Sei sempre alla ricerca di creature, come le chiami tu?

Più che alla ricerca, visto che ho pochissimo tempo, attendo il loro sopraggiungere.

Tumblr divenne lo srotolamento ormonale di una generazione.

Sapeva che non sarebbe stata una giornata facile. Gli addii sono ricchi di pietas, il loro spettacolo ne moltiplica la forza. Le lacrime, sempre troppo a lungo trattenute, lasciano il posto alla decisione frettolosa di chi si riconosce in uno specchio, pur così lontano negli anni. L’hanno trascinata fuori della stanza, prima che perdesse il coraggio, prima che accadesse l’irreparabile.

Non la vedrò mai più. Le sue parole restano al posto di quel sorriso di fanciulla che, di tanto in tanto, faceva capolino nella compostezza della tarda età.

Sono giunte le nuvole, gli acquazzoni, il temporale. Ne ho attesi i resti, le tracce di una mutua sparizione. Eccoci lì, io e lei, appiccicati al vetro di un auto, senza poterci toccare.

Venere Gommosa.

L'andirivieni del co-incidere.

È stupefacente come la vita degli amanti si riduca a riverbero del riverbero.

(con Vittoria, d'agosto, di canicola in canicola)

Il confine di tutte le cose

Me ne avevano parlato in molti di quel confine di tutte le cose lungo la cui circonferenza le parole non potevano più raccontare nulla. Nemmeno indicare questa impossibilità. Niente dito alla luna, insomma, niente di niente.

Appena sveglio mi sollazzai a lungo con questa storiella, da ripetersi come un mantra ogni qualvolta si desideri far colpo su incauti lettori.

Per chi volesse scoprire qualcosina in più sul mio lavoro, consiglio un passaggio sulla pagina IG, @lasciva_est__nobis_pagina (attenzione agli underscore) per ulteriori ragguagli narrativi...

Il mondo infero è come un distributore automatico di hybris.

Lievissimo sobbalzo dell'abitudine, il motivo a cui piegai ogni residua ambizione. E rividi in sequenza: i colibrì che dardeggiavano fili d'alba, il cinguettio avvolto nella nebbia, il silenzio dello schiarire.

Spietato

Avrebbe potuto delinearne le vestigia, come le dee insegnano, ma la propensione al narcisismo faceva a pugni con lui suo spingendolo a trattare la bellezza con cautela. Spietato oltre che libero.

“Io non desidero narrare la realtà” le aveva detto un giorno al ritorno da una indecisione. “Io voglio travolgerla”.

Fuori della vita passata

Lungo i corridoi del reparto mi capitò di scherzare con gli infermieri, con i supplici e con altre figure poco inclini alla pazienza. Non capivo cosa mi dicessero, in risposta ai miei motti di spirito, ma si rideva di gusto, oh se si rideva! E tutto mi appariva come se provenisse da chissà quale età perduta, da decenni sepolta sotto strati di polvere.

Dovrebbe avere queste sembianze, una vecchiaia come si deve, mi dissi lieto. Ed era solo uno dei tanti motti di spirito che ci raccontammo quel giorno, tra spiriti alieni e fantasmi di varia estrazione.

Quel giorno di caligine e schiaffo.

Accadde tutto in uno dei nostri posti, proprio di fronte all'ingresso di malga C., ancora disabitata e come si trattasse di un'assente ingiustificata. Ripensandoci, non fu nulla di programmato, so soltanto che mentre baciavo G. mi raggiunse l'immagine della locandiera che usciva dalla porta sbarrata, un vero fantasma, per prendere le ordinazioni. La decisione fu presa: allontanando appena G. le assestai uno schiaffo che le fece perdere quasi l'equilibrio. Ricevetti in cambio tutta la sua sorpresa: a differenza di altre occasioni quello schiaffo fu decisamente fuori scala. Ricevetti pure un accenno di erezione, nel vederla piegata, scioccata, sbalordita e come intrisa di una animalesca dinamica di rivalsa.

Quel che ne seguì fu l'apoteosi di ogni avvinghio.

Bagnati, furenti, arresi.

Quando si immagina di modificare il passato, si pensa sempre ad un singolo evento.

Come se si dessero davvero singolarità e non accadimenti, ovvero sterminate catenate di cose l’una all’altra abbracciate in numero tale da far apparire le conseguenze solo un pallido riflesso di quel solitario, indigesto, passato.

Punti ancora inaccessibili, ricordati dagli occhi durante ore di caduta libera. Attendono la loro volta più austera, senza ghiacci e insidie ma la con la loro desolata bellezza.

(dietro la forcella Intrigós)

Nec longum tempus

Presentire il gelo come l'ultimo baluardo.

Tornare a crederne l'esistenza, passeggiando lungo i crinali della montagna dai fiori già sbocciati.

Allentare la presa del tempo senza che esso possa correre a perdifiato verso l'orizzonte.

Vi saranno altre albe. E abbracci. E pupazzi, in grande quantità.

Abbi pazienza, creatura uscita da un sogno di ritorno.

Il meglio sarà la materia di cui è fatto il mondo.

“Cartoline dai morti” di Franco Arminio si apre con un’epigrafe dedicata al padre, “che non ha più bocca a quest’ora/ e non ha più dormito/ dal giorno della sua morte”.

Sono una folgore, quei versi. Non è solo il fatto che a vegliare vi siano i morti, al posto dei vivi, ma che il risveglio è per i morti e che da esso la maggior parte dei vivi si difende come può, non senza effimero successo.

Perché i miei occhi sono così stanchi? Perché insisto, nei paraggi di ciò che incomincia o che se ne sta, semplicemente, sotto il naso dei passanti?

Farei meglio ad andare a dormire, fino a che sarò in tempo.

Che lei abbia a cuore il mio cazzo è pensiero rimarchevole. Che lo abbia tra le labbra è vieppiù sconveniente. Che lo spinga alla gola del passaggio segreto chiamato carne è una deriva psico cosmica senza ritorno.

Perdonassero la frivolezza, ma da qualche parte dovevo pur iniziare.