Tumgik
#pensieri letti per caso
spettriedemoni · 1 month
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Se vogliono parlarti, lo faranno. Se vogliono stare con te, ci staranno. Se vogliono far funzionare le cose, ci proveranno. Non lasciare che nessuna relazione in cui sei coinvolto sia unilaterale.
Non è sano e non è giusto per te.
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notizieoggi2023 · 4 months
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Seguici sul:https://notizieoggi2023.blogspot.com/2024/01/limprenditrice-digitale-in-cura-da-uno.html L'imprenditrice digitale in cura da uno psicologo dopo lo scandalo Dopo lo scandalo del caso Balocco, Chiara Ferragni si trova a vivere un mix tumultuoso di emozioni tra vergogna e sensi di colpa. Per superare questo momento estremamente delicato, è possibile che sia ritornata ad intraprendere una terapia EMDR. Ma di cosa si tratta? Scopriamolo insieme all’interno di questo articolo. Ecco tutti i dettagli. Chiara Ferragni è in terapia EMDR: di cosa si tratta Da giorni non si fa altro che parlare di Chiara Ferragni. Dopo le accuse di falsa beneficienza, l’imprenditrice digitale è stata sommersa da una pioggia di insulti, critiche e polemiche, diventando il centro dell’attenzione mediatica. Dopo una lunga assenza dai social, l’influencer è riapparsa con una foto accompagnata da un breve messaggio di scuse e ringraziamenti. Tuttavia, cosa si nasconde dietro questi scatti? Qual è il reale stato d’animo dell’influencer? Stando a quanto spiegato dallo psicologo e psicoterapeuta Andrea Botti a Il Messaggero, alla base dell’allontanamento dal web ci sarebbero emozioni che vanno “dalla colpa alla vergogna all’inadeguatezza, fino all’impotenza di non riuscire a cambiare la situazione”. Per sostenere tutta questa negatività, è possibile che sia tornata ad intraprendere una terapia EMDR. Si tratta di un particolare approccio terapeutico che viene impiegato per risolvere traumi o stati di stress psicologici. Lo scopo principale dell’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) è quello di consentire al paziente di elaborare in maniera corretta il trauma. E’ un metodo che non cancella i ricordi personali, ma elimina le sensazioni negative ad essi associate. Chiara Ferragni è in terapia EMDR: in cosa consiste una seduta Si basa sulla teoria secondo cui i disturbi che derivano da un trauma sono il risultato di una non elaborazione razionale (o non corretta) di quanto accaduto. È come se i ricordi legati all’evento siano rimasti “bloccati” nel paziente, ripresentandosi anche a distanza di tempo. La seduta si distingue in circa sei fasi differenti: esecuzione di un’attenta anamnesi del paziente, preparare il paziente a ricevere il trattamento, valutazione del trauma, desensibilizzazione, ristrutturazione cognitiva e scansione corporea. Successivamente, il paziente dovrà scrivere un diario nella settimana seguente per annotare la comparsa di pensieri legati al trauma e il terapeuta dovrà verificare se sono insorti nuovi disturbi. Questa terapia potrebbe davvero aiutare Chiara Ferragni a comprendere meglio le sue azioni e a ricominciare. Anche se è evidente che ha sbagliato, la cattiveria smisurata degli utenti del web non è giustificabile. GLI ARTICOLI PIU’ LETTI DI DONNEMAGAZINE.IT Chiara Ferragni, perché dopo il caso pandoro Coca Cola ha sospeso lo spot? | DonneMagazine.it Perchè il ritorno su Instagram di Chiara Ferragni è un fallimento? | DonneMagazine.it
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reallybadfeeling · 3 years
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FF Reclist del 2020
Sono tornata a postare su questo blog al solo fine di lasciare questa lista a caso di ff che ho letto nel 2020 e mi son rimaste impresse? La risposta è sì. E Buon Natale a tutti, eh! 
Star Wars [Trilogia Sequel]  (let’s be honest, son quasi tutte Reylo)
The Trail Bride Link: https://archiveofourown.org/works/17454824/chapters/41100980 Questa Western AU è una di quelle fic che anche se ho letto a gennaio ci ripenso e *chef kiss*. Avete presente quel slow burn dove prima arriva il smut, poi l’angst e infine il momento di falling in love? Ecco, 160k di sabbia negli stivali che apprezzi sul serio.
Tie Your Heart to Mine Link: https://archiveofourown.org/works/16143359/chapters/37718534 Potrei dire “chissene del p0rn” per questa storia perché GUYS, LA TRAMA IN QUESTA FF È PURE GOLD! Non solo c’è Rey che si spaccia per una dei Knights of Ren, ma i Knights of Ren in questa ff sono tante cose. Che poi aggiungiamo al mix jealous Kylo e… CIAONE! Mi son riletta i 147k+ di questa ff due volte quest’anno.
They Don’t Have A Word For What We Are Link: https://archiveofourown.org/works/17867792/chapters/42167327 Dicevo sopra dello slow burn? Ecco, FORGET ABOUT THAT. Questa è smut con contorno di trama. Sono 183k di Rey e Ben che fanno zozzerie? YEP. Ma se lo smut trascina la trama e far trasformare Kylo in Ben… WIN WIN AS FAR AS I’M CONCERNED!
The Termination Link: https://archiveofourown.org/works/20834045/chapters/49526072 Okay, NON consiglio questa storia ha chi ha problemi a leggere di gravidanze e aborti. Che fa sembrare questa ff molto più edgy di quel che è in realtà. Però è la ff con cui son stata introdotta alle Nightsisters prima ancora di sapere cosa fossero, AND I FELL IN LOVE WITH THEM! Che posso farci, ho un debole per i villain! E questi 62k in un paio di giorni si leggono NO PROB.
The DILF of Disneyland Link: https://archiveofourown.org/works/21535246/chapters/51335782 A dimostrazione del fatto che NON leggo solo long, questa cosina da 13k! Perché ci vuole anche un po’ di crack nella vita e questo è mild crack di quelli di qualità honestly
Gross Breylo (series) Link: https://archiveofourown.org/series/1246199 Avete mai avuto quella sensazione di “can I have more Ben? More Kylo”? Ecco, questa serie è quel guilty pleasure perché ci sono Ben, Kylo e Matt. In un sandwich di tutti i più comuni kink (e pure alcuni un po’ meno) con Rey nel mezzo (e a volte pure senza di lei cause why not?). Sooo conta come incesto o self-incest? Who know? Who cares?
Savage Beauty Link: https://archiveofourown.org/works/20921171/chapters/49735226 Lo ammetto, nonostante siano solo 77k, questa ci ho messo più del dovuto a leggerla. Plot heavy soprattutto verso la seconda metà, ma come detto ho un soft spot per i villain. Rey che per Kylo passa al Dark Side. Non vi rovino il finale, ma assolutamente vale la pena di buttarci energie (anche se rallenta dopo un inizio più accattivante).
The Wedding Necklace Link: https://archiveofourown.org/works/22513729/chapters/53796988 In generale non solo una fan dei rewrite o delle fix-it che seguono la trama di TROS. Ma questa storia ha un pretesto di trama così scemo e prometteva il tipo di happy ending che piacciono a me (quelli in cui la Reylo figlia)... 40k di fluff e silly crack spacciato per cose serie.
Pillow Talk Link: https://archiveofourown.org/works/20405317/chapters/48401371 Non sono una grande fan del tag “space virgins”. Anzi, non ho mancato di dire più volte quanto spesso mi irriti. Ma questi 93k di Rey e Ben in denial mentre son costretti a condividere il letto più sì che no? Awkwardness senza esser cringe. Che è sempre un requisito per quanto mi riguarda.
Supreme Leader & Last Jedi: Caught in the Act!!! CLICK HERE Link: https://archiveofourown.org/works/21798247/chapters/52015984 Ogni tanto ci vuole anche del porn for the sake of porn giusto? Ecco, questi 11k sono esattamente quello. Con un pizzico di crack che, you guys, dovreste aver capito che ho un soft spot per le scemate, no?
H.O.A.cus Pocus Link: https://archiveofourown.org/works/26955406/chapters/65788996 Una modern!AU di con Ben vicino rompipalle per motivi del tutto idioti? Enemies to lovers vecchio stile? 21k di kinda crack but also not? Eh… Sentite, ero in vena di qualcosa di meno plot heavy sotto halloween. E questa mi ha decisamente messo un bel sorriso in faccia.
Star Wars Rebels
(let’s be honest, son tutte Kalluzeb)
A Safe Haven Link: https://archiveofourown.org/works/25758262/chapters/62554666 Honestly, non mi aspettavo di divorarmi 146k di Kallus che si abitua alla vita da ribelle. But guess what? That’s what I did. C’è anche un seguito scritto giusto qualche giorno fa, ma è una roba breve. Anyway, sta ff mi ha uccisa di brutto, facendomi amare un botto di personaggi secondari. Scritta bene you guys. Vedetevi Rebels solo per shippare Kalluzeb e leggervi questa.
Come in from the Cold Link: https://archiveofourown.org/works/24562042/chapters/59820526 Welp, diciamo che dopo aver letto la ff precedente ed esser tornata al tag, mi son accorta che questa autrice aveva prodotto altra robina. E son inciampata in questa AU con Kallus che viene salvato dai ribelli. E poi c’è tutto un arco in cui Kallus cerca di redimersi che *chef kiss*. Ci sarebbe pure un seguito, ma mi puzzava di angst di quelli pesi ma pesi di brutti, e mi pareva di capire dai tag che ci sarebbe stato some kind of time travel fuckery. Quindi mi son accontentata di questa.
Dream Walking Link: https://archiveofourown.org/works/23857447/chapters/57341344 62k di due patate che più enemies to lovers di così si muore. Also, soulmates!Au… I mean, come puoi dire no? Con loro sto trope è proprio la morte sua. (ed è la stessa autrice delle due fic precedenti. Quindi you guys, assicuro che è scritta bene. The feels are strong.)
Purple heartstrings Link: https://archiveofourown.org/works/27454297/chapters/67118188 Ho detto che la soulmates!Au con loro è una trope che adoro? Ah ecco… Beh, questa mi è quasi dispiaciuto fossero solo 16k. Perché seriously, Kallus è ancora più patata. E adoro la famiglia Kallus che ci ha buttato come original character l’autrice. Son tutte patata e I WANT MORE! 
When You Pry it From My Cold, Dead Chest Link: https://archiveofourown.org/works/16373723/chapters/38320103 Okay, lo ammetto, ero entrata in un loop chiusissimo di soulmates!AU con la Kalluzeb. Ma son letteralmente una meglio dell’altra e tutte con il loro twist. Questa ad esempio sono 43k di feels distrutti di brutto perché l’enemies to lovers in questa ff è SO STRONG! Like, passatemi sopra con l’asfaltatrice e poi rompete tutte per trovarmi sotto ancora morente causa feels. 
Star Wars [trilogia prequel] (let’s be honest… Ah no, a sto giro ci son 2 ship! *surprised pikachu meme*)
Well It Goes Like This Link: https://archiveofourown.org/works/23977453/chapters/57673405 Avevo bisogno di good parent Anakin you guys. Non mi aspettavo però di trovare 62k di Anakin good parent di un gruppo di younglings invece che di Luke e Leia. But guess what? Mi ha scaldato il cuore lo stesso. Perché ALL OF THE FUCKING FEELS! Questa è una di quelle storie che finiscono apertissime e per cui vorresti da morire un seguito perchè JUST TOO SWEET! (E per chi ha visto Clone Wars e Rebels ci son anche cose che fan fangirlare di brutto. E ciaone.)
i grew up here till it all went up in flames Link: https://archiveofourown.org/works/23473327/chapters/56276515 I mean, di questa ff potrei pure dire soltanto 30k di Anakin che si fida di Obi-Wan e Padmé invece di farsi fregare da Palpatine. Also, baby!Leia e baby!Luke adorable as fuck, domestic fluff che please yes, Anakin vestito superfashionable and rocking it. Che altro devo dirvi you guys?
Master Mine Link: https://archiveofourown.org/works/22209502/chapters/53027014 De-aged Obi-Wan diventa il padawan di Anakin. E ovviamente Obi-Wan ha una huge crush immediata. CAUSE, YOU KNOW… Pensieri inappropriati, that’s a thing teeneagers have! No, sul serio, questa ff è proprio sul confine dell’under-age e delle dynamics fottute a bestia… Ma young Obi-Wan è just too sweet! (Also, sta ff conferma che per quando è affiancato a Padmé il fluff e l’angst la fanno da padroni. Se però è Obi-Wan il love interest… NOPE, FUCK THIS SHIT, GIVE ME THE INAPPROPRIATE PORN! XD C’ho problemi).
With a Warm and Tender Hand Link: https://archiveofourown.org/works/6054904/chapters/13881241 Vi sto per caso consigliando 38k di puro angst e porn? YES. Yes, that is what I am doing. Niente, cosa posso dire a mia discolpa? Che ho un soft spot per questi due che dopo essersi girati attorno per anni ammettono finalmente che si amano in modo completamente fottuto per poi fottere come ricci per rendersi conto suddetti sentimenti incasinati in realtà son racchiusi in una ammissione di demolezza e amore? … … … HO PROBLEMI. Ma la ff è super sweet in the most sexy way.
The Witcher (let’s be honest, son tutte Geraskier)
An All-Consuming Creature Link: https://archiveofourown.org/works/23408935/chapters/56101345 Questa è quella long infinita (163k) con una botta di angst, perlopiù Jaskier centric, in cui non solo c’è una trama al bacio, ma Geralt canta e l’autrice della ff ha scritto e composto musica! E è linkata you guys! Questa ff ha davvero tutto! Ho già detto Geralt che canta? Ecco, perché non importa che a un certo punto iniziate a chiedervi “WHY AM I EVEN READING THIS?!” La risposta è GERALT CHE CANTA PER JASKIER! (Ma poi l’angst potente e il modo in cui finisce *chef kiss*)
You Can’t Be My Sugar Daddy, We Don’t Even Have Sugar Link: https://archiveofourown.org/works/23075560/chapters/55199137 Il vero titolo di questa storia dovrebbe essere “Cause Geralt deserves nice things!”. Honestly, questi 50k non vi renderete neppure conto di averli letti. Si naviga nel fluff, nel crack e soprattutto nei feels!
The Smell of Heartbreak Link: https://archiveofourown.org/works/22776946/chapters/54427231 Niente, passiamo all’estremo opposto con questa ff. Se avete voglia di TANTO angst, fatevi un po’ una nuotata in questi 60k di Geralt e Jaskier che cercano di riparare la loro relazione. Il tutto con un contorno di maledizione random perché WHY NOT?!
If We Must Starve (Let it be Together) (series) Link: https://archiveofourown.org/series/1706485 Di solito non consiglio cose in corso. Mainly perché leggo solo complete. Ma questa ne vale la pena tantissimo. Al momento è appena sotto i 90k, e gli aggiornamenti della fic ancora in corso son sporadici. Ma se volete la cosa di “Geralt deserves nice things” pompata e ampliata a tutti i Witcher, THIS IS THE SHIT FOR YOU!
The Courting Season Link: https://archiveofourown.org/works/23708941/chapters/56928121 47k di fluff con Geralt che cerca di esser romantico e quello che è totalmente oblivious è Jaskier? YAS PLEASE! Seriously, sweet as fuck fluff con un pizzico di feels che è semplicemente *chef kiss*
To Understand Love Link: https://archiveofourown.org/works/24128269/chapters/58090600 Che posso dire? I’m a sucker for God!Jaskier. Questa è solo una delle ff in lista con quel tag, ma giuro, questi 53k valgono la pena. Tanto angst e BAMF Jaskier e personaggi originali che li adori a prescindere!
I’ll Be Your Voice Link: https://archiveofourown.org/works/25129009/chapters/60884227 Non so se son l’unica, ma… Geralt e Jaskier che crescono Cirilla? I like that. Ora, aggiungeteci anche bambino salvato a caso da Geralt! ESATTO! Una botta di fluff e angst e… I CAN’T EVEN! 36k che ho divorato in 2 giorni nonostante fossi occupata con lavoro quando l’ho trovata! (Ma c’è pure Jaskier che non è propriamente umano… RAGA, COMBO DI TAG per quanto mi riguarda!)
Detroit: Become Human (let’s be honest, son tutte 900Reed)
One does not simply say “I love you” (series) Link: https://archiveofourown.org/series/2051340 Ho un debole per le patate sceme? YUP. Quindi cosa vi aspettate?! Dovevo consigliare almeno una 900Reed. Non ne ho lette tantissime quest’anno, ma questi 60k totali son fluff e p0rn che val la pena.
/all the gun fights/ and the limelights/ [and the holy sick divine nights] Link: https://archiveofourown.org/works/19822831/chapters/46936537 Un titolo infinito per 85k di reverse!AU in cui alla fine fine ste due patate restano broken AF. Consiglio se volete trama e tanto angst e traumi di quelli pesi e… Ho menzionato due patate che si innamorano? Ah no?
chaos looks good on you Link: https://archiveofourown.org/works/24575989/chapters/59354422 Penso sia chiaro che ho un soft spot per le enemies to lovers. Questa è una di quelle super sweet. In particolar modo per colpa di RK900 che cerca di creare rapporti umani quando è convinto che tutti funzionino solo in pattern prevedibili e l’unico punto di chaos sia Gavin.
Despite It All Link: https://archiveofourown.org/works/26151949/chapters/63628915 Tecnicamente uno “spin-off” di una HankCon, questa soulmates!AU mi ha spezzata tantissimo causa angst e cretini in denial. Poi tra Gavin che è un pozzo di issues e 900 che è una patata supersoft… yeah, decisamente 50k di ALL OF THE ANGST!
Teen Wolf (let’s be honest, son tutte Sterek)
spiderweb of lies Link: https://archiveofourown.org/works/17212451/chapters/40474175 Ho un soft spot per i pg grumpy dal passato tragico che hanno cose belle nella loro vita. E mi mancava il fandom di Teen Wolf e son inciampata in questi 54k di Stiles che finalmente si accorge di quanto tossico sia Scott e rimette le cose a posto. Non è la best ff ever, honestly, ma c’è badass!Stiles. E non so dir di no a badass!Stiles (Ha pure dei seguiti, ma honestly dopo aver letto il primo I got tired of it all.)
What Goes Around Link: https://archiveofourown.org/works/13560651/chapters/31118688 Ecco, badass!Stiles è uno stile di vita se non era già chiaro. Questa ff porta la cosa all’estremo e lo trasforma in un cold blooded assassin. And I STAN THIS. In particolare perché c’è un Peter scritto benissimo in sta ff e… FIGHT ME, OKAY?! Ma poi tratta la moralità dei grey heroes tipo The Punisher… Yeah, 71k che non posso che consigliare (anche se l’inizio sembra slow)
I’d Do Anything (for you) Link: https://archiveofourown.org/works/20821298/chapters/49494104 Sempre sulla falsariga del badass!Stiles e dell’uccidere gente “for the greater good”, questa roba di 46k ha direttamente Stiles che parla con il nemeton. Ed è kinda un necromante but also not. Sta ff è in generale una delle Sterek migliori che ho letto negli ultimi anni. Principalmente perché ha un botto di tag che adoro. Quindi magari son di parte.
Critical Role (let’s be honest, son tutte WidowFjord)
now my charms are all o’verthrown Link: https://archiveofourown.org/works/23364643/chapters/60220915 Questa storia è l’unica long di Critical Role che ho trovato e ho letto fino alla fine. Quindi OF COURSE è finita con un cliffhanger. DANG IT! Sto ancora aspettando che sia finito il seguito perchè WORTH IT! 85k di pirate!AU? YAS PLEASE! Are you fucking kidding me?!
Definitely not a romantic sub-plot (series) Link: https://archiveofourown.org/series/1339861 Tecnicamente questi 21k son una rilettura di qualcosa che ho beccato l’anno scorso. Ma che io l’abbia riletta dovrebbe dirvi che è adorabile. E per chi mi conosce sa che non sono una fan del RPF, ma qui honestly Liam e Travis non sono davvero una romance, son più due scemi che fan gli scemi come il resto del gruppo. E ADORO l’alternarsi tra l’RPF e il gruppo che è in-game e fa cose ADORABLE AS FUCK!
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chiamatemefla · 4 years
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«Ancora non ci credo che sei del Novantadue.» Antonio si rigira tra le mani la sua carta d’identità, stranamente poco interessato alla foto da quindicenne con i capelli flosci, incredibilmente preso dalla sua data di nascita scritta storta sulla carta marroncina.
È marzo, sono le quattro del mattino, Giacomo dorme scomposto su una delle poltroncine della sala d’aspetto dell’aeroporto di Ciampino e Gabriele sta giocando, con poca fortuna e ancor meno coordinazione, a qualcosa sulla sua PSP.     
«Non capisco perché ti fa così strano.»
Antonio gli restituisce il documento, affonda il naso nella sciarpa che tiene stretta intorno al collo e fissa le insegne per il bagno di fronte a lui.
«È che avrei dovuto saperlo prima, se non altro chiedere, no che lo scopro quando mi inviti ai tuoi diciott’anni.»
«Se ti consola dovevo nascere l’anno prima ma ho deciso di farmi quindici giorni di vacanza in più. Poi, giustamente, mi madre s’è rotta er cazzo e s’è fatta fa il cesareo.»
«No, per carità, a dicembre no che poi nascevi sagittario.»
«Mo te ne intendi di oroscopo?»
«Vivici te con mia madre, poi vedi come te ne intendi di oroscopi.»
«E cos’hanno i sagittario che non va?»   
«Ma che ne so, so solo che non si reggono.»
«La Fra è nata a dicembre.»
«E che me lo dovevi di’...»
Gabriele impreca a bassa voce, schiaffeggiandosi la coscia con frustazione e svegliando un alquanto confuso Giacomo seduto nel sediletto accanto.
«Hanno aperto i banchi per il check-in?»
«Seh, lallero, dormi Giacomì che qua ne abbiamo ancora per un’ora e mezzo.»
Giacomo, neanche a dirlo, si è riaddormentato prima che finissero di parlare.
Il padre di Gabriele li ha scaricati nel parcheggio deserto dell’aeroporto nel freddo pungente delle mattine di fine febbraio, ha tirato fuori dal bagagliaio della sua gip le loro quattro valigie, e se n’è andato dicendo in tutto tre parole assonnate e uno “State attenti” bisbigliato da sotto alla sua barba scura.
Il padre di Gabriele sembra un po’ Hagrid se Hagrid fosse stato un carabiniere abruzzese con i capelli tirati indietro per nascondere i primi cenni di calvizie. Come Hagrid, però, era probabilmente l’uomo più buono e disponibile che conoscesse, talmente paziente da offrirsi per fargli lezioni di guida oltre che aiutarlo con la teoria.
Sua nonna continua a dire che, oltre al cesto, dovrebbero fargli un monumento. Suo nonno continua a chiederle quando lo farà anche a lui, che ha insegnato a guidare non solo a lei ma anche a quel gran pericolo della strada di zio Giulio, ma ogni volta viene zittito con un’occhiataccia.
Sotto ai giacconi, buttati addosso alla rinfusa con la scusa di non volerli dimenticare in giro, Antonio gli tiene la mano, gioca un po’ con le sua dita, a volte gliela stringe appena un po’ seguendo il flusso di pensieri che gli fa aggrottare le sopracciglia.
Gabriele li guarda, perplesso, prima di tornare al suo videogioco, Antonio ne approfitta per inspirare a fondo.
Secondo lui avrebbero dovuto dirglielo prima di partire, mettere le carte in tavola fin da subito e poi che arrivasse quel che doveva, avrebbero tranquillamente potuto passare la vacanza separati se l’idea fosse loro sembrata intollerabile.
Flavio aveva fatto il codardo.
«Jà, Fla’, ma ti conosce da quando siete bambini ma ti pare che ti smette di parlare?» aveva concluso Antonio, esasperato, appena poche ore prima, mentre tornavano a casa dopo essersi casualmente incontrati durante la passeggiata serale di quella bestia immonda del cane di Antonio che lo odia visceralmente e vuole la sua pelle.
«E se lo fa Giacomo?»
«E allora è un coglione e se se ne va lontano c’abbiamo guadagnato.»
La conversazione era andata così per i successivi cinquecento metri per finire quasi in lite proprio davanti al portone di casa sua dove Antonio aveva semplicemente sospirato, scosso la testa, e guardato negli occhi con la stessa espressione che ha ad ogni compito di latino riconsegnato con un bel quattro sopra.
«E mo cinque giorni come facciamo?» era stata la sua domanda, fatta con le mani in tasca e un po’ di imbarazzo nella voce, e Flavio aveva realizzato che non aveva pensato a quel dettaglio, che nel grande piano escogitato per non farsi scoprire non aveva messo in conto il modo in cui era diventato spaventosamente normale scambiarsi piccole attenzioni quando gli altri non guardavano.
«E mo cinque giorni so cazzi e solo metaforici, me sa.»
Sente la spalla di Antonio urtare la sua, si guarda intorno spaesato e lo vede solo ammiccare verso Gabriele che ha finalmente ceduto al sonno e si è addormentato, praticamente piegato a metà, abbracciato al suo zaino.
«Me lo dai l’ultimo bacio per il resto della settimana?» Antonio si è appoggiato sulla sua spalla e glielo sta praticamente soffiando nell’orecchio, lo stronzo, è sicuro che se potesse vederlo lo troverebbe a ghignare con una certa soddisfazione.
«Ma te facevi l’infame così pure co’ quello che t’ha mollato male?» 
«No, quello l’ho trattato fin troppo bene.»
«E allora il contrappasso ‘o devo pagà io? Famme capì.» 
«No, tu devi solo dare un bacio al tuo ragazzo.»
«E se ci vedono?» 
«Ma come se ci vedono? Mi baci dietro alla chiesa ad orario di messa e ti preoccupi se ci vede la signora delle pulizie di Ciampino? Abiti a un’ora buona da qua, ma chi ti conosce? E poi gli amici tuoi in coma stanno, mica possono svegliarsi mo mo. Che sono, i belli addormentati pe’ corrispondenza? Qualcuno si bacia e loro si alzano? E dai!»  
*
Ha spedito tre cartoline: una ai suoi nonni, una a Chiara, una a zio Giulio. Sono belle cartoline, foto nitide nella luce aranciata del tramonto, tutte simili, con la stessa vista del centro storico preso da Ponte Carlo.
Poi ha comprato una cartolina anche per sé, per scriverci su l’itinerario ed infilarla in quello che, in principio, doveva essere un album fotografico ma stava diventando, pian piano, il suo atlante personale. Aveva iniziato a farlo da bambino, quando visitava un posto nuovo ogni domenica e non aveva una macchinetta per immortalare le colline toscane o il mare azzurro azzurro di Gaeta, aveva continuato dopo il suo viaggio in Francia con la scuola al terzo anno di liceo, dopo la gita in Inghilterra in quarto e per la trasferta in Sicilia dell’estate scorsa.
La cartolina che compra in uno dei tanti negozietti di souvenir di Praga ha stampato sopra un disegno stilizzato della piazza centrale, poche linee nere su fondo bianco, ché non ha voglia di una foto che gli ricordi di quel viaggio — ne ha già tante, più o meno belle, e l’unica che vorrebbe stampare la può, purtroppo, solo tenere impressa nella mente.
Un quadretto di un bianco asettico che ha come protagonisti una moquette polverosa, Antonio, due trolley azzurri, la chiave magnetica per una camera doppia e il ghigno che si apre sul viso del suo ragazzo alla vista di quel letto matrimoniale senza spalliera e con le lenzuola ancora da mettere.
Non è la prima volta che dormono insieme. Lo hanno fatto in tempi non sospetti, quando Antonio aveva troppo da fare col suo telefono che non prendeva nella casa tra i monti abruzzesi in cui Gabriele li aveva trascinati per pasquetta. Lo hanno fatto a capodanno, tra mille imbarazzi per un bacio dato due settimane prima e di cui nessuno dei due aveva fatto parola, una notte che, per quanto breve, era stata passata a prendere le misure.
Era arrivato febbraio, erano diventati “una cosa”, ed ora che è fine marzo si chiede se abbia senso imbarazzarsi così al solo pensiero di condividere il letto con qualcuno che ha dormito con te più di quanto tu non abbia fatto con te stesso.
Antonio sembra genuinamente brillare all’idea.
«Sul sito facevano vedere due letti separati.» dice, senza smettere di sorridere, abbandonando il trolley accanto all'entrata per piazzarsi al centro della stanza tutto spettinato e col cappello di lana in mano. 
Flavio si sente estremamente fortunato e, fosse anche meno emotivamente costipato, lo direbbe.
Praga era stata un'idea di Gabriele, una scusa per partire tutti insieme ed un portare avanti la tradizione che vuole i futuri diplomandi in viaggio per l'Europa in quell'unica settimana di fine marzo che i professori, un po' contrariati, fingono di concedere visto il veto della preside a qualsiasi uscita didattica durante l’ultimo anno.
Il biglietto era stato prenotato a ottobre, le stanze a novembre, e mentirebbe se dicesse che non ci sta pensando da allora — ma a novembre era diverso, a novembre dopo infiniti tira e molla Antonio aveva rotto definitivamente con chiunque fosse la persona che lo faceva essere perennemente imbronciato e lui non riusciva ad essere altro che arrabbiato.
Pensava di essere protettivo nei confronti del suo amico e a quanto pare, invece, era solo geloso.
La loro camera, in ogni caso, doveva essere una semplice doppia, due lettini separati da un comodino che già stavano pensando a come spostare, e invece si erano ritrovati con una matrimoniale vista cortile. Il ragazzo al banco della reception si è scusato dieci volte, loro dieci volte con un inglese zoppicante hanno risposto che non importa.
In ascensore Antonio non aveva fatto altro che dargli spallate, Giacomo era riuscito ad addormentarsi in piedi, Gabriele aveva solo aggrottato le sopracciglia come se stesse cercando di mettere a fuoco qualcosa nell’aria calda di quella stanzetta semovente.
Ma non ci vuole pensare.
Lo specchio alla sua destra gli restituisce un’immagine che, si accorge, non ha mai visto prima - ed anche quella sarebbe una bella cartolina, si dice, ma sa che ne sarebbe geloso, che non permetterebbe a nessun altro di guardarla.
Due ragazzi abbracciati, fronte contro fronte, le labbra che sanno ancora di baci e i capelli schiacciati dai berretti che hanno indossato fino a poco prima — sembra quasi la scena di un film, di quelli che non guarderebbe se passassero in tv ma che andrebbe a cercare quand’è solo per piangerci in silenzio.
Si sporge di nuovo per sfiorargli le labbra ancora una volta, lo sente sorridere, accarezzargli le guance come fa ogni volta che lo bacia e sanno di avere un quarto d’ora prima di uscire di nuovo, imbacuccati e col naso nelle sciarpe, a cercare di sfiorarsi casualmente e passarsi la birra con fare distratto.
Sente il naso di Antonio solleticargli il collo, un bacio che si posa lì dove comincia la spalla e la vibrazione leggera di una risata silenziosa contro la pelle.
«Che dici, è il momento sbagliato per dirti che ho portato il pigiama del Napoli?»
*
Non è successo a Praga, non è successo a pasquetta, non è successo neanche al compleanno di Giacomo quando tutti intrisi di alcol come neanche i vecchi stracci con cui pulivano le scale del suo palazzo né in uno dei qualsiasi momenti in cui poteva succedere e non è successo.
Di notte il belvedere è bellissimo, i paesi vicini sono laghetti di luce su un mare pieno di onde, ma ora è autunno e sono le cinque del pomeriggio. 
D’estate quel posto è sempre pieno, soprattutto di coppiette e famigliole con bambini che si godono il panorama mentre i pargoli scendono cento volte dallo stesso scivolo.
Ma è fine settembre, ha da poco smesso di piovere, e sul colle non si avventurano neanche le coppiette in cerca di intimità, ci sono solo lui, che è salito a piedi dal paese e inizia ad aver caldo nella sua felpa, e Antonio che fuma nervoso appoggiato al cofano della macchina.
Quella sigaretta è solo un apostrofo tra la conversazione che hanno avuto appena qualche ora prima sulla strada di casa e quella che avranno tra poco, aspettando che i lampioni si accendano e il parapetto di metallo nero si affacci direttamente sulla vallata sottostante pinticchiata di stelle.
«Sono venuto con te alla cresima di Chiaretta.» ecco il primo colpo, una parola e un tiro di sigaretta mentre lo fissa dritto negli occhi con aria affranta, arrabbiata, chissà cos’altro.
«C’ero al matrimonio di tua madre, ai settant’anni di tuo nonno, alla festa di pensionamento di tua nonna.» si passa una mano sul viso, tra i capelli la tuffa nella tasca del giacchetto di jeans e guarda altrove.
«E ogni volta mi sono vestito bene, sono venuto in un posto in cui non c’entravo un cazzo, ho stretto mani e firmato bigliettini d’auguri e sorriso a tutta una serie di parenti che mi guardavano giustamente perplessi e sono stato il tuo amico.»
«Antonio…»
«No, adesso ti stai zitto.» stende un braccio in avanti, come se non volesse farlo avvicinare, e Flavio si chiede se davvero lo conosce così poco da non sapere che, no, fare un passo avanti è l’ultima cosa che gli passa per la testa.
Antonio va fatto sfogare da solo, come un temporale.
«E non ti sto dicendo che devi dirlo a casa, fossero tutti come i miei a quest’ora non ci starebbero più guerre, ma capisci dove sbagli?»
«Lo sai che lo capisco.»
«E invece no, non lo so. Ma sai chi lo sa? Alessandro. E Francesca, cazzo. Lo sa Francesca ma non lo sanno i tuoi migliori amici. Lo sanno due stronzi che ci possono rovinare la vita ma non lo sa chi ci potrebbe parare il culo.»
Sposta il peso da un piede all’altro, lo sguardo a terra e Antonio che tossisce qualche passo più in là, colpetti secchi e stizzosi come ogni volta in cui è nervoso.
«Lo sa Nicandro, Fla’...ma quanto ti credi che siamo furbi? Quanto credi che sono stupidi gli altri?»  
È successo tre giorni prima a casa di Gabriele, tra le mille occhiate che il suo migliore amico e le mille espressioni perplesse di Giacomo. Nicandro aveva cenato con loro, aveva assaggiato un sorso di birra al limone avanzata dall’estate, e guardando lui e Antonio parlare vicini sul divano aveva chiesto ad alta voce «Ma voi due state insieme?».
Gabriele lo aveva praticamente trascinato fuori dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle, Giacomo non aveva parlato prima di aver tirato giù gli ultimi sorsi della bottiglia di vino che avevano aperto per l’occasione, piantando i gomiti sulle ginocchia con fare meditabondo, accarezzandosi sovrappensiero la cicatrice lasciata da una marmitta incandescente sul suo polso destro.
«Ah, ecco perché il gatto di Flavio odia Antonio…» aveva mormorato, con un sorriso vittorioso sulle labbra, parlando più con se stesso che con loro due e Gabriele era uscito dalla cucina trascinandosi dietro un imbarazzato Nicandro e una serie di domande che stanno per piovere loro addosso.
Quello sarebbe stato un momento perfetto per farlo, sospirare esasperato e chiedere “Ma possibile che Nicandro c’è arrivato prima di voi?”, scoprire le carte in tavole e farli sentire nauseati dall’idea di aver passato del tempo con una coppietta, proprio quello che evitano da sempre, proprio quello che evitano accuratamente di fare.
E invece non l’aveva fatto.
Non era successo neanche in una sera di inizio autunno dopo una bottiglia di rosso forte. 
Prima ancora che chiunque di loro potesse parlare, Antonio aveva riso di gusto, poi si era alzato lentamente e se n’era uscito senza neanche salutare. La serata era finita in un silenzio di tomba, lo stesso nel quale era tornato a casa e che l’aveva colpito, pesante come un macigno, durante la domenica che era passata e lo aveva trovato solo, sdraiato sul suo letto a chiedersi cosa c’è che non va in lui.
Non gli piace parlare di sé.
Anzi, no, Flavio adora parlare di sé finché il discorso va solo dove vuole lui, finché può scegliere, finché può tenere qualcosa per sé — e se da una parte sa che questo può solo far male a chi gli sta intorno, dall’altra non riesce a smettere.
«Non è quello, Anto’.» sospira, tirando la testa indietro. «E che poi penso: e se succede un casino? E se non trovo il modo di riaggiustarlo sto casino? E non dico casino che, boh, la gente dice “che schifo” e non ce parla più, de quello sticazzi, dico...altro. Vivemo in un buco de mondo, quanto ce mette a diffondese la storia? Tu non c’eri quando è venuto fuori di Alessandro.»
«E quindi la tua idea sarebbe?»
«Non ce l’ho un’idea. C’avessi un’idea staremmo a discute su un cazzo de belvedere co’ un’unimidità del trecento percento?»
Da qualche parte nella campagna sotto ai loro piedi due cani stanno litigando quanto loro, e si chiede se almeno uno di loro sia ragionevole e non stiano tentando, come lui e Antonio, di fare a gara e chi c’ha più voglia di rovinarsi la vita a suon di prese di posizione.
«Ti sta bene così?» chiede Antonio, buttando la sigaretta a terra e pestandola con un po’ troppa veemenza. 
«Non che non mi sta bene! Ma con chi cazzo sei stato gli ultimi sette mesi? A me me rodeva er culo quando parlavi con lo stronzo di giù, stavo male quando Salvatore faceva le battutine del cazzo sulle ragazze e te le presentava, mi viene voglia di spaccare le cose ogni volta che nonna caccia fuori la storia che, boh, ci sperava proprio che zio Giulio le avrebbe fatto almeno un nipotino.»
Si avvicina un paio di passi, Antonio gli fa spazio sul cofano perché possa appoggiarsi anche lui, ma Flavio rimane un po’ distante, aspetta di dire tutto quel che ha da dire prima di sentirsi l’altro addosso. 
«Io lo vorrei dire a tutti che sei il mio ragazzo. Soprattutto perché sei più figo di metà dei fidanzati di quelle che conosco.»
«Lo so.»
«Quale delle due cose?»
Antonio non risponde, si passa solo entrambe le mani sulla faccia con una risata bassa e stanca e rimane così, coi palmi sul viso, come quando cerchi di tirarti via il sonno dagli occhi o la tristezza dalla bocca.
«Tu l’hai capito che io non è che ce l’ho con te perché non sei pronto ma solo perché continui a dire il contrario quando non è vero e poi ci stiamo di merda tutti e due?»
«In realtà no.»   
«Marò, ma chi m'ha cecato a me?» chiede, senza smettere con quella risata che sembra più un sospiro, come se tutta quella situazione fosse una commedia pessima e non una tragedia annunciata, causata da promesse non mantenute, tempistiche storte e segreti grandi come case.
Ma Antonio non sembra più arrabbiato, ora, sembra solo stanco e Flavio sa che è sbagliato ma lo vede come un traguardo.
*
Semplicemente non succede. 
Non tutto insieme, almeno, non c’è alcun momento catartico o grande ammissione di intenti, non da parte sua perché Flavio è codardo ma anche estremamente testardo ed ha deciso di farlo, certo, ma a modo suo.
Cominciano con piccoli tocchi casuali, sguardi un po’ più lunghi, l’azzardo di tenersi per mano quando sono insieme a persone di cui si fidano.
Continuano con un bacio fugace mentre cucinano davanti a tutti, il dormirsi addosso sul sedile posteriore della macchina di Giacomo mentre tornano da qualche serata di bagordi, mangiare dallo stesso piattino al compleanno di Chiara.
Poi c’è sua nonna che per il suo compleanno, ancora un po’ tentennante, gli dice di invitare “il tuo ragazzo” a pranzo, suo nonno che gli chiede di spiegarsi meglio e gli chiede di avere pazienza perché, per un po’, cercherà di ignorare l’elefante nella stanza.
Quando Gabriele presenta loro la sua ragazza, stretta in un leggerissimo vestitino rosa nonostante i venti gradi e con le spalle coperte dai capelli più lunghi che abbia mai visto, Flavio fa altrettanto presentando il suo ragazzo. E se Rosa non capisce, e si tocca un orecchio per nascondere l’imbarazzo, Gabriele li abbraccia stretti stretti ed è, se possibile, ancora più felice — dallo schermo in cui Giacomo è in videochiamata arrivano parole che non capiscono nel chiasso generale, la connessione cade a metà cena, e alla fine il povero esule in terra marchigiana invia un messaggio che leggono solo a fine serata.
Ed è strano potersi baciare nell’androne del suo palazzo, vedere com’è la faccia di Antonio sotto alla luce aranciata che c’è sopra al portone e dura solo il tempo di farsi una rampa di scale — l’accendono sette volte prima di prendere strade diverse, e a Flavio piace anche l’idea di sapere ogni volta quanto durano i loro baci.
E gli piace poi salire le scale nella penombra che i lampioni gettano sulla via per evitare di accendere la luce altre due volte, entrare in casa felice, accarezzare un sempre più pingue ed aranciato Cicerone che, davvero, sembra essere l’unico a non aver preso bene la storia. (È davvero il compleanno di Anna se io non arrivo in scivolata, in tarda sera e con i capelli dritti, per postare cose? Eh? Lo è? No? Quindi: TANTI AUGURI ANNA DEL MIO CUORE QUEST’ANNO SEI FORTUNATA CHE POSTO DA PC E NON HO TUTTI I FASTIDIOSI CUORICINI CHE AVREI AVUTO NORMALMENTE <3) (come sempre taggo both account perché che ne so @putesseessereallero @blogitalianissimo)
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friableskyscraper · 4 years
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In questo periodo di chiusura, di tempi morti e di lunghe pause dalla vita frenetica e dalle attività quotidiane, mi ritrovo a desiderare una cosa che non facevo da tempo: leggere. Purtroppo l'università mi ha portato via del tempo, delle abitudini, delle passioni. Da grande divoratrice di libri, sono diventata una di quelle persone per cui la lettura rappresenta l'ultimo dei pensieri e le librerie, invece, solo negozi in cui passare il tempo in stazione in attesa del treno in ritardo. E caso vuole che la quarantena mi costringa bloccata a casa dei miei genitori dove i libri che ci sono li ho letti già tutti. Ne ho sfogliato qualcuno, anche solo per ricordare la gestualità di tenerne in mano uno, e mi sono ricordata del mio strano e costante rituale che, ovviamente, avevo temporaneamente rimosso. Sulla primissima pagina di ogni libro c'è la data, scritta in piccolo e a matita, riportante il mese e l'anno in cui ho letto il libro. Il primo libro che ho sfogliato riportava la data "marzo 2015", mi sono sentita 'grande' a pensare che fossero passati già 5 anni dal giorno in cui la prof di filosofia mi aveva parlato di questo libro ed io, uscita da scuola, mi ero fiondata a comprarlo. Io faccio parte di quella ristretta cerchia di persone, per le quali molto probabilmente esiste un girone all'inferno, che la prima cosa che legge di un nuovo libro è esattamente l'ultima frase. Non perché mi piaccia rovinarmi il finale, ma perché, quasi come se fosse una sfida, amo farmi i miei schemi mentali su come la storia possa procedere e poi mi aspetto, cioè spero, che in realtà la storia prenda tutta un'altra piega. Solo in questo caso il libro acquisisce buone probabilità di diventare per me un bel libro.
Avevo rimosso tutto ciò, avevo rimosso la curiosità di iniziare un nuovo libro e il senso di vuoto che ti lascia, invece, girarne l'ultima pagina quando lo finisci. Un po' come se fossi diventata parte della storia anche io, come se conoscessi i personaggi, un po' come se dovessi poi chiudere i rapporti con loro. E tutto questo mi manca.
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ilquadernodelgiallo · 4 years
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Riguardando la mia vita posso vedere che il male ha sempre lottato contro di me dal giorno in cui sono partito da Avignone e che da allora si è servito dei fatti più attesi e più innocenti, delle mie stesse speranze, per colpirmi facilmente e con forza. ________________ Mi coricai sul letto, che da tanti anni è il mio. Mi slacciai le scarpe e mi tolsi la giacca. Il posto di questo letto è il mio, l'unico mio posto, anche se io ho dormito da soldato, in guerra e in prigionia e poi nei sanatori, in tanti letti. Il mio letto ha il suo posto, proprio per me, bianco , discosto un palmo o meno dal muro.Qui trovo conforto o pena; ma sempre un conforto o una pena più acuti e più irriducibili; più riconoscibili e più sicuri anche se spesso vengono da lontano, dalla mia età di ragazzo appena rimpatriato, che è appunto l'età del mio letto. ________________ Ora posso dire che a differenza dei sanatori dove, fra tutte le voci accanite, il rumore di una macchina, di un rubinetto o di un cesso prende il sopravvento e attira l'attenzione di tutti, nella fabbrica, tra il grande frastuono delle macchine, l'orecchio finisce per scegliere le voci degli uomini il loro brusio; una risata, anche alla mattina alle dieci e mezza quando il lavoro corre più forte e fa tremare tutta la fabbrica e niente più del lavoro esiste anche in tutti gli uomini e le donne, diventa il rumore più forte e verso la sua parte si voltano, anche solo per un attimo tutte le facce del reparto; quelle centinaia di facce, sbigottite dal lavoro, si levano tutte insieme. ________________ Nella fabbrica ogni discorso era più difficile - e così ho potuto sentire anche più tardi - e finiva sempre in risate, in malignità o in sfoghi di risentimento e di disprezzo. Io, nella fabbrica, anche se ancora aspettavo, sentivo il bisogno di qualcuno sincero, il bisogno di parlare con qualcuno che potesse aiutarmi; ma nel reparto non avevo ancora visto un compagno in grado di farlo. Non correva una vera amicizia e i discorsi andavano su cose trascurabili e si fermavano sulle barzellette e sulle maldicenze. ________________ I vari reparti si guardarono l'un l'altro con sospetto, non era ancora cominciato il lavoro ma già si erano create le divisioni. Come potevamo noi far dipendere il nostro rendimento, cioè la nostra paga, dal lavoro delle donne dei trapani o dei vecchi delle pulitrici? in ogni reparto corsero gli stessi pensieri e tutti, per paura di fare inutilmente di più degli altri, lavorarono meno. Si doveva lavorare meno anche se si faceva il pensiero contrario, concludendo che il proprio vuoto poteva essere colmato dal lavoro degli altri. ________________ In quell'officina che aveva preso un tono compatto e duro, illuminata di verde, non era più possibile niente di particolare: nemmeno un'amicizia, o una parola che non fosse riposta nei pensieri, che non lievitasse dalla testa come un fumo. ________________ Mi faceva reagire a questa tendenza soprattutto il fatto che questa volta fossero gli altri a decidere per me e in modo così letale, così feroce contro tutte le speranze che mi spingevano. [...] Il più avverso dei destini non sarebbe potuto essere così crudele e preciso; soltanto gli uomini, gli uomini. [...] Nemmeno gli alberi o i corridoi o le porte o le scale o la fuga potevano più aiutarmi; tutto ormai, tutta la terra specchiava una verità non mia [...] Io guardavo i passeri e pensavo che era incredibile che fossero così vicino alla cattiveria umana, a quella infermeria, a quegli strumenti; che non fossero spaventati dalle parole e che non fuggissero lontano da quella fabbrica di ferro. ________________ Appena messo il pigiama, il mio corpo non era più il mio; era già quello di un malato, magro e storto, coperto malamente dalle cuciture a dalle grosse tele e sembrava avere ormai altre strutture sotto le pieghe del pigiama. Anche l'odore del mio corpo non era più il mio. Solo le pantofole erano quelle che mia madre aveva preparato e che era riuscita a passarmi da sotto la porta del bagno. Nel corridoio avevo già l'aspetto di uno in sanatorio da molti anni. ________________ Fu il primo segno che non ero perdonato, il primo di tanti segni che la fabbrica non perdona; non perdona che è solo, chi non si arrende al suo potere, chi crede alla giustizia umana e invoca la sua clemenza; la fabbrica non perdona gli ultimi. ________________ ...aveva quel modo di essere bagnati e di brillare che hanno i garofani. ________________ Invece ho accettato il lavoro della fabbrica. Mi è stato imposto dai progetti degli altri, che mi hanno scelto come la loro vittima. Lavorare a ore, un minuto dietro l'altro, una mano dietro l'altra, una schiena dietro l'altra, nelle grandi officine. Dipendere da altri, senza nemmeno conoscerli ed essere confuso tra tutti gli altri. Tutti i conforti della fabbrica diventano alla fine, come per me, dei motivi di pena. E soprattutto subire l'ingiustizia. ________________ Come la guarigione si avvicinava, cioè la mia ripresa sai colpi degli altri, aumentavano i miei dubbi sul lavoro della fabbrica. Nella fabbrica bisogna starci giorno per giorno, avvelenarsi gradatamente; se uno se ne libera anche per un breve tempo riesce a vederne tutti gli orrori. ________________ I pensieri erano pochi e non riguardavano né i medici , né la fabbrica; soprattutto pensavo a mia madre con la speranza di poter riavere con lei un'intesa completa. Sapevo che pensavo una cosa impossibile e che lo facevo con una chiara riserva; io, nel mio intimo, continuavo ad avere sempre buoni rapporti con mia madre e continuavo a figurarmela sempre dolce; così nella realtà proprio io non potevo accettare che fosse brontolona ed anche invecchiata e quindi reagivo e l'offendevo e più l'offendevo più si apriva con dolore l'occhio sul passato, sull'immagine custodita di noi due più giovani e affettuosi. ________________ Allora cercai di osservare come gli altri stavano nella fabbrica e che cosa questo volesse dire per loro. Quasi tutti subivano la fabbrica; lavoravano e basta, cercando di ottenere il massimo di soldi e di benefici. La loro vita era di fuori; oppure avevano nella fabbrica un'altra vita, di circostanza. Perché tanti, io compreso, continuavano a vivere in campagna? [...] Insomma per tutti la fabbrica era come un passaggio, per giunta sempre quello. Io invece cercavo ancora le ragioni di una vita completa, forse perché ero il più lontano di tutti dal poter averla. Non avevo amici e non vivevo particolarmente in nessun paese, era quindi ben giusto che cercassi il mio ambiente in fabbrica. E coloro poi che pensavano di avere la loro vita fuori, che cosa più delle loro vecchie abitudini e nostalgie potevano dare a quella vita? [...] Come potevo considerare la fabbrica un paese? A Candia io avrei potuto vivere in tanti modi ma in fabbrica nell'unico modo comandato. A Candia avrei potuto scegliere le mie amicizie, variarla, parlare secondo i miei pensieri, in fabbrica no. Queste conclusioni erano chiare dentro di me, eppure continuavo a cercare il modo di vivere meglio nella fabbrica, il filo di un legame più stretto. Forse questo accadeva perché avevo paura più degli altri che la fabbrica mi respingesse di nuovo e perché in quel legame, forse, io cercavo una rivincita contro tutte le ingiustizie subite. In ogni caso doveva essere difficile per tutti dividersi tra la fabbrica e fuori. ________________ Ma come potevo trovare compagnia in mezzo a quei reparti? Una compagnia sincera e completa in mezzo a tanta gente che si accontentava di stare insieme per un rumore o per un capo? I loro discorsi andavano avanti come il montaggio, rispettandone perfino la velocità; le loro facce sfuggivano, si smembravano sulle macchine e sui pezzi o cadevano in sorrisi che sapevano di falso come le luci stesse dei reparti. Anche i più gentili si illudevano di avere compagnia e di conoscere qualcuno all'interno delle fabbriche; gli capitava di convincersene e basta. [...] In realtà il mio compagno di lavoro non conosceva più nessuno, nel senso di conoscere bene, cioè fare e rimandare dei discorsi convinti, dividere in coscienza qualcosa ma prima di ogni altra cosa la coscienza stessa; non conosceva più nessuno né dentro né fuori la fabbrica. E così tutti gli altri. Io solo però non mi accontentavo della finzione e quindi mi staccavo come quei pulcini che isolati dal branco tentano di salire gli scalini dei granai. ________________ Emisi un grido di richiamo, improvviso e netto come un altro elemento naturale; era la paura di essere solo e di restarci per sempre. Solo come da ragazzo, come in un sogno, e mi sembrò nel momento in cui gridai che tutta la mia vita sbagliata avesse sempre mirato a tale sorte. ________________ La fabbrica nega qualsiasi soddisfazione e quindi è come se dentro di essa il tempo non passasse, il tempo fratello degli uomini; oppure è come se passasse tutto insieme. La fabbrica è chiusa, di ferro: dentro passa il tempo dalle sette alle diciannove; ma tutto è fermo come tutto è di ferro. La fabbrica costruita per la velocità, per battere il tempo, è invece sempre ferma perché il tempo degli uomini batte qualsiasi artificiale velocità. ________________ Mi capitava però ogni tanto di interrompere il giuoco, di destarmi proprio per un rumore o per un altro incidente della realtà; allora, se rimasticavo l'ultima poesia che il risveglio mi aveva colto sulle labbra, mi accorgevo che era del tutto senza senso e che il senso non era nelle parole ma in angolo buio dentro di me, che dava loro le risonanze suggestive. Ma nel momento stesso in cui lasciavo cadere le parole, quell'angolo buio si gonfiava e diventava sofferenza. ________________ Ma questa volta [lo scarpone - una macchia sul muro con questa forma] non mi suggeriva niente di reale; era una forma che poteva assomigliare a tante cose; infatti della mia infanzia, di certi suoi momenti brevi e intimi, caduti dentro di me come particelle insignificanti e che veramente nell'attimo in cui li avevo vissuti non avevano costituito niente di particolare felicità e sollievo (ed ai quali solo il ritrovarli dava un senso di gioia, di innocenza, di dolce comunione con me stesso giovano che quasi mi sembrava di poter proteggere e guidare per mano), non mi veniva, quel giorno, restituito niente. Lo scarpone luccicava, forse troppo; tanto che la sua chiarezza serviva a illuminare anche l'inganno del suo meccanismo di ricordi e lo faceva vivere per conto suo e non come un pretesto. La realtà era tanto crudele da non lasciare niente nell'ordine che io avevo cercato di dare alle mie cose. Anche la luce, il lago, la pioggia erano suoi strumenti e mi tenevano stretto. ________________ Nel cielo salivano l'ossa delle costellazioni splendenti sulla fossa delle generazioni.
Paolo Volponi, Memoriale
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dostoevskol · 4 years
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22.11.19
Mi sento vuota, non sento nulla, un lungo snervante e infinito nulla. Non so neanche quando ho iniziato a sentirmi così, so quando è riniziato tutto, so quando la depressione è riapparsa visibilmente nella mia vita. Era il 30 agosto, il giorno prima avevo fatto l’esame di recupero di matematica e fino a quel momento stavo bene, il 31 sarei partita per l’Egitto con la mia migliore amica, mia madre e il compagno, eppure il giorno prima mi sono svegliata e non avevo voglia di alzarmi dal letto, non volevo fate nulla, solo stare a letto a far vagare la mente, e li l’ho sentita, dopo quasi due mesi ho risentito la depressione in me, non ho mangiato nulla per più di un giorno (altra cosa che faccio solo quando sono depressa) alla fine però avevo in programma di andare in piscina a casa di sara con sara ed Ermelinda quindi ho cercato di rimettermi in forza ed andare, ricordo che avendo il ciclo non mi sono fatta il bagno e ho passato gran parte del pomeriggio lunga per terra accanto alla piscina mentre loro nuotavano, mi girava la testa e stavo una merda (rispetto al solito manco tanto una merda aggiungerei) il giramento di testa forse era per via del fatto che non avevo mangiato ma alla fine li l’ho fatto quindi bho. Insomma li ho risentito la depressione, il giorno dopo poi sono partita e stando costantemente a contatto con le persone per due settimane e non potendomi quindi isolare la mia mente non ha potuto vagare e pensavo di stare quindi bene e il giorno della piscina fosse solo un caso isolato, invece sono stata intrattabile e mi sono comportata di merda per tutto il viaggio, ho litigato tantissime volte con mamma e di conseguenza col compagno, ho litigato anche con Sara, ho passato un intero giorno a piangere, mi sono tagliata dopo che non lo facevo da tre mesi, ho nuotato piangendo e ho avuto anche un attacco di panico mentre stavo nuotando, li mi sono spaventata da morire perché ovviamente stavo in mare aperto e avendo litigato con tutti stavo nuotando un po’ distante da loro che tra l’altro era l’ora di punta del dugongo e quindi notavano veloce per cercare di avvistarlo, dopo un primo attacco di panico che sono riuscita a fermare quasi subito prima che peggiorasse mi stavo dirigendo verso la riva per mettere finalmente piede a terra quando in lontananza qualcuno chiama “DUGONGO!” così tutti noi ci rimettiamo a nuotate velocissimo nella direzione della voce, alla fine era un falso allarme e nessuno lo aveva avvistato, quella corsa ha peggiorato il mio stato e mi è scattato subito il secondo attacco di panico terrorizzata a morte di poter annegare ho usato tutte le forze rimaste per fermarlo e alla fine ci sono riuscita ma è stato comunque peggio dell’attacco di panico prima. Poi sono tornata in Italia e quello stesso giorno ho scoperto che il giorno prima la mia amica Giorgia si fosse suicidata impiccandosi in un parco, nonostante non avessimo più un rapporto strettissimo è come se mi fosse crollato tutto attorno, inutile dire che la mia depressione è peggiorata precipitosamente e continua a peggiorare ogni giorno, ma questa volta è una depressione diversa da quelle precedenti, ogni volte che la mia depressione è tornata è stata diversa. La prima volta che ho pensato non andasse più qualcosa è stato durante il primo quadrimestre del secondo superiore ma io personalmente non mi ero accorta di niente, a farmelo pensare sono state le mie amiche, la mia prof di italiano e una mia compagna di classe che mi aveva scritto dicendomi che mi vedeva che stava male e se volessi parlare, poi durante il secondo quadrimestre ricordo che era tutto okay, come se fosse tornato tutto come una volta nonostante gli enormi problemi familiari che avevo, poi l’estate tutto okay anche se sara qualche mese fa mi ha detto che verso agosto mi vedeva depressa e io a pensarci ricordo che passavo intere giornate a letto al buio ad ascoltare costantemente musica ma li per li non mi era venuto in mente che forse ero depressa quindi bho. Quello che per me è stato il mio primo vero episodio depressivo è avvenuto durante il primo quadrimestre del terzo superiore, ricordo che è iniziato tutto il 31 ottobre 2018, giorno in cui mio fratello se ne è andato di casa per andare a vivere con mio padre, ogni mio episodio depressivo lo posso ricollegare ad una perdita subita. Da quel giorno ho iniziato a passare interi giorni a dormire costantemente, a volte dormivo anche 18 ore a giorno, non riuscivo per niente a studiare e infatti mi sono ritrovata a dicembre con sei insufficienze e alla fine me ne hanno ridate quattro, non riuscivo neanche ad andare a scuola infatti ho salato per intere settimane comprese le lezioni di musica e qualsiasi impegno io avessi, passavo le giornate a letto o a dormire o ad ascoltare la musica, spesso entrambe, litigavo continuamente con mia madre e con le mie amiche, infatti ho non mi sono parlata con la mia migliore amica per mesi, ricordo un giorno, era sabato e appena ero uscita da scuola alle 12.45 sono tornata a casa e sono tornata subito a dormire, mi sono svegliata poi solo per via di mamma, erano tipo le sette di sera se non più tardi, ricordo che quel giorno mamma ha iniziato a preoccuparsi seriamente, ricordo che è venuta in camera mia, all’inizio era arrabbiata, e mi ha detto “Ma che fai ancora dormi? Perché stai dormendo sempre? Sto iniziando a pensare che tu stia male” non ricordo cosa risposi esattamente ma era sicuramente qualcosa tipo “Cosa? Che? Ho sonno”, poi mi ha praticamente obbligata a scendere dal letto e abbiamo giocato a carte. Ricordo che quel periodo è stato un continuo alti e bassi: una settimana non riuscivo ad alzarmi dal letto e pensavo costantemente al suicidio (non prendendolo realmente in considerazione ma ci pensavo comunque costantemente) poi la settimana dopo invece ero euforica, ricordo tantissimi pomeriggi passati a ballare e a cantare a squarciagola da sola in casa, ridevo da sola, insomma sembrava stessi bene, la settimana dopo ancora riecco che di nuovo non riuscivo più ad alzarmi dal letto e piangevo continuamente. Tutto questo è andato per due mesi, novembre e dicembre, poi gennaio invece ricordo che pensavo che finalmente fosse tutto passato, una cosa ad aiutarmi è stato che finalmente mi confidai con la mia amica sara, non quella con cui non mi parlavo ovviamente, le raccontai quanto fossi stata male lei fece lo stesso, anche lei aveva avuto un episodio depressivo nel mio stesso periodo, mi confidò persino che un paio di volte era stata anche sul punto di suicidarsi, ricordo che mi misi a piangere appena me lo disse. Ovviamente la “tranquillità” (ovviamente avevo ancora i problemi familiari quindi tranquillissima non sono stata ma non stavo così male come prima) non durò per molto e a febbraio la depressione torno e fu un vero inferno che mi ha quasi uccisa. Questa volta la perdita che l’ha causata è stata quella di una mia amica che ci ha completamente voltato le spalle da un giorno all’altro per un altro gruppo. Tutto è di nuovo peggiorato: il 27 o 29 febbraio, non ricordo, ho avuto il mio primo attacco di panico, lo ricordo perfettamente, è stato orribile perché non capivo cosa mi stesse succedendo e ad un certo punto ho pensato quasi di morire, quello era solo l’inizio, gli attacchi di panico sono una cosa che distruggono completamente, sei li che non riesci più a respirare, ansimi nervosamente ma non migliori, spesso tremi e neanche riesci a tenerti in piedi, mi è capitato più volte che durante un attacco io cascassi per terra e sbattessi la testa o qualche altra parte del mio corpo, ma la cosa più orribile è quando finisce, sei li distesa per terra in una posizione assurda per via della caduta stremata completamente, non hai più nessuna forza nel tuo corpo, riesci solo a tenere gli occhi aperti, guardi il soffitto con un sguardo vuoto e l’unica cosa che riesci a pensare è “qualcuno mi uccida, non ce la faccio, non riesco più a vivere, voglio morire” e vi assicuro che è una delle sensazioni più brutte che io abbia mai provato. Durante questo lunghissimo episodio depressivo durato cinque mesi, da i primi di febbraio a circa il 4 luglio, ho vissuto i peggiori giorni della mia vita, ne ricordo perfettamente tre di profonde crisi depressive ma ne ho avute davvero tante, più un episodio particolare che poi vi racconterò. La mia crisi che voglio raccontare è quella avvenuta il sabato prima di partire la gita scolastica ad Edimburgo, siamo partito giovedì 18 marzo, quel weekend prima è stato orribile, domenica ero in un’agonia assurda, ricordo che fu uno dei tanti giorni in cui non riuscivo ad alzarmi dal letto ma con mamma decidemmo di andare a pranzo al mio ristorante preferito, il ristorante cinese, prima di partire stavo parlando per messaggio con la mia migliore amica sara, con cui mi ero finalmente riappacificata, le stavo dicendo di quanto stessi male e di quanto non ce la facessi più, lei preoccupata invio gli screen a mamma, durante il pranzo anche se li aveva letti non li nominò per niente, ricordo che litigammo per non ricordo quale motivo, quando tornammo a casa ero completamente fuori di me, tutto mi sembrava insormontabile, sentivo tutto troppo, volevo davvero uccidermi, ma sentivo che la parte di me ancora sara era ancora presente così per contrastare quella “voglia” folle mi chiusi in bagno, portai con me un compasso e mi incisi un taglio sulla coscia sinistra, fu il mio primo taglio, quel gesto riuscii a riportarmi alla realtà e riuscii a ridimensionare le cose intorno a me, quel desiderio irrefrenabile di morire si placò ma non stetti meglio, lunedì stranamente riuscii ad andare a scuola ma saltai la lezione di musica del pomeriggio, così come saltai scuola il giorno dopo e pianoforte il pomeriggio dopo, quel lunedì pomeriggio e martedì lo passai a riempire tutte le pareti della mia camera con dei fogliettini con scritti tutti i miei pensieri, delle poesie, alcune davvero inquietanti, e un monologo che mi aveva dato speranza nella vita leggendolo che avevo trovato qui su tumblr, se vogliamo essere iperbolici sembrava un episodio maniacale ma non mi sembra il caso di diagnosticarmi cose così complesse, ricordo che mentre tagliavo i pezzi di carta, scrivevo e li attaccavo ai muri ascoltavo in ripetizione continue due canzoni specifiche che ora le ritengo le colonne sonore della mia depressione, il giorno dopo quando mamma entro in camera  e vide tutto questo si arrabbio ma so che in realtà non era davvero arrabbiata ma preoccupata perché non era infastidita dal fatto che avevo riempito i muri di scotch e fogli ma per le cose che avevo scritto, ricordo che quando stavo preparando la valigia per Edimburgo guardo accanto all’interruttore della luca in cui avevo scritto in colonna “afraid, pain, sadness, exhausted, death” ed anche altre parole che adesso non ricordo, quando le rilesse, perché le aveva già vista, le guardò con rabbia. Ricordo che poco prima di partire mi disse che non avevo nessuno motivo per stare male perché stavamo bene, so che lo disse per cercare di aiutarmi ma è veramente una frase orribile da dire ad una persona depressa. Ah e ho dimenticato di dire che quel martedì mi sono fatta il mio secondo taglio. La gita è stata stupenda, ovviamente non stavo per niente bene, ma almeno sono riuscita a ridere dopo tanto tempo, poi quando sono costantemente circondata da persone e ho un impegno dietro l’altro riesco a non pensare quindi di conseguenza sto un pochino meglio, e per “pochino meglio” intendo che non ho crisi depressivi gravi ma sto comunque parecchio una merda, Una cosa che è successa appena tornata dalla gita,che non è ricollegabile alla depressione ma più allo stress, che voglio citare è la mia prima paralisi del sonno con annesse allucinazioni, un esperienza terribile che però racconterò magari in in un altro post. La seconda brutta crisi depressiva che voglio raccontare è avvenuta circa la seconda settimana di aprile, era sabato e quella sera sarei dovuta andare al compleanno del mio amico francesco, quel sabato lo passai a letto a piangere costantemente, inutile dire che non riuscii ad alzarmi dal letto ne tanto meno ad andarci, successe che ignorai tutti i i messaggi e le chiamate delle mie amiche così la mia migliore amica sara chiamò mia madre che si era già iniziata a preoccupare perchè sapeva che avevo un compleanno e gli avevo detto che non sarei andata, quella sera così mamma si incazzò ovviamente con me (ogni volta che si preoccupa fa la parte dell’incazzata, non capisco neanche io perchè) insomma alla fine parlai con sara sul telefono di mamma, cercò di spronarmi a venire e apprezzo il tentativo ma mi disse tantissime cose che fecero solo peggiorare il mio stato, poi avendo capito che non sarebbe riuscita a farmi scendere dal letto disse all’altra mia amica sara di chiamarmi per cercare di convicermi, neanche lei ci riuscì, così alla fine non andai e passai il resto della serata continuando a piangere. Il pomeriggio dopo dovevo andare a teatro ad vedere in pianista, ci andai tramite la scuola di musica, mi ero messa d’accordo con un’ altra allieva del mio professore per andarci insieme e non le potevo dare buca, così capendo che avrei dovuto per forza alzarmi dal letto mi misi d'accordo con sara per uscire prima del teatro, non parlammo di come stavo, non perchè lei non me lo chiese ma perchè ero io a non volerne proprio parlare, nonostante questo passai quelle ore a cercare di nascondere la mia faccia da lei perchè continuavo a piangere silenziosamente. La terza profonda crisi depressiva che voglio raccontare è successa il 2 luglio, quella sera dovevo andare a cena con sara con sara per poi uscire alla fine non andai nonostante fossi già arrivata davanti al pub dove dovevamo mangiare, non andai perchè rimasi impietrita ad un lato della strada, sembra una cosa da scemi a raccontarla ma è andata esattamente così, dopo un po’ riuscii a sbloccarmi e mi sedetti su una panchina sotto il palazzo europa, il fatto che le avessi dato buca all’ultimo minuto fece infuriare sara che iniziò ad insultarmi per messaggio, io non riuscii neanche a rispondere perchè stavo troppo male, a peggiorare il mio stato fu anche un ragazzo poco più grande di me che mentre ero seduta mi passò davanti tre volte insultandomi ogni volta con cose tipo “che cazzo guardi? che cazzo vuoi cogliona?” non lo stavo neanche guardando ma gli avevo dato solo un occhiata per vedere giusto chi stava passando, non so cos’avesse quel tipo ma mi fece stare peggio, poco dopo che questo ragazzo se ne fosse andato mi alzaie inizia a girovagare per il centro storico piangendo, dopo più di un’ora che camminavo mi iniziò l’ennesimo attacco di panico, per fortuna in quel momento stavo parlando con una ragazza di twitter che mi diede dei consigli per calmarmi, appena l’attacco si placò iniziai a correre verso casa, ricordo persino di aver incontrato la mia prof di inglese mentre correvo, mi guardò con una faccia completamente spaesata, sicuramente si accorse che non stavo per niente bene, insomma poi successe che l’affanno per la corsa (mi feci due salite ripide correndo e sono una pessima atleta) mi provocò un altro attacco di panico, ero in cima alla salita di casa mia, finii coll’accasciarmi a terra in mezzo alla strada, per fortuna non è una strada trafficata sennò qualcuno avrebbe potuto prendermi sotto, non so con quali forze riuscii a finalmente tornare a casa, alla fine stetti lunga sul letto a fissare il vuoto fino ad addormentarmi. Questa è l’ultima crisi depressiva che voglio raccontare ma c’è ancora una data che non ho ancora citato che ricorderò per sempre: il 16 maggio 2019, quel giorno mi sono quasi uccisa, ripensandoci non era stato un giorno particolarmente brutto, certo stavo male come ogni giorno ma nulla di più eppure ad un certo punto ho sentito che tutte fosse troppo e non minuto dopo non riuscivo più di andare avanti, così mentre ascoltavo la musica sono uscita fuori in terrazzo e mi avvicinai all’estremità e guardai la città sotto di me, piansi, piansi davvero tanto e ricordo che nella mia testa stavo dicendo addio a tutti, furono due dettagli a farmi cambiare idea: il primo fu una rondine che vidi volare in cielo, quella rondine mi sapeva di libertà e felicità e mi ha fatto desiderare di esserlo anche io, la seconda cosa, che può sembrare molto stupida, fu una notifica che mi arrivò in quel momento che annunciava l’uscita di una nuova clip di una delle mie serie preferite, druck, e quella notifica mi ha fatto pensare a tutte quelle piccolezze della vita per cui vale la pena vivere, furono queste due cose a salvarmi quel giorno. Insomma tutto questo discorso per dire che ogni episodio depressivo che ho avuto è stato diverso dai precedenti: Autunno 2017 episodio lieve passato inosservato ai miei occhi Autunno 2018 alternanza di settimane di depressione con settimane di euforia, ipersonno e pensieri suicidi persistenti ma senza reale intenzione, impossibilità di portare a termine gli impegni Inverno, primavera ed estate 2019  tristezza e dolore emotivo persistenze ogni giorno, lievi pensieri suicidi, numerosi attacchi di panico e crisi depressive gravi, autolesionismo, sbalzi alimentari Estate,autunno 2019 riuscita bene o male del portare a termine gli impegni, pochissimi pianti e crisi depressive gravi, no autolesionismo ne attacchi di panico (quota 1), pensieri suicidi persistenti con reale intenzione e apatia totale Non ho idea di come finirà tutto questo.
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radheidiloveme · 5 years
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Se si potesse ragionare con chi sostiene questo governo, e con qualcuno si potrà penso, potrei consigliare un libro, anzi due. Dubito li abbiano già letti, in tal fortunato caso potrebbero rileggerli o solo ricordarli. Il primo è ‘Il conformista’ di Alberto Moravia, non basta aver visto il film, però! Il secondo è ‘Sostiene Pereira’ di Antonio Tabucchi. Sono romanzi, si leggono in fretta. La lettura, con un po’ di successiva riflessione introspettiva, potrebbe farli rinascere a nuovi pensieri, svecchiarli un tantino. Sono meglio degli integratori che assumono inutilmente ogni mattina per essere più belli e più sani. Penso che i romanzi siano più salutari e davvero ringiovaniscano il corpo e la mente. Risvegliano, insomma, quel po’ di bambino dimenticato, pieno di intenzioni felici, che eravamo. Sennò, pazienza, lasciateli nello scaffale ad ammuffire, come state facendo anche voi. Credetemi, il consiglio è dato con un moto di sincero insospettabile affetto. Ma guarda un po’ la natura umana!
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gloriabourne · 5 years
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The one where Ermal is sick
Ermal sbuffò leggendo l'ennesimo commento indecente sotto il suo post.
Bastava dire che era malato e subito decine di persone si improvvisavano medici ed erano pronte a elargire consigli, il più delle volte del tutto inappropriati.
Fece scorrere rapidamente la rubrica arrivando al numero di Fabrizio e avviò la chiamata senza pensarci due volte.
In quelle condizioni - e soprattutto dopo aver letto certe cose che lo avevano fatto a dir poco rabbrividire - sentiva il bisogno di parlare con lui, di sentire la sua voce, di sentirlo un po' più vicino anche se fisicamente erano lontani.
"Che c'è? È successo qualcosa?" rispose Fabrizio senza nemmeno salutare.
"No, perché?" replicò Ermal senza capire per quale motivo Fabrizio fosse così agitato.
"Mi avevi detto che avevi da fare oggi. Non mi aspettavo di sentirti. Ho pensato che fosse successo qualcosa di grave."
Ermal sorrise sinceramente commosso dal modo in cui Fabrizio si preoccupava costantemente per lui. "Niente di grave, Bizio. Ho solo un po' di febbre quindi ho posticipato l'evento."
"Febbre? Hai preso una tachipirina, un'aspirina...?"
"Bizio, calmati! Ho preso una tachipirina, ora aspetto che faccia effetto" rispose Ermal.
"Se non passa, chiama il medico."
"D'accordo. Anche se, in caso non passasse, mi hanno suggerito delle cure alternative" scherzò Ermal. Non avrebbe voluto ricordare di nuovo i commenti letti poco prima, ma l'ipocondria di Fabrizio stava prendendo il sopravvento e quello era l'unico modo per distrarlo.
"Cioè?"
"Tra le altre cose, mi è stato suggerito di sudare. Non importa come" disse Ermal.
"Sicuramente sarebbe più facile se fossi lì con te, ma si può fare lo stesso. Non sarebbe la prima volta" rispose Fabrizio alludendo a quella volta in cui, quando entrambi erano troppo presi dai rispettivi tour per riuscire a vedersi, erano rimasti al telefono sussurrandosi cosa avrebbero voluto fare all'altro nel buio di una camera d'albergo.
Era stato bello, Ermal doveva ammetterlo. E quando avevano finito la telefonata, entrambi si erano sentiti appagati come se davvero fossero insieme.
La voce roca di Fabrizio, anche se filtrata dal telefono, per Ermal restava il migliore afrodisiaco di sempre. E Fabrizio era rimasto sorpreso da quanto potesse diventare sfacciato Ermal quando c'era uno schermo a dividerli.
"Sto troppo male per il sesso telefonico, Bizio" rispose Ermal.
"Peccato, sudare ti avrebbe fatto bene davvero."
"Appena ci vediamo puoi farmi sudare quanto vuoi" rispose Ermal sorridendo.
Fabrizio si mise a ridere coprendosi la bocca con una mano, anche se non c'era nessuno con lui che potesse essere testimone del suo imbarazzo.
Che poi, ancora non capiva per quale motivo si imbarazzasse tanto di fronte ad un’allusione del suo fidanzato.
"Cerca di dormire un po' almeno" disse Fabrizio.
"Sì, certo. Ora dormo, mamma" scherzò Ermal prima di salutarlo e chiudere la conversazione.
Quando Fabrizio posò il cellulare sul tavolo, sulla sua faccia c'era ancora un enorme sorriso.
Non poteva farci niente. Sentire la voce di Ermal lo metteva sempre di buon umore.
Non era paragonabile a vederlo, a passare del tempo con lui, ma poteva accontentarsi.
O forse no.
Il suo sguardo venne catturato dalle chiavi della sua macchina, appoggiate accanto al cellulare.
Se fosse partito subito, sarebbe stato a Milano in sei ore. Non era poi molto.
Senza contare che Ermal stava veramente male se aveva deciso di rimandare un evento, quindi non era il caso che rimanesse da solo.
Senza pensarci troppo, afferrò le chiavi e il cellulare e uscì di casa.
  Quando Ermal si svegliò, non sapeva con certezza quanto avesse dormito ma si sentiva come se un camion gli fosse passato sopra.
Ogni muscolo del suo corpo era indolenzito e la testa gli pulsava come nei suoi peggiori post-sbornia, al punto che faceva fatica a tenere gli occhi aperti.
Si stropicciò gli occhi con una mano, cercando di aprirli quel tanto che bastava per leggere l'ora sul display della sveglia sul comodino.
Aveva dormito quasi otto ore, eppure si sentiva uno straccio.
Richiuse gli occhi e prese un respiro profondo, cercando di prepararsi mentalmente a subire gli effetti di quella terribile influenza, ma si bloccò quasi subito quando un profumo familiare - ma che purtroppo raramente sentiva in casa sua - gli invase le narici, il cervello e soprattutto il cuore.
Era il profumo di Fabrizio, su quello non aveva dubbi.
Si voltò lentamente trovandolo seduto sull'altro lato del letto, con il cellulare tra le mani e un'espressione concentrata sul viso.
"Che ci fai qua?" chiese Ermal con la voce ancora assonnata.
Fabrizio sollevò lo sguardo di scatto e abbandonò il cellulare sul comodino, rendendosi conto che Ermal era sveglio.
"Ehi, come stai?" chiese preoccupato.
"Sto bene. Che ci fai qua?" ripeté Ermal.
Era felice di vederlo, ovviamente. Ma non riusciva proprio a capire per quale motivo fosse lì.
"Non avevo niente da fare, così ho preso la macchina e sono venuto qui. Sono arrivato un'oretta fa più o meno, ho aperto con la copia delle chiavi che mi hai dato. Non volevo svegliarti" spiegò Fabrizio. Poi si sporse verso Ermal e gli posò le labbra sulla fronte.
Ermal sospirò sentendo il breve contatto delle labbra fresche di Fabrizio sulla sua pelle, mentre il più grande si allontanava leggermente dicendo: "Hai ancora la febbre."
Ermal fece una smorfia. "Lo so. Credo che le medicine che ho preso fino a adesso non abbiano fatto effetto."
"Misurala di nuovo, per precauzione" disse Fabrizio alzandosi dal letto. Poi aggiunse: "Ti ho lasciato sul comodino un bicchiere d'acqua e una tachipirina. Prendila! Intanto io vado a fare un po' di tè."
Ermal lo guardò sparire oltre la porta della camera da letto e non poté impedire a un sorriso di farsi largo sul suo volto.
Era bello avere Fabrizio a casa sua, vederlo muoversi tra quelle mura con estrema naturalezza, come se fosse esattamente dove avrebbe dovuto essere.
Le occasioni per vedersi non erano mai tante e la maggior parte delle volte capitava in anonime camere d'albergo, dopo eventi pubblici in cui era difficile nascondere agli occhi degli altri cosa ci fosse tra loro. Così appena arrivati nella camera di uno dei due, finivano per strapparsi di dosso i vestiti senza troppe cerimonie, solo con la voglia di sfogare tutto ciò che davanti agli altri erano costretti a reprimere.
Le volte in cui potevano stare insieme con tranquillità, come una coppia normale, erano davvero poche. Forse perché in fondo non erano una coppia normale.
Capitava quasi sempre a Roma, a casa di Fabrizio, perché erano più le volte in cui Ermal era da quelle parti che le volte in cui Fabrizio andava a Milano.
Ecco perché Ermal era ancora incredulo di fronte a Fabrizio che si aggirava per casa sua come se fosse una cosa normale.
Sarebbe stato bello se le cose tra loro fossero state sempre così. Se ad ogni risveglio fossero stati insieme, se quando uno dei due stava male l'altro fosse stato accanto a lui.
Ermal avrebbe fatto di tutto per un futuro del genere.
Quando Fabrizio tornò in camera e lasciò una tazza di tè sul comodino di Ermal, notò che il bicchiere d'acqua e la pastiglia che aveva lasciato non erano stati toccati.
"Ermal, prendi 'sta roba per favore!" disse lanciandogli la stessa occhiataccia che lanciava ai suoi figli quando non lo ascoltavano.
"Sì, scusa. Ora la prendo. È che mi sono un po' perso nei miei pensieri" disse Ermal, mentre Fabrizio prendeva posto accanto a lui.
"Che pensieri?"
"Niente. Pensavo che sono felice che tu sia qui" disse Ermal strisciando verso Fabrizio e appoggiando la testa sul suo petto.
Fabrizio sorrise mentre accarezzava lentamente i capelli di Ermal.
Anche lui era felice di essere lì.
Ogni momento passato con Ermal era un momento felice, anche se aveva la febbre e stava male.
Ogni momento passato insieme gli provocava una gioia indescrivibile, quel tipo di gioia che Fabrizio provava con i suoi figli oppure quando suonava davanti ai suoi fan. Quel tipo di gioia che si impadronisce di ogni cellula del tuo corpo e non ti permette di fare altro se non essere felice.
Aveva ancora la mano immersa nei suoi capelli, quando sentì Ermal sospirare sul suo petto.
"Tutto ok?" chiese interrompendo bruscamente il movimento della sua mano.
"Sì. Pure troppo" rispose Ermal con un altro sospiro.
"Che vuoi dire?"
"Che non ci vediamo da un po' e sai che mi piace quando mi tocchi i capelli" mormorò Ermal.
Fabrizio sorrise compiaciuto capendo cosa volesse dire Ermal e, ripensando a ciò che si erano detti al telefono, disse: "Forse, prima di prendere 'ste medicine che per adesso non ti sono servite a un cazzo, potremmo provare qualcos'altro."
"Cosa?" chiese Ermal sollevando lo sguardo.
"Ti hanno suggerito di sudare, giusto?" disse Fabrizio con un sorrisetto malizioso.
Ermal si lasciò scappare un verso che sembrava a metà tra una risata e un lamento e disse: "Fabrì, te l'ho già detto che sto troppo male per fare certe cose. Mi piacerebbe tanto, ma proprio non ho le forze."
"E chi l'ha detto che devi fare qualcosa? Posso fare tutto io."
"Seriamente?" chiese Ermal.
Fabrizio spinse leggermente Ermal di lato, fino a farlo distendere di schiena, e si portò lentamente sopra di lui. "Seriamente. Tu stai fermo, io intanto mi prendo cura di te."
Ermal chiuse gli occhi e sospirò, colpito più dal tono di voce di Fabrizio che dalle sue parole e dalle implicazioni nascoste in esse.
"Non ho ancora iniziato e già ti vedo sofferente. Mi devo fermare?" chiese Fabrizio mentre si abbassava leggermente per baciargli il collo.
"No..." sussurrò Ermal godendosi il contatto delle labbra fresche di Fabrizio contro la propria pelle bollente, ormai non solo a causa della febbre.
Fabrizio sorrise compiaciuto mentre continuava a baciargli il collo e infilava lentamente una mano oltre l'orlo della maglietta di Ermal.
Ermal rabbrividì sentendo le dita di Fabrizio scorrere lentamente sotto la sua maglia, facendo improvvisamente bloccare il più grande.
"Hai freddo?" chiese Fabrizio preoccupato.
Ermal scosse la testa. "No, sto bene. Toglimela."
In realtà, aveva freddo davvero - segno che la febbre si stava alzando - ma aveva bisogno di sentire Fabrizio, di avere le sue mani a contatto con la sua pelle, e se doveva patire un po' di freddo per essere accontentato lo avrebbe fatto senza problemi.
Fabrizio gli sfilò la maglia, ritornando poi a baciargli il collo dal punto in cui si era fermato un attimo prima.
Lo baciò lentamente, percorrendo il collo, soffermandosi sulla spalla e poi scendendo sempre più in basso fino a fermarsi all'altezza del cuore.
La pelle di Ermal sotto le sue labbra era più calda del solito, cosa che lo fece allarmare per un attimo. Fece un respiro profondo, cercando di mettere a tacere la sua ipocondria almeno per qualche minuto, e continuò la sua scia di baci mentre una mano si insinuava oltre l'elastico dei pantaloni.
Ermal sospirò quando sentì la mano di Fabrizio toccarlo lentamente attraverso il tessuto dei boxer, stimolando un principio di erezione che aveva iniziato a formarsi qualche minuto prima, appena Fabrizio aveva iniziato a toccargli i capelli come era abituato a fare dopo aver fatto l'amore.
Odiava quando qualcuno gli toccava i capelli, odiava persino quando lo faceva sua madre. Ma se era Fabrizio a farlo, non solo non gli dava fastidio ma gli piaceva. Anzi, era una delle cose che aspettava con ansia ogni volta che si vedevano.
Le mani di Fabrizio sembravano fatte apposta per incastrarsi tra i suoi ricci, così come i suoi capelli sembravano fatti apposta per attorcigliarsi attorno alle dita tatuate del suo fidanzato. E quel gesto - che era nato come un gesto d'affetto quasi fraterno - era diventato presto un simbolo di fiducia totale, qualcosa che Ermal aveva usato per far capire a Fabrizio che era pronto ad affidarsi totalmente a lui. E con il tempo, era diventata un'abitudine.
Ogni volta che facevano l'amore, poi finivano abbracciati tra le lenzuola, con le mani di Ermal pronte a tracciare il contorno dei tatuaggi di Fabrizio e le dita di Fabrizio tra i ricci di Ermal.
"Sei pensieroso" constatò Fabrizio, sollevando leggermente lo sguardo.
"Sono sempre pensieroso" scherzò Ermal, ripensando a una volta in cui Fabrizio gli aveva detto che pensava troppo e che avrebbe dovuto provare a scollegare il cervello per qualche ora.
"Vediamo se riesco a farti smettere di pensare" rispose Fabrizio. Poi, senza aspettare una risposta, gli abbassò i pantaloni e i boxer insieme.
Ermal sospirò coprendosi il viso con un braccio. "Se continui di questo passo, ci riuscirai sicuramente."
Fabrizio si lasciò scappare una risata mentre con una mano iniziava a massaggiare l'erezione di Ermal, ormai libera da costrizioni.
Ed Ermal smise di pensare davvero.
Non riusciva a pensare a niente, se non alla mano di Fabrizio che scivolava lentamente - forse anche troppo - lungo la sua erezione, alle sue dita che si soffermavano sulla punta qualche secondo di troppo.
Ma la vera difficoltà nell'articolare pensieri di senso compiuto arrivò un attimo dopo, quando Fabrizio prese l'erezione di Ermal tra le labbra facendola scivolare lentamente nella sua bocca.
Ermal gemette, mentre spostava il braccio con cui si era coperto gli occhi fino a quel momento e spostava lo sguardo verso il basso.
Era convinto di non aver mai visto niente di più erotico, osceno e allo stesso tempo tenero in vita sua.
E no, non avrebbe mai pensato di poter definire un pompino con il termine tenero, ma lo era. Lo era perché era Fabrizio a farlo, lo era perché lo stava facendo solo perché voleva prendersi cura di lui, perché voleva che anche con la febbre potesse stare bene per un attimo.
Fabrizio sollevò lo sguardo per un attimo, puntando gli occhi in quelli del suo compagno, ed Ermal si sentì morire.
Ogni volta che Fabrizio lo guardava, si sentiva annegare. Era come se sprofondasse nei suoi occhi, senza possibilità di risalire in superficie. Non che volesse farlo, in realtà. Anzi, avrebbe voluto annegare negli occhi di Fabrizio per tutta la vita.
Non erano azzurri, non ricordavano il cielo o il mare, ma Ermal riusciva a sprofondarci dentro ugualmente.
Gli occhi di Fabrizio lo distaccavano dalla realtà. E in quel momento, oltre che distaccarlo dalla realtà, lo eccitavano più di quanto credesse fosse possibile.
I suoi occhi puntati su di lui, mentre le sue labbra e la sua mano si muovevano lentamente sulla sua erezione, era quanto di più erotico avesse mai visto in vita sua.
Con quell'immagine davanti agli occhi, non ci volle molto prima che Ermal arrivasse al limite gemendo il nome di Fabrizio e riversandosi nella sua bocca un attimo dopo.
Quando Fabrizio si distese accanto ad Ermal qualche secondo dopo, il più piccolo aveva ancora il respiro affannato e gli occhi chiusi, segno che si stava ancora godendo gli ultimi strascichi di un orgasmo che evidentemente era stato più forte del previsto.
"Stai bene?" chiese Fabrizio, afferrando un lembo della coperta e trascinandola sul corpo ancora nudo di Ermal.
Anche lui era stanco. Sentire Ermal tremare sotto di sé, sentirlo venire, gli faceva provare qualcosa che non aveva mai provato con nessun altro. Per un attimo, si era sentito come se quell'orgasmo lo stesse provando anche lui.
E invece, si ritrovava con una dolorosa erezione nei pantaloni e la necessità di risolvere il problema al più presto, ma allo stesso tempo con la voglia di restare in quel letto accanto a Ermal perché non c'era niente di meglio che ascoltare il suo respiro.
"E me lo chiedi? Se volevi farmi sudare, ci sei riuscito" rispose Ermal recuperando un po' di fiato.
Fabrizio sorrise, portando una mano sulla fronte di Ermal. Era sudato, su questo non c'erano dubbi, ma aveva ancora la febbre.
"La febbre mi sa che non è scesa. Prendi comunque la pastiglia e poi cerca di dormire" disse Fabrizio alzandosi dal letto.
"Tu dove stai andando?" chiese Ermal, mentre si sporgeva verso il comodino per afferrare il bicchiere d'acqua e la tachipirina che Fabrizio aveva lasciato lì.
Fabrizio si bloccò mentre usciva dalla stanza, abbassando lo sguardo imbarazzato. Quanto sarebbe stato patetico ammettere che stava andando in bagno a farsi una sega perché si era eccitato vedendo le espressioni da orgasmo sul volto del suo fidanzato?
Sarebbe stato decisamente imbarazzante, ma non era una cosa di cui vergognarsi.
"Vado un momento in bagno" disse semplicemente Fabrizio.
Lo sguardo di Ermal si soffermò sull'erezione del compagno - ormai evidente nonostante fosse ancora coperta dai jeans - e disse: "Vieni qua."
"Ermal, davvero ci metto un attimo. Tra pochi minuti sono di nuovo da te."
"Non mi interessa quanto ci metti. Non esiste proprio che, con il tuo fidanzato nudo in un letto, tu risolva quel problema da solo. Torna immediatamente qui."
Fabrizio sospirò contrariato ma tornò a stendersi accanto a lui.
"Stai male, hai ancora la febbre ed eravamo d'accordo che avrei fatto tutto io. Non fare i capricci, per favore" disse Fabrizio.
"Non sto facendo i capricci e puoi comunque fare tutto tu, non mi oppongo" disse Ermal con un sorrisetto malizioso.
Fabrizio rimase in silenzio. Da una parte fare l'amore con Ermal era l'unica cosa a cui riusciva a pensare. Gli era mancato così tanto che sentiva il bisogno di averlo vicino, di sentire la propria pelle a contatto con la sua.
Ma dall'altra parte sapeva bene che Ermal stava male e lui si era fiondato lì per prendersi cura del suo compagno, non per approfittarsi di lui.
"Bizio, smettila di farti le tue solite seghe mentali" disse Ermal scostando il plaid con cui Fabrizio l'aveva coperto poco prima. Poi indicò la cassettiera di fronte al letto e disse: "Lubrificante e preservativi sono nel primo cassetto."
"Sei sicuro?"
"Sì. Ho ancora la febbre, quindi non ho sudato abbastanza" ironizzò Ermal, mentre Fabrizio si alzava dal letto e recuperava il necessario nel cassetto che gli era stato indicato.
"E poi, non sei l'unico che ha bisogno di attenzioni" aggiunse un attimo dopo.
Fabrizio si voltò incuriosito per poi ridacchiare imbarazzato vedendo Ermal che alludeva a sé stesso.
"Ermal, non è possibile però! Tu non sei umano! C'hai sempre voglia!"
"Sei solo geloso perché ormai sei vecchio e non sei più in grado di sopportare due amplessi di seguito. Io evidentemente sì" rispose Ermal.
Fabrizio gli lanciò la scatola di preservativi con fare dispettoso e disse: "Taci. Fino a poco fa eri te quello che non aveva le forze per scopare."
"Ci sono parti di me che a quanto pare le forze le hanno" rispose Ermal sorridendo.
"Ho notato" rispose Fabrizio abbandonando il lubrificante sul letto e sdraiandosi nuovamente accanto a lui.
Gli spostò i ricci dalla fronte, facendo scorrere la mano tra i capelli mentre si avvicinava e gli lasciava un bacio sulle labbra.
Appena cercò di allontanarsi, Ermal lo spinse nuovamente verso di sé approfondendo il contatto, mentre con una mano percorreva lentamente il petto di Fabrizio fino ad arrivare all'orlo della t-shirt nera che indossava.
Capendo le sue intenzioni, Fabrizio si allontanò quel tanto che bastava per riuscire a sfilarsi la maglietta e poi tornò a baciarlo.
Baciare Ermal era una delle cose che preferiva fare in assoluto. Lo rilassava e lo eccitava allo stesso tempo. Era come stare contemporaneamente sulle montagne russe e seduti sul divano a guardare la televisione.
Fabrizio non aveva idea di come fosse possibile, ma gli piaceva quella sensazione. Amava sentire lo stomaco attorcigliarsi e allo stesso tempo sentirsi a casa con le labbra di Ermal premute sulle sue.
Si allontanò per un attimo, giusto il tempo di slacciarsi la cintura e sbottonarsi i jeans, mentre Ermal lo fissava con gli occhi lucidi. E Fabrizio ne era certo, non erano lucidi per colpa della febbre.
Conosceva quello sguardo. Era lo sguardo che Ermal aveva ogni volta che facevano l'amore, lo sguardo che supplicava Fabrizio di andare oltre, che gli faceva capire che non poteva più aspettare.
Si sfilò i pantaloni e i boxer lentamente, sotto lo sguardo di Ermal che sembrava pregarlo di fare più in fretta.
"Ti vedo in difficoltà" scherzò Fabrizio.
"Sono malato, non puoi prendermi in giro" rispose Ermal coprendosi gli occhi con una mano, per evitare che Fabrizio vedesse nel suo sguardo quanto lo desiderasse.
"Dai, sto scherzando. Non sei l'unico ad avere qualche problema" rispose Fabrizio scostandogli la mano dagli occhi e accarezzandogli dolcemente una guancia.
"Lo so, infatti non capisco perché ci stai mettendo tanto" replicò Ermal.
"Ah, ci sto mettendo tanto?" disse Fabrizio. Un attimo dopo, la sua mano era sull'erezione di Ermal, mentre il suo compagno sotto di lui aveva smesso di parlare e se ne stava con la bocca leggermente aperta e la testa reclinata all'indietro, ormai a corto di fiato.
"Se ci metto tanto è solo perché voglio fare le cose con calma, perché voglio che tu ti goda il momento" mormorò Fabrizio all'orecchio di Ermal, mentre la sua mano si spostava lentamente dalla sua erezione e andava a sfiorare la sua apertura.
"Quello che dovrebbe godersi il momento sei tu. Io ho già dato" rispose Ermal con la voce spezzata.
"Che ne dici se ci godiamo il momento entrambi?" disse Fabrizio mentre prendeva il lubrificante e se ne versava un po' sulle dita.
Ermal annuì mentre fissava Fabrizio, facendo attenzione a non perdersi nemmeno uno dei suoi movimenti.
Quando le dita di Fabrizio iniziarono a prepararlo lentamente, Ermal si lasciò sfuggire un gemito mentre cercava - con quel poco di lucidità rimasta - di prendere un preservativo dalla scatola e scartarlo.
"Quanta fretta" commentò Fabrizio.
"Ti dispiace? Lo sto facendo per te, eh!"
Fabrizio scosse la testa mentre Ermal si mise seduto - ignorando il mal di testa lancinante che sembrava volergli intimare di stare sdraiato e non fare sforzi - e gli infilò il preservativo soffermandosi più del necessario con le mani sull'erezione del compagno.
Fabrizio sospirò sentendo le mani di Ermal su di sé. Dopo tanti mesi, sentire Ermal che lo toccava gli faceva ancora lo stesso effetto della prima volta. Gli faceva mancare il respiro e gli faceva battere il cuore all'impazzata. E onestamente sperava di poter provare quelle sensazioni per il resto della sua vita.
Avrebbe voluto continuare per sempre a sentire il respiro che gli si bloccava in gola ogni volta che Ermal lo toccava, ogni volta che lo accoglieva dentro di sé proprio come in quel momento. Avrebbe voluto sentire per sempre i sospiri di Ermal, i gemiti che gli arrivavano dritti al cuore ogni volta che si spingeva un po' di più dentro di lui.
"Stai bene?" chiese Fabrizio a un certo punto. Le parole faticavano a uscire e fermarsi era l'ultima cosa che avrebbe voluto, ma era passato troppo tempo dall'ultima volta in cui avevano fatto l'amore ed era terrorizzato dall'idea che Ermal potesse non godere di quel momento come invece stava facendo lui.
Ermal annuì mordendosi il labbro inferiore, mentre sentiva Fabrizio spingersi dentro di lui sempre più velocemente e massaggiare la sua erezione al ritmo delle sue spinte.
Quando Fabrizio venne - abbandonando la testa sulla spalla di Ermal esausto -, Ermal non poté trattenersi ulteriormente e si lasciò andare con un sospiro e il nome di Fabrizio tra le labbra.
Fabrizio non seppe dire per quanto tempo era rimasto con la fronte appoggiata sulla spalla di Ermal, ad ascoltare il suo respiro. Probabilmente per parecchi minuti, visto che quando aveva sollevato lo sguardo Ermal aveva gli occhi chiusi, le labbra leggermente aperte e il respiro ormai si era regolarizzato.
Si spostò di lato, trascinando Ermal con sé e facendogli posare la testa sul suo petto.
Ermal borbottò qualcosa continuando a tenere gli occhi chiusi e Fabrizio, pur non capendo cosa aveva detto, si mise a ridere.
"Ma che ridi?" mormorò Ermal a voce un po' un più alta, con la faccia nascosta contro il petto di Fabrizio e gli occhi ancora chiusi.
"Niente, è che non ho capito che hai detto."
"Dicevo che non stavo dormendo. Stavo solo riposando gli occhi."
Fabrizio ridacchiò. "Certo. Guarda che non ti fa male dormire un po' visto che stai male."
"Non voglio dormire mentre sei qui."
Fabrizio gli passò una mano sulla fronte, sospirando sollevato quando si accorse che non era più bollente come poco prima.
"La febbre è scesa" disse sorridendo. Poi aggiunse: "Dai, dormi un po'. Ti prometto che rimango qui. Non me ne vado."
Ermal sospirò cercando di mettersi più comodo tra le braccia di Fabrizio. "Va bene. Ma dormo solo un'oretta. Poi svegliami."
Fabrizio annuì, anche se era consapevole che non lo avrebbe svegliato.
Lo avrebbe lasciato dormire, permettendogli di recuperare le ore di sonno arretrato, e magari avrebbe dormito un po' anche lui. In fondo, entrambi sapevano che la vicinanza dell'altro non faceva altro che tranquillizzarli.
Qualche minuto dopo Fabrizio iniziò a sentire le palpebre farsi più pesanti, e proprio mentre stava per chiudere gli occhi sotto il peso del sonno, sentì Ermal dire: "Grazie."
Sorrise mentre lo stringeva maggiormente a sé a chiudeva gli occhi.
Un attimo prima di addormentarsi, dalle sue labbra sfuggì un sussurro. "Ti amo, Ermal."
Era la prima volta che lo diceva e non era sicuro che Ermal lo avesse sentito. Ma appena quelle parole lasciarono inconsciamente la sua bocca, il più giovane si strinse a lui approfondendo ulteriormente l'abbraccio.
Forse non l'aveva sentito davvero, forse dormiva troppo per percepire davvero le parole di Fabrizio.
Ma era ovvio che il suo cuore aveva sentito tutto forte e chiaro, ed era sufficiente.
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max-casagrande · 5 years
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Ars Arkana; Capitolo 3
Capitolo 3: Primi incantesimi
-Hai mai ucciso qualcuno?- domandò Tyrell. Teneva le braccia incrociate e si poggiava ad una parete, dando una spalla ad una delle finestre al primo piano della taverna. Shydow era seduto ad un tavolo, la mano destra che brillava di un acceso giallo con il palmo contro le braccia di Alyx. La luce rendeva difficile distinguere le varie ferite, che svanivano completamente quando la mano si spostava. Cicatrici, tagli, graffi... tutto svaniva nella luce tenue.
-Perché me lo chiedi?- chiese a sua volta senza distogliere lo sguardo dall'incantesimo.
-Perché non vuoi rispondere?-
-Anche se lo facessi, tu non saresti in grado di cambiare opinione su di me. Ti ci vorrà tempo, e anche parecchio.-
-Potrebbe volerci di meno se rispondessi alla mia domanda.-
La luce si spense e Shydow si alzò. Alyx rimaneva in silenzio, forse ancora troppo timida per parlare, e Lysandra era china su una grande marmitta a girare una minestra scura e densa, dietro il bancone. -Certo.- ridacchiò avvicinandosi a piccoli passi a Tyrell. -Ho iniziato con la mia famiglia: quando ottieni i poteri magici, hai un'implacabile voglia di usarli. E così ti chiedi: perché dovrei fermarmi? Chi sono loro per dirmi di smettere? Io sono superiore ad esseri così inferiori... così, una sera, li ho costretti a prendere un coltello a testa e ad uccidersi a vicenda, senza che potessero fare nulla.-
-D...davvero?- domandò il ragazzo deglutendo, quando ormai l'altro lo aveva raggiunto. I centimetri di differenza non erano molti, ma in quell'istante gli sembrava di star parlando con una montagna.
-Sì, come no, e poi sono venuto in un villaggio a dannarmi l'anima per far fuori un ciclope. Ma ti pare?! Da quando le persone con una treccina sulla faccia sono persone cattive?- chiese indicandosi il viso. -Non ho mai ucciso nessuno.- rassicurò poi tornando verso la ragazza. -Ci vorrà ancora molto?- domandò a Lysandra.
-È quasi pronta, sto aspettando che le patate finiscano di cuocersi.- rispose grattandosi la nuca.
-Fa male?- domandò titubante Alyx, una volta che Shydow si sedette di nuovo di fianco a lei. Si stringeva tra le spalle, continuando ad assecondare quell'istinto che le consigliava di farsi piccola il più possibile. -Fare la magia, intendo.-
-No, anche se mette una certa fame.- spiegò lui riprendendo quel sorriso rassicurante che aveva ogni volta che le parlava.
-Quindi... io sarei come te?- chiese Tyrell staccandosi dalla parete, avvicinandosi al tavolo dove i due erano seduti.
-Più o meno. Io sono molto più potente, come tu non sarai mai, ma in parole povere sì, sei come me.-
-E come potresti dirlo con tanta certezza?- domandò Lysandra, riempiendo una ciotola in legno con il contenuto della marmitta.
-“Basta” è una parola in Arkano, la lingua di tutti coloro che sanno manipolare l'energia magica.- spiegò Shydow verso la ragazza, inalando a pieni polmoni il profumo che veniva da quella direzione. Non ricordava di aver mai sentito un odore così buono. -Nello stesso istante in cui l'hai pronunciata, hai lanciato il tuo primo incantesimo.- aggiunse rivolgendosi a Tyrell. -Certo, non volevi. Hai visto tutta quella violenza e hai pensato “che sarà mai dire questa parola?”. Be', gli Arkani non lo pensano mai, soprattutto quando stanno per urlare.
-E che cosa significa “basta” in Arkano?- A chiedere questa volta fu Alyx.
-Basta.- rispose Shydow con tono ovvio, quasi confuso dalla domanda. -Ma è un basta diverso da quello che avete presente voi. Si usa solo in momenti molto seri. Ad esempio se qualcuno ti sta versando acqua in un bicchiere, per fermarlo non si dice “basta”. Non in Arkano, per lo meno. È una lingua che quasi da subito si era deciso di usarla solo per il suo scopo: la magia. Non si parla in Arkano, altrimenti le conseguenze sarebbero inenarrabili.-
-Tutti gli incantesimi sono in Arkano?-
-Sì, Tyrell, tutti gli incantesimi. Nasce da un'unione tra la lingua delle fate e quella dei draghi, codificata in maniera da essere semplice.-
-Lo dici come se fate e draghi esistessero davvero.- commentò Lysandra lasciando il vassoio sul tavolo, posizionando tre ciotole di fronte a sé, Alyx e Tyrell, lasciando la quarta dov'era.
Shydow sospirò prima di prenderla. -Esistono eccome, ma se non mi credi non fa nulla.-
-Parlando di cose più serie: si può curare?- chiese il ragazzo, infastidito dalla situazione.
-La magia? No, non si può... curare. Puoi scegliere se imparare a controllarla o meno.-
-Ma io non l'ho mai voluta! Io non voglio essere... questo! Voglio solo essere Tyrell!-
-Perch��? Perché dovresti voler rinunciare ad un dono?-
-Essere inseguito dalla Chiesa non mi sembra qualcosa di vantaggioso...- commentò in risposta.
-Be'... sì, ma la magia ne vale la pena. Soprattutto per chi ha talento, e tu sembri averne.- disse Shydow impugnando un cucchiaio. -Far svanire nel nulla un'evocazione senza nessun tipo di addestramento è qualcosa che oserei aggettivare come prodigioso, senza contare che i maghi di norma non possono lanciare incantesimi senza strumenti. Avete del pane? Lo preferirei bianco.-
-Cosa vuol dire aggettivare?-
-Descrivere, più o meno. Direi che quello che ha fatto Tyrell è prodigioso. Ha rivelato grandi capacità.- rispose a Lysandra. -Avete del pane? Lo preferirei bianco.-
-Cos'ha di bello la magia? È un peccato.- ribatté Tyrell, seguendo con lo sguardo la sorella diretta alla dispensa.
-È un peccato per la Chiesa, mica per me. Per me è peccato non usarla. Comunque, in molti la descriverebbero come un'arte profonda e che migliora la vita. Io credo semplicemente che muovere le cose senza toccarle sia una gran figata, e sono solo le basi.- Shydow sembrò accorgersi di una scintilla di interesse nello sguardo del ragazzo, quindi continuò. -Controllare le menti, lanciare magie in generale, vedere nel futuro, leggere i pensieri delle persone... dopo un certo livello vige la regola “il tuo unico limite è l'immaginazione”.-
-Tu... come hai imparato?-
-Una volta, molto tempo fa, c'era una scuola. Da lì partiva tutta l'energia magica del mondo, e fluiva in tutti i mari e tutte le terre.-
-Come se quest'isola non fosse l'unica terra del mondo. Anche io so che non ci sono continenti oltre il mare. Sono come le storie che dicono che la fine dello spazio sia più distante di trecento leghe dal suolo, o che la terra sia sferica.- disse Lysandra con tono ovvio avvicinandosi con una grossa pagnotta.
-Se ti dicessi quanto è davvero grande il mondo ti spaventeresti.- sogghignò. -Tornando sul pezzo, io vi consiglio di venire con me.-
-Perché dovremmo?-
-Quale pezzo?- chiese poi Tyrell dopo Lysandra.
-Credete davvero che vi guarderanno di nuovo come prima? Per loro ormai siete mostri, entrambi, per giunta. Non si può però dire lo stesso di me, altrimenti sarei un gran bell'ipocrita. So che tu vuoi imparare ad usare questi poteri e che tu vuoi proteggerlo e sì, ho letto i vostri pensieri, prometto di non farlo più.- annunciò annoiato alzando la mano e mostrando le dita distese. -Se cancellate completamente tutte le idee che la Chiesa vi ha infilato in testa dalla vostra nascita, sarà anche facile. Non guardatemi con quelle facce.-
-Non ci stai chiedendo qualcosa di semplice.- commentò Lysandra.
Shydow però, invece di ribattere, puntò lo sguardo verso Alyx, che continuava a fissare la scodella colma di minestra. -Non mangi?- le domandò alzando un sopracciglio.
Gli occhi di lei si riempirono di stupore. -Posso?!- chiese lei incredula.
-Ovviamente!- esclamò Lysandra. -Di certo sono più propensa ad offrirla a te che a... lui...- aggiunse accennando a Shydow.
-L'ha preparata per te. E poi, finché stai con me, non puoi mica saltare i pasti.-
Confusa afferrò un cucchiaio e, titubante, lo immerse nella brodaglia. Tirandolo fuori si trascinò dietro anche un grosso pezzo di carota. Lentamente, con mano tremante dall'emozione, lo portò fino alla bocca, inspirando a pieni polmoni prima di iniziare a masticare. Gli occhi le divennero lucidi un istante prima di ingoiare, per poi di continuare a mangiare con maggiore rapidità e meno cura.
-Uno che distrugge città secondo te potrebbe dire qualcosa del genere?- domandò Tyrell a Lysandra. Shydow allungò un sorriso, perdendolo quando però il ragazzo puntò il proprio sguardo su di lui. -E va bene, qualsiasi cosa serva, io la farò.-
-Fr...-
-Lysandra, ha ragione, e non dirmi che non hai mai nutrito qualche dubbio anche tu. Adesso siamo i cattivi, quindi non possiamo avere ragione in ogni caso.-
-Devo ammetterlo, sei riuscito a fare in pochi minuti quello che avevo previsto avresti fatto in mesi. Sbalorditivo.- si complimentò Shydow lasciando il cucchiaio. Come per magia, adesso la ciotola era vuota, anche se nessuno dei tre lo aveva visto mangiare. -E poi sì, ha nutrito dei dubbi. Non guardarmi così, i tuoi pensieri implorano di essere letti!-
Lysandra, ignorando l'ultima frase e capendo che ormai era diventato qualcosa di normale, sospirò, porgendosi in avanti. -Fammi capire: noi veniamo con te e tu ti assicuri che... non veniamo uccisi? Insomma, anche io credo che restare qui non sia una buona idea. Gazwig troverà un modo per contattare la Chiesa.-
-In realtà ho una vera e propria missione da portare a termine, ma durante il viaggio nulla mi vieta di proteggervi o insegnarvi. Se mi seguirete, vi assicuro che non ve ne pentirete, e potrete vivere una vita che in molti possono solo immaginare.-
-Io ho già accettato!- esclamò Alyx a bocca piena.
Tyrell e Lysandra si scambiarono un paio di sguardi. Aveva ragione: quello che diceva la Chiesa gli sembrava sempre più strano e netto ogni secondo che passava, anche se non avevano mai veramente pensato fosse completamente vero. Lei era insicura ma suo fratello no, come se fosse tutta la vita che ci stesse pensando sopra.
-Ci hai convinto, verremo con te.- acconsentì Lysandra riportando lo sguardo sull'Arkano.
Si alzò non appena vide gli occhi della ragazza, allungando un sorriso. -Il mio nome è Shydow Bryden Neyer, sono uno degli Arser più potenti di sempre, e ora potete considerarvi sotto la mia protezione e la mia tutela.-
-Dovevi dirlo per forza.-
-Certo che no, ma suona bene, non trovi?-
In una foresta molto più ad ovest di Bryamor, lontana dalla più vicina delle città, si potevano sentire distintamente alcuni bisbigli. Nessuno ricordava da quanto, ma girava voce che quella foresta fosse completamente invasa dalle fate, abbastanza da darle il nome stesso di “Bosco delle fate”. La Chiesa continuava a ripetere che quel nome era errato, data l'inesistenza di tali creature, e che il vero nome fosse “Foresta di Zhivanna”. Ciò che continuava a non spiegare erano però quelle voci che si potevano sentire quando si camminava in uno dei sentieri che lo attraversavano e che, di notte, erano perfettamente udibili anche al di fuori dello stesso.
E quel giorno sembrava essere un'eccezione, visto che le voci si riuscivano a sentire anche da pochi minuti dopo mezzogiorno. Bisbigli, confusi e frenetici, che viaggiavano più veloci del vento da un albero all'altro.
-Hai visto? Era senza vestiti!- esclamò una voce, che sembrava star cercando di trattenere le risate.
-Quindi sei riuscito a vedere i segni.- constatò un'altra in risposta, questa volta più adulta. -Quello lì è della Chiesa, ne sono sicura.-
-Sai cosa ha detto Mamma, nessuno può avvicinarsi.- continuò la prima.
-Secondo voi Billy dovrebbe saperlo?- domandò una terza timidamente.
-Se deve saperlo, l'Albero glielo avrà già detto, no?- rispose una quarta con tono saccente.
-Ma lo hai visto? Ha i capelli bianchi come Mamma.-
-È caduto dal cielo come una di quelle stelle che ogni tanto scendono di notte.-
-Ha ragione! Ha ragione!-
-E quando si sveglia?-
-Ma siamo sicuri che sia buono?-
-E se ci strappa le ali?-
Un solo verso e tutte le voci si zittirono all'improvviso. Un sussurro autoritario, come quello di una madre nei confronti di un bambino.
Lysandra rimaneva ferma, con le braccia incrociate, all'entrata della locanda. Fissava insospettita le provviste viaggiare da sole verso il carro appena “ottenuto” dal mercante che, la sera prima, aveva sfidato Shydow. Di tanto in tanto si univano anche oggetti che né lei né Tyrell avrebbero voluto lasciare lì. Disegni, lettere, piccole scatole... fluttuavano indisturbate e con grazia fino ad un posto ben preciso del mezzo, incastrandosi alla perfezione e limitando lo spreco di spazio. La gabbia era stata distrutta dall'Arser, che aveva utilizzato il metallo per rinforzare le ruote e creando quelle che lui chiamava “molle”. Si trovavano sopra le travi, ma lei non riusciva a capire a cosa servissero, per quanto le osservasse.
Al posto del conducente, sedeva Alyx, che guardava di fronte a sé tenendosi le ginocchia al petto, circondando le gambe con le braccia.
-Tutto bene?- domandò Lysandra alla ragazza, che annuì timidamente dopo essersi voltata verso di lei. -Ti chiami Alyx, giusto?- Annuì di nuovo. -Conosci quel Neyer.-
-No.- rispose sussurrando.
-Lui sembra conoscerti.-
-Mi... mi ha chiesto come mi chiamo, se mi avesse conosciuto... non l'avrebbe fatto.- borbottò.
-Be', io non ho mai incontrato uno che fa tutta questa roba gratis. Uno così gentile non esiste né in cielo né in terra.- affermò massaggiandosi la nuca.
-Ti sei fatta male?-
-È da quando il ciclope è scomparso che ho uno strano dolore. Sono sicura che passerà con una dormita.- rispose facendo spallucce.
-Tutti pronti?- chiese Shydow uscendo dalla taverna. -Tyrell è in bagno, non dovrebbe metterci molto.-
Alyx annuì. -Perché lo fai?- domandò Lysandra.
-Che cosa?- domandò Shydow, voltandosi verso di lei.
-Anche ammesso che i maghi non distruggano per divertimento, nessuno è così gentile senza motivo.-
-Magari mi piace la compagnia.- rispose facendo spallucce. Il suo solito sorriso enigmatico si perse all'improvviso, facendo alzare un sopracciglio alla ragazza. -Tu eri qui ieri sera.-
-Ehm... già... sai, ci siamo incontrati qui.-
-Cosa succede?- chiese Alyx incuriosita avvicinandosi ai due.
-Qualcosa non quadra.- spiegò Shydow massaggiandosi il meno, come alla ricerca di qualche pelo in più nella corta barba non curata. -Tu dicevi alle persone che un ciclope sarebbe arrivato il giorno successivo, giusto?-
-Esatto.-
-E allora perché nessuno se n'è andato? Come facevi ad essere così calma?-
-Io... non lo so. Non sarebbe arrivato prima di mezzogiorno.- rispose lei con il tono di chi formula un'ipotesi.
-E come lo facevate a sapere? Con tutta questa precisione, tra l'altro. Non ci sono orologi in questo villaggio, una stima del genere sarebbe stata impossibile anche per un veggente.-
Lysandra ci pensò sopra per un paio di secondi, ma nulla. Detestava ammetterlo, ma aveva ragione. Quel che era successo, tuttavia, le sembrava così logico fino a quel momento. -Allora cosa sta succedendo?-
-Ho paura che qualcuno ci stia osservando. Che tutto quanto sia controllato, ma da qualcuno di inesperto. Scegliere come far avvenire eventi non è qualcosa di facile, e per lui deve essere la prima volta. Fa entrare un mostro in un villaggio con la precisione di un orologio di Kaminesh e si assicura che ci sia un bersaglio che pensi che tutto ciò è normale. Ma perché?-
-Hai idea di chi possa essere?- chiese Alyx.
-No. Mi viene in mente una sola persona, ma sono sicuro sia morto. E da parecchio tempo, aggiungerei...-
-Cosa è successo da parecchio tempo?- domandò Tyrell avvicinandosi al gruppo.
-Nulla.- rispose prontamente Lysandra, fissando Shydow con sguardo fermo. -Giusto?-
-La tua capatina in bagno, parlavamo di quanto ci stessi mettendo.- continuò l'Arser andando verso il carretto. Neanche Alyx disse una parola.
-Non vorrei essere colui che dice l'ovvio, ma non servirebbero dei cavalli?- chiese ancora Tyrell, notando l'assenza di animali d'avanti il mezzo.
-Cavalli? Dove andiamo noi non ci servono... cavalli.- rispose Shydow con voce profonda, sedendosi al posto del conducente e afferrando le briglie sciolte. -Se aveste visto quel opera stareste ridendo.-
-Quale opera?- domandarono i tre all'unisono.
-Non importa.- tagliò corto lui dando un colpo di frusta alle cinghie di cuoio, che si fermarono a mezz'aria come legate a destrieri invisibili. Ormai Tyrell e Lysandra stavano facendo l'abitudine a tutta quella magia, ma Alyx la osservò comunque meravigliata. -Partiamo.-
“Trenta giorni per tornare a casa...” pensò.
Circa trenta anni prima quella città neanche esisteva. La Chiesa aveva un metodo infallibile per capire dove costruire le loro “sacre” città: i cardinali uscivano nelle praterie con i loro bastoni, camminando con passo pacato, e, più o meno una volta per vita, il bastone affondava nel terreno di circa quaranta centimetri. Il terreno veniva consacrato e grazie ad ottimi architetti, operai eccellenti e qualche miracolo, la città sorgeva nel giro di un paio di mesi, pronta ad essere popolata. Era stato Zalomon, circa dieci anni prima, a consacrare quel luogo e ad invocare i miracoli che avevano fatto sorgere Zietra in meno di tre settimane.
La chiesa l'aveva fatta ergere dal terreno personalmente e completamente da solo, forse per mostrare a tutti cosa fosse veramente in grado di fare: pareti, vetrate, porte, campane... tutto usciva dal terreno lentamente come se scoperto dopo una lunga e silenziosa partita a nascondino. E proprio all'ultimo piano di quella chiesa, circa una decade dopo, Zalomon stava camminando a grandi passi, nel corridoio principale al piano più alto della chiesa, diretto alla camera dei moderatori. Era furioso. Il cielo si era annuvolato, non sapeva se per colpa sua o meno. In fondo, era di umore grigio.
-Chi non ha buone notizie per me, è meglio se cerca di lasciare l'isola.- affermò spalancando le alte porte di legno. I due moderatori si alzarono dalle poltrone al capo della tavola rettangolare e chinarono la testa, tenendosi le mani avanti. Alazog si passava due dita della mano destra sulla barba marrone scuro ben curata, massaggiandosi il mento. Teneva il volto puntato verso l'orizzonte, scrutandolo con attenzione attraverso la grande vetrata.
-Nessun purificatore o sacerdote riesce a capire come ciò sia potuto succedere.- cominciò Diz, il moderatore primario. -Non sappiamo come possa qualcuno aver lanciato un incantesimo con questa precisione nonostante la distanza.-
-Non ti ho chiesto di elogiarlo, ti ho chiesto buone notizie.- ringhiò Zalomon incredibilmente infastidito, lasciandosi cadere su una poltrona lato opposto della tavolata.
-Come se ce ne potessero essere.- interruppe Alazog senza voltarsi. Il suo tono era calmo, come se non lo riguardasse e non fosse nulla di serio. -Tuo figlio è letteralmente scomparso nel nulla dopo essersi trasformato in un Arkano. In una delle mie cerimonie private tra l'altro, temo di dovermi sentire offeso.-
-È una cosa seria, per l'amor del Tempo!-
-Sto attendendo istruzioni dal Sommo Parlatore. Anche tu starai facendo lo stesso, immagino. O devo immaginare che anche la tua fede vacilli di fronte a cose futili come l'amore nei confronti di un figlio?-
I due moderatori sgranarono gli occhi, lanciandosi a vicenda un'occhiata incredula cercando di muoversi il meno possibile. Una cappa di silenzio calò all'istante all'interno della sala, dove anche il battito dei cuori sarebbe potuto essere udibile. La tensione riusciva ad essere percepita in maniera distinta, come se i presenti fossero immersi al suo interno fino alle orecchie. Zalomon, con sguardo quasi vuoto e sereno, si alzò, e raggiunse Alazog con passo lento e cadenzato, scandendo il tempo, e lo guardò negli occhi. -Dillo di nuovo, e mi assicurerò che tutti i bastoni dei purificatori entrino per la loro interezza nel tuo sacro culo.- ringhiò in sussurro.
L'altro sembrò divertito, alzando le sopracciglia dallo stupore. -Bene, ti confermi di nuovo come l'unico cardinale non nato in una città, su un territorio sacro. Suppongo sia questa la vera natura che cerchi tanto di nascondere. Il tuo comportamento ortodosso è...-
-Qualsiasi cosa tu volessi dire, ormai ha smesso di interessarmi. Voi due, cosa credete di fare?-
Diz, l'altro moderatore, deglutì. -Pensavo di dire che il sacerdote Astryal è stato rapito da un Arser.-
-Certo, e poi inseriamo nella storia anche un drago.- ribatté Niz, il secondo moderatore. -Come reagirà il popolo sapendo che un diavolo è sulla terra? Nessuno potrebbe crederci, non importa se lo dice un parroco o il Parlatore. Per tutti non sono che una leggenda, sciocco. Quello che ci serve, è un potente stregone, che giustifichi l'uscita di una decina di purificatori dalla città.-
-Non dieci, uno.- corresse Zalomon con tono cupo, avvicinandosi ai due. -Sarò io ad occuparmi della situazione, personalmente. Chiunque altro interferirà ne dovrà rispondere direttamente a me, chiaro? Spargete la voce all'interno di tutta l'isola.-
-E cosa ne sarà della Chiesa, in tua assenza?- domandò Alazog con intenzioni di scherno.
-La gestirai tu, come sempre.- rispose sprezzante. -E non credo di dovervi dire che questa conversazione non è mai avvenuta.- aggiunse rivolgendosi ai due.
-Ai vostri ordini, eminenza.- conclusero Diz e Niz con un profondo inchino, allontanandosi a piccoli passi senza voltare le spalle.
Alazog, prima di parlare, attese che i due si fossero chiusi la porta alle spalle, e fossero a debita distanza per non sentire neanche una parola. -Cosa succederà quando te lo ritroverai davanti?- domandò senza distogliere lo sguardo dall'orizzonte.
-La conosci la maledizione dei purificatori, sai benissimo cosa succederà. Il mio corpo si muoverà da solo e io non sarò in grado di fare nulla.- rispose cupo Zalomon con il capo chino.
-Prima di benedire la tua missione, voglio sentirtelo dire.- Non c'era tregua o pietà in quel tono, solo odio verso la magia e un forte desiderio nel sentire quella previsione.
-Lo ucciderò, e mi verrà spontaneo farlo nel modo più doloroso possibile.-
Quello che nessuno dei due aveva considerato era la preoccupazione di Zenyth che, come nessuno sarebbe stato in grado di prevedere, si era appostato con l'orecchio sulla porta. Una mano sulla bocca, l'altra sul petto, per assicurarsi che fosse solo lui a sentire il suo cuore sul punto di esplodere. Ma anche lui era vittima della maledizione, e di intervenire non gli venne neanche in mente.
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Twittatemi che io vi twitto i miei capitoli XD: https://twitter.com/FFMaxCasagrande
Scripta blog, il sito con cui sto mandando avanti la collaborazione che ha anche l'esclusiva di “Ars Arkana”: https://www.scripta.blog/
Ma lo sapevate che ho anche Instagram?: https://www.instagram.com/max_casagrande_dreamer/
Sono sempre alla ricerca di Beta-tester. Quindi, se volete, fatevi avanti!
Se avete un po' di tempo, fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo con una recensione o un commentino qui sotto, mi fa molto piacere XD. (E poi divento più bravo!)
Se vi va condividete il capitolo, così divento famoso!!! \(^o^)/ (mai vero, ma comunque apprezzo :P).
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antovivi · 5 years
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La vita è la somma delle nostre azioni , spesso condizionate. Se ci pensate già da bambine il condizionamento lo subiamo con le letture delle favole e i messaggi subliminali che crescendo girano come criceti nei nostri pensieri . Ci avete mai fatto caso, come sono le donne nelle favole? Così soavi, così romantiche, cma anche così dementi, no? Esempio, Cappuccetto Rosso, tre donne tre deficienti. Deficiente la nonna perché, voglio dire, vivere da sola in un bosco solitaria, e la figlia ?perché non ci va lei dalla madre, no, ci manda sua figlia. Di quattro anni!!Allora, siccome la manda nel bosco che cosa fa per proteggerla, le regalerà una mimetica? No, un cappuccetto rosso fuoco, cammina per il bosco e vede un lupo, che cosa fa, scappa? No. Si ferma e gli racconta tutti i cazzi suoi. Ma non è finita perché dopo che ci ha parlato per tre ore lo vede cinque minuti dopo con una cuffietta e non lo riconosce!! Vogliamo parlare della Bella Addormentata nel bosco? La regina non riesce ad avere bambini, e dopo diversi tentativi riesce ad avere una bellissima figlia e che fa ? Un favoloso party invita tutti, ma proprio tutti, tranne l'unica che non doveva esser dimenticata la strega del reame. Ecco Malefica, non è che si chiama Fiore di Mirtillo , è ovvio che si incazza un attimino e lancia l’anatema sulla bambina, lo conosciamo tutti, giusto? “Quando compirai 18 anni ti pungerai il dito con un fuso e cadrai addormentata” e siccome nel regno tutti la amano,si premurano di ricordarglielo, compleanno dopo compleanno, lei compie 18 anni cosa fa? “Oh, un fuso!” Biancaneve ? Una favola proprio da raccontare prima di andare a dormire: “C’era una volta una bambina alla quale morì subito la mamma, il papà si risposò con una stronza terrificante che siccome è gelosa di lei la vuole morta. Buonanotte amore, sogni d’oro!” La storia la sappiamo, no? Il guardiacaccia , il cuore di un povero cervo che poi si è si è venuto a scoprire che era la madre di Bambi… una tragedia. E lei,la principessa scappa nel bosco, vede una casupola mai pulita. Che fa ? Bussa entra senza remore e si sdraia sui letti. Arrivano i padroni di casa, marito e moglie? No. Una comunità di 7 nanetti, ovviamente che cosa fanno, si inteneriscono anche loro “Come possiamo aiutare questa principessina… Ma teniamola qui, facciamone la nostra serva” e lei “Sì! Che bella idea, perché non ci ho pensato io?!” e via a ramazzare, pulire, cucire, rammendare mutande per sette nanetti. E fischietta nel frattempo… ma che cazzo ti fischietti?! E sempre la matrigna lo scopre, ed inosservata come una innocua vecchina vende la mela a Biancaneve.Lei cosa fa? Da una estranea accetta mangia la mela, muore , arrivano i nani, porranno fine alle sofferenze di questa ragazza, in una teca di vetro e la guardano decomporsi. A un certo punto arriva anche il principe azzurro, ma il principe azzurro non esiste, perché uno che viene su un cavallo bianco con i leggings azzurri è gay! Tanto che riesce a far cadere la teca ,Biancaneve rotola fuori, sbatte la testa contro un sasso, trauma cranico, sputa la mela, lo vede e dice: “Ti amo, sposiamoci!” e vissero per sempre felici e contenti. Chi?
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pleaseanotherbook · 5 years
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Best of 2018: I dieci libri più belli letti quest’anno
Stilare questa lista è sempre fare i conti con me stessa e le mie letture, fare un bilancio effettivo delle letture dell’anno, capire se il tempo che ho speso per certi libri ne è valso la pena. Vuol dire anche fare a pugni con la sfida di Goodreads e rendermi conto se l’ho vinta o no. Vuol dire concentrarmi su quello che ho letto e tirare fuori il meglio o il peggio. Quest’anno non è andata proprio benissimo, ho letto 91/100 e con tutta la buona volontà non so se avrei potuto fare di meglio. Oddio, considerando che spesso ho preferito cedere alla tentazione di maratonare “drama coreani” forniti dalla mia spacciatrice preferita *ciao Alaisse ciao*, forse avrei potuto leggere di più. Però alla fine fare il tifo per l’ennesima coppia sconclusionata e capire cosa vuol dire 감사 (grazie, per la cronaca), mi sembrava molto più gratificante, ma soprattutto rilassante.
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(Gif tratta dal mio drama preferito di quest’anno  This is my first life)
L’idea quest’anno è stata comunque uscire quanto più possibile dalla mia comfort zone, fatta di romance e distopie, che pure non sono mancate, ma sono di certo state accompagnate da sempre più letture di case editrici indipendenti e da scoperte notevoli. Innanzitutto ho iniziato un percorso per approfondire tematiche femministe che mi hanno portato anche a prendere in mano dei saggi, ma anche ad interrogarmi sul ruolo delle donne in libri di donne. A questo proposito ho creato uno scaffale sul mio profilo di Goodreads e scritto diversi articoli qui sul blog.
Ammetto però di non aver trovato il capolavoro della vita come altri anni ha reso stilare questa lista leggermente complicato. Si ho letto libri molto belli, libri che mi hanno fatto riflettere, libri che mi porterò a lungo nel cuore, eppure se ne devo pensare solo uno non ci riesco. Per fortuna non devo farlo, e anzi ve ne lascio ben 10, più qualche extra, che è sempre bello scoprirne di nuovi.
Enjoy!
Strange the dreamer di Laini Taylor
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È il sogno a scegliere il sognatore, e non il contrario: Lazlo Strange ne è sicuro, ma è anche assolutamente certo che il suo sogno sia destinato a non avverarsi mai. Orfano, allevato da monaci austeri che hanno cercato in tutti i modi di estirpare dalla sua mente il germe della fantasia, il piccolo Lazlo sembra destinato a un'esistenza anonima. Eppure il bambino rimane affascinato dai racconti confusi di un monaco anziano, racconti che parlano della città perduta di Pianto, caduta nell'oblio da duecento anni: ma quale evento inimmaginabile e terribile ha cancellato questo luogo mitico dalla memoria del mondo? I segreti della città leggendaria si trasformano per Lazlo in un'ossessione. Una volta diventato bibliotecario, il ragazzo alimenterà la sua sete di conoscenza con le storie contenute nei libri dimenticati della Grande Biblioteca, pur sapendo che il suo sogno più grande, ossia vedere la misteriosa Pianto con i propri occhi, rimarrà irrealizzato. Ma quando un eroe straniero, chiamato il Massacratore degli Dèi, e la sua delegazione di guerrieri si presentano alla biblioteca, per Strange il Sognatore si delinea l'opportunità di vivere un'avventura dalle premesse straordinarie.
Ho iniziato a leggere questo libro alla fine del 2017 e già sapevo che me ne sarei innamorata, così tanto che non ho ancora letto il secondo, perché lo ammetto, ne sono un po’ spaventata. La traduzione italiana, Il Sognatore, è uscita per la Fazi Editore, e a febbraio arriverà nelle nostre librerie anche il secondo. Un fantasy che non è solo un fantasy. Una storia estremamente evocativa, dal passo lento e maestoso, dall’atmosfera magica e sognante, in cui la guerra si avvicenda con la brama per la libertà, per un fantasy che non lascia scampo.
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Fame di Roxanne Gay
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In principio è il candore dei dodici anni. Quando pensi che nessuno a cui vuoi bene possa farti del male. Poi succede l'impensabile. Un atto di violenza feroce. E Roxane, annientata dalla vergogna, incapace di parlare o chiedere aiuto, comincia a mangiare, mangiare, mangiare. A barricarsi in un corpo che diventa ogni giorno più inespugnabile dagli sguardi maschili, una fortezza dove nessuno sarà più capace di raggiungerla. Quella di Roxane Gay è la storia di un desiderio insaziabile, di battaglie sempre perse contro un corpo ammutinato, di una lotta contro una cultura che spinge le donne a odiarsi se non corrispondono alle aspettative. Ma la fame di Roxane Gay è anche il motore della sua fenomenale spinta creativa e della sua sulfurea personalità. Oggi è un'intellettuale, attivista e scrittrice, una delle voci più rispettate della sua generazione. Soprattutto una donna che ha trovato le parole per raccontare la propria storia.
Ho scoperto Roxanne Gay per caso e non ho resistito alla voglia di leggere questo libro che è stato davvero illuminante, sia per le tematiche trattate, sia per lo stile dell’autrice. “Fame” mi ha scosso profondamente, mi ha colpito come poche storie prima. È terribile, affilato come un coltello che affonda direttamente nella coscienza. È il tentativo audace di rivelare un segreto e scopre un vaso di Pandora.
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The Penelopiad di Margaret Atwood
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Fedele e saggia, Penelope ha atteso per vent'anni il ritorno del marito che, dopo aver vinto la guerra di Troia, ha vagato per il Mar Mediterraneo sconfiggendo mostri e amoreggiando con ninfe, principesse e dee, facendo sfoggio di grande astuzia, coraggio e notevole fascino, e guadagnandosi così una fama imperitura. E intanto che cosa faceva Penelope, chiusa in silenzio nella sua reggia? Sappiamo che piangeva e pregava per il ritorno del marito, che cercava di tenere a bada l'impulsività del figlio adolescente, che si barcamenava per respingere le proposte dei Proci e conservare così il regno. Ma cosa le passava veramente per la testa? Dopo essere morta e finita nell'Ade, Penelope non teme più la vendetta degli dèi e desidera raccontare la verità, anche per mettere a tacere certe voci spiacevoli che ha sentito sul suo conto. La sua versione della storia è ricca di colpi di scena, dipana dubbi antichi e suggerisce nuovi interrogativi, mettendo in luce la sua natura tormentata, in contrasto con la sua abituale immagine di equilibrio e pacatezza. L'autrice di culto Margaret Atwood, con la sua scrittura poetica, ironica e anticonvenzionale, dà voce a un personaggio femminile di grande fascino, protagonista di uno dei racconti più amati della storia occidentale.
Ho scovato questo volumetto incastrato tra tanti altri nello scaffale dei libri in inglese della Feltrinelli di Porta Nuova qui a Torino. L’idea alla base del libro, questa Penelope protagonista che cerca di sopravvivere tra mille peripezie mi ha colpito tantissimo. La Atwood ricostruisce l’altro lato della storia, quella che si è soliti sottovalutare o relegare in un angolo, ma allo stesso tempo impone al suo lettore di interrogarsi sul senso di perdita che attanaglia chi resta. Perché in fondo è sempre chi resta indietro, chi sorregge il mondo che viene sempre messo da parte.
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La biblioteca di Gould di Bernard Quiriny
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Improvvise resurrezioni di massa, macchine da scrivere programmate per produrre capolavori senza tempo, città assurdamente votate al silenzio, amanti che dopo ogni incontro sessuale si ritrovano nel corpo del partner. Queste e altre storie irresistibili attendono il lettore nei meandri della biblioteca di Pierre Gould, narratore acuto e perfido, regista occulto di questo sorprendente campionario di raffinate fantasie. I racconti de “La biblioteca di Gould” compongono una collezione molto particolare di tradizioni improbabili, di piccole manie eccentriche, di distorsioni in grado di mutare radicalmente lo sguardo sulla realtà in cui viviamo, ma soprattutto di libri, impensabili, fatali, esilaranti. Esattamente come questo di Bernard Quiriny, un’esperienza entusiasmante per chiunque abbia a cuore la letteratura.
Bernard Quiriny è stato la grande scoperta del 2018, edito da una delle mie case editrici preferite, L’Orma Editore, è uno scrittore carismatico e potente che mi ha subito conquistato, anche con “L'affare Mayerling”. Questa è una raccolta fantasmagorica che colpisce dritta l’immaginario di ogni lettore e bibliofilo. Quiriny, sagace e impressionante, accompagna il lettore in un viaggio spassoso e intelligente, mai banale, ma sempre ricco di spunti particolari e affascinanti.
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Amatka di Karin Tidbeck
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Nel mondo che i Pionieri hanno colonizzato valicando un confine di cui si è persa ogni traccia, gli oggetti decadono in una poltiglia tossica se il loro nome non viene scritto e pronunciato con prefissata frequenza. Per evitarne la distruzione, un comitato centrale veglia severamente sulle parole pronunciate dagli abitanti delle colonie, perché la vita in un mondo minacciato dalla disgregazione richiede volontà e disciplina. Vanja, cittadina di Essre, viene inviata dalla sua comune nella gelida colonia di Amatka e troverà ad attenderla i primi fuochi di una rivoluzione sotterranea giocata sulla potenza del linguaggio. Suo malgrado, Vanja dovrà così affrontare le possibilità che si celano dietro il velo di blanda oppressione che assopisce i pensieri e le parole del popolo di Amatka.
Seguo gli amici (si amici perché quando senti qualcuno così vicino puoi solo definirlo amico) di Safarà con un entusiasmo molto intenso e ogni loro uscita è una bella scoperta. Di Amatka mi avevano parlato al Salone del Libro e quando è uscito era già molto carica. Una distopia che si nutre delle parole per plasmare una realtà stupefacente e piena di contraddizioni, dal fascino rivoluzionario per una storia che non ha nessuna risposta e pone invece tantissime domande al lettore.
La mia recensione.
Sadie di Courtney Summers
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Una ragazza scomparsa che ha intrapreso un viaggio verso la vendetta. Una serie – come un podcast che segue gli indizi che si è lasciata alle spalle. E una fine di cui non sarai capace di smettere di parlare. Sadie non ha avuto una vita facile. Crescendo da sola, ha tirato su sua sorella Mattie in una piccola città isolata, cercando di far del suo meglio per darle una vita normale e tenendo le loro teste sopra l’acqua. Ma quando Mattie viene ritrovata morta, l’intero mondo di Sadie crolla. Dopo una indagine della polizia affrettata, Sadie è determinata a portare il killer della sorella alla giustizia e si mette sulle sue tracce per trovarlo. Quando West McCray – una personalità radiofonica che lavora in un segmento sulle piccole dimenticate città americane – sente per caso la triste storia di Sadie da un benzinaio, diventa ossessionato dall’idea di ritrovare la ragazza scomparsa. Inizia il suo podcast per tracciare il viaggio di Sadie, cercando di capire cosa fosse successo, sperando di ritrovarla prima che fosse troppo tardi.
Seguo Courtney Summers dal 2012, da quando ho iniziato a leggere assiduamente in inglese e da allora leggo emozionatissima ogni sua nuova uscita. Non ha fatto di certo eccezione questo libro che ho preso appena uscito. Il racconto di una vita spezzata che cerca irrimediabilmente un riscatto anche quando tutto si unisce per dissuaderla, la ricerca spietata di una speranza in mezzo al caos della povertà e indifferenza. La scrittura spietata e letale di Courtney Summers si unisce ad un tema attualissimo per un libro che non lascia scampa, neanche dopo aver voltato l’ultima pagina.
La mia recensione
Città Sola di Olivia Laing
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Bisogna aver toccato l’abisso per saperlo raccontare. Per descrivere il vuoto avvolgente di una ferita che diventa uno stigma o l’angosciante cantilena che rimbomba in una casa di cui si è da sempre l’unico inquilino. Per restituire con la sola forza della voce certi angoli della metropoli, dove la suburra si fa rifugio e l’esclusione sollievo; per dire il loro improvviso, tragico trasformarsi da giardino delle delizie in inferno musicale. Olivia Laing rompe le pareti dell’ordinario e edifica all’interno della New York reale una seconda città, fatta di buio e silenzio: un’onirica capitale della solitudine, cresciuta nelle zone d’ombra lasciate dalle mille luci della Grande Mela e attraversata ogni giorno dalle storie di milioni di abitanti senza voce. Un luogo in cui coabitano le esperienze universali di isolamento e i traumi privati di personaggi come Andy Warhol, Edward Hopper e David Wojnarowicz; in cui ogni narrazione è allo stesso tempo evocazione e confessione. Quella tracciata da Olivia Laing è una visionaria mappa per immagini del labirinto dell’alienazione. Un flusso narrativo che investe le strade di New York e nel quale si mescolano la morte per Aids del cantante Klaus Nomi e l’infanzia dell’autrice, cresciuta da una madre omosessuale costretta a trasferirsi di continuo per sfuggire al pregiudizio; gli esperimenti sociali di Josh Harris che anticiparono Facebook e i silenzi dell’inserviente-artista Henry Darger che dipinse decine di quadri meravigliosi e inquietanti senza mai mostrarli a nessuno; l’inconsistente interconnessione umana dell’era digitale e l’arida gentrificazione di luoghi simbolici come Times Square.
Quest’anno ho letto diversi libri che hanno al loro centro il tema della solitudine e mai come Città Sola mi hanno lasciata esterrefatta. Complice il web, me lo sono ritrovato sotto gli occhi e avevo aspettative molto alte pur non avendo compreso appieno la trama. Ma queste vite, ai margini eppure sempre al centro dell’attenzione lasciano inevitabilmente un segno. Pittori e fotografi, artisti in ogni forma in una delle città più affascinanti del mondo. Quella New York cosmopolita e indomita che non dorme mai e tutto sempre fagocitare per rigettarlo trasformato e inquieto. Olivia Lang tratteggia la sua storia attraverso le evocazioni di altre vite e di altre storie, mentre fissa quel sentimento di incontrastata solitudine che a tratti, affligge tutti.
Non l’ho ancora recensito, ma presto arriverà la mia recensione.
Gli animali che amiamo di Antoine Volodine
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L'umanità è pressoché scomparsa. Solo una donnina è rimasta ad aggirarsi in mezzo a capanne vuote nella speranza di farsi ingravidare da qualcuno di passaggio. Quanto agli altri superstiti, chissà. Al loro posto una vegetazione a tratti lussureggiante e una sequela di animali, fantastici e non, che entrano ed escono da sogni di sogni in una realtà onirica o comunque surreale. Cinque intrarcane e due Shaggàs compongono questo pastiche letterario, bizzarro, giocoso, immerso in un'atmosfera apocalittica, da fine della Storia, dove l'umorismo del disastro si mescola a una malinconica, smagata rassegnazione.
Questo volumetto mi ha perseguitato per mesi, mentre lo vedevo riflesso sugli scaffali delle librerie, fino a che non mi sono convinta a comprarlo e leggerlo e ammetto che non me ne sono pentita. Volodine è il padre dell’esoterismo, questa corrente un po’ oscura e un po’ spaventosa che unisce atmosfere fantastiche ad altre più post-apocalittiche e che fagocitano sempre un po’ di spiritualismo.
Leggere questo libro è un viaggio in un mondo inaspettato, che confonde e affascina. Un bestiario che è una incerta meraviglia, che consuma fin dalla prima pagina.
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Exit west di Mohsin Hamid
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Saeed è timido e un po’ goffo con le ragazze: cosí, per quanto sia attratto dalla sensuale e indipendente Nadia, ci metterà qualche giorno per trovare il coraggio di rivolgerle la parola. Ma la guerra che sta distruggendo la loro città, strada dopo strada, vita dopo vita, accelera il loro cauto avvicinarsi e, all'infiammarsi degli scontri, Nadia e Saeed si scopriranno innamorati. Quando tra posti di blocco, rastrellamenti, lanci di mortai, sparatorie, la morte appare l'unico orizzonte possibile, inizia a girare una strana voce: esistono delle porte misteriose che se attraversate, pagando e a rischio della vita, trasportano istantaneamente da un'altra parte. Inizia così il viaggio di Nadia e Saeed, il loro tentativo di sopravvivere in un mondo che li vuole morti, di restare umani in un tempo che li vuole ridurre a problema da risolvere, di restare uniti quando ogni cosa viene strappata via. Con la stessa naturalezza dello zoom di una mappa computerizzata, Mohsin Hamid sa farci vedere il quadro globale dei cambiamenti planetari che stiamo vivendo e allo stesso tempo stringere sul dettaglio sfuggente e delicato delle vite degli uomini per raccontare la fragile tenerezza di un amore giovane.
Ho preso in mano questo libro troppo tardi, infatti era uscito già nel 2017, ma lo avevo sempre osservato da lontano un po’ per paura, un po’ perché non pronta a riflettere la società che stiamo vivendo tra le pagine scritte. Poi complice la voglia di mettermi nei panni degli altri l’ho recuperato e dovreste farlo anche voi. Capire il nostro tempo è un atto dovuto non solo alla nostra società ma anche a noi stessi. Mohsin Hamid racconta con una fermezza intensa il terrore che avvolge la fuga dalla guerra e dalla disperazione, regalando al lettore una fotografia precisa e inquietante.
La mia recensione.
Cinque secondi di Mirya
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Cosa saresti, se nessuno ti riconoscesse? Cosa proveresti, se il mondo non ti vedesse? Cosa faresti, se non potessi lasciare alcuna traccia di te? Io sono Mnemosine, e ti racconterò la storia della mia vita, a patto che tu la ricordi. Io sono Mirya, e ti racconterò la vita della mia storia, a patto che tu la dimentichi. E se fosse il contrario? Hai solo cinque secondi per scegliere. Perché il tempo non basta mai.
Non potevo non citare questo libro in questa classifica. Io lo so che sono totalmente di parte, perché l’ho visto nascere, ma è uno di quei libri che ogni volta che ci penso mi contrae, come una molla. E io lo so che Mirya parla con me. Questo è un libro che vivi di istinto, che leggi con il cuore, che fisicamente ti lascia a pezzi, che devi leggere tutto d’un fiato. È una storia mi ha rivoltato, spezzato e ricomposto in una sola seduta di lettura. Leggetela, non ve ne pentirete.
La mia recensione
Bonus tracks
In mezzo a tutto questo però non posso non citare, Made you up di Francesca Zappia uno degli ultimi libri che ho letto nel 2018 e che racconta in maniera molto realistica le malattie mentali ma soprattutto l’incontro scontro di due ragazzi che vogliono solo vivere appieno la loro vita.
Lincoln nel Bardo di George Sauders che gioca tra paranormale e reale e regala ai suoi lettori una storia che racchiude mille altre storie, dai temi universali e un significato che sfugge la logica, mentre accettare la perdita non è mai facile, è sempre appagante vivere l’amore.
Un altro giorno ancora di Bianca Marconero che potrà essere nato come “il libro sui cavalli”, ma un altro giorno ancora è la dimostrazione che una storia d’amore non è mai solo una storia d’amore, che i biondi hanno sempre un fascino speciale, e che basta poco per rendere una storia indimenticabile. La scrittura pulita della Marconero arriva dritta al punto, tracciando un cammino speciale, in grado di emozionare e far sospirare.
Chloe di Leila Awad che shame on me non ho ancora recensito e che merita di essere letto perché è una bellissima fiaba romantica ambientata in un posto speciale, Brygge (tra l’altro è appena uscita una bellissima novella natalizia Sotto la neve).
La scrittrice del mistero di Alice Basso una storia intrecciata dal genio della Basso, che riesce a provocare crampi, far sospirare e tenere in tensione ad ogni pagina letta, senza dimenticare i momenti comici in cui cadere con gioia. Perché in fondo non c’è pace per Vani Sarca. E sempre #TeamBerganza
Quali sono i libri del vostro 2018?
Raccontatemelo in un commento.
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bluebandit16 · 6 years
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Ciao! Devo confessarti una cosa, con premessa annessa. Io lo so che Ermal non è “convenzionalmente bello”, però sti cazzi cioè. Siamo a livelli di pensieri impuri a go-go, non è normale. Dici che devo rivedere i canoni o non sono tipo l’unica persona a pensarla così? Ripenso ancora alla foto con la maglia stile Fabbrì...
Car* anon, ti capisco a livello spirituale 💙 Normale o meno, la situazione è quella 😂Di sicuro non sei l'unica persona a pensarla così, ci sono almeno io! (ma di commenti a riguardo ti posso assicurare che ne ho letti davvero molti, so, don't worry, sei in ottima compagnia 💪)La foto con la canottiera stile Fabbbbrizio è qualcosa di illegale, e questo nonostante io preferisca quando indossa le camicie.Per quanto riguarda la storia dei canoni estetici io sono dell'opinione che anche se una persona non è di una bellezza "classica" quello che conta è l'armonia dei tratti tra di loro, per dirti, il naso di Ermal non è un naso di quelli perfetti, eppure oh, a me piace moltissimo, soprattutto perché trovo che stia bene con il resto del volto.Poi, nel mio caso -ma credo che questo valga per molti- quando mi piace qualcuno a livello di persona (quindi per le sue idee, quello che dice, come si comporta, come si muove, il carattere etc) mi piace di più anche a livello estetico, quindi una volta subito il fascino della persona non riesco più a scindere ed avere una visione oggettiva della sua fisicità.Quindi può succedere che delle persone di cui vedo una foto e penso "mah, esteticamente non è il mio tipo/non mi convince/ non mi piace", una volta 'conosciute' diventano le persone più belle del mondo, e se è vero che posso pensare 'probabilmente alla maggior parte delle persone non può piacere perché ha una faccia strana" quella sensazione non la sento più. Per esempio mi è successo la prima volta che vidi una foto di Benedict Cumberbatch, dopo averlo visto recitare 10 minuti in Sherlock ho cambiato subito opinione (non se se si capisca questo discorso 😂)Mentre magari c'è uno che è Apollo sceso in terra ma è omotransfobico/fascista/misogino/uno stronzo/idk e perde tutto il fascino Ho divagato molto ma sì, tornando al punto centrale del discorso ormai -da due anni ma okay- sono in un punto di non ritorno e trovo attraente anche ogni sua caratteristica fisica (dai ricci, agli occhi, al pomo d'Adamo, al sorriso, alle mani, al naso... Just say something and I'll be like: 💯👌💯👌)(# belle queste confessioni 💞💞)
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cristianadellanna · 3 years
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Cristiana Dell’Anna
PREFAZIONE
Lo sguardo attento e profondo di una donna è lo strumento perfetto di analisi del mondo, ancor più in un momento storico come quello che stiamo vivendo oggi, mentre attraversiamo incerti la pandemia Covid. O forse sarebbe più corretto dire che da essa siamo attraversati, alquanto impotenti. Nella Grecia antica la donna era assimilata alla follia, ed ella era l’unica, poiché dotata degli strumenti cognitivi di cui la follia dispone, in grado di accedere al caos universale; di entrarci in contatto, al contrario dell’uomo, essere razionale confinato sulla sua minuscola isola e limitata, dell’intelletto, impugnato come sola arma per difendersi, per colmare quella sua incapacità a racchiudere la conoscenza, sempre forzata in schemi, gerarchie dell’essere, equazioni perfettibili. Le donne che osservano lo scorrere del tempo durante la pandemia, si rac- contano con parola onesta e fendente, che non fa sconti, ma che allo stesso tempo non perde quella delicatezza insita di tutto ciò che seppur brutale conserva la bellezza dell’essere. Il valore di questi racconti sta nel loro stesso esistere, nello spazio che ritagliano, che conquistano per loro stessi, per i pensieri che essi convogliano e i sentimenti che quei pensieri hanno partori- to; in un percorso a ritroso colmo di meraviglia, di scoperta di sé e di sé nel mondo. E di quel mondo che, duro ammetterlo, ancora non ci accoglie come vorremmo, che ci limita perché di noi donne è spaventato proprio come lo è della vastità dell’universo. Il pensiero affilato dai sentimenti, che è alla base di questi racconti al fem- minile, penetra la realtà che stiamo vivendo, senza sovrastrutture e perciò liberamente. Perché nel momento in cui viene messa una penna tra le dita di una donna, o una tastiera, si crea, secondo necessità, quello spazio di espres- sione e libertà di cui si ha bisogno per tracciare il cammino del cambiamento. Scrivere equivale a respirare aria pura, a togliere quel corsetto che ci imprigio- nava di fatto e in senso figurato. Ogni limitazione è intesa specificamente per una donna, affinché non conosca le proprie potenzialità. Ma è un ciclo che “Storie di donne ai tempi della pandemia” interrompe con audacia ed è un piacere dei sensi leggere e riconoscersi nelle storie che questo libro raccoglie. Le testimonianze delle autrici ci portano dentro le mura di case come le nostre, in fila per far la spesa, nei corridoi di ospedali, in ambienti tipici del vivere quotidiano che, durante la pandemia, hanno amplificato la loro eco evocativa di sentimenti profondi, talvolta reconditi. Essi assumono certamente un volto nuovo, ma celano l’atavica verità dell’essere umano. Dell’essere don- na, soprattutto. In quelle mura, tra la gente, sui letti in corsia, si consumano gioie e tragedie, nell’alternarsi imperituro tra vivere e morire. E non a caso il libro si apre con l’illustrazione di una panchina rossa, simbolo dell’incontro, anche casuale, con un’amica o una perfetta sconosciuta. Sedute in panchina ci si racconta, la panchina è luogo e tempo del dialogo, dell’aper- tura le une alle altre. Ed è rossa. Perché ogni donna che ci si siede, lascia il sangue delle ferite, e sì, del suo essere donna. Una metonimia che spero faccia vibrare le corde giuste, del disgusto e del dolore, dell’empatia e delle lacrime di felicità, nel constatare che essere donne è difficile, ma che il racconto, orale come quello scritto, segna la strada per chi verrà dopo di noi. Affinché non si senta sola, affinché sappia che nella condivisione e nella memoria di ciò che è stato attraversare un momento storico come il nostro, non siamo inermi. Al contrario siamo dotate dell’arma più potente: la parola.
Ebook completo reperibile al link:
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ificouuldfly · 3 years
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23 ottobre
Iridi verdi ma adornate da palpebre pesanti e occhiaie violacee. Non certo un buon biglietto da visita prima di sottoporsi ad un interrogatorio. L'importanza della prima impressione la conosce bene, Lorcan. Ed è un discorso in merito, trattato con una persona di sua conoscenza in uno dei rari momenti di pace, l'unico piccolo salvagente a farlo sentire ancora un ragazzo, a scollargli di dosso i tanti altri ruoli che, per un motivo o per un altro, si era trovato ad assumere. Niente di più di un diciassettenne al quale viene da sorridere ripensando a teneri dettagli. Sensazione che però svanisce nell'esatto istante in cui varca la soglia della stanza adibita agli interrogatori. "Non far caso al rospo, anzi fa finta che ci siamo solo noi qui dentro. È una precauzione, per registrare tutto quello che ci diremo e distorcere la tua voce in modo da renderla irriconoscibile, del tutto anonima. Quando sei pronto, dichiara ad alta voce il tuo nome, casa d'appartenenza ed anno di corso." L'inizio era semplice e il tono del detective tranquillo e quasi rilassato, proprio come si era immaginato che fosse. Dopotutto mandare una persona aggressiva a svolgere quel compito sarebbe stato controproducente per il Ministero. "Lorcan Scamander, Corvonero, settimo anno." Scruta il rospo e fa spallucce, sedendosi più comodamente sulla dura sedia di legno. Il dorso della mano raggiunge gli occhi, stropicciandoli delicatamente. Stanco, è stanco morto e non ha alcuna intenzione di nasconderlo, a che pro farlo? Invece lo sguardo del detective, che fino ad allora appariva spento, forse a causa dei tanti ragazzi da intervistare, ebbe una curiosa scintilla. Ha la sensazione che l'uomo, prima che pronunciasse il suo nome, non lo avesse visto davvero. Non si concede spazio alle supposizioni legate alla sua famiglia ma pensa che è strano. Nessuno comunicava chi stesse per entrare? Si chiede se quello fosse parte del teatrino o se si trattasse di semplice disorganizzazione. In ogni caso, poco professionale Mr detective. Se lo lasci dire. Ora mi guarda solo perché sono figlio di Luna Lovegood e Rolf Scamander? "Se per te non è un problema, vorrei iniziare a ricostruire con te gli eventi che hanno avuto luogo nella notte fra il cinque e il sei settembre." Ha una voglia matta di rispondere che sì, in effetti lo è. Che la sera prima non aveva dormito per simulare proprio quelle cazzo di domande con Lysander e per giunta, che avrebbe evitato un linguaggio così semplice per una manipolazione mentale. Ma dai, il vecchio trucco del tono affabile e di dare del tu? Davvero? Si limita però ad annuire senza sforzarsi troppo con nessuna comunicazione verbale: classico Lorcan. "Ricordi di aver fatto qualcosa prima di partecipare alla festa o ci sei andato direttamente? So che c'eravate tutti, ma proprio tutti tutti." "Signor detective." Stavolta non ce la fa a frenare la lingua e si concede l'uso di uno dei toni più fastidiosi e saccenti che possiede. "Lei deve sapere che non ricordo neppure cosa ho mangiato a colazione, figurarsi cosa ho fatto più di un mese fa prima di andare ad una festa. Noi adolescenti siamo in fase di crescita, sa? Il cervello assorbe assorbe ma prima o poi qualcosa sfugge. Spugnette piene di buchi, ecco cosa siamo." La figura che Lorcan tiene d'occhio senza guardare e che fino ad allora era rimasta quasi solo ad ornare la scena, si muove appena appena ma senza dire nulla. Giura di averle strappato un sorrisetto. L'uomo invece pare infastidito e sembra lanciargli uno sguardo severo di chi ha ben poca voglia di perder tempo. Ed eccoci qui, alla fiera delle banalità. Lorcan pensa che ci è voluto poco a far spazientire il poliziotto buono, è bastato un nonnulla a far calare il sipario. Da una parte lo rincuora: le sue previsioni erano giuste. La notte precedente, mentre provavano le potenziali risposte a domande probabili, aveva detto a Lysander che quella poteva essere una reazione possibile. Aveva anche incitato il fratello a non cambiare il suo, di atteggiamento. Doveva aggrapparsi alla parte più severa, quella guidata dal lato razionale che ad esempio usciva fuori quando si parlava di organizzare gli allenamenti di quidditch. E come se i suoi pensieri venissero letti da un intruso decisamente non benvenuto, la figura composta parlò ancora. "Dev'essere stata una bella rivincita, vero? Dopo i risultati del campionato dello scorso anno, vincere la prima partita scolastica sembra proprio il modo perfetto di iniziare il semestre." Ne seguì una piccola pausa da ambo i lati. Si studiarono a vicenda, senza sforzarsi troppo nel nasconderlo. "Immagino che qualcuno fosse piuttosto su di giri, dopotutto il Quidditch facilmente fa questo effetto. Eri molto eccitato? Magari qualcuno dei tuoi compagni ti è sembrato esserlo troppo...?" La provocazione è palese, nel tono e nell'intenzione. O almeno così pare al ragazzo. Il giovane umetta le labbra e si apre poi in un sorriso. Dopotutto una buona conversazione è come una partita a scacchi: ci vogliono pazienza, attenzione e rispetto per l'avversario. "Certamente. Eravamo tutti molto felici, poi è risaputo: il quidditch anima quasi ogni spirito. Credo che quella sera mi sia perfino concesso una decorazione in fronte. Mh-mh, proprio qui." Indica il punto esatto, come per far rivivere alla coppia di investigatori un ricordo che nemmeno lui sa quanto possa essere veritiero o meno. Di quella festa non ha davvero memoria, ricorda solo quel rumore di acqua che gocciolava. Non ne è neppure più così sicuro, ché dalla tanta preoccupazione per il gemello, gli sembra che nessun'altra versione, eccezion fatta per quella di Lysander, abbia davvero importanza o ragione di esistere. "Speriamo che non sia una falsa partenza. Sa, nessuno ha intenzione di ripetere la stessa storia due volte. Sarebbe peggio di un girone infernale, deludente e provante." Eppure avrebbe sostenuto di nuovo quell'interrogatorio senza battere ciglio, se fosse stato possibile. Se fosse servito a proteggere la sua parte migliore, il girone infernale l'avrebbe percorso anche all'infinito. Parla ancora il detective, dopo un cenno d'intesa con la sua collega. "Entriamo nel vivo della serata, d'accordo? Eravate tutti lì a festeggiare, prendervi in giro, magari? Per i risultati della partita. Era la prima festa che potevate concedervi dopo la pausa delle vacanze, quindi sono sicuro che foste tutti preparati da un pezzo alla prospettiva. Avete bevuto molto, non è vero? Più del solito, magari." "Mi spiace rispondere ancora una volta in modo poco utile ma -- non sono uno che ama le feste o che presta attenzione all'andamento di ciò che accade durante le poche a cui prendo parte. Posso dirle che sicuramente qualche battuta goliardica ci sarà stata e altrettanto ci sarà stato qualcuno che avrà alzato il gomito." Cerca nella sua memoria per qualche momento e pesca solo flash poco distinti. La fiala con l'etichetta sbiadita. Diego, Miguel, Linden e il resto dei suoi amici che scherzano. Molly che doveva incontrare, l'ha incontrata? Non ne ha la più pallida idea. Sa solo che si ferma tutto sull'immagine di Violet che balla. "Capisco. Per caso l'hai vista? Myriam Schmidt, naturalmente. Stiamo ancora cercando di stabilire se fosse in compagnia di qualcuno di specifico o abbia partecipato in gruppo. C'è un nome, un volto in particolare che ti sovviene alla memoria?" Segue un cenno negativo da parte di Lorcan. Loro non potevano averne idea ma il ragazzo ci aveva provato sul serio con tutto se stesso a ricordare. A trovare anche solo un minuscolo dettaglio che potesse tranquillizzarlo, che portasse chiarezza su quella faccenda. Strizza forte gli occhi, troppo sensibili alla luce e alla pressione e quando lo fa, l'immagine di Lysander che piange sul pavimento del bagno, lo investe. Le mani sulle sue spalle posate lì per tenerlo intero. Per tenersi interi, insieme. Va avanti, Lorcan: apri gli occhi. "Qualsiasi cosa voi tutti affermiate sulla presenza di stupefacenti, è chiaro che abbiate tutti assunto qualcosa che vi ha resi così sensibili e... dimenticanti nei giorni successivi. Ricordi cosa hai provato quando ti sei svegliato? O dove: molti dei tuoi compagni hanno affermato di non essere nemmeno riusciti a tornare in camera." "Mi sono svegliato nel mio letto e con un forte dolore alla testa, quindi sì, in camera ci sono tornato." Dolore alla testa che ora si è presentato di nuovo, sviluppo dei troppi pensieri che si accatastavano gli uni su gli altri e rischiavano di crollare da un momento all'altro, portandolo giù con loro. La confusione si frapponeva tra la fine di quella situazione e la sua voglia di mandare a fare in culo il mondo intero. "Alcuni dei tuoi compagni sembrano essere piuttosto convinti che Myriam abbia deciso di andar via autonomamente, forse a causa di qualche leggenda sul suo temperamento di cui non siamo stati informati. Naturalmente, non possiamo escludere alcuna ipotesi e per questo, dimmi, l'hai per caso sentita alludere ad una fuga? Lei o qualcuno dei suoi amici più stretti, anch'essi presenti alla festa?" Taglia corto Lorcan, non ha mai assolutamente avuto a che fare con la tassorosso. "Non conosco personalmente la ragazza in questione e non ho mai amato chiacchiere di corridoio. Quindi no, detective, non ne so nulla." Il signor Londsdale annuisce mentre la donna in disparte appunta sul taccuino quell'ultima risposta, proprio come aveva fatto con le precedenti e non solo. Aveva notato, Lorcan, che spesso aveva preso appunti durante il suo tempo lì dentro. "D'accordo, direi che è tutto per adesso. La signorina Brent ti accompagnerà in corridoio, dove devo pregarti di non intrattenerti a conversare con nessuno dei tuoi compagni o le vostre testimonianze saranno ritenute invalide. Ti ringrazio, Lorcan. Ti farò richiamare se avrò bisogno di qualche altra informazione." Era finita, poteva tornare a respirare. Fa per alzarsi dalla sedia ma l'uomo parla ancora. "Prima che vai... Hai per caso conoscenza di qualche antipatia? Anche adolescenziale, qualsiasi cosa che possa esserti sembrata fuori posto in questi anni e nell'ultimo periodo. Un antagonismo tipico delle ragazze, magari. Qualche discussione per amore o per una questione accademica?" Si ferma, Lorcan e soppesa per quasi un minuto le parole che vorrebbe lanciargli contro. Diverse e molto più taglienti di quelle che pronuncia. "Detective Londsdale, Hogwarts è casa. Dovrebbe saperlo che anche nelle migliori famiglie ci possono essere discussioni e incomprensioni. È nella norma. Meno nella norma è sentirsi sotto attacco, in casa propria. Sono contento che siate qui e vi auguro di venirne a capo, ma, ancora di più, di poter finalmente sentirmi al sicuro insieme a tutti gli altri studenti." Si alzò e si fece avanti, porgendo in segno di rispetto e cortesia la mano. Un piccolo sforzo doveroso: la partita era terminata e lui ora aveva ben altro a cui pensare.
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