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#tragedie umanitarie
spettriedemoni · 3 months
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La storia dietro all’impresa della Palestina
«Nessuno più di Saleh, però, riesce a contenere tutta questa immane tragedia. Lui, cresciuto a Gaza, imparando a giocare a calcio nello stadio Yarmouk, oggi è in Qatar per la Coppa d’Asia mentre la sua famiglia lotta per la sopravvivenza. «Pochi giorni fa hanno bombardato la casa di mio zio e i miei cugini sono rimasti feriti», ha detto dopo la partita con Hong Kong. Ieri sul suo braccio c’era scritto 110, come i giorni che Gaza aveva passato sotto le bombe. Il giorno in cui la Palestina giocherà il suo ottavo di finale, i giorni saranno diventati almeno 115.»
Fatevi un favore: leggete questo articolo sul sito Ultimo Uomo.
Per tutti quelli che appoggiano Israele nel suo genocidio contro i palestinesi. Magari cambiate idea.
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personal-reporter · 7 months
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Il decimo anniversario della strage di Lampedusa e l'intervista a Giusi Nicolini
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Il 3 ottobre 2013, un terribile naufragio al largo delle coste di Lampedusa, un'isola italiana nel Mar Mediterraneo, fece tremare il mondo intero. Quel giorno, un barcone carico di migranti provenienti principalmente dalla Somalia e dall'Eritrea, affrontò le acque insidiose del Mediterraneo in cerca di un futuro migliore in Europa. La tragedia che si è verificata è stata una delle più mortali nella storia delle migrazioni, causando la morte di oltre 360 persone. Questo ottobre segna il decimo anniversario di quella terribile strage e un momento cruciale per riflettere sull'umanità e la politica delle migrazioni. Lampedusa: Una porta verso l'Europa Lampedusa, con la sua posizione geografica strategica, è stata a lungo un punto di arrivo per migliaia di migranti che cercano di entrare nell'Unione Europea. Questa piccola isola, situata tra la Tunisia e la Sicilia, è diventata un simbolo delle sfide e delle tragedie legate all'immigrazione irregolare. La sua popolazione di circa 6.000 abitanti ha dovuto affrontare il flusso costante di persone in cerca di sicurezza e opportunità. Il naufragio del 3 ottobre 2013 è stato un punto di svolta nella percezione dell'Europa riguardo alle sfide delle migrazioni. La comunità internazionale si è trovata di fronte a immagini scioccanti di corpi senza vita che affioravano dalle acque intorno a Lampedusa. Questo ha scosso la coscienza pubblica e ha portato a un dibattito globale sulla politica delle migrazioni e sulle responsabilità dell'Europa nel fornire un rifugio sicuro per coloro che fuggono dalla guerra, dalla persecuzione e dalla povertà. Giusi Nicolini: Una voce per i migranti Durante il periodo critico seguito al naufragio del 2013, Giusi Nicolini è emersa come una figura chiave nella risposta di Lampedusa alla crisi umanitaria. All'epoca, Nicolini ricopriva la carica di sindaca dell'isola e ha lavorato instancabilmente per assistere i sopravvissuti e per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla situazione disperata dei migranti. L'approccio umanitario di Nicolini ha attirato l'attenzione e l'ammirazione a livello internazionale. Ha lavorato instancabilmente per migliorare le condizioni di accoglienza sull'isola e per promuovere un dialogo aperto sulle migrazioni. Il suo impegno ha portato alla conferenza di Lampedusa nel 2015, che ha riunito leader mondiali, organizzazioni umanitarie e migranti stessi per discutere di soluzioni alla crisi migratoria. L'eredità di Lampedusa A dieci anni dalla strage di Lampedusa, molte domande rimangono senza risposta. La politica migratoria europea è ancora oggetto di dibattito e critica. Il destino dei migranti e dei rifugiati che cercano di raggiungere l'Europa rimane incerto, con molte persone ancora intrappolate in situazioni disperate nei paesi di origine o di transito. Tuttavia, il decimo anniversario della strage di Lampedusa ci offre l'opportunità di riflettere sul nostro dovere umanitario di aiutare coloro che sono in cerca di sicurezza e di una vita migliore. Giusi Nicolini, con la sua dedizione e il suo impegno, ci ricorda che possiamo fare la differenza, che possiamo offrire un futuro dignitoso a coloro che sono in fuga dalla tragedia. Nell'intervista esclusiva a Giusi Nicolini, l'ex sindaca di Lampedusa condivide le sue riflessioni sulla strage del 2013, sulle sfide delle migrazioni e sul ruolo dell'Europa nel garantire i diritti umani fondamentali. Per leggere l'intervista completa, clicca qui. Read the full article
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kritere · 1 year
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Papa Francesco chiede di portare i migranti in Europa legalmente: “Naufragio di Cutro non si ripeta”
DIRETTA TV 18 Marzo 2023 Il Pontefice chiede l’apertura di corridoi umanitari per portare i migranti in Europa legalmente, evitando che si ripetano nuove tragedie come quella di Cutro. 9 CONDIVISIONI Fare il possibile affinché tragedie come quella di Cutro non si ripetano più. Papa Francesco manda un messaggio chiaro alla politica e alla società, parlando di migranti davanti ai rifugiati…
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lamilanomagazine · 1 year
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Von der Leyen scrive a Meloni: “Dobbiamo evitare tragedie come Cutro"
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Von der Leyen scrive a Meloni: “Dobbiamo evitare tragedie come Cutro". È arrivata in queste ore a Palazzo Chigi la risposta della Commissione Europea alla lettera che la Premier Giorgia Meloni aveva scritto sul problema dei flussi migratori. Nella missiva Von der Leyen riconosce il bisogno di trovare soluzioni a lungo termine: “La migrazione va affrontata con un approccio olistico, combattendo i trafficanti, mettendo in campo i rimpatri per chi non ha diritto di restare, ma anche offrendo percorsi chiari per migrazioni sicure e legali”. La linea di Bruxelles è inequivocabile: “Evitare tragedie come quella di Cutro”. Da qui il lavoro necessario su tre priorità: cooperare con i Paesi del Nord Africa per evitare le partenze irregolari, sviluppare corridoi umanitari sicuri e aumentare il coordinamento per le attività di Search & Rescue. "Condivido totalmente la tua opinione che come europei, politici e cittadini, abbiamo il dovere morale di agire per evitare simili tragedie - scrive la Presidente della Commissione Europea alla Premier italiana -. Abbiamo dimostrato che, quando agiamo insieme, l'Ue può gestire la migrazione. Ad esempio, con i milioni di ucraini in fuga dalla guerra”. Von der Leyen, nella lettera, ha anche annunciato che la Commissione provvederà con almeno mezzo miliardo nel finanziare nuovi insediamenti e corridoi umanitari da qui al 2025. Si studia un supporto ad almeno 50mila persone. "Palazzo Chigi esprime profonda soddisfazione per le parole indirizzate all'Italia e all'azione dell'esecutivo sul tema della migrazione”. Si legge in una nota di Palazzo Chigi. Dalle parole della Presidente della Commissione - spiegano dal governo - emergerebbe la piena consapevolezza di “come vi sia la necessità di una concreta e immediata risposta europea in tema migratorio”.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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corallorosso · 3 years
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Libia e Mediterraneo: stragi continue di migranti, ma il ministro di Maio si dice "fiducioso" La domanda sorge spontanea: ma in che mondo vive il nostro ministro degli Esteri, Luigi Di Maio? Nel Mediterraneo si continua a morire, i lager libici funzionano a pieno regime, la Guardia costiera libica spara sulle navi salva-vita, fa il lavoro sporco dei respingimenti in mare, e il titolare della Farnesina che fa? Si dice “fiducioso”. fiducioso sulla Libia che rappresenta "sempre un asset strategico, la geografia non cambia". "Un anno fa non ero fiducioso, un anno dopo abbiamo un governo di unità nazionale ho un interlocutore unico con cui parlare - ha detto a Sorrento - bisogna continuare a lavorare sull'incremento delle opportunità economiche". "Dobbiamo investire perché la Libia è la porta dell'Europa per l'africa e la porta dell'Arica per l'Europa", ha aggiunto. Intanto l’unico “investimento che il “Governo di alto profilo” sta facendo è, come ha ben documentato Oxfam, aumentare i fondi destinati alla Guardia costiera libica. E mentre Di Maio si dichira “fiducioso”, nel Mediterraneo si continua a morire. Quarantatré migranti sono annegati ieri in un naufragio al largo della Tunisia e altre 14 cadaveri sono stati ritrovati sulla spiaggia di Zawia, in Libia. (...) Intanto dopo un’ispezione durata 14 ore da parte delle autorità italiane la nave GeoBarents di Medici senza frontiere – che nei giorni scorsi aveva soccorso 410 migranti al largo della Libia – è stata bloccata nel porto di Augusta “sulla base di deficienze riscontrate”. È la tredicesima volta in 3 anni che l’Italia blocca navi umanitarie, sottolinea la ong. Nei primi sei mesi dell’anno, ricorda Msf, “721 persone hanno perso la vita in mare. Faremo tutto il possibile per tornare nel Mediterraneo a salvare vite”. (...) L’Europa non ha fatto nulla per chiudere i lager libici, anzi, vero presidente Draghi, encomia la Guardia costiera libica per l’impegno dedito alla sicurezza! Come altro chiamare tutto ciò se non un deliberato, consapevole, rigetto dei più elementari diritti umani? Il fatto è che in Italia cambiano i governi, le maggioranze, i primi ministri, ma a dominare, sul fronte-migranti, è l’ossessione di una “invasione” che non è mai esistita ma che funziona per catturare voti. E dunque via libera agli Erdogan, agli al-Sisi, agli aguzzini in divisa libici...L’importante è che facciano il lavoro per cui sono stati lautamente foraggiati, e se questo significa tortura, stupri, connivenza con i trafficanti di esseri umani, sparare sulle poche ed eroiche navi Ong che ancora si avventurano nel Mediterraneo centrale. Se significa il ripetersi di tragedie in mare o di disperati che pur di non ritornare nell’inferno dei lager libici, preferiscono togliersi la vita, pazienza, sono “danni collaterali”. Vero ministro di Maio? Umberto De Giovannangeli
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paoloxl · 5 years
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Due vite spezzate. Lo stesso triste destino. Due morti violente consumatesi lontano da casa e dagli affetti. Sono le storie di due cittadini nigeriani che da invisibili sono passati sotto i riflettori proprio a causa della loro prematura scomparsa. E fa rabbia che due persone diventino tali, e quindi degne di considerazione, soltanto da morte. Ed è ancora più disgustoso che nel nome di un paese più “sicuro”, si debba passare attraverso queste tragedie.
Prince Jerry, era arrivato in Italia nel 2016, anche lui su quei maledetti barconi, con una laurea in chimica e la voglia di ricostruirsi un futuro. Ospite del centro d’accoglienza di Multedo (Genova), si è ucciso gettandosi sotto un treno lunedì a Tortona. A dare la notizia è stato monsignor Giacomo Martino, responsabile della Fondazione Migrantes di Genova, attraverso un messaggio in chat ai propri parrocchiani. Il testo della conversazione è poi circolato sui social ed è stato successivamente ripreso oggi da tutti i quotidiani, con una insistenza quasi fastidiosa e poco rispettosa di questo lutto. Don Giacomo, intervistato da molti quotidiani, lo ricorda come “un ragazzo speciale e straordinario, molto sensibile e anche colto”. Faceva parte della sua comunità da due anni e mezzo. Dopo essere stato “diniegato” prima di Natale, ha scoperto che non avrebbe potuto contare neppure sul permesso per motivi umanitari, cancellato dalla nuova legge in materia di immigrazione e sicurezza. Impossibile per lui restare “regolarmente” in Italia, a meno di non andare ad infoltire il grande numero di persone senza documenti che quella stessa legge sta producendo, e che pure, secondo chi l’ha ideata, voleva “combattere”. Prince lunedì mattina ha, quindi, raggiunto Tortona, ha fatto un’ultima telefonata ai suoi amici e poi si è gettato sui binari: il macchinista non ha potuto evitare di investirlo. Il gesto è stato compiuto con determinazione, dopo settimane di amarezza e riflessioni (e forse anche di disperazione) su un futuro incerto.
A riconoscere il corpo di Prince è stato proprio monsignor Martino, che ha voluto chiarire da subito di non voler «in nessun modo che questo ragazzo e la sua triste storia vengano strumentalizzate per discorsi diversi da quelli di compassione per una vita stroncata e di un lungo sogno interrotto». La Polfer ha avviato un’indagine per ricostruire cosa sia esattamente accaduto: l’ultimo saluto a Prince Jerry verrà dato, domani, venerdì 1 febbraio, alle 11.30 nella chiesa dell’Annunziata a Genova.
Non molto lontano dal luogo della morte di Prince Jerry, sempre lungo dei binari, ha trovato la morte un altro giovane migrante, nigeriano anche lui, 33 anni, Ifeanyi Amaefula. Lui è deceduto nell’ottobre 2018, dopo essersi gettato dal treno in corsa sulla linea Chivasso-Novara. Era arrivato a Lampedusa nel 2011. E, ironia della sorte, aveva un permesso di soggiorno per motivi umanitari (quello che Jerry non avrebbe mai potuto avere). L’uomo era salito a Santhià, con sé aveva uno zaino ma nessun biglietto di viaggio. Secondo la ricostruzione dei fatti, si era diretto nella prima carrozza. Quando ha visto la pattuglia di agenti della Polfer di Novara, in servizio a bordo, è saltato sui sedili fino ad aprire un finestrino, lanciandosi fuori. Gli agenti hanno provato anche a tenerlo per le gambe, ma l’uomo, poco dopo la stazione di San Germano, è caduto. Tuttavia, la sua morte non ha suscitato molto clamore. Probabilmente perché non interessava. Anzi ha fatto più notizia il commento di una dipendente delle ferrovie, che lavora all’ufficio dirigenti in movimento della stazione di Santhià (Vercelli), la quale aveva commentato così l’incidente: “Meglio che si sia ucciso uno così, che un’altra persona”.
La salma del giovane migrante è rimasta per quattro mesi all’obitorio, in una cella frigorifero, “incastrata” in un triste gioco di scaricabarile di competenze da ente a ente, ostaggio di politica e burocrazia. Il primo “no” è giunto proprio dal sindaco di San Germano Vercellese, Michela Rosetta, che non avendo chiesto uffiComune di Bergamcialmente e di suo pugno la rimozione del cadavere, ha respinto al mittente la fattura inviata dall’agenzia funebre che la richiesta di celebrare il “funerale di carità”. Una richiesta che, invece, il Comune di Bergamo ha accettato, pur essendo coinvolto in modo marginale come ultima residenza del migrante, in quel momento senza una fissa dimora. In una nota ufficiale, il Comune di Vercelli ha annunciato la soluzione del problema grazie alla collaborazione dell’Amministrazione Comunale di Bergamo.
A sollevare il caso la scorsa settimana, è stato i quotidiano locale Notizia Oggi Vercelli. A poche ore dall’uscita dell’articolo, è iniziata una vera e propria gara di solidarietà. Il Consigliere Regionale Gabriele Molinari si era offerto di pagare personalmente i funerali del ragazzo, eventualmente in collaborazione con chi lo avesse desiderato. E non è stato l’unico.
Non conosciamo le storie di questi due ragazzi, il loro vissuto e le loro sofferenze e, soprattutto, perché le loro giovani vite siano finite così. Sappiamo però per certo che ogni lutto necessita i suoi silenzi, e che ad ogni persona deve essere riconosciuta la sua dignità in vita e non dopo la morte. E’ una questione di civiltà e di umanità. Valori che ultimamente stiamo perdendo (come nella vicenda dei migranti a bordo della Sea Watch 3), virando pericolosamente verso orizzonti oscuri.
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Le associazioni chiedono più corridoi umanitari per risolvere la crisi dei migranti Rendere più efficace il sistema dei corridoi umanitari, di cui l’Italia è capofila in Ue, per andare oltre le semplificazioni del dibattito politico sull’accoglienza e ridurre al minimo partenze dalle coste africane, evitando le tragedie in mare.
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italianaradio · 5 years
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Téa Leoni: 10 cose che non sai sull’attrice
Nuovo post su italianaradio https://www.italianaradio.it/index.php/tea-leoni-10-cose-che-non-sai-sullattrice/
Téa Leoni: 10 cose che non sai sull’attrice
Téa Leoni: 10 cose che non sai sull’attrice
Téa Leoni: 10 cose che non sai sull’attrice
Divisa tra cinema e televisione, l’attrice Téa Leoni ha saputo negli anni costruirsi la sua cerchia di pubblico, grazie anche ad alcuni ruoli che le hanno permesso di emergere come interprete e farsi apprezzare per le sue doti. Anche se ancora alla ricerca di ruolo che possa permettere di conquistare una fama più ampia, l’attrice non manca ad ogni nuovo progetto di apportare la propria preziosa presenza.
Ecco 10 cose che non sai di Téa Leoni.
Téa Leoni carriera
1 I film. Il debutto cinematografico dell’attrice avviene nel 1991 con il film Nei panni di una bionda. Successivamente prende parte a Wyatt Earp (1994), al film Bad Boys (1995), al fianco di Will Smith, Amori e disastri (1996), Deep Impact (1998), The Family Man (2000), Jurassic Park III (2001), Spanglish – Quando in famiglia sono troppi a parlare (2004), Dick e Jane – Operazione furto, dove recita accanto a Jim Carrey (2006), Ghost Town (2008) e Tower Heist (2011).
2 Le serie TV. Ricca è anche la carriera televisiva dell’attrice, che dopo il debutto con la serie Flying Blind (1992-1993), prende parte a The Naked Truth (1995-1998). Successivamente partecipa a X-Files (2000), e dal 2014 ricopre il ruolo di Elizabeth McCord nella serie Madame Secretary, giunta alla sesta ed ultima stagione.
Téa Leoni vita privata
3 È stata sposata. Dal 1991 al 1995 l’attrice è stata sposata con il produttore Neil Tardio. Successivamente nel 1997 ha sposato l’attore David Duchovny, dal quale ha avuto due figli. La coppia si è poi separata nel 2008, divorziando ufficialmente nel 2014. Nello stesso anno l’attrice inizia una relazione con l’attore Tim Daly.
Téa Leoni asteroide
È stato dato il suo nome ad un asteroide. Nel 1993 viene scoperto un asteroide appartenente alla fascia principale, ovvero situata tra le orbite di Marte e Giove. Il suo scopritore, l’astronomo belga Eric Walter Elst decide di rinominarlo 8299 Téaleoni, in onore all’attrice.
Téa Leoni studi e primi lavori
Ha iniziato la sua carriera come modella. L’attrice studiava psicologia e antropologia presso la Sarah Lawrence College. Tuttavia si appassiona sempre più alla recitazione, decidendo di lasciare gli studi e iniziando a lavorare come modella nel campo della pubblicità. Questo le permette di essere notata con maggior facilità, facendole ottenere i primi ruoli cinematografici.
Téa Leoni UNICEF
6 È stata premiata per il suo impegno umanitario. Nel 2001 l’attrice viene nominata ambasciatrice dell’UNICEF, a nome del quale porta avanti numerose campagne umanitarie. Proprio per il suo impegno nel 2007 le viene conferito il Audrey Hepburn Humanitarian Award.
Téa Leoni Deep Impact
7 Ha faticato ad interpretare il suo ruolo. Nel film di fantascienza Deep Impact l’attrice interpreta la giornalista Jenny Lerner. L’attrice ha dichiarato di aver fatto molta fatica ad immedesimarsi nel personaggio, confessando di non essere dotata della freddezza con cui i giornalisti sono soliti comunicare tragedie e brutte notizie.
Téa Leoni Madame Secretary
8 Ha fatto di tutto per ottenere il ruolo. Dopo aver letto le prime tre pagine della sceneggiatura dell’episodio pilota, l’attrice ha subito espresso il desiderio di avere il ruolo. Era affascinata dal carattere del personaggio, affermando che è raro vedere ruoli femminili di questo tipo in televisione. Dopo alcuni colloqui con i produttori, l’attrice ottenne infine la parte, dimostrando di poter valorizzare il carattere del personaggio.
Téa Leoni patrimonio
9 È una delle attrici più pagate della TV. Grazie ai suoi numerosi ruoli cinematografici, ma ancor di più alla serie Madame Secretary, l’attrice ha potuto raggiungere un patrimonio stimato di 20 milioni di dollari. Il grande successo della serie ha inoltre fatto di lei una delle attrici più pagate della TV.
Téa Leoni età e altezza
10 Téa Leoni è nata a New York, negli Stati Uniti, il 25 febbraio 1966. L’altezza complessiva dell’attrice è di 173 centimetri.
Fonti: IMDb
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Téa Leoni: 10 cose che non sai sull’attrice
Divisa tra cinema e televisione, l’attrice Téa Leoni ha saputo negli anni costruirsi la sua cerchia di pubblico, grazie anche ad alcuni ruoli che le hanno permesso di emergere come interprete e farsi apprezzare per le sue doti. Anche se ancora alla ricerca di ruolo che possa permettere di conquistare una fama più ampia, l’attrice […]
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Gianmaria Cataldo
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samdelpapa · 5 years
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In Venezuela muoiono bambini in attesa di trapianto o di cure speciali per causa del blocco USA contro il paese latinoamericano
I media occidentali non perdono occasione per attaccare il regime di Maduro in Venezuela, sicuramente un governo non esente da colpe, ma non parlano mai delle tragedie umanitarie che il blocco effettuato dagli USA su ordine di Trump sta causando fra la popolazione civile.
Nello spazio di un mese non già deceduti diversi bambini, alcuni in attesa di trapianto ed altri bisognosi di cure speciali perchè affetti da grave affezioni. 
Gli Stati Uniti impediscono il trasferimento di fondi presso istituzioni sanitarie italiane o portoghesi per l’acquisto dei trattamenti necessari per le cure di questi bambini, come nel caso di trapianto di midollo osseo necessario per la cura della leucemia infantile. Così è avvenuto ad esempio per un bambino di sette anni, José Manuel de los Ríos, deceduto in Caracas, in attesa di ricevere i medicamenti per effettuare un trapianto di midollo osseo e altri casi come lui.
Cosa c’entra con la politica il fatto di assicurare le cure urgenti a dei bambini malati che necessitano di questi trattamenti urgenti? Questa è una domanda da porre al presidente Trump ed ai suoi consiglieri che hanno decretato l’embargo ed il blocco totale contro il paese sud americano infischiandosene delle conseguenze dolorose per la popolazione.
Sembra chiaro che la strategia dell’Amministrazione USA è quella di causare sofferenze nella popolazione del Venezuela attraverso il blocco dei generi di prima necessità, viveri e medicinali, che il paese importa in quanto non reperibili sul mercato domestico. Queste sofferenze colpiscono in particolare la popolazione di fascia bassa che non è in grado di accedere al mercato nero dove ancora molti di questi beni, dal latte in polvere ai medicinali, si possono trovare pagando in valuta estera.
L’infame e criminale blocco decretato da Washington sul Venezuela mostra la faccia feroce e disumana dell’imperialismo USA a discapito di tutta la retorica consumata dagli stessi politici e propagandisti nordamericani per i “diritti umani”.
Proteste medici e infermieri a Caracas per mancanza di medicinali causata dal blocco USA
Soltanto la Russia, la Cina e Cuba, oltre a qualche altro paese, sono in grado di far arivare in Venezuela questi generi di cui il paese ha bisogno ma non si fa in tempo, il più delle volte, ad intervenire per salvare le vite umane di persone innocenti come i bambini in attesa di trapianto e di cure urgenti. Uno studio, fatto da organismi internazionali, ha riportato in una cifra di circa 4.500 persone, fra malati ed infortunati vari, decedute in Venezuela negli ultimi mesi per mancanza di cure appropriate. La stima è tuttavia per difetto, visto che nell’interno del paese ci sono comunità indigene tagliate fuori da qualsiasi aiuto.
Tutto questo fa accrescere l’odio ed il risentimento della popolazione contro gli yankee (ed i loro reggicoda) anche in coloro che erano critici nei confronti del governo bolivariano.
La disumanità e la criminalità del gruppo di potere statunitense è ormai sotto gli occhi di tutti e persino l’ONU ha dovuto denunciare come “crimini contro l’umanità” i provvedimenti presi da Washington nei confronti del Venezuela.
I media occidentali, ed in particolare quelli italiani, non parlano di questi crimini, mentre le loro corrispondenze sono frequentemente occupate dai presunti crimini commessi dai Governi del Venezuela, o della Corea del Nord o dell’Iran. Degli USA e dei paesi responsabili del blocco, meglio non parlare, qualcuno si potrebbe risentire e gli opinionisti dei media non vogliono inimicarsi le centrali dominanti.
Di Luciano Lago
Fonti: Sputnik Mundo – Telesur
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notiziedicronaca · 5 years
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In Venezuela muoiono bambini in attesa di trapianto o di cure speciali per causa del blocco USA contro il paese latinoamericano
I media occidentali non perdono occasione per attaccare il regime di Maduro in Venezuela, sicuramente un governo non esente da colpe, ma non parlano mai delle tragedie umanitarie che il blocco effettuato dagli USA su ordine di Trump sta causando fra... Canali: Cronaca notizia offerta da Notizie di Cronaca
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corallorosso · 3 years
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Joseph, morto nel Mediterraneo a soli 6 mesi: hanno cambiato i decreti sicurezza ma la musica non cambia Si chiamava Joseph, veniva dalla Guinea, aveva sei mesi. Aspettava un’evacuazione urgente dopo essere stato salvato da un naufragio. Ma non c’è stato tempo e Joseph è morto, insieme ad altre cinque persone. Joseph è morto nel Mediterraneo, a bordo dell’imbarcazione di Open Arms, una delle poche Ong rimaste in mare dopo la stretta dei decreti sicurezza. Il gommone su cui si trovava Joseph non ha retto e ha ceduto a circa 30 miglia a nord di Sabratha. La scena che si è presentata davanti ai soccorritori della Ong Open Arms ripete le dinamiche di tutte le tragedie dell’immigrazione: persone in acqua, prive di salvagente, che tentano di salvarsi aggrappandosi a qualsiasi cosa galleggi. La Guardia costiera italiana, verificata l’indisponibilità di altri Stati della regione, ha inviato una motovedetta con personale medico, ma Open Arms polemizza con le autorità ricordando di essere l’unica realtà rimasta ad operare nel Mediterraneo dopo i fermi amministrativi delle altre imbarcazioni delle Ong. Nel Mediterraneo non c’è più nessuno, a navigare nel vuoto istituzionale restano solo poche navi umanitarie che operano effettuando attività di monitoraggio e pattugliamento.(...) Le Ong sono state falciate da una vera e propria persecuzione amministrativa: le capitanerie di porto hanno bloccato la Sea Watch3, la Mare Jonio battente bandiera italiana, la Sea Watch4 di bandiera tedesca, per cavilli burocratici. (...) La svolta doveva arrivare con la modifica ai decreti sicurezza operata dal nuovo governo Conte e per volontà della ministra Lamorgese, ma ciò – nella sostanza – non è avvenuto. È vero che sono state ridotte le multe milionarie per le Ong e viene affidato ad un giudice il potere di comminarle insieme alle sanzioni penali già previste dal codice della navigazione per la violazione del divieto di ingresso in acque territoriali, ma nei fatti il processo di criminalizzazione di chi presta soccorso in mare, che al contrario andrebbe sostenuto ed affiancato, non si è spezzato. E i risultati sono quelli che verifichiamo oggi, piangendo un’altra vittima del vuoto. Dice bene Marco Omizzolo, sociologo Eurispes, “Joseph è morto in mare in attesa dei soccorsi mai arrivati. I decreti sicurezza sono stati cambiati ma la musica è rimasta la stessa. Ed è musica da funerale”. Di Lara Tomasetta
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paoloxl · 7 years
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Questi insopportabili e cupi mesi dell’estate del 2017 segneranno a fondo la storia del nostro paese.  La disumanità per la prima volta è diventata sentimento e comportamento comune nell’opinione pubblica; dopo essere stata sdoganata ed anzi legittimata, come un veleno letale sta percorrendo il corpo dell’intero paese. Essa costituisce la condanna a morte per i migranti e nello stesso tempo è portatrice di futuri disastri antidemocratici sociali e politici per tutti coloro che vivono in Italia; solo se saremo capaci di costruire una azione sociale e di massa nei prossimi mesi che la combatta a fondo insieme ai suoi propugnatori possiamo sperare di disperderla.  Come l’inumano è diventato moneta corrente  Sia ben chiaro: la disumanità è stata sempre presente, non solo nelle ferree leggi del capitale, ma in molte forze politiche. Essa era però, pur sempre, un tabù; solo le forze più estreme della destra avevano il coraggio di esprimerla apertamente, solo in parte diventava luogo comune nei discorsi del bar, sui mezzi pubblici o sulle spiagge. Solo Salvini insieme alle forze fasciste ed alcuni orrendi giornali della destra osava manifestare a voce alta le sue idee reazionarie e razziste.  Tanti altri, per ipocrisia, per conformismo istituzionale, per opportunità, per la storia di un paese segnato dai grandi movimenti solidali di massa delle classi lavoratrici in tempi ancora non lontani e dalla stessa azione pietista e solidarista della Chiesa, si guardavano bene dall’esprimere certe pulsioni profonde attivate dalla grande crisi epocale e di civiltà del capitalismo. Si sa che l’ipocrisia è pur sempre un omaggio alla virtù.  Ma in queste settimane di fronte all‘immane dramma dei migranti, segnato dal rifiuto delle classi dirigenti italiane ed europee di farsi carico dei disastri che le loro politiche in Africa e Medio Oriente hanno prodotto, queste barriere sono cadute. Come ha scritto Revelli su il manifesto del 8 agosto: “Senza trovare quasi resistenza con la forza inerte dell’apparente normalità, la dimensione dell’”inumano”, è entrata nel nostro orizzonte”.  Poche sono le voci, per altro senza grandi mezzi e possibilità, che si sono alzate contro questa barbarie, i siti della sinistra radicale ed anticapitalista, un giornale come il manifesto , (tra gli altri con Viale e Mastropaolo)qualche singolo, ma isolato intellettuale e giurista democratico, alcuni settori cattolici e le organizzazioni non governative, queste ultime prese di mira come capri espiatori.  Un governo infame  Il governo Gentiloni passerà alla storia come uno dei governi più reazionari ed anche violenti della storia italiana; avrà sulla sua coscienza la disperazione e la morte di altre migliaia di esseri umani che fuggono guerra, fame, disastri climatici. Dietro il suo aplomb discreto così diverso dalle esternazioni propagandistiche di Renzi nasconde un’anima nera già manifestatasi in numerosi atti sociali ed economici che l’ha spinto con estrema determinazione ed immediatezza a porre fine, costi quello che costi in termini di vite umane, agli arrivi dei migranti sulle coste italiane. E lo ha fatto in stretta connessione con gli altri governi europei non meno responsabili delle tragedie del mare Mediterraneo e delle sabbie del Sahara.  I deboli e fragili corridoi di passaggio dall’Africa all’Europa, già fortemente ridotti dalla chiusura dall’operazione “Mare Nostrum” col passaggio all’operazione Frontex (il cui nome già indica lo scopo di respingere i migranti), ma tenuti parzialmente aperti dall’azione delle organizzazioni umanitarie nel Mar Mediterraneo, dovevano essere definitivamente chiusi. I migranti dovevano essere rimandati nei lager libici e “la presunta invasione” dovrà essere fermata già prima, nei deserti. Il messaggio è fin troppo chiaro; chi fugge da una situazione insostenibile può morire, ma deve morire il più lontano possibile, lontano dai nostri occhi.  L’uomo che ha realizzato per conto del governo questa “nuova strategia”, come lui stesso l’ha definita, “evitando un’estate di caos” si chiama Minniti, è il Ministro degli interni. Di fronte alle critiche di altri ministri per una scelta così estrema, ha immediatamente ricevuto il pieno sostegno non solo di Gentiloni, ma del Presidente della Repubblica. Minniti ha una formazione e un curriculum che calzano perfettamente con la funzione mortifera che sta svolgendo: quella di un Pci di destra tutto legge ed ordine, stalinista e statalista del tutto ligio alle strutture e alla funzione dello stato borghese.  Il delirio autoritario, crudele, disumano, reazionario e nazionalista  Ma per fare questo, per farlo accettare, occorreva che il sentimento di inumanità sotto traccia in larghi settori della società fosse completamento liberato e “giustificato”, occorreva che i migranti, le vittime, diventassero fino in fondo un altro da sé, un pericolo minaccioso, cancellando le ragioni per cui fuggono, fossero disumanizzati colpevolizzando e svilendo i soccorritori all’occhio dell’opinione pubblica. In questo clima di sconfitta del movimento dei lavoratori e democratico e di sonno della ragione, i media e i razzisti di ogni genere hanno potuto produrre così l’ulteriore involuzione della coscienza in larghissimi settori della società, quello che quello che Patrizio Gonnella su il manifesto del 9 agosto definisce “un delirio autoritario, crudele, disumano, reazionario e nazionalista”.  Gonnella denuncia il deragliamento della “zona grigia borghese” che pure in passato aveva manifestato rispetto per coloro che in nome dell’umanitarismo entravano in conflitto con le istituzioni, specificando che: “Quando i partiti di maggioranza (quasi per intero il PD, di opposizione M5S e Lega in primis) movimenti extraparlamentari di destra, pezzi della magistratura, media di massa e opinionisti di vario tipo,.. si muovono tutti con lo stesso linguaggio e nello stesso solco c’è seriamente da preoccuparsi”.  Gli uomini del governo e del PD per raggiungere i loro scopi diretti (stoppare le migrazioni), e indiretti (le prossime elezioni) insieme ai tanti sicofanti e reggicoda presunti difensori della legalità infrangono le leggi più sacre del mare e le fondamentali Convenzioni internazionali che alle prime si ispirano.  E’ la grande vittoria di Salvini e dei fascisti. Per questa strada non si può certo escludere che parti significative di un elettorato arrabbiato e sfiduciato nelle prossime elezioni finiscano per scegliere il partito razzista originale alla sua copia “di sinistra” (??!!)  L’anima nera dei 5 Stelle e le contraddizioni de Il Fatto quotidiano e La Repubblica  Un ruolo fondamentale in questa deriva perversa l’ha svolto il sedicente partito della onestà e della legalità, il M5S. Non ci sono parole per denunciare la funzione svolta in questi mesi contro i migranti e le organizzazioni non governative dal M5S di Grillo e Di Maio. Si è appieno rivelato il suo profondo opportunismo politico, la sua vena reazionaria e l’essere un ulteriore strumento nelle mani delle forze borghesi, un nemico dei lavoratori; questi hanno solo da temere, come sarebbe per le altre forze politiche maggiori, un suo arrivo al governo.  Molto significativo e negativo è anche che un personaggio come Travaglio e il suo giornale, Il Fatto Quotidiano, si siano incamminati su questa strada perversa per sostenere la campagna politica del M5S. Lo hanno fatto in modo aperto contro le ONG, con le interviste ai magistrati che le hanno inquisite, con i titoli del giornale, cercando poi di preservare la loro “anima” e una parte dei loro lettori con interviste od articoli che andavano in altra direzione: complessivamente un disastro vergognoso.  Per quanto riguarda “La Repubblica”, la sua direzione, sembra essere stata spaventata dalla corsa verso l’abisso e ha cercato di salvare la faccia e di contenere l’inumanità dilagante facendo scendere in campo le sue maggiori firme, il direttore Calabresi (“Perché non vinca la propaganda” 8 agosto), l’ex direttore Ezio Mauro (“L’inversione morale” 9 agosto) che scrive: “Di questa estate italiana resterà una svolta nel senso comune dominante, dove per la prima volta il sentimento umanitario è finito in minoranza. E peserà sul futuro.” Massimo Giannini il 6 agosto (“Il silenzio della sinistra”) arriva a scrivere. “C’è solo una cosa che indigna di più, di fronte all’insopportabile ondata della “mitologia social-xenofoba”: l’eclissi della sinistra, la scomparsa della società civile. Non un pensiero, non una parola che riescano non dico a confutare (sarebbe chiedere troppo, in questi tempi di buio culturale) ma almeno ad arginare l’uso politico della paura e dell’odio contro i migranti. Solo un silenzio colpevole, che asseconda quiescente (se non addirittura consenziente) il cosiddetto “sovranismo” della destra, che lucra rendite elettorali all’incrocio fatale tra il malessere identitario e l’impoverimento economico”.  Giusto, solo che Giannini sta parlando di una sedicente sinistra e per di più mette nello stesso sacco i progressisti di governo e quelli di piazza. Non ci risulta che La Repubblica e lui stesso abbiano dato voce alle forze della “sinistra di piazza”, e tanto meno che abbiano valorizzato la sua opposizione al governo e alle sue scelte, a partire dal rigetto delle politiche di Minniti.  Per di più La Repubblica non è certo esente da gravi responsabilità. Con tanti suoi articoli, con le sue titolazioni ha favorito la dislocazione dell’opinione pubblica in senso reazionario, oltre ad essere uno strumento di sostegno del governo e del PD.  Dare a Cesare….  Infine diamo a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio.  I vescovi cattolici si sono schierati a fianco del governo e di Minniti, in aperta contraddizione con importanti settori del popolo cattolico. Il messaggio è chiaro ma altrettanto chiaro è il silenzio totale in questa materia del Papa, così tanto apprezzato anche a sinistra, mentre le cronache giornalistiche lo danno intento a cercare di comprendere l’attuale società attraverso l’opera di Bauman e ad approfondire gli Esercizi spirituali di Ignazio Loyola. Certo, gli esercizi spirituali perché gli esercizi materiali della Chiesa sono strettamente collegati ai poteri terreni dominanti; la Redenzione è pur sempre per un altro mondo.  Il silenzio della classe deve finire per ritornare umani  Ma oltre al silenzio di una certa sinistra collegata alla borghesia, c’è un altro silenzio che pesa ancor più sulle dinamiche sociali attuali, è quello delle forze sindacali confederali che semplicemente non hanno espresso né parola, né iniziativa alcuna. Non è un caso perché i loro gruppi dirigenti sono legati da tempo alle compatibilità capitalistiche a cui hanno assoggettato le lavoratrici e i lavoratori provocando la loro apatia e passività.  E infatti è proprio la presenza e l’azione del movimento operaio come soggetto politico che manca in questa fase storica e che accentua a dismisura le dinamiche così negative che abbiamo richiamato. E’ difficile, anzi impossibile, costruire la solidarietà tra gli sfruttati, renderla credibile, smascherare i personaggi alla Salvini e alla Meloni, contrastare la banalizzazione dell’inumanità e le divisioni senza l’iniziativa attiva della classe.  La classe lavoratrice è storicamente il soggetto portatore della giustizia, della solidarietà e prima ancora della democrazia. E’ certo vero che non sempre su grandi questioni civili e dei diritti, siano state le forze del movimento dei lavoratori ad esserne gli iniziatori, ma è anche altrettanto vero che solo con l’attivazione e l’assunzione da parte della classe di queste tematiche è stato possibile coinvolgere l’intera società e vincere grandi battaglie battendo padroni ed avversari politici. L’elenco è lungo, dal voto alle donne, al divorzio, alla legge per l’interruzione della gravidanza, alla difesa dei diritti democratici della costituzione com’è avvenuto ancora il 4 dicembre 2016.  Resta un soggetto fondamentale per la difesa della solidarietà contro le barbarie incombenti; serve una sua riattivazione intorno a un programma di difesa dei suoi diritti sociali ed economici quindi di unità di tutti i lavoratori, quindi di solidarietà coi migranti. Anche perché il movimento dei lavoratori è chiamato a fronteggiare questa nuova sfida inevitabile, come rispondere ai drammatici rivolgimenti in corso e alle nuovi migrazioni? Prima trova un programma coerente, lavorando per l’unità di tutti gli sfruttati e prima sarà possibile prospettare un nuovo futuro di giustizia contro ogni tipo di barbarie.  Per questo le pur modeste forze della sinistra radicale ed anticapitalista sono egualmente importanti. La loro voce è modesta, ma tanto più necessaria perché oggi occorre andare contro controcorrente e serve il loro massimo impegno. Nelle prossime settimane, nell’autunno devono spendere tutte le loro forze per cercare di rianimare un ciclo virtuoso di lotta sociale, combattendo contemporaneamente i padroni e il suo governo e le forze della destra razziste e fasciste.  Spetta a loro il compito di ridare credibilità alla battaglia per la giustizia sociale, i diritti, la solidarietà degli sfruttati, cioè aiutare uomini e donne, le classi lavoratrici a riprendere la loro umanità.  13 agosto 2017 Franco Turigliatto - Sinistra Anticapitalista
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siciliatv · 3 years
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Oggi alle ore 18, piazza Cavour, presidio a sostegno di Donne, Bambini e di tutto il Popolo Afghano
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Questo pomeriggio il Centro Antiviolenza Gloria/Sportello LGBT+ (di Favara), si farà promotore di un Presidio, a sostegno di Donne, Bambini e di tutto il Popolo Afghano. L'appuntamento è per le ore 18:00 in Piazza Cavour – Favara. "Noi tutti proviamo un grande senso di impotenza e dolore per le Donne e i Bambini Afghani che stanno soffrendo e subendo ogni forma di violenza", dice la Dott.ssa Liliana Militello, Responsabile Centro Antiviolenza Gloria/Sportello LGBT+ (Favara).   "Esprimiamo la nostra totale solidarietà a tutti coloro che stanno cercando di lottare e di resistere alla dittatura - continua Liliana Militello-. Non possiamo stare inermi, non possiamo permettere tutto questo! Noi vogliamo esserci, dobbiamo esserci, chiediamo e auspichiamo che lo Stato Italiano e tutti, agiscano e mettano in atto ogni azione possibile per aiutare il Popolo Afghano e liberare tutti, Donne e Bambini dai soprusi, dall’oppressione e dalle ingiustizie che stanno subendo! Chiediamo che vengano attivati corridoi umanitari che aiutino e permettano alle persone di fuggire e mettersi in salvo da questo inferno".   "Per questi motivi, nel rispetto delle norme anti covid - conclude Milutello - il Centro Antiviolenza Gloria/Sportello LGBT+ di Favara, desidera coinvolgere tutti i cittadini uomini e donne, le associazioni, le parrocchie, le forze politiche e chiunque voglia partecipare, per dare vita ad un Presidio giorno 1 settembre alle ore 18:00, in Piazza Cavour – Favara. Perché nessuno può tirarsi indietro dinanzi a simili tragedie umanitarie, piuttosto interroghiamoci su quello che possiamo fare, poiché la loro lotta, la loro resistenza è anche la nostra! Read the full article
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Un'altra Mantova di Vincenzo Corrado
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Non solo storie Un'altra Mantova di Vincenzo Corrado edito da Editoriale Sometti, è un’accattivante raccolta di storie, raccontate dall’autore nel corso della sua professione di giornalista professionista. Accattivante, perché non si tratta di racconti di fantasia, ma di storie reali, che l’autore ha selezionato tra le tante che ha indagato e riportato nelle colonne della Gazzetta di Mantova, il quotidiano in cui lavora come redattore da dodici anni. Per Vincenzo Corrado, però, queste storie erano monche, dovevano essere “ripescate”, perché dietro c’era molto di più. Erano storie che raccontavano altro, mondi sommersi ma anche semplici storie che non dovevano essere dimenticate, perché umanamente rilevanti o perché di stimolo ad una riflessione ben più ampia. Mantova è un microcosmo che ingloba in scala ciò che avviene, né più né meno, in Italia. Maestri di giornalismo, clochard, operatori umanitari, club e musica live, truffatori del pallone, a Mantova c’è tutto e l’autore sentiva il bisogno di raccontarlo. Vincenzo Corrado, classe 1987, è catanese di nascita e mantovano d’adozione. Attualmente si occupa di cronaca ed è uno dei redattori che cura l’aspetto editoriale del sito internet della Gazzetta di Mantova e dei canali social a esso collegati. Nel 2010 con l’articolo Arte e speranza nei territori dilaniati dalla guerra si è aggiudicato la targa Athesis nell’ambito del Premio giornalistico nazionale Natale UCSI - Unione cattolica stampa italiana. Nello stesso anno è stato tra i vincitori del Premio letterario 800 euro... forse! organizzato dalla Cgil di Mantova. E’ coautore di 5G e il complotto maledetto. L'inchiesta che smonta tutte le fake news (Amazon, 2020). Abbiamo avuto il piacere di scambiare alcune battute con l’autore e ci siamo fatti raccontare qualcosa in più sul libro e sui suoi progetti futuri. Un'altra Mantova di Vincenzo Corrado Partiamo dall’inizio. Perché ha sentito il bisogno di raccogliere e raccontare in un libro fatti e storie di cui si è occupato nel corso del suo lavoro di giornalista? Diciamo che esistono vicende paradigmatiche, che hanno un valore universale. Sono convinto che ogni singola storia umana abbia in sé elementi utili per comprendere fenomeni articolati: per esempio raccontare le difficoltà di un gruppo di migranti può essere uno spunto per una riflessione su un tema molto complesso e di grande attualità come il razzismo. In buona sostanza sentivo la necessità di andare oltre la cronaca, il tentativo è stato quello di partire da un fatto singolo per stimolare un ragionamento più ampio. I temi su cui invito a riflettere sono decisamente diversi tra loro: dal calcio alla povertà, dal giornalismo al nostro approccio ai social network passando per la guerra e le difficoltà dei giovani. C’è un criterio che ha seguito per la selezione delle storie di “Un'altra Mantova” oppure ha scelto esclusivamente quelle che l’hanno coinvolta emotivamente? Ho scelto le storie che meglio potessero dimostrare un assunto ben preciso: a Mantova come in qualsiasi altro luogo è possibile osservare fenomeni universali, farsi un'idea di come gira il mondo. Dal punto di vista quantitativo succedono molte più cose a Londra o a New York, questo è ovvio, ma volevo rivendicare l'importanza della "provincia" intesa come pezzo di mondo vivo, popolato da persone illuminate e persone spregevoli, fatti positivi e altri disdicevoli. Vorrei che dopo aver letto "Un'altra Mantova" qualcuno pensasse: "Forse dovrei stare più attento a ciò che succede sotto casa mia, nel mio quartiere o nel paese vicino e smetterla di pensare che il meglio accada sempre da un'altra parte". Nel suo libro lei affronta temi importantissimi, tra cui la solidarietà, e racconta ne Il clochard e la dolce vita una storia bellissima a lieto fine, che è uscita dai confini di Mantova. Qual è il sentimento predominante di un giornalista quando una bella notizia ottiene un tam tam così importante? Chiaramente fa piacere quando una bella notizia diventa "virale", ne abbiamo un disperato bisogno visto il periodo buio che stiamo attraversando da oltre un anno a causa della pandemia. Però va considerata anche l'altra faccia della medaglia e cioè che più la notizia circola, più purtroppo c'è il rischio che venga "inquinata". Mi spiego: io scrivo un articolo dopo aver parlato direttamente con i protagonisti, ho assistito di persona alla vicenda, la mia è prima di tutto una cronaca fedeli ai fatti; nel momento in cui la notizia viene ripresa da altre testate può capitare che chi se ne occupa aggiunga dei particolari o ne sottolinei un aspetto in particolare (per errore o magari per rendere la news più attraente per il lettore). Mi è capitato di leggere una vicenda raccontata da me su un giornale nazionale che ne ha stravolto il senso per assecondare la propria linea editoriale: ecco, se dovessi dire cosa non è il giornalismo è proprio questo, piegare i fatti alle proprie opinioni. Mi racconta qual è, secondo lei, un aspetto brutto ed uno bello del suo lavoro? Sono una persona molto curiosa quindi l'aspetto positivo del mio lavoro è l'obbligo di essere costantemente informato, conoscere ogni giorno fatti nuovi, ampliare le mie conoscenze in vari campi. L'aspetto negativo è parente stretto del positivo: capita a volte di doversi occupare di vicende emotivamente pesanti, ad esempio fatti di cronaca nera, ma fa parte del gioco, nel mondo capitano ogni giorno tragedie che tendiamo ad ignorare, ma ciò non toglie che esistano. E qualcuno dovrà pure raccontarle.  Mi ha colpita il suo mettersi a nudo in tante storie, raccontando il suo carattere, le sue debolezze, i suoi attacchi di panico, il forte senso etico e di giustizia. Perché ha deciso di condividere con i lettori il suo privato? Per quanto riguarda le debolezze e gli attacchi di panico sono fermamente convinto che se ne parli troppo poco, sono tabù che vanno abbattuti a tutti i costi e per farlo serve il coraggio di esporsi, a tutti i livelli, in una discussione al bar come nelle pagine di un libro. Non esistono super uomini e super donne, il modello di perfezione a cui un po' tutti tendiamo è tossico e porta soltanto infelicità. Ho deciso di raccontare alcune mie esperienze sperando che sempre più persone facciano lo stesso, nessuno deve sentirsi solo nei momenti difficili, ognuno di noi ha dei limiti e deve imparare a riconoscerli per vivere meglio. Allo stesso modo temi come il senso di etica e giustizia vanno rivendicati, aggrapparsi al "così fan tutti" per giustificare comportamenti vili o scorretti è patetico e alla lunga dannoso per chiunque. Prima o poi la vita presenta sempre il conto, meglio arrivare all'appuntamento con la coscienza il più possibile pulita. Che progetti ha per il futuro? Ha pensato ad un altro libro? Ho da poco terminato il mio primo libro di narrativa, verrà pubblicato entro la fine dell'anno. Dalle storie di "Un'altra Mantova" ho deciso di fare il salto verso la finzione letteraria, seppur rimanendo ben ancorato al reale e al quotidiano. Ne è venuto fuori un libro di cui sono molto soddisfatto, schietto e diretto.  Read the full article
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jamariyanews · 6 years
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Francesca Totolo: “Ecco perché Ong e media mainstream ce l’hanno con me”
Di
Adolfo Spezzaferro
25 luglio 2018 Francesca Totolo, collaboratrice del Primato Nazionale, è finita negli ultimi giorni nell’occhio del ciclone per le sue esplosive inchieste sul discusso salvataggio di Josefa e sulle “bufale” della Ong Open Arms. La stampa mainstream, infatti, sta cercando di dipingere la Totolo come una fantomatica spia per conto della Russia o dell’Ungheria, che avrebbe giurato guerra a chi salva vite umane, e lo farebbe grazie ai soldi di CasaPound, in un delirio di trame occulte e di fake news senza ritegno, “stalkerizzata” da giornalisti come Andrea Palladino, ossessionato dai legami con la Tartaruga Frecciata. L’abbiamo dunque contattata per capire meglio che cosa sta succedendo oggi nel Mediterraneo. Sei stata accusata di diffondere fake news. Che rispondi ai tuoi critici? Quando un giorno i media mainstream riusciranno a dimostrare che le mie sono fake news, ne prenderò atto. Finora non ci sono riusciti, e un motivo ci sarà. Loro hanno bisogno di carnefici, come Putin, Orban, Salvini, CasaPound, adesso Francesca Totolo. Loro non si documentano, fanno affermazioni ridicole, come i russi che manipolano le elezioni negli Usa. E hanno tutti i mezzi per contrastare chi, come me, vuole far conoscere la verità. Non sarà che la tua ricerca approfondita e il tuo continuo e dettagliato fact-checking sulle attività delle Ong nel Mediterraneo sia una voce scomoda, controcorrente rispetto alla vulgata sull’eroismo umanitario di questi signori? Io è un anno e mezzo che mi occupo di Ong, documentando tutto con le rotte riportate da MarineTraffic, e con fonti verificate e neutre, con informazioni prese anche dagli stessi siti delle Ong. Non ho mai scritto o pubblicato qualcosa di non verificato, ho soltanto messo in ordine i pezzi. Mostrando l’incoerenza dei salvataggi, che avvengono praticamente sulle spiagge libiche. I media mainstream cercano di screditare tutto il tuo lavoro di ricerca focalizzando l’attenzione sullo smalto di Josefa. Come a dire che le tue competenze servono soltanto ad attaccare le Ong. Io mi sono semplicemente posta la questione di come mai questa naufraga avesse le unghie smaltate di rosso quando è sbarcata a Palma di Maiorca. Fatto che coincide con la narrazione delle Ong – che sostengono che le migranti scappano dalla fame, dalla miseria e della guerra – secondo cui Josefa dopo 48 ore in mare (fatto impossibile, come documentato anche dal Sole 24 Ore: al massimo si sopravvive 24 ore, con una tempra eccezionale e condizioni meteo favorevoli) senza né acqua né cibo, su un relitto di un gommone – quindi immersa quasi completamente in acqua e senza alcuna ustione dovuta al sole di luglio, esposta anche al riverbero dell’acqua – una volta salvata e portata a bordo della nave della Open Arms, con tanto di foto scattata dall’Ong, mostra delle mani perfette, senza alcun segno della permanenza in acqua, e con tanto di smalto rosso, palliativo psicologico – sempre a detta delle Ong – per lenire le sofferenze. Questi dubbi li hai sottoposti alla Open Arms? Ho cercato di contattarli in ogni modo, anche sui social, dove la loro attività è febbrile, ma niente: non ho avuto alcuna risposta. Hai mai provato a salire a bordo di una nave di una Ong? Ho chiesto a tutte le otto Ong che operano nel Mediterraneo di salire a bordo, di accreditarmi per documentare le loro attività. Per verificare di persona. Ma non ci sono mai riuscita. Secondo te, perché le Ong per prime non documentano tutto in tempo reale, per dimostrare che stanno operando nella legalità, con tanto di mappatura delle rotte e coordinate dei salvataggi? Forse hanno qualcosa da nascondere? Direi che è presumibile che sia così. Anche perché ci sono Ong che sono sempre visibili, perché hanno il transponder acceso e sono quindi tracciabili su MarineTraffic. Come nel caso di Sea-Watch, che si posiziona davanti alle coste libiche. Questo invece non succede mai con Open Arms. Infatti, con l’ultimo salvataggio, quello del 17 luglio, sono “scomparsi” per poi riapparire sul luogo dove avrebbero rinvenuto il relitto del gommone di Josefa. Da cui tutta la campagna diffamatoria contro Italia e Libia. Sono accuse pesanti: hanno detto al nostro governo e a quello libico di aver lasciato morire due donne e un bambino. Hanno detto così, ma è impossibile che la Guardia costiera libica abbia lasciato morire qualcuno. Perché? La Guardia costiera libica – che, ricordo, è addestrata dalla nostra Guardia costiera e dalla flotta nella missione Sophia – è costantemente monitorata dalle navi dell’operazione Sophia, ha l’obbligo di registrare in audio e video tutti i salvataggi che effettua nella zona Sar [ricerca e soccordo, ndr] di competenza. Infatti, nella vicenda di Josefa, è impossibile che i libici abbiano lasciato in mare lei e i cadaveri dell’altra donna e del bambino. I salvataggi sono avvenuti il 16 pomeriggio, a 16 miglia nautiche dalle coste di Homs, e un altro nella notte tra il 16 e il 17 a 76 miglia da Tripoli. In questo caso era a bordo la giornalista della rete tv tedesca Ntv, che ha documentato lo svolgimento delle operazioni di soccorso. Ebbene, i libici non hanno lasciato nessuno in mare. Anche perché fanno salire a bordo uomini da 100 chili, ti pare che non riescono a trasportare una donna che si rifiuta di essere salvata perché non vuole tornare in Libia? Sul relitto in ogni caso non c’è alcun cadavere. Ma sono tante le incongruenze nella versione di Open Arms. Che cosa non torna, secondo te? Il relitto di un gommone con a bordo il cadavere di una donna, quello di un bambino e Josefa è impossibile che dal salvataggio del 16 pomeriggio abbia potuto percorrere cento miglia nautiche di scarroccio [spostamento trasversale per azione del vento, ndr], fino al punto dove il 17 mattina sarebbe stato individuato da Open Arms. In sette ore e con correnti contrarie, poi. Impossibile. In ogni caso è impossibile che la Guardia costiera libica abbia abbandonato una donna in mare o i corpi della donna e del bambino. C’è un rispetto per le salme, molto sentito per chi è di fede musulmana. Non hanno mai lasciato nessun corpo in mare. Poi c’è un’altra questione che va chiarita. Quale? Le Ong sostengono che la Guardia costiera libica affonderebbe le navi dei trafficanti con i migranti a bordo. Non è affatto vero: ha sì l’obbligo di affondare barconi e gommoni, ma soltanto una volta effettuato il trasbordo di migranti e scafisti. E’ una direttiva di Frontex. Altra inesattezza – chiamiamola così – è quella riportata dalla Stampa: una giornalista sostiene di aver intervistato un sedicente colonnello della Guardia costiera libica, che avrebbe confermato che i suoi avrebbero lasciato dei corpi in mare. Peccato che questo colonnello non esista. E che l’unico che può parlare, il portavoce ufficiale della Guardia costiera libica, abbia smentito l’esistenza del colonnello e soprattutto che loro abbandonino i corpi in mare. Anche perché monitorati da operazione Sophia. Si vede fin troppo spesso il dramma dei corpi recuperati e sbarcati dalle motovedette libiche. Certa stampa tradizionale, chiamiamola così, quindi prende per oro colato le dichiarazioni delle Ong, non verifica nulla e riporta la loro versione dei fatti senza fare i dovuti controlli di fonti e circostanze – come stanno facendo con te in questi giorni – perché il messaggio che deve passare è che le Ong hanno ragione e chi invece cerca di fare luce sulla verità ha torto? Spesso gli articoli pubblicati sono vere e proprie trascrizioni dei comunicati delle Ong. Perché le Ong salvano vite. Invece è proprio il contrario. In che senso? Con le operazioni delle Ong il numero delle morti in mare è aumentato. Sia in valori assoluti che rispetto alle partenze. Questo significa che il pull factor delle Ong sui migranti, che li ha spinti ancora di più a partire, ha fatto impennare i naufragi e quindi le morti in mare. Anche perché già nei Paesi d’origine sono attirati dalla propaganda secondo cui in Europa si vive bene e tutti hanno macchina, casa e vestiti firmati. Non a caso, in Italia non sbarcano quasi mai migranti denutriti, in condizione di vera miseria. Oltre a essere per oltre l’80 per cento maschi, che lasciano a casa mogli, madri, figlie e sorelle, anziani e bambini scappando dalla guerra, dicono. Prima delle elezioni politiche in Italia del 4 marzo, nonostante condizioni meteo favorevoli, tutte le navi delle Ong erano nei porti di supporto. E che cosa è successo? Si sono azzerate le partenze dalla Libia. E non è morto nessuno. Questo significa che se non ci sono le Ong davanti alle coste libiche, i trafficanti non partono. Perché gli scafisti sanno benissimo quando arrivano le navi delle Ong, visto che queste stesse pubblicizzano con proclami sui social network quando partono e dove sono dirette. Il business dei trafficanti è la causa delle tragedie, come nel caso della strage di migranti a Lampedusa, che giustificò la missione Mare Nostrum. Missione poi ritirata dal direttore di Frontex, perché stava facendo pull factor. Tu adesso, come ricercatrice indipendente, sei tra i massimi esperti di traffico di esseri umani e attività delle Ong, eppure cercano di dipingerti come una fantomatica esponente di una rete internazionale di contatti anonimi e fonti segrete che lavora a screditare le attività umanitarie di chi salva vite umane… Io ho cominciato con Luca Donadel, con il suo portale d’inchiesta sulle attività delle Ong, sulle attività finanziate da George Soros finalizzate a favorire l’immigrazione in Italia, documentando il tutto. Così ho verificato che quelli delle Ong non sono salvataggi, sono traghettamenti. Il salvataggio avviene quando qualcuno su una imbarcazione è in pericolo di vita, non quando è appena partito da una spiaggia. Da questo dato di fatto è partito tutto il mio lavoro, puntando sui social per avere quella visibilità che le testate tradizionali non mi hanno mai dato. Nessun giornale mainstream ha pubblicato le mie inchieste. Sono partita con Twitter e poi con Facebook. Così molti che si occupavano di rotte e di Ong mi hanno contattato. E’ nata una rete condivisa di supporto per un’informazione trasparente. Non c’è nessun finanziatore occulto. Sono soltanto io, che ci metto la faccia e firmo tutto quello che scrivo. La mia inchiesta su Soros è stata tradotta in sette lingue. Questo spiega perché sono stata intervistata o contattata più volte da testate internazionali, compresa Sputnik News. Vengo contattata non per commentare i Mondiali di calcio o per cosa succede in America latina, ma per commentare fatti che riguardano le attività di Soros, l’immigrazione e le Ong. Ora però ti definiscono una influencer, come se facessi pubblicità a qualche marca di vestiti… invece semmai pubblicizzi ben altro, verità scomode. Perché, scusa, non sei una giornalista? Sono talmente influencer che Facebook mi ha bannato per un post su Josefa. La motivazione: bullismo e intimidazione. Come ormai tutti sanno, scrivo per il Primato Nazionale, il primo giornale che mi ha dato la possibilità di scrivere tutto quello che scopro e che voglio che si sappia, senza toccare una virgola. Il primo giornale che ha voluto pubblicare le mie inchieste, anche coraggiosamente, perché lo capisco bene di essere scomoda. Motivo per cui la nostra collaborazione andrà avanti per sempre. Non sono una giornalista iscritta all’Albo perché per farlo dovrei sottoscrivere la Carta di Roma, il codice deontologico sull’informazione circa l’immigrazione, voluta da Soros. Sarebbe assolutamente incoerente. Adolfo Spezzaferro Preso da: https://www.ilprimatonazionale.it/cronaca/francesca-totolo-ecco-perche-ong-e-media-mainstream-ce-l-hanno-con-me-90142/ https://ift.tt/2OLK2Iy
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