Tumgik
#Legge Pica
giuseppearagno · 4 months
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Processo al carcere
Difendendo i primi operai socialisti in un processo politico, nel 1892 Giovanni Bovio provò invano a dar voce alle loro ragioni e ad ammonire le classi dirigenti; «Per carità di voi stessi, giudici, per quel pudore che è l’ultimo custode delle società umane, non fateci dubitare della Giustizia. Noi fummo nati al lavoro, non fate noi delinquenti e voi giudici!». I tribunali però li «fecero…
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lamilanomagazine · 2 years
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Modena, Estate modenese: musica da Mogol ai Tupamaros
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Modena, Estate modenese: musica da Mogol ai Tupamaros. C'è musica per tutti i gusti nella settimana dell'Estate modenese che si apre lunedì 17 luglio: dal concerto di Mario Venuti, che apre la rassegna dei Giardini ducali, alle canzoni di Mogol, dal folk rock combattivo dei Tupamaros alla musica irlandese fino al jazz. Ma nel programma che arriva fino a giovedì 21 luglio ci sono anche gli spettacoli per grandi e piccoli del MichEstate, il cinema al parco XXII Aprile, la storia della radio al cortile del Tempio e percorsi per bambini. Lunedì 18 luglio, al cortile teatro Tempio, alle 21.00, va in scena "Studio su maschile universale", con Giuditta Pascucci e Giulia Trivero, regia di Diego Piemontese. L'iniziativa è a cura di associazione FaberArt. Martedì 19 luglio debutta alle 21.00, con il concerto di Mario Venuti, la rassegna dei Giardini d'estate ai Giardini ducali curata da Studio's in collaborazione con Fondazione di Modena ed Hera. Al parco Amendola, alle 22.00, il concerto di Dudu folk experience. Nel cortile di Ovestlab, a partire dalle 19.30, il collettivo Amigdala propone incontri e musica durante la giornata di apertura del Mercato di alimentazione ribelle. Mercoledì 20 luglio, alle 21.00, nuovo appuntamento con "MichEstate", la rassegna estiva del Teatro Michelangelo, che propone lo spettacolo di prosa "Godot", suggestiva interpretazione in chiave post apocalittica del grande classico del teatro dell'assurdo di Samuel Beckett "Aspettando Godot". In scena, con la regia di Maicol Piccinini, Francesco Degli Esposti, Michele Agatiello, Giuseppe Grisi, Marina Governatori e Riccardo Benatti. Lo spettacolo si svolge all'interno, con aria condizionata (biglietteria: [email protected]). Nel cortile del Tempio, alle 21.00, il concerto dei Tupamaros, storica band carpigiana di folk rock combattente attiva dal 1995. L'iniziativa è a cura di Associazione Tempio (biglietteria: [email protected]). Al parco XXII Aprile, sempre alle 21.00, torna il cinema con la programmazione di "Tre manifesti a Ebbing, Missouri", film drammatico con protagonista Frances McDormand nei panni di una madre che, per trovare l'assassino della figlia, comincia ad adottare metodi insoliti e, piano piano, contro la legge. La proiezione, a ingresso libero, è a cura di Happen, Voice off e Amnesty. Giovedì 7 luglio, alle 17.00, alla Palazzina dei Giardini, è in programma l'iniziativa per bambini dai 6 ai 10 anni "Piccolo grande cielo", nell'ambito del ciclo "Un percorso ad arte" promosso da Fmav. Un percorso "con il naso all'insù" che condurrà i bambini, ispirati da alcune celebri opere d'arte, in un'esplorazione dei Giardini, osservando le trasformazioni della sfera celeste ma anche avventurandosi in un viaggio immaginario tra le meraviglie dell'universo. Di nuovo ai Giardini ducali, alle 21.00, appuntamento con la rassegna Giardini d'estate e il concerto di El trio, in collaborazione con Amici del jazz Modena jazz festival 2022. Al Cortile teatro Tempio, sempre alle 21.00, a ingresso libero, Modena radio city è la protagonista di "I love my radio", un dialogo con Chicca Bicciocchi, Daniela Moscatti, Daniele Soragni e tanti altri che racconteranno la radio modenese tra leggenda, musica e aneddoti. La serata, a cura del Salotto culturale di Modena, è a ingresso libero. Nel cortile del Melograno, in via dei Servi 21.00, nell'ambito di "Musiche sotto il cielo", la rassegna estiva del Teatro Comunale Pavarotti-Freni, concerto di danze, ballate e canzoni dalle brughiere d'Irlanda con "Willo's. Una notte irlandese", lo spettacolo musicale scritto e diretto dalla violinista Stephanie Martin, con la partecipazione di Massimo Giuntini alle uilleann pipes. A cura di Fondazione Teatro Comunale di Modena, inizio alle 21.00 (biglietteria: teatrocomunalemodena.it). Al Teatro Michelangelo, alle 21.00, fantateatro con "La cicala e la formica", rivisitazione di una delle più celebri favole di Esopo: Mala Cicala e Pica Formica sono i proprietari del Pub "Il Tronco Secco", dove ogni sera Mala si esibisce mentre a Pica tocca lavorare in cucina per accontentare i tanti avventori del locale. Non manca inoltre di preoccuparsi di preparare il buono e succoso Ginfragola, indispensabile per affrontare l'inverno. Esasperata, Pica rompe la società e caccia via Mala, che rimane senza riparo durante i mesi freddi. Sarà il Natale ad avvicinare di nuovo i due amici (biglietteria: [email protected]).... Read the full article
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gregor-samsung · 5 years
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“ In effetti, l'inglobamento del Regno di Napoli nella compagine nazionale fu poco più che un'operazione militare e istituzionale. Scarsa fu la partecipazione popolare e di massa al movimento unitario, per il semplice motivo che quest'ultimo era assai povero di contenuti sociali che potessero interessare le popolazioni. Debole, d'altra parte, e poco sviluppato era allora il ceto medio urbano e rurale in grado di far propri gli ideali dell'unità italiana e di scorgervi anche evidenti interessi materiali. Le élites democratiche (garibaldini, mazziniani ecc.) per giunta, provenienti prevalentemente dalle classi borghesi, e che nel Mezzogiorno costituivano le sole forze con qualche legame di consenso fra i ceti popolari, vennero sconfitte dalla soluzione politica moderata con cui si compiva allora l'unificazione italiana. È facile immaginare perciò che gran parte della popolazione sentisse i nuovi dominatori come degli estranei, se non addirittura come una potenza nemica, che aveva deposto con le armi un governo legittimo, addirittura un'antica dinastia. Il Mezzogiorno, dunque, faceva il proprio ingresso nella nuova nazione su esigue e fragili basi di consenso. Non stupisce, quindi, se all'interno di tale quadro, proprio all'indomani dell'unità, prendeva avvio la più vasta, lunga e sanguinosa forma di «guerra civile» della nostra storia: il brigantaggio. A spingere gruppi estesi di uomini — prevalentemente contadini o ex soldati — a darsi alla macchia influiva un insieme di ragioni immediate e concorrenti: la nuova pressione fiscale (molto più dura e indiscriminata di quella, piuttosto mite e paternalistica, praticata dai Borboni); l'antico bisogno di terra delle popolazioni rurali, riacceso e presto deluso dal modo in cui si era conclusa l'impresa garibaldina (la quale, specie in Sicilia, aveva suscitato speranze di trasformazione sociale); lo scioglimento e lo sbandamento dell'ex esercito borbonico che privava d'un colpo migliaia di soldati e ufficiali d'un qualsiasi status sociale e di qualsiasi collocazione; la coscrizione obbligatoria imposta dal nuovo stato, che sottraeva per cinque anni le più giovani braccia da lavoro alla famiglia contadina. Tra il 1861 e il 1866 all'incirca (ma il periodo più intenso è compreso fra il 1861 e il 1863) buona parte dell'Italia meridionale, e soprattutto regioni come la Puglia, il Molise, la Basilicata, la Campania vennero percorse dai movimenti di bande armate formate da contadini o ex soldati datisi alla macchia, che sottoponevano a saccheggio beni e proprietà dei signori locali, decisi spesso a vendicare antichi soprusi sociali e familiari, e che ad ogni modo dichiaravano guerra aperta al nuovo stato. Cresciuti progressivamente di numero, i briganti vennero ben presto a godere dell'omertà o dell'appoggio aperto delle masse contadine, delle cui esigenze elementari costituivano una sorta di emanazione violenta ed extralegale. Al tempo stesso essi ottennero il sostegno attivo dell'ex re, Francesco II, rifugiato a Roma, che sperava per loro tramite di fomentare una rivolta popolare in grado di riportarlo sul trono. Anche la chiesa non mancò di dar sostegno alle bande, soprattutto attraverso l'opera di protezione e aiuto condotta dai conventi. D'altro canto, essa condivideva, e a un tempo alimentava, l'ideologia dei moti briganteschi, che vedevano nel governo liberale il nemico della «buona religione» e del papa, e al tempo stesso un oppressore che aveva rovesciato con la forza le legittime autorità', infrangendo i vecchi istituti e costumi. Tali anarchiche rivolte di matrice contadina, ma animate da profonde e contraddittorie esigenze di giustizia sociale, al tempo stesso avviluppate entro ideologie arcaiche e reazionarie, impegnarono ferocemente la macchina repressiva del nuovo stato. Per soffocarle fu allora impegnato quasi metà dell'esercito italiano che spesso non si comportò meno ferocemente di come si comportarono i briganti. Nel 1863 venne emanata la «legge Pica», che autorizzava lo stato d'assedio nei paesi battuti dai briganti. Proprio in quello stesso anno, il deputato Massari, incaricato dalla Commissione d'inchiesta della Camera di stendere la relazione sul brigantaggio delle province meridionali, forniva alcune terribili e ancora provvisorie cifre della repressione fin lì attuata: circa 3451 morti fra i briganti contro 307 morti fra soldati e ufficiali dell'esercito. E così egli concludeva: «il numero totale [...] approssimativo dei briganti per morte, per arresto e per presentazione volontaria posti fuori combattimento ascende a 7151». Con tale esito si chiudeva, almeno sotto il profilo militare, una pagina sanguinosa e violenta che segnava in maniera grave, sin dalle origini, il rapporto fra stato unitario e popolazioni del Mezzogiorno. Proprio laddove sarebbero stati più necessari adesioni e consensi, un radicamento profondo nella coscienza collettiva, la nuova compagine statale si presentava, agli occhi della grande massa della popolazione, con il volto violento e brutale della repressione armata. “
Piero Bevilacqua, Breve storia dell'Italia meridionale dall'Ottocento a oggi, Donzelli editore (collana Virgolette, n°11), 2005 [1ª ed.ne 1993]; pp. 62-64.
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paoloxl · 5 years
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Il 25 ottobre del 1949, dai calanchi dell’Aspromonte, sull’altopiano del Crotonese, alle pendici della Sila, in ogni paese della Calabria, dapprima in piccoli gruppi poi in decine di migliaia, un esercito di braccianti, di donne, di pastori, di reduci, invase il latifondo incolto. Il 29 ottobre, l’eccidio di Melissa.
Quel giorno, appena velato dalle nuvole, i braccianti che da qualche giorno avevano occupato i fondi di Fragalà, videro arrivare da lontano gli uomini in divisa e si disposero a semicerchio: le donne ed i bambini avanti, gli uomini dietro. Accolsero la celere con applausi «W la polizia della Repubblica, W i carabinieri della repubblica!»
Spararono! Angelina Mauro doveva sposarsi qualche giorno dopo, trovò la morte sui campi di Melissa e con Lei Antonio Zito e Francesco Nigro. Lucia Cannata lottò per gironi tra la vita e la morte. Zito era poco più di un bambino, aveva appena quindici anni.
Compiuto l’eccidio, le forze dell’ordine sparano anche sugli asini, sui barili, sfondarono le sporte.
A sera, questo esercito di lavoratori dagli scarponi chiodati, di donne scalze, rientrò in paese, portando i morti a dorso di asino, i feriti legati ai basti, trascinando le armi con cui erano andati a combattere: gli attrezzi del loro lavoro.
A Fragalà restarono le prove dei loro “crimini”: la terra liberata dai rovi, ed alcuni alberi selvatici che avevano appena innestato.
Questi “criminali” volevano lavorare, produrre per sé stessi e per gli altri.
Avevano creduto nella Costituzione che vuole le Repubblica fondata sul lavoro.
Volevano un Sud rinato grazie al loro sudore.
Incontrarono lo stato che non fu mai il loro Stato..
Morirono giovanissimi per la loro terra. Nessuno li riconobbe come martiri e come eroi. I loro nomi non dicono niente fuori della Calabria e pochissimo nella nostra stessa Regione. Le loro ossa sono andati a finire negli ossari comuni.
Dopo le cariche di polizia dei giorni precedenti alla Ferdinandea,, a Polistena, a Strongoli, ad Isola, e decine di altre città si voleva dare un esempio ai “fuorilegge” che occupavano le terre, e fu dato a Melissa!
Anche allora in Calabria c’erano tanti pregiudicati, per esempio a Cutro, nelle elezioni del 1948, non ebbero diritto di voto 272 cittadini. Erano pregiudicati! Avevano raccolto legna nel latifondo del barone Barraco che circondava il paese.
I Barraco erano la legge, i contadini i delinquenti.
Dopo Melissa, nel giro di qualche anno, l’esercito dei contadini si trasformò in un esercito di emigranti. Morirono a centinaia nelle miniere del Belgio, nelle fonderie tedesche, sui cantieri di mezzo mondo. Delle rimesse spedite in Calabria dagli emigranti, le banche drenarono il 90% per finanziare il “miracolo economico”.
Sono passati tanti anni. Adesso non è solo il latifondo ad essere incolto. I rovi hanno invaso le colline e scendono veloci verso la pianura. Eravamo un popolo di braccianti senza terra, di paesi in cui la gente abitava nei tuguri, siamo diventati una terra senza più contadini, di case abbandonati, di paesi deserti.
Franco Costabile, poeta calabrese, lasciava la sua terra scrivendo: «Ce ne andiamo via / dai paesi più vecchi e più stanchi / via dai feudi / via dai baroni / o / via dai pretori, dalla polizia, dagli uomini di onore…»
Fummo sconfitti!
Nel frattempo, la Calabria ha perso la sua anima e con essa la sua dignità, l’antica fierezza, l’indomita volontà di riscatto. In Calabria e nel Sud non si produce più. Il popolo cresce i figli per vederli partire. Noi siamo gli sconfitti.
Ripensando a Melissa verrebbe la voglia di serrare i denti per non gridare la nostra rabbia. Non ci umiliate chiamandoci mafiosi. Noi siamo i figli della legge Pica, del brigantaggio, delle guerre altrui, di Melissa, della criminalizzazione di massa, dell’esodo. Noi siamo i figli diseredati dell’ingordigia e delle smisurate ricchezze dei pochi. La ’ndrangheta che, come lebbra, divora il nostro corpo è composta dagli scarti di una ben più diffusa ’ndrangheta che come una piovra soffoca il Paese. Un contadino lasciando quelle terre affermava “noi ci ritorneremo”. E forse è arrivato il momento di tornare…
( Ilario Ammendolia )
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Due video... Pica tregua sole.... Rientro e diluvia un mese tutta Italia. Ho dovuto riattivare scheda Wind perché servizi deviati italiani mi attribuiscono cose che non ho detto su Mattarella e credevano di togliermi due telefoni e due Cell che non faccio un disco in tempo eheheh ma io coi produttori milanesi e americani ne ho fatti 14 di album in 3 anni in vendita su 300 app in tutto il mondo... Nessuno può bloccarmi poiché io vengo dal padre e voi creature siete NULLA meno di niente. E ora vi farò fare il peggiore natale di ultimi mille anni così capite cosa significa sfidare Dio Unipersonale e Cristo re unico del pianeta... E unica legge valida. .... Ateo è chiunque non mi presta giuramento di fedeltà... Preferisco chi mi combatte (servi di satana) ai neutrali e tiepidi. .... Ora se wind non si muove a attivare numero metto avvocati e vi sputano tutti Sistema di Marci e Corrotti e Pedofili bastardi tutti quanti (chi non lega macina a collo e butta in mare il Pedofilo è nemico di cristo e aiuta pedofili, scritto in 23 vangeli.. Leggete. .... Atei RAUS.... Schnell schnell.....pensano che Don vito è un poveraccio comunista torinese? No lui è una star internazionale e capo delle religioni di tutto il pianeta per decreto divino e univalente.... Ora vi sistemo io a tutti quanti... Merde... (presso Centro Commerciale Carrefour Montecucco) https://www.instagram.com/p/CWVUvyJjI_v/?utm_medium=tumblr
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Lello Pica - La legge degli amanti
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Nuovo post su http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/10/04/la-giornata-della-memoria-delle-vittime-meridionali-del-risorgimento-interroga-la-storia-del-processo-unitario/
La Giornata della Memoria delle vittime meridionali del Risorgimento interroga la storia del processo unitario
di Michele Eugenio Di Carlo
Pasquale Soccio, gra…nde letterato garganico del Novecento, scriveva che il Daunus pauper acquae di Orazio e «i briganti dell’arsa Puglia» di Carducci, irrompevano « nel mondo della nuova storia, divenendone per un lustro attori e protagonisti di primo piano». Ora non è più ammissibile ritenere che i briganti del Sud siano stati sic et sempliciter ladri e assassini. Essi si mossero alla rivolta spinti da condizioni di vergognosa e ignobile ingiustizia sociale, relegati all’ultimo stadio della società civile. Usare il termine «civile» per indicare le condizioni di vita del ceto subalterno, costituito in gran parte da braccianti, da contadini, da artigiani pressati e compressi da strutture ancora feudali, notevolmente aggravate con l’avvento dei Savoia e mantenute in essere da una classe privilegiata di galantuomini senza scrupoli alleata con il nuovo potere, è solo un eufemismo spregiudicato. Meglio usare il termine «barbaro» per rappresentare lo status di vita di piccoli contadini e braccianti senza terra, che subito dopo l’occupazione dei Savoia si rivoltarono contro un consolidato e secolare sistema di prevaricazione e di prepotenze che i Borbone si erano, perlomeno, preoccupati di controllare e indebolire. Le rivolte delle masse contadine, iniziate già nell’estate 1860, furono dettate da secolari motivi di contrasto con la nobiltà e con la subentrata borghesia agraria a causa delle questioni demaniali, inerenti principalmente l’uso e la proprietà dei terreni demaniali usurpati e la reintegra negli usi civici negati. E, comunque, queste prime rivendicazioni sociali furono inizialmente prive di indirizzo politico clericale e borbonico e per lo più furono isolate, incerte, occasionali, frammentate e, quindi, facilmente reprimibili dalle truppe garibaldine e dalla Guardia Nazionale dei galantuomini. Franco Molfese, nella Storia del brigantaggio dopo l’Unità, fatta una rassegna dei moti avvenuti durante l’estate nel Beneventano, nell’Irpinia, nel Matese, nel Vastese, nel Molise, dopo accurati studi ha concluso che «furono sommosse sporadiche, provocate perlopiù da contrasti municipali e da motivi di malcontento locali. Da questa sommaria rassegna risulta pertanto abbastanza evidente il carattere spontaneo ed ancora circoscritto dei moti dei contadini, prodottisi nelle provincie continentali liberate, fino al momento della controffensiva militare borbonica. Non è dato rintracciarvi organizzazione e direttive comuni, azioni concordate, né tanto meno obbiettivi insurrezionali; anche il colore antiunitario e filo borbonico veniva generalmente impresso ai movimenti soltanto dalla sobillazione operata dai notabili borbonici e da elementi del clero locale. Cionondimeno questi torbidi indicavano già abbastanza chiaramente qual era lo stato d’animo delle masse contadine, e quali gruppi locali riuscissero più facilmente a guidarle». Tommaso Pedìo, rimpianto docente dell’Università di Bari, indicava sin dal 1941 come «briganti e galantuomini» fossero due classi sociali i cui contrasti avevano già caratterizzato, non solo a metà dell’Ottocento, la vita nelle province napoletane. Accusato di populismo da Giovanni Masi, ripeteva nel 1948 nel testo Brigantaggio meridionale che i briganti non erano altro che una «classe subalterna costretta a subire un sistema economico, sociale e politico che non ammette parità di diritti e di doveri tra i vari ceti sociali, i briganti si ribellano al sistema che ha sempre caratterizzato la società meridionale prima e dopo la caduta dei Borboni. Classe dirigente, egoisticamente unita nella difesa dei propri interessi, i galantuomini, difendono e mantengono, anche nel nuovo regime, la posizione preminente che, prima del 1860, avevano nella vita e nell’economia del proprio paese». Enzo Di Brango e Valentino Romano, intellettuali di rango, nel nuovo testo Brigantaggio e rivolta di classe, riproponendo la corretta tesi di un’invasione piemontese tesa alla colonizzazione del Sud, mettono in primo piano la violenta reazione dei contadini e delle masse subalterne, qualificandola come lotta di classe. Infatti, nella costituzione del nuovo Stato Italiano furono i proprietari terrieri della nuova borghesia agraria, eredi della tradizione feudo-nobiliare, a ricevere enormi vantaggi nella conservazione dei terreni demaniali usurpati e nell’acquisizione di nuovi. Un abuso perpetrato a discapito delle previste e legittime «quotizzazioni» dei demani, che dovevano necessariamente favorire e sviluppare la piccola proprietà contadina. Questo atteggiamento prevaricatorio e classista irritò le già amareggiate masse rurali, spingendole sempre più alla rivolta in un tentativo illusorio di raggiungere e conquistare il riconoscimento di diritti sempre più negati, con l’intima e utopica aspirazione di diventare finalmente cittadini a tutti gli effetti, non più sfruttati dai detentori della ricchezza e del potere politico. Atteggiamenti classisti e prevaricatori che determinarono nei decenni successivi nel Sud la manifesta sfiducia nelle principali istituzioni dello Stato, nell’amministrazione della giustizia, negli organi di controllo del fisco, negli organi di polizia, nelle istituzioni bancarie, segnalati già alcuni decenni fa da Aldo de Jaco, che nei suoi studi sul brigantaggio meridionale, pubblicati dagli Editori Riuniti nel 1969, vedeva nel Risorgimento propagandistico e agiografico dei vincitori «una pagina di storia che non si può saltare se non si vuol perdere il senso dei problemi successivi ed anche, per tanta parte, dei problemi dell’oggi del nostro paese». Un paese in cui ancora oggi un’intera classe politica, utilizzando strumentalmente e impropriamente la forma costituzionale del partito, concorre a fondare un sistema di impunità diffuse, appropriandosi di denaro pubblico, elevando a regola fissa la difesa degli interessi privati su quelli pubblici, erigendo a sistema le clientele, affondando la meritocrazia. Un paese che, alimentando nuove ingiustizie sociali e determinando nuovi problemi economici, scarica ancora sul Sud i costi di una lunga e prolungata crisi, causata da evidente incapacità politica e da manifesta inefficienza amministrativa. Ultimo esempio lo scandalo dei concorsi universitari. Il tentativo prolungato e ripetuto in questi ultimi 156 anni di relegare il fenomeno del brigantaggio a semplice cronaca criminale, senza indagare sulle cause che lo provocarono e senza approfondire gli effetti che ha prodotto nella società italiana, col semplice e chiaro scopo di coprire gli interessi untuosi della classe liberal-massonica elitaria al potere, è la conseguenza di una mentalità limitata, oscurantistica e negazionista, che ancora oggi produce i suoi nocivi esiti sulla vita delle attuali depauperate popolazioni del Meridione e sui corretti rapporti tra il Nord e il Sud del paese. Rapporti e condizioni imposte con la forza che rischiano di saltare ora che le regioni Puglia e Basilica hanno promosso una Giornata della Memoria delle vittime meridionali del Risorgimento, scatenando una reazione ancora, come sempre, oscurantistica e negazionista, motivata da pseudo e false motivazioni che vedono apparire all’orizzonte un nuovo regno dei Borbone o la preoccupante organizzazione di un leghismo di matrice sudista. Semplici visioni oniriche di chi ha interesse a non affrontare seriamente la revisione storica del nostro Risorgimento. Bisognerebbe chiedere ai docenti del Disum (dipartimento di studi umanistici) dell’Università di Bari e a quelli che hanno promosso una petizione contro la Giornata della Memoria, agli intellettuali e ai politici meridionali da sempre al servizio di interessi contrari alla loro terra, cos’altro serve raccontare perché si possano finalmente onorare le nostre ingiustamente malfamate vittime del Risorgimento. Serve inevitabilmente una seria revisione storica del nostro processo unitario, che tolga il velo posto sui massacri perpetrati, sulle violenze subite anche da donne e bambini, sui paesi rasi al suolo, sugli incarcerati senza accusa, sui fucilati senza processo, sulla legge Pica, sulle infauste leggi fiscali e doganali che condannarono l’economia, sui milioni di emigrati condannati al destino infame di chi è costretto a lasciare la propria terra.
Michele Eugenio Di Carlo
https://www.change.org/p/il-giorno-della-memoria-per-le-vit
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ilandsbarn · 7 years
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Uganda Pt.5
Enda en uke har flydd forbi her nede. Allerede halvveis i oppholdet vårt, trist. Personlig har jeg blitt varm i trøyen nå, og koser meg med hverdagen vår her nede. Tror nok det gjelder resten av gjengen og. Det har vært en spennende uke klinisk sett, spesielt BUP-casene. Et kasus omhandlet en 21 år gammel jente som var HIV+. Hun hadde ikke fullført videregående, og var nå hjemmeværende med sin HIV+ kjæreste. De to møttes i en støttegruppe for unge HIV-smittede personer (TASO). Pasienten kom til konsultasjonen sammen med sin tante, som fortalte at hun de siste ukene hadde blitt mer aggressiv og emosjonelt ustabil, med plutselige sinne- eller gråteutbrudd. Selv fortalte pasienten at hun hadde syn- og hørselshallusinasjoner av sin avdøde mor, som ga henne instruksjoner. Hva disse instruksene gikk ut på fikk vi dessverre ikke helt tak i. I tillegg følte hun seg deprimert og ønsket å dø. Forrige uke hadde hun prøvd å ta sitt eget liv vha piller, men blitt stoppet av sin avdøde mor, og mente at det var et tegn på at hun trengte hjelp. Hun avviste bruk av narkotika eller alkohol, og benektet lignende episoder med hallusinasjoner og emosjonell ustabilitet tidligere. Tanten fortalte at pasienten også hadde en psyk søster, men at det ellers ikke var psykdom i familien. Videre sa hun at pasienten i en årrekke i all hemmelighet spiste papir/ark/bøker, for å så gjemme sporene. Pasienten selv benektet dette, dog insisterte tanten på at det var sant. Det virket nesten som om tanten var mer frustrert over papirspisingen enn de psykotiske symptomene. Psykiateren vi var med, mente at det kunne være en form for OCD/fetish som går ut på å spise ikke-fordøyelige materialer, kalt Pica-syndromet. Videre mente hun at psykosesymptomene ikke hang sammen med den årelange papirspisingen, men så dem heller i relasjon til morens død eller det faktum at hun var HIV+ (hvilken stage hun var i, fikk vi ikke opplyst). Senere på dagen hadde vi praktisk nok en forelesning om HIV og psykiatri, hvor Dr. Mwesiga blant annet kunne fortelle oss at personer med HIV allerede i Stage 1 og uavhengig av CD4-tall kan bli  psykotiske. Med andre ord, alltid test for HIV hos pasienter med akutte psykotiske symptomer og 18+, ifølge Mwesiga. At least in Uganda. Et annet spennende kasus omhandlet en ni år gammel jente, som bodde på kostskole. Hun fortalte at hun siden januar hadde ukentlige episoder hvor hun falt vekk i noen minutter og kunne si merkelige ord eller bevege beina, og uten at hun var kontaktbar. Moren pleide da å legge henne til sengs, hvorpå hun etter en liten stund ville kvikne til igjen, men verken være desorientert, ha hodepine eller vondt andre steder. Personlig gikk jeg fort inn i epilepsi-gaten. Angst ble også diskutert som DD. Jenten rapporterte ikke om syns- eller hørselshallusinasjoner, og var orientert for tid, sted, situasjon. Sosialt var situasjonen vanskelig for henne, da både elever og tom noen lærere trodde hun var blitt “cursed”, snakket bak ryggen hennes, og unngikk henne. Moren mente at det skyldtes stress, da hun nettopp hadde mistet jobben, og familien nå ikke hadde penger som før. Hun fortalte også at jentens eldre søsken hadde lignende symptomer, samt at barna ble plaget av sine jevnaldrende grunnet deres nå tapte økonomiske status. Vi forhørte oss mer om skolesituasjon, hvor det kom frem at hverdagen hennes var veldig travel, med mye skolestress og lite tid til lek og interaksjon med andre barn. På toppen av det hele er “caning” (avstraffelse vha en linjal/stokk) fortsatt vanlig her nede, noe som naturlig nok gjorde henne stresset og redd. Psykiateren vi var med mente at det hverken var epilepsi eller angst/depresjon, men en dissosiativ fuge-tilstand, grunnet miljømessig stress. Pasientens måte å takle dette stresset på var dermed denne tilstanden hvor hun koblet seg ut en stund. Løsningen var kognitiv terapi og psykoedukasjon, både for henne, familien og eventuelt lærere/elever, for at hun skulle takle det underliggende stresset. Ellers denne uken har vi delt ut klær til barna i slummen vi går gjennom hver dag på vei til sykehuset. En  meget takknemlig og givende oppgave. Helgen tilbringer undertegnede alene i Kampala, mens jentene er på safari i Murchison Falls. Imorgen blir det grilling med en av legene fra avdelingen, blir artig. Neste uke begynner vi med praksis på Butabika, det nasjonale psykiatriske sykehuset. 
Fortsettelse følger!
/ M
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giuseppearagno · 1 year
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La legge? E' uguale quasi per tutti...
Come possono stare assieme i principi costituzionali e una legge che da decenni li calpesta? Possono. Dalla legge Pica allo stato d’assedio del 1898 e via così, con tutte le leggi scritte per la malavita organizzata e poi applicate sistematicamente ai dissidenti politici, prima lo Statuto Albertino, poi la Costituzione della Repubblica sono stati sempre calpestati. Naturalmente nessuno lo dice e…
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giuseppearagno · 4 years
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Gli anni della semina: da Pietrarsa al «Patto di solidarietà tra gli operai di Napoli» Non è un caso che la strage di Pietrarsa si verifichi poco meno di un anno dopo i fatti dell’Aspromonte e il ferimento di Garibaldi, che durante la sua breve «dittatura» aveva consentito la nascita delle prime associazioni operaie; un peso in quegli eventi tragici, del resto, ce l’ha anche l’estensione della Legge Casati al neonato Regno d’Italia; nonostante i suoi forti limiti, infatti, essa costituisce un primo e sia pur debole tentativo di alfabetizzazione di massa.
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giuseppearagno · 4 years
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Opportunità e rischi Quando l’epidemia “cinese” si è presentata in Lombardia, gli opinionisti esperti di manipolazione delle coscienze hanno posto subito l’accento sul carattere inedito della tremenda esperienza che stiamo affrontando e la popolazione si è lasciata convincere facilmente: dalla nostre parti una condizione  così terribile e pericolosa, una minaccia così subdola e devastante non s’era mai vista.
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