè accogliente. Illuminato con neon verdastri, arredato in modo estremamente spartano, offriva una scelta di cibi assai limitata e spesso la qualità era quella che era. 
Entrato nell'atrio del palazzo dormitorio, prese l'ascensore e salì fino al quindicesimo piano, dove si trovava il suo piccolo monolocale. Buttò la spesa sul tavolo e si fece una rapida doccia, poi guardò la olovisione, un piccolo lusso consentito ai detenuti. I programmi erano di una monotonia incredibile. Darmon non si interessava di politica, veniva da un piccolo villaggio lontano, così lontano che quasi ormai arrivava a pensare che la sua esistenza forse era frutto di un falso ricordo. Nonostante questo il giovane non si sentiva così rassegnato a quella vita, anche se la conduceva da molti anni. L'ologiornale costantemente magificava le opere del governo federale ed i risultati delle grandi compagnie industriali che trainavano l'economia del paese. Annoiato da tutta quella propaganda il minatore spense l'apparecchio e si stese crollando in un sonno profondo, troppo stanco anche per vomitare all'idea di un altro giorno alla miniera.
Il mattino dopo una pioggia insistente infradiciava i sentieri che divenivano stradelli di fango mentre le pareti della montagna si riempivano di rivoli che trascinavano acqua e graniglia. I vestiti zuppi erano fastidiosi e rendevano più scomodo il lavoro, così come le scarpe piene d'acqua. Una vera tortura. 
Piovve quasi tutto il giorno e la pausa pranzo avvenne sotto una delle tettoie che fungevano da riparo per i macchinari, curioso..i macchinari avevano un riparo dedicato ed i minatori no, questo la diceva lunga..ma molti suoi compagni, per non dire tutti, accettavano a testa bassa quello che reputavano un destino ineluttabile, un ordine naturale delle cose. Darmon no, non sopportava oltre di scontare quella pena. Un paio di volte aveva sentito alcuni compagni lamentarsi a bassa voce. Erano due minatori più anziani di lui, stranieri. Non aveva idea di chi fossero, né di dove e da quella volta li aveva incrociati raramente e sempre da lontano.
Mentre stava consumando il suo pasto a base di riso, verdure, spezie e carne, i suoi occhi incrociarono quelli del vecchio Sabad, forse il più vecchio del suo turno. Darmon non avrebbe saputo dire quanti anni avesse, ma quell'uomo era incredibilmente forte in rapporto alla sua corporatura esile. Aveva due enormi occhi neri, luminosi, ed una folta barba bianchissima. Indossava un turbante scuro, un po' consumato, ma era l'unico tra tutti quelli che il ragazzo avesse visto lì dentro, ad indossare qualcosa di simile. Il vecchio ingoiò un boccone e poi sorrise coi suoi denti bianchissimi ed il ragazzo ricambiò. Senza sapere perchè, Darmon si alzò e lo raggiunse.
“Sabad, come stai? Credo che sia la prima volta che parliamo, vero?”.
L'uomo assentì con un cenno del capo ed invitò il ragazzo a sedere. 
“Ti chiami Darmon vero? Di dove sei ragazzo?” chiese con voce dolce.
“Vengo da...Terleg..Terleg è un villaggio molto lontano da qui, così lontano che non saprei neppure trovare la via di casa se mai potessi tornare. Ci ho passato tutta l'infanzia e l'adolescenza. Era una vita molto diversa...da questa intendo. La mia era una famiglia povera ma mio nonno era insegnante e mi ha detto molte cose...tante cose...ma ho dimenticato quasi tutto, ormai da quasi dodici anni sono qui alla miniera, e solo per avere rubato qualcosa da mangiare. So, credo, che fuori di qui ci sia qualcosa, forse qualcosa di meglio intendo. L'olovisione mostra un mondo che credo non sia esattamente quello in cui viviamo. Ho questa sensazione ma non ho la minima idea di come poterne essere certo. Forse non importa, la mia vita credo che sarà sempre qui”.
Alle spalle di Darmon un minatore dalla pelle bruna fumava una sigaretta aromatica e prestava molta attenzione alle parole del ragazzo. La sua mano sinistra, nodosa, passò tra i capelli neri e bagnati. Ed i suoi occhi neri si chiusero per un momento, mentre dentro di sé un senso di ribellione si affacciò in silenzio. 
Sabad mise una mano sulla spalla sinistra di Darmon e disse “Figliolo, come dici tu, fuori di qui c'è qualcosa, molto più di qualcosa. Io vengo da un posto lontanissimo, chiamato Cerlon, una grande isola nell'oceano orientale. La mia famiglia era piuttosto ricca, eravamo allevatori di bestiame e io stesso ho condotto una parte della mia esistenza nei campi, con gli animali. E' stato il periodo più felice della mia vita. Vivevo con i miei genitori ed i miei fratelli ed avevo persino una promessa sposa...pensa”. L'uomo aveva uno sguardo sognante guardando al suo passato.
“Come sei finito qui?” chiese il ragazzi
Sabad annuì “Hm, ragazzo, io sono qui perchè al mio paese fui coinvolto in uno scontro tra proprietari terrieri per un furto di bestiame e ci uscì il morto, ecco perche la giustizia mi ha gettato in questo buco. Ormai sono vecchio ed accoglierò la morte come una benedizione. Prego tutti i giorni e cerco di essere in armonia col mondo. E' l'unica cosa che posso fare”.
Una sirena avvisò del termine della pausa ed i minatori ripresero in spalla i propri carichi, dirigendosi faticosamente al punto di raccolta, sempre sotto una pioggia fitta e pesante.
Quella sera Darmon era sfinito e si sentiva un inizio di febbre. Mentre attendeva il trasporto si sedette su una pietra al margine della strada. Dopo poco lo raggiunse un minatore bruno, dal fisico asciutto ma muscoloso. Era l'uomo che aveva origliato la conversazione con Sabad.
“Ti chiami Darmon, giusto ragazzo?” chiese l'individuo dall'accento strano.
Il ragazzo lo guardò distrattamente, troppo stanco per pensare “Sì è il mio nome, tu chi sei?”.
L'interlocutore si presentò “Mi chiamo Uliruy e vengo dalla regione occidentale di Natoly, molto lontana da qui, è una regione di splendide montagne e boschi. Lavoravo in una fabbrica di legname laggiù. Il lavoro era duro, ma non come qui e per fortuna c'era una paga, ero un uomo libero, avevo persino una famiglia, una moglie, dei figli. Non li vedo da quasi sette anni, sai? Sono finito qui per una questione di debiti. Non è una storia molto interessante ne allegra. Ma tu come mai sei qui? Sei uno dei più giovani. In questo posto ci finiscono persone con pene severe, cosa hai combinato alla tua età?”.
Darmon si passò le mani sporche sul viso umido di pioggia e rispose “Al mio villaggio c'era una grande povertà, non c'erano prospettive di lavoro e mio padre aveva problemi di salute. Io e mia sorella Jeela abbiamo dovuto lasciare casa per cercare possibilità di sopravvivere. Io sono finito qui per qualche furto, Jeela lavora come infermiera in un ospedale più vicino a casa. Beata lei”.
“Capisco” disse l'uomo. “Pensi di restare ancora molto in questa topaia? Sei giovane per condannarti a questa vita...avrai circa l'età di mio figlio Ahmet...”. Il minatore scosse la testa piano e imprecò qualcosa che Darmon non comprese.
“Darmon, ragazzo, quando scade la tua pena?” chiese Uliruy.
Darmon rispose “Tra un paio d'anni mi pare, perchè?”. Il minatore bruno lo guardò e disse “Cosa ne diresti di andare via un po' prima?”.
Darmon sbarrò gli occhi e disse “Prima? Ma come...non si può, non è possibile, non...”.
“Preferisci vivere in questo schifo per altri 24 mesi? Accomodati, io no. E non solo io. Tra i minatori si è formato un gruppo che cerca di migliorare le condizioni di vita qui dentro. Non siamo riusciti ad ottenere quasi nulla nel tempo ed allora abbiamo iniziato a pianificare una fuga. Quando prima ti ho sentito parlare con Sabad, ho pensato che volessi tornare fuori ed ho pensato a mio figlio...a cosa avrei fatto per aiutare lui. Ecco perchè ti chiedo se ti va di unirti a noi”.
Quella sera Darmon si recò nell'alloggio di Uliruy, dove si trovavano altri cinque minatori. Assistere ad un piano di fuga era la cosa più strana cui avesse mai pensato, anche perchè continuava a considerare la miniera una prigione da cui fosse impossibile fuggire.
Nel corso della serata, Uliruy ed i suoi compagni presentarono a Darmon un piano ben congegnato ed apparentemente molto solido. Pur parzialmente riluttante, il ragazzo accettò a prendervi parte, il suo desiderio di uscire nel mondo esterno era forte. Pochi giorni dopo, in piena notte, il gruppo si ritrovò al confine settentrionale delle proprietà della compagnia. Anoty, uno dei fuggiaschi, era un tecnico elettronico molto tempo prima di essere imprigionato per un grosso furto diversi anni prima, grazie alle sue abilità era riuscito a disattivare i braccialetti di controllo che ognuno di loro indossava. La cosa non sarebbe stata risolutiva, ma avrebbe concesso loro qualche ora di vantaggio nella fuga. Il gruppo superò il confine calandosi con difficoltà un canalone di scarico rifiuti che si snodava per un po' nel territorio desertico che divideva il complesso minerario dalla regione del grande lago salato di Smeder, qualche decina di chilometri a nord. 
Era una notte senza luna, fredda e buia, il cielo era trapunto di stelle. Il gruppo di fuggiaschi, silenzioso, avanzava in mezzo ai rifiuti più velocemente che poteva, considerando la stanchezza del giorno e le scarse calorie dei magri pasti che si poteva permettere normalmente.
La notte trascorse veloce ed all’alba un lieve lucore cominciò ad illuminare appena l’orizzonte orientale. Quando il sole si fu levato, la temperatura cominciò a salire e nel breve volgere di un’ora il gruppo di fuggiaschi si trovò a sudare e a faticare di più nella fuga. Uno degli uomini propose di ripararsi all’ombra ed a proseguire di notte. Procedere di giorno sarebbe stato faticoso e debilitante, ma la sua proposta venne rigettata dalla maggioranza, desiderosa di mettere più distanza possibile tra loro stessi e la miniera.
Darmon condivideva la posizione del prudente compagno, era sensato ripararsi e riposarsi, erano tutti sfiniti, ma alla fine proseguì anche lui nella fuga diurna.
Alla miniera gli addetti al recupero ed al controllo dei detenuti si accorsero dell’assenza dei fuggiaschi sin dal primissimo mattino e mandarono una squadra di ricerca, la quale pattugliò i dintorni dell’area mineraria, ma senza risultati. Il capo della sicurezza intuì che la fuga avrebbe potuto svilupparsi lungo il canalone dei rifiuti ma non sguinzagliò i suoi uomini lungo un percorso tanto accidentato e pericoloso, piuttosto decise di mandare una sonda volante armata alla ricerca di quei detenuti. L’ordine era quello di trovare ed eliminare. 
La sonda percorse in volo rapidamente la maggior parte del percorso ed individuò il gruppo nei pressi della fine del canalone, a pochi km dal confine con la Repubblica Teocratica di Valistan, che si affacciava sull’enorme lago salato di Smeder. 
Darmon si era fermato all’ombra di una roccia per urinare e godere di una leggera frescura, mentre i compagni avevano iniziato la risalita dal canalone, dirigendosi a nordest, verso il lago.
Un bagliore nel cielo azzurro attirò l’attenzione del ragazzo. Soffermandosi ad osservare con attenzione, Darmon si rese conto che una sonda era sulle loro tracce. Urlò ai suoi compagni di tornare nel canalone e di trovare riparo, ma nessuno parve sentirlo, erano tutti troppo lontani. Il giovane urlò ancora ma proprio in quel momento la sonda aprì il fuoco sul gruppo. Con precisione i colpì freddarono tutti gli uomini emersi dalla fossa dei rifiuti. Darmon rimase di sale e si rintanò ancora di più sotto le sporgenze rocciose, col cuore che batteva all’impazzata; il giovane aveva persino paura che il battito cardiaco potesse tradirlo attirando l’attenzione della sonda. Un silenzio irreale parve riempire la zona. 
Darmon pensò di dover sbirciare per verificare se la sonda fosse ancora in zona, ma la paura di venir ucciso lo trattenne tra le rocce. Passarono le ore e le ombre si allungarono sempre di più, la luce scemò e la notte venne, fredda. Il ragazzo decise di rischiare e si sporse dal suo riparo, perlustrando con lo sguardo il cielo vicino e la zona buia del canalone. Non gli parve di vedere nulla di particolare e si avviò verso l’uscita di quella fessura infernale. Dopo poco si imbattè nel cadavere di uno dei suoi compagni. Risalendo oltre il bordo trovò anche gli altri e rabbrividendo si mise a correre verso nordest. Quella notte trascorse in uno stato semiconfusionale. Darmon era rimasto turbato dalla morte dei suoi compagni e temeva di essere raggiunto da quella maledetta sonda, divenendo anch’egli un cadavere abbandonato tra le rocce sparse di quel terreno riarso.
Il suo sguardo febbricitante saettava continuamente tutto intorno a se, sudava copiosamente e negli occhi gocce salate scivolavano bruciando la vista. Il respiro era affannoso, La milza doleva e la gola era in fiamme. Una sete divorante lo tormentava. Avrebbe dovuto rallentare, ma no, doveva scappare, sempre più veloce.
Le ore passarono e l’oriente cominciò a schiarirsi. Darmon era sempre più allo stremo, si sentiva una febbre tremenda e la testa cominciò a girare, una vertigine cominciò a salire al capo e quando il sole si alzò la luce lo accecò. In quel momento avrebbe accettato persino la morte…non ce la faceva più. D’improvviso tutto divenne confuso, poi nero e poi più nulla.
Un rumore confuso entrò nelle orecchie, una luce rosata entrò attraverso le palpebre chiuse. Un dolore generalizzato si fece acuto, il corpo chiedeva aiuto e la gola riarsa bramava acqua. Le mani deboli si mossero piano e toccarono un tessuto ruvido e grezzo. 
Darmon, con un grande sforzo, aprì gli occhi, ma la vista era annebbiata e la testa gli girava. Si sentiva ancora febbricitante. Un tocco freddo sulla fronte lo sorprese. Si rese conto che qualcuno doveva avergli messo una pezza bagnata. 
Rendendosi conto che stava riprendendo conoscenza, un uomo seduto accanto al ragazzo disse qualcosa che Darmon non comprese. Era convinto di essere in condizioni tali da non comprendere nessuno, in realtà era una lingua straniera. Aprì di nuovo gli occhi e si sforzò di dire qualcosa, ma non si sentiva la lingua e doveva bere, la testa girava. Una mano gli sorresse il capo da dietro e qualcuno gli avvicinò una borraccia alla bocca. Darmon bevve avidamente l’acqua fredda di sorgente e riprese conoscenza a sufficienza. Si guardò intorno e vide tre uomini vestiti di scuro, con abiti di lino, il volto coperto, esclusi gli occhi. A giudicare da quel poco che si poteva intuire erano persone di mezza età. 
Una luce entrava da una finestra. Darmon con poca voce domandò ai tre dove si trovasse. Nessuno di loro parve comprenderlo. Il suo sguardo andò oltre la finestra e mille barbagli di luce a breve distanza lo sorpresero. Occorse qualche attimo fino a che una consapevolezza facesse capolino attraverso la febbre e le vertigini.
Con un filo di voce ed indicando oltre la finestra chiese “Smeder”?
Uno degli uomini mostrò uno sguardo sorridente ed assentì. “V…Vali..Valistan?” domandò ancora stentatamente Darmon.
Lo stesso uomo assentì rispondendo qualcosa di incomprensibile ma dal tono gentile. Una mano del ragazzo passò sul volto sudato ed egli si stese, sospirando di sollievo e piombando in un sonno ristoratore.
VIII. Il Tuffo
La stanza era immersa nella penombra. La lampada sulla scrivania illuminava le copertine di alcuni manga ed un cd di Bob Marley. Filippo trovava che il reggae fosse interessante a dosi omeopatiche, ma che alla lunga risultasse di una monotonia sconvolgente. Non era mai stato interessato dalla filosofia rastafariana e da tutte quelle cose lì. 
Silvia invece ci andava matta, ascoltava solo quel tipo di musica, si faceva le canne e la menava in lungo e in largo con l’essenza religiosa del reggae vero.
L’attenzione di Filippo non era centrata su questi pensieri, non in quel tardo pomeriggio invernale. Pioveva da ore, era buio..potevano essere quasi le 19.00, forse sì, un orario lì attorno con ogni probabilità. La bocca di Silvia non si staccava dalla sua, gli divorava il respiro, mentre i loro corpi si stringevano su quel letto un po’ stretto.
Le mani di Filippo entravano ed uscivano dai vestiti di lei e gli unici rumori in quella stanza erano i loro sospiri e respiri, il fruscio dei vestiti e qualche parola detta sottovoce.
Dopo un tempo indefinito la ragazza trovò il piacere e si strinse forte all’amico baciandogli il collo. Lui non aveva raggiunto lo stesso risultato, almeno non del tutto. Quando si ricomposero un poco Filippo sedette e controllò l’ora sul cellulare che stava ai piedi del letto. “Cazzo, sono le 20.30!!!” disse allarmato. Meno di un’ora dopo avrebbe dovuto suonare al Diagonal Pub, un locale un po’ strano, piccolo e frequentato da gente di tutti i tipi. Doveva ancora andare a casa, lavarsi, cambiarsi, prendere la chitarra ed andare per il soundcheck. Si alzò, prese il giubbotto, si mise gli anfibi e salutò frettolosamente l’amica. Silvia tentò di trattenerlo, ma Filippo corse via, salì sulla sua Peugeot 205 Diesel blu e corse (si fa per dire) a casa, dove si fiondò sotto la doccia, indugiando in una pulizia inutile che però era sintomo psicanalitico del fatto che Silvia non gli piaceva poi molto. Si rivestì indossando una maglietta nera e dei jeans mezzi strappati e gli anfibi. Aveva una fame assurda ma non poteva cenare, era in ritardo. 
Con la custodia della chitarra nella mano sinistra scese le scale e corse in macchina, sotto la pioggia. In pochi minuti giunse davanti al locale e vide che era il primo ad essere arrivato. Sospirando scese, prese la chitarra dal bagagliaio ed entrò nel locale. A quell’ora gli avventori erano molto scarsi, non c’era quasi nessuno. 
Filippo salì sul piccolo palco, estrasse la chitarra e l’accordò. Guardandosi intorno notò una ragazza non molto alta, coi capelli biondi e corti. Lei lo guardava. Il ragazzo scese dal palco e la raggiunse presentandosi. La ragazza fece lo stesso. Si chiamava Nicole ed era una studentessa. Prendendo l’iniziativa, Nicole offrì da bere a Filippo, ordinò un cocktail che lui non conosceva e brindò al suo concerto. 
Il ragazzo diede un primo sorso e quella roba gli sferrò un cazzotto nello stomaco. “Porca puttana ma che cos’era!?!?”. In quel mentre arrivarono gli altri ragazzi del gruppo ed il chitarrista li raggiunse per un brevissimo soundcheck durante il quale il locale si riempì velocemente. Quando furono le 21.45 le bacchette di Roberto scandirono l’attacco del primo brano e tutti si misero in moto con energia. Alla fine del primo pezzo gli occhi di Filippo incrociarono quelli di Nicole e poi si spostarono sul bicchiere ghiacciato appoggiato sull’ampli. La mano destra l’afferrò ed il ragazzo trangugiò il contenuto con imprudente rapidità.
All’avvio del secondo brano Filippo mancò il tempo e perse il ritmo sotto lo sguardo feroce del cantante Alberto. Filippo cercava di rimediare, ma quello che usciva dalle casse era solo un pastone sonoro distorto.
La mano di Claudio, il bassista, lo afferrò per un braccio ed il compagno gli urlò all’orecchio “Filo, ma che cazzo fai?!?!”. Il chitarrista si voltò con espressione assente. Si sentiva di gomma, quel cocktail era troppo forte…lo aveva capito tardi. Ora si trovava a ciondolare mentre la chitarra andava in feedback e la band si era fermata tra i fischi del pubblico. Alberto prese una bottiglietta di acqua fredda e gliela versò sulla testa. Filippo sussultò sbarrando gli occhi e scuotendosi. Il resto del gruppo riprese a suonare con Guido, alle tastiere, che cercava di coprire le parti di chitarra. Il chitarrista non si muoveva, restava come un’idiota sul palco, ciondolando con la chitarra a tracolla. Nicole si avvicinò al palco e gli urlò qualcosa che non lui capì veramente, ma interpretò quelle parole come una incitazione a riprendersi. Passandosi una mano sul viso Filippo si girò ad afferrare una bottiglia di acqua fresca. Dopo averla scolata, riprese con forza la chitarra ed entrò nel pezzo con sufficiente sicurezza. La testa girava ancora, ma almeno le mani davano retta. I riff uscivano bene e Filippo si sentì uscire dal corpo..l’alcol faceva brutti scherzi a volte. Guardandosi dal soffitto del Diagonal il ragazzo vide come il suo corpo si era tuffato finalmente nel flusso della musica. In quel momento lo spirito non aveva intenzione di scendere giù, ma andava bene così, si disse.
IX. Acfrido
I guerrieri capeggiati da Acfrido erano un gruppo sparuto ed avanzavano a cavallo in un’area boschiva ad est del Reno. Era un autunno freddo e piovoso, ma tutti gli uomini eccetto il capo erano vestiti solo di una leggera tunica. Lance, scudi e framee erano gli equipaggiamenti dei guerrieri. Solo Acfrido indossava un’armatura, un elmo e possedeva una spada in ferro, arma molto rara presso i germani.
Quei boschi scuri e silenziosi sembravano una sorta di cattedrale ombrosa, resa fredda dall’incessante pioggia di quei giorni. Il terreno era zuppo e fangoso ed anche procedere a cavallo era disagevole. 
La folta barba rossa del capo era fradicia d’acqua, così come le sue vesti poste sotto la corazza e come i capelli che uscivano dall’elmo. Acfrido aveva una lunga e folta chioma rossa come il rame e due luminosi occhi azzurri. Non era molto più alto dei suoi, ma era dotato di una muscolatura possente ed era un guerriero indomabile e letale, nonostante la giovane età. 
Durante gli anni precedenti aveva posto sotto il suo dominio qualcosa come dieci clan, creandosi un piccolo regno, proprio oltre le zone controllate dai romani. 
Quegli uomini bruni provenienti da una terra lontana avevano costruito un impero sterminato e disponevano di un esercito enorme ed invincibile. Per quanto li odiasse in quanto nemici dei germani, ne ammirava le capacità belliche e la spietata determinazione. Personalmente non si era mai imbattuto in qualche distaccamento delle loro forze, ma la necessità di controllare i propri confini lo spingeva spesso ad occidente, in una sorta di terra di nessuno. Non temeva quelle genti, questo no, ma sapeva di non avere un esercito numeroso e coeso, questo lo impensieriva. Era probabile che di fronte ad una operazione pianificata dai romani i suoi avrebbero ceduto in breve tempo. Era difficile tenere disciplinate le sue genti.
Nel pomeriggio il manto di nubi si aprì parzialmente ed un sole timido si affacciò sulla foresta, disegnando ombre nel sottobosco. Acfrido comandò ai suoi di fermarsi per una sosta. Gli uomini scesero da cavallo e consumarono un pasto frugale composto da carne secca, acqua fredda e focaccia. Subito dopo risalirono a cavallo per percorrere l’ultimo tratto del percorso perlustrativo prima di tornare a casa. Mentre avanzavano, un sibilo acuto ruppe il silenzio, uno dei guerrieri emise un suono strozzato e cadde da cavallo. Gli uomini si fermarono di colpo scandagliando con lo sguardo il bosco. Un altro sibilo ed un cavallo cadde in ginocchio disarcionando il guerriero. “Giù al riparo dietro gli alberi!”  urlò Acfrido. Gli uomini reagirono con prontezza. Il nemico era da qualche parte alla loro sinistra, ma non era visibile, nel fitto della vegetazione. La ventina di guerrieri al comando di Acfrido si scambiavano occhiate interrogative, mentre il loro capo estraeva la spada con uno sguardo determinato. Il buonsenso, tuttavia, gli impedì di lanciarsi all’attacco senza un obiettivo preciso e senza sapere quali forze si nascondevano aldilà della macchia. Questo dubbio fu parzialmente fugato da una voce perentoria che si alzò da quella parte della foresta.
Una frase del tutto incomprensibile, ma dal tono minaccioso giunse all’orecchio dei guerrieri, che si guardarono con sguardo interrogativo.
Acfrido comprese subito che doveva trattarsi di romani, anche se non ne conosceva la lingua. Non sapeva come agire, in quel momento si sentiva spiazzato, ma non fece trapelare nulla ai suoi uomini e rispose a quella voce gridando “Sono Acrfido, re di questa regione, uscite dal mio territorio o sarà guerra!”. Ci fu un breve attimo di silenzio, poi dalla parte dei romani si sentì ridere a voce alta ed una voce, diversa, rispose “non temiamo i vostri guerrieri, molti ne abbiamo vinti e di più ne vinceremo. Lasciate questa terra o non vivrete!”
Stupefatto Acfrido si chiese chi potesse essere a parlare la sua lingua tra quelle genti, certamente un traditore o un prigioniero. Di rimando rispose “Questa terra non è vostra e combatteremo fino alla fine. Non passerete!”.
Il germano rispose “Il centurione Armenius non ha tempo da perdere! Arrendetevi o vi schiacceremo”. Un sibilo, questa volta diverso, attraversò l’aria ed un urlo acuto si levò alle spalle del capo. Uno dei suoi uomini era stato trafitto ad una spella da una freccia.
Una rabbia furiosa si impadronì di Acfrido, che abbandonò la prudenza e ordinò ai suoi uomini di attaccare allargandosi ai lati, presunti, dello schieramento romano. I germani giunsero rapidamente in contatto col nemico, ma si trovarono di fronte ad un distaccamento piuttosto numeroso di fanteria romana e di ausiliari. Armenius dava ordini con comandi secchi e decisi ed i fanti romani disarcionarono quasi tutti i guerrieri, finendoli rapidamente.
Acfrido riuscì ad uccidere parecchi nemici e decise di puntare contro Armenius, anch’egli a cavallo. I due comandanti ingaggiarono uno scontro con le spade e combatterono a lungo, nonostante i germani fossero stati trucidati. Con gli occhi verdi iniettati di sangue Armenius combatteva furiosamente, con una energia inesauribile. Era un veterano di molte battaglie. Originario della lontanissima Armenia, aveva servito l’Impero in molti teatri di guerra ed ora, in terre barbariche, si trovava a combattere nemici molto diversi da quelli mediterranei o asiatici. Determinato a finire quel combattente, non dava tregua al nemico ed i suoi colpi erano sempre più intensi e gli attacchi serrati.
Acfrido, per quanto forte e capace, stava iniziando ad accusare fatica e questo lo esponeva sempre di più alla furia del nemico. Era sempre più difficile mantenere l’attenzione, era sempre più complicato rispondere agli assalti ed attaccare. Dopo un tempo che parve infinito, la lama di Armenius colpì in un punto scoperto della corazza di Acfrido, penetrando in profondità. Il guerriero germanico sussultò tentando di prendere fiato, ma sputò sangue e la barba ramata si striò di rivoli rossi. Un dolore lancinante si irradiava attraverso il suo possente corpo.
Armenius fu tentato di finirlo colpendolo alla gola, ma poi abbandonò quel pensiero. Acfrido cadde da cavallo e stramazzò sul suolo fangoso. La sua pelle divenne grigiastra, i suoi occhi azzurri si appannarono guardando le cime degli alberi scuri. I rantoli dall’agonia lo scuotevano, mentre nelle orecchie risuonavano gli insulti dei legionari e qualche sputo lo colpiva.
Armenius urlò qualcosa e zittì i suoi uomini, poi si chinò sul nemico, gli strappò la spada dalla mano ed ordinò a tutti di andare, lasciando Acfrido ai suoi ultimi respiri.
Un ultimo pensiero balenò nella mente pervasa dal dolore dello sconfitto..le porte del Valhalla.
X. Portatemi con voi
Il sole era sorto già da un’ora e stava cominciando a fare caldo. Eufrem imprecò, doveva alzarsi prima. Estrasse una pesca succosa dalla bisaccia e la addentò affamato ed assetato, guardando la sua cavalla che brucava erba legata al ramo di un albero vicino. La familiare sensazione di pericolo si riaffacciò nella mente del ragazzo. Quella incessante paranoia lo tormentava da anni e lo aveva logorato molto. Le guerre separatiste avevano infuriato per ben otto anni ed avevano trascinato nel loro gorgo di morte, dolore e distruzione, milioni di persone, moltissime città e villaggi. Tutto il mondo che Eufrem aveva conosciuto da piccolo era stato spazzato via, in nome di una lotta per le identità. L’istinto di sopravvivenza aveva spinto il ragazzo ad una continua fuga. Fuga dal dolore per la perdita dei suoi, fuga dalla sua città, dalle sue terre d’origine. Non si era mai aggregato a gruppi di profughi o di partigiani, ma aveva imparato a sparare ed aveva sempre trovato il modo di procurarsi armi, cibo, acqua. Era dura, tutti i giorni erano un ricominciare daccapo anche se, col tempo, il ragazzo aveva notato che le presenze dei militari si erano diradate, così come quelle dei civili. Aveva pensato ad evacuazioni, deportazioni, chissà…non sapeva che fine stessero facendo tutti e neppure come stesse andando la guerra o se ancora si combattesse. 
Da un po’ di tempo non incontrava nessuno. Stava percorrendo da molti giorni sentieri di montagna, tra boschi e valli senza presenze di villaggi o di persone. 
Indossando i suoi abiti di lino, i suoi scarponcini estivi e il suo copricapo con visiera (una accozzaglia di uniformi ed abiti civili), salì a cavallo fissando la bisaccia, la grande borsa da viaggio e sistemando il suo fucile al plasma. Aveva avuto forse armi migliori e piu recenti, ma soggette al problema della necessita di essere ricaricate. Il fucile al plasma, sebbene ampiamente in disuso, non aveva questo problema. Era un residuato delle guerre repubblicane, combattute qualcosa come trent’anni prima. Quel secolo era stato troppo insanguinato. 
Per proteggere quell’arma preziosa trovata qualche tempo prima, Eufrem ne aveva avvolto la canna con strisce di stoffa, e lo stesso per il calcio. Il potere distruttivo di quel coso ingombrante era notevole, così come la sua velocità, ma non era un’arma perfetta. Comunque era utile per la caccia. 
Eufrem aveva combattuto raramente e sempre soltanto per potersi dare alla fuga o difendersi. Non era un soldato, ne nulla di simile, era un fuggiasco, perennemente determinato a lasciarsi alle spalle, dolore, morte, distruzione. Non riusciva mai completamente a sentirsi al sicuro, neppure durante quel periodo.
Quel giorno il suo cammino lo portò attraverso un sentiero in salita che da un bosco di acacie si inerpicava lungo un fianco della montagna. Durante la salita finalmente la vegetazione si diradò e d il viandante fermò il cavallo. Estraendo il binocolo elettronico dalla borsa da viaggio si mise a scandagliare la valle sottostante e trasalì quando, in lontananza, vide alcune macchie chiare, con tutta evidenza si trattava di edifici. Una parte di sé accese un campanello di prudenza, mentre un’altra lo spinse a scendere a valle. Poteva essere un luogo dove trovare provviste ed acqua.  Eufrem decise di scendere. Con lentezza il cavallo proseguì tra bosco e prati, fino a raggiungere il fondovalle, dove un torrente trasparente, di acqua ghiacciata scorreva tumultuoso. 
Avvicinandosi all’abitato Eufrem notò che un silenzio tombale pareva coprire il luogo. Una sensazione di scoramento lo attraversò. Perlustrando le strade, si accorse che non c’era nessuno. Tutto sembrava ovviamente in rovina per colpa della guerra, ma non c’erano cadaveri, nulla. Ad ogni modo frugando qua e la il viaggiatore trovò parecchie provviste e riempì le borracce d’acqua fredda. Su una panchina sbrecciata si sedette sospirando e mangiando qualcosa. La piazza del paese era piena di polvere e calcinacci. 
improvvisamente uno strano ronzio proveniente dall’alto gli fece alzare lo sguardo e con grande stupore vide un oggetto ellittico, color metallo opaco, scendere e posarsi sulla piazza. Le dimensioni potevano essere circa quelle di un autobus. A bocca aperta ed occhi sbarrati osservò la scena. Lentamente si aprì un portellone da cui uscirono cinque uomini che indossavano abiti grigi, simili ad uniformi. Uno di loro, dai tratti mediterranei, si avvicinò prudente e si guardò lentamente intorno per poi rivolgersi al giovane “Salve, siamo in volo da giorni e…ovunque è così. Dove sono finiti tutti?”.
Eufrem guardò a terra e poi fissò i suoi occhi in quelli interrogativi dell’uomo che aveva di fronte. Sospirando rispose “C’era..c’è stata una guerra, ma…devo avere vinto, credo”. 
L’uomo uscito dall’oggetto guardò i suoi compagni con sguardo interrogativo, poi di nuovo la sua attenzione si spostò sul ragazzo, il quale riprese la parola “per favore, vi prego, portatemi con voi..”
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laurafrezzato · 6 years
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“Mini skirt maroon” / Viola shimmer.
    Per una manicure al top inizia con la base coat, che protegge le unghie naturali e permette la perfetta adesione del colore. Rinforza le unghie fragili che si sfaldano, le preserva dalle aggressioni e corregge otticamente le piccole imperfezioni.
Dopo aver steso il vostro colore preferito stendete due strati sottili di Color Couture Gel che farà resistere lo smalto fino a 10 giorni e infine applicate il top coat che uniforma e perfeziona la stesura, proteggendo dalle sbeccature ed esaltando la lucentezza dello smalto.
La collezione è disponibile in esclusiva da Panzeri Diffusion S.r.l. e in tutti i saloni hair care e nei centri estetici autorizzati.
XOXO
Laura
NOVITÁ – DR. HAUSCHKA E APEPAZZA Con la nuova stagione alle porte sentiamo il bisogno di ripartire concedendoci delle coccole private, quasi intime, che ci fanno sentire delle pittrici per dipingere il nostro viso e le nostre unghie con le ultime novità dell'autunno.
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daviddrposts · 3 years
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Una selezione di colori smalto per unghie autunno al top. Dal marrone al blu, passando per il verde e il senape. Parola di nail artist http://fashionmetropolitan.blogspot.com/2021/09/una-selezione-di-colori-smalto-per.html
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nikdalloway · 7 years
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Sono un bottone blu.
Nessuno di voi umani ricorda il momento della propria nascita, l’istante in cui una donna “vi dà alla luce”, come siete soliti dire. Eppure per noi “cose” è tutto diverso. Io, ad esempio, sono un bottone blu.
Ricordo di essere stato una miscela di plastica sciolta, bollente, prima di essere pressato sotto quella che sarebbe diventata un giorno la mia forma di oggi.
Ricordo di aver passato i miei primissimi mesi, quando ancora ero scombussolato dal fragore di questo nuovo mondo, in una scatola di latta. Sul rivestimento erano disegnati dolcetti e scritte corsive, che come dice la parola correvano tutt’attorno la superficie arrotondata, perciò pensavo sempre che nessuno si sarebbe ricordato che proprio lì dentro stavo io, assieme agli altri bottoni, aggrovigliati senza alcuna logica in una meravigliosa trama del disordine. E l’idea di restare in incognita per tutta la vita, detto tra noi, non mi dispiaceva.
Ricordo di aver passato anni interi a fissare quella fascia di luce che con il passare delle ore si spostava e penetrava da quel bordo di metallo che era diventato la mia casa. Provavo ad immaginare la terra fuori, dipinta di quei guizzi di luce che facevano innamorare persino i miei occhi, rinchiusi in un mondo millimetrico.
Ma il momento che ricordo meglio, sarà per sempre quella mattina di primavera, quando, tra i profumi dei boccioli e i tremori della rugiada al vento, tra le voci di un vinile graffiato e quelle delle rondini, una mano fece sobbalzare il nostro piccolo rifugio. Ciò che ci teneva al buio diede spazio a miliardi di colori, di bagliori… credevo che il cuore non potesse reggere questo tumulto vorticoso di sensi.
La pelle delle sue dita era molto chiara, e l’intensità dello smalto con cui erano state laccate le sue unghie curate accentuava la loro purezza cromata. Ricordo che scorse i polpastrelli caldi su ognuno di noi, come ci accarezzasse. Ora, che sono io a raccontare con le lacrime agli occhi, risulterà ovvio che scelse me, ma io mai me lo sarei aspettato. Non sono mai stato in attesa nella mia vita, prima di quel momento, ho soltanto riposato e spinto la mente su altalene di immagini inventate.
Lei, però, scelse me. Mi prese fra le sue mani, e per la prima volta vidi i suoi occhi, quegli occhi che con il tempo sarebbero diventati anche i miei, di giorno in giorno, di viaggio in viaggio, di sguardo in sguardo. Mi posò sul bracciolo di una poltrona color porpora, prese un filo di cotone bianco e con delicatezza chiese all’ago di farle spazio per lasciar passare la fibra sottile attraverso il mio corpo, per unirci in un legame di solo contatto. Nel tempo di un brivido facevo già parte di qualcosa di più grande.
La donna dalla quale ero stato scelto, aveva deciso che la mia nuova dimora sarebbe stato il suo petto, legato ad una blusa candida. Da quel momento sarei per sempre restato, protetto dall’abbraccio di un’asola spaziosa.
Incominciai a conoscere di chi era il corpo che mi aveva accolto; ogni mattina, le sue mani ancora calde di sogni e di caffè, mi avvolgevano per ripormi nuovamente al mio posto. Il momento che preferisco, prima che si esca di casa per andare a lavoro, è l’ultimo sguardo sfuggevole che si dà allo specchio, per mettere a posto qualche capello fuori posto o per accarezzare le lunghe ciglia nere come a pettinarle. D’altronde, durante la giornata, lo specchio è l’unico mezzo che ho per guardare i suoi occhi, il suo viso, solitamente vedo soltanto quello che è lei a vedere. Stiamo dalla stessa parte.
Con il tempo ho imparato a capire anche i movimenti della sua anima. Le ansie, le paure, gli amori, le felicità, le riflessioni… ognuno di essi possiede un ritmo proprio, e il suo petto si muove, sotto il mio corpo, secondo la frequenza dei propri battiti.
In questi anni ho sempre adorato l’inverno insieme a lei. Passavamo le giornate avvolti in cappotti roventi del suo profumato calore, seppure non potessi mostrare quasi a nessuno il mio bel colore acceso.
Niente, però, mi ha mai fatto tremare quanto i suoi innamoramenti fugaci. Ricordo la prima volta che successe, nel bel mezzo di un parco, quello proprio nel centro della città. Era autunno, e ogni foglia aveva già iniziato da un po’ la sua metamorfosi cromatica, in un vortice di baleni tenui. La mia donna aveva deciso di voler alzare un po’ di più lo sguardo, e così si era incamminata tra le vie di ciottoli bagnati, osservando la biancheria stesa alle finestre del centro, dalle magliette di bambini a  bande rosse e bianche, alle vestaglie in pizzo nero di spose annoiate. Comprò un caffè, velocemente, con un debole sorriso soltanto accennato, dissolto tra quei pensieri che la sopraffacevano. Arrivata al parco scelse una panchina, quella priva del terzo asse in legno, sfilò il cappotto e ne estrasse un libricino dalla copertina bianca, con soltanto alcune parole scritte sopra. Mentre lei leggeva, io seguivo i fluttui che le lettere, una accanto all’altra, creavano. Era poesia, posso assicurarlo, non tanto perchè io sapessi estrarne un qualche significato, quanto perchè le frasi, sovrapposte, costruivano una scala; erano le sue preferite.
Non ho mai amato la musica perchè, solitamente, ogni volta che Lei ascoltava una melodia, il ritmo del suo petto, che io sentivo così forte, scombussolava l’andamento dei battiti provenienti dal giradischi. Eppure, quel giorno, ogni vibrazione che arrivava a me, sembrava essere in sintonia. In lontananza, l’eco delle corde di una chitarra dal corpo umido, rifletteva su ogni tronco d’albero, su ogni velo d’acqua, per poi giungere a noi, quasi amplificato.
E’ stato proprio in quell’atmosfera mistica, intrisa di stimoli sensoriali, che quella prima figura d’amore avanzò verso la mia donna. Con il suo energico incedere, si scoprì alla luce un giovane uomo flessibile, dalle lunghe dita affusolate che sembravano appoggiarsi all’aria ad ogni passo. La sua barba mora e quasi folta si scostò dalle sue labbra per fare spazio ad alcune parole, con le quali avrebbe poi convinto Lei a regalargli un po’ di quella preziosa poesia bianca.
Da quel giorno lo vedemmo spesso, Lei parlava alle sue orecchie e io mi dondolavo su quella serenità. Ricordo la tenerezza delle prime volte. Ricordo le sere passate davanti al camino, tra calici di vino rosso e incenso, il calore che mi bruciava il corpo ogni volta che si avvicinava al fuoco per aggiungere della legna. I suoi occhi ed io avevamo lo stesso riflesso lucido al fronte delle fiamme, io a causa della mia vernice lucida, e loro a causa delle emozioni che si nascondevano appena sotto le palpebre. Ricordo anche quando rimaneva nuda di fronte a lui, coperta soltanto da me e dalla blusa bianca, quasi trasparente. Quando lui la stringeva a sè, sentivo attorno a me una confusione inverosimile, incomprensibile. Si mescolavano, ed io, appoggiato tra i suoi capezzoli turgidi che sporgevano dal tessuto, riposavo palpitante, felice delle sue sensazioni forti.
Così finisco di raccontare quel poco di vita che la mia Donna è stata capace di regalarmi fin’ora. Nonostante io sia soltanto un oggetto silenzioso, immobile. E’ giusto, credo, che vi ricordiate della mia quieta presenza, che vi ricordiate di darmi uno sguardo, ogni tanto, quando attraverso i viali appoggiato alla mia blusa, sul corpo della mia Donna. E soprattutto che ripensiate a questa mia breve esistenza, raccontata in poche righe, che ho visto da questo petto caldo.
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margiehasson · 5 years
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Il ritorno di tendenza della french manicure ma laterale!
Sapete qual è una delle manicure più famose che è divenuta top tra i trend unghie negli anni 2000? Ebbene sì, è proprio lei la french manicure, ossia quella nail art tanto semplice quanto accurata nel realizzarla e dal look molto raffinato. Ad oggi però ha visto notevoli cambiamenti fino a tornare in voga soprattutto in questo autunno-inverno 2019-2020 nella sua versione più cool , vale a dire quella sideways o più semplicemente detta ”laterale”.
Photo Credits Pinterest @harper’sbazaar
  La teoria principale su cui si basa questa nail art è di mettere sempre a contatto il colore della lunetta bianca, generalmente posta all’estremità dell’unghia, che va spostata un po’ più lateralmente in questa variante side e di un colore di smalto a contrasto con quello usato per il letto ungueale.
Photo Credits @pablobressan
  Ma come realizzare questa side o sideways french manicure perfetta anche per chi ha le unghie corte?
Nulla di così complicato! Basta stendere come sempre lo smalto trasparente di base e poi passare ad un colore scelto per poi applicare un altro smalto che rappresenterà il colore della striscia laterale, guest star della nail art. Dopodiché si andrà ad usare un altro smalto sopra che però dovrà essere ben pigmentato per coprire quello sottostante lasciando la striscia laterale.
Altrimenti per chi è più preciso la può disegnare manualmente  semplicemente usando un pennellino ed un colore diverso dal nail polish precedentemente usato. Il tutto andrà poi fissato con una passata di top coat  da scegliere in base ad un finish lucido per un effetto luminoso oppure matte.
Photo Credits Pinterest @coolideas
  Potete anche scegliere la combo di colori spaziando tra una tonalità nude ed una dark sul nero oppure base trasparente e striscia laterale glitterata, oppure ancora optare per affiancare colori eccentrici come l’arancione ed il rosa fluo.
Photo Credits Pinterest @russullgarrett
  Photo Credits Pinterest @deliasulja
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fashioncurrentnews · 5 years
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UNGHIE GLAM! Le Tendenze Autunnali!
Care Pinelle,
ormai le mani e, in particolare, le nostre unghie, sono diventate un dettaglio beauty che va di pari passo con il nostro stile!
Sulle passerelle abbiamo già potuto sbirciare quelli che saranno i principali trend del prossimo autunno. Ho voluto raccogliere tutte le tendenze che sembrano imperare nel panorama della nail care, così da poter iniziare ad orientarci…
  Shape
La premessa è una sola: lunghe o corte, con o senza smalto, l’importante è che le unghie siano sempre curate e in ordine!
Questo autunno, grande riconferma della forma a Mandorla! Una silhouette estremamente femminile e sensuale che sa essere elegante e raffinata sulle unghie naturali, più audace e graffiante nella ricostruzione in gel.
Un’altra shape di tendenza è quella a Ballerina. A differenza della forma a mandorla, la ballerina ha la punta squadrata, che ricorda proprio la classica scarpetta utilizzata nella danza classica.
In ogni caso, entrambe le forme donano alla mano un effetto più slanciato!
Il nude
Le nuance nude non passano mai di moda e, anche in questo periodo, le vedremo laccare con eleganza tutte le unghie. La palette del nude è molto vasta e prevede sempre colori neutri e cremosi. E’, però, essenziale saper scegliere una tonalità che si sposi bene con la nostra carnagione!
Il bianco
Il bianco non va in vacanza e resta a fare tendenza anche in inverno. Visto che vedremo un trionfo di questo colore su moltissime collezioni A/I della prossima stagione, perchè non sfoggiare un total white look dalla testa… alle mani?
Il Marrone
Re dell’autunno, i toni del marrone sono un’opzione davvero cool. Quest’anno, le principali aziende cosmetiche regalano a questa nuance sfumature magnifiche, dalle più intense al mattone, tutte super chic…. Assolutamente da provare!
Il Rosso Scuro
Altro classico delle stagioni fredde, il rosso scuro è un colore dal fascino intramontabile che dona alla figura femminile un allure decisamente sensuale. Molti brand hanno fatto di questa tinta il vero must delle proprie palette, c’è solo l’imbarazzo della scelta!
  Le Tonalità Notte
Non importa quale periodo dell’anno sia, con il nero non si sbaglia mai! Nella prossima stagione, però, le unghie adoreranno sia il total black che tutte le altre sfumature della notte. Largo, quindi, anche al blu scurissimo, al melanzana intenso e a tutte quelle tonalità a un passo dal noir. Per un effetto super cool, urban e, allo stesso tempo, sofisticato!
  Nail Art Fan
Le fan della nail art, questa stagione, avranno sicuramente grandi soddisfazioni!
Una pioggia di perle cadrà sulle vostre unghie, da quelle maxi a quelle petit, per creare effetti 3D eccentrici dal sapore vintage.
Non passeranno inosservate neanche le applicazioni gioiello; alcune discrete, altre simili a dei veri e propri diamanti!
In un panorama così luminoso, trovano posto anche i glitter. Da sfoggiare con audacia ricoprendo totalmente le unghie di brillantini, o illuminando giusto qualche dettaglio!
Infine, prosegue il trend dell’ombrè! Questo effetto è ideale per dare un tocco più moderno al classico french manicure, ma è anche un’idea originale se si vogliono creare giochi di sfumature tra colori più vivaci.
Care Pinelle, senza escludere la possibilità di altre sorprese, questi sembrano i principali trend che le nostre mani incontreranno nei prossimi mesi. Avete già scelto quale provare? Vi consiglio sempre, però, di non esagerare né con lo smalto né con il gel. Alla lunga, un utilizzo esagerato di questi prodotti potrebbe indebolire le unghie! Tanti baciii
    from la pinella https://ift.tt/2VyaOYx from Blogger https://ift.tt/2IGK56K
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UNGHIE COLOR ZUCCA, IL NAIL TREND AUTUNNO 2021!
UNGHIE COLOR ZUCCA, IL NAIL TREND AUTUNNO 2021!
TONALITA’ CALDE E SPEZIATE PER LA MANICURE DELLA PROSSIMA STAGIONE FREDDA! (519) Pinterest(519) Pinterest L’autunno è ormai arrivato, cambiano i nostri outfit e le manicure si adeguano alla nuova stagione fredda vestendo tonalità più scure, calde e avvolgenti!Come visto in un precedente articolo, i colori smalto autunno-inverno 2021-22 sono tanti e tutti molto interessanti, ma l’anima vera e…
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makeupcassy89 · 6 years
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Smalto Autunnale/Invernale - Diego dalla Palma 315 Dusty Rose Orchid - Base PS TOP& BASE COAT 
Smalto Autunnale/Invernale – Diego dalla Palma 315 Dusty Rose Orchid – Base PS TOP& BASE COAT 
L’ Autunno è un mese di colori caldi di varie sfumature e  vi propongo uno smalto a tema della stagione molto pigmentato della DIEGO DALLA PALMA…
CANALE YOUTUBE https://www.youtube.com/watch?v=ZkSwza7jaxI TROVERETE LA PARTE PRATICA 
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DIEGO DALLA PALMA 315 DUSTY ROSE ORCHID 14 ml 24Mesi 9,90€
Smalto molto Pigmentato basta solo una Passata è avrete un colore pieno, se desiderate procedere ad una…
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I colori smalto per l҉nverno assolutamente da non perdere
Total black, animalier, oro, silver...tantissime nuove ispirazioni per una nail art invernale e super trendy!
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https://www.glamour.it/make-up/unghie/2018/11/28/colori-smalto-autunno-inverno-20182019/
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thebeautycove · 7 years
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DIOR • ROUGE DIOR • ROUGE DIOR LIQUID • DOUBLE ROUGE • Collezione Rossetti - Novità Autunno 2017 - Sorprendente autunno chez Maison Dior! Preparate i vostri sorrisi più smaglianti per accogliere l'ultima novità, il rossetto icona, il Rouge dei rouge nella sua più strabiliante interpretazione del colore! Peter Philips, Direttore Creazione e Immagine Makeup Dior, imprime a Rouge Dior una svolta epocale! Dalla prima apparizione, nel 1953, Rouge Dior ha catturato i sorrisi di milioni di donne affascinate dal potere del colore e dal piacere di esprimere liberamente la propria femminilità. Un'evoluzione costante per una bellezza all'insegna del " I feel good" che oggi porta ad una nuova rivoluzione cromatica e ad un'inedita gestualità. Rouge Dior si reinventa declinandosi nelle creazioni Rouge Dior Liquid e Double Rouge, due nuovi appassionanti universi del makeup labbra dove i colori generano sorrisi e confermano la straordinaria attitudine della Maison Dior nella sperimentazione e creazione del colore. ROUGE DIOR LIQUID • Il primo rossetto-inchiostro fondente Dior con una sorprendente varietà di effetti cromatici, colori ultrasaturi dal finish mat, satinato o metallizzato che regalano una coprenza in leggerezza dalla tenuta estrema, nel segno del massimo comfort possibile. Ed è proprio questa la particolarità del nuovo Rouge Dior Liquid, sommare alla raffinatezza di un rouge sontuoso, le qualità che fino ad oggi parevano inconciliabili in un rossetto. Per Peter Philips “l’idea era quella di creare un rossetto liquido con finish straordinari mai esplorati, in una gamma di nuance adatte a ogni tipo di incarnato”. Presentato in 24 tonalità di cui sei sensazionali: Hologlam, Black Matte, 999 Matte, Jungle Matte, Miss Satin, Poison Metal.
DOUBLE ROUGE • Lo stick a doppia tonalità che durante l'applicazione riproduce l'effetto gradiente luminoso, con un contorno labbra mat iperpigmentato e un cuore metallizzato che cattura la luce e la diffonde creando l'illusione ottica di volume tridimensionale con un finish sofisticato di grande impatto visivo. Gli abbinamenti cromatici sono stati studiati per armonizzarsi tra loro attraverso una gestualità inedita che invita ad esprimere la propria creatività.  Sei le varianti cromatiche con quattro abbinamenti dominanti: Miss Crush, Poison Purple, Jungle Beige e il mitico 999 Matte Metal rosso scarlatto con cuore dorato. La combinazione da amare senza riserve per l'autunno 2017 è composta dal mitico Rouge Dior 999 declinato nelle versioni Double Rouge 999 Matte Metal e Rouge Dior Liquid 999 Matte da indossare con lo smalto Dior Vernis nella tonalità Rouge Matte 999. Memorabile! Disponibili nelle profumerie concessionarie esclusive e nella boutique online dior.com ©thebeautycove
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chenxidesuxing-blog · 7 years
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Wallace donna collana lunga brosway prezzi Chan
Mentre non ho i dati precedenti, il 62% dei dettaglianti di dire ora che Brosway Bracciale Tulum è molto importante o importante per il loro business. I premi, che mira a promuovere l'eccellenza e il conseguimento degli obiettivi, è un esemplare di per sé. Jadeite e diamante spilla, Orecchini Donna Gioielli Brosway Fleur con diamanti e jadeite. In un sondaggio di impegno lo scorso anno, 100 percento dei nostri colleghi ha concordato con la dichiarazione sono orgoglioso di dire che io lavoro a Brosway. Wallace chanjoaillerie Wallace donna collana lunga brosway prezzi Chan. Le aziende partecipanti sono sottoposti a trend, la progettazione del prodotto e il branding workshop per creare collezioni che soddisfare la domanda dei mercati di destinazione. Les forever dispersésles crown diamanti sono stati rubati prima nel1792 e poi miracolosamente retrouvés. En inizio autunno pendente in oro,smalto e perle, Art Nouveau Rene Brosway, 1900 Francesco Janssens van der Maelen, rondini spilla in oro, smalto e perle. Più immagini molla per l'evocazione ofrives Giappone bracciali uomo brosway. 7 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Le luci collectionwater proviene in dodici dipinti. La DITP impegnato Carlin International come consulente per il progetto. Questo affidabile e completo elenco di Orecchini Donna Gioielli Brosway Btring i fabbricanti e gli esportatori dispone di quasi 1. Esso rappresenta la grande varietà di disegni emodelli utilizzati da Brosway come la ninfa, la mostruosa di insetti o di fogliame. La situazione politica effettivamente vagliato i visitatori, lasciando solo le gravi e degli acquirenti di qualità. Incoronata regina di Francia per quattordici anni dal suo matrimonio con Carlo VIIIcelebrato a Langeais, ha forgiato la sua personalità per diventare il cresciuto donna pia e estetica descritta dalla historiens. Oggi rimangono solo due altri dipintidella stessa serie che si trova nella città di Lucknow museum Inde. Il diamante dell Onu di grande raritynature produce solo unapiccola rarità dei diamanti rosa, indipendentemente dalla loro dimensione,dice Tom. www.shop-brosway.com/brosway-orologio  Questoevento imperdibile del mercato dell'arte incontra ancora una volta rinomate case, negozi di antiquariato e gioiellerie hanno presentato i loro tesori. Un secondo elemento chiave per la comprensione è che il successo di un marchio sarebbe quasi certamente bisogno di qualche tipo di marketing in corso gioielli brosway nuova collezione prezzo Bracciale Uomo Gioielli Brosway Soho programma. Il quadrante è in oro e intarsiato consmalto verde foncé. Il mercato statunitense ha mostrato segni di ripresa; mercati emergenti come la Russia e il Sudafrica offerte maggiori opportunità per la crescita e il prezzo d'argento è sceso a più livelli ragionevoli. Ci sono più di inter-relative motivazioni per le modifiche, ma un buon punto di sintesi è che il consumatore è ora di reagire alla eccezionale Brosway Ribbon come un lusso accessibile. Gioielli didiverse centinaia di carati combinando l'armonia di linee, dimensioni e colori.
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margiehasson · 5 years
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Le jade nails anche quest’autunno 2019 vi conquisteranno!
Se pensate che le jade nails portate in auge dalla star Rihanna quest’estate possano essere ormai un trend passato, non temete perché regneranno tra le manicure di tendenza in questo autunno-inverno.
Photo Cedits Pinterest _ILANKA
  Oltre ad essere super in voga sui social e ad essere delle unghie molto chic, sono facilmente apprezzabili da molte perché sanno essere particolari adattandosi a vari stili ma senza essere troppo eccentriche o dai colori stravaganti. Le jade nails, così chiamate perché si ispirano alla pietra di giada, sono state per prime realizzate dalla nail artist di Londra Jenny longworth.
Photo Credits pinterest @honeysuckle
  Le colorazioni principali che le caratterizzano virano di solito sul verde smeraldo con venature più chiare e volendo anche dorate. Ma come realizzarle in maniera semplice, in casa senza dover andare da una nail artist? Per prima cosa munitevi di uno smalto verde da stendere come base su tutta la superficie dell’unghia ovviamente applicando prima una base protettiva trasparente.
Photo Credits pinterest @girl’s beauty
  Piccola tip! Se volete dare al nail polish verde un finish vetro, mischiatelo  con qualche goccia di smalto trasparente. Una volta che la base sarà asciugata usate un pennellino per nail art dalla punta sottile per creare delle linee con uno smalto bianco, ma senza essere troppo precise perché dovranno proprio somigliare a delle venature tipiche della pietra jade. A questo punto potete passare sopra a tali linee con lo stesso pennello di prima intriso di smalto trasparente per sfumarne i bordi così da farle diventare sinuose.
Photo Credits @chicaartistanails
  Quando la manicure si sarà asciugata, potrete completarla passando sopra ogni unghia un velo di top coat.
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margiehasson · 5 years
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Nail art con brillantini: prodotti e ispirazioni da Instagram
Beauty Works By Amy
Betina Goldstein
Superstar Chunky Glitter di Karzima Beauty
Julie K Nails Nyc
Diorific Vernis 001 Happy 2020
Sherese Does Nails
Nail Unistella
Kristen Sage Coleman
Glitter "Pink Hearts" di MAC Cosmetics
Moschino
The Glitter Nail
Csamiinails
TecUnite 2000 Pieces
Bora Aksu
Manicure glitter, la tendenza Autunno/inverno 2019-20
Color Camp
Sephora Color Hit 195 Firework
Araya Alberta Hargate
Taylor Swift
Rhinestone Stickers
Tao Zhao
Gina Edwards
Halpern
Loose Glitter in Punk Piñata di Essence
Nail Storming
Amazing Nails Feed
Fino a qualche anno fa vedevamo le nail art con i brillantini come qualcosa di importabile o al massimo di uso esclusivo per festività come Capodanno e Carnevale. L’unica star che aveva “osato” indossarlo era Carrie Bradshaw, la protagonista trendsetter di Sex and the city a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila, che lo aveva sfoggiarlo in maniera molto delicata, grazie a un colore rosato tra il metal e il glitter.
La manicure scintillante oggi torna di moda: un po’ merito della Generazione Z, che ha “rispolverato” trend del passato e li ha resi attualissimi con il look che ama portare, un po’ merito della serie tv Euphoria che, oltre a trucchi saturi di colori e strass, ha riportato sullo schermo proprio la nail art con brillantini che non ci faceva impazzire nell’era 00. Rue, interpretata da Zendaya, lo indossa spesso cangiante, nelle nuance del bordeaux e del porpora, mentre Kat, Barbie Ferreira, lo ama a tinte più punk, come per esempio una cascata di micro pagliuzze dorate su unghia total black.
Ora la ricerca su Instagram di #glittermanicure è alle stelle e i profili specializzati in nail art propongono tante idee da imitare, più o meno facili da realizzare anche a casa. Poi gli statement più glamour: Betina Goldstein le propone spesso con una cascata di stelle dorate, Nail Unistella ha ricreato sotto le cuticole l’effetto “Euphoria“, mentre Beauty Works By Amy e Sherese Does Nails le hanno postate tempestate di bagliori bling-bling.
Tra le fan, la nail art con brillantini vanta anche nomi come la popstar Taylor Swift e l’attrice Araya Alberta Hargate, due icone della moda contemporanea che amano l’effetto ton-sur-ton con l’abito che indossano.
Nella gallery i prodotti da usare e le ispirazioni da Instagram, per chi è esperta con manicure medio-difficili da realizzare e vuole ottenere un effetto cangiante sulle unghie delle mani. La regola, sia per una semplice passata di smalto che per nail art più complesse, è di non aver paura di giocare con i glitter. Più l’unghia ne sarà satura e più sarete in tendenza secondo i canoni attuali e glamour che tanto sono popolari su Instagram.
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margiehasson · 5 years
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Colore unghie per l’autunno inverno 2019
Scegliamo il colore unghie autunno inverno 2019 più adatto alla nostra personalità
Siete pronte per scoprire i nuovi trend per una manicure perfetta? I colori delle unghie autunno-inverno 2019-2020 sono già stati annunciati e piaceranno sicuramente a molte di noi, perché per fortuna possiamo scegliere tra numerose proposte. Ad esempio le nuance delicate e sofisticate, ispirate al periodo di transizione che vediamo in natura in questa stagioni, sono perfetti per ogni occasione. Ma se amate osare e variare, comunque non rimarrete deluse dagli smalti con sfumature arancioni ispirati a questa stagione oppure quelli “effetto perla” e chiari come il grigio chiaro.
- Borgogna, il colore del vino e il rosso scuro donano alle nostre mani eleganza e classe 
Sono due nuance che donano profondità al “look” delle nostre unghie. Inoltre si abbinano perfettamente anche ai nostri outfit più “cozy“. Questo perché danno un tocco di eleganza e calore senza eccedere. Inoltre, riescono a regalare un po’ di sensualità e femminilità a quei giorni grigi e cupi, tipici di questa stagione fredda. Soprattutto non dimentichiamo che creano l’effetto sorprendente di mani molto curate persino quando ci sfiliamo i guanti.
Photo credit: @pinterest @vogue.fr
  - Sfumature di terracotta e arancia
Un colore unghie per l’autunno inverno 2019 – 2020 si è ispirato alla natura. Anzi per essere più precisi, questo smalto con tonalità arancioni ricorda perfettamente le foglie degli alberi nella prima delle due stagioni. Una delle sue caratteristiche principali è che riesce a dare una nota calda ai look. Per essere considerato uno tra i colori trend di questa stagione, lo smalto deve avere una base marrone o beige che lo rende immediatamente riconosciuto come tonalità della terra. Per il resto, si può scegliere tra quelli più opachi che donano un colore uniforme. Oppure optate tra quelli più neutri e un po’ pastello e, quindi, più delicati.
Photo credit: @pinterest @NidhiPatel
  - Colore unghie per l’autunno inverno 2019: Grigio chiaro In questa stagione puoi usare i cieli nuvolosi come ispirazione e indossare una manicure con un colore grigio. Ebbene sì, le tendenze di questa stagione hanno evidenziato in particolare i toni più chiari e intermedi di questo colore.
Photo credit: @pinterest @NidhiPatel
  - Lo smalto metallizzato diventa più soft con l’effetto perla Gli smalti metallici che sono stati una tendenza in primavera-estate saranno accompagnati (e talvolta sostituiti) nelle prossime stagioni con un colore più simile allo champagne per creare un effetto perla. Potrete scegliere tra il glitter o semplicemente con la tipica lucentezza dei metalli. Il risultato non cambiare, perché avrete una manicure sofisticata.
Photo credit: @Pinterest @iuliamihaileanu
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margiehasson · 5 years
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Colore unghie per l’autunno inverno 2019
Scegliamo il colore unghie autunno inverno 2019 più adatto alla nostra personalità
Siete pronte per scoprire i nuovi trend per una manicure perfetta? I colori delle unghie autunno-inverno 2019-2020 sono già stati annunciati e piaceranno sicuramente a molte di noi, perché per fortuna possiamo scegliere tra numerose proposte. Ad esempio le nuance delicate e sofisticate, ispirate al periodo di transizione che vediamo in natura in questa stagioni, sono perfetti per ogni occasione. Ma se amate osare e variare, comunque non rimarrete deluse dagli smalti con sfumature arancioni ispirati a questa stagione oppure quelli “effetto perla” e chiari come il grigio chiaro.
- Borgogna, il colore del vino e il rosso scuro donano alle nostre mani eleganza e classe 
Sono due nuance che donano profondità al “look” delle nostre unghie. Inoltre si abbinano perfettamente anche ai nostri outfit più “cozy“. Questo perché danno un tocco di eleganza e calore senza eccedere. Inoltre, riescono a regalare un po’ di sensualità e femminilità a quei giorni grigi e cupi, tipici di questa stagione fredda. Soprattutto non dimentichiamo che creano l’effetto sorprendente di mani molto curate persino quando ci sfiliamo i guanti.
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  - Sfumature di terracotta e arancia
Un colore unghie per l’autunno inverno 2019 – 2020 si è ispirato alla natura. Anzi per essere più precisi, questo smalto con tonalità arancioni ricorda perfettamente le foglie degli alberi nella prima delle due stagioni. Una delle sue caratteristiche principali è che riesce a dare una nota calda ai look. Per essere considerato uno tra i colori trend di questa stagione, lo smalto deve avere una base marrone o beige che lo rende immediatamente riconosciuto come tonalità della terra. Per il resto, si può scegliere tra quelli più opachi che donano un colore uniforme. Oppure optate tra quelli più neutri e un po’ pastello e, quindi, più delicati.
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  - Colore unghie per l’autunno inverno 2019: Grigio chiaro In questa stagione puoi usare i cieli nuvolosi come ispirazione e indossare una manicure con un colore grigio. Ebbene sì, le tendenze di questa stagione hanno evidenziato in particolare i toni più chiari e intermedi di questo colore.
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  - Lo smalto metallizzato diventa più soft con l’effetto perla Gli smalti metallici che sono stati una tendenza in primavera-estate saranno accompagnati (e talvolta sostituiti) nelle prossime stagioni con un colore più simile allo champagne per creare un effetto perla. Potrete scegliere tra il glitter o semplicemente con la tipica lucentezza dei metalli. Il risultato non cambiare, perché avrete una manicure sofisticata.
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