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               𝗪𝗶𝘁𝗵 : lou miller + sophie baker                 ›   monologue  ı  #001                  ﹫madame baker's house.                23 febbraio 2020 – ⌚️: ₁₅ ₄₅              (    #metahumansrpg    )
        ┄┄┄┄┄┄┄┄┄┄┄┄┄┄┄┄┄┄┄                 Sarah Coleman, con una donna dai capelli biondi a coprirle le spalle, fece capolino da dietro la porta che si poneva fra loro e il verdeggiante cortile, dove si trovava la sensitiva. Quest'ultima, intravedendole, protese le mani verso il vuoto, con sguardo assente. Alla direttrice di Vogue tale particolare sfuggì, nel tornare, per la decima volta quel giorno, a ripetere all'amica – la stessa che le aveva raccomandato di fare un tentativo, e che ora si stagliava al suo fianco – che tanto, comunque fosse andata, lei non avrebbe creduto ad una sola parola. Ma quella, per Lou Miller, non era la prima volta da Madame Baker. Difatti ignorò lo scetticismo di Sarah ed andò incontro alla... visionaria, salutandola con garbo; e il fatto che questa, invece, fosse ancora persa nel suo mondo parve non recarle alcun imbarazzo mentre che le presentava Sarah come " l'amica che ti ho detto avrei portato ". A quel punto la direttrice di Vogue, rimasta sola, si trascinò dalle due; e resistette allo stimolo di inforcare gli occhiali da sole solamente perché, ancora qualche passo, e si sarebbe trovata sotto un gazebo. Lì poté osservarla meglio, 'quella' Madame Baker. E lei, così graziosa nei suoi abiti, – che tanto richiamavano e probabilmente erano propri degli anni trenta – alzandosi dalla sedia e avvicinandosi, le prese dolcemente una mano tra le sue — forte, tuttavia, abbastanza da impedirle di volare via. Dunque chiuse gli occhi e reclinò il capo indietro, lasciando una Sarah disorientata, e sempre più diffidente, a guardare il suo collo teso. Cercò sostegno, invano, dall'amica totalmente rapita dalla scena cui stavano assistendo. Gli occhi sbarrati. Ma come detto, fu inutile. E la Baker, che aggiungiamo dimostrare a malapena trent'anni, uscì dalla trance con la stessa sinuosità con la quale vi era entrata. Seria, ora, neanche avesse appena visto la morte, cantilenò un "sì", che parve il sussurro di un'eco. " Sì, sento qualcosa. "
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*Second pic’s background is drama Witcher’s screenshot
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           ♯ 001   ╱ 𝟣𝟧 𝗀𝖾𝗇𝗇𝖺𝗂𝗈 𝟣𝟫𝟩8            𝐋 𝙚 𝙭 𝙞 𝙚  &&. 𝐌 𝙚 𝙡 𝙖 𝙣 𝙞 𝙖             Rosier      Dixon
             ╰  —   𝔊𝔯𝔦𝔫𝔤𝔬𝔱𝔱.
              【  #ᴀʀᴇsᴛᴏᴍᴏᴍᴇɴᴛᴜᴍ  】        
Gli oceani navigati da Melania erano affollati di mostri nascosti sotto le acque più impensabili, intenzionati a far affondare la sua nave. A farla fallire. Che fosse in ambito lavorativo, come accadeva ora, o scolastico, com'era stato un tempo, non aveva importanza: purché sprofondasse. Il suo crimine era quello di essere figlia di una purosangue sposata ad babbano; e, naturalmente, quello di essere una donna nera. Fiumi di lacrime s'erano addensate sulle sue ciglia da più piccina, a causa dei trattamenti ricevuti. Ciononostante si era sempre ritenuta fortunata perché, perlomeno, aveva potuto dar voce alle ingiustizie subite. Aveva potuto. Ora non lo faceva più. Non perché tutto insieme i maghi artefici di discriminazioni si fossero rinsaviti ma perché si era stancata di combattere le piccole battaglie. Che il direttore del giornale spedisse lei ad elemosinare interviste frivole ai giocatori, ad esempio, e all'altro responsabile dello sport invece lo incaricasse sempre di commentare le formazioni delle squadre e le partite - dunque roba seria - era consuetudine ormai. E in genere se lo faceva andar bene, perché comunque se scriveva di Quidditch un motivo c'era: era una fan del gioco tanto quando dei giocatori. Tuttavia quando questi si davano alla macchia le cominciavano a saltare i nervi perché era costretta a giocare a fare la detective per mantenersi il posto di lavoro. ‹‹ Salve, sono Melania Dixon della Gazzetta del Profeta. Vedo che va verso la banca probabilmente ha commissioni da sbrigare, le spiace però se le faccio qualche domanda a proposito di suo fratello? Ma anche lei, cosa si prova ad avere un giocatore professionista in famiglia? ›› esordì, mitragliando la povera Lexie ignara di essere stata braccata. Come detto: intervista ridicola. Ma era questo che le ragazzine - e il suo capo - volevano leggere. Un po' se ne vergognava, se a lei avessero posto le medesime domande avrebbe risposto con poca eleganza.
Lexie Uscire per lei da quella villa era una cosa abbastanza normale. Non era chiusa a chiave in una stanza, ed aveva tutte le opportunità di questo momento, poteva fare quel che le piaceva. Certo per un periodo della sua vita voleva essere una giocatrice di Quiddtch, era molto brava e grazie a Matt poteva ricevere un po' di proposte, ma aveva scelto diversamente, lei poteva aspirare di più nella vita anziché giocare a Quidditch. La prima aspirazione era arrivata senza volerla, oggi era diventata una signora, partecipava alle feste più importanti e aveva conosciuto persone che prima non si sarebbe mai aspettata di incontrare. Dopo il matrimonio la giovane aveva iniziato ad allontanare il marcio, aveva preso le distanze dalla sua famiglia biologica, eccetto con sua sorella. Se ancora parlava con Jazmin c'era un motivo di fondo, infatti la stava usando per scoprire ciò che più le interessava su quel che succedeva nella scuola che lei aveva lasciato qualche mese prima. Quel giorno, visto che non doveva raggiungere il suo professore per continuare il suo apprendistato, decise di recarsi in città per fare qualche commissione. Le vesti neri le calzavano a pennello, e nascondevano ogni sua forma, così da mascherare anche l'inizio della sua gravidanza, che al momento era saputo solo a poche persone. Ovviamente le persone la riconoscevano per strada, chi per la signora Rosier, chi per la sorella di Matias la giovane Lancaster, non per la loro somiglianza, ma perché qualche anno prima era uscita una foto di tutta la famiglia su un giornale e lei non era cambiata molto. Quando qualcuno la chiamava con il suo vecchio nome, lei era solita non prestare attenzione, quando la chiamavano con il nuovo nome, al contrario cercava di essere cortese, anche se a malavoglia. Certo non si aspettava che qualcuno la bloccasse per strade per un'intervista, ormai non succedeva da tempo e credeva di essere salva. Peccato che la vita non va mai come vorresti ed eccola a dover ascoltare le parole di quella donna a lei sconosciuta. Inarcò una sopracciglia a quella frase e cerco di essere calma per non attirare l'attenzione sulla sua persona, era proprio quel di cui non aveva bisogno, ma era con freddezza che rispose a quella domanda, beata Jazmin che non aveva di quest problemi poiché viveva nel posto più sicuro del mondo magico, come veniva chiamato Hogwarts. " Al momento, non ho il tempo per certe cose! " La seconda domanda quasi la fece sorridere, peccato che lei sorrideva raramente, Matas non faceva più parte della sua famiglia, da quando l'uomo non si era presentato alle sue nozze. Tutto si era frantumato nella sua vita e lei stava bene così di certamente non le interessava tornare a quel che aveva prima.
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♪              Lewis & Sarah                Flashback 24/10/19                  Sarah’s office                 #metahumansrpg 
Non riusciva ancora a capire perché la signora Coleman lo avesse convocato nel suo ufficio per parlare; lo aveva fermato qualche giorno prima, durante l’evento di beneficenza a cui aveva partecipato per accompagnare una giovane donna d’affari che aveva bisogno di un accompagnatore, gli aveva detto che aveva un’offerta di lavoro da fargli ma non si aspettava di doverne parlare di persona. Di solito tutte le proposte gli venivano fatte per telefono e quasi sempre era Kenny a trattare con le persone, questa volta aveva fatto un'eccezione, dato che aveva già parlato con l'interessata. Non capiva però perché le servisse il suo aiuto, solitamente non si interessava molto agli affari personali degli altri, ma sapeva che la donna fosse sposata. Quindi perché chiamare un accompagnatore? Scosse la testa cercando di scacciare dalla mente tutti i suoi pensieri, non aveva senso rimuginarci in quel momento, quando mancavano pochi minuti all'incontro. Allungò il passo, varcando finalmente le porte dell'edificio di Vogue Magazine, spiegò alla segretaria che aveva un appuntamento con la signora Coleman e si mise a sedere non appena venne invitato ad attendere. Non dovette aspettare molto, in realtà aveva temuto di dover rimanere delle ore lì in attesa, quindi di sorprese nell'accorgersi che aveva aspettato solo una mezz'oretta. Si alzò dalla sedia, quando la segretaria lo invitò a entrare, raggiungendo con pochi passi la porta dello studio.
<<Salve Signora Coleman, mi aveva chiesto di presentarmi qui per parlare.>> Sarah Lo aspettava seduta alla scrivania. Si era tenuta il pomeriggio libero proprio per incontrare quel giovane aitante lavoratore. Informata a dovere - o almeno così riteneva - sulla sua professione e sulla sua persona, perché logicamente ai suoi assistenti aveva dato il piccolo incarico di scoprire il più possibile sul suo conto, aveva ritenuto facesse proprio al caso suo, Lewis Walker: carismatico, evidentemente bisognoso di soldi e sveglio quanto basta da essersi fatto strada da solo. Non certo il tipo di scagnozzo che avrebbe mandato a recuperare Jonas da qualche bettola o a pedinarlo, così da impedirgli direttamente di infilarcisi. È chiaro. Ma per Gideon, il suo amato ed innocente figlio, sarebbe stato più che sufficiente. Il bisogno, per la verità, neppure c’era. Tuttavia Sarah, negli anni, aveva sviluppato l’esigenza di avere sotto controllo ogni aspetto della sua vita. Era inevitabile, dunque, che prima o poi finisse per subirne le conseguenze anche il suo prediletto. Giacché era l’unico sulla faccia della terra a non usare il telefono - dunque a non essere quasi mai reperibile. Fuori dal suo radar. « Ciao, sì, accomodati » sollevò le lunghe e raffinate ciglia dal tablet e sorrise, circostanziale. « Posso farti portare qualcosa? » domandò - solo quando si fu accomodato. Era sempre molto ospitale quando doveva assumere. 
 https://66.media.tumblr.com/.../tumblr... « Io devo ancora pranzare, chiedi pure tutto quello che vuoi » e pigiò il pulsante sul telefono per mettersi in comunicazione con la sua segretaria; pronta a darle direttive.
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▸ ( #ᴀʀᴇꜱᴛᴏᴍᴏᴍᴇɴᴛᴜᴍʀᴩɢ )     ⤷ ₀₁ . ₁₁ . ₁₉₇₇           ﹍﹍ 📻📻📻 ﹍﹍          With : Hailie | 𝑆𝑎𝑙𝑎 𝐶𝑜𝑚𝑢𝑛𝑒.   I genitori di Miguel avevano faticato a lasciarlo salire sull'espresso, quell'anno. Il quindicenne era riuscito a fuggire dalle braccia della madre solo grazie all'intervento dei suoi amici: corsi a salutarlo con enfasi. Tutta l'estate non erano riusciti a vedersi. A quel punto, aveva salutato i suoi con un sorriso che sapeva di abbraccio, ed era salito sul treno guardandosi indietro un'ultima volta per conservare la loro immagine felice. Nello scompartimento aveva ritrovato Millicent Stewart; sua migliore amica da che Hailie era privatamente diventata un qualcosa di più, ai suoi occhi. Il viaggio l'aveva trascorso blaterando di musica. Hogwarts era magnifica ma il Corvonero non possedeva una radio, dunque durante le vacanze recuperava tutte le novità. Quell'anno si era concentrato sui Sex Pistols. Un gruppo che sapeva essere fuori dal suo genere ma che - anche per la fase che stava attraversando - aveva riscoperto assai interessante. ❝ Ogni volta che si esibiscono intervengono le autorità perché ne combinano di tutti i colori ❞ stava dicendo ad Hailie. Erano su uno dei divanetti tinti di blu; Miguel un po' sbracato, con il braccio dietro le spalle dell'amica, lungo lo schienale del divano. L'aveva disteso sorprendendo se stesso, ritrovando una serenità che credeva d'aver perso con la rossa. E in effetti, se ne pentì subito. Bastò il pensiero di un Isaac assente a metterlo in allerta. Tuttavia non si mosse. ❝ Dobbiamo assolutamente procurarci una radio, così ve li faccio sentire. ❞
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𝘋𝘪𝘢𝘨𝘰𝘯 𝘈𝘭𝘭𝘦𝘺 20 𝘈𝘨𝘰𝘴𝘵𝘰 1977 𝘜𝘳𝘢𝘯𝘶𝘴 e Migueɭ
( 💫💫💫 )
Uranus aveva in mano la lettera, lo sguardo era assorto nelle righe mentre il corpo si stava avvicinando a passo lento, al Ghirigoro. Stava controllando la lista dei libri che doveva comprare e a causa dei suoi pensieri, rivolti al suo nuovo ruolo da prefetto, dovette rileggere e rileggere più volte quei titoli. Era troppo nervoso. Più pensava ai libri del quinto anno più pensava a quanto non potesse essere un bravo Prefetto. Chi mai l’avrebbe ascoltato? Chi avrebbe dato retta a Urina? Lo sfigato di Hogwarts? Non aveva una personalità autoritaria e minacciosa, per di più era un fifone e si faceva mettere i piedi in testa da chiunque. Non aveva la stoffa per fare il prefetto. Perché durante l’estate era cambiato esteticamente, ma sotto quella barba incolta, quei muscoli gonfi e vene visibili, batteva ancora il cuore di un ragazzo fin troppo buono e sensibile. Dopo la tragedia si era fatto tatuare infatti, la parola “Mercy” sopra una ferita lieve causata durante l’attacco a King’s Cross, che quel giorno di Agosto si vedeva molto bene siccome indossava una canottiera totalmente bianca. Non era per niente una scritta di piccole dimensioni.
Sospirando, ancora con il naso sulla lettera, travolse una persona. Mortificato, iniziò a scusarsi più volte portando la mano sulla nuca, in segno di imbarazzo, anche se magari la colpa non era sua.
Poi, si rese conto che quella persona era Miguel. Voleva sprofondare. Non erano ancora iniziate le lezioni e già si scontravano. Balbettò qualcosa di incomprensibile.
Miguel Se Uranus ci mise molto a capire chi avesse davanti, Miguel ci mise il doppio. Il balbettio intraducibile del Tassorosso gli andò in aiuto. Senza di quello, probabilmente, sarebbe stato fino a sera a chiedersi chi diamine gli avesse ricordato quel tale, a Diagon Alley.  Prima dello scontro, lui era lì, davanti la vetrina di Accessori di Prima Qualità per il Quidditch, ad ammirare il nuovo manico di scopa uscito quell’estate: la Scopalinda 7. Si vociferava sarebbe stato l’ultimo della serie Scopalinda, in quanto, di meglio, non sarebbe stato possibile produrre. Inutile dire quanto Miguel ne desiderasse una... avrebbe anche tentato le selezioni a settembre. 
❝ Herschel? ❞ Non poté fare a meno di chiedere, strabuzzando gli occhi e riaccompagnandolo con le mani in posizione eretta; lontano da se. ( https://66.media.tumblr.com/150716a5580cda6be742454488e7a91a/tumblr_pi5rd8JUGd1x8cm4ao2_400.gif ) Movimento che gli richiese maggiore sforzo, vista la stazza del giovane.  ❝ Stai- sei- come- ❞ riacquisendo un tono meno esuberante, tentò di esprimere un concetto piuttosto elementare - era diventato uno strafico - ma gli vennero meno le parole. Risolse con un: ❝ non ti si riconosce. ❞ Atono, perché non doveva pensare fosse un complimento. Poteva farsi strane idee, il coetaneo. Ed anche lui, a dire il vero. Come avrebbe giustificato a se stesso, il fatto di apprezzare la bellezza maschile? I due non erano neppure amici. 
❝ Non ti preoccupare comunque ❞ fece per volgere nuovamente le sue attenzioni alla vetrina ma l’occhio gli cadde sul tatuaggio del ragazzo. E quindi sul suo braccio; sulla sua pelle; sui muscoli che parevano esplodere.  Ma come diavolo aveva fatto?
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#𝙖𝙧𝙚𝙨𝙩𝙤𝙢𝙤𝙢𝙚𝙣𝙩𝙪𝙢𝙧𝙥𝙜 3 𝘖𝘵𝘵𝘰𝘣𝘳𝘦 1977 𝘜𝘳𝘢𝘯𝘶𝘴 e Migueɭ
( 🎂🎂🎂 )
Durante quel mese, Uranus era rimasto molto tempo in guferia o come suo solito, nella torre di Astronomia. Se prima era un ragazzo timido, impacciato e invisibile agli occhi dei suoi compagni ma “Urina” quando combinava qualcosa, ora era un ragazzo timido, impacciato, ma non più invisibile. Ora dove andava, le ragazze bisbigliavano e gli sorridevano. Lo squadravano. E per lui era tutto molto strano e imbarazzante, quindi preferiva farsi vedere in giro ancora meno degli anni passati. Non avrebbe dovuto ascoltare sua madre. Non avrebbe dovuto allenarsi per il quidditch. Non avrebbe dovuto crescere.
Purtroppo per lui però, a lezione doveva presentarsi e dall’inizio del suo quinto anno, non sedeva più in prima fila: ma in ultima. Dove sguardi indiscreti che mettevano in soggezione non potevano arrivare, almeno secondo lui. In ultima fila però, oltre che le parole dei vari professori, arrivavano anche pettegolezzi. Quel giorno a trasfigurazione i Tassorosso assistevano alla lezione con i Corvonero, e Uranus era seduto vicino al gruppo di amici di Miguel, e ovviamente, Miguel. E senza il suo volere aveva sentito che era il compleanno del Corvonero. Da quell’istante non riuscì più a stare attento alla lezione; non voleva augurargli buon compleanno davanti a tutti, magari avrebbe messo in imbarazzo Miguel perché non voleva che si sapesse. Pensiero che gli venne perché neanche lui voleva che si sapesse il giorno in cui è nato.
Aspettò tutto il giorno poi, per trovare un regalo adatto. Si accorse che dopotutto non conosceva per niente il ragazzo, e con questo pensiero si rese conto che voleva conoscerlo un po’ di più. Ma purtroppo per Uranus, la sua personalità non rendeva niente semplice, neanche delle semplici conversazioni figuriamoci una relazione.
Era poco prima di cena, e Uranus stava camminando avanti e indietro davanti l’entrata della sala comune dei Corvonero per incontrare Miguel. Secondo i suoi calcoli sarebbe uscito a momenti, e se così non fosse stato, avrebbe saltato la cena pure di dargli il suo semplicissimo regalo.
A vederlo Uranus, non era mai stato più agitato.
Miguel Le elementari erano il suo unico metro di paragone con Hogwarts. Dunque quando si ritrovava a riflettere sulla sua vita a scuola, andava ripensando a quei tempi. Il giorno del suo sedicesimo compleanno, durante l'ora di Astronomia, Miguel rifletteva su quanto fosse strano festeggiare in Sala Comune con i suoi amici. Era un pensiero che si ripresentava ogni anno, in concomitanza di quella data, eppure ogni qual volta tornava ad esplorarlo riusciva ad arricchirlo con ulteriori riflessioni. Il tre ottobre del settantasette pensò alle festicciole modeste che aveva tenuto a casa. Sua madre gli preparava la torta, suo padre andava avanti e indietro dalla cucina al soggiorno imprecando contro i bambini, e lui finiva sempre per chiudersi in bagno come una ragazzina, dispiaciuto dal fatto che la sua fidanzatina non si fosse presentata, o del fatto che qualcuno avesse soffiato le candeline al posto suo. Miguel poi aveva appena scoperto di essere un mago a quei tempi, dunque doveva anche reprimere i suoi sentimenti onde evitare spiacevoli danni collaterali. Festeggiare con quei tre quattro amici che aveva, dunque, gli andava bene. Non era il massimo ma andava bene. Certo... passava tutto il tempo a pensare che feste come quelle dei ragazzi popolari, come James Potter o Thomas Mulciber, non l'avrebbe mai avuta; ma ormai era andata così. Lui era il tipo di persona che passa inosservata per scelta. Delle volte pensava che non fosse stato un nato babbano sarebbe stato una persona diversa. Più simile a quelli come il sopracitato Grifondoro. Probabilmente non aveva importanza. ❝ Isaac ci sarà morto per prendere dell'altro succo di zucca? Vado a vedere se ha bisogno di una mano ❞ aveva bisogno di stare un po' da solo in verità. Passeggiare per il castello aveva preso il posto del bagno. Uscì dalla sala comune lasciando i suoi amici a mangiare senza di lui e s'imbatté in Uranus. Tanto fu lo stupore, che, squillante, esordì con un: ❝ uhn- ciao. ❞
Uranus Uranus continuava a camminare agitato davanti all’entrata della Sala Comune di Corvonero con testa bassa, sguardo preoccupato e un attacco nervoso di prurito dietro al collo. Non era un reale prurito in verità, ma dei leggeri brividi che percepiva sotto la nuca e che lo stavano rendendo ancora più in ansia. E quindi sia per passare il tempo e sia per sfogare il nervoso, si limitò a grattarsi cercando inutilmente di porre fine a quella sensazione di calore che provava. Se qualcuno lo avesse guardato da dietro, avrebbe notato la macchia rosa accesa che partiva dal colletto della camicia fino all’attaccatura dei capelli sul collo. Smise di torturarsi la pelle quando sentì i passi di qualcuno uscire dalla Sala Comune. E con le palpitazioni mentre gli sembrava di avere il cuore in gola, alzò velocemente lo sguardo per portarlo dritto verso quella figura che si faceva sempre più vicina. Inspirò profondamente ma con paura di rendersi ridicolo appena vide che era giunta l’ora di augurare buon compleanno a Miguel, e di porgergli il suo regalo. Si sentiva un completo idiota. Soprattutto sentendo il rossore che aumentava dopo che il Corvonero lo salutò in modo squillante. Miguel aveva salutato Uranus in modo sorpreso ma non in senso negativo. Almeno da come era sembrato al giovane Tassorosso. Deglutì sonoramente e abbassò lo sguardo. « C... Ciao! » Le dita stavano giocherellando sulla scatola impacchettata con una carta regalo blu notte e argento, e quei colori, i colori dei Corvonero, ricordavano ad Uranus il cielo notturno. E automaticamente, pensò che Miguel era uguale all’Universo; assolutamente affascinante e da conoscere fino in fondo. « Ehmm... » cercò d’iniziare, non smettendo di fissare il regalo e di picchiettare le dita su di esso. « Buon... Buon compleanno Miguel! » Disse l’augurio con velocità allungando le braccia verso di lui, porgendogli il regalo all’altezza del viso. Gli palpitava forte il cuore, se lo poteva sentire in gola. Sapeva che a Miguel piacevano le cioccorane e le figurine, si ricordava che durante l’estate le aveva apprezzate, per quello decise di regalargli oltre a dolci varie presi dalle sue scorte della settimana, dieci cioccorane. Tutte quelle che aveva comprato nell’ultimo weekend passato ad Hogsmeade. Sperava che non una volta aperte, non trovasse solo doppioni.
Miguel La stupore iniziale non ci mise molto a tramutarsi in disagio. Ritrovarsi un Tassorosso, fuori dalla Sala Comune, non era roba da tutti i giorni per un ragazzo riservato - ed estremamente selettivo - come Miguel. Difatti, non si sentì predisposto ad accogliere il compagno serenamente. Anzi tutto perché aveva lasciato i suoi amici per starsene un po’ da solo. Inoltre, perché non era un compagno qualunque.
Aveva già avuto modo, quell’estate, di scoprire quanto fosse cambiato il suo aspetto; ma ogni giorno Miguel si soffermava tristemente ad individuare le loro differenze; tutti quei tratti che lui, al contrario, non sarebbe mai riuscito ad esaltare. Lo faceva involontariamente. Per sua natura era costantemente volto a migliorare se stesso; sia intellettualmente che fisicamente. E il pensiero che Uranus fosse riuscito nell’impresa prima di lui, lo pungeva sul vivo. Provava invidia; un sentimento che credeva di essersi lasciato alle spalle ma che, inspiegabilmente, tornava a presentarsi ogni qual volta ci fosse di mezzo l’imbranato. 
Ecco: impacciato, per fortuna, Uranus ci era rimasto. Fosse maturato anche sotto quell’aspetto, il Corvonero non avrebbe potuto far altro che prendersela con se stesso per la sua immutabilità. Sebbene dunque, in generale, il disagio di Herschel lo rincuorasse, quando a doverne subire le conseguenze era lui, finiva per desiderare la morte.  Meglio la morte, pensava, che dover rispondere alle gentilezze che gli rivolgeva.  Scorse il regalo prima ancora che gli facesse gli auguri. Si portò una mano alla fronte, andando a placare i nervi in fase di agitazione. Aveva fatto un gesto carino, si ripeté. L’augurio di un conoscente. Non doveva vederci nient’altro o avrebbe dato di matto come al ballo, dopo l’incidente.  Il fatto che Uranus ora fosse nettamente più bello di lui lo aiutò a tranquillizzarsi.  « Grazie... amico » prese in mano il pacchetto, incerto. « Non lo apro adesso perché stavo andando da una parte ma - »
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.       𝐇𝐄𝐒𝐓𝐈𝐀 𝐀𝐍𝐃 𝐒𝐈𝐑𝐈𝐔𝐒 🔥💔      💭 𝑎𝑚 𝑠𝑜 𝑎𝑛𝑔𝑟𝑦 ⤻ ɢʀᴇᴀᴛ ʜᴀʟʟ        ♡ #ᴀʀʀᴇsᴛᴏᴍᴏᴍᴇɴᴛᴜᴍʀᴘɢ  ♡  01/09/1977 ´-               ↷       𝓝essun'estate fu mai peggiore di quella appena volta al termine,       un intero mese di / nulla /, tremendamente impegnata nelle    faccende domestiche noiosamente babbane, non ne poteva più di    quella "vita" se così si poteva chiamare. Per di più suo padre e sua    sorella avevano allegramente deciso di cambiare l'ordine dei    mobili dell'intera casa, ritinteggiando le pareti, che fantasia.     Ma almeno questo la faceva distrarre dalle mancate risposte del    suo migliore amico alle sue lettere. Un mese senza notizie, senza    risposte, senza sapere come stesse, senza un incontro; il nulla più    totale. Lily, Emmeline, Marlene e Dorcas erano andate in vacanza    senza di lei, probabilmente ci sarebbe stato anche Sirius con loro    loro l'avrebbero potuto sentire almeno, mentre lei era costretta a    quest'agonia. La giovane Hestia non era possessiva, semplicemente    era estremamente gelosa delle persone che le stavano a cuore.    Comunque non l'avrebbe passata liscia, quel delinquente, appena    avrebbe messo piede ad Hogwarts gliene avrebbe detto quattro.    O almeno pensava. Quando incrociò per sbaglio quegli occhi lucidi    da lupacchiotto, tentò di non cedere, ma alla fine riuscì solo ad    ignorarlo. Giunta l'ora di pranzo, si sedette alla lunga tavolata dei    Grifondoro, sitemandosi la divisa dalle maniche. Era talmente    concentrata che quasi / sobbalzò / quando vide chi aveva preso    posto al proprio fianco. Sirius Black. "Quell'emerito minch--"    anche il suo volto non sembrava promettere bene, sembrava    indispettito, la conosceva bene quell'espressione, anche se aveva    qualcosa di diverso dal solito: sembrava delusa.    « Allora? » aveva dichiarato fermamente, facendola rimanere    spiazzata. Allora che? Sei tu l'imbecille che non si è fatto vivo per    mesi. « Sessanta minuti? Come quelli che sarebbero bastati per    rispondere ad una delle mie fottutissime lettere? »
Sirius     Ad Hestia Jones, sua migliore amica dal primo anno - anzi secondo, perché al primo lui ancora si divertiva a tirarle i capelli e ad alzarle la gonna con incantesimi arieggianti - Sirius non aveva scritto neanche una lettera durante le vacanze estive. Primo perché era un uomo, e lettere non ne scriveva; secondo, perché non ne aveva ricevute; terzo, perché non aveva un gufo, ma una topolina di nome Lane andata dispersa. Aveva supposto che si fosse bella che dimenticata della sua esistenza. Saputo, infatti, che era sopravvissuta all’attacco dei Mangiamorte, nell’apprendere che pur avendo gli arti al proprio posto non si fosse degnata di mettersi in contatto con lui, il Grifondoro si era oltremodo risentito.     Conseguenza del suo stato d’animo fu che, di ritorno ad Hogwarts, la evitò; intenzionato a fargliela pagare con il silenzio. Incrociato lo sguardo con lei tuttavia, in un frammento non meglio identificato della giornata, Sirius si rese conto che la giovane amica doveva aver adottato sua stessa strategia: non aveva avuto reazione! Scelse, dunque, andando contro il suo piano iniziale, di imporsi con la sua presenza ad ora di cena. Era disposto anche a metterci una pietra sopra, dopo un bel discorsetto. Dopotutto, lui per primo si era eclissato nella sua solitudine, in passato. L’esempio più recente lo forniva proprio l’estate che aveva preceduto quella appena trascorsa; al termine del quinto anno Sirius si era dato alla macchia con tutti.     « Jones. Per piacere… » Alla battuta avrebbe anche riso, non fosse stato occupato a darsi un’aria risoluta e concentrato ad interpretare le parole di lei - con quei sessanta minuti l’aveva mandato in confusione. « Le tue presunte lettere non sono pervenute. Cara la mia amica dalla lingua bugiarda. »
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Ambar 𝚊𝚗𝚍 𝑺𝒊𝒓𝒊𝒖𝒔.
 [﹙  #ᴀʀᴇsᴛᴏᴍᴏᴍᴇɴᴛᴜᴍ ﹚]
                   ₂₅ ᴀɢᴏsᴛᴏ ₁₉₇₇                 ↷  #004 𝗍𝖺𝗉𝗉𝖾.   Ospite da suo zio Alphard, solo, perché Marlene se n'era andata e l'uomo si trovava in chissà quale parte del mondo, era stato difficile per lui convincersi ad uscire. Sarebbe dovuto passare per il Paiolo Magico; luogo apparentemente insignificante ma che per il giovane aveva rappresentato una tappa fondamentale lo scorso anno, dopo essere fuggito dai Black; e tale prospettiva non gli piaceva. Rievocare determinati ricordi, dopo, per giunta, essere tornato a casa ed aver visto la bruciatura sull'arazzo di famiglia in corrispondenza del suo nome, lo incupiva. Ma non aveva scelta.
Si smaterializzò verso ora pranzo. In quei pochi mesi il suo aspetto era cambiato. Guardandosi allo specchio, ogni giorno aveva notato un particolare diverso: forza, nello sguardo; durezza, nei tratti del volto; maturità, nel filo di barba incolta... appariva più virile, nell'insieme; più selvaggio. Un cane randagio addomesticato, volendo essere ironici. Scrollandosi di dosso la polvere del camino, avanzò d'un passo sul pavimento in pietra. L'ambiente era ombrato; gli occhi argentei di Sirius brillarono colpiti da un flebile raggio di sole. Salutò il costantemente vecchio Tom, "niente camera, sono di passaggio" gli disse, e, facendo per spalancare la porta che dava su Diagon Alley, notò Ambar.
Capelli rosa a parte, gli sembrò un'altra persona; o forse era lui a vederla in modo diverso. Sentì, infatti, di doversi fermare. Aveva combattuto anche lei, alla stazione; ed era una dei buoni, in fondo. Fermo sulla porta, tolse la mano dalla superficie levigata e tornò indietro; i capelli, meno tirati a lucido rispetto agli altri anni, ugualmente lunghi, ondeggiarono per la brezza estiva mentre si mosse per raggiungerla al tavolo. Andò a posizionarsi di fronte a lei, rimanendo in piedi; fortunatamente la Serpverde non si accorse di lui, altrimenti raggiungerla non sarebbe stato così facile. Si schiarì la gola. Con la punta delle dita andò a toccare lo schienale della sedia libera.   « Spero tu non abbia ordinato zuppa di piselli. »
Ambar Lo sguardo di Ambar era perso sul legno scuro e non del tutto pulito di un tavolo posizionato a due, tre metri più lontano dal suo. Era incantata, persa così tanto nei meandri della sua mente che tutti i rumori circostanti erano praticamente ovattati. Con espressione seria pensava alle vacanze quasi concluse e al suo ritorno ad Hogwarts, il suo ultimo anno in quelle mura che percepiva più come casa che come scuola. Avrebbe passato gli ultimi mesi tranquilla per poi iniziare una nuova era che a dirla tutta, la spaventata. La sua sicurezza era Hogwarts e a Giugno l’avrebbe persa. Ambar pensava anche a quante cose doveva ancora imparare, come il trasformarsi in Animagus, e sebbene studiasse da mesi, non era ancora riuscita a completare l’incantesimo. Riguardo il suo Patronus invece, per lei era inutile anche provarci essendo convinta di non avere pensieri così potenzialmente felici. Si, era pazzamente innamorata di Sirius, ma solo un bacio dato l’anno precedente per gioco poteva essere qualcosa di così forte da creare un patronus? Sirius. Pensava anche a lui, Ambar. Il ragazzo era un chiodo fisso per la Serpeverde, sia ad Hogwarts che durante le vacanze. Un chiodo fisso da anni. L’unica cosa cambiata era che il Grifondoro cominciò ad essere il protagonista anche dei suoi incubi; durante la notte infatti, Ambar si svegliava con il fiato corto, sudata, spaventata, perché riviveva quella tragedia successa mesi prima a King’s Cross. Lui inerme a terra, nella stessa identica posizione quando lo vide l’ultima volta. King’s Cross, dopo pochi giorni sarebbe tornata a King’s Cross e si chiese mentalmente cosa avrebbe provato a ritornare alla stazione. Sbuffò, mettendosi una mano tra i capelli -per la prima volta completamente rosa- per smuoverli dal nervoso accumulato, e lo sguardo cristallino ancora perso lontano nella stanza, si alzò e prese vita solamente dopo aver sentito -la- voce, più vicina che mai. In quell’istante Ambar non ci poteva credere, infatti le ciglia sbatterono più volte per capire se Sirius fosse realmente davanti e lei e le stesse parlando, oppure fosse una visione. Balbettò, il suo istinto di sorridere fu impulsivo ma cercò di contenersi e non darlo a vedere. Prese respiro cercando di darsi una calmata, ma il luccichio emozionato nei suoi occhi non poteva nasconderlo. Sirius Black era lì, in piedi davanti a lei; bellissimo, ma soprattutto vivo. Ambar ammirandolo in quei secondi, notò il suo aspetto più maturo molto probabilmente dettato dalla barba. Ammirandolo, vide che qualcosa in lui era cambiato; lo sguardo forse. E da quello che avevano tutti passato, si chiese se anche lei era cambiata esteticamente -tranne per quei capelli più colorati ovviamente- Magari aveva il viso più incavato dopo aver passato un’estate con i suoi genitori, e le occhiaie più visibili dopo tutte le ore di sonno spezzate dai ricordi di Giugno. Perfetto, dopo mesi che non si vedevano, lui era magnifico e lei sembrava sciupata. « In realtà ne avevo ordinato una porzione per te, ma purtroppo mi hanno detto che è finita! » Disse scherzando, finendo la frase con un suo tipico gesto; l’alzata di sopracciglia. Il cameriere raggiunse il tavolo subito dopo quella frase, lasciando una Burrobirra davanti ad Ambar, e lei lo ringraziò con un gesto della testa, tornando poi a Black. « Che fai? » Osservò il dito appoggiato sulla sedia. « Ti siedi, oppure hai paura che qualcuno ti veda stare in compagnia di una Serpeverde cattiva e antipatica? » Chiese, con una leggera punta di sfida nel tono. Sperava di vederlo prendere posto, ovviamente.
Sirius « No - » si mise a ridere. La considerava diversamente, ora, ma lo spirito di anti familiarizzazione con i Serpeverde proprio non riusciva ad abbandonarlo; non del tutto, perlomeno. Travers era nulla confronto ad elementi come Piton o Goyle; eppure, anche solo per mollargli un calcio sotto il tavolo, con loro si sarebbe seduto. Subentrava, tra lui e la verde argento, un ulteriore ostacolo alla rivalità che li aveva tratteggiati per anni; e il fatto che Sirius si ostinasse, con lodevole dedizione, ad ignorarlo, gli rendeva impossibile individuare una linea di comportamento da seguire. « - ho delle commissioni da sbrigare. » Al cameriere giunto con un boccale di burrobirra, Sirius aveva fatto spazio scivolando lateralmente; sullo schienale dove aveva tenuto impegnata una delle mani, adesso non arrivava più, senza dover allungare il braccio. D’altro canto però Ambar era ad una ventina di centimetri in meno dal lui; le vedeva la testa. Pensò di fare un commento sui capelli, giacché ce li aveva proprio sotto il naso, ma notando che non aveva ancora toccato la bevanda, preferì concentrarsi su quella. La sollevò con nonchalance, rapido e fuggente, così come il pensiero che l’aveva spinto a compiere l’azione. « Okay è buona, puoi berlo » si pulì la bocca - in verità rimasta incontaminata dal liquido; che aveva solamente finto di portare alle labbra - con il dorso della mano, e riadagiò il boccale sul tavolo, sorridendo con aria malandrina. L’aveva raggiunta per educazione; per farle un saluto. Di argomenti in comune quei due non ne avevano ma Sirius non si sentiva schiacciare da quella consapevolezza; non temeva il silenzio, né le pause prolungate; per il semplice fatto che lui era incapace di tediarsi con quelle piccolezze. In piedi nel locale, difatti, sebbene stesse conversando con la ragazza, si preoccupò di esaminare i volti degli altri consumatori. Il Paiolo Magico, alla pari della Testa di Porco ad Hogsmeade, vantava la clientela più strampalata proveniente da ogni capo del mondo magico. Non si stupì di scorgere un’anziana signora far levitare la sua dentiera fuori da quello che sembrava essere dell’idromele; per poi succhiarne il contenuto direttamente dalle piccole cavità - gocciolando ovunque.
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Emmeline 𝚊𝚗𝚍 𝑺𝒊𝒓𝒊𝒖𝒔.
 [﹙  #ᴀʀᴇsᴛᴏᴍᴏᴍᴇɴᴛᴜᴍ ﹚]
                   ₂₀   ʟᴜɢʟɪᴏ   ₁₉₇₇                 ↷ #001 𝗏𝖺𝖼𝖺𝗇𝗓𝖾.   Con Marlène a farsi una nuotata nel lago scozzese del quale Sirius ignora tutto ciò che un comune babbano, armato di cartina, saprebbe snocciolare su due piedi, si sente finalmente libero di starsene rintanato in tenda a crogiolarsi nel dolore che, da giorni, si ostina non solo a reprimere ma anche a mettere a dura prova! Si è a malapena alzato per dare il buongiorno a tutto il gruppo, quella mattina, prima di correre nuovamente al riparo della sua confortevole branda. Debole e stanco, se non collassa nel mondo dei sogni è unicamente perché il pulsare delle contusioni lo tiene sveglio. Quello, e pensieri di varia natura ma con il medesimo, inconfondibile intento, di privarlo anche della salute mentale.
Unirsi ad un viaggio, in segreto, portandosi dietro, per di più, la sorella nevrotica della sua compagna di Grifondoro, non era stata una brillante idea. Specie perché quella pazzia gli era costata una notevole ricaduta. Per questo non poteva farne parola; le McKinnon lo avevano rimesso in sesto con fatica e lui buttava tutto all'aria per cocciutaggine. Perché saperla sola, con Lily, dispersa chissà dove... di quei tempi non era ammissibile.
Dev'essersi anche preso l'influenza, o qualcosa; perché non fa che tossire, sicché a star sdraiato non ce la fa più e si alza, scalzo, per andare nella zona comune a sonnecchiare seduto sul divano. Qui trova Emmeline a gironzolare nella zona della cucina. Si sono già visti prima per cui non la saluta e si butta solo sul divano sfatto tanto quanto lui: tra pantalone del pigiama arrotolato una gamba sì e l'altro no, maglietta sbrindellata e capelli arruffati, manca solo la riga del cuscino sul volto a renderlo perfetto come vittima di un lupo mannaro.   « Stai facendo il tè? » domanda ad occhi chiusi; testa abbandonata contro lo schienale.
Emmeline Emmeline, quando si è svegliata per la seconda volta quella mattina, ha realizzato contemporaneamente tre cose: è più tardi del solito, Remus (conoscenza) le ha lasciato un bigliettino in cui velocemente ci sono scritte le parole ‘cibo’, ‘pane’ e ‘alcool’ unite da verbi incomprensibili che forse vogliono comunicarle che è andato in paese con alcuni degli altri – non si sa chi, non si sa quando- per fare provviste. Emmeline ha ringraziato il cielo per il non essere stata svegliata quando, dopo colazione, si è riappisolata sul divano. Dorme così male, nell’ultimo mese e mezzo, da far sembrare ogni piccola pennichella rubata come vero e proprio oro. Senza contare che si è rintanata lì, con addosso una coperta, perché oggi le sembra particolarmente umido. Certo, nella tenda magica la temperatura è sempre stabilmente piacevole, ma quando aveva messo fuori il capo e vista la nebbiolina mattutina farsi più insistente del solito sul lago, ha recitato un ‘nope’ a mezza voce, tornando dentro e abbandonandosi al lusso dell’ozio. Si è svegliata perché ha sentito qualcosa. Non sa cosa, inizialmente. Si mette seduta, realizzando che oltre alla coperta, addosso ha anche un maglione di Remus, che si infila in tempo zero, prima di alzarsi, infilando le pantofole. Realizza solo a questo punto, mentre sta legando un crocchio di capelli sul capo come una vera casalinga disperata, da dove provenga la fonte del rumore. Qualcuno sta tossendo con l’intensità di un vero leone! E quel qualcuno lo sta facendo dalla zona dove dormono le ragazze. Ora, per quando Marlène e Petunia (conoscenza) siano incredibilmente forti e determinate agli occhi di Emmeline, dubita che sia una delle due giovani ad avere quella sorta di caverna catarrosa nel petto. Rimane quindi il loro inquilino occasionale, Sirius. In effetti, non lo ha visto molto bene quella stessa mattina. Pallido come un morto, con la bocca impastata e una magra colazione per gli standard di un adolescente medio di diciassette anni. Va da sé che Emmeline è anche a conoscenza del fatto che Sirius è sottotono dall’inizio di quella vacanza e per quanto lui possa fare il coglione (ruolo che se si impegna, calza con una maestria assolutamente innata, soprattutto con James e Remus come spalle), non è il solito Sirius. Forse psicologicamente, ma senza ombra di dubbio fisicamente. Delle ferite che ha riportato, Emmeline sa poco o niente. Non ha chiesto molto né a lui né a Marlene. Ha dato per scontato che sapesse gestire la guarigione, vista la sua partecipazione alle vacanze di gruppo, ma poi si ritrova a pensare che magari e solo /magari/, Sirius se ne è altamente sbattuto le scatole ed era partito lo stesso. Sospira e si alza, prendendo la bacchetta e rassettando coperta e tavolo, lasciato in modo un po’ disgraziato durante la colazione. Accende anche il fuoco sotto al pentolino dell’acqua, prendendo la sua borsa con le scorte per metter insieme un infuso che possa far passare quella brutta tosse al moro. Non ha nemmeno bisogno di portargliela a letto però. Il ragazzo arriva da solo e si spalma sul divano come del formaggio fuso su una fetta di pane. Sembra passato sotto un branco di ippogrifi impazziti. Emmeline gli si avvicina, appoggiando il miele di agave sul tavolo. «Sì, sto preparando qualcosa del genere », gli dice, sedendosi sopra al bracciolo del divano. Senza avvisare ne altro, fa scivolare la mano sotto ai capelli di Sirius, sulla fronte, così da sentire la sua temperatura. « Vediamo che tipo di morbo di sei preso. Peste? Sifilide? Tubercolosi?», dice scherzando, alleviando così il clima di morte che Sirius si trascina dietro.
Sirius Sirius, al contrario di Emmeline, dorme benissimo quei giorni. Dev’essere stato capace di farlo persino da in piedi. Perché, ad esempio, che ci sia un paese cui far rifornimento, lì nei pressi di dove sono accampati, lo ignora totalmente. E questo ha dell’incredibile, perché allora come crede che passino il tempo, gli altri? Alternando bagni nel lago a scampagnate nella foresta? Non è lecito sapere. Ha la mente tanto annichilita, che si limita a registrare ciò che vede e ad incasellarlo nel suo scaffale della memoria, dando così la parvenza, a se stesso, e a chi lo circonda, di essere connesso con la realtà. Parlare con la testa tirata indietro a quel modo, comunque, gli provoca una scarica incontenibile di tosse che lo piega in due; vittima di un cruciatus. Ciocche di capelli gli dondolano sul viso, e la mano stretta a pugno, che si intravede solo, da quella zazzera scura, pare compiere lo sforzo di comprimersi su se stessa, per far sì che cessino i lavori nella sua catarrosa caverna(-cit). Sirius irrazionalmente quasi ci spera; in tal modo, oltre a risolverebbe il suo problema - a cui comincia a far seguito un attufamento generale - si farebbe anche inventore di una nuova pratica di magia curativa. Fuori delle coperte, non essendosi preparato a quella manciata di gradi di scarto, i primi brividi risalgono lungo le sue braccia. Al che, udendo solo la Corvonero camminare, perché gli occhi sono ancora adombrati dalle palpebre calanti, decide di sistemarsi meglio il pigiama e, sopratutto, di sedersi a gambe incrociate, in modo da nascondere i piedi scalzi; scatenerebbero, ne è certo, una predica di quelle degne della Evans agli albori della sua carriera di prefetto. Sirius si è sempre ritenuto fortunato a non essere stato smistato in Corvonero; Emmeline dev’essere stata mille volte peggio. « Divertente » il tono suggerisce la pensi diversamente ma la verità, messa a nudo dalla conseguente difficoltà a contrastare un’ostruzione alle vie respiratorie, è che ha avuto un moto di riso. « Nessuna delle tre, è il freddo. » Risponde così perché quest’ultimo è divenuto, nel giro di qualche minuto, protagonista indiscusso dei suoi pensieri. La mano della ragazza, a contatto della sua fronte, gli era parsa fatta di ghiaccioli. Sente, analizzando meglio le sue condizioni, lo stesso alone di morte che a sua insaputa percepisce anche la giovane; ma dentro. Lo riconduce a quando, ad Hogwarts, si è fatto attraversare da una dozzina di fantasmi al galoppo.
Emmeline Emmeline non ha studiato mai un solo libro per diventare medimaga. Le è passato per la mente, a un certo punto della sua carriera scolastica, perché è dannatamente brava con le pozioni e le erbe medicinali. Però non potrebbe mai fare il medimago, perché le persone che stanno male, per osmosi, fanno stare male anche lei. Infatti Emmeline si accorge che la tosse di Sirius somiglia a quella da bronchite, tanto è profonda. Da vicino è quasi impressionante. Poi, nota il suo rabbrividire a contatto con la sua mano e sapendo che non si tratta di un brivido di piacere – Emmeline difficilmente crederà mai di essere essere stata guardata anche una sola volta di sbieco da Sirus Black e dal canto suo, ormai, le parrebbe quasi incesto – lo cataloga come freddo. Ha la bacchetta ancora nella mano, così appella una coperta con un incanto non verbale e la appoggia sulle spalle di Sirius. Non è la sola cosa che ha notato però. Si sporge verso di lui, a pochi millimetri dalla sua faccia, coprendogli un istante la bocca con la mano per studiare i suoi occhi. E ovviamente ignora quello che ha detto, non lo ha proprio sentito concentrata come è, ma lo cataloga come del potenziale sarcasmo ‘bitchy’ e prosegue. Le arriva solamente la seconda frase, così arrotola per bene quella coperta attorno a lui, manco volesse occultarne il cadavere. Poi lo guarda un attimo. « I tuoi occhi…. Ti si stanno rompendo i capillari, hai la tosse da troppo. Per quella basterà l’infuso che ti sto preparando ora. Per la febbre dovrei avere un decotto portentoso…» Emmeline, di base, è un po’ rompicoglioni. Ma non quando è preoccupata. In quel caso, non avendo mai avuto fratelli o sorelle ed essendo sempre stata la piccolina di casa, sviluppa una sorta di sindrome della mamma chioccia. Poi ammettiamolo, Sirius fa un po’ tenerezza. Tornando indietro nel tempo, a quando al terzo anno ha assistito per la prima volta a una performance del moro durante una partita, non dagli spalti ma come titolare nel ruolo di battitore, ricorda solamente i suoi capelli neri corvini risplendere sotto la luce del sole e quello sguardo fiero… Poi un bolide di ritorno l’ha centrata precisamente in mezzo agli occhi, con una precisione da cecchino babbano, interrompendo bruscamente la storia. « Lo avresti mai detto?» , gli chiede, prendendo la borsa e sedendosi accanto a lui. È piccola, ma si sente il tintinnare di centinai di provette e boccette lì dentro. « Io, te, una tenda e un po’ di tisi» , prosegue, mentre il tono vagamente malizioso va completamente a scemare nella stupida battuta che ne consegue. A stare con loro sta diventando ugualmente scema. Afferra una boccetta piena di un liquido intenso marroncino e la appoggia accanto a sé sul divano, guardando l’altra cosa che regge nella mancina. Sembra una scatolina, dentro contiene una crema un po’ spumosa. Un prodotto dal negozio di sua madre, niente che lei sappia fare. « Dimmi, signor Black… Quando tossisci ti fa male il petto perché magari hai qualche ferita, lì sopra?» La butta sulla leggera, non dando particolare importanza a quella frase. Perché non vuole che Sirius debba necessariamente mostrarsi vulnerabile di fronte a lei. Parlandone come parlerebbe del tempo minimizza il fatto che il ragazzo è quasi morto, un mese e qualche giorno prima. Ormai è successo, ricordarlo o rimproverarlo di essere lì, in quel momento, invece di curarsi della sua salute, non sarebbe produttivo. Hanno un’intera vita per recriminarsi le cose, non è il momento di colpire basso. Però, se ha qualche ematoma o qualche taglio, magari causa di una maledizione, deve fargli male e allora va curato. Non possono continuare a curarsi con il Whiskey Incendiario, dopotutto!
Sirius Con il senno del poi, è felice di non aver mai dato adito al suo 𝑖𝑜 vizioso di infettare, anche sotto l’aspetto carnale il rapporto con la Corvonero - già di sé non equilibrato, poiché a causa di Sirius si sono avvicinati con pretesti quali: corruzione e ricatto. Di allusioni in verità ne ha lanciate, in passato; più volte si è addirittura divertito ad invadere il suo spazio personale con l’intento di suscitarle imbarazzo. Ma non è mai andato oltre. Non fa una piega quando lei cela le sue labbra ed arriva a far sfiorare le punte dei loro nasi, solo per fissarlo intensamente, ed inquietantemente, crede lui, nei bulbi oculari. Di male non ci vede nulla. Ha solo paura di dover tossire e vuole evitare di farle avere un vis a vis anche con i suoi batteri. Si tira indietro, scuotendo il capo per togliersi i capelli dalla faccia, appena crede abbia avuto tempo a sufficienza per portare a termine la sua indagine. Ed ecco che Emmeline svela ciò che era andata cercando. « Con quella bocca baci il mio amico? » riesce a scherzare malgrado la spossatezza; l’immagine dei capillari rotti lo raccapriccia. « Febbre? Merlino » si lascia andare contro lo schienale portandosi dietro la coperta - non ha avuto scelta, infagottato come si ritrova. Spera vivamente che tutte le misture di cui la ragazza sta blaterando servino a qualcosa. Ci pensa su con un velo di disperazione, mentre la guarda affranto; combattendo preventivamente con il saporaccio, garantito, cui andrà incontro. Mette sul piatto della bilancia anche le visite al bagno, inevitabili, dopo quella dieta di liquidi. È quasi tentato di darsela a gambe. Probabilmente il vero obiettivo è quello di vendicarsi degli anni passati. Cosa a cui naturalmente il Grifondoro non crede neanche lontanamente, malgrado il pensiero venutosi a formulare in automatico nella sua mente, con ironia. Difatti le è silenziosamente grato di tutte quelle premure ricevute senza neppure l’ombra di un rimprovero. « Non l’avrei mai detto, no » cosa ci possa far mai, con tutte quelle fiale che sente muoversi all’interno della borsa, Sirius se lo chiede aggrottando la fronte, ma non proferisce parola. « Potrebbe darsi. » È vago, perché il contenuto brunastro adagiato da lei sul tavolo, in una piccola ma minacciosa boccetta, teme possa avere a che spartire con la domanda. Ad esimersi totalmente dal rispondere non riesce, però; Emmeline lo ha fatto sentire coccolato ed al sicuro portandogli alla memoria episodi risalenti alla sua infanzia. E non si sente un granché vulnerabile a confermare le sue ipotesi. L’orgoglio, la fierezza, non scalpitano con lei; e va bene così. « Ma ancora non ho visto la mia “tisi” » con la testa va ad inclinarsi di lato, così da finire quasi appoggiata alla spalla di lei che, seduta li accanto, guarda con fittizio fare pretenzioso arcuando le sopracciglia. Come se le due questioni fossero state legate e lei avesse finto di ignorarlo pur di saltare, di proposito, dalla fase numero uno a quella numero due. Sfortunatamente la febbre non c'entra nulla con il suo argomentare contorto.
Emmeline Col senno di poi si è tutti saggi. Se anni fa le avessero detto che sarebbe riuscita ad entrare così tanto nella vita di Sirius Black avrebbe quasi pianto di felicità, perché per lei il loro rapporto – almeno inizialmente- è stato causa di forti frustrazioni. Non lo capiva. Ci provava, ma non lo capiva. Il suo comportamento ambiguo la lasciavano sempre stupita. Poi aveva realizzato che tutte le mosse del corvino erano probabilmente finalizzate a farsi fare i compiti. Arrivati a dove sono arrivati, non ha più uno straccio di importanza. È contenta di essere sua amica molto di più di quanto lo sarebbe stata nell’essere una sua avventura. Sirius è maturato moltissimo, soprattutto nell’ultimo anno. Ha cominciato a capirlo e decisamente possono essere sono amici. Migliori amici, magari, ma niente di più. Soprattutto da quando ha iniziato a notare sempre di più Remus, Sirius ha perso un po’ di fascino ai suoi occhi. Ora che sta ‘larveggiando’ sul divano come se dovesse morire da un momento all’altro – che drammatici gli uomini, due linee di febbre e sono ko- poi, men che mai. Però fa tenerezza. « Non lo vuoi sapere cosa faccio con questa bocca», lo incalza, a sorpresa, con le labbra leggermente piegate in una curva maliziosa. Questa è probabilmente la battuta più sporca che abbia mai detto in vita sua a qualcuno che non sia Remus. Anche lei in fondo è cambiata. Avere una relazione l’ha fatta crescere e ha buttato in un angolo quella bambina imbarazzata per qualsiasi cosa. Poi sta parlando con Sirius Black, lo ripaga di anni e anni di allusioni. Certo, magari più velate, ciò che ha detto Emmeline non è interpretabile. « Nessuno avrebbe potuto dirlo. E io e te non siamo nemmeno così sconvolgenti come Lily e James nella stessa tenda senza esplosioni..» La vita è davvero imprevedibile. Emmeline è sempre stata convinta che sarebbero finiti assieme, quei due. perché la vita avvolte imiita i libri di narrativa, dove il ragazzo spregiudicato e che non segue le regole si innamora della giovane bacchettona e si raggiunge il compromesso, crescendo assieme. Invece sono cresciuti benissimo senza bisogno di stare assieme. Lily è molto meno rigida, visto il quantitativo di regole e restrizioni hanno infranto insieme e James è meno fuori di testa. Forse anche perché Sirius è diventato più maturo. O magari il contrario. O ancora, magari, sono loro due quelli che sono cresciuti assieme. Infondo sono sempre stati come fratelli. Versa il contenuto della boccetta in un bicchiere e lo allunga con dell’acqua di sorgente, prima di appoggiarlo sul tavolo, per lasciar respirare il decotto. Sirius lo potrà bere dopo, magari prima della tisana per la tosse. Però ovviamente ha un pessimo sapore. « Ah potrebbe, eh. Se hai delle ferite o dei lividi puoi dirmelo. Facciamo un patto infrangibile così non lo dirò a nessuno» , lo prende un poco in giro, sbuffando quindi divertita. Scuote piano il capo, Emmeline, mentre guarda questa gran canaglia che ora le si è appoggiata alla spalla come un cucciolo in cerca di coccole, ma con una faccia di bronzo niente male. Il braccio della bionda va a circondargli le spalle, mentre se lo sistema contro, sfregando piano il braccio da sopra alla coperta come se volesse scaldarlo. Emmeline è una via di mezzo fra una mamma e una sorella minore eccessivamente matura. E la cosa divertente è che è così minuta e bassa, da rendere bene l’idea di quanto Sirius debba sentirsi infreddolito. S’è fatto piccolo abbastanza per essere stretto. Appoggia la guancia alla sua fronte, sentendo decisamente meglio la temperatura e sì, è caldo, ma nemmeno poi così tanto. «Secondo me hai preso solo un po’ freddo » , sussurra pensierosa, continuando a passare la mano sul suo braccio, come se temesse di disturbarlo. « Con un giorno di riposo, ti riprenderai già. Ma non dovresti strafare…» Gli lascia un bacio sulla fronte, prima di appoggiare il capo al suo, guardando verso il tavolino. « Non pretendere troppo da te stesso, Sirius. Lo fai spesso, ma non dovresti. »
Sirius Ridacchia. Pensa sempre con nostalgia ai tempi in cui il migliore amico aveva occhi solo per la rossa. La sua amicizia - se così poteva definirsi - con Petunia, è nata grazie a questa ossessione. Non avrebbe mai spedito una lettere alla Evans, durante l’estate del primo, se James non avesse passato l'anno a sbavare dietro la ragazzina. Come sono passati dal farsi gli occhioni dolci, al non potersi più vedere, al riuscire a stare sotto lo stesso tetto senza uccidersi, per Sirius è un mistero che non va approfondito. Rimanere in superficie è alla base di una vita serena. Chi scende in profondità ha tempo da perdere, ed è vittima dell’ennesimo luogo comune che vede l’uomo, e la sua interiorità, al centro di un universo del quale è forse materia più insignificante. « Se » quasi la vede andare a spifferare tutto a Marlene. Non dubita della fedeltà della Corvonero. Le affiderebbe la sua stessa vita. Proprio per questo però, metterla al corrente circa le sue ferite, non equivarrebbe propriamente al passare quei giorni di vacanza in tranquillità. Anche mettendo caso stesse sbagliando, a dare per scontato che farebbe comunella con la McKinnon, lei gli darebbe comunque il tormento, da sola. Così come faceva l’altra, da che lui l’aveva raggiunti. Quindi Sirius si ritroverebbe a dar retta a due campane che suonano la stessa canzone. E no grazie. Con ogni filo che tira riesce a recargli giovamento. Lui, che schivava i baci dei parenti come schiantesimi, rimane a farsi cullare dalla Vance senza ritegno. Un po' di disagio lo prova ma è nulla confronto al sollievo. Sicché tutte le noie intangibili che solcano la sua zona t, neppure si spreca di contemplarle. Solo di una ne sfiora il peso: Marlene, pensa, dev'essere più comoda. Ad occhio e croce. « -questo non è mai successo. » « Mmmh » ci sente ovattato. Corresponsabili: la febbre; le carezze; il senso di protezione e la voce calma, rilassante, della ragazza. « Si colpa del freddo » asseconda. Ha la forza di fare solo questo; e poi, a svalutare i suoi malanni è bravo. Farebbe passare un emorragia per una piccola perdita di sangue. Gli occhi li ha chiusi “un attimo”, di non ricorda più quanti attimi fa; per parlare con l’amica non gli sarebbe servito tenerli aperti; tantomeno per ingurgitare questa o quell’altra pozione; erano tutte attività designate alla bocca - sudice tanto quanto quelle con cui si dilettava Emmeline delle quali, aveva ben suppost, Sirius non volesse saper nulla. Ed è stato letteralmente un lanciarsi tra le braccia di hypnos. Le dolci parole premurose di lei le recepisce; vanno a conciliare il suo sonno. Ma per rispondere è troppo tardi.
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Alysia 𝚊𝚗𝚍 𝑺𝒊𝒓𝒊𝒖𝒔.
 [﹙  #ᴀʀᴇsᴛᴏᴍᴏᴍᴇɴᴛᴜᴍ ﹚]
                   ₀₁ sᴇᴛᴛᴇᴍʙʀᴇ ₁₉₇₇                 ↷   #002  𝗍𝗁𝖾𝗌𝗍𝗋𝖺𝗅.   Sceso dal treno, allontanatosi da Jemma e Peter, con i quali aveva condiviso il viaggio, Sirius intraprese una salita solitaria, nel mezzo della quale, a ciascun saluto ricevuto dai compagni ritrovati, rispose sollevando il capo; illuminato di un fugace sorriso.
La divisa nuova fiammante, a fare la sua figura persino nella penombra di quella sera velata di malinconia, frusciava al ritmo del suo passo. E quando, in vista delle carrozze, lui si arrestò, lo stesso fece il dolce rumore di sottofondo che l'aveva accompagnato. Aveva creduto, con lugubre lungimiranza, che per quell'anno avrebbe visto i thestral anche lui, trainare i carri. L'attacco alla stazione doveva averlo segnato anche sotto quell'aspetto. L'aveva dato per scontato, eppure...
Spinto da un bisogno a cui non seppe dar ragione, vi si avvicinò con l'intento di toccarli. Era, in un certo senso, felice di non riuscire a vederli; ma non riusciva a compiacersene. Perché che alla stazione vi fossero state delle morti, era un dato di fatto. Dunque che lui non le avesse viste con i propri occhi, lo faceva sentire colpevole; colpevole di non aver onorato quelle persone; i suoi compagni; le loro famiglie. Alla cieca, dunque, solo supponendo dove potesse trovarsi il ruvido fianco, tese una mano. Quel che percepì fu uno scatto, non troppo felice, da parte dell'animale. Si ritrasse immediatamente.   « Errore mio. »
Alysia *Alysia aveva lasciato cadere le cose nella carrozza, mantello, borsa, bagaglio, lei era tornata ad Hogwarts solo per loro, quella non era la sua casa, non lo era mai stata, quel castello erano solo quattro mura dove dormire. Aveva sempre saputo che la sua vita sarebbe stata migliore tra le creature e non tra gli umani, così subdoli, cattivi, pazzi, avevano ucciso in quella stazione, avevano ferito, avevano torturato e lei era finita tra i fasci luminosi, era stata manipolata, aveva fatto parte di chi aveva gridato sentendo una mano mescolare i suoi ricordi ed il corpo trafitto da lame che entravano una ad una in un corpo così delicato. Se chiudeva gli occhi lo sguardo di Lestrange era ancora lì, pieno di odio, di pieno di divertimento* Piano *Disse aprendo gli occhi, staccandosi da quel ricordo, guardando Sirius che aveva tentato di accarezzare il thestral, che aveva provocato un movimento stizzito dell'animale e quindi il suo ritorno alla realtà* Non ti conosce, tu non lo vedi, non è facile, non è nemmeno abituato a questo *Disse la ragazza accarezzando il muso, la fronte appoggiata contro il muso del cavallo, gli occhi chiusi in cerca di un appiglio, ma in realtà di appigli non ne aveva molti* Sei fortunato Sirius, non puoi vederli, vorrei non poterli vedere nemmeno io, sono miei amici, sono l'unica ragione per cui torno a scuola, ma vorrei veramente non vederli, veder morire qualcuno ti cambia dentro, ti distorce, non in meglio alle volte *Alzò la fronte dal muso del thestral e guardò Sirius, la mano ancora sul muso* Vuoi veramente accarezzarlo? Ti posso aiutare, non è difficile, devi solo essere convinto dei tuoi movimenti, non devi mostrare paura, terrore, orrore, lo sentono *Alysia si spostò appena e gli porse la mano, aspettando con pazienza che lui la prendesse, si avvicinasse e si lasciasse guidare da lei*
Sirius Essere ripreso tendenzialmente non gli piaceva; meno che mai se chi formulava il rimprovero aveva la ragione dalla sua. Sirius era un ragazzo intelligente. Sapeva di star commettendo un errore prima ancora di andarci a sbattere la testa contro. Indi per cui, sbattuta la testa, del coltello nella piaga, impugnato da chicchessia di passaggio, ne faceva volentieri a meno. 
Il manico in questione lo teneva Alysia, questa volta. Sua coetanea.  I due ragazzi non avevano trascorsi memorabili alle spalle. Erano due persone che non si disprezzavano ma che neppure si cercavano. Conoscenti; quasi amici, per come la vedeva lui. Avrebbe sottolineato il quasi dopo quella sera.  « Come sai che non lo vedo? » era tanto evidente il fatto che non vedesse? Ironico. 
Sulla fortuna non poté darle torto. Ma come detto, le sue emozioni a riguardo erano disparate e prevaleva un irrazionale senso di colpa verso i caduti. L’aver visto la morte era nulla, in confronto a loro che l’avevano sperimentata. E a lui neppure quello era toccato.  Per chi già disprezza se stesso per essere nato privilegiato, era dura da digerire.  « Non fa niente non è questo che » s’interruppe. Ormai c’era, tanto valeva allungare la mano. Combatté contro un piccolo senso di inadeguatezza e infine affiancò le sue dita a quelle di lei; sfiorandole.  Gli era parsa un’esperta, prima. Con la testa appoggiata a quello che Sirius aveva identificato essere il muso dell’animale - ma che non aveva visto che come vuoto. Un po’ strana, ma esperta. Dunque le si affidò. 
Alysia *Alysia sorrise, un sorriso morbido, gli occhi anche sorridevano, chiari e luminosi in quella luce flebile, coperta dalle nuvole inglesi, piatte e leggere, nessuna discrepanza tra l'una e l'altra, il solito cielo glaciale* Vivo con loro da quando è morto mio padre, all'incirca dodici anni, so benissimo chi riesce a vederlo e chi no, non è difficile, c'è chi riesce a tenerlo nascosto, ma quando avvicinate la mano siete tutti così tesi, perché non li vedete, perché non sapete dove portare la mano, perché avete paura di infastidirli, ma in realtà non gli date fastidio, perché vogliono solo essere visti, essere notati, essere considerati, è terr- *Alysia si interruppe sentendo la mano del ragazzo sfiorare le sue dita fredde, rimanendo in silenzio. La strega di riflesso accarezzò la mano del moro, una carezza leggera sul dorso della mano, che fece terminare con una presa leggera sul polso, ma non voleva essere brusca, non voleva essere ciò che non era e non voleva che quella carezza sembrasse qualcosa che non era o che forse non voleva fosse qualcosa che poteva essere* Non essere teso, lui lo sente, devi fare piano, devi essere calmo, lascia che ti guidi io, sii sicuro di te stesso *Disse a bassa voce, così che lo potesse sentire solo lui, lui era più alto di lei, non sapeva nemmeno se l'avesse sentito. La mano della strega stava sul muso del thestral ad accarezzarlo e l'altra invece portava, con estrema delicatezza, la mano di Sirius*
Sirius Toccato il Thestral, lasciò a malapena che la sua mano sfiorasse il manto, prima di tirarsi indietro. Non ebbe voglia di soffermarsi ad analizzare le sue emozioni, quello sarebbe stato un problema per il Sirius del futuro. Quello che più tardi si sarebbe infilato sotto le coperte scarlatte del suo lettone, nel dormitorio di Grifondoro. Il Sirius del presente invece, la sua parte l’aveva fatta agendo istintivamente, decidendo di entrare in contatto con l’animale, con l’aiuto della Tassorosso. Se preferì non immergersi in un’analisi introspettiva fu anche perché la compagna dapprima lo sorprese con il racconto sul padre, di seguito lo perplesse con quel modo stralunato di carezzargli e cingergli il polso, e infine lo lasciò totalmente interdetto con un bisbigliare non pervenuto integro alle sue orecchie. Lui, che era stato intento a percepire con ogni centimetro del suo palmo l’immagine che il thestral aveva avuto da offrirgli, aveva registrato solo passivamente tutto quel che era provenuto da quest’ultima. Discostandosi anche del suo tocco, Sirius distolse lo sguardo dal vuoto sentiero - visibile a lui in virtù dell’invisibilità degli animali - per posarlo su Alysia. Infilò le mani nelle tasche del mantello.« Non sapevo di tuo padre, mi dispiace… » studenti nelle altre carrozze stavano partendo tutti intorno a loro. Erano rimasti quasi ultimi. Pensò fosse meglio muoversi anche loro; le fece cenno di spostarsi e di salire sulla carrozza. 
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ᴍᴇᴍᴇs ﹠ ʜᴇᴀᴅᴄᴀɴᴏɴs ›› 𝐅𝐈𝐑𝐒𝐓 𝐌𝐄𝐄𝐓    🚬 ❪ il tuo personaggio chiede al mio se ha una sigaretta. ❫ #ᴡᴀɪʀᴘɢLa struttura scolastica di cui è il nuovo docente – l’ultimo arrivato, mai che vinca un premio- è, beh. Una scuola. Invero, non saprebbe decidere gli piace o meno così come non sa decidere se la rosellina nera che ha cucito sul bavero della giacca lunga decisamente fuori stagione sia o meno eccessivo. Non sa nemmeno decidere sa ha fame, però. Una bella problematica, visto che la pausa pranzo non è poi così lunga, ma essendo anche /non corta/ pone un problema filosofico non da poco. La traslazione del tempo. Troppo o troppo poco? Sarebbe un bel guaio se iniziasse a mangiare e poi avesse così tanto tempo a disposizione da farsi venir voglia, per esempio, di un dolce. Ma se poi invece non avesse il tempo per suddetto dolce?Poco importa, non si è portato niente da casa e la caffetteria è dalla parte opposta rispetto al suo ufficio.Si sta ancora ambientando, Kyllian. Gli piacciono già gli studenti, i pochi che ha conosciuto. Gli piace il luogo, davvero meraviglioso. C’è come della magia nell’aria, è portentoso. Sorride, guardando oltre una finestra, come le mani piantate nelle tasche della giacca e la voglia ineluttabile di andare a casa a prendere quel sacchettino pieno di infuso di tea che si era preparato quella mattina, ma che poi ha inevitabilmente dimenticato. Un classico. Intramontabile.Sta vagliando la possibilità di attraversare la strada per una focaccina nel bar che vede aldilà della finestra – e sa calcolando i metri che differenziano questo percorso rispetto a quelli della caffetteria, ignorandola la variabile ‘scale’ e prendendo solo la distanza fisica, quando sente una porta aprirsi. La consulente scolastica, sì. Gliel’hanno vagamente presentata la mattina del suo arrivo, ma lui soffre di problemi di attenzione e sino ad oggi non ha considerato molto bene la possibità di scambiare con lei qualche parola. Le sorride, gioviale, quando gli passa accanto.« Buongiorno, Mr Thompson. Ha per caso una sigaretta?», chiede, dimostrandosi così tanto gentile quanto omologato ai classici cliché fra dipendenti della medesima struttura. Il fatto che non fuma e che quindi poi, in caso di riscontro positivo, dovrà declinare la sigaretta, se lo porrà fra qualche secondo.
Villanelle Villanelle non fuma. No che non fuma. Come potrebbe? Le sigarette fanno ingiallire i denti; danneggiano i polmoni, la pelle, la salute in generale; impregnano i vestiti di nicotina - oltre che di un odore a dir poco sgradevole… quindi no, non fuma. È possibile che la sua opinione in merito al fumare abbia a che spartire con Elinor, più che con la psicologa di Mykonos dal nome impronunciabile. Era stata una regina, a Wonderland. Imprenscindibile, giusta, dedita alle regole e spregiatrice di ogni vizio. Quello stesso sangue scorreva ancora nelle sue vene. « Buongiorno Kyllian » gli da del tu perché si sono già presentati, e trova che, per una donna, dare del lei ad un uomo, a meno che questo non sia un suo datore di lavoro o visibilmente più anziano, equivalga a sminuirsi. L’uomo in realtà le è simpatico, per quel poco che lo ha conosciuto. Gli avrebbe dato tranquillamente del lei senza provare la solita spiacevole sensazione di sottomissione - anche questo, a pensarci: sicuramente un grazioso lascito del suo passato - ma le regole son regole. Soprattutto quelle che imponiamo a noi stessi. Dal momento che del fumo ha l’opinione tutt’altro che positiva espressa sopra, il nuovo insegnante di italiano la mette in imbarazzo. Non il tipo di imbarazzo che fa arrossire la scolaretta alle prime armi; l’imbarazzo di una donna che si ritrova a dover dare un no come risposta, seguito da una sottospecie di predica che si risparmierebbe volentieri, giacché non ha nulla contro il signor Sanders. È solo una questione di principio. « No mi spiace » e lo è, dispiaciuta « non fumo. » « E non dovrebbe neanche lei, qui a scuola. I ragazzi sono molto influenzabili. » ( https://imgur.com/7Q1hcYP ) 
La predica non arriva con eccessivo biasimo. Il lavoro spetta tutto al linguaggio del corpo; al tono si è adeguata abilmente a quello ridente del collega. L’occhio, in quella pausa, le cade sulla rosellina nera e poi sulla giacca lunga. Una scelta davvero… bizzarra, visto il clima. Storce il naso. 
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╱   𝐃𝐈𝐗𝐎𝐍'𝐒 𝐇𝐎𝐔𝐒𝐄.        ╰【 #ᴀʀᴇsᴛᴏᴍᴏᴍᴇɴᴛᴜᴍ 】
           𝐶𝑜𝑟𝑛𝑖𝑒  ╱   𝟣6 𝗇𝗈𝗏𝖾𝗆𝖻𝗋𝖾 𝟣𝟫𝟩𝟩            𝓡 𝒂 𝒈 𝒏 𝒂 𝒓 and 𝓜 𝒆 𝒍 𝒂 𝒏 𝒊 𝒂.                   —     #004   
       Sveglia nel cuore della notte, Melania si precipitò giù in cucina, dove prese carta e penna - ringraziando il cielo il suo patrigno aveva riempito casa di utensili babbani /decisamente/ più pratici di quelli dei maghi - e, alla rinfusa, scrisse l'indirizzo di Ragnar ed un: '' VIENI TI PREGO, È UN'EMERGENZA. '' Sperò fosse abbastanza intelligente da capire di dover andare all'indirizzo del mittente, ovvero il suo, ma comunque preferì scriverlo anche nel corpo della lettera, prima di legarla alla zampetta della civetta di famiglia.
       Era un'emergenza, quella, perché la sua puffskein rotolava e dava capocciate alla parete da almeno un'ora. Per questo si era svegliata. E quando aveva provato a prenderla per fermarla/lo - ancora non aveva idea di che sesso fosse - era schizzata in aria a mo' di pallina da ping pong; cosa che stava continuando a fare e che l'aveva fatta agitare ulteriormente. Ma dove andare nel mezzo di sabato notte? A chi chiedere?
       Ragnar, l'uomo che aveva conosciuto per errore, l'uomo che aveva provato a scusarsi, l'uomo che si era anche ritrovata a lavoro, per un giorno... lui non era forse un esperto di creature magiche? E il suo indirizzo lei ce l'aveva, perché le aveva mandato una lettera - a cui lei non aveva mai risposto ma che aveva tenuto. Certo non si erano lasciati benissimo, l'ultima volta. Lei era tornata a scrivere il suo articolo, dal momento che non aveva trovato il modo di dire altro... ma non importava.
       Avrebbe aspettato la mattina dopo, in passato. Razionalizzando il tutto, avrebbe provato a porvi rimedio da sola, e, qualora non fosse riuscita, si sarebbe recata al Serraglio Stregato all'orario d'apertura. Ma Melania aveva di recente perso il gufo che l'aveva accompagnata nei suoi anni ad Hogwarts, non riuscì ad essere lucida. Oltretutto quello era un periodo no; sua madre, tornati dal viaggio, era stata male, e lo stesso Silver, difatti si trovavano entrambi al San Mungo.
Ragnar Il suo era stato un sabato sera molto tranquillo: qualche amico a casa che ormai era andato via un pezzo, le birre vuote sopra il tavolino da caffè nel soggiorno, e i cartoni vuoti della pizza abbandonati senza cura sul ripiano della cucina. Aveva provato ad andare a dormire, come chiunque dovrebbe fare alle tre di notte, ma proprio non ci era riuscito, nonostante il piacevole calore delle coperte e il calmo respiro di Vinter accoccolato ai piedi del materasso. Suonava il pianoforte, Ragnar. Un leggero movimento di bacchetta, e la casa era diventata completamente insonorizzata. Il suono dello strumento aveva sempre avuto il potere di rilassarlo, e forse dopo una sonata di Chopin sarebbe finalmente riuscito a cadere tra le braccia di Morfeo. Preso com'era, non si era minimamente accorto del leggero ticchettio del becco della civetta contro il vetro della finestra chiusa. Fortunatamente Vinter, forse per proteggere il territorio da quell'animale a lui sconosciuto, o per chissà quale motivo, aveva preso ad abbaiare, attirando su di se l'attenzione del padrone. Sbuffando, Ragnar si alzò dallo sgabello, ed andò verso la finestra. La spalancò e osservò l'uccello posarsi sulla spalliera del divano. Delicatamente, sfilò la lettera dalla sua zampa. « Cazzo » disse mentre si affrettava nella sua camera da letto e, nel minor tempo possibile si infilava di nuovo i pantaloni e la maglietta che aveva abbandonato qualche ora prima su una sedia, su cui ormai alloggiava metà del suo armadio. Prese al volo la sua giacca e si chiuse la porta alle spalle, prima di correre lungo il piccolo vialetto in ciottoli del giardino, diretto alla sua moto che lo aspettava fedelmente parcheggiata davanti all'ingresso. Fermo sulla soglia dell'indirizzo scritto sulla lettera, posò il dito sul campanello, dopo qualche minuto di indecisione, non sapendo se farlo squillare oppure no. https://i.pinimg.com/.../b7c60f5bf8a1383fb8e1158f9b493647... 
Melania `        Melania abitava nel villaggio magico che sorgeva sul confine dell’Inghilterra con la Scozia. La casa a tre piani spioveva dall’altura di una collinetta ed era circondata da una staccionata in legno di betulla. Ogni singolo pezzo, di questa, era stato intrinseco di magia difensiva dacché la minaccia di Voldemort era scesa a serpeggiare nella comunità magica inglese; di un tipo di incanto non comune ma tramandato da generazioni nella sua famiglia. Subito dopo aver lasciato partire il gufo aveva dovuto aprire un varco nello scudo difensivo. Le era stato sufficiente rimuovere uno dei paletti tra uno steccato e l’altro.        Sebbene avesse cercato aiuto in Ragnar, non aveva creduto seriamente che sarebbe accorso. Ragion per cui, titubante sul lasciar solo Cornie, era comunque uscita a bussare alle porte dei vicini. È al freddo e circondata da un’oscurità rotta dai lampioncini, che sentì il rombo di una moto. Naturalmente non poté dire d’averlo riconosciuto - sarebbe stato impossibile. Ma chi altri poteva essere a quell'ora? Fortuna che alle difese aveva già provveduto, o Ragnar alla porta ci sarebbe arrivato a gambe all'aria, con uno schianto brutale. Lo raggiunse correndo.        « Sono qui! » esalò, giunta finalmente in cima. « Scusa, ho provato- nel vicinato magari- » sconclusionata tentò di spiegare perché avesse dovuto attendere quei dieci minuti alla porta, vedendosela poi comparire alle spalle. Quando gli fu di fianco tirò una grossa folata di vento che la costrinse a sollevare le spalle e a ritirare la testa dentro il cappotto; aveva i capelli acconciati in dei dreadlocks sottili, tirati su in una sorta di chignon che le lasciava scoperto il collo. Immediatamente dopo, facendo da parte l’uomo semplicemente avanzando, aprì la porta ed entrò, facendogli segno di seguirla. « Grazie per essere venuto » si strinse le braccia al petto, fremendo sul posto; ansiosa si rimandare i convenevoli a dopo. Aveva trattenuto le lacrime fino a quel momento ma farlo parlando era più difficile. https://66.media.tumblr.com/.../tumblr...
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⋰             𝗦𝗢𝗣𝗛𝗜𝗘  +  𝗣𝗛𝗢𝗘𝗕𝗘                /  rapunzel - alice  #001                ▎ ₀₅ . ₁₁ . ₂₀₁₉             l i c e o d i m y k o n o s            (      #WAIrpg       )   Affascinata da tutto - poiché la fiaba dalla quale il sortilegio l'aveva strappata, così l'aveva designata - Sophie era rimasta incantata dalla stramberia di Phoebe Hope, quando, anni prima, si erano trovate a girare per gli stessi corridoi; essendo, la scuola, divisa tra medie e superiori. Molto più piccola di lei, in realtà, non è che si fossero parlate chissà quanto. Quasi affatto, per dirla tutta. Ma la giovane donna dai capelli dorati aveva sempre desiderato approfondire una conoscenza; quantomeno per farsi due risate.
Impressa, le era rimasta la seguente frase: « ma tu lo sai che le lumache hanno quattro nasi e i cammelli hanno tre sopracciglia? » La domanda le era stata posta un pomeriggio lontano dai giorni nostri, e la maggiore non era riuscita a rispondere poiché, quando era stata sul punto di proferir parola, il bidello l'aveva incitata a tornarsene in classe.
Di Phoebe comunque Sophie, ormai, si era del tutto dimenticata; la sua vita da adulta l'aveva irrimediabilmente allontanata da quello che era stato il suo passato studentesco. E probabilmente non l'avrebbe riconosciuta, quel giorno, tanto era cambiata, se la ragazza non le avesse riproposto lo stesso quesito di tanti anni prima. « Eh? Oddio ma sei tu! » Tu, perché il nome le era sempre sfuggito.
Phoebe 𝑳a selezione naturale era da sempre stato uno dei suoi argomenti preferiti, è il meccanismo che determina l'evoluzione delle specie, che determina un progressivo aumento dei soggetti dotati di caratteristiche ottimali per l'adattamento all'ambiente in cui vivono. Come le giraffe e il loro collo che divenne sempre più lungo permettendogli di raggiungere più facilmente le foglie di alberi alti, e le lumache che possiedono quattro, addirittura quattro nasi! Due per annusare e due per respirare, pur essendo tanto piccole, o addirittura i cammelli che possiedono tre sopracciglia per proteggere i propri occhi durante le tempeste di sabbia. Ma allora l'uomo in che modo si è evoluto? Era una domanda che le sorgeva spontanea, e le passò in mente proprio nel momento durante il quale posò gli occhi su una giovane ragazza, poco più grande di lei; possedeva dei lunghi capelli biondi e sembrava essere particolarmente spensierata, allegra e... impacciata. Forse era questo che ci distingueva dagli altri animali, l'essere unici, pensanti e con desideri e sentimenti. Solo qualche anno più tardi, per caso o per fato, riincontrò la stessa giovane donna dai capelli dorati e ricordandosi di tali pensieri le porse la stessa domanda, la quale fece accendere in lei il ricordo. Si era ricordata di lei! « 𝖮𝖽𝖽𝗂𝗈, 𝗌𝗈𝗇𝗈 𝗂𝗈. 𝖤 𝗍𝗎? 𝖳𝗎 𝗌𝖾𝗂 𝗍𝗎! 𝖠𝗅𝗅𝗈𝗋𝖺, 𝗅𝗈 𝗌𝖺𝗉𝖾𝗏𝗂 𝖼𝗁𝖾 𝗅𝖾 𝗅𝗎𝗆𝖺𝖼𝗁𝖾 𝗁𝖺𝗇𝗇𝗈 𝗊𝗎𝖺𝗍𝗍𝗋𝗈 𝗇𝖺𝗌𝗂 𝖾 𝗂 𝖼𝖺𝗆𝗆𝖾𝗅𝗅𝗂 𝗁𝖺𝗇𝗇𝗈 𝗍𝗋𝖾 𝗌𝗈𝗉𝗋𝖺𝖼𝖼𝗂𝗀𝗅𝗂𝖺? »
Sophie « Proprio non lo sapevo » ammise. Sapeva però - il suo docente di filosofia aveva insistito molto sull'argomento - che la selezione naturale, per come la intendono i più, è un mito pari a quello di Adamo ed Eva. All'epoca, l'aveva indispettita venirne a conoscenza. Da atea, rappresentava una delle sue più forti convinzioni; e non piace a nessuno essere privati di ciò in cui si crede. Fortunatamente non aveva idea fosse uno degli argomenti preferiti dalla ragazza. Altrimenti, pur non conoscendola, avrebbe perso ore di sonno chiedendosi se fosse, o meno, il caso di dirle quanto, in realtà, marginale fosse il meccanismo di selezione naturale al fine della creazione delle specie. « Che ci fanno, con quattro nasi, le lumache? » dei cammelli scelse che le interessava meno; sbrigativamente; un po' come quella mattina, quando nel mezzo di una telefonata aveva deciso che avrebbe sfruttato la pausa pranzo per andare al suo vecchio liceo a recuperare i suoi lavori di disegno. Erano anni che rimandava! « Tu invece lo sapevi che dovresti essere in classe? » Scherzò, naturalmente. Lei per prima era stata solita approfittare del bagno per girovagare nei corridoi.
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