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#panicmomentum
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╱   𝐊𝐈𝐍𝐆'𝐒 𝐂𝐑𝐎𝐒𝐒 𝐒𝐓𝐀𝐓𝐈𝐎𝐍.        ╰【 #ᴘᴀɴɪᴄᴍᴏᴍᴇɴᴛᴜᴍ 】
         𝑃𝑎𝑛𝑖𝑐 𝑎𝑡 𝑡𝘩𝑒 𝑠𝑡𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛  ╱ 𝟣𝟧 𝗀𝗂𝗎𝗀𝗇𝗈 𝟣𝟫𝟩𝟩          𝓐 𝒃 𝒊 𝒈 𝒂 𝒊 𝒍   and  𝓜 𝒆 𝒍 𝒂 𝒏 𝒊 𝒂.                  #arestomomentumrpg   
                                   Melania        '' Decisamente, ti stava squadrando. '' Alla conferma da parte dell'amica, si sporse in avanti per osservare di sottecchi la donna responsabile d'averla scrutata con troppa insistenza. ‹‹ Forse andava a scuola con noi... bah, non riesco a ricordarmela. ›› Se era così, allora, senza alcun dubbio, per averla squadrata a quel modo, doveva ricordarsi del Club di dibattito di Melania. A molti non era andato a genio.
       Ancora pensierosa, con la coda dell'occhio vide Erica, sua nipote, interessarsi alla sconosciuta; la conosceva fin troppo bene da sapere che avrebbe commentato a voce esageratamente alta, dunque trovò subito un nuovo argomento da discutere con Abigail. ‹‹ Di che anno è tuo fratello? Non ricordo mai se sesto o settimo ›› domandò con interesse, prendendo a giocare - alla cieca - con una delle treccine della bambina. L'Hogwarts Express ancora non era arrivato.
                                   Abigail Il livello di paranoia della donna era decisamente salito da quando aveva cominciato a fare l’auror. « No, secondo me non ha mai frequentato Hogwarts con noi, almeno non nei nostri anni. » Esclamò guardandola con più attenzione. « Sembra almeno di due o tre anni più grande di te che sei già diversamente vecchia!» La prese poi in giro per il fatto di essere più giovane di un anno rispetto all’amica. Nonostante non avesse detto niente a Nia, Abigail non smise di guardare la figura che non toglieva loro gli occhi di dosso. Non era certamente un periodo cosi tranquillo da poter abbassare la guardia anche quando non si era in servizio. « Amos ha appena terminato il sesto.» Aggiunse poi con la voce velata di orgoglio. La sua scimmietta era ormai diventata adulta e sebbene questo fosse per alcuni versi una cosa indubbiamente positiva, Abby avrebbe voluto che il fratello rimanesse sempre il ragazzino che la seguiva come un’ombra dovunque andasse. «Erica invece inizierà l’anno prossimo?» Domandò facendo poi un sorriso alla ragazzina.
                                   Melania         In un crescendo teatrale, dopo aver portato una mano al petto, oltraggiata, non fece altro che - con quella stessa mano - dare un buffetto al braccio di Abigail. Vecchia lei? Espresse quel pensieri con una bella, e matura, linguaccia. ‹‹ Ti ricordo, carissima la mia auror, che la mia penna è più potente di qualunque tuo incantesimo. Sta attenta a te. ››
       Naturalmente scherzava; a dimostrazione, proruppe con una grossa risata. Se c’era una cosa che non aveva remore di fare, era proprio ridere; e lo faceva anche piuttosto chiassosamente. ‹‹ Oh ecco- sì! L’anno prossimo Erica il primo. ›› Dall’alto osservò la testolina di sua nipote e, vedendola stranamente non intenzionata a proferir parola, la spedì a chiedere '' all’uomo con la divisa rossa '' se sapesse più o meno quanto mancasse all’arrivo del treno.
       Messa in atto quella piccola opera di distrazione, Melania si rivolse ad Abigail con più serietà. ‹‹ Pensi possa essere… ›› lasciò la frase in sospeso, accennando, con un occhiata esplicativa, alla donna. Poiché, che Abigail avesse continuato a tenerla d’occhio, non le era sfuggito. Si fece più circospetta, in quel frangente; un brivido le scese lungo la schiena al solo pensare ai Mangiamorte. 
                                   Abigail
                                   Melania
                                   Abigail
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╱   𝐊𝐈𝐍𝐆'𝐒 𝐂𝐑𝐎𝐒𝐒 𝐒𝐓𝐀𝐓𝐈𝐎𝐍.        ╰【 #ᴘᴀɴɪᴄᴍᴏᴍᴇɴᴛᴜᴍ 】
         𝑃𝑎𝑛𝑖𝑐 𝑎𝑡 𝑡𝘩𝑒 𝑠𝑡𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛  ╱ 𝟣𝟧 𝗀𝗂𝗎𝗀𝗇𝗈 𝟣𝟫𝟩𝟩           𝓔 𝒓 𝒊 𝒄 𝒂   and   𝓜 𝒆 𝒍 𝒂 𝒏 𝒊 𝒂.                  #arestomomentumrpg   
                                   Melania        ‹‹ Riesci a vedere tuo fratello? ››
       Teneva la mano adagiata sulla spalla della bambina - non quella vicina al suo fianco, ma l'altra; così da cingerla in una sorta di abbraccio. Il padre dei due ragazzi era impegnato con il Quidditch quel periodo, lo stesso valeva per lo zio. Dunque era andata lei a prendere Caleb. I nonni, dopotutto, li avevano in America. Era cresciuta anche lei così, per questo faceva il possibile per essere una figura presente nella vita dei ragazzi. Certo, i nonni sono i nonni, ma sperava ugualmente di riuscire a colmare quel vuoto.
       ‹‹ Okay è con i suoi amici. ›› Indossava sempre i tacchi Melania, era troppo bassa per permettersi delle scarpe da ginnastica. Tuttavia in occasioni sportive come quella, prediligeva delle zeppe ad un tacco a spillo. Su di queste si sollevò in punta di piedi, alzando il braccio per attirare l'attenzione dal nipote che, troppo assorto, non le notò. ‹‹��Niente non ci vede, vallo a prendere per le orecchie. ››
                                   Erica Ad Erica piaceva particolarmente passare del tempo con zia Melania, la considerava bella e in gamba. Infatti era il suo esempio da seguire. Se qualcuno le avesse chiesto cosa volesse diventare da grande, lei avrebbe risposto “Come zia Nia” Le cingeva una spalla mentre le chiedeva dov’era Lucas, suo fratello. Ed Erica subito allungò il collo per osservare meglio la folla. Una volta trovato lo indicò con il suo corto braccio. « Eccolo! Secondo me sta cercando di non piangere il pappamolla » Disse incrociando le braccia e alzando la testa per guardare la zia. « Lascia fare a me! » Neanche a tempo di fare due passi che la stazione si riempì di fumi neri volanti, rimase immobile a osservare, Erica. Con la boccuccia leggermente aperta. Certe nubi si erano poi trasformate in uomini con la maschera. « Ma sono bruttissimi! Che gusti orridi ma come sono vestiti? »
                                   Melania        Rise. Erica non si smentiva mai. Era il pepe fatto persona. Un carattere con quello della bambina era destinato solo a fare grandi cose; poteva già immaginarsela a dirigere un’azienda. ‹‹ Bravissima. Non metterti a perdere tempo anche tu eh, che vostra madre ci aspetta tutti per ora di cena. ››        La lasciò andare così - credeva di starlo facendo, perlomeno - ma poi accadde il finimondo. Melania Dixon, per fortuna dei giovani Broadmoor, era una strega estremamente combattiva. Sempre all'erta, da quando era scoppiata la guerra. La nipote venne colta di sorpresa; lei, al contrario, l’aveva già afferrata per poi materializzarsi accanto a Lucas. Le infantili affermazioni di lei, a proposito dell’abbigliamento dei Mangiamorte, le assimilò solo passivamente.        ‹‹ Lucas dai la mano a tua sorella, veloce ›› i Mangiamorte scagliarono i primi incantesimi. Grida riempirono la stazione. Impugnò la sua bacchetta; con la mano libera stringeva fortissimo il braccio di Erica. Per uscire dovevano obbligatoriamente passare per il binario. Sospettava che il blocco fosse stato in qualche modo tolto, se i Mangiamorte erano apparsi in quel modo dovevano aver fatto per forza qualcosa. Ma non poteva esserne certa e tentare la fortuna era fuori discussione, con le smaterializzazioni non c’era da scherzare.
                                   Erica Non si era resa conto subito del pericolo imminente, stava ancora pensando a come erano ridicoli quei maghi vestiti di nero con un teschio raccapricciante come maschera. Credevano di far paura vestiti così? Secondo la piccola di casa Broadmoor, erano solo ridicoli. Stretta a sua zia mentre si materializzavano dov’era posizionato Lucas, capì dalla sua voce nervosa e allarmata che quei “mostri” erano quei maghi oscuri che si facevano chiamare “Mangiamorte”. Si lasciò stringere la mano da Lucas mentre il braccio era tenuto stretto da Melania, pronta a scagliare qualche incantesimo molto probabilmente di protezione. « Zia Nia cosa facciamo? » Chiese ansiosa la bambina. « Da quello che si dice uccidono i non purosangue, noi siamo purosangue giusto? » Quasi urlava per farsi sentire da lei. Le grida e la disperazione della gente echeggiava a King’s Cross. Le sue erano tipiche domande ingenue, era ancora una bambina e stava assistendo ad una guerra. Ma l’ignoranza bambinesca la stava quasi proteggendo dalla verità: avrebbero potuto essere feriti o addirittura morire pure loro, quel giorno.
                                   Melania        Corse, trascinandosi dietro in nipoti con estrema veemenza. Ad ogni passo, era come se dovesse fare in modo di disincastrare Erica - tirandola per il braccio. Ed effettivamente stava andando proprio così. Poiché se lei riusciva a farsi largo, poi, nel momento in cui passavano i piccoli, c’era sempre qualcuno che, non vedendoli, finiva per tramortirli.
       ‹‹ Dobbiamo raggiungere la barriera da cui siamo entrate ›› spiegò, voltando il capo prima da un lato e poi dall’altro. Ferma, ora, a studiare la miglior via per raggiungere l’uscita. Intorno a lei vari scontri divampavano. Melania ne catturò ogni minimo dettaglio. Vide una coppia di babbani volare in aria; una ragazza correre urlando; un bambino cadere a terra, morto... strinse più forte il braccio di Erica. 
        ‹‹ Non sanno che noi siamo purosangue, tesoro ›› avvolse se stessa ed i bambini con un sortilegio scudo; dalla bacchetta uscì una patina pallida. Non era certa li avrebbe protetti da uno attacco diretto ma almeno sarebbero stati immuni alle macerie. ‹‹ Veloci, andate prima voi ›› tenne le mani una sulla spalla della bambina, l’altra su quella di Lucas, sospingendoli avanti. Tra loro e la barriera c’era un raggio di dieci metri di persone che s’accalcavano le une alle altre; procedevano velocemente, dunque non avrebbero atteso molto prima che arrivasse il loro turno... ma i mangiamorte dietro di loro continuavano ad attaccare. 
                                   Erica
                                   Melania
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                     Corban Svariate nubi nere erano apparse tra la folla per scatenare il terrore, per seminare il panico e insediare incubi alle streghe e ai maghi presenti a King’s Cross. Quelle nubi nere che significavano morte, erano dei maghi estremisti che seguivano /quel/ mago oscuro. /il/ signore oscuro.Corban era uno di quei mostri che però, mostri non si reputavano. Nella sua mente perversa e malata, Corban era ammaliato da questi ideali purosangue. Pensava di combattere per i giusti ideali anche se con ferocia e malignità. Fin da bambino era stato cresciuto con severe regole e imposizioni che lo portavano a crescere come una macchina mortale soprattutto perché, crescendo, si rese conto che il potere ed essere temuti da /persone/ di basso rango, lo elettrizzavano. In più era stato educato da bambino a disprezzare tutto quello che era diverso; i Mezzosangue, i Natibabbani, i Magonò e i babbani.Quindi fino in giovane età, era come se quella vita gli fosse stata predestinata. Combattere contro quelle specie di persone che si facevano chiamare maghi, servive Voldemort. Era come se il suo destino era stato scritto. E a Corban piaceva particolarmente.Per quello appena si smaterializzò passando da nube nera al suo vero aspetto, si fece riconoscere scagliando dove capitava un incantesimo che lo divertiva particolarmente; Bombarda Maxima. Mattoni, vagoni del treno, pilastri in ferro, stava distruggendo tutto quello che li capitava a tiro per seminare ancora più disagio e moltiplicare i feriti.Rideva, da sotto la maschera che ritraeva un teschio. Una risata meschina, subdola ma anche particolarmente allegra, che rimbombava all’interno della maschera. Faceva venire i brividi.
                     Jacqueline Scesa dalla treno, Jacqueline perse tempo a chiacchierare con le sue amiche, anziché andare a cercare sua madre. Questo perché la donna era una stilista molto impegnata; immaginava sarebbe arrivata con qualche minuto di ritardo. Ammesso sempre che non avesse delegato qualcun altro di andare a prenderla! Un anno era stata incaricata Mifet, l’elfa domestica; era stato, senza ombra di dubbio, il peggior ritorno a casa di sempre, per la Serpeverde. Stava salutando la Fawley quando i Mangiamorte invasero la stazione. L’amica l’aveva stretta in un abbraccio per congedarsi e lei, dalla sua spalla, aveva scorto i genitori di lei passare dal guardarle felici - in attesa che la loro bambina li raggiungesse - al deformarsi in un misto di preoccupazione ed urgenza. Corsero verso di loro, che nel frattempo si erano separate ed afferrarono Calarisse per un braccio. L’amica prese quello di Jacqueleine. Volevano smaterializzarsi. Troppo sconvolta per pensare lucidamente e per capire cosa le venisse urlato, la bionda si sottrasse dalla stretta, e, febbricitante, lasciò che la famiglia si smaterializzasse davanti ai suoi occhi, prendendo poi a guardarsi intorno. Doveva trovare sua madre. Intorno a lei le persone correvano come seguendo la corrente di un fiume in piena. Fuggivano da loro, dai mangiamorte. E senza che potesse neppure accorgersene, del viscoso fumo nero saettò a pochi metri da lei, lasciando apparire, nel diradarsi, uno di quei volti mascherati. Lanciò un bombarda, l'uomo. Furono i danni dell’incantesimo a farglielo notare. Jacqueline urlò. La fuliggine le si sbriciolava addosso. Era ancora vicina al treno; avrebbe voluto spostarsi ma rimase impietrita, riuscì solo ad accucciarsi, coprendosi il capo per impedire proteggersi dalle macerie. Successivamente portò una mano nella tasca incantata della gonna, a toccare l’impugnatura della bacchetta che - per la troppa paura - non estrasse.
                     Corban Corban ammirava con estrema gioia, da sotto quella maschera bianca e spaventosa, il caos che regnava alla stazione. Nubi nere come la pece, bacchette che sputavano incantesimi sotto forma di saette colorate, occupavano quel luogo tanto quanto le urla agghiaccianti di maghi e streghe che stavano perdendo amici, parenti. A che avrebbero potuto pure perdere loro stessi, abbracciando in modo violento la morte avvenente. Corban stava scagliando un incantesimo specifico per creare seri danni, per far notare la sua figura imponente e far percepire la malvagità che lo abitava, quando un grido acuto e terrorizzato lo interruppe. Il suo sguardo assetato di morte e divertimento si spostò verso l’urlo di una voce femminile: Una ragazza molto minuta e bionda era d’innanzi a lui, con un’ambientazione quasi apocalittica alle spalle. Sembrava quasi pietrificata dalla paura, come se quell’emozione la stesse neutralizzando. La paura gioca brutti scherzi. Notando che la studentessa doveva ancora recuperare la bacchetta e quindi era ancora indifesa da un qualsiasi attacco, Corban decise di non ucciderla immediatamente, ma di giocare con quella ragazzina che poteva essere molto probabilmente, dell’età di sua figlia Crystal. Avanzò lentamente di alcuni passi quando con una mossa veloce mirò ad un altro vagone con lo stesso incantesimo di prima. Così da aggiungere più esplosioni e detriti al suo prossimo omicidio, la voleva spaventata a morte, che capisse cosa e chi le stava andando incontro. Si avvicinò sempre di piu alla studentessa, scagliando oltre il suo corpo incantesimi non mortali per spaventarla. Gli scagliò tutti non verbali, poiché avvicinandosi ora velocemente alla strega, voleva evitare che lei o chiunque altro, riconoscesse la sua voce; la voce di Corban Yaxley, un famosissimo ex giocatore di Quidditch.
                     Jacqueline Lasciò definitivamente perdere la bacchetta quando il Mangiamorte prese a lanciarle maledizioni irripetibili. Cosa avrebbe potuto fare? Era perfettamente consapevole dell’inefficacia dei suoi protego. Gli unici incantesimi in cui Jacqueline eccelleva erano quelli d’uso quotidiano. Li conosceva tutti a memoria; ne aveva uno per arricciare i capelli, uno per lisciare gli abiti che - aveva scoperto - funzionava anche con la sua chioma, uno per spolverare - ma lei lo usava per togliere i peli di Pompon dai suoi vestiti - e persino uno per le pellicine.
Messa difronte a quella verità, realizzò che le rimaneva la fuga. Tuttavia la folla, se possibile, la terrorizzava ancora più dell’uomo dal volto mascherato. Era una bellissima, giovane, donna purosangue. Che fine avrebbe fatto intrappolata in quella mischia confusa di babbani, nati babbani e mezzosangue? Convenne, cadaverica in volto per il tumulto d’emozioni, che la miglior opzione fosse quella di riuscire ad urlare il suo cognome: Bulstrode.
A fatica, indietreggiò contro il vagone scarlatto; le gambe urtarono i gradini per salire sul treno. Senza togliere gli occhi dall’oscura figura, con una mano cercò sostegno e riuscì a salire un gradino. ‹‹ S-son ›› le parole le morirono in gola. Quel nero, tutto quel nero, le grida delle persone, il verde lampante dell'anatema che uccide... arrancò sempre più all’indietro, salendo i gradini. Sull’espresso sarebbe stata al sicuro dagli incantesimi, pensò. Ma trovò la porta sigillata. Frettolosamente portò lo sguardo sulla maniglia e subito dopo, nuovamente al Mangiamorte. Il crescente panico; le mani a spingere convulsamente contro la porta; Jacqueline aveva paura. Fu allora che riuscì ad urlare ripetutamente: ‹‹ sono una Bulstrode! Sono una Bulstrode, sono una Bulstrode! ›› E sempre allora, la prima lacrima scese lungo il suo viso.
                     Corban
                     Jacqueline
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