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#Trattenimento - detenzione
archivio-disattivato · 7 months
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https://www.meltingpot.org/2023/09/trattenere-e-umiliare-procedure-hotspot-a-porto-empedocle/
Trattenere e umiliare: procedure hotspot a Porto Empedocle
Il rapporto sul monitoraggio del progetto Mem.Med (Memoria Mediterranea)
22 Settembre 2023, di Silvia Di Meo e Yasmine Accardo, Mem.Med (Memoria Mediterranea)
Con i numerosi arrivi di persone via mare sull’isola di Lampedusa, è stata istituita una tensostruttura sulle coste siciliane di Porto Empedocle dove le persone vengono trattenute in condizioni critiche per espletare le procedure di identificazione e foto segnalamento. Davanti alle carenze strutturali, al sovraffollamento e alle violazioni di diritti, le persone migranti protestano.
La tensostruttura di Porto Empedocle
“No care, no help, no travel, no food”. Sono queste le parole scritte su un foglio di carta che Khaled sventola in mezzo alla strada principale di Porto Empedocle. Lui e Mohamed sono due minori somali approdati sull’isola di Lampedusa e poi trasferiti nella tensostruttura di Porto Empedocle dove stazionano ormai da 5 giorni. La situazione che sperimentano è chiara: “No freeedom” sintetizza Mohamed. 
Li incontriamo insieme a centinaia di persone MSNA senza tutori e richiedenti asilo di diversa nazionalità, età e genere che nel corso di quest’ultima settimana sono state trasferite all’interno del campo empedoclino in attesa di essere ricollocate in centri di accoglienza in Sicilia e in altri luoghi della penisola. 
Infatti, la tensostruttura collocata nel porto della cittadina agrigentina è da diversi mesi il secondo approdo delle persone migranti che giungono via mare a Lampedusa e che, a fronte dei numeri esponenziali di arrivi sull’isola delle Pelagie, sono stati spostati rapidamente sul territorio siciliano per alleggerire l’hotspot di Lampedusa. 
La tensostruttura – che consiste in un piazzale di cemento dove sono collocati due tendoni, 18 bagni chimici e poche docce esterne – è un’area di sbarco temporanea che la Prefettura di Agrigento sembra utilizzare per identificare e smistare le persone migranti, coadiuvando di fatto le attività di pre-identificazione implementate dalle autorità nell’hotspot di Lampedusa. La tensostruttura è quindi un secondo punto di approdo in cui le persone – trasferite qui anche poche ore dopo lo sbarco lampedusano attraverso le navi traghetto Galaxy – vengono foto segnalate e viene rilasciato loro un numero identificativo. Si tratta di un numero stampato su un quadratino di carta senza cedolino e senza foto. 
Qui le persone – donne, uomini, minori e famiglie originarie della Guinea Conakry, Costa D’Avorio, Senegal, Gambia, Burkina faso, Camerun, Sierra Leone, Giordania, Egitto, Tunisia, Siria, Mali, Sudan, Somalia, Etiopia, Liberia  – stazionano per giorni e giorni, trattenute in maniera prolungata all’interno di un campo di cemento, presidiato dalle forze dell’ordine e gestito dal personale della Croce Rossa, dove sono praticamente assenti rappresentanti delle organizzazioni umanitarie, grandi e piccole.
Nonostante il trattenimento dovrebbe durare solo il tempo necessario all’identificazione e alla disposizione del trasferimento, il transito non è breve e sembra durare una media di almeno 5 giorni. In questo tempo, alle persone è impedito di uscire dal cancello principale pertanto queste sono costrette, a causa della totale invivibilità del luogo, a saltare dalle recinzioni laterali e posteriori per cercare all’esterno aiuto, cibo, contatti, informazioni, libertà. 
Le persone trattenute in questo luogo raccontano di non aver ricevuto alcuna informativa relativa all’accesso ai loro diritti, alla protezione internazionale o altre forme di tutele. Inoltre riferiscono di essere trattate come animali in gabbia: il campo infatti è senza letti, sedie, tavoli e le persone stazionano stese a terra – i più fortunati su cartonati di non precisata origine – sotto il sole cocente, in uno spiazzale ricoperto di spazzatura, cassonetti e avvolto dall’odore pungente dell’urina. Le persone riferiscono di vivere in stato di continua incertezza e forte stress dipendente non solo dalle condizioni strutturali di invivibilità del campo ma anche a causa dell’attesa prolungata di un trasferimento in accoglienza che sembra non arrivare mai.
E mentre si passa la giornata nell’afa di settembre – tra un cambio turno delle forze dell’ordine e un’intervista ufficiale rilasciata dalle autorità ai giornalisti – arrivano da Lampedusa traghetti carichi di almeno altre 400 o 500 persone migranti che vengono scortate fino all’ingresso del centro e fatte entrare nei piccoli vuoti di spazio rimasti nel piazzale. Qui le persone vengono sottoposte ad un appello pubblico, senza alcun rispetto della privacy e attraverso l’uso esclusivo delle lingue veicolari principali: francese, inglese, arabo.
In queste giornate di permanenza, qualche turista passava per il porto e fotografava le persone dietro le sbarre, qualche locale si lamentava del “disagio”, qualche giornalista riprendeva quelle persone trattenute che si infuriano dopo l’ennesima giornata di prigionia. 
In questo circo periferico, la tensostruttura di Porto Empedocle risulta una zona d’ombra rispetto alle luci dello “spettacolo Lampedusa” che continua ad avere i riflettori puntati sulle proprie coste. Eppure nel corso della settimane le persone trattenute in questo piccolo piazzale – senza assistenza legale, sanitaria e libertà personale; senza letti, senza sufficienti professionisti medici e sociali, con carenze alimentari e patologie mediche – sono  state più di 1.000, di cui l’80 per cento costituito da MSNA e altre figure cosiddette vulnerabili.
Le proteste delle donne
Il malessere è progressivamente cresciuto e così le manifestazioni di scontento delle persone trattenute. Diversi gruppi di persone hanno iniziato delle proteste per la condizione di trattamento disumano a cui sono costrette a Porto Empedocle: l’inadeguatezza alimentare – pane con formaggio e pomodoro a tutti i pasti, cibo in quantità e in qualità insufficiente – l’assoluta promiscuità senza separazioni spaziali tra uomini e donne, l’esposizione ad ulteriori condizioni di violenza e soprattutto la condizione di privazione della libertà. 
Nella giornata del 19 settembre, un gruppo di donne minori guineane ha dato avvio ad una protesta femminile davanti al cancello principale della struttura, al grido di: “Liberateci! Liberateci! non siamo prigioniere, lasciateci andare!” Le ragazze sono dunque salite sul muro che delimita la struttura e hanno cominciato a gridare e ad arrampicarsi, tentando di scavalcare le inferriate. 
Le donne hanno poi occupato l’ingresso della tensostruttura sedendosi a terra in segno di protesta. Questa condizione di esposizione alla violenza, a cui specifiche categorie di persone vulnerabilizzate – quali le donne e i MSNA, sono sottoposte – connota la gestione disciplinante di una struttura ideata e pensata come “deposito” di persone. 
Persone che, giunte dalla violenta Sfax in Tunisia o dalla Libia, vivono un processo costante di sopraffazione, sottoposte a gravi violazioni di diritti e a continue forme di abuso, coercizione e limitazione della libertà che continuano ad essere raccontate, gestite e strumentalizzate a livello pubblico – tanto da politici che da giornalisti – come normali conseguenze di una condizione emergenziale. Un’emergenza che giustifica e normalizza il trattamento riservato ai neo sbarcati sulle coste nord del Mediterraneo, destinati ad essere “ritirati” e “riconsegnati” dai vari porto mediterranei, come abbiamo sentito dire in queste ore da chi gestisce la tensostruttura.
Tuttavia le persone migranti non sono inermi e continuano ad opporsi a questo controllo violento. Le diciassettenni guineane hanno preteso di avere nel piazzale un’area femminile di loro uso esclusivo, poiché ormai da più di 7 giorni erano completamente esposte senza alcuna tutela, preoccupate delle possibili violenze nel centro. Nei giorni successivi, esasperate, hanno scavalcato il muro del centro per cercare all’esterno un minimo di libertà e benessere. Due di loro erano fortemente indebolite da patologie pregresse che non erano state adeguatamente attenzionate e, per le strade del centro empedoclino, cercavano cibo e acqua.
Tra le numerose donne qui detenute, ce n’erano varie in stato di gravidanza. Alcune di loro sono state trasferite in ospedale per partorire e subito dopo ricollocate nella tensostruttura, senza i loro figli neonati.
Molte delle persone incontrate si trovavano in evidente stato di disidratazione e deprivazione fisica, nonché di forte sofferenza psicologica dipendente dal trattenimento prolungato e dalla mancanza di contatti con il mondo esterno. Tutti i trattenuti cercavano la possibilità di comunicare con le famiglie di origine o con conoscenti, desiderosi di avvisare i propri familiari del loro arrivo, non avendo potuto farlo nonostante l’approdo fosse avvenuto ormai da quasi una settimana.
Stazione di transito, trattenimento e deportazione
Questa stazione di transito e identificazione successiva a Lampedusa, sarà nelle prossime settimane potenziata e al posto della tensostruttura verrà adibito una struttura facente ufficialmente funzione hotspot, che sta nascendo dai lavori in corso in queste ore. Il Prefetto di Agrigento, Filippo Romano ha dichiarato che: “l’hotspot di Porto Empedocle sarà collegato a quello di Lampedusa dalla stessa gestione, la Croce Rossa (…) I due hotspot devono essere visti come una sorta di ponte: quello di Lampedusa accoglie in prima battuta e quello di Porto Empedocle instrada, il più velocemente possibile, verso i pullman“.
In continuità con la gestione migratoria che ha caratterizzato le politiche europee negli anni passati, l’unico “ponte” finanziato e promosso è quello che conduce alla sorveglianza, all’umiliazione, allo smistamento e incanalamento giuridico di persone che vengono irregolarizzate, dove il dispositivo della detenzione continua ad essere principale strumento di controllo degli spostamenti umani.
Questa modalità di controllo della mobilità delle persone in arrivo alla frontiera siciliana è da inquadrare nelle nuove riforme promesse dal governo: il rafforzamento a livello nazionale del sistema detentivo del CPR, con nuove strutture e un periodo di trattenimento esteso a 18 mesi; l’introduzione di nuovi centri identificativi e di rimpatrio come CPRI a Modica, nella Sicilia orientale costituiscono la risposta europea e nazionale all’aumento degli arrivi dalla Tunisia e dalla Libia, due luoghi da cui le persone continuano a fuggire forzatamente, sopravvissute ai regimi che i governi europei continuano a finanziare.
In tal senso, i discorsi di Meloni e Von Der Leyen che – durante la passerella a Lampedusa nei giorni del sovraffollamento – hanno inneggiato all’arresto dei trafficanti e alla sorveglianza militare, sono in continuità con un sistema che pone come soluzione la detenzione al posto di una vera accoglienza, la violenza al posto dei diritti e che – con l’ausilio delle nuove strutture – affinerà la macchina criminalizzante della deportazione. 
Intanto, mentre nei diversi angoli della Sicilia occidentale e orientale proliferano hotspot e ghetti istituzionali, mentre le politiche promettono blocchi nel Mediterraneo e pseudo accoglienza a terra, le persone migranti continueranno a protestare per la libertà di movimento ed ad arrampicarsi sui muri della detenzione per pretendere rispetto dei diritti e reclamare la loro libertà.
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lamilanomagazine · 10 days
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Massa Carrara, lesioni, violenze e minacce a Pubblico Ufficiale: il questore emette un Daspro willy nei confronti di un 30enne
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Massa Carrara, lesioni, violenze e minacce contro a Pubblico Ufficiale: il questore emette un Daspro willy nei confronti di un 30enne Il Questore di Massa Carrara, Santi Allegra, in seguito alla proposta del Comando Stazione Carabinieri di Fivizzano ed attenta istruttoria della Divisione Anticrimine, ha emesso il provvedimento del DASPO WILLY (divieti di accesso alle aree urbane)per la durata di 18 mesi, nei confronti di un cittadino italiano di circa 30 anni, il quale non potrà né accedere né stazionare nei pressi dei pubblici esercizi o locali di pubblico trattenimento siti nella zona “Movida” di Fivizzano (Massa Carrara). In particolare, il cittadino italiano con precedenti penali e pregiudizi di polizia per reati contro la Pubblica Amministrazione e contro la persona, nonché contestazioni amministrative per detenzione di sostanza stupefacente per uso personale e già destinatario di Avviso orale del Questore di Massa, veniva tratto in arresto dai militari del Comando Stazione Carabinieri di Fivizzano per lesioni, violenza e minaccia a Pubblico Ufficiale, nell’immediata vicinanza di pubblici esercizi e locali di pubblico intrattenimento, destando particolare allarme sociale e pericolo per la sicurezza pubblica, atteso che i fatti si sono svolti in zona movida. Il “DASPO WILLY” è una misura di prevenzione personale che rientra nella categoria dei “divieti di accesso alle aree urbane”, la cui disciplina è stata potenziata a dicembre 2020, dopo i tragici fatti che portarono all’omicidio del ventiduenne Willy Monteiro Duarte a Colleferro (Roma) e mira a garantire la difesa della cosiddetta "sicurezza urbana", intesa come bene pubblico che afferisce alla vivibilità ed al decoro della città, favorendone la sicurezza e la fruibilità da parte dei cittadini. Laddove, quindi, si verifichino situazioni che concorrono a minare questi presupposti, il Questore interviene adottando una misura di prevenzione personale a carico di coloro che abbiano messo in atto comportamenti pericolosi. In caso di violazione del divieto, se non costituente più grave reato, l'uomo sarà punito con la reclusione da 1 anno a 3 anni e con la multa da 10000,00 euro a 24000,00 euro. Questi provvedimenti adottati dal Questore rappresentano un intervento concreto per rafforzare la sicurezza e l'ordine pubblico ed evidenziano l'impegno delle Forze di Polizia nel prevenire e contrastare episodi di illegalità in tutta la Provincia, garantendo un ambiente sicuro per i cittadini... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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paoloxl · 8 months
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Chiamarli CPR è una truffa, il loro nome è: galere - Osservatorio Repressione
Ufficialmente, il nostro ordinamento nega ogni assimilazione tra centri per migranti e carceri. Ma una bugia, anche se scritta in Gazzetta Ufficiale, resta sempre una bugia
di Andrea Pugiotto
1. Mentre gira la giostra di delegittimazione della giudice Apostolico, si perde sullo sfondo ciò che deve restare al centro della scena: le ragioni per cui la sua ordinanza (Trib. Catania, Sez. Immigrazione, 29 settembre 2023) non ha convalidato il trattenimento di tre tunisini entrati irregolarmente in Italia. Se impugnata dal Governo, sarà la Cassazione a valutarne la correttezza giuridica. Ma non potrà certo contestarne la premessa generale, secondo cui “il trattenimento deve considerarsi misura eccezionale e limitativa della libertà personale”. Una premessa ora ribadita dall’ordinanza emessa da altro giudice dello stesso tribunale (in data 8 ottobre 2023): cercasi video. Invece di partecipare al rodeo polemico in corso, di questo servirebbe ragionare: di una detenzione formalmente amministrativa che maschera una misura sostanzialmente penale, in assenza di colpa e di reato e che, quanto a durata, tocca oggi la vetta dolomitica dei 18 mesi.
2. Ufficialmente, il nostro ordinamento nega ogni assimilazione tra centri per migranti e circuito penitenziario. Ma una bugia, per quanto scritta in Gazzetta Ufficiale, resta sempre una bugia. Vale, innanzitutto, per gli acronimi con cui – nel tempo – la legge li ha battezzati: CPTA, CPT, CIE, CPR. Sono falsi nomi scelti per non usare quello corrente in Europa, “centri di detenzione amministrativa”, che ha il difetto di richiamare la condizione di un soggetto in vinculis, nella disponibilità fi sica dello Stato. La detenzione, infatti, era la misura restrittiva della libertà personale, alternativa alla reclusione, che il codice penale Zanardelli stabiliva per i reati meno gravi. Ne reca ancora traccia la lingua italiana, dove la parola è sinonimo di prigionia, carcerazione. Lo conferma l’art. 13 Cost., il cui 2° comma include la detenzione tra le forme restrittive della libertà personale. Evitando quel nome, si è tentato di accreditare la tesi minimalista di un trattenimento che inciderebbe solo sulla libertà di circolazione e di soggiorno (art. 16 Cost.), senza coartare la libertà personale del migrante, intendendo così sottrarre la misura alle garanzie proprie dell’habeas corpus. “Detenzione”, dunque, è un nome indicibile perché presenta l’inconveniente di indicare i centri per quello che sono: una “galera amministrativa”.
3. È stata la Corte costituzionale – in solido con la Corte EDU – a smentire queste falsificazioni semantiche. Sia il trattenimento nei centri (sent. n. 105/2001), sia il respingimento con accompagnamento coattivo alla frontiera (sent. n. 275/2017) determinano “quella mortificazione della dignità dell’uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all’altrui potere e che è indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà personale”. Non a caso, i garanti dei diritti dei detenuti esercitano le proprie funzioni anche all’interno dei CPR e il Garante nazionale in qualsiasi struttura analoga, finanche negli aerei usati per il rimpatrio. Del resto, la tetra architettura che sovrasta i dieci CPR attualmente esistenti in Italia (Milano, Torino, Gradisca d’Isonzo, Roma, Palazzo San Gervaso, Macomer, Brindisi, Bari, Trapani, Caltanissetta) ricalca il modello tipico della prigione. Esemplare quello barese: ingressi militarizzati e blindati; celle chiuse dall’esterno sorvegliate da forze dell’ordine; spioncini alle porte metalliche; finestre con inferriate anti-evasione; illuminazione a comando esterno affidato ai vigilanti; moduli d’arredo fissi al pavimento; servizi igienici privi di riservatezza; recinti metallici videosorvegliati (cfr. l’Unità, 22 settembre). Lo confermano, infine, i rapporti all’esito dei sopralluoghi svolti da apposite Commissioni parlamentari, nelle passate legislature: i centri per stranieri sono, in tutto e per tutto, carceri extra ordinem.
4. Definirli così non è una provocazione, ma un dato giuridico. In violazione del principio nulla poena sine crimine, i loro “ospiti” non sono accusati di alcun reato e la loro condizione di irregolari destinati all’espulsione si forma – normalmente – fuori dal circuito penale. In violazione della riserva di legge, che secondo l’art. 13 Cost. deve stabilire “i modi” di ogni restrizione della libertà personale, l’organizzazione di questi centri è disciplinata da un decreto del Ministro dell’interno (20 ottobre 2014, n. 12700). Si tratta, infine, di una detenzione privatizzata, appaltata a enti interessati al minimo costo gestionale e al massimo profitto, correlato al più alto numero di migranti trattenuti. Misurati con il metro dello Stato di diritto, dunque, i CPR sono luoghi dove lo stato d’eccezione si fa regola, applicata a stranieri da considerare “fuorilegge” non perché la trasgrediscano, ma perché nessuna legge li riconosce e li protegge adeguatamente.
5. È per centri siffatti che è stata decretata la straordinaria necessità e urgenza di prolungare la detenzione fi no a un anno e mezzo, oltre a programmarne la realizzazione di ulteriori (artt. 20 e 21, decreto-legge n. 124 del 2023). Eppure, il Governo sa bene che non esiste alcuna relazione tra rimpatrio e durata del trattenimento. Dati alla mano, lo ha spiegato il Garante nazionale Mauro Palma, relazionando alle Camere il 15 giugno scorso: “la percentuale di rimpatri non ha mai raggiunto il 60% delle persone ristrette anche per lungo tempo in tali strutture”. I fattori in grado di sbloccare una procedura espulsiva inceppata sono altri: l’esistenza di accordi bilaterali con il paese d’origine; la collaborazione tra autorità consolari; l’efficacia investigativa di polizia nell’identificare il soggetto da espellere. A cosa serve, allora, elevare la galera (amministrativa) fi no a 18 mesi? Serve a costringere per sfinimento il migrante a collaborare all’espulsione, “perché se si ha la prospettiva di dover rimanere nei centri 1 mese si resiste, 2 mesi è già più difficile, mentre credo che nessuno possa pensare di non farsi riconoscere e resistere per 18 mesi”: così parlò il Ministro degli interni Maroni, il cui “pacchetto sicurezza” (decreto-legge n. 92 del 2008) già fissava la durata del trattenimento a un anno e mezzo. Quella dismisura – disse, inciampando in un lapsus rivelativo – evitava un “indulto permanente” a favore dei migranti trattenuti: evocando un atto di clemenza, confermava così il suo autentico pensiero secondo cui il centro è una galera, il trattenimento è una pena, lo straniero irregolare è un criminale. “Ce lo chiede l’Europa”, si sente dire, ma è un finto alibi. I termini per il trattenimento indicati dalla direttiva UE (6 mesi, prorogabili “per un periodo limitato non superiore ad altri 12 mesi”) sono limiti massimi che lasciano liberi gli Stati di fissare periodi (anche significativamente) più brevi. La scelta più severa possibile del Governo, allora, esprime la faccia feroce che assicura consenso, ma non accresce la sicurezza collettiva: affolla le presenze nei CPR che vuole anche moltiplicare di numero, benché si tratti di polveriere pronte a esplodere. Perché questo accade, prima o poi, quando si spegne il fuoco con il fuoco.
6. Si arriva così al punto fondamentale. Nascondere la natura intrinsecamente penale di una misura è una frode alle Carte dei diritti. Come la Corte EDU, così anche la Consulta privilegia la sostanza sull’apparenza normativa: se una misura incide significativamente sulla libertà personale, tanto basta a modificarne la natura giuridica (sent. n. 32/2020). Vale anche per il trattenimento nei centri, assimilabile per afflittività alla reclusione in carcere. La sua nuova durata, allora, opererà solo per il futuro perché è vietata la retroattività di norme punitive sfavorevoli (art. 25, 2° comma, Cost.): il limite massimo di 18 mesi, dunque, non potrà applicarsi ai migranti già rinchiusi in un CPR prima dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 124 del 2023. È così difficile da capire? Tocca ai giudici della convalida dei trattenimenti smascherare questa truffa delle etichette. Video permettendo.
da l’Unità
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corallorosso · 5 years
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Mediterranea denuncia gli ultimi giorni di Salvini: "Sette giorni di abusi e omissioni" Mediterranea ha inviato oggi un esposto alla Procura di Agrigento e a quella di Roma per "denunciare sette giorni di abusi e omissioni". "Le prime 30 pagine offrono una ricostruzione dettagliata di tutti gli eventi intercorsi dall'alba del 28 agosto, quando la nostra nave ha soccorso 98 persone, tra cui 22 bambini piccoli, a rischio di morte su un gommone sovraffollato, fino alle prime ore del 3 settembre, quando al nostro comandante e al nostro armatore sono stati assurdamente notificati il sequestro amministrativo di Mare Jonio e una sanzione di 300.000 euro per avere violato il divieto di ingresso in acque territoriali, nonostante fossimo entrati con formale autorizzazione delle autorità competenti", dice Mediterranea. "La lista di violazioni e abusi commessi in questa vicenda è lunga, e non è certamente a carico del nostro equipaggio - spiegano - È un dovere etico riaffermare pienamente la verità e la giustizia rispetto a quanto accaduto, e continuare a tutelare i diritti delle persone che abbiamo soccorso e del nostro equipaggio. Ancora una volta siamo noi a chiedere che le indagini vengano aperte, certi di avere sempre agito - a differenza di alcuni dei massimi vertici del governo in carica fino a ieri - in piena conformità col diritto internazionale e con la nostra Costituzione... "Con particolare riferimento al tentativo di respingere in Libia 98 profughi di guerra in grave condizione di vulnerabilità, vittime di reiterati atti di sevizie e violenze nei campi di detenzione libici, tra cui numerosi bambini e donne in gravidanza, con la consapevolezza di esporli, in tale maniera, al rischio concreto di essere torturati o uccisi - si legge nell'esposto - l'omesso coordinamento dell'evento SAR da parte delle Autorità nazionali a ciò preposte, pur essendo state costoro informate, per prime, del soccorso e dunque avendone l'obbligo legale;...l'ingiustificato trattenimento di tutte le persone a bordo della Mare Jonio- nave, peraltro, battente bandiera italiana, come tale territorio flottante dello Stato - costretti a rimanere sul rimorchiatore contro la loro volontà per 6 giorni in condizioni inumane ben note alle competenti autorità in quanto documentate da sanitari di bordo e ministeriali e dalla psichiatra, Carla Ferrari Aggradi e reiteratamente comunicate alle competenti autorità". E prosegue: "il ritardo nell'adozione dei provvedimenti di evacuazione medica pur a fronte dei numerosi solleciti e delle relazioni del sanitari di bordo e ministeriali e della relazione psichiatrica che paventava il rischio, in caso di prosecuzione della permanenza a bordo, di atti di autolesionismo o di reazioni violente, che ha cagionato un progressivo aggravamento delle condizioni psico fisiche dei naufraghi soccorsi fino ad ingenerare condotte autolesive, ansia, panico, disturbi del sonno, rifiuto del cibo e scioperi della fame; l'omessa indicazione di un punto di fonda all'interno delle acque territoriali, in temporanea deroga all'inibizione, per garantire la sicurezza di tutte le persone a bordo della Mare Jonio a fronte dell'allerta meteo diramata dalle Autorità competenti""l'omessa, tempestiva, adozione, da parte delle competenti Autorità, dei necessari provvedimenti a tutela della salute e della sicurezza di tutte le persone a bordo per contenere il rischio di un'emergenza sanitaria e la diffusione di malattie comunitarie, pur essendo stati reiteratamente informati delle precarie condizioni igieniche della Mare Jonio a causa della disfunzione dell'impianto di dissalazione dell'acqua, e della conseguente assenza di acqua corrente, e del rischio di diffusione di malattie comunitarie per l'impossibilità di garantire una corretta igiene personale e degli ambienti;... E poi: " l'adozione del provvedimento di sequestro amministrativo della Mare Jonio e della sanzione pecuniaria per violazione dell'art. 12 comma 6 bis del Decreto Legislativo n. 286/1998, pur a fronte dell'autorizzazione all'ingresso in acque territoriali rilasciata dalle competenti Autorità portuali''. "Abbiamo chiesto alla Procura della Repubblica di procedere ad accertare tutti gli estremi di reato riconducibili a queste condotte, al fine di perseguire e punire a norma di legge chi ne è autore. è un atto di giustizia che travalica anche le vicende che ci vedono direttamente protagonisti - dice Mediterranea -Perché ripristinare lo stato di diritto nel Mediterraneo significa costruire argini all'abuso e alla violenza del potere anche a terra". globalist
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Migranti sottoposti a detenzione amministrativa ancora in condizioni deplorevoli. Migranti sottoposti a detenzione amministrativa ancora in condizioni deplorevoli: il Governo valuti l'assoluta necessità di rendere la qualità della vita in questi Centri compatibile con il recente allungamento dei tempi di trattenimento.
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jamariyanews · 7 years
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“Migranti non partite, rischiate la vita”. Tra video virali e campagne ufficiali, quella per limitare le partenze
Violenze e fucilazioni che circolano su Whatsupp, senza possibilità di verificarne l'autenticità. Ma anche la campagna ufficiale Aware Migrants in 15 paesi africani, in cui il nostro governo ha investito un milione e mezzo di euro. I messaggi sottolineano in particolare i rischi letali del passaggio in Libia. Mentre l'Ue pensa di affidarsi alle autorità locali
di Pietro Barabino | 11 marzo 2017 
 “Amici che state per raggiungere la Libia per andare in Europa. Fate molta attenzione, hanno cominciato a uccidere e massacrare senza pietà tutti i neri e i migranti. Tornate indietro, rischiate di essere uccisi come animali”. A un mese dagli accordi tra il governo italiano e quello libico di unità nazionale di Fayez al Sarraj, siglati per ridurre il flusso di migranti verso l’Europa, sui canali di comunicazione utilizzati dai profughi in viaggio, si moltiplicano messaggi come questo, accompagnati da immagini e video virali che documentano torture e fucilazioni. Non è semplice risalire alla reale origine delle immagini messe in circolazione, e in alcuni casi si tratta di immagini drammatiche provenienti da altri scenari di conflitto. Nei fatti, però, alcuni di questi testimoniano la situazione di grave instabilità in Libia, dove il “governo d’intesa nazionale” di Fayez al Sarraj voluto dall’Onu e dall’Unione Europea fatica a governare a Tripoli, mentre si rafforza l’opposizione di Khalifa Haftar sostenuto da Egitto e Russia a Tobruk. Se nel 2016 la Libia si è confermata la via preferenziale per raggiungere l’Europa, dopo la chiusura della rotta balcanica, nei primi tre mesi del 2017 l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni denuncia che il numero di migranti morti mentre tentavano di raggiungere l’Europa è pari a 521, un centinaio in più delle vittime nello stesso periodo lo scorso anno.
 Non essendoci le condizioni per pattugliare le acque libiche con navi europee, Bruxelles porta avanti la linea di affidare il contrasto dell’immigrazione irregolare alla Guardia costiera di Tripoli, addestrata per questo dalla Marina Militare italiana nell’ambito della prima fase dell’operazione “Sophia” dello scorso novembre. Oltre 400 organizzazioni della società civile europee ed africane hanno espresso a tal proposito fortissime preoccupazioni in una lettera aperta indirizzata all’Unione europea, in cui sottolineano come “la nuova strategia europea non porterà né ad una riduzione di violazioni di diritti umani, né alla fine delle pratiche dei trafficanti”.
Per finanziare queste operazione e fornire i mezzi necessari a portarla avanti nel 2017, l’Europa è pronta a sbloccare 200 milioni di euro dal “Fondo fiduciario per l’Africa”. Lo scopo di un blocco navale sarebbe quello di ridurre il numero dei morti in mare (3.700 nel 2015, 5.000 nel 2016 secondo l’Unhcr), ma resterebbe il problema delle drammatiche condizioni in cui versano i migranti che si transitano dalla Libia e finiscono nei centri di detenzione che l’ambasciata tedesca in Niger ha definito “luoghi infernali come lager”, dove si rischia di morire ogni giorno per far spazio a nuovi migranti da ricattare e sui quali speculare. A questo proposito, il piano europeo è quello di stanziare finanziamenti “volti a favorire il ritorno in patria dei migranti rimasti bloccati in Libia” e “migliorarne le condizioni di vita nei centri di trattenimento”. Operazioni di complessa realizzazione, considerato che la maggior parte dei centri è fuori dalle aree controllate da Fayez al Sarraj, ad oggi l’unico interlocutore dell’Unione europea. Se da una parte dunque si firmano accordi con i paesi di origine per bloccare l’immigrazione irregolare, dall’altra la stessa Unione europea denuncia le condizioni in cui vengono trattenuti i migranti nei centri di detenzione libici, tra “ricatti, abusi e torture”, dove le persone vengono “comprate e vendute”. Per questo, diversi paesi europei promuovono campagne di comunicazione per disincentivare chi decide di partire. Nel caso dell’Italia, il Governo ha investito un milione e mezzo di euro per la campagna “Aware Migrants”, diffusa in 15 paesi africani e realizzata in collaborazione con l’Oim. Il messaggio, lanciato a partire da agosto, è lo stesso che rimbalza con più efficacia e autonomamente tra i migranti in queste settimane: “Non intraprendete questo viaggio, è pericoloso”. Tuttavia, se nei prossimi mesi il governo di Fayez al Sarraj dovesse rimanere al potere e dovesse funzionare il memorandum d’intesa con l’Italia, che prevede il trattenimento in Libia dei migranti, per i profughi sarà sempre più difficile, pericoloso e costoso, arrivare (vivi) in Europa. Consapevoli di questo il Commissario all’immigrazione Dimitri Avramopoulos e l’Alto rappresentante dell’Unione per gli esteri Federica Mogherini hanno suggerito agli stati membri, “una volta consolidata la capacità dei paesi partner di controllare le frontiere” e “definite le intese per agevolare i rimpatri degli irregolari”, di aprire “canali che permettano la migrazione legale e in condizioni di sicurezza” nei Paesi europei, che però rimarranno sempre liberi di determinare singolarmente il numero di migranti a cui riconoscere l’ingresso regolare. Insomma la promessa di una maggiore elasticità domani, forse, in cambio della massima collaborazione nel sigillare le frontiere fin da subito. Preso da: http://ift.tt/2nqalFC  
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lamilanomagazine · 19 days
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Bolzano, tre pericolosi pregiudicati stranieri denunciati ed espulsi dalla Polizia di Stato
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Bolzano, tre pericolosi pregiudicati stranieri denunciati ed espulsi dalla Polizia di Stato Nell’ambito di una specifica operazione di Polizia di prevenzione generale, connessa ad una complessa attività di verifica e monitoraggio effettuata dall’Ufficio Immigrazione della Questura e disposta dal Questore della Provincia di Bolzano Paolo Sartori con riguardo a soggetti stranieri non in regola con le norme sulla immigrazione, nei giorni scorsi sono stati scortati presso Centri di Permanenza per i Rimpatri (C.P.R.) – in attesa di essere quanto prima riportati nei Paesi di rispettiva provenienza – 3 pericolosi pregiudicati, dimoranti irregolarmente nella nostra Provincia e sottoposti a procedimenti penali per varie tipologie di reato, ovvero coinvolti a vario titolo in attività illegali, colpiti da altrettanti provvedimenti di espulsione in quanto presenti illegalmente in Italia e resisi responsabili di gravi reati. Si tratta di attività di prevenzione di grande rilevanza, a contrasto dell’immigrazione clandestina su tutto il territorio provinciale. Nei confronti dei 3 individui il Questore Sartori ha emesso altrettanti DECRETI di ESPULSIONE, con contestuali Ordini di Trattenimento presso i C.P.R. di Roma “Ponte Galeria” e di Gradisca d’Isonzo (Gorizia). Nel dettaglio, si è proceduto come segue: • A.S.B.A.M, cittadino iracheno di 23 anni, giunto in Italia ancora minorenne, sin da subito si era reso protagonista di numerose e gravi azioni delittuose: - nel 2016, all’età di 15 anni, era stato denunciato all’Autorità Giudiziaria per minaccia aggravata e continuata a mezzo piattaforma whatsapp nei confronti di un coetaneo frequentante lo stesso Istituto scolastico; sempre in quel periodo era stato altresì denunciato in quanto trovato in possesso di tre coltelli multiuso celati nello zaino; quindi, aveva subito un’altra denuncia per lesioni personali ai danni di uno studente di una Scuola Media di Bolzano, il quale era stato dapprima attirato in un Parco Pubblico assieme a due compagni di scuola, per poi essere violentemente percosso con pugni e calci, mentre altro “sodale” della Baby Gang di cui il soggetto in questione era uno dei leader riprendeva con il cellulare il pestaggio in un video che veniva poi caricato su whatsapp e divulgato su varie chat; - nel 2017, a 16 anni, veniva denunciato e, in seguito, condannato per danneggiamento di una pensilina di un autobus a Bolzano. Fatto commesso unitamente ad altri membri della cosi detta “Baby Gang” della quale era leader; - nel 2018, all’età di 17 anni, a Merano, era stato denunciato per furto con strappo di una collana e di una fede ai danni di una anziana. Pluripregiudicato per reati di varia natura e gravità, quali rapina aggravata (reiterata), minaccia, atti persecutori, furto aggravato (reiterato), detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti (reiterato), oltraggio e resistenza a Pubblico Ufficiale, percosse, lesioni nonché porto abusivo di armi od oggetti atti ad offendere, A.S.B.A.M è stato più volte processato e condannato a pene detentive: l’ultimo periodo di detenzione presso la Casa Circondariale di Bolzano è terminato lo scorso 1° febbraio; - lo scorso 9 maggio, il Questore ha emesso nei suoi confronti la Misura di Prevenzione Personale dell’AVVISO ORALE; - nei giorni scorsi il soggetto è stato rintracciato da un equipaggio della Polizia di Stato all’interno del Bar “Mon Amour”; nella circostanza, costui ha tentato di sottrarsi al controllo di Polizia fuggendo al piano superiore del Bar, ove veniva tuttavia raggiunto dagli Agenti, ed ove veniva trovato in possesso di sostanze stupefacenti. Condotto in Questura e messo a disposizione dell’Ufficio Immigrazione, in considerazione di quanto poc’anzi menzionato il Questore Paolo Sartori ha emesso in via d’urgenza, nei suoi confronti, un DECRETO di ESPULSIONE con contestuale Ordine di Trattenimento presso il C.P.R. di Gorizia, ove è stato immediatamente scortato in attesa di essere quanto prima rimpatriato; • Nel pomeriggio di ieri, nel corso di uno dei servizi straordinari di prevenzione generale e controllo del territorio disposti dal Questore, nei giardini prospicienti alla Stazione Ferroviaria di Bolzano è stato rintracciato tale G.N., cittadino tunisino 27enne irregolare sul territorio nazionale. “Sbarcato” nell’ottobre 2023 a Trapani, recentemente era stato arrestato a Bolzano, e quindi scarcerato, per i reati di resistenza a Pubblico Ufficiale, danneggiamento e detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio. Poiché il soggetto è risultato essere stato destinatario, lo scorso mese di febbraio, di un Ordine di Allontanamento dal Territorio Nazionale al quale non aveva ottemperato, il Questore di Bolzano ha emesso anche nei suoi confronti un DECRETO di ESPULSIONE con Ordine di Trattenimento presso il Centro Permanenza per i Rimpatri di Gorizia, per poter di seguito essere rimpatriato nel Paese di origine; • Fermato venerdì in Centro Città durante un controllo di Polizia, sin dai primi accertamenti effettuati sul posto dagli Agenti era emerso che a carico di A.K., 32enne cittadino nigeriano, era stata rigetta per ben tre volte la richiesta di Protezione Internazionale da parte della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Padova e che, pertanto, egli non aveva più titolo per soggiornare legalmente sul nostro Territorio Nazionale. A. K., sbarcato in Sicilia nel 2014, durante la sua lunga permanenza in Italia nel 2019 era stato condannato per ricettazione, nonché denunciato nel 2020 alla Procura della Repubblica di Bolzano per i reati di danneggiamento ed invasione di terreni e nel 2022 per resistenza e violenza a Pubblico Ufficiale, per incendio doloso e per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Poiché a costui era già stato intimato per ben tre volte di abbandonare il territorio nazionale, intimazioni che A. K. Si è ben guardato dall’ottemperare, il Questore Sartori emesso anche nei suoi confronti un DECRETO di ESPULSIONE con Ordine di Trattenimento presso il Centro Permanenza per i Rimpatri “Ponte Galeria” di Roma, da dove verrà quanto prima rimpatriato nel Paese di origine. “Cosi come a riguardo delle infiltrazioni da parte della criminalità mafiosa nelle attività economiche della nostra Provincia, allo stesso modo l’attenzione nei confronti della criminalità comune, in particolare quella di tipo predatorio, nonché dell’immigrazione clandestina e dei reati che ad essa sono collegati, rappresenta per le Forze dell’Ordine una priorità assoluta, proprio perché questi fenomeni delinquenziali si manifestano con componenti delittuose particolarmente odiose, che spesso incidono direttamente sulla tranquillità dei cittadini – ha evidenziato il Questore Sartori –. Pertanto, l’applicazione concreta e sistematica delle Misure di Prevenzione Personali e dei Provvedimenti di allontanamento dal Territorio Nazionale di soggetti devianti ci consente di estirpare dal contesto criminale quei personaggi che delle attività delinquenziali hanno fatto la loro unica fonte di sostegno, oltre che la caratteristica principale del loro sistema di vita, e di evitare che possano radicarsi sul nostro territorio soggetti pregiudicati, spesso privi del necessario Titolo per soggiornare nel nostro Paese, i quali, con i loro comportamenti, destano particolare allarme sociale e compromettono la civile convivenza”.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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lamilanomagazine · 3 months
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Vercelli. Arrestati in flagranza due cittadini stranieri, di 41 e 23 anni, per estorsione e per spaccio di sostanze stupefacenti
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Vercelli. Arrestati in flagranza due cittadini stranieri, di 41 e 23 anni, per estorsione e per spaccio di sostanze stupefacenti. I poliziotti della Squadra Mobile della Questura di Vercelli hanno tratto in arresto in flagranza di reato due cittadini di nazionalità marocchina, rispettivamente di quarantuno e ventitré anni gravati da numerosi precedenti giudiziari e di Polizia, in quanto resisi responsabili del reato di estorsione. In particolare una ragazza si presentava presso l'Ufficio Denunce della Questura asserendo di essere vittima di un tentativo di estorsione da parte di due uomini che pretendevano dalla stessa il pagamento della somma di 200 € in cambio della restituzione di una collanina in oro sottrattale giorni prima. La ragazza ammetteva in sede di denuncia che in realtà la sottrazione consisteva nell'indebito trattenimento nella disponibilità dei soggetti della collanina, che aveva dato loro in pegno per un debito legato all'acquisto di sostanza stupefacente. Nonostante la richiesta sproporzionata rispetto al valore commerciale dell'oggetto, la donna aveva accettato di pagare quanto richiesto pur di riottenere il monile, ricordo della madre venuta a mancare pochi mesi prima, ma le continue pressioni dei due ed il continuo rialzo del prezzo rispetto ai 200 euro originariamente richiesti inducevano la vittima a chiedere aiuto alla Polizia di Stato. Su indicazione degli investigatori della Squadra Mobile la donna fingeva di accettare il ricatto del cosiddetto "cavallo di ritorno" e pertanto fissava un incontro nei pressi della Stazione Ferroviaria di Vercelli, mentre gli agenti della Questura si appostavano in attesa dello scambio. Circa trenta minuti dopo l'orario stabilito per l'incontro, la vittima veniva avvicinata da un giovane il quale, dopo un breve scambio di battute e guardandosi attorno con fare circospetto, chiedeva alla donna di pagare quanto pattuito. Non appena entrato in possesso del denaro, circa 400 euro, l'uomo è stato immediatamente fermato dai poliziotti mentre il complice veniva rintracciato pochi minuti dopo nell'abitazione che i due condividevano nell'immediata periferia cittadina, venendo trovato in possesso della collanina sottratta. Nel corso della successiva perquisizione domiciliare, nella disponibilità degli arrestati venivano trovati circa 55 grammi di sostanza stupefacente di tipo hashish e cocaina, oltre a materiale atto al frazionamento, confezionamento e pesatura, motivo per il quale i due venivano anche deferiti all'A.G. per detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente. Al termine degli atti di rito i due stranieri venivano associati presso la locale Casa Circondariale ove sono tutt'ora ristretti all'esito della convalida dell'arresto intervenuta lunedì scorso con la contestuale applicazione, per entrambi, della misura cautelare custodiale in carcere. È doveroso rilevare che gli odierni arrestati sono, allo stato, solamente indiziati di delitto e che la loro posizione sarà definitivamente vagliata giudizialmente solo dopo l'emissione di una sentenza di condanna passata in giudicato in ossequio al principio costituzionale di presunzione di non colpevolezza.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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lamilanomagazine · 3 months
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Trani: 4 ordinanze di misure cautelari ai soggetti, tra i 19 e i 33 anni, che hanno ferito una ragazza in una discoteca
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Trani: 4 ordinanze di misure cautelari ai soggetti, tra i 19 e i 33 anni, che hanno ferito una ragazza in una discoteca. La Polizia di Stato sotto la direzione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trani, ha eseguito 4 ordinanze di misure cautelari, 1 in carcere e 3 agli arresti domiciliari nei confronti di altrettanti soggetti, per il ferimento di una giovane ragazza. Il 10 febbraio, durante una serata danzante presso una discoteca di Trani, seguito di una rissa, fu ferita con un colpo d'arma da fuoco. Il gravissimo episodio ha determinato un'immediata attivazione degli uffici investigativi che in prima battuta si portavano sul posto per cercare di ricostruire la vicenda. Fin da subito i poliziotti della squadra mobile riuscivano ad individuare il gruppo riconducibile all'evento delittuoso e con la collaborazione del Commissariato di P. S. di Trani riuscivano a ricostruire l'accaduto. In particolare, dall'analisi meticolosa dei sistemi di video-sorveglianza, è stato possibile capire come la rissa fosse iniziata tra alcuni soggetti baresi e un soggetto cerignolano. A seguito di un acceso diverbio, si è passati alle vie di fatto e uno dei soggetti baresi ha addirittura estratto un'arma da fuoco esplodendo un colpo che ha attinto accidentalmente una ragazza all'altezza del polpaccio. È stato accertato come la giovane fosse del tutto estranea ai fatti e che avesse come unica colpa quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Gli odierni indagati, qualcuno dei quali anche con qualche grave precedente di polizia, hanno un'età compresa tra i 19 e i 33 anni. Sono tutt'ora in corso accertamenti volti a verificare le ragioni dello scontro anche se non si escludono i futili motivi. Tutto ciò premesso, i suddetti indagati sono ritenuti responsabili a vario titolo dei reati di rissa aggravata, detenzione, porto ed utilizzo d'arma da fuoco di provenienza illecita. Infine, sempre nell'ambito del medesimo episodio, il titolare della discoteca è stato deferito all'Autorità Giudiziaria per apertura abusiva di luoghi di pubblico spettacolo o trattenimento. Per tale ragione la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trani ha disposto il sequestro preventivo dell'immobile, eseguito stamani dagli Agenti del Commissariato di P.S. di Trani.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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lamilanomagazine · 7 months
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A Torino continua l'attività di controllo dell'Ufficio Immigrazione: diversi i cittadini stranieri irregolari sul territorio nazionale
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A Torino continua l'attività di controllo dell'Ufficio Immigrazione: diversi i cittadini stranieri irregolari sul territorio nazionale. Torino. Negli ultimi due mesi sono stati emessi 192 decreti di espulsione da parte del Prefetto che hanno riguardato cittadini stranieri irregolari sul territorio nazionale delle seguenti nazioni: Afghanistan, Albania, Algeria, Bosnia, Brasile, Cile, Cina, Costa D’Avorio, Cuba, Egitto, Filippine, Gabon, Gambia, Georgia, Ghana, Guinea Bissau, Macedonia, Marocco, Moldavia, Nigeria, Pakistan, Perù, Repubblica Dominicana, Senegal, Tunisia e Turchia. I provvedimenti assunti riguardano persone che si sarebbero macchiate di reati di diversa natura e gravità che destano particolare allarme sociale e potrebbero mettere a repentaglio l’ordine e la sicurezza pubblica come violenza sessuale, maltrattamenti in famiglia, percosse, lesioni, resistenza a PU, rapina, furto, porto abusivo di armi e traffico e detenzione di sostanze stupefacenti o psicotrope. Nello specifico sono stati rimpatriati da personale dell’Ufficio Immigrazione 27 soggetti di cui 7 scarcerati (1 albanese, 3 marocchini, 1 rumeno e 2 senegalesi) e 20 con accompagnamento immediato alla frontiera (7 albanesi, 3 georgiani, 3 marocchini, 2 senegalesi, 1 ghanese, 1 moldava, 1 nigeriana, 1 dominicano, e 1 tunisino). Ulteriori 8 scarcerati (2 senegalesi, 4 marocchini, 1 egiziano e 1 tunisino) sono stati trattenuti presso Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR), in attesa delle attività di identificazione e successivo rimpatrio. Infine, è stato dato un significativo impulso anche alle misure alternative al trattenimento presso i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR), disponendo l’obbligo di presentazione e firma in giorni ed orari stabiliti, l’obbligo di dimora in un luogo preventivamente individuato dove possa essere agevolmente rintracciato e, nei confronti dei soggetti che siano in possesso di passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, la consegna del documento stesso da restituire successivamente al momento del rimpatrio. Nel complesso le misure alternative emesse sono pari a 19.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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lamilanomagazine · 11 months
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Vicenza: allontanati dal Territorio Nazionale e rimpatriati due pregiudicati stranieri coinvolti in attività illegali.
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Vicenza: allontanati dal Territorio Nazionale e rimpatriati due pregiudicati stranieri coinvolti in attività illegali. Nella giornata di mercoledì 12 luglio, nell’ambito consuete attività di Polizia finalizzate alla prevenzione ed alla repressione dei reati, 2 pericolosi pregiudicati stranieri, dimoranti nella Provincia di Vicenza e sottoposti a procedimenti penali per varie tipologie di reato, ovvero coinvolti a vario titolo in attività illegali, sono stati condotti presso l’Ufficio Immigrazione per verificare in maniera approfondita la loro posizione giuridica sul territorio italiano. A seguito dei conseguenti accertamenti effettuati in Questura, nello specifico si è proceduto come segue: Nei confronti di M. G. – cittadino albanese di 39 anni da poco scarcerato dalla locale Casa Circondariale – il Questore della Provincia di Vicenza Paolo Sartori ha disposto che venisse immediatamente trasferito presso l’Aeroporto di Venezia ove, già nella serata di ieri, scortato dagli Agenti dell’Ufficio Immigrazione, è stato imbarcato su un volo diretto a Tirana. Responsabile della commissione di numerosi reati legati allo spaccio di sostanze stupefacenti, negli anni scorsi era stato individuato a seguito di indagini della Polizia di Stato quale appartenente ad una banda criminale che agiva nella Provincia di Vicenza. La Squadra Mobile di Vicenza, nell’ambito di un servizio finalizzato alla prevenzione e repressione del traffico di droga, dopo aver fatto irruzione in un appartamento di Bolzano Vicentino procedeva all’arresto di due cittadini albanesi trovati in possesso di sostanza stupefacente. Durante l’operazione di Polizia, costoro riuscivano a disfarsi di 2 pistole gettandole dalla finestra assieme a parte dello stupefacente che detenevano in casa. Nelle concitate fasi che ne sono seguite uno di essi esplodeva alcuni colpi di pistola all’indirizzo degli Agenti della Squadra Mobile, che riuscivano comunque ad arrestarlo per tentato omicidio. Coinvolto nella sparatoria vi era anche il pluripregiudicato, in seguito condannato dalla Corte d’Appello di Venezia alla pena di 4 anni e 6 mesi di carcere per spaccio di sostanze stupefacenti, resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali, ricettazione e detenzione di armi clandestine. L’Ufficio di Sorveglianza del Tribunale di Verona, ad inizio luglio, ne ha disposto l’espulsione dal territorio nazionale e, nella giornata di ieri, è stato prelevato in Carcere ed accompagnato, come si è detto, all’Aeroporto di Venezia dove è stato imbarcato sul volo aereo con scorta internazionale diretto a Tirana, per poi essere preso in carico dalla Polizia albanese. Sempre nella giornata del 12 luglio, invece, su Ordine di Trattenimento emesso dal Questore Sartori, è stato accompagnato al Centro di Permanenza per i Rimpatri di Via Corelli (Milano) tale H.K., cittadino marocchino di 40 anni, anch’egli da poco scarcerato dalla Casa Circondariale di Vicenza. L’uomo, conosciuto alla Forze dell’Ordine quale spacciatore di sostanze stupefacenti provenienti dal Nord Africa e con a proprio carico precedenti penali e/ o di Polizia per reati di varia natura e gravità, quali furto di abiti all’interno di un centro commerciale di Como, falsità in scrittura privata e contraffazione, era stato condannato dal Tribunale di Como a 4 anni di reclusione per fatti avvenuti nella zona tra Como e Milano. Nel 2018 era già stato colpito da un provvedimento di espulsione, ma lo straniero non vi aveva ottemperato, continuando a delinquere nel nostro Paese. Al termine delle procedure amministrative, nei confronti di costui, come si è detto, il Questore della Provincia di Vicenza Paolo Sartori ha emesso un Decreto di Allontanamento dal Territorio Nazionale con contestuale Ordine di Trattenimento presso il Centro di Permanenza per i Rimpatri di Milano, ove ieri è stato scortato dagli Agenti della Questura in attesa di essere imbarcato nei prossimi giorni su un volo diretto in Marocco. “Questo genere di attività di Polizia di Sicurezza a contrasto della immigrazione clandestina sono finalizzate ad evitare che possano radicarsi sul nostro territorio soggetti stranieri pregiudicati, spesso privi del necessario titolo per soggiornare nel nostro Paese, i quali, con i loro comportamenti, destano particolare allarme sociale e compromettono la civile convivenza – ha evidenziato il Questore Sartori – Più in generale, l’obiettivo è quello di mantenere il più elevato possibile il livello di legalità nella nostra Provincia, facendo percepire alla cittadinanza la vicinanza delle Istituzioni ai problemi ed alle esigenze da essa ritenuti imprescindibili”.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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lamilanomagazine · 11 months
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Vicenza: espulsi e rimpatriati due pregiudicati irregolari sul territorio italiano
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Vicenza: espulsi e rimpatriati due pregiudicati irregolari sul territorio italiano. Nella giornata del 6 luglio, nell’ambito di una complessa attività di Polizia disposta dal Questore della Provincia di Vicenza Paolo Sartori finalizzata alla prevenzione ed alla repressione di tutte quelle forme di illegalità che mettono a repentaglio la civile convivenza, l’Ufficio Immigrazione della Questura ha effettuato specifici controlli sulla posizione di soggiorno di cittadini stranieri dimoranti nella nostra Provincia e sottoposti a procedimenti penali per varie tipologie di reato, ovvero coinvolti a vario titolo in attività illegali. Si tratta di operazioni di grande rilevanza che si ergono ad importanti strumenti di contrasto dell’immigrazione clandestina su tutto il territorio provinciale. Mercoledì 5 luglio il Questore ha emesso un Ordine di accompagnamento per il trattenimento presso il Centro di Permanenza per i Rimpatri di Bari nei confronti di T.A. – cittadino albanese di 40 anni irregolare in Italia, con precedenti penali e di Polizia per reati di varia natura e gravità – ove è stato scortato dagli Agenti dell’Ufficio Immigrazione della Questura di Vicenza in attesa di essere imbarcato nei prossimi giorni su un volo diretto nel Paese d’origine. Il curriculum criminale dell’uomo prende avvio nel 2014 allorquando veniva condannato dal Tribunale di Vicenza ad un 1 e 6 mesi di reclusione per atti persecutori nei confronti della fidanzata; in quell’occasione le Forze dell’Ordine, su segnalazione di un vicino di casa, erano intervenute in un appartamento di Torri di Quartesolo presso l’abitazione di una ragazza nel corso di un violento litigio scoppiato con il compagno. La donna denunciava di essere vittima, da almeno un anno, delle violenze dell’uomo e di essere stata costretta a ricorrere più volte alle cure dei sanitari per le lesioni patite. Nel 2018, T. A. aveva provocato un incidente stradale con feriti mentre si trovava alla guida sotto l’effetto di alcool e stupefacenti. Quindi, sempre in quel periodo era stato arrestato con l’accusa di aver commesso in Provincia di Padova 2 rapine con lesioni. Per questi fatti, l’albanese veniva condannato a 4 anni e 8 mesi di reclusione. Nel 2022 veniva affidato ai servizi sociali presso una Comunità del vicentino. Nella serata di ieri, come si è detto, al termine del periodo di affidamento, dopo essere stato espulso l’uomo è stato scortato a Bari dove, nei prossimi giorni, verrà rimpatriato in Albania. Nella giornata del 6 luglio, invece, sempre su Ordine di Trattenimento emesso dal Questore Sartori è stato accompagnato al Centro di Permanenza per i Rimpatri di Gradisca d’Isonzo (Gorizia) tale M.M., cittadino serbo di 37 anni da poco scarcerato dalla Casa Circondariale di Vicenza. L’uomo – gravato da numerose condanne per furti reiterati, violazione di domicilio, possesso di arnesi da scasso, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, e già colpito dalla Misure di Prevenzione Personale dell’Avviso Orale emessa nei suoi confronti dal Questore – aveva appena terminato di scontare una pena di 2 anni e 11 giorni di reclusione. Nel luglio del 2019, a Vicenza, era stato arrestato nuovamente dalla Polizia di Vicenza mentre era intento a rubare all’interno di un negozio di parrucchiere in via Divisione Julia, dopo aver forzato la serranda d’ingresso con un piede di porco. Inoltre, a seguito di specifiche attività di indagine, era stato ritenuto responsabile di una serie di furti commessi in Provincia di Vicenza, in particolare all’interno della Scuola “Garbin”, la Trattoria “Ponte di Ferro” e la ditta “Ortoamico” di Thiene. Nella notte del 1° novembre del 2021 era stato colto in flagranza di reato dagli Agenti della Squadra “Volanti” della Questura di Vicenza mentre era intento a rubare all’interno di una tabaccheria di Viale Trento, dopo aver scassinato la porta d’ingresso. Nei mesi precedenti, durante un controllo di Polizia, era stato trovato in possesso di una serie di oggetti atti allo scasso, tra cui un tronchese da 20 centimetri ed un coltello: in quell’occasione l’uomo veniva arrestato nei pressi del Parcheggio Fogazzaro di Vicenza, intento a forzarne la cassa automatica. L’uomo era solito frequentare la zona del quadrilatero di Viale Milano e spesso era al centro di liti con extracomunitari. In più occasioni era stato trovato in possesso di sostanze stupefacenti, tanto che nel 2022 il Questore di Vicenza gli aveva revocato il Permesso di Soggiorno. Al termine delle procedure amministrative e delle attività di Polizia Giudiziaria, nei confronti dei 2 cittadini extracomunitari – entrambi soggiornanti illegalmente nel nostro territorio – il Questore della Provincia di Vicenza Paolo Sartori ha emesso altrettanti Decreti di Allontanamento dal Territorio Nazionale con contestuali Ordini di Trattenimento presso i summenzionati Centri di Permanenza per i Rimpatri, ove sono stati scortati dagli Agenti della Questura in attesa di essere imbarcati nei prossimi giorni su voli diretti nei rispettivi Paesi di origine. Nella giornata del 6 luglio, sempre l'Ufficio Immigrazione della Questura di Vicenza ha tratto in arresto M. B., 32enne cittadino della Guinea Bissau, per possesso di documento falso. Nel maggio 2016 era sbarcato in Italia in maniera illegale su un barcone approdato sulla costa di Lampedusa. Successivamente l’uomo aveva formalizzato la richiesta di Asilo Politico, ma la Commissione Territoriale competente aveva rigettato la sua richiesta di Protezione internazionale. Nonostante ciò, al fine di ottenere comunque un Permesso di Soggiorno, l’uomo si era recato all'Ufficio Immigrazione della Questura di Vicenza esibendo un Passaporto della Guinea Bissau riportante i suoi dati. Il documento, apparentemente rispondente ai requisiti previsti, ha però insospettito i Poliziotti in servizio alla sezione espulsioni, i quali, dopo un attento esame del documento posto in essere con le apparecchiature in dotazione, ottenevano la conferma della falsità dello stesso. Per questi motivi M. B. veniva dichiarato in arresto dagli Agenti dell’Ufficio Immigrazione e messo a disposizione della Autorità Giudiziaria. Dall’inizio di quest’anno, nell’ambito di specifiche attività di Polizia effettuate dall’Ufficio Immigrazione e rientranti, come si è detto, nella più complessa strategia di prevenzione dei reati in genere disposta dal Questore della Provincia di Vicenza Paolo Sartori, sono stati adottati i seguenti Provvedimenti: · 37 Ordini di Trattenimento presso i Centri di Permanenza per i Rimpatri emessi dal Questore nei confronti di altrettanti cittadini extracomunitari irregolari in Italia e già espulsi dall’Italia, con precedenti penali e di Polizia per reati di varia natura e gravità. Qui, dopo esservi stati scortati dagli Agenti dell’Ufficio Immigrazione della Questura, vi rimangono in attesa di essere imbarcati quanto prima su voli diretti nei rispettivi Paesi d’origine; · 2 Rimpatri nei Paesi di Provenienza disposti nei confronti di altrettanti cittadini extracomunitari dimoranti nella nostra Provincia e sottoposti a procedimenti penali per varie tipologie di reato, ovvero coinvolti a vario titolo in attività illegali. Costoro sono stati scortati in aereo da Agenti di Polizia e trasferiti presso i rispettivi Paesi di origine; · 94 Ordini di allontanamento dal Territorio Nazionale, emessi dal Questore, anche a seguito di specifici provvedimenti di espulsione, nei confronti di altrettanti cittadini extracomunitari presenti illegalmente nel nostro Paese, con intimazione ad uscire dall’Italia nel termine perentorio di 7 giorni; · 98 Revoche / Rifiuti di Permesso di Soggiorno disposti dal Questore nei confronti di cittadini extracomunitari già in possesso di validi Titoli di soggiorno ma che, per vari motivi – tra i quali quello di aver commesso reati di diversa tipologia, ostativi al proseguo della loro regolare permanenza in Italia – si è resa necessaria la revoca dei Permessi di Soggiorno, con intimazione a lasciare entro 14 giorni il nostro Territorio Nazionale. Qualora non dovessero ottemperare, verranno denunciati alla Procura della Repubblica ed accompagnati coattivamente verso il Paese di origine; · 3 Arresti per uso di documenti di identità falsi; · 18 Denunce alla Autorità Giudiziaria per reati di varia natura in materia di immigrazione. “Questo genere di attività di Polizia di Sicurezza a contrasto della immigrazione clandestina sono finalizzate ad evitare che possano radicarsi sul nostro territorio soggetti stranieri pregiudicati, spesso privi del necessario titolo per soggiornare nel nostro Paese, i quali, con i loro comportamenti, destano particolare allarme sociale e compromettono la civile convivenza – ha evidenziato il Questore Sartori – Più in generale, l’obiettivo è quello di mantenere il più elevato possibile il livello di legalità nella nostra Provincia, facendo percepire alla cittadinanza la vicinanza delle Istituzioni ai problemi ed alle esigenze da essa ritenuti imprescindibili”.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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lamilanomagazine · 1 year
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Venezia, rimpatriato pericoloso cittadino gambiano irregolare sul territorio
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Venezia, rimpatriato pericoloso cittadino gambiano irregolare sul territorio. L’uomo, giunto in Italia già nel 2016 senza mai aver ottenuto alcuna forma di protezione internazionale, nel corso degli anni si era reso responsabile di numerosi reati contro la persona ed il patrimonio, quali, ad esempio, spaccio di sostanze stupefacenti, resistenza a pubblico ufficiale, molestie e danneggiamenti al punto da destare per lungo tempo grave allarme sociale in tutto il territorio veneziano. In particolare, lo straniero, era altresì balzato alle cronache nel 2020, quando aveva sfondato con un martello lunotti e finestrini di quasi una cinquantina di auto parcheggiate in zona Bissuola a Mestre. Nel settembre 2020 era stato accompagnato presso il C.P.R. di Macomer, in Sardegna, per essere espulso dal territorio italiano; tuttavia, scaduti i termini massimi per il trattenimento, l’uomo era stato rilasciato in quanto il Sierra Leone non l’aveva riconosciuto come proprio cittadino. Successivamente, lo stesso aveva fatto ritorno a Mestre dove però, nel mese di gennaio 2021, è stato nuovamente arrestato in esecuzione di un ordine di carcerazione emesso al termine di un’importante attività d’indagine posta in essere dalla Divisione Anticrimine della Questura di Venezia, la quale è riuscita a ricostruire tutta la sequenza dei reati commessi dallo straniero. Ed è stato proprio durante il suo periodo di detenzione in carcere che l’Ufficio Immigrazione della Questura di Venezia ha lavorato incessantemente per riuscire ad identificare la vera nazionalità del soggetto interessando, d’intesa con la competente Direzione Centrale del Ministero dell’Interno, tutte le autorità diplomatiche dei Paesi di possibile provenienza. Pertanto, disposta l’espulsione dello straniero con apposito decreto del Prefetto di Venezia, all’atto della scarcerazione, avvenuta lo scorso 17 dicembre, in linea con le direttive emanate dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza e dal Ministero dell’Interno in tema di contrasto al fenomeno dell’immigrazione clandestina, l’uomo ha trovato ad attenderlo gli agenti dell’Ufficio Immigrazione i quali, ottenuta la convalida dell’ordine di rimpatrio del Questore di Venezia, lo hanno scortato a Milano Malpensa da dove si sono imbarcati con destinazione Banjul, Gambia. Nella giornata di ieri, lo stesso è stato così ufficialmente consegnato alla polizia gambiana.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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paoloxl · 2 years
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I diritti negati nel Cpr di via Corelli a Milano - Osservatorio Repressione
La denuncia dell’Asgi. I legali dell’associazione hanno visitato la struttura e rilevato gravi problemi tra cui la carenza di strumenti necessari a “garantire adeguatamente il diritto di informazione e orientamento legale”. Per l’avvocato Nicola Datena il sistema della detenzione amministrativa e del rimpatrio forzato va messo radicalmente in discussione
di Ilaria Sesana
Tra il primo luglio e il 31 dicembre 2021 nel Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di via Corelli a Milano sono state trattenute 215 persone di origine straniera, di cui 52 cittadini provenienti dal Marocco, 46 dalla Tunisia, 18 dall’Egitto e 13 dall’Algeria. I rimpatri eseguiti nello stesso arco di tempo sono stati 25, di cui poco più della metà (13) verso Tunisi. Numeri che mostrano plasticamente la poca o nulla “efficacia” di questi luoghi dedicati alla detenzione amministrativa dei cittadini stranieri. “Il Cpr si conferma uno strumento sproporzionato rispetto al fine che il legislatore vuole raggiungere. Si tratta di una limitazione totale del diritto alla libertà personale attuata attraverso prassi amministrative fortemente discrezionali e di dubbia compatibilità con l’ordinamento costituzionale -commenta l’avvocato Nicola Datena, socio di Asgi, che ha partecipato a una recente visita all’interno del centro di trattenimento milanese-. Il sistema della detenzione amministrativa e del rimpatrio forzato merita di essere messo radicalmente in discussione. L’esistenza stessa dei Cpr è nota a pochi ed è quindi particolarmente importante restituire una dimensione pubblica al dibattito sulle condizioni esistenti al loro interno”.
I legali di Asgi hanno avuto accesso al centro nella giornata del 17 dicembre 2021 (ma non hanno potuto parlare con i trattenuti) e hanno chiesto ulteriori informazioni alla Prefettura di Milano attraverso un accesso civico: sia la visita sia le risposte ai quesiti formulati da Asgi, “fanno emergere numerose e gravi criticità riguardo tanto alle condizioni materiali del trattamento quanto con riferimento ai diritti delle persone detenute”, si legge nel rapporto redatto dall’associazione a seguito della visita e pubblicato a fine marzo 2022. Il Cpr di Milano (situato appunto in via Corelli, nella periferia Est della città) è stato riaperto il 28 settembre 2020 dopo che per diversi mesi, tra la fine del 2014 e il 2016, era stato destinato all’accoglienza dei profughi siriani in transito dal capoluogo lombardo. A gestire la struttura, dal settembre 2021, è la società Engel Italia Srl che opera anche all’interno del Centro di permanenza per il rimpatrio di Palazzo San Gervasio (PT). “L’apertura del centro è avvenuta nel pieno della pandemia da Covid-19, i rimpatri effettuati hanno riguardato soprattutto cittadini tunisini provenienti direttamente dalle cosiddette ‘navi quarantena’, procedura sulla cui legittimità sussistono importanti perplessità”, spiega Datena.
Durante i mesi dell’emergenza sanitaria Covid-19, infatti, il governo ha predisposto che i migranti sbarcati sulle coste italiane trascorressero un periodo di isolamento a bordo di traghetti ancorati nei principali porti di sbarco. Luoghi che presentano diverse criticità nella garanzia dei diritti delle persone migranti come ha denunciato Asgi in un report dedicato alle “navi quarantena” e come ha rilevato anche il Garante per le persone private della libertà personale, a partire dalla difficoltà nell’ottenere adeguate informazioni rispetto al proprio status giuridico. “L’utilizzo delle ‘navi quarantena’ -ha denunciato Asgi- si pone in perfetta continuità con i dispositivi già utilizzati e finalizzati alla selezione e differenziazione spesso arbitraria delle persone sbarcate in Italia fra ‘richiedenti asilo’ e ‘migranti economici’, accentuandone però le criticità dal punto di vista della tutela dei diritti di chi li attraversa”.
Come spiega Datena ad Altreconomia, molte delle persone presenti nel centro di via Corelli durante il periodo preso in esame dal report “erano arrivate al Cpr dopo essere transitate dalle ‘navi quarantena’ e, nel caso di quei Paesi per cui esistono accordi di riammissione, rimpatriati in tempi molto brevi. Questo ha generato un meccanismo preoccupante perché queste persone potrebbero non avere mai avuto accesso a informazioni adeguate sulla loro condizione giuridica”. All’interno del Cpr di via Corelli, infatti, non sono stati messi in atto “strumenti e meccanismi idonei a garantire adeguatamente il diritto di informazione e orientamento legale delle persone trattenute”, scrive Asgi evidenziando come “precisi doveri di informazione sui diritti dei trattenuti, sui servizi a cui possono accedere e sulla possibilità di chiedere il riconoscimento della protezione internazionale gravano sulla pubblica amministrazione e sull’ente gestore”.
Ma la difficoltà ad accedere alle informazioni non è l’unico problema rilevato dai legali durante la loro visita. Il report segnala una lunga lista di criticità, a partire dalle limitazioni nell’uso dei telefoni cellulari che vengono requisiti al momento dell’ingresso: i “trattenuti” li possono utilizzare solo per mezz’ora al giorno, in una fascia oraria determinata (dalle 15 alle 20) e in un’area dedicata. Inoltre, non c’è una linea wi-fi a disposizione e l’unico modo per collegarsi a internet è sperare che uno degli “ospiti” del Cpr abbia credito sufficiente per utilizzare il proprio smartphone come router e condividerlo con gli altri. Anche le condizioni materiali di vita all’interno della struttura sono difficili: non vengono organizzate attività ricreative degne di nota e ai trattenuti viene consegnato un solo kit al momento dell’ingresso (una tuta, un paio di slip, un asciugamano grande e uno piccolo, prodotti per l’igiene personale) che devono farsi bastare per un periodo di 30 giorni. “L’ente gestore -si legge nel rapporto di Asgi- spiega che asciugamani e indumenti possono essere lavati nella lavanderia. In assenza di un cambio non si vede però come i trattenuti possano lavare i propri indumenti, cosa possano indossare mentre svolgono il lavaggio”. Anche il servizio di mediazione linguistica risulta carente: secondo quanto riferito da Asgi al momento della visita -che si è svolta tra le 10 e le 11.30 del mattino- era presente unicamente un mediatore linguistico-culturale di lingua spagnola. “Tanto le previsioni di capitolato quanto la realtà riscontrata al momento della visita fanno emergere come l’accesso alle informazioni e a un’informazione adeguata e completa in una lingua comprensibile non sia nella pratica effettivamente garantito”, si legge nel report.
Infine, particolare attenzione viene dedicata al tema della salute. Al momento dell’ingresso nel Cpr viene svolta da personale medico di Ats Milano una visita finalizzata a valutare l’idoneità al trattenimento e l’assenza di patologie infettive (in particolare il Covid-19): “Una visita che si svolge senza accertamenti strumentali ed esclusivamente in base a quanto è in grado di riferire il paziente”, si legge nel report. “Le visite di idoneità dovrebbero essere più accurate: le norme impongono un monitoraggio costante e periodico delle condizioni psico-fisiche dei trattenuti -sottolinea Datena-. Spesso chi entra in queste strutture in condizioni di fragilità subisce un peggioramento. La tutela della salute dei cittadini stranieri che entrano nel Cpr dovrebbe essere tutelata sulla base di appositi protocolli: quelli vigenti al momento della visita, siglati nel luglio 2021, sono scaduti con la fine dell’anno e non sono stati rinnovati”. Un ulteriore protocollo riguardante la cura delle dipendenze patologiche e il sostegno medico terapeutico necessario alle persone tossicodipendenti è scaduto il 31 dicembre 2021 e non è stato rinnovato. Una criticità non da poco se si pensa che -come spiegato dallo stesso ente gestore- il presidio medico del Cpr si trova a gestire molti casi di persone tossicodipendenti “che necessitano della somministrazione costante di Rivotril che, in assenza di una precisa terapia di somministrazione di metadone o altri farmaci, è usato come medicinale sostitutivo”, si legge nel report. Infine, per quanto riguarda i vaccini anti-Covid-19 il documento redatto da Asgi evidenzia come né il direttore sanitario né l’ente gestore abbiano idea sulle modalità di accesso alle vaccinazioni per i trattenuti
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paoloxl · 4 years
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Nell’ultimo anno si è parlato di CPR ( Centri per i rimpatri) soltanto per sottolineare il “disagio” delle forze di polizia incaricate della sorveglianza, criminalizzare gli “ospiti” di queste strutture detentive, o per creare allarme ipotizzando una “regia esterna” delle numerose proteste che nei casi più gravi sono culminate con incendi e danneggiamenti. Mai un accenno alle condizioni disastrose delle strutture, all’abbattimento dei costi e quindi dei servizi di assistenza e consulenza garantiti dagli enti gestori, alla eterogeneità della popolazione detenuta, che per effetto del decreto sicurezza, poi convertito nella legge n.132 del 2018, annovera sempre più spesso richiedenti asilo denegati e soggetti vulnerabili rimasti privi di un permesso di soggiorno per la cancellazione della protezione umanitaria.
Di fronte ad una situazione che in passato era stata denunciata con interventi e Rapporti assai dettagliati, non è stata concessa alcuna possibilità di ingresso ai rappresentanti della società civile, come gli attivisti della Campagna LasciateCientrare, e sotto questo profilo l’avvicendamento al Viminale non ha cambiato nulla. Da ultimo questa “continuità” di governo della detenzione amministrativa è denunciata in un volume divulgativo edito dal settimanale Left dal titolo “Mai Più”.  Anzi, si è puntato soltanto su comunicazioni propagandistiche per mettere in risalto un aumento irrisorio delle persone soggette al trattenimento amministrativo e quindi dei conseguenti rimpatri. Che comunque rimangono solo una frazione molto modesta dei casi di espulsione o respingimento per cui i questori dispongono l’accompagnamento forzato in frontiera, in assenza di qualsiasi possibilità di regolarizzazione successiva all’ingresso o al soggiorno irregolare. Soprattutto per coloro che provengono dal circuito carcerario, magari senza neppure avere riportato una condanna definitiva, il meccanismo delle espulsioni con accompagnamento forzato porta inesorabilmente al trattenimento nel CPR in tutti i casi in cui al momento della scarcerazione non siano ancora pronti i documenti necessari per il rimpatrio. E spesso si tratta di persone presenti in Italia da molti anni.
Dal CPR di Torino ( via Brunelleschi) al CPR di Ponte Galeria a Roma, fino ai CPR siciliani di Trapani (Milo) ancora lo scorso 3 gennaio e di Caltanissetta ( Pian del lago), oggi, non è passato mese senza che si registrassero proteste che in qualche caso si sono trasformate in gravi danneggiamenti delle strutture. Dopo queste proteste si è innescata una girandola di trasferimenti da un centro all’altro, su disposizione del ministero dell’interno, che hanno contribuito ad estendere a tutti i centri un clima di rivolta contro un regime detentivo e condizioni di trattenimento che si traducevano assai spesso in deprivazione totale della dignità della persona e dei suoi più elementari diritti fondamentali, dal diritto alla salute al diritto alla difesa. Il raddoppio dei termini di trattenimento amministrativo (da 90 a 180 giorni), previsto dal Decreto sicurezza 1 ( legge n.132 del 2018) ha contribuito ad elevare i livelli di tensione all’interno di queste strutture, da Torino a Caltanissetta, da Gradisca D’Isonzo a Lamezia,a Palazzo S.Gervasio, Bari, Brindisi,Lecce, Crotone, Milano, Modena, Bologna, anche se non ha inciso in misura significativa sul numero delle persone effettivamente rimpatriate. Nel corso degli anni sono stati diversi i casi in cui hanno perso la vita “per cause naturali”, persone migranti trattenute nei CPR in condizioni di privazione di una tempestiva assistenza.
Come riporta Mediterraneo Cronaca nella giornata di domenica 12 gennaio, si è verificata l’ennesima morte di un “ospite” trattenuto all’interno di un CPR, questa volta nel centro di Pian del lago a Caltanissetta. Anche in questo caso mancano notizie ufficiali, non si ha certezza sulle cause del decesso, né si conosce dove sia stata trasferita la salma del ragazzo, sembra un tunisino, che ha perso la vita, dopo essersi sentito male nei giorni precedenti, come sembra, ma dopo essere andato a letto “normalmente”, come ha subito precisato la questura di Caltanissetta.
Quello che è certo è che dopo questa ennesima morte all’interno di un centro di detenzione, è scoppiata una protesta che è culminata con l’incendio di alcune parti della struttura, un incendio poi sedato dall’intervento di due grossi mezzi dei vigili del fuoco. Non si conosce invece la sorte degli “ospiti” del centro di Pian del lago, che tra pochi giorni avrebbe comunque chiuso i battenti, per lavori di ristrutturazione che erano stati già appaltati. E’ del resto noto che la domenica è un giorno “particolare”, almeno per i migranti trattenuti di nazionalità tunisina, perché il lunedì ( ed il giovedì) si organizzano i voli di rimpatrio, e coloro che vengono imbarcati sugli aerei apprendono generalmente all’alba dello stesso giorno la notizia del proprio rimpatrio, anche in casi nei quali sono ancora pendenti ricorsi giurisdizionali contro l’espulsione o procedure per il riconoscimento della protezione umanitaria o internazionale. Si registrano anche casi di rimpatrio di richiedenti asilo per effetto della nuova prassi delle cd. “procedure accelerate in frontiera”, subito dopo gli sbarchi, e per l’adozione di una “lista di paesi terzi sicuri” che riduce la possibilità, per chi proviene da questi paesi, di trovare protezione in Italia.
Non vi sono ancora garanzie effettive che nel caso di rimpatri forzati effettuati verso paesi che hanno stipulato con l’Italia accordi bilaterali che prevedono procedure “semplificate”, come nel caso della Nigeria, siano effettivamente rispettati i diritti fondamentali della persona, come imporrebbe l’art. 19 del Testo Unico sull’immigrazione n.286/1998. Il Centro di permanenza per i rimpatri di Ponte Galeria è diventato uno snodo finale prima dell’imbarco da Roma.
Quanto continua a verificarsi all’interno dei centri di detenzione italiani , e da ultimo i fatti di Pian del lago a Caltanissetta, dimostrano una totale continuità nell’azione dei vertici del Viminale nella gestione del sistema dei rimpatri con accompagnamento forzato e dei centri di permanenza per i rimpatri (CPR) in particolare. Se è fallito il piano originario proposto dall’ex ministro dell’interno Minniti, che voleva aprire dieci nuovi CPR, si assiste al continuo peggioramento delle condizioni di trattenimento, tanto in quelli esistenti da tempo, quanto in quelli di più recente apertura o riconversione, come a Macomer, in Sardegna, di Gorizia in Friuli e di Trapani Milo in Sicilia.
Occorre intensificare le visite nei CPR del Garante nazionale per le persone private della libertà personale e restituire alle organizzazioni non governative, ed alle campagne come LasciateCientrare, la possibilità di svolgere attività di monitoraggio periodico per verificare che i diritti fondamentali delle persone trattenute non siano indebitamente negati, e che i rapporti di appalto siano conformi alle prescrizioni di legge ed ai capitolati predisposti dal ministero dell’interno.
Si tratta di verificare la conformità delle prassi attualmente applicate nella gestione dei CPR rispetto alle garanzie costituzionali (in particolare gli articoli 13, 24 e 32 Cost.) accordate a qualunque straniero presente in Italia, anche se si trova in condizione irregolare, come prescrive l’art. 2 del Testo Unico sull’immigrazione n.286/1998. Occorre ricostruire una rete sul territorio che possa verificare l’attuazione effettiva dei diritti di difesa ed il rispetto delle garanzie procedurali accordate agli “ospiti” dei CPR,
Occorre poi verificare la compatibilità delle modalità di trattenimento amministrativo in Italia con la direttiva europea 2008/115/CE ( Direttiva rimpatri) e con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che richiama il divieto di trattamenti inumani o degradanti ( art. 4) già previsto dall’art. 3 della Convenzione Europea a salvaguarda dei diritti dell’Uomo.
Ribadiamo infine l’urgenza dell’abrogazione delle norme criminogene del “decreto sicurezza uno”, poi convertito nella legge 132 del 2018 che prolungano i termini del trattenimento amministrativo, lo estendono anche ai richiedenti asilo e cancellano la protezione umanitaria. Norme e prassi conseguenti che, se non interverrà una abrogazione da parte del Parlamento, occorrerà portare all’esame della Corte Costituzionale e degli organi della giustizia europea ed internazionale.
Fulvio Vassallo Paleologo
da Associazione Diritti e Frontiere – ADIF
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paoloxl · 4 years
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Da diversi anni si discute sull’apertura di un centro di detenzione per il rimpatrio in Sardegna, da quando il cd. decreto Minniti-Orlando (D.l. 13/2017) aveva previsto di istituirne uno in ogni Regione.
Dopo le false partenze annunciate negli ultimi mesi, lunedì 20 gennaio 2020 è prevista l’apertura ufficiale del Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) a Macomer, il nono in Italia (otto sono già operativi, il decimo è in progetto di apertura a Milano).
In Sardegna l’apertura del Cpr ha trovato il pieno consenso politico degli amministratori regionali e locali coinvolti, presentato come strumento di deterrenza per lo sviluppo della rotta Algeria-Sardegna, attraverso la quale per lo più algerini, ma anche tunisini e libici, salpano dalla zona di Annaba per giungere sulle coste sud-occidentali dell’isola a bordo di piccole imbarcazioni.
A sostegno di tale tesi ha giocato la narrazione mediatica puntualmente orientata alla costruzione di una “emergenza sbarchi”. Sebbene dall’inizio del 2020 siano già arrivate 172 persone dall’Algeria, gli sbarchi del 2019 (circa 750) erano già in forte calo dal 2017, quando arrivarono in Sardegna quasi 2 mila persone. L’isola non è la destinazione finale per la maggior parte di loro, ma è territorio di transito, dato che vi rimangono giusto il tempo di ricevere il decreto di espulsione con accompagnamento al porto per lasciare il territorio (il cd. foglio di via). Negli anni, solo alcuni di loro sono stati trasferiti in Centri per il rimpatrio già attivi. Ma da oggi tale procedura potrebbe divenire la nuova prassi, e non solo per chi dall’Algeria giunge irregolarmente nell’isola, ma per tutti coloro che per vari motivi si trovano in condizioni di non poter rinnovare il proprio permesso di soggiorno senza aver commesso alcun reato (fattispecie molto comune ormai dopo l’entrare in vigore del primo decreto sicurezza che ha impedito il rinnovo di numerose tipologie di permesso di soggiorno) o chi, dopo avere già scontato un periodo di reclusione sarà nuovamente privato della libertà per essere identificato in vista del rimpatrio.
La struttura individuata a Macomer per essere adibita a Cpr è un ex carcere, chiuso perché non possedeva neppure i requisiti minimi previsti dalla legge per la detenzione, ma ora, dopo una prima fase di ristrutturazione sarà destinato a trattenere 50 persone e si giungerà a 100 alla conclusione dei lavori. La notizia dell’imminente apertura del Cpr è stata accompagnata dalle dichiarazioni degli amministratori locali che l’hanno accolta con favore, considerandola come occasione di sviluppo per il territorio, aggrappandosi ai pochi posti di lavoro derivanti dai servizi di cui avranno necessità le persone trattenute nel Centro e nelle possibili ricadute positive per l’arrivo delle forze dell’ordine.
Per il territorio del Marghine si tratta dell’ennesima servitù dello Stato italiano che lascia briciole nella ex zona industriale del centro Sardegna. Briciole per sfamare pochi lavoratori il cui scopo è quello di trattenere in prigione altri disperati senza un documento di soggiorno ma che combattono la stessa guerra per i diritti, la dignità e il lavoro.
Il sistema di affidamento a privati della gestione dei Centri di detenzione amministrativa per stranieri comporta il prevalere delle logiche di mercato, traducendosi nella riduzione della qualità dei servizi erogati e nella frequente violazione del rispetto dei diritti fondamentali delle persone ristrette.
In questo caso è stata la società Ors Italia, filiale del Gruppo Ors che gestisce centri per migranti in Svizzera, Austria e Germania ad aggiudicarsi l’affidamento per la gestione del Cpr di Macomer. Pare che la decisione di espandere le attività in Italia derivino dalla imminente inversione di rotta del governo austriaco che ha annunciato la chiusura del sistema degli appalti privati. La società è stata, inoltre, al centro di polemiche sulla mala accoglienza di un megacentro austriaco (gestito secondo il modello delle carceri private statunitensi: taglio dei costi e massimizzazione del profitto) ed è stata oggetto di un’inchiesta giornalistica sull’intreccio globale di politica e finanza che si cela dietro il gruppo Ors e la filiale Italiana.
Quindi, se per gli amministratori locali l’obiettivo dell’apertura del Cpr è il risveglio economico del territorio, attenzione! Perché la realtà sarà ben diversa. Infatti, queste strutture rappresentano notoriamente un pesante costo sociale ed economico per le collettività e di sofferenza per chi vi è trattenuto. Inoltre, i rappresentati della comunità macomerese dovrebbero porre l’attenzione non solo sulla sicurezza dei propri concittadini, rassicurandoli sulla natura carceraria del nuovo centro, che, quindi, manterrà in stato di reclusione le persone che vi saranno rinchiuse, ma dovrebbero invece essere consapevoli di quanto accade all’interno dei Cpr, delle continue violazioni di diritti segnalate e accertate anche dai monitoraggi istituzionali e ritenersi responsabili per quanto accadrà nel centro che hanno accettato di attivare nel proprio territorio.
A riprova dei danni prodotti ai territori, ricordiamo che la Presidenza del Consiglio e il Ministero dell’interno sono stati condannati per avere danneggiato l’immagine della città di Bari a causa dei “trattamenti inumani e degradanti praticati in danno dei detenuti” nel Cie (ora Cpr) di Bari e per essere rimasti inerti di fronte alle numerose segnalazioni di verifica sulle le condizioni in cui versavano le persone trattenute nel Centro, considerato non idoneo all’assistenza dello straniero e alla piena tutela della sua dignità in quanto essere umano. “Il danno all’immagine si giustifica alla luce di quella che è una normale identificazione, storicamente provata, tra luoghi ove si perpetrano violazioni dei diritti della persona e il territorio che li ospita” (Tribunale di Bari, sentenza n. 4089 del 10 agosto 2017).
Nei Cpr i cittadini stranieri irregolarmente presenti sul territorio sono reclusi in attesa dell’espulsione, misura che dovrebbe essere una eccezione, ma che invece si è trasformata in regola, tanto che da oltre 20 anni questi centri sono luoghi di privazione della libertà in cui vengono perpetrati soprusi, violenza fisica e psicologica.
Dall’apertura dei CPT (Centri di permanenza temporanea), creati dalla Legge Turco-Napolitano nel 1998, non si sono fatti passi in avanti. Tali centri hanno cambiato nome, passando da Cpt a Cie a Cpr, ma la sostanza non è cambiata. Le condizioni del trattenimento continuano a essere inumane e la loro funzione resta comunque fallimentare, visto che meno della metà delle persone trattenute sono effettivamente rimpatriate, il 43% nel 2018. Dato che conferma l’inopportunità di mantenere aperte tali strutture anche dal punto di vista dei costi economici oltre che sociali.
La Campagna LasciateCIEntrare riceve costantemente richieste di aiuto dalle persone recluse nei Cpr operativi: Torino, Palazzo San Gervasio (Potenza), Brindisi-Restinco, Bari, Trapani, Ponte Galeria (Roma), Caltanissetta, Trapani e Gradisca d’Isonzo (Gorizia), riaperto da circa une mese. Vengono segnalate violenze, abusi, trattenimento in isolamento, negazione di varie forme di assistenza, anche sanitaria e del diritto alla difesa. Alle ripetute richieste di accesso della società civile sono seguiti altrettanti rifiuti, tanto è vero che ormai è praticamente impossibile far accedere giornalisti e attivisti per accertare le condizioni all’interno de centri. La situazione è costantemente critica.
Il 18 gennaio a Gradisca d’Isonzo si verifica l’ennesima morte. Un giovane georgiano muore in seguito al pestaggio delle forze dell’ordine avvenuto all’interno del Centro, secondo quanto riportato dai compagni del centro. Una settimana prima a Caltanissetta, a Pian del Lago, si è verificata la prima morte di Cpr del 2020. Aymed, tunisino di 34 anni, trattenuto da oltre 9 mesi, è deceduto “di cause naturali” secondo il medico legale, ma secondo quanto raccontato dai testimoni, invece, Aymed non avrebbe ricevuto cure adeguate. Alla sua morte è inevitabilmente esplosa la rabbia dei compagni reclusi, fino a causare l’incendio di buona parte del centro.
Ma già in precedenza erano state segnalate le condizioni inumane in cui versava la struttura.
Il 2020 si era già aperto con le rivolte nei Cpr di Milo (Trapani) e di Torino, tentativi disperati di lotta per la libertà e per far giungere all’esterno la voce dei trattenuti.
Rabbia, rivolte, fiamme, disperazione, atti di autolesionismo, tentativi di suicidio, scioperi della fame, violenze subite e perpetrate contro sé stessi e contro l’ambiente circostante. Questa è la condizione di vita permanente all’interno dei Cpr.
Dal Cpr di Torino le proteste e gli atti di autolesionismo proseguono dallo scorso luglio dopo la morte di Faisal, trentaduenne bengalese, ma non si tratta della prima morte avvenuta nel centro in vent’anni di attività. Più volte ne è stata chiesta la chiusura.
Le carenze strutturali dei centri nonché il raddoppio dei termini di trattenimento amministrativo (ora 180 giorni) previsto dal Decreto sicurezza 1 (L. 132/2018) e l’impossibilità di un trattamento dignitoso contribuiscono a elevare i livelli di tensione, alimentando lo scoppio di proteste, puntualmente represse pesantemente dalle forze dell’ordine, cui segue ciclicamente l’inagibilità di alcune aree e, come spesso accade, se va bene, si viene trasferiti in centri di altre città, se va male, si continua a vivere nella stessa struttura stipati nelle aree “rimaste agibili”, rendendo ancora più precarie le condizioni del trattenimento. Situazione che accomuna i diversi centri.
Le varie forme di protesta si susseguono ininterrottamente in tutti i Cpr, da Torino a Caltanissetta, da Bari, a Trapani, Gradisca, Brindisi, Ponte Galeria. Anche se salgono alla ribalta mediatica solo sporadicamente, si tratta di una condizione permanente. Centinaia i casi di autolesionismo, diversi i morti, quotidiane le violenze. Non sono eventi isolati.
Sulle numerose testimonianze degli abusi viene tempestivamente inviata documentazione dettagliata al Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà, che nei suoi rapporti ha segnalato le diverse criticità per lo più rimaste inascoltate.
Nel corso degli anni, lo stesso Garante ha rilevato la situazione indegna in cui si vive nei Cpr, nei quali non sono garantite neanche le condizioni di vivibilità e del rispetto dei diritti delle strutture di tipo penitenziario “classico”.
Il decreto legge 13/2017, che ha allargato la rete dei Centri per il rimpatrio prevedendo l’apertura di un Cpr in ogni regione, ne ha delineato, sulla carta, la nuova configurazione di luoghi in cui garantire il rispetto della dignità umana, ribadendo anche il ruolo di verifica del Garante − a tal proposito, in vista dell’apertura del Cpr a Macomer è importante ricordare che il Consiglio Regionale della Sardegna non ha ancora provveduto a nominare il Garante regionale, nonostante sia previsto dalla legge regionale n. 7 del 2011. Ma come ha rilevato il Garante nazionale in seguito alle visite effettuate nei Cpr, l’impegno per il rispetto dei diritti fondamentali degli individui è rimasto solo dichiarazione di principio al quale “non è seguito un reale miglioramento delle condizioni di vivibilità e/o una diversa impostazione organizzativa delle strutture”. Il Garante ha anche evidenziato che il Ministero dell’Interno non ha mostrato alcuna attenzione alle criticità rilevate nei rapporti e alle raccomandazioni formulate per il loro superamento.
Alcuni dei nodi critici segnalati dal Garante tuttora persistenti riguardano “le scadenti condizioni materiali e igieniche delle strutture, assenza di attività, mancata apertura dei Centri alla società civile organizzata, scarsa trasparenza a partire dalla mancanza di un sistema di registrazione degli eventi critici e delle loro modalità di gestione, non considerazione delle differenti posizioni giuridiche delle persone trattenute e delle diverse esigenze e vulnerabilità individuali, difficoltà nell’accesso all’informazione, assenza di una procedura di reclamo per far valere violazioni dei diritti o rappresentare istanze” (Garante nazionale, Relazione al Parlamento 2019).
Appare chiaro come, dopo oltre 20 anni di esperienza, il sistema della detenzione amministrativa per i migranti non funzioni. È di fatto un sistema irriformabile e rappresenta il fallimento di una politica migratoria totalmente sbilanciata nell’ambito securitario, incapace di gestire gli ingressi e le presenze di cittadini stranieri nel territorio italiano ed europeo nel rispetto dei diritti fondamentali che dovrebbero essere garantiti a ciascun individuo.
Nessun altro Cpr deve vedere la luce. Tutti i Cpr devono chiudere definitivamente.
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