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#Miti Siciliani
sofysta · 1 year
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I Giorni della Merla nascono da un mito "siciliano"
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Con l’inizio di gennaio, hanno avvio i giorni bui e freddi che seguono le feste di fine d’anno, che culmineranno al termine del mese con le famose giornate della Merla, tradizionalmente considerate le più rigide dell’anno.
La versione più comune della storia popolare (e moderna) del mito dei Giorni della Merla vuole che il mese di gennaio, che inizialmente aveva 28 giorni, facesse degli scherzi ad un merlo, che per non patire il freddo decise di non lasciare il nido per quei giorni. Così il malefico gennaio introdusse altri tre giorni, i cosiddetti “giorni della merla" (29, 30 e 31), per poter scatenare la sua ira contro il povero animale affamato. Il merlo così cercò riparo e cibo in un comignolo per quei giorni suppletivi, facendo variare il colore del suo piumaggio, che da bianco era diventato nerastro per via della cenere.
Questa versione però deriva come detto da una storia molto più antica, che proviene proprio dalla nostra regione.
Il mito di Proserpina, molto vivido in Sicilia per il culto presente nella provincia di Enna fino alla diffusione del Cristianesimo (l’ingresso agli Inferi era nei pressi del Lago di Pergusa), vuole che a seguito del patto matrimoniale che la dea ha avuto con suo marito Ade, lei potesse passare metà dell’anno con sua madre Demetra, divinità dell’agricoltura e della natura.
Demetra infatti possedeva un attaccamento materno molto forte nei confronti della figlia, che la spingeva a disperarsi e deprimersi quando ella era lontana da lei.
Le conseguenze di questa disperazione erano visibili a tutti. Demetra trascurava per il dolore così tanto i suoi compiti divini che l’inverno si diffondeva in tutto il globo, condannando chiunque alla fame e al deperimento. Proprio per aiutare la madre e scongiurare che questa condannasse il creato al gelo, Persefone con il permesso di suo marito aveva accettato il consiglio di Zeus di trasferirsi ogni anno per sei mesi da Demetra, favorendo così il rifiorire delle piante e l’innalzamento delle temperature.
Questo viaggio verso la casa materna era però preceduta dall’arrivo di un messaggero alato, che avvisava la madre dell’arrivo della figlia e che non aveva problemi di spostarsi né durante la brutta né durante la cattiva stagione: il merlo.
Se nei giorni in cui il merlo usciva dal nido per compiere il suo dovere le temperature erano miti, l’animale indicava che l'inverno sarebbe durato a lungo, perché Persefone l’anno precedente si era attardata nel ritornare nell’Ade e nel nuovo anno sarebbe giunta dopo da sua madre.
Se invece le giornate erano invece veramente molto fredde, l'inverno sarebbe stato breve, perché Demetra avrebbe preteso presto la figlia, essendo in scadenza i sei mesi di convivenza fra lei e suo marito.
Il merlo così, da animale privo di importanza e di significato, divenne così forse il più importante messaggero divino dopo Hermes e il popolo greco-romano confidava nel suo comportamento per comprendere o meno se la Primavera sarebbe stata bella e vicina.
Tale mito trarrebbe ovviamente origine da una naturale capacità della specie e di molti altri uccelli stanziali di percepire, nel periodo antecedente la stagione degli amori, i segnali dell’arrivo del bel tempo.
Dovendosi infatti preparare per la nidificazione, il loro orologio biologico si sarebbe adattato proprio per carpire questi segnali, in previsione del corteggiamento e dell’organizzazione generale che precede la messa al mondo dei pulcini.
Il culto di Demetra decadde con l’inizio del Medioevo, ma il rispetto che il folklore popolare poneva nei confronti di questi uccelli rimase, finché nacquero nuove storie e il merlo divenne il vero ed unico protagonista della vicenda, che si diffuse in tutta Italia a partire proprio dalla Sicilia.
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lamilanomagazine · 1 year
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Siracusa, arriva la collettiva d’arte “Sicilia. Miti ed eroi” a Palazzo Montalto
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Siracusa, arriva la collettiva d’arte “Sicilia. Miti ed eroi” a Palazzo Montalto.   Dopo un periodo di chiusura, Palazzo Montalto torna a ospitare un evento culturale. Si tratta della collettiva d’arte “Sicilia. Miti ed eroi” che aprirà i battenti mercoledì 21 dicembre alle 19 per chiudersi dopo tre mesi, il 16 marzo. L’esposizione è stata organizzata dall’Associazione Maestranza Ortigia e si avvale della patrocinio del Comune attraverso l’assessorato alla Cultura retto da Fabio Granata. La sale di quello che è un esempio di architettura catalana in Ortigia accoglieranno le opere di dodici artisti, siciliani per nascita e appartenenti a diverse generazioni: Gianluigi Benanti, Calusca, Andrea Chisesi, Inokis-Esi, Paolo Greco, Giacomo Lo Verso, Giovanni Lo Verso, Beppe Madaudo, Enzo Patti, Lela Pupillo, Filippa Santangelo, Claudio Schifano e Gaetano Tranchino. Si sono ispirati al mito, “un tema fortemente identitario – si legge nelle note delle curatrici della mostra, Federica Bordone e Ornella Fazzina – che diventa occasione per evocare temi attuali”. “Il progetto, che nasce in collaborazione con alcuni importanti operatori artistici e culturali, offre – dice l’assessore Granata – un percorso raffinato e autorevole nella cornice del piccolo e bellissimo Palazzo Montalto, proprio nel cuore della nostra Città d’Acqua e di Luce, che rappresenta una testimonianza architettonica importantissima della stagione catalana. Al 1292 risale la prima Camera che include anche Siracusa quale dotario delle regine e, in particolare, a partire dal 1470, Isabella di Castiglia lega il suo nome al governo della città. Gli usi catalani si impongono e negli anni tra il 1420 e il 1536 Siracusa assume l’ambito titolo di capitale della Camera Reginale. Mentre altrove in Italia si diffonde il Rinascimento, da noi fiorisce lo stile ‘Gotico mediterraneo’. Ecco allora la forte suggestione di tornare a valorizzare una testimonianza architettonica di quella felice stagione, attraverso il linguaggio dell’arte contemporanea”. Nel corso dell’evento sono previste iniziative collaterali: laboratori, presentazione di libri, spettacoli e conferenze. Inoltre è in fase di organizzazione un premio d’arte diviso per sezioni (mar Mediterraneo, Terra mia, Ambiente, Arte come denuncia sociale e Teatro antico) dal quale nascerà una collettiva da tenersi nel corso del prossimo anno.  ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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sciatu · 3 years
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Le ruote colorate, scolpite e fiorite dei carreti siciliani
Io sono come queste ruote di carro siciliano, colorate del rosso del sangue della storia, con le facce dei suoi re e dei cavalieri, le sirene, i miti, gli dei e le perdute storie, rosse come la lava che nella notte crea valli e monti e brucia con il suo alito infernale tutto quello che incontra. Rosse come le distese di fiori a primavera che dai monti scendono e coprono i tondi colli fino alle distese di rosse arance e luminosi limoni, così io sono. Rosse ruote come il sangue dei tonni a mare nelle mattanze infinite o come il sangue degli innocenti a dissetare e nutrire la terra riarsa a benedire le pareti delle case. Ruote rosse come paramenti delle chiese, i gonfaloni delle feste i fuochi d’artificio che brillano nella notte, i fiori dell’estate, il cuore degli amanti, tutto questo sono le rosse ruote dei carretti che affrontano le strade disastrate dell’isola e come esse io sono, vagabondo d’amore nelle braccia della mia terra, principe e schiavo di questo suo eterno, infinito rosso.
I am like these Sicilian carts wheels, colored in the red like the blood of history, with the faces of its kings and knights, the sirens, the myths, the gods and the lost stories, red like the lava that creates valleys and  mounts and burns with his infernal breath everything it meets. Red like the expanses of flowers in spring that descend from the mountains and cover the round hills to the expanses of red oranges and bright lemons, so I am. Red wheels like the blood of tuna at sea in the endless slaughter or like the blood of the innocent to quench the thirst and feed the parched earth to bless the walls of the houses. Red wheels as church vestments, party banners, fireworks that shine in the night, summer flowers, the hearts of lovers, all this are the red wheels of the carts that tackle the wrecked streets of the island and like them I am, a vagabond of love in the arms of my land, prince and slave of this eternal, infinite red of yours.
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pedrop61 · 4 years
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IL GATTOPARDO
Giuseppe Tomasi di Lampedusa nasce a Palermo il 23 dicembre 1896. Una Palermo dove si incontravano i Florio, i Bordonaro, gli imprenditori inglesi del marsala Whitaker, gli ultimi baroni che avevano acquistato i feudi ecclesiastici dopo la secolarizzzazione del 1866 e realizzavano l’espansione edilizia lungo l’asse della via Libertà. La Palermo dei Lanza di Trabia, degli Alliata di Villafranca, dei Ventimiglia di Belmonte, tutti nobili proprietari di meravigliosi palazzi simili ai castelli della bella addormentata, un mondo incantato dal quale Giuseppe Tomasi non si sarebbe più staccato, un mondo condannato ad essere superato dalla volgarità dei tempi nuovi.
Consegue la maturità classica nel 1914 e l’anno dopo viene chiamato alle armi. Nel settembre 1917 viene inviato sull’altopiano di Asiago. Due mesi dopo viene fatto prigioniero. Nel 1918 evade, dopo un tentativo fallito, dal campo di prigionia Szombathely in Ungheria e nel novembre ritorna a Palermo.
Iscritto alla facoltà di legge prima a Palermo, poi a Genova, darà soltanto l’esame di diritto costituzionale. Tra il 1920 e il 30 viaggia per mezza Europa e nel 1932 si sposa con Licy Wolff Stomersee a Riga, in una chiesa ortodossa. La coppia si stabilisce a Palermo a palazzo Lampedusa. Nel 1934 muore suo padre e lui diviene principe di Lampedusa. Nel 1942, a causa dei bombardamenti su Palermo, si trasferisce nella villa dei suoi parenti Piccolo a Capo d’Orlando.
Nel 1957, tramite il libraio editore Flaccovio, “Il Gattopardo” viene inviato a Vittorini, direttore della collana I Gettoni della Einaudi. Una copia del romanzo viene consegnata ad Elena Croce. Il 23 luglio 1957 lo scrittore muore a causa di un carcinoma. La salma viene inumata a Palermo al cimitero dei Cappuccini. L’11 novembre 1958 il romanzo viene pubblicato da Feltrinelli a cura di Giorgio Bassani. Nel 1959 vince il Premio Strega.
Romanzo di rara bellezza, un autentico gioiello di cultura, saggezza, tristezza, consapevolezza, nostalgia di un mondo perduto. Come tutto ciò che è grande, sommo, alto, non viene compreso da molti e ancora oggi viene citato a sproposito da pessimi giornalisti e da pseudo politici da strapazzo.
“il peccato che noi Siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di “fare”. […] il sonno è ciò che i Siciliani vogliono… da quando il vostro Garibaldi ha posto piede a Marsala, troppe cose sono state fatte senza consultarci perché adesso si possa chiedere a un membro della vecchia classe dirigente di svilupparle e portarle a compimento […] ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagaglio… questo paesaggio che ignora le vie di mezzo fra la mollezza lasciva e l’asprezza dannata; […] questo clima che ci infligge sei mesi di febbre a quaranta gradi; […] questa nostra estate lunga e tetra quanto l’inverno russo e contro la quale si lotta con minor successo…”
Non è un semplice romanzo storico ma casomai antistorico dove non si respira l’ottimismo di una concezione storicista e teleologica ma, al contrario, spicca la dolorosa consapevolezza che la storia degli uomini non procede verso il compimento delle magnifiche sorti e progressive. Si dice in modo chiaro e netto che il diritto alla felicità è una solenne sciocchezza. L’esistenza è durissima e la natura umana e gli uomini sono gettati in un mondo di inaudita violenza. Soltanto le arti e la conoscenza possono mitigare il dolore ma l’esito è comunque terribile: più comprendi e più resti isolato. L’influenza di Stendhal è molto forte, la delusione esistenziale e la consapevolezza del fallimento e dello scacco permeano tutto il romanzo.
In questa visione il Risorgimento diventa una rumorosa e romantica commedia e la Sicilia, resta una categoria astratta, immutabile metafisica. Il fluire del tempo, la decadenza e la morte (Marcel Proust e Thomas Mann) vengono esemplificati nella morte di una classe, quella nobiliare dei Gattopardi che viene sostituita dalla scaltra borghesia senza scrupoli dei Sedara, ma che permea di sé tutta l’opera: la descrizione del ballo, la morte di don Fabrizio, la polvere del tempo che si accumula sulle sue tre figlie e sui loro beni.
Un romanzo sicuramente decadente e struggente dove il vero protagonista è la nostalgia. Non mi stupisce che Vittorini non lo abbia compreso. Ancora oggi non viene compreso da quanti, assecondando logori luoghi comuni, lo interpretano esclusivamente in chiave politica.
Non è un caso che un grande intellettuale fin de race come Luchino Visconti ne abbia afferrato lo spirito traducendolo, caso raro di grande film tratto da grande libro, in un film sontuoso e affascinante.
Scandito dalla musica di Nino Rota il lavoro di Visconti offre quadri e dialoghi di rara suggestione. Don Fabrizio, il principe Salina, è un Bart Lancaster strepitoso affiancato dal nipote Tancredi (un giovanissimo e stupendo Alain Delon), da Angelica, di nome e di fatto (meravigliosa Claudia Cardinale) e da attori di consumata esperienza e bravura quali Paolo Stoppa (Calogero Sedara), Rina Morelli e Serge Reggiani.
Alcune citazioni da Tomasi di Lampedusa:
Io penso spesso alla morte. Vedi, l’idea non mi spaventa certo. Voi giovani queste cose non le potete capire, perché per voi la morte non esiste, è qualcosa ad uso degli altri.”[… ] In Sicilia non importa far male o far bene: il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di ‘fare’. Siamo vecchi, Chevalley, vecchissimi. Sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori, nessuna germogliata da noi stessi, nessuna a cui noi abbiamo dato il ‘la’; noi siamo dei bianchi quanto lo è lei Chevalley, e quanto la regina d’Inghilterra; eppure da duemilacinquecento anni siamo colonia. Non lo dico per lagnarmi: è colpa nostra. Ma siamo stanchi e svuotati lo stesso.”
“Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali; e, sia detto fra noi, ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagaglio. Tutte le manifestazioni siciliane sono manifestazioni oniriche, anche le più violente la nostra sensualità è desiderio di oblio, le schioppettate e le coltellate nostre, desiderio di morte; desiderio di immobilità voluttuosa, cioè ancora di morte, la nostra pigrizia, i nostri sorbetti di scorsonera o di cannella; il nostro aspetto meditativo è quello del nulla che volesse scrutare gli enigmi del nirvana. Da ciò proviene il prepotere da noi di certe persone, di coloro che sono semidesti; da questo il famoso ritardo di un secolo delle manifestazioni artistiche ed intellettuali siciliane le novità ci attraggono soltanto quando sono defunte, incapaci di dar luogo a correnti vitali; da ciò l’incredibile fenomeno della formazione attuale di miti che sarebbero venerabili se fossero antichi sul serio, ma che non sono altro che sinistri tentativi di rituffarsi in un passato che ci attrae soltanto perché è morto.”
Ho letto il romanzo la prima volta a 18 anni e ne sono rimasto affascinato al punto che esso ha permeato la mia vita nel bene e nel male. Ogni tanto lo rileggo e ne cavo fuori insegnamenti e riflessioni. Il Principe Salina, inconsapevolmente, è stato il mio modello (alla sua aristocrazia per nascita che mi interessa ben poco, ho tentato di sostituire l’unica forma di aristocrazia che mi convince, quella culturale ed educativa) e sino a quando mi sono attenuto ai suoi insegnamenti stoici e sensati ho vissuto con dignità, onore e, perché no, momenti di felicità. Posso essere accusato di non aver fiducia nelle umane sorti e progressive ma questo non mi ha impedito di aiutare chiunque abbia incontrato nella mia vita. Anche io ho pensato per lunghi anni di poter migliorare il mondo aiutando gli altri e l’ho fatto insegnando e col mestiere di professore e preside. Malgrado tutto continuo a pensare che l’insegnamento, la scuola seria e per tutti siano l’unica forma di crescita per un popolo. La cultura non elimina la sofferenza esistenziale ma ci consente di soffrire ad un livello più alto e di provare solidarietà leopardiana per il dolore altrui.
“Noi fummo i Gattopardi, i Leoni: chi ci sostituirà saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti, gattopardi, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra.”
J.V.
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lanimadellamosca · 4 years
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Orestiade
L’anno deve essere il 1965, il luogo Siracusa, zona nord, verso Priolo, contrada Santa Panagia. I due casermoni sullo sfondo sono una novità, difatti per essere case popolari appaiono in ottimo stato, mentre i campi in primo piano sono ancora ben tenuti, e persino il muretto in pietra è perfettamente intatto, non una pietra fuori posto.
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Ma non facciamoci ingannare dal panorama agreste: di lì a qualche anno i casermoni avrebbero subito un rapidissimo degrado ed al posto dei campi sarebbe stato un fiorire di palazzi, secondo un inesistente piano urbanistico. Tutto in omaggio al polo chimico che si andava sviluppando tra Priolo ed Augusta, che noi dei dintorni riassumevamo sotto un’unica sigla onnicomprensiva, SINCAT, acronimo di Società Industriale Catanese, un marchingegno giuridico che aveva permesso alla Edison di finanziare un suo stabilimento con soldi del contribuente affluiti alla Cassa per il Mezzogiorno, che doveva servire a finanziare l’imprenditoria locale ed invece fu un bel carrozzone democristiano.
La fotografia ha dedica e firma, Oreste. È senz’altro stata dedicata a Lidia, nel suo secondo anno di ragioneria a Siracusa, da parte di un compagno di scuola. Mi pare di ricordare che lei ne subisse il fascino, ma non ricordo nient’altro: Oreste è solo una foto con dedica in uno scorcio di Siracusa di inizio boom petrolchimico.
Oreste era un nome abbastanza comune a Siracusa, rimanda a Oreste figlio di Agamennone che ne vendicò la morte uccidendo la madre e il suo amante Egisto usurpatore del trono, e logicamente alla Orestiade di Eschilo. Erano tempi in cui i nomi non si prendevano dalle trasmissioni televisive, dai film e dalle telenovelle, ma dalla tradizione, da quel recipiente di nomi di famiglia a cui si attingeva per tenere viva la memoria di nonni e bisnonni. Il nome Oreste, insomma, apparteneva alla cultura locale.
Erano cose così che facevano in modo che in Sicilia sud-orientale ci sentissimo un po’ Magna Grecia: il teatro greco, i templi greci, l’acquedotto di Gelone scavato da prigionieri di guerra cartaginesi, i miti collegati alla fonte Aretusa, all’Anapo e al Ciane, e più a sud, all’uscita di Noto, l’Asinaro, quello che definire fiumiciattolo è eccessivo: in periodo scolastico passavo due volte al giorno sul lungo ponte che lo traversa (a dispetto del modestissimo corso d’acqua, ha un alveo di un centinaio di metri), e pensavo che in fondo non ci voleva molto a fare in modo che quel po’ d’acqua, come narra Tucidide, si tingesse del rosso del sangue degli ateniesi sconfittivi in battaglia dai siracusani, nel 413 a.C.
Chi dice che noi siciliani non abbiamo mai digerito la spedizione dei Mille e l’Unità d’Italia dice una sciocchezza. In realtà noi non abbiamo mai digerito i Romani, che ci trasformarono in un granaio a loro esclusivo uso e consumo mentre prima eravamo un allegro porto di mare dove Fenici, Cartaginesi ed Ateniesi andavano e venivano con i loro vasi, i loro manufatti, le loro derrate agricole, il loro vino ed il loro olio; e costruivano templi e teatri, con un gusto di gran lunga più sopraffino di quei rozzi romani. Volete un esempio? Andate al teatro greco di Siracusa, mettetevi sugli scalini più alti e rivolgete lo sguardo a sud-est, verso il mare. Poi spostatevi di un paio di centinaia di metri ed andate all’anfiteatro romano. Be’… Capita la differenza tra la Magna Grecia e il nascente impero romano?
Sì.., è vero.., ogni tanto scoppiava qualche guerra, mentre i romani assicurarono una pace più che millenaria, ma fu una pace che ci fece uscire dalla storia e perdere ogni entusiasmo e ogni voglia di fare, e ci fece diventare quel che siamo, e non voglio dire qui quel che siamo. Fossimo rimasti Magna Grecia saremmo di certo diventati mercanti ed esploratori, altro che i veneziani; e ci sarebbe stato un altro Marco Polo che non si sarebbe chiamato Marco ma Oreste.  
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kxowledge · 6 years
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Il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essei odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pur per protar loro i più bei regali; e, sia detto fra noi, ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagaglio. Tutte le manifestazioni siciliane sono manifestazioni oniriche, anche le più violente: la nostra sensualità è desiderio di oblio, le schioppettate e le coltellate nostre, desiderio di morte; desiderio di immobilità voluttuosa, cioè ancora di morte, la nostra pigrizia, i nostri sorbetti di scorsonera o di cannella; il nostro aspetto meditativo è quello del nulla che voglia scrutare gli enigmi del nirvana. Da ciò proviene il prepotere da noi di certe persone, di coloro che sono semi-desti; da ciò il famoso ritardo di un secolo delle manifestazioni artistiche ed intellettuali siciliane: le novità ci attraggono soltanto quando le sentiamo defunte, incapaci di dar luogo a correnti vitali; da ciò l'incredibile fenomeno della formazione attuale, contemporanea a noi, di miti che sarebbero venerabili se fossero antichi sul seiro, ma che non sono altro che sinistri tentativi di rituffarsi in un passato che ci attrae appunto perchè è morto.
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo
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samdelpapa · 3 years
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Ecco la vera storia. Un mito a cui i siciliani non hanno mai creduto: così la letteratura ha sgretolato il mito di Garibaldi - Sicilian Post Esiste un momento, nella vita di ogni curioso lettore che non si accontenta delle verità di comodo, in cui la storia – quella tramandata da un certo genere di scuola in maniera quasi dogmatica – mostra il suo lato oscuro. Le sue falle, le sue contraddizioni, le sue chirurgiche omissioni. Cresciute con miti imperituri, epopee e certezze granitiche, sempre più spesso le generazioni contemporanee hanno imparato che dietro le quinte del passato, dei grandi eventi collettivi e delle imprese individuali, si cela una complessità con cui, talvolta, è difficile fare i conti. È il caso, ad esempio, delle frequenti mistificazioni sul Medioevo, periodo buio per eccellenza sovente sminuito a vantaggio del Rinascimento, che, tuttavia, a dispetto della fioritura artistica senza precedenti, non si distinse certo per la mancanza di episodi di sanguinaria intolleranza (basti pensare a Savonarola o alla cacciata degli Ebrei di Spagna). E che dire dell’idea condivisa a proposito delle presunte condizioni economiche disastrate del Regno delle Due Sicilie in epoca risorgimentale, sebbene sempre più studiosi sostengano che il declino sia cominciato con l’intromissione piemontese nella politica locale? E proprio al periodo unitario risale una delle questioni storiografiche di scottante attualità, vale a dire il giudizio sulla figura di Garibaldi, decaduto pilastro della nostra storia dopo essere stato a lungo esaltato come “eroe dei due mondi” e padre spirituale dell’agognata riunificazione italiana. Una questione piuttosto sentita dai siciliani, se è vero che da tempo, specialmente attraverso la letteratura, si sono impegnati a tratteggiarne un efficace controritratto. Oggi, anche per merito di questa feroce volontà isolana di puntualizzazione, le ombre e le dissonanze di quella spedizione sembrano un dato acquisito: ma quand’è che questa consapevolezza ha mosso i primi passi? Benché d’istinto saremmo portati a vedere nella novella verghiana Libertà (1883) la capostipite di tale movimento revisionista, grazie alle ricerche sempre certosine e diro https://www.instagram.com/p/CTKm_t8MzTm/?utm_medium=tumblr
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freedomtripitaly · 4 years
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Non ci sarà mai nessuno al mondo che vi parlerà male di lui o che non saprà riconoscere la sua maestosa bellezza perché, il gigante buono dal cuore ardente della Sicilia, è romanticamente presente nell’immaginario collettivo universale proprio così. Etna – Fonte iStock L’Etna è per i catanesi, ‘A Muntagna. L’unica, maestosa e bellissima montagna per antonomasia, un pezzo imprescindibile del Paese e di tutte le persone che lo abitano, fonte di vita ma anche di distruzione apparente. Collocato nel versante orientale della Sicilia, si tratta della vetta italiana più alta dopo le Alpi, nonostante il suo continuo trasformarsi, dato dalle origini vulcaniche. Verace e passionale, proprio come una bellissima donna, il vulcano accompagna questa terra da millenni e non stupisce che la letteratura nostrana abbia dedicato proprio all’Etna le sue parole più belle. Da Rapisardi a Verga, tantissimi autori hanno raccontato di quel manto di fuoco che, dirompente, sgorga dal cratere accendendo l’intero paesaggio, come pura magia. Etna in eruzione – Fonte iStock Dovrebbe spaventare, certo, ma quel cielo infuocato, per chi vive ai piedi del vulcano italiano, non è mai stato qualcosa di pericoloso, perché loro lo sanno che infondo, l’Etna li protegge e sarà per sempre così. Gli isolani hanno imparato a convivere nella dualità delle spaventose eruzioni e della protezione della montagna per eccellenza, perché l’appellativo gigante buono, consente ai catanesi di poter fare sogni sereni. Tutti gli isolani hanno conosciuto i due aspetti dell’Etna e quel suo carattere così contraddittorio ma affascinante. Brutale e spaventoso da una parte, del resto come dimenticare che ci si trova al cospetto del vulcano attivo più alto d’Europa, ma dolce e romantico dall’altra. D’altro canto l’Etna è poesia, è la montagna che veglia l’intera isola e che protegge i suoi abitanti, che ha ispirato miti e leggende che ancora oggi perdurano. Un riferimento geografico e esistenziale che rende la Sicilia e i suoi abitanti quelli che sono oggi, che consente a tutti di ritrovare sempre la strada, e se stessi, e non perdersi nell’orizzonte senza fine del mare che circonda quella terra. L’Etna è per i siciliani un pezzo di cuore e forse molto di più. Panorama che ritrae l’Etna – Fonte iStock https://ift.tt/2SshsPB Etna: ode al vulcano più attivo del Pianeta Terra Non ci sarà mai nessuno al mondo che vi parlerà male di lui o che non saprà riconoscere la sua maestosa bellezza perché, il gigante buono dal cuore ardente della Sicilia, è romanticamente presente nell’immaginario collettivo universale proprio così. Etna – Fonte iStock L’Etna è per i catanesi, ‘A Muntagna. L’unica, maestosa e bellissima montagna per antonomasia, un pezzo imprescindibile del Paese e di tutte le persone che lo abitano, fonte di vita ma anche di distruzione apparente. Collocato nel versante orientale della Sicilia, si tratta della vetta italiana più alta dopo le Alpi, nonostante il suo continuo trasformarsi, dato dalle origini vulcaniche. Verace e passionale, proprio come una bellissima donna, il vulcano accompagna questa terra da millenni e non stupisce che la letteratura nostrana abbia dedicato proprio all’Etna le sue parole più belle. Da Rapisardi a Verga, tantissimi autori hanno raccontato di quel manto di fuoco che, dirompente, sgorga dal cratere accendendo l’intero paesaggio, come pura magia. Etna in eruzione – Fonte iStock Dovrebbe spaventare, certo, ma quel cielo infuocato, per chi vive ai piedi del vulcano italiano, non è mai stato qualcosa di pericoloso, perché loro lo sanno che infondo, l’Etna li protegge e sarà per sempre così. Gli isolani hanno imparato a convivere nella dualità delle spaventose eruzioni e della protezione della montagna per eccellenza, perché l’appellativo gigante buono, consente ai catanesi di poter fare sogni sereni. Tutti gli isolani hanno conosciuto i due aspetti dell’Etna e quel suo carattere così contraddittorio ma affascinante. Brutale e spaventoso da una parte, del resto come dimenticare che ci si trova al cospetto del vulcano attivo più alto d’Europa, ma dolce e romantico dall’altra. D’altro canto l’Etna è poesia, è la montagna che veglia l’intera isola e che protegge i suoi abitanti, che ha ispirato miti e leggende che ancora oggi perdurano. Un riferimento geografico e esistenziale che rende la Sicilia e i suoi abitanti quelli che sono oggi, che consente a tutti di ritrovare sempre la strada, e se stessi, e non perdersi nell’orizzonte senza fine del mare che circonda quella terra. L’Etna è per i siciliani un pezzo di cuore e forse molto di più. Panorama che ritrae l’Etna – Fonte iStock È il vulcano più attivo della Terra ma chi vive ai suoi piedi non ne ha timore. Perché l’Etna è il gigante buono, la montagna per antonomasia. È pura poesia.
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blogitalianissimo · 7 years
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Puglia ce la vedrei a parlare perfettamente l'inglese americano (alcuni tra i maggiori miti italo- americani sono pugliesi, dal cinema alla musica, ed anche allo sport, anche se gli americani non lo sanno e si vola ad attribuirli ai posti più disparati). Inoltre, per la voce, ce la vedo con quella di Madonna (sono anni che fa vacanza in salento) con picchi di urla sovrumane stile Maria Callas (o Albano, ignoranza libera) quando si arrabbia.
Guarda non so cosa rispondere, gli emigrati pugliesi erano/sono pochini rispetto a quelli siciliani, campani e veneti (le 3 regioni che hanno sofferto più l’emigrazione pare). Per non parlare del fatto che lo stereotipo dell’italiano medio in America è praticamente quello del campano/siciliano, pizza, pasta, mandolino, credo che basti a risponderti. Sicuramente Puglia sa parlare inglese, ma se prendiamo come modello l’emigrazione italiana negli Stati Uniti… credo che molte altre regioni abbiano motivi di parlare anche più fluentemente l’inglese di Puglia. Non so se hai capito quello che intendo.
Madonna… Maria Callas… avete molte aspettative da Puglia ahaha! 
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sciatu · 4 years
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Sortino, la chiesa madre dedicata a San Giovanni Evangelista.
Per me, ogni più piccolo paesino siciliano è come un arazzo in cui la storia ha intessuto ed annodato nell’ordito della natura e dei luoghi siciliani la trama di vicende e avvenimenti creando un disegno con migliaia e migliaia piccoli fili più o meno colorati che sono le vite di migliaia e migliaia di uomini. Così quel bellissimo disegno che vedi sul davanti dell’arazzo, per quanto bello e affascinante è solo un riassunto del passato e quindi il punto d’inizio di un futuro probabile. Prendi ad esempio Sortino. Potrei dire che si arriva a Sortino lasciando Siracusa e poi attraversando l’Anapo e salendo verso uno sperone roccioso triangolare circondato da burroni, mandorli, olivi e carrubi. Già queste poche righe sono densi di fatti, persone e storia. L’Anapo ad esempio è il fiume che Quasimodo, poeta siciliano e dimenticato Premio Nobel per la poesia, cita spesso nei suoi versi quasi cardine tra la Sicilia passata dei miti greci e quella da lui vissuta nel ricordo struggente e desiderio inquieto (Alle sponde odo l'acqua colomba / Ànapo mio, nella memoria geme /al suo cordoglio/ uno stormire altissimo). Lasciando quindi il fiume si sale verso Sortino ripercorrendo, la strada percorsa dagli sconfitti Ateniesi quando cercarono di vincere Siracusa e dovettero invece fuggire su quelle alture piene di grotte profonde ed ospitali dove eterna era la mitica città nascosta di Pantalica ricordata più volte dallo scrittore Vincenzo Consolo ( ...arrivammo a Pantalica, l'antichissima Hybla, ci arrampicammo su per sentieri di capre, entrammo nelle tombe della necropoli…). Si arriva quindi al paese collocato su quello sperone triangolare che ti dicevo a dominare i profondi precipizi che lo circondano e con ancora i resti del castello dei Gaetani, nobili signori che per tredici generazioni lo dominarono facendosi ricchi e potenti con la sua ricchezza di acqua e di alberi. Ora restano poche vestigia a ricordare il terribile terremoto che seppellì  con esso i nobili signori che lo ospitavano. Di terremoti Sortino ne ha avuti diversi, compreso quello terribile del 1693 in cui venne completamente distrutto. Il paese risorse, per testardaggine degli uomini e per la ricchezza dei luoghi rinascendo non più medievale ma barocco con la chiesa madre riedificata nel nuovo stile fatto proprio dagli architetti siciliani. All’interno quadri del pittore D’Anna e affreschi del Cristadoro che affrescò anche le altre chiese della nuova Sortino. Da quel tempo il paese prosperò con alterne fortune, ricco in mandorli e carrubi che rendeva le scoscese valli ricche di fiori tanto la sagra che caratterizza Sortino è quella del miele, quasi ad indicare la ricchezza, l’operosità ed l’abbondanza di Sortino. Come vedi nel parlare di Sortino, ti ho detto della ricchezza di storie, persone ed arte da cui nasce ogni nostro paese in Sicilia e questo non per vantare, disprezzare o discriminare, ma per donare, perchè il senso di essere isolani non è nell’essere isolati, ma nell'accogliere, nel conoscere ed accettare facendolo diventare, anche chi è estraneo, parte dell’arazzo in cui noi già siamo.
For me, every smaller Sicilian village is like a tapestry in which history has woven and knotted the plot of events in the warp of nature and Sicilian places, creating a design with thousands and thousands of small threads, more or less colored which are the lives of thousands and thousands of men. So that attonishing drwa you see on the front of the tapestry, however beautiful and fascinating it is only a summary of the past and therefore the starting point of a probable future. Take Sortino as an example. I could say that you get to Sortino leaving Syracuse and then crossing the Anapo and climbing towards a triangular rocky outcrop surrounded by ravines, almond trees, olive trees and carob trees. Already these few lines are full of facts, people and history. The Anapo for example is the river that Quasimodo, Sicilian poet and forgotten Nobel Prize for poetry, often cites in his almost verses between the past Sicily of the Greek myths and that he lived in the poignant memory and restless desire (On the banks of the water where / Anapo mine, in the memory it groans / at its condolence / an high rustling). Leaving the river then you go up to Sortino going back, the road traveled by the defeated Athenians when they tried to win Syracuse and instead had to flee on those hills full of deep and hospitable caves where eternal was the mythical hidden city of Pantalica remembered several times by the writer Vincenzo Consolo (... we reached Pantalica, the ancient Hybla, we climbed up goat paths, we entered the tombs of the necropolis ...). You then arrive at the village located on that triangular spur that I was telling you to dominate the deep precipices that surround it and still with the remains of the castle of the Gaetani, noble family who for thirteen generations dominated it, becoming rich and powerful with its wealth of water and of trees. Now there are few vestiges left to remember the terrible earthquake that buried the noble lords who hosted it with it. Sortino had several earthquakes, including the terrible one of 1693 in which it was completely destroyed. The town was revived by the stubbornness of men and the richness of the places, being reborn no longer medieval but baroque with the mother church rebuilt in the new style made by Sicilian architects. Inside there are paintings by the painter D’Anna and frescoes by Cristadoro who also frescoed the other churches of the new Sortino. From that time the town prospered with mixed fortunes, rich in almond and carob trees which made the steep valleys rich in flowers so much so that the Sortino festival is dedicated to the honey, as if to indicate the wealth, industriousness and abundance of the town. As you can see in speaking of Sortino, I told you about the wealth of stories, people and art from which each of our countries in Sicily is born and this is not to boast, despise or discriminate, but to give, because the sense of being an islander is not in the to be isolated, but in welcoming, in knowing and accepting making it, even the stranger, part of the tapestry in which we already are.
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elibietti · 7 years
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La Sicilia ne “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa
“In Sicilia non importa far male o far bene: il peccato che noi Siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di ‘fare’.”
“Lei mi parlava poco fa di una giovane Sicilia che si affaccia alle meraviglie del mondo moderno; per conto mio mi sembra piuttosto una centenaria trascinata in carrozzella alla Esposizione Universale di Londra, che non comprende nulla, che s’impipa di tutto, delle acciaierie di Sheffield come delle filande di Manchester, e che agogna soltanto di ritrovare il proprio dormiveglia fra i suoi cuscini sbavati e il suo orinale sotto il letto.”
“le novità ci attraggono soltanto quando le sentiamo defunte, incapaci di dar luogo a correnti vitali; da ciò l’incredibile fenomeno della formazione attuale, contemporanea a noi, di miti che sarebbero venerabili se fossero antichi sul serio, ma che non sono altro che sinistri tentativi di rituffarsi in un passato che ci attrae appunto perché è morto.”
“Questa violenza del paesaggio, questa crudeltà del clima, questa tensione continua di ogni aspetto, questi monumenti, anche del passato, magnifici ma incomprensibili perché non edificati da noi e che ci stanno intorno come bellissimi fantasmi muti; tutti questi governi, sbarcati in armi da chissà dove, subito serviti, presto detestati e sempre incompresi, che si sono espressi soltanto con opere d’arte per noi enigmatiche e con concretissimi esattori d’imposte spese poi altrove; tutte queste cose hanno formato il carattere nostro che rimane così condizionato da fatalità esteriori oltre che da una terrificante insularità di animo.”
“Lei ha ragione in tutto; si è sbagliato soltanto quando ha detto: ‘ i Siciliani vorranno migliorare’.”
“i Siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti: la loro vanità è più forte della loro miseria; ogni intromissione di estranei sia per origine sia anche, se si tratti di Siciliani, per indipendenza di spirito, sconvolge il loro vaneggiare di raggiunta compiutezza, rischia di turbare la loro compiaciuta attesa del nulla” 
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claudioparentela · 6 years
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Per parlare dell’immaginario omosessuale, di cui nella Galleria dell’Eros si potranno ammirare due opere, realizzate in digitale da Claudio Parentela (Catanzaro), uno dei pochi artisti non siciliani che esporranno le loro opere nella Galleria dell’Eros “Piero Montana”, preferiamo volutamente non parlare di quanto su questo argomento è stato scritto nel secolo XX°. Addentrandoci qui, sia pur brevemente, nel pensiero greco di un grande filosofo come Platone e del geniale Nietzsche, che fu, come è noto, pure filologo e cultore della sapienza greca. Per parlare delle due opere di Parentela dobbiamo però accennare all’immaginario di Platone, piuttosto che alla sua filosofia, perché questa nasce dai miti, che il pensatore elabora nel nostro caso per spiegare la natura dell’attrazione dei sessi. Platone infatti nel Convivio parlando dell’uomo nel suo stato originale,” immagina”, che esso era molto potente e godeva del dono dell’immortalità, questo essere era l’Androgeno, di cui esistevano tre tipi, il primo era costituito da un uomo ed una donna, il secondo da un uomo ed un uomo, il terzo da una donna e un’alta donna. La psicanalisi moderna ha preso solo in considerazione il primo tipo, mentre il secondo ed il terzo sono stati rimossi. Da qui le paranoiche interpretazioni dell’omosessualità, che non necessita affatto d’interesse clinico, medico, psicoanalitico e psichiatrico. Essendo dal mito platonico in questione chiara l’attrazione dell’uomo per un altro uomo, che costituiva l’anima gemella di quell’unione ancestrale di due uomini, che miticamente ne costituiva l’essere integrale. Quanto a Nietzsche nel libro “Il segreto di Zarathustra” di Joachim Kohler, si narra ed interpreta in modo nuovo particolari avvenimenti della vita quotidiana del filosofo tedesco, che permettono all'autore di affermare che il vitalismo, la volontà di potenza, il dionisismo formulati dal nostro pensatore hanno profonde radici nell’eros greco che permetteva anticamente la libera espressione della pratica omosessuale. Per tornare alle due opere di Parentela che noi esporremo, l’artista fotografa volti di uomini in cui sono stampigliate in sovraimpressione scene erotiche omosessuali. Queste due opere sono molto belle perché molto poetiche ed intense nella visione solo immaginaria di corpi nudi maschili e della loro congiunzione. Ma è interessante notare lo sguardo di questi giovani, che esprimono in maniera intensa il desiderio amoroso, voluttuoso di una passione, di un amore di cui un tempo ( nell’ottocento), come scriveva Oscar Wilde, non si osava dire il suo nome.
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vvvounds · 7 years
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"Siamo pazzi sclerati ma siamo nati sani, siete voi che ci avete fatto diventare tali: pazzi proletari senza agganci monetari, fatti persi che sognano viaggi interplanetari? Da Milano, Roma, Bari siamo tutti uguali, tu leggiti i giornali e credi a tutti quanti i notiziari. Io credo alle voci del quartiere e degli amici dei poveracci pugliesi, dei negri e dei siciliani, di tutti quelli che in 'sti anni si sono avvicinati al concetto d'onestà a cui non siete abituati..."
Ora vi cito una di quelle canzoni che pure gemitaiz a momenti se scorda che esiste "senza i piedi per terra si aggrappano sui miti non è una guerra ma si contano i feriti"
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diceriadelluntore · 7 years
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Questo signore in foto non vi dirà molto. Ma è stato uno dei più grandi intellettuali italiani. Si è spento a 83 anni a Palermo il professor Antonino Butitta, uno dei più grandi antropologi culturali italiani. Bagherese (come Renato Guttuso, Ferdinando Scianna, Dacia Maraini, Giuseppe Tornatore) è stato colui che in italia ha portato i grandi autori internazionali, dagli strutturalisti francesi in giù Dei suoi libri, ricordo con affetto due titoli, bellissimi, editi tutte e due da Sellerio:  Mito fiaba rito, che racconta l’importanza della memoria nella trasmissione della cultura, e basato sui grandi racconti fiabeschi siciliani;  Dei segni e dei miti, una introduzione alla antropologia simbolica che con grande sforzo anche “politico” per sostenere che bisogna “considerare unitamente ai problemi del significato dei fenomeni studiati anche quelli del loro senso. Per senso di un fenomeno culturale è da intendere il particolare significato che esso assume in relazione al contesto di fruizione, la concreta funzione, al di là del significato interno che talora può essere addirittura opposto, da esso assolta nell'universo culturale e sociale degli individui che ne sono produttori e consumatori”.
Ciao Prof!
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italianaradio · 5 years
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PORTIGLIOLA Presentata la nuova edizione del Festival del Teatro Classico
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PORTIGLIOLA Presentata la nuova edizione del Festival del Teatro Classico
PORTIGLIOLA Presentata la nuova edizione del Festival del Teatro Classico
R. & P.
Martedì, presso la Sala Consiliare del Comune di Portigliola, è stata presentata l’edizione 2019 del Festival del Teatro Classico “Tra Miti e Storia”.
La kermesse, ideata grazie alla preziosa collaborazione di Rossella Agostino, direttore del Museo e Parco Archeologico Nazionale di Locri, che gode anche quest’anno della direzione artistica di Edoardo Siravo e Marco Silani, promette di rendere ancora una volta il Teatro Greco Romano di Portigliola il cuore pulsante della stagione teatrale estiva locridea, dando spazio a grandi nomi dello spettacolo italiano e, per la prima volta, anche a produzioni del nostro territorio.
«Questa importante novità – ha dichiarato in proposito il sindaco Rocco Luglio, – è certamente frutto del lavoro svolto con grande sacrificio negli scorsi anni, che ci permette oggi di avere un Festival dall’identità ormai ben definita, in grado di bilanciare gli spazi dedicati alle grandi compagnie con quelli riservati a chi invece ancora sta emergendo e lavora sul territorio».
Un festival che, per il regista locrese Bernardo Migliaccio Spina, «va nella giusta direzione per la promozione della cultura teatrale nel nostro comprensorio» e che, come ha invece affermato il direttore artistico Siravo, «sta ormai diventando una realtà nazionale, riscontrando un crescente apprezzamento nei migliori circuiti teatrali d’Italia».
Rilevanza nazionale che viene quest’anno confermata dalla presenza, tra i patrocini, del logo del Nuovo IMAIE, la più grande collecting che gestisce i diritti degli artisti.
È in quest’ottica di miglioramento continuo che, accanto alla messa in scena di commoventi opere del teatro antico, il Festival darà spazio quest’anno a intermezzi musicali e di sperimentazione che promettono di regalare grandi emozioni al pubblico.
Entrando nel dettaglio degli appuntamenti, dopo un’anteprima i cui dettagli saranno comunicati nei prossimi giorni, mercoledì 31 luglio si comincerà con Il povero Pluto, un libero adattamento del classico di Aristofane diretto e interpretato da Vito Cesaro per la Compagnia Assoteatro e il Teatro Sociale Aldo Giuffé, in cui la bellissima Denny Mendez interpreterà la dea Povertà.
Lunedì 5 agosto spazio alla Prima Nazionale del Doctor Faustus di Marlowe, messo in scena da Carlo Emilio Lerici, una co-produzione tra Teatro Belli di Roma e il Comune di Portigliola, che avrà per protagonista il direttore artistico Siravo e coinvolgerà anche gli attori di Locriteatro. Una collaborazione unica nel proprio genere che, nelle intenzioni del direttore artistico, contribuisce non solo a dare spazio ai nostri talenti, ma anche a progettare la realizzazione di un’opera teatrale di importanza nazionale interamente prodotta nella Locride negli anni a venire.
Domenica 11 agosto sarà dunque portata in scena la rivisitazione che Cinzia Maccagnano ha realizzato del Dyskolos di Menandro, uno spettacolo che sarà messo in scena per la prima volta al tramonto, permettendo alla scenografia naturale offerta dal Teatro Greco Romano di Portigliola di alimentare le suggestioni che la commedia sarà in grado di dare al sempre colto e sensibile pubblico.
Tornerà ad avere invece la classica collocazione in prima serata il Tommaso Campanella del locrese Antonio Tallura, pronto a deliziarci, martedì 13 agosto, con uno spettacolo totalmente prodotto nel nostro comprensorio, incentrato sulla vita del filosofo calabrese, del quale proprio quest’anno ricorre il 380º anniversario della scomparsa.
Non poteva mancare, dunque, l’appuntamento con l’ormai classico Portiglialba, che andrà in scena come di consueto la mattina di giovedì 15 agosto con una formula ispirata a quella che i teatri classici siciliani hanno varato negli scorsi anni e che, sdoganata dal Teatro Greco Romano di Portigliola, viene sempre più imitata dai teatri antichi di tutto il meridione.
Venerdì 16 agosto, quindi, il Festival porterà sul palco del Teatro Greco Romano uno spettacolo interamente ideato e realizzato dalla compagnia locale Locriteatro guidata da Migliaccio Spina. Si tratta di Lei ama me, una pièce liberamente tratta da “La signorina Papillon” di Stefano Benni.
Seguirà, venerdì 23 agosto, una toccante messa in scena dell’Elena di Euripide che, adattata e diretta da Nat J. Filice e prodotta dalla Compagnia Arciere, sarà interpretata dal co-direttore artistico Marco Silani e da Benedetta Nicoletti.
Chiuderà, martedì 27 agosto, una serata speciale condotta da Norma Martelli che godrà della collaborazione di Filippo Amoroso, durante la quale, dopo lo spettacolo Storia di un attore, il protagonista Mariano Rigillo sarà insignito del Premio Tessalo, istituito appositamente per onorare non solo grandi interpreti della scena teatrale italiana, ma professionisti che sono stati veri e propri ambasciatori della cultura classica, che tanta importanza riveste nella Locride.
Al già ricchissimo piatto di rappresentazioni teatrali, come anticipato, si aggiungeranno alcuni appuntamenti di natura musicale, come l’esibizione della Compagnia Flamenco Libre venerdì 26 luglio e quella dei Tamburellisti di Torre Padula venerdì 9 agosto, entrambi a cura dell’Associazione AMA Calabria.
Spazio anche per la sperimentazione musicale con il concerto Locrian-Japan di mercoledì 7 agosto, un evento transnazionale presentato martedì dal presidente dell’associazione di promozione sociale NOMA World Music Tommaso Marletta, che vedrà coinvolti Junko Ueda, cantante e suonatrice di Biwa (antico strumento a corda simile a un Mandolino baritono) e i musicisti della Locride Francesco Loccisano alla chitarra battente e Massimo Cusato alle percussioni, che per una settimana si confronteranno per individuare un codice musicale comune alle nostre culture da presentare al pubblico la sera del concerto.
Chiude il programma musicale, lunedì 19 agosto, Histoire du Soldat di Stravinskij, interpretata dall’orchestra dell’Accademia Musicale Senocrito con la voce narrante di Gigi Miseferi e la direzione artistica di Loredana Pelle.
Ma tante altre sono le serate in via di definizione e molti gli spettacoli che potrebbero aggiungersi al già ampio programma della manifestazione, che promette di continuare a crescere e a regalare grandi emozioni a tutti gli amanti del teatro e della cultura.
R. & P. Martedì, presso la Sala Consiliare del Comune di Portigliola, è stata presentata l’edizione 2019 del Festival del Teatro Classico “Tra Miti e Storia”. La kermesse, ideata grazie alla preziosa collaborazione di Rossella Agostino, direttore del Museo e Parco Archeologico Nazionale di Locri, che gode anche quest’anno della direzione artistica di Edoardo Siravo
Francesca Cusumano
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jamariyanews · 6 years
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Immigrazione, la grande farsa umanitaria
16 ottobre 2018
Il libro ”Immigrazione la grande farsa umanitaria” rappresenta il seguito del fortunato Immigrazione: tutto quello che dovremmo sapere”, scritto per Aracne da Gian Carlo Blangiardo, Gianandrea Gaiani e Giuseppe Valditara. Leggi la recensione Gli stessi autori integrano e aggiornano il volume del dicembre 2016 con nuovi dati, riflessioni e analisi che non risparmiano la finta “svolta” dell’Italia che ha determinato un calo nei flussi migratori illegali dalla Libia (e marginalmente da Algeria e Tunisia) rispetto all’anno dei record, il 2016, con oltre 181mila sbarcati, ma non certo la fine dei traffici illegali nè dell’accoglienza indiscriminata a chiunque paghi criminali per attraversare il Mediterraneo. L’immigrazione è una delle questioni cruciali nel mondo sviluppato. Quali sono i rischi e quali sono i vantaggi, quali i problemi che suscita e quali i falsi miti ad essa collegati? Esiste un’immigrazione positiva e una negativa e sul modello dell’antica Roma viene proposta una distinzione fra un’immigrazione utile, che va incoraggiata, e una che rischia di disintegrare le nostre società, che pertanto va contrastata. Il volume, che affronta il problema con uno sguardo alla storia, un’attenzione alla demografia e una prospettiva strategica, non si occupa solo di dati spesso allarmanti, ma anche di fornire soluzioni per governare un fenomeno che sarà sempre più decisivo per il destino delle generazioni presenti e future. Ordinalo qui Brano dal libro La lotteria dei migranti All’inizio di novembre 2017 la situazione è tuttavia nuovamente peggiorata proprio sul fronte libico: si è assistito infatti alla ripresa degli sbarchi di immigrati clandestini salpati dalla Libia con flussi provenienti in gran parte non più dalle coste vicine al confine tunisino, ma da quelle situate tra Tripoli e Misurata. Si sono così riaperti gli interrogativi circa l’efficacia delle misure adottate da Roma in accordo con il governo del premier libico riconosciuto, Fayez al-Sarraj, per contenere o “governare” i flussi dalla nostra ex colonia. Rispetto al 2016 i migranti illegali sbarcati nei primi 10 mesi del 2017 sono stati 111.397 contro 159.427, cioè il 30,1% in meno. Le partenze dalle coste della Tripolitania Occidentale puntano a eludere le motovedette della Guardia Costiera libica addestrata, equipaggiata e finanziata dalla UE, ma soprattutto dall’Italia che però non rinuncia all’ambiguità nella lotta all’immigrazione illegale. Il sostegno alle attività della Guardia costiera libica, che riporta a Tripoli i migranti illegali intercettati in mare, ha dimostrato che la “rotta libica” può essere chiusa in tempi rapidissimi se venisse mantenuta un’iniziativa coerente mentre invece gli immigrati illegali diretti in Italia si sottopongono a una vera e propria lotteria. Se vengono intercettati dalle motovedette libiche, che tra l’estate e l’ottobre 2017 hanno bloccato e riportato a terra oltre 15mila persone, sono poi condotti in centri di detenzione o in campi gestiti dall’Unhcr in attesa che l’Organizzazione internazionale delle migrazioni li rimpatri nei Paesi di origine, come sta avvenendo con il decollo regolare di voli dall’aeroporto di Mitiga a Tripoli. Se invece i clandestini riescono a superare il tratto di mare pattugliato dai libici, vengono soccorsi dalle navi militari italiane o europee, oppure da quelle delle ONG, che li portano in Italia, dove potranno chiedere asilo o far perdere le proprie tracce nella certezza quasi totale di non venire effettivamente espulsi. Logica e coerenza vorrebbero che lo stop dell’Italia ai flussi clandestini fosse totale e quindi che anche i migranti soccorsi in mare dalle navi italiane e UE venissero riconsegnati alle autorità libiche bloccando l’accesso ai porti italiani a navi straniere, militari e delle ONG, che intendano sbarcarvi clandestini. Non si comprende infatti perché Roma addestri e finanzi governo e Guardia costiera di Tripoli, affinché blocchino i flussi, quando sono le stesse navi italiane e UE a incentivare i traffici (e le morti in mare) continuando a trasferire i clandestini in Italia. Un’incongruenza che ridicolizza l’annunciata “svolta” di Roma sull’immigrazione illegale evidenziando un’ambiguità che sembra trovare una spiegazione solo negli interessi politici ed elettorali. l’accoglienza indiscriminata di chiunque abbia pagato criminali per giungere in Italia ha creato un profondo solco tra le forze del centro-sinistra e il loro elettorato. Un solco, confermato dall’esito delle elezioni amministrative parziali di giugno e da quelle regionali siciliane del novembre 2017. Anche il governo Gentiloni non sembra aver voluto bloccare definitivamente (come sarebbe agevole fare con i respingimenti in mare in cooperazione con i libici) quei flussi che consentono da anni stanziamenti pubblici miliardari a favore delle lobby del soccorso e dell’accoglienza di ONG, cooperative ed enti cattolici. Organismi strettamente legati alla politica che costituiscono un bacino di voti di grande rilevanza soprattutto per il PD. Il governo Gentiloni sembra avere quindi la doppia e antitetica esigenza di rallentare i flussi ma senza interromperli per non scontentare le diverse anime del suo elettorato. Del resto come la ragioni elettorali influiscano sulla gestione del fenomeno dell’immigrazione illegale è apparso chiaro anche nei primi giorni di novembre in cui gli sbarchi di oltre 2mila migranti illegali da navi militari italiane, tedesche, spagnole e delle ONG sono stati dirottati dai soliti porti siciliani a quelli più distanti di Salerno, Vibo Valentia, Reggio Calabria, Crotone e Taranto. Una decisone legata al concomitante voto regionale siciliano. G.Blangiardo G.Gaiani G Valdiara Immigrazione, la grande farsa umanitaria pagine:    152 formato:   14 x 21 ISBN:       978-88-255-0966-3 data pubblicazione: Dicembre 2017 editore:    Aracne Euro 13 Ordinalo qui Preso da: https://www.analisidifesa.it/2018/10/immigrazione-la-grande-farsa-umanitaria/
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