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#la luna nel cuore la notte nel sangue
lucreziabeha · 5 months
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Se devi misurare le parole perchè le intenzioni vengono fraintese non è amicizia.
Lucrezia Beha
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Cuore che sanguina
Lamenti circa la mia impossibilità di vivere a pieno a causa delle emozioni basse, che mi tengono, con pesanti catene di piombo, relegato a una vita incompleta.
Purtroppo il mio cuore sanguina. Sanguina perché non riesce a tenere alti ritmi di vita, quello che veramente voglio non riesco a ottenerlo a causa di questo maledetto cuore che mi fa male. Un dolore al petto che mi impedisce, mi blocca e mi tarpa le ali. Come se fosse malato, come se questa vita non va vissuta come meriterebbe. Ciò che veramente mi importa mi viene impedito di realizzarlo a causa di questo cuore gonfio che mi blocca il cervello, io che della scioltezza ho donato tutte le mie fatiche. Bloccato, impedito e depresso, vivo spesso con un cuore che sanguina, incapace di volare.
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Cap .5 : Cuore spezzato
Nessuno si avvicini ad un cuore che è stato spezzato , aperto a cui sono stati tolti i colori della vita , le emozioni e i sentimenti , senza il privilegio di aver sofferto lo stesso o quasi dolore .
Nessuno osi a lui avvicinarsi . Si chiama Rispetto per le persone che ogni giorno lottano per arrivare a fine giornata .
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Questa frase non si discute . Credo tutto la prendono così.
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kon-igi · 6 months
Note
Ma fammi capire perchè tieni così tanto ai tuoi cani?
Una notte ero fuori con loro, nel bosco.
La luce della luna filtrava appena tra i rami, quando a un certo punto mi accorgo che entrambi si sono immobilizzati e puntano una macchia di vegetazione fitta, ringhiando sommessamente.
Improvvisamente i rami si schiantano e un orso bruno si avventa su di me, coprendo i pochi metri che ci separavano a una velocità tale da non lasciarmi scampo.
L'orso alza una zampa dagi artigli lunghissimi e io ho solo il tempo di chiudere gli occhi e sussurrare un ringraziamento a Crom per la lunga vita concessami.
Un ruggito di dolore.
Otto è appeso all'enorme zampa dell'orso e ne sta dilaniando muscoli e i tendini, scuotendosi nell'aria col suo corpo minuscolo e sventagliando sangue attorno.
L'orso lo azzanna sulla schiena, uno scricchiolio d'ossa ma Otto non molla la presa.
E a quel punto Cthulhu spicca un balzo e affonda i denti nella gola scoperta dell'orso, che ruggisce di dolore e schizza bava sanguinolenta.
Otto ha la schiena spezzata e Cthulhu l'addome lacerato dalle unghiate ma tutti e due continuano a mordere le carni della bestia.
Ho solo questa occasione.
La punta in bronzo seghettato della lancia che affondo con furia attraversa la folta pelliccia e penetra nel petto dell'orso, spaccandogli il cuore in due e facendolo crollare a terra.
Otto e Cthulhu uggiolano, entrambi accasciati a terra coperti di sangue, l'uno accanto all'altra ma mi rendo conto che con le loro ultime forze stanno scodinzolando gioiosamente come per dire 'Hai visto? Ce l'abbiamo fatta!'
Lascio cadere la lancia e mi inginocchio accanto a loro.
Con le mani gli accarezzo delicatamente il muso e poi appoggiando la fronte sui loro nasi sussurro 'Finché sarete con me nessuno vi farà mai più del male...'
E l'attimo dopo non ci sono più.
Ecco... tredicimila anni dopo intendo continuare a mantenere questa mia promessa.
Nessuno farà mai più loro del male.
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missfreija · 7 months
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title: /// (mi rifiuto di dare un titolo lol)
fandom: vampire chronicles
pairing: armand/marius
romance, fluff, venice era
Il pennello intinto di nero scorreva veloce nello spazio della tela, stretto tra le dita sottili di Marius che, in piedi tra le pieghe del suo abito ampio, dipingeva la fine dell'umanità per mano del Dio cristiano. Le sue labbra si increspavano in un guizzo di nervosismo, mentre gli occhi, ombreggiati dai capelli biondi, gli conferivano un’ espressione assorta. Tra le mura del palazzo echeggiò un lontano rimbombo di passi. “Maestro, non dovrebbe affaticarsi troppo, è da più di una settimana che non stacca le mani da quel lavoro.” Gli occhi pensosi erano mutati in pozze colme di beatitudine non appena il giovane umano dai capelli ambrati ebbe varcato la soglia. “Dovresti sapere che non ti è permesso entrare in questa stanza senza il mio consenso, Amedeo" mormoró il vampiro, accennando un lieve sorriso indulgente. Amedeo si avvicinò alla composizione con curiosità, mentre Marius si accingeva a riprendere la sua meravigliosa opera, dopo aver ripulito frettolosamente le macchie di pittura disseminate sul pallido braccio. “Che concetto si cela alla base della vostra nuova creazione?” domandò il giovane. “È scaturito da un mio sogno.” Precisò. “Devi sapere, Amedeo, che ciò che per gli umani pare molto tempo, dal calar del sole al sorger della luna, per una qualsiasi divinità equivale a meno di un secondo. Così, il sole si abbassa sulla terra sfumando di rosa aranciato il cielo e le nuvole per poi scomparire, lasciando il palcoscenico alla luna ed accendendo le costellazioni davanti agli occhi di Dio. Rifulgono i bianchi marmi dei templi nella notte, colonne scanalate dai capitelli fioriti d'acanto sostengono fregi rappresentanti imprese eroiche e miti del passato. Bassorilievi muti fissano le tenebre della terra sovrastate dalle splendenti stelle accompagnate dal chiaro volto di Proserpina. E un soffio da oriente, vento ormai debole, adagia una corona intrecciata di fiori, in via di appassire, sulla gradinata di fronte all'alta ed imponente statua del Cristo. Io mi trovavo in questo scenario e piangevo, come morte, persone ancora in vita, guardando l'oro delle nuove città bagnarsi del sangue causato dalle guerre e i cadaveri dei morti venir risucchiati nel regno degli inferi, ove si nasconde il più profondo male dell'uomo, nutrimento demoniaco o forma del demonio stesso. Mi trovavo, in questa illusoria macchinazione febbrile, proprio nel cuore della strage, dove gli arcangeli sterminavano le creazioni dell’umanità. Desideravo scomparire, chiudere gli occhi e tornare a dipingere: illuminare il cielo nella raffigurazione per cancellare la notte che tentava invano di rammentarmi tele e dipinti passati, mai dimenticati nel mio cuore.” Il signore del palazzo veneziano sorrise amaramente, posò il pennello e premette una mano sulla schiena di Amedeo, attonito, in un invito a precederlo. Si avviarono lungo un buio porticato che si affacciava sul cortile. Gocce di pittura nera rigavano i volti di cento angeli nel cielo al tramonto.
Marius entrò nella stanza e i suoi occhi non ebbero bisogno di attendere qualche istante per abituarsi alla nuova atmosfera dalla scarsa luminosità. Il tenue bagliore sprigionato dalle poche candele sul tavolo era più che sufficiente per illuminare il suo mondo circostante. Pian piano andò notando la radiosa ed armoniosa figura che rimaneva semi sdraiata sull'ampio letto dai cuscini di prezioso velluto. Era abbastanza longilinea e sorrideva verso il vampiro, il ritratto della paziente attesa. La pelle chiara rifletteva la luce soffusa delle candele che sprigionavano profumi delicati di spezie e di sandalo, le gambe distese sui soffici cuscini erano leggermente piegate per dare una postura eretta al bacino. Marius mosse un passo verso l'oggetto del suo desiderio. Un sottile velo di seta, che copriva le spalle del giovane ucraino, era scivolato lentamente di lato nascondendo in parte i capezzoli che risaltavano più scuri nella sua trasparenza. Un braccio in tensione, il sinistro, reggeva il busto affondando la mano tra i cuscini mentre l'altro si scaricava rilassato su di un fianco mostrando l'avambraccio. Il giovane portava al dito un onice di piccole dimensioni. Lo sguardo limpido di Amedeo pareva ebbro di gioia, le sue palpebre inondate di una misteriosa polvere dorata che scuriva il contorno dell' occhio dando un' apparenza di intensa profondità. Le mani statuarie sul suo bacino fecero perdere l'equilibrio a quella postura precaria; il suo corpo si distese sui cuscini e la pelle fremette a quel contatto, bramando una connessione più penetrante e appagante. Il capo era reclinato sulla spalla sinistra, gli occhi ora semichiusi e ombreggiati dalle ciglia scure. ''Siete finalmente tornato, Maestro'' mormorò il cherubino. Quell'amore rendeva completa e significativa tutta la sua esistenza di giovane ragazzo umano, e Marius in qualche modo lo sapeva. Posó baci morbidi come petali sulle gote e sui capelli di Amedeo, con immensa gentilezza mentre il giovane si metteva a sedere e reclinava il capo in avanti per accogliere quel gesto, lottando contro le lacrime che minacciavano di rigargli le guance e contro l'emozione che gli serrava la gola. Le sue mani cercarono il petto ricoperto dalla tunica di Marius. Era troppo forte il desiderio di far scorrere le labbra sulla pelle marmorea del suo signore, in una scia di baci adoranti. Le labbra rosee si socchiusero in un respiro più profondo degli altri; il giovane alzò la testa con un movimento quasi felino, trascinante, e incontrò lo sguardo di Marius. Le iridi brune simili a granato parevano celare arcani antichi ed impenetrabili. Il potere insito in quello sguardo lo sopraffece. Armand serrò gli occhi al socchiudersi delle labbra fredde sulle proprie, baciando con trasporto il suo signore. Sotto il peso del corpo del vampiro, l'umano alzò involontariamente una gamba e la seta strusciò contro il suo fianco. La mano destra di Amedeo corse a sistemare una ciocca dei capelli chiari del maestro dietro l'orecchio; erano setosi e parevano vivi, sciogliendosi fino alle spalle in una morbida cascata color miele. Le sue labbra lasciarono intravedere visibili per un attimo i bianchi denti in un sorriso, la lingua rossa per un istante passò ad inumidire il labbro superiore, ma fu fermata, come animale intrappolato, tra canini aguzzi. Marius scoprì le parti nascoste di quel corpo che aveva imparato a conoscere; con adorazione, passò le dita tra i capelli profumati che giacevano sparsi sulla superficie morbida delle lenzuola. ''Esprimi i tuoi desideri, Amedeo''
Marius parlò con inflessione melodiosa, quasi vibrante, e con una punta di decisione nel tono, ma parve infinitamente dolce alle orecchie rapite di Amedeo. Gli attimi di felicità che aveva condiviso con lo scomparso Andrei gli restarono nei ricordi.
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diceriadelluntore · 3 months
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Memorie Della Collina
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Su Instagram mi è stato mandato uno di quei template da condividere con le serie tv. E tra la scelte c'è questa: rispetto ad altre dello stesso periodo (inizio anni 2000m la serie è andata in onda dal 2003 al 2012), è probabilmente meno famosa, ma One Tree Hill ha ancora dei fanche la ricordano con affetto. La serie, creata da Mark Schwahn, ambientata nella fittizia città di Tree Hill in Carolina del Nord e segue le vite di due fratellastri, Lucas Scott (Chad Michael Murray) e Nathan Scott (James Lafferty), il cui rapporto evolve, nel corso della serie, da acerrimi nemici a fratelli devoti. Tra gli altri protagonisti, Peyton Sawyer, interpretata da Hilarie Burton, Haley James, interpretata da Bethany Joy Lenz e Brooke Davis, interpretata da Sophia Bush (che sono i personaggi nella foto).
Tra le chicche della serie, due musicali: è stata l'unica serie, insieme a The Sopranos, ad avere il placet direttamente dai Led Zeppelin per l'utilizzo di un loro brano (in questo caso, Babe I'm Gonna Leave You); lo stesso titolo della serie, One Tree Hill, venne a Schwahn mentre ascoltava The Joshua Tree degli U2, che hanno una canzone dello stesso titolo. La quale è un gioiello dalla storia triste: One Tree Hill è infatti il nome di una località non lontana da Auckland da cui proveniva Greg Carroll, uno degli assistenti di Bono, morto in un incidente stradale in Irlanda mentre guidava la motocicletta nel 1986, dopo pochi giorni dall'inizio delle registrazioni del memorabile disco. Il brano è famoso perchè, ricorda Brian Eno, Bono lo riuscì a cantare per intero in una unica, toccante, registrazione, con il famoso finale cantato in falsetto.
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Ci giriamo per esporci al freddo, perdurante gelo Mentre il giorno supplica la notte di avere pietà Il tuo sole così splendente non lascia ombre, solo segni Scolpiti nella roccia sulla faccia della terra La luna è alta e su One Tree Hill Vediamo il sole tramontare nei tuoi occhi
Tu corri come un fiume verso il mare Come un fiume verso il mare
E nel mondo un cuore di tenebra, una zona di fuoco Dove i poeti parlano dei loro cuori Poi versano il loro sangue per averlo fatto Jara* cantava, la sua poesia un'arma, nelle mani dell'amore Lo sai il suo sangue ancora grida dalla terra Esso scorre come un fiume verso il mare Come un fiume verso il mare
Non credo in rose dipinte o cuori che sanguinano Finché le pallottole violentano la notte dei misericordiosi Ti vedrò ancora quando le stelle cadranno dal cielo E la luna diventerà rossa Su One Tree Hill
Oh grande oceano Oh grande mare Corri verso gli oceani Corri verso il mare
*Victor Jara, cantautore, musicista, regista teatrale e poeta cileno, fu barbaramente assassinato cinque giorni dopo il golpe dell'11 settembre 1973 contro il Presidente Salvador Allende, vittima della repressione messa in atto dal dittatore Augusto Pinochet
Chi leggerà questo post ha ricordi di questa serie? O ne ricorda un'altra legata ad una particolare canzone?
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sciatu · 1 year
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ROSSO D&G
Russu - quasi cento versi d’amore
I russu, focu e passiuni vesti u to cori i liuni cu du russu culur du sangu chi duma a to anima i rangu chi ti fa signura e rigina ill’anima mei, a patti divina. Russa a to bucca i lava ca mei sempri disiava nte jonna chiù niri e dispirati ca vita era jaggia pi dannati, unni a to bucca era l’unica potta chi putia canciari ogni mala sotta da bucca chi sempri sugnava e chi era focu sa baciava. Russu focu, comi russu ranatu russu comi cori dispiratu russu comi u silenzio da motti a luna nova nto scuru da notti. Russu u to ricoddu a to essenza du surrisu ca me anima penza chi è luci, gioia, spiranza e disiu a fozza chi nuddu sapi o vinciu picchì, unni a mei arriva e finisci, dà a toi, ncumincia e ciurisci. Russu, comi curallu o rubinu senzu priziusu d’avitti vicinu, russu comi raggia, comi a gilusia picchì non po essiri vita senza i tia chi si tuttu, du me tempu signura piaciri, gioia chi sempri dura, si u me mari unn’ alleggiu affunnu si u cielu, c’abbrazza u me munnu si a rosa russa chi duma l’estati di jonna i focu, di notti ncantati. Russu comi curallu st’amuri, da vita sangu, ill’anima sapuri chi vinci lacrimi e malanova chi nte jonna biddizza trova e a mia ma dugna senza pinsari senza pritenni, senza limusinari picchi pi tia sugnu luci, sciatu, acqua, ventu attia ncatinatu. Russi i paroli a me lingua, i me vessi russi l’occhi toi disiati e mai pessi russu stu bisognu senza fini chi inchi u cori, a testa, i vini. Russi i labbri supra a canni janca u to ciauru chi studdi e mai stanca russu stu disiu chi nasci e mai finisci brucia l’anima e studdi quannu brisci. Russu stu to rispiru nto scuru chi è u me passatu, u me futuru. russa a to vaddata, chi voli e disia chi è patruna, chi è mavaria. Russa a to buci quasi na carizza vita mivuta , brizza dopu brizza. russu, u focu intra u to cori unni u mei brisci e sinni mori. Russu a poesia chi m’arrigali chi è u me rispiru i me ali chi tu cunfunni, studdi, spasci   ma chi sulu cu tia, sempri rinasci. Russu come a puma nvilinata comi na storia fausa e strammata russu pumadoru, russu girasa russu fragula, russu tettu i na casa russu u sangu di Cristu sabbaturi a so curuna i spini u so duluri, russu jammuru e russu calamaru russu stu pinzatti duci e amaru russu comu u pipi spizzeri chi bampa comi l’occhi toi chi nenti scampa russu u tempu chi passa viatu chi è patruni d’ogni cosa du criatu u tempu chi tuttu crea e cumanna chi ogni surrisu, mbrogghia e scanna Russu comi na stidda o funnu mari comi u vinu chi fa ridiri e cantari russu comi mantellu di nu paladinu comi a camicia di nu garibaldinu comi u curaggiu c’amu aviri p’essiri libbiri e a vita sapiri. Russu i to silenzi quannu l’amuri finiu e ca passiuni u focu eccu muriu resta na paci chi nuddu capisci chi bola pu munnu tuttu nzittisci e sugnu na fogghia motta, menza sicca tu u ventu ca pigghia e picca a picca auta nto cielu liggiera dà a manni cancillannu ogni duluri i sta me canni puttannumi unni nasciunu i stiddi unni i suli sunnu sulu spisiddi unni nenti dugna luci e piaciri dà, unni tuttu quantu pari finiri e i da supra, unni tuttu è nicu nicu capiri ca fini, tuttu quantu dicu avi pi sensu u nenti chi poi sugnu picchi sugnu, sulu l’amuri chi ti dugnu amuri chi jè focu, ranni, immensu amuri chi è ragiuni ed è sensu puru quann’è mussu contru mussu, amuri russu, russu e russu!
Di rosso, fuoco e passione rivesti il tuo cuore di leone, con quel rosso, colore del sangue che accende la tua anima di rango, che ti fa signora e regina, della mia anima, la parte divina. Rossa la tua bocca di lava che la mia desiderava sempre in quei giorni neri e disperati quando la vita era una gabbia per dannati e dove la tua bocca era l’unica porta che poteva cambiare ogni sfortuna, quella bocca che sempre sognavo, che era fuoco se la baciavo. Rosso fuoco come un rosso melograno, rosso come un cuore disperato, rosso come il silenzio della morte, la luna nuova nel buio della notte. Rosso il tuo ricordo, la tua essenza, quel sorriso che la mia anima ricorda e che è luce, gioia, speranza e desiderio; la forza che nessuno conosce e vince, perché dove la mia forza arriva e finisce, lì la tua incomincia e fiorisce. Rosso come corallo e rubino, il senso prezioso di averti vicino, rosso come rabbia, come la gelosia, perché non può esistere vita senza di te, che sei tutto, signora del mio tempo, piacere, gioia eterna, sei il mare dove lento affondo, sei il cielo che abbraccia il mondo, sei la rosa rossa che accende le estati, quei giorni di fuoco, quelle notti incantate. Rosso come corallo è quest’amore che è sangue della vita e sapore dell’anima, che vince le lacrime, la sfortuna, che trova la bellezza nei giorni e me la dona senza pensarci, senza pretendere o elemosinare perché per te sono la tua luce, il tuo respiro, l’acqua, il vento a te incatenato. Rosse le parole della mia lingua, i miei versi, rossi gli occhi tuoi desiderati e mai persi, rosso questo bisogno di te senza fine, che riempie il cuore, la testa e le vene rosse le mie labbra sulla pelle bianca, il tuo profumo che stordisce e mai stanca, rosso questo desiderio che nasce e mai finisce, che brucia l’anima e stordisce appena nasce. Russo il tuo respiro nel buio, che è il mio passato, il mio futuro, rosso il tuo sguardo, che vuole e desidera, che è padrona, che è magia. Rossa la tua voce, quasi una carezza, vita bevuta goccia dopo goccia, rosso il fuoco dentro al tuo cuore dove il mio inizia e muore. Rossa la poesia che mi regali che è il mio respiro, le mie ali, che tu confondi, stordisci, rovini, c+ma che solo con te rinasce. Rosso come la mela avvelenata, come una storia falsa e stupida, rosso pomodoro, rosso ciliegia, rosso fragola, rosso come il tetto di una casa, rosso sangue del Cristo salvatore, la sua corona di spine, il suo dolore; rosso come gambero e il rosso calamaro, rosso questo pensarti dolce e amaro , rosso come il peperoncino che brucia, come gli occhi tuoi da cui niente si salva, rosso il tempo che passa velocemente, che è padrone di ogni cosa nel creato, quel tempo che tutto crea e comanda che ogni sorriso imbroglia e uccide; rosso come una stella in fondo al mare, come il vino che fa ridere e cantare, come il mantello di un paladino, come la camicia di un garibaldino, come il coraggio che dobbiamo avere per essere liberi e conoscere la vita. Rosso il tuo silenzio quando il sesso e finito e che con la passione, il fuoco è morto lasciando una pace che nessuno capisce, che vola per il mondo e tutto azzittisce ed io sono come una foglia morta, quasi secca, e tu sei il vento che la prende e poco a poco, alta nel cielo, leggera la mandi, cancellando ogni dolore dalla mia carne, portandomi dove nascono le stelle, dove i soli sono solo scintille, dove nulla dona luce e piacere, lì dove tutto quanto sembra finire e da lassù dove tutto è piccolissimo capire alla fine, che tutto quello che dico ha come senso il niente che sono, perché io sono solo l’amore che ti dono, l’amore che è fuoco grande, immenso, amore che è ragione e motivo, anche quando è labbra contro labbra, amore che è rosso, rosso e rosso.
Red, fire and passion cover your lion heart,  by with that red, blood color that lights up your noble soul, which makes you lady and queen and, of my soul, the divine part. Red your lava mouth that mine always desired in those black and desperate days when life was a cage for the damned and where your mouth was the only door that could change any misfortune, that mouth I always dreamed of, which was fire if I kissed her. Fire red like a pomegranate red, red like a desperate heart, red like the silence of death, the new moon in the dark of the night. Your memory is red, your essence, that smile that my soul remembers and that is light, joy, hope and desire; the strength that no one knows and wins, because where my strength arrives and ends, there yours begins and flourishes. Red like coral and ruby, the precious sense of having you near, red like anger, like jealousy, because life can't exist without you, you who are everything, lady of my time, pleasure, eternal joy, you are the sea where I slowly sink , you are the sky that embraces the world, you are the red rose that lights up the summers, those days of fire, those enchanted nights. Red as coral is this love which is the blood of life and the taste of the soul, which overcomes tears, misfortune, which finds beauty in days and gives it to me without thinking about it, without demanding or begging because for you I am your light , your breath, the water, the wind chained to you. Red the words of my language, my verses, red your desired and never lost eyes, red this endless need for you, which fills the heart, the head and the veins Red my lips on white skin, your perfume that stuns and never tires, red this desire that is born and never ends, that burns the soul and stuns as soon as it is born. I snore your breath in the dark, which is my past, my future, red your gaze, which wants and desires, which is mistress, which is magic. Your voice is red, almost a caress, life drunk drop by drop, the fire inside your heart is red where mine begins and dies. Red is the poetry you give me which is my breath, my wings, which you confuse, stun, ruin, but which is reborn only with you. Red like the poisoned apple, like a false and stupid story, tomato red, cherry red, strawberry red, red like the roof of a house, blood red of Christ the savior, his crown of thorns, his pain; red like shrimp and squid red, red this thinking of you sweet and bitter, red like burning pepper, like your eyes from which nothing is saved, red the time that passes quickly, which is master of everything in creation, that time that everything creates and commands that every smile cheats and kills; red like a star at the bottom of the sea, like wine that makes you laugh and sing, like a paladin's cloak, like a Garibaldian's shirt, like the courage we must have to be free and to know life. Your silence is red when sex is over and that with passion, the fire is dead leaving a peace that no one understands, that flies around the world and silences everything and I am like a dead leaf, almost withered, and you are the wind who takes it and little by little, high in the sky, sends it lightly, erasing all pain from my flesh, taking me to where the stars are born, where the suns are only sparks, where nothing gives light and pleasure, there where everything seems to end and from up there where everything is very small to understand in the end, that everything I say has meaning in the nothingness that I am, because I am only the love that I give you, the love that is great, immense fire, love that is reason and sense, even when it's only lips to lips, love that's red, red and red.
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mancino · 10 months
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Nel crepuscolo dorato dell'amore,
Danza la luna con Venere nel cielo,
Un bacio rubato, senza chiedere,
Senza pretendere, solo sentire.
La lingua danza, un'ardente sinfonia,
Sotto il grande carro celeste in festa.
La notte scivola lenta, melliflua,
Rosso sangue, dolci ore, senza fretta.
Oh, tu, bella indolente che ti muovi,
Il mio povero cuore per te dono.
Uno sguardo dei tuoi occhi raggianti,
Il desiderio che mi sconvolge e sprona.
Come un corvo di cupa bontà,
Ti offriranno fiori di zucchero,
Sotto l'albero di pane e rosa,
Doni preziosi, gesti di vero amore.
Ah! La tua grazia è tormento e delizia,
La mia anima si perde in tale incanto.
Ora sento il ronfare del mio gatto,
E il profumo di un fiore senza prezzo.
E tu, distesa, o Diva della mia vita,
Sulla sabbia bollente desidero giacere,
Vorrei esser ogni granello di quel luogo,
Per donarti tutto il mio amore sincero.
Scrive il mio cuore, lancia queste parole,
Come una poesia che a te si rivolge,
Ti amo, mia musa, con tutto me stesso,
Eterna sarà la nostra danza che evolve.
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anaromantico · 1 year
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l'invidia nasce da una mancanza di attitudini che per limiti dell'intelletto non viene colmata
Lucrezia Beha
la luna nel cuore la notte nel sangue
Buona notte
🦖
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miruvolp · 1 month
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La Corona di Rose🌹
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Ed eccomi qua, faccia a faccia con l’uomo che mi ha rovinata, Richard Jeremy Petre, erede del ducato di Petre e l’uomo che una volta amavo. Alzo lo sguardo per vedere la sua faccia compiaciuta mentre tiene in mano la corona di rose, la MIA corona di rose che simboleggia il potere del monarca del regno. Mi osserva con sguardo beffardo ed un’espressione compiaciuta «Le mie scuse principessa ma questa corona ora me la prendo io.»
Una nube oscura mi circonda il cuore a causa di tutta la rabbia e sofferenza che quest’uomo mi ha portato «Oh Jeremy, Jeremy! Ancora non lo hai capito? Quella corona non ti può appartenere poiché non avrai mai il suo potere.»
«Certo che no principessa, solo un Dragomir può ereditare il potere e per poterlo tramandare a qualcun altro ricorre il sangue di un Dragomir un membro della famiglia reale, proprio come te, Kaira Leonia Dragomir, erede al trono di Roskar.»
Il suo sguardo si incupisce e mi si scaglia contro con una spada, ma io ero pronta ad un combattimento quindi faccio un balzo indietro, paro il colpo deviandogli la lama verso il basso ed eseguo un affondo, conficcandogli il mio fioretto nel torace «Avresti dovuto riflettere più a lungo su chi avevi intenzione di tradire poiché noi Dragomir non facciamo solo arte… noi facciamo anche cadaveri.»
Estraggo la spada facendo schizzare il sangue come tanti petali di rosa sparsi al vento di una notte illuminata dalla luna. Faccio un paio di passi, raccolgo la corona da terra, ancora macchiata del sangue di molte persone innocenti; la indosso e vado a sedermi sul trono, ignara che dietro di me stiano apparendo gli spettri di tutti i sovrani che hanno avuto questa corona prima di me, una frase mi ronza in testa e con una voce che sembra l’echeggio di tante dico: «Niente sacrificio, niente vittoria, così hanno vissuto, vivono e vivranno per sempre i sovrani delle rose di sangue.»
Questa è la discendenza Dragomir, e lo sarà fino a che questa corona di rose rosse non cesserà di esistere.
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lucreziabeha · 2 months
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Ci sono ricordi lontani che rievocano odori pungenti di polvere e tempo e il respiro, per un istante, ti muore dentro.
Lucrezia Beha
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alessiazeni · 1 month
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Capitolo Bonus Crescent City 3 in italiano Ember e Randall
Avviso: Partendo dal presupposto che non ho studiato per diventare traduttrice, quindi ci saranno SICURAMENTE dei possibili errori di traduzione, grammatica, punteggiatura e/o ortografia, questa è la mia versione tradotta in italiano dei capitoli bonus dei libri di Sarah J. Maas.
Certi termini NON saranno gli stessi utilizzati nel terzo libro di Crescent City, come Pugnale della Verità e Tesoro della Paura/Terrore (non ricordo quale termine viene usato, lol), invece ho preferito tenere la versione presente nei libri di ACOTAR, quindi StrappaVerità e Forziere del (di nuovo non mi ricordo, tanto non importa dato che usano solo la prima parte).
Detto ciò, buona lettura!
Ember Quinlan fissò la femmina Fae in piedi sull’ornato tappeto rosso davanti al caminetto scoppiettante. Per un attimo avrebbe potuto giurare che anche negli occhi della giovane femmina scoppiettassero delle fiamme argentee. Spaventò Ember abbastanza da farla fermare.
Solo  un istante, poi…
Ember si girò verso il punto in cui c’era stato il portale, dove c’erano stati la neve e il ghiaccio di Nena, i cui fiocchi si stavano ancora sciogliendo tra i suoi capelli neri.
Il fucile di Randall fece clic, la sicura tolta. Ember non ebbe bisogno di guardare il marito per sapere che aveva mirato contro la femmina che li monitorava con una tale immobilità.
Il portale non c’era più. Solo la stanza, quel mondo, erano rimasti. Una stanza con muri di pietra rossa, arredi in legno con imbottiture, e un’intera parete di libri. Delle finestre delineavano l’altro muro, tutte chiuse contro la notte, rivelando una luminosa città al di sotto. Non un’esageratamente illuminata città moderna, piuttosto una con bassi edifici e luci dorate. Lo sprazzo di un luccicante fiume che come un serpente ne attraversava il cuore.
Bryce l’aveva lasciata lì. Li aveva lasciati. Aveva buttato lei e Randall lì, poi aveva chiuso il portale.
E ora Bryce era…
La femmina Fae parlò, la voce fredda e piatta, in una lingua che Ember non riconobbe. Perché non era una delle lingue di Midgard. Era una lingua di un altro luogo, di un altro mondo…
“Apri quel portale” ringhiò Randall nella loro lingua ed Ember si girò per vedere il marito che stava ancora mirando il fucile contro il bel viso della femmina. Ma la femmina guardò verso la parete di finestre. Verso l’oscurità che giungeva dall’orizzonte.
Perfino il sangue mortale di Ember sapeva che non era una tempesta. Era qualcosa di molto, molto peggio.
La femmina parlò di nuovo, la voce ancora imperturbata. Indicò il fucile, facendo segno con la mano di metterlo giù.
Randall non lo fece. “Apri quel portale” ordinò nuovamente.
L’oscurità all’orizzonte si stava avvicinando a loro. I sottili peli sulle braccia di Ember si sollevarono.
“Abbassa il fucile” sussurrò Ember a Randall.
“Cosa?” Randall non abbassò il fucile mentre spostava lo sguardo verso di lei.
“Abbassa quel cazzo di fucile” espirò Ember mentre l’oscurità si faceva ancora più vicina, divorando le luci della città, le stelle, la luna…
Randall rimise la sicura, ma non fece in tempo ad abbassare l’arma prima che le tenebre esplodessero dalle pareti.
“Non avevi alcun diritto” un maschio Fae tuonò dietro una porta chiusa. Ember aveva sentito Nesta chiamarlo Rhysand. Lei e Randall ascoltarono da una sala in pietra rossa, sorvegliati da un solenne maschio con capelli scuri e ali da drago.
Ember capì le parole solo perché in quei primi momenti dopo che la tempesta oscura aveva distrutto le finestre irrompendo nella stanza, lei e Randall erano stati interrogati. Dato che era chiaro che non capissero la lingua, il maschio che era comparso dal cuore della tempesta punteggiata da stelle aveva dato a entrambi un fagiolo argentato, facendo segno di mangiarlo.
Ember l’aveva inghiottito, perché la femmina dagli occhi grigi, Nesta, aveva detto Bryce e aveva mimato di mangiare il fagiolo, per poi indicarsi la bocca. Ember ricordò che la figlia aveva menzionato di aver mangiato una specie di cosa magica lì che le aveva permesso di capire e parlare a quelle persone nella loro lingua. Quindi Ember lo inghiottì e Randall seguì il suo esempio.
Svennero, risvegliandosi lì, nella sala, proprio mentre le porte dello studio si stavano chiudendo. Ember aveva intravisto i nuovi arrivati, giusto in tempo per vedere Nesta circondata da Rhysand, una femmina con capelli corti, e un maschio con spalle larghe e ali da drago come il guerriero nella sala di fianco a loro.
Ember e Randall non avevano osato parlare. Non mentre sprazzi dell’accesa discussione filtrava dalla serratura.
“Non avevi alcun diritto” Rhysand ringhiò ancora, la voce che riverberava nella pietra. Il suo potere faceva sembrare il Re d’Autunno un bambino in confronto.
“Avevo ogni diritto” Nesta controbatté freddamente. “Il Forziere risponde a me, mi obbedisce.”
“Hai trasferito un’arma mortale proprio nel mondo dove i nemici che la stavano cercando si sono accampati per millenni, proprio nelle mani dell’unica persona che può aprire un portale verso il nostro mondo con mezzo pensiero. Che cosa stavi pensando?” Le ultime parole vennero ruggite.
L’altro maschio nella stanza mormorò: “Rhys.”
Un feroce ringhio basso fu l’unica risposta.
La voce dell’altra femmina, secca, tagliente, disse: “Prima di farla a pezzi, Rhysand, ascolterei le ragioni della ragazza per aver consegnato la Maschera.”
“Non ci sono scuse per questo” scattò Rhysand. “E quando arriverà Feyre…”
“Non rispondo a mia sorella o a te” ribatté Nesta. “Non sono una tua suddita da punire a piacimento.”
Ember guardò la loro guardia. Il bellissimo maschio dall’altro lato di Randall, l’armatura scura adornata con pietre blu, rimase impassibile.
“Hai messo a rischio questo intero mondo” urlò Rhysand. “Puoi non rispondere direttamente a me, ma risponderai a ogni essere qui per ciò che hai fatto.”
“Era disperata” disse Nesta, e il cuore di Ember le fece male. “Era disposta a lasciare i suoi genitori come garanzia, porca puttana.”
“Non mi importa un cazzo di chi ha lasciato o cosa ha detto. Le hai dato la Maschera…”
“Mi ha implorata di tenerli, anche se non le avessi dato la Maschera.”
Ember guidò Randall. Puro dolore e sofferenza riempirono gli occhi di suo marito. Bryce li aveva… scambiati. Per quella luccicante cosa d’oro che aveva visto passare da Nesta a sua figlia.
E oh, dei. Cooper…
Ember strinse l’amuleto d’argento dell’Abbraccio attorno al collo, chiudendo gli occhi e mormorando una preghiera.
Benevolente Cthona che dimori al di sotto, proteggi nostro figlio, prenditi cura di lui…
In quelle settimane, per quanto brevi, l’allampanato ragazzo quasi scheletrico che si era presentato alla sua porta con dei tali occhi inquieti e cupi era diventato un figlio. Dalla preoccupazione che ora riempiva anche gli occhi di Randall, Ember poteva solo immaginare che i suoi pensieri avevano preso la stessa direzione. Bryce aveva lasciato Cooper indietro. Aveva preso loro, ma aveva lasciato il ragazzo, lasciandolo vulnerabile e solo, ancora…
Ci vide rosso. Bryce aveva parlato con Cooper, aveva riso con lui ad Avallen. Si era comportata normalmente, eppure sapeva di aver pianificato di fare questo, di lasciarlo indietro.
Il bellissimo maschio alato guardò con sospetto verso Ember, percependo la sua ira.
Nello studio, Nesta stava dicendo: “Se c’è una possibilità di sconfiggere i Daglan, gli Asteri, perché non dare a Bryce ciò che le serve?”
“Perché la uccideranno e prenderanno la Maschera e il Corno e apriranno un cazzo di cancello verso questo mondo!” Urlò Rhysand. “Avresti dovuto uccidere Bryce nel momento in cui ha aperto quel portale” continuò lui. “Nel momento in cui è apparsa avresti dovuto colpirla alla sua cazzo di gola con Ataraxia…”
“Meritava l’onore di essere ascoltata” scattò Nesta di rimando. “Dopo tutto quello che ha passato, lo meritava.”
“Meritava di essere obliterata per averci messo in un tale rischio, una seconda volta!” Urlò Rhysand.
“Litigate dopo” consigliò l’altra femmina. “Prima dobbiamo occuparci dei genitori.”
Ember si irrigidì e Randall fece per prendere un coltello che non c’era più. Si erano svegliati senza il suo fucile e il suo coltello. Insieme a quello segreto che teneva negli stivali.
Le porte dello studio si spalancarono, sbattendo così forte contro i muri di pietra che Ember avrebbe potuto giurare che perfino la loro guardia sussultò. “Azriel.” La comandante voce di Rhysand tuonò da dentro lo studio. “Portali dentro.”
Azriel, il maschio con cui Bryce aveva viaggiato nelle caverne. Stava facendo loro cenno di andare avanti, il volto come il ghiaccio.
Ogni passo sembrava troppo lento mentre Ember e Randall, la loro guardia che li fiancheggiava, entravano nello studio. Era più piccolo della stanza in cui erano arrivati. Troppo piccolo, considerati gli imponenti maschi che ora lo occupavano. Anche Rhysand aveva ali, come Azriel e l’altro maschio, ma aveva anche le orecchie a punta dei Fae.
E l’altra femmina più bassa… il caschetto al mento ondeggiò mentre si girava, rivelando occhi argentei che marcavano ogni dettaglio di Ember, fino al fondo della sua anima.
Rhysand incombeva come una tempesta movimentata al centro della stanza.Perfino il fuoco sembrava intimorito da lui. Nesta era a diversi piedi di distanza, gli occhi azzurro-grigi sospettosi, nessuna traccia di quella fiamma d’argento. Strinse le mani, ma il volto rimase vuoto. Il bellissimo maschio dalle spalle larghe al suo fianco aveva le labbra strette dalla preoccupazione, o dalla rabbia. Forse entrambe.
Nessuno degli sconosciuti sembrava particolarmente… tranquillo. Gli occhi viola-blu di Rhysand si mossero verso Randall, poi Ember. Randall si irrigidì, come se sarebbe saltato tra Ember ed ogni minaccia, come aveva fatto molte volte nel corso della loro vita assieme.
Ma Ember fremette di rabbia contro Rhysand, “Non ti disturbare di obliterare mia figlia.” La furia le scorreva attraverso. “Quando tornerò a Midgard, lo farò io stessa.”
“Sapevi che Bryce aveva pianificato tutto questo?”
“Non so in quanti altri modi posso dirlo” rispose Ember a Rhysand cinque minuti dopo. “No.”
Randall aggiunse, con la mascella contratta: “Ci ha ingannati, ci ha fatto credere di essere diretti a Nena per una missione, ma era per scaricarci qui.”
Si erano dovuti togliere i pesanti cappotti invernali per via del calore della stanza, ma  ora, nella sua lunga t-shirt e jeans, Ember si sentiva un po’ scoperta, circondata da guerrieri armati fino ai denti. Solo la femmina bassa indossava abiti normali.
Sempre che la veste di fine seta potesse essere considerata normale. Se la collana di rubini attorno alla gola era una cosa comune.
“E dove sta andando ora?” Chiese Azriel con acredine. “Ora che ha la Maschera” -fulminò Nesta con lo sguardo, il cui viso era attentamente neutro- “dove sta andando Bryce?”
“Non lo so” insistette Ember. “Non sapevo nemmeno che volesse la Maschera, non ci ha detto di questo vostro Forziere. Lei e Hunt devono aver pianificato tutto questo in segreto.”
Perché era stato il vento di tempesta di Athalar che li aveva spinti lì. E se Ember avesse mai messo le mani sull’Umbra Mortis…
“Eppure avete portato uno dei vostri fucili con voi” disse Rhysand, il suo accento inciampò sul termine. “Dovete aver saputo di star andando incontro a dei guai.”
“Nena è… non è un bel posto” disse Randall. “Saresti un idiota ad andarci disarmato.”
Rhysand rimase in silenzio, rivolgendo lo sguardo verso la piccola femmina dai capelli scuri. Lei sospirò guardando il soffitto e disse: “Sono umani, Rhysand. Non possiamo tenerli qui.”
Randall lanciò uno sguardo ad Ember, come per avvertirla di restare in silenzio. Ma lei aveva passato l’intera vita a sentire quella stronzata, non l’avrebbe tollerato ora.
“Giusto” attaccò Ember. “Siamo solo patetici, deboli, stupidi umani. Poco più di schiavi per voi.”
Ember avrebbe potuto giurare che Nesta la stesse osservando incuriosita.
Ma Rhysand disse piano: “Se Amren ti ha offesa, non è stato fatto apposta. Qui nutriamo tutti un profondo rispetto nei confronti degli umani.”
Per qualche motivo, Ember gli credette. Amren inclinò il capo in segno di scuse.
“Non vi causeremo alcun problema” disse Ember, volgendo verso l’alto i palmi in quello che sperava si traducesse in un gesto implorante in quel mondo. “Non vorremmo nemmeno essere qui.”
“Non sono preoccupato della vostra presenza qui” disse Rhysand, qualunque accenno di quella calda sincerità si indurì in ghiaccio. “Sono preoccupato di vostra figlia. Se i nostri antichi nemici mettono le mani su di lei, sulle armi che porta, sulle persone che ama…” Scosse il capo, la luce del fuoco danzava sui suoi capelli nero-blu. “Quanto sarebbe difficile spezzarla?” Ha già dimostrato che farebbe di tutto per salvare i suoi cari.”  Indicò Ember, Randall. “Se i Daglan, gli Asteri, come li chiamate voi, catturano il suo compagno, suo fratello… non ci tradirebbe per salvarli?”
“Non conosci nostra figlia” disse fermo Randall.
Lo stomaco di Ember però si rivoltò al pensiero dei metodi che gli Asteri avrebbero usato per fare del male a Bryce. Era stato abbastanza brutto sentire da Fury  che Hunt e Ruhn erano nelle prigioni degli Asteri, nemmeno una parola su dove fosse andata Bryce. Ember non aveva dormito per giorni. Aveva a malapena mangiato fino a quando non le era giunta notizia che Bryce era riapparsa e li voleva ad Avallen immediatamente.
Rhysand disse calmo a Randall: “Non conosco vostra figlia, ma i miei compagni hanno passato abbastanza tempo con lei ultimamente per farmi un’idea. Ha il cuore tenero eppure è spietata. Intrigante, ma impulsiva. Determinata e testarda. E con una pericolosa tendenza alla spericolatezza.”
“È così da quando era una bambina” disse Ember, massaggiandosi le tempie. “Immagina tutto questo in una bambina di un anno.”
Randall si schiarì la gola in segno di avvertimento, ma avrebbe potuto giurare che la bocca di Rhysand guizzò verso l’alto. Come se riuscisse ad immaginare una tale cosa. Forse aveva passato qualcosa di simile.
Il maschio al fianco di Nesta, il suo compagno, se Ember doveva tirare a indovinare, disse con naturalezza, anche se la preoccupazione nei suoi occhi nocciola tradivano il tono: “È tardi Rhys. Lasciamoli riposare e ci riuniremo di nuovo di mattina.”
Rhys annuì senza guardare il guerriero e concentrò tutta la sua furia su Nesta. A suo credito, la femmina rimase con la schiena dritta e il mento alto. Imperiosa e inflessibile. Ember non riusciva a fare a meno di ammirarla.
Gli occhi viola-blu di Rhysand divennero pura oscurità alla sfida nell’espressione di Nesta, nella sua postura. Un predatore che riconosceva un degno avversario, sfoderando gli artigli. Le sue mani si chiusero ai suoi fianchi, come se invisibili artigli si stessero formando.
Il compagno di Nesta si avvicinò a lei, gli occhi che passavano da uno all’altra, diviso. Come se non sapesse da quale parte stare nell’imminente battaglia. “Sto bene, Cassian” mormorò Nesta.
Rhysand non tolse gli occhi da Nesta mentre ordinava: “Presentatevi nel mio ufficio all’alba. Finiremo tutto questo allora.”
Uscì dalla stanza, le porte che sbattevano dietro di lui su un vento notturno.
Nel successivo silenzio, Amren fece cenno a Nesta. “Trova una camera per i tuoi… ospiti, ragazza. E prega la Madre che tua sorella faccia cambiare idea a Rhysand, stanotte.”
Con ciò, uscirono anche loro dalla stanza, lasciando dietro di loro solo un pesante silenzio inquieto.
“Voi due potete stare qui.” Nesta aprì la porta di un’accogliente camera da letto che dava sulla piccola città al di sotto. “Ci sono protezioni su ogni centimetro di questo posto e la Casa è viva, quindi non potete uscire a meno che non ve lo permettiamo, ma… è meglio di una prigione.”
Avevano portato Bryce nelle loro prigioni. Furiosa come era con la figlia, un’altro genere di furia si impadronì di Ember al pensiero.
“Grazie” disse Ember un po’ rigidamente alla femmina. Randall non parlò mentre controllava ogni uscita e potenziale arma. “Aspetta” disse Ember. “Questa casa è viva?”
“In un certo senso” disse Nesta, agitando un’esile mano. “Risponde a me. Questa è casa mia.” Suonava sottile, fragile. Dopo la sfuriata verbale che si era beccata nello studio…
“Grazie” disse piano Ember. “Per essere stata dalla nostra parte.”
Nesta sollevò una spalla, girandosi per andarsene. “Se avete fame, vi basta chiedere ad alta voce alla Casa e del cibo comparirà.”
“Conveniente” mormorò Randall da vicino la finestra.
“Grazie” ripetè Ember. “Se ci fosse un modo per tornare indietro, ce ne andremmo, ma senza Bryce…” Scosse la testa. “Potrei ucciderla per questo, sai. Potrei ucciderla per questo.”
“Vostra figlia vi ama” disse roca Nesta. “Vi ama abbastanza da mandarvi via per tenervi lontani dai problemi.”
“Ci ha usati come moneta di scambio” la corresse Ember.
“No” fece Nesta. “Voleva la Maschera per combattere contro i vostri Asteri, ma penso che più che altro abbia aperto il portale per mandarvi qui. Lontano dai pericoli.”
“Ha lasciato indietro nostro figlio” ringhiò Randall con minaccia non da lui.
“Sono certa che abbia qualche piano per proteggerlo” ribatté Nesta. “Vostra figlia sembra… piena di risorse.”
Ember sbuffò. “Non ne hai idea. Prova ad imporre un coprifuoco per quella ragazza.”
L’ombra di un sorriso attraversò il viso di Nesta. “Verrò a trovarvi dopo colazione.” Le sue spalle si curvarono in avanti mentre si dirigeva verso la porta.
“Sei nei guai?” Domandò Ember. L’incontro tra Nesta e Rhysand come prima cosa di mattina chiaramente non sarebbe stato piacevole.
“Non più del solito” disse tranquillamente Nesta, ma Ember percepì la bugia.
“Veramente, non causeremo problemi qui” disse Ember, “come abbiamo promesso prima. Voglio solo tornare a casa a Midgard.”
“Non penso tornerete a casa, a meno che vostra figlia non abbia successo nella sua missione impossibile.”
Il cuore di Ember si sgretolò. Ma disse: “Se c’è qualcuno che può riuscire ad abbattere gli Asteri, quella è Bryce.”
Un’altra ombra di un sorriso. “Tendo ad essere d’accordo.”
Era confortante, in qualche modo, che questa sconosciuta di un altro mondo avesse fede nella sua selvaggia figlia ostinata. La selvaggia figlia ostinata che a volte le era sembrata uno specchio di sé stessa, se Ember doveva essere onesta.
“Bryce si è… comportata bene qui?”
“No” rispose Nesta. “Ha cercato di dare me e Azriel in pasto ad un verme troppo cresciuto.”
Randall si strozzò, ma non si girò dalla finestra mentre replicava: “Certo che l’ha fatto.”
Ember si massaggiò gli occhi. “Dei, deve avervi dato sui nervi.”
“Naturalmente.” Il sorriso di Nesta fu lento, a malapena un sollevamento dell’angolo delle labbra. Come se non fosse qualcuno che sorrideva facilmente o regolarmente. Una guerriera, sì, ma sembrava giovane, nonostante quelle orecchie da Fae. Nel modo in cui Bryce, con le sue orecchie a punta, sembrava giovane, anche se i Fae potevano sembrare venticinquenni quando avevano trecento anni. Gli dei lo sapevano che il Re dell’Autunno sembrava ancora giovane, sembrava ancora essere appena entrato nella trentina quando Bryce aveva…
Sua figlia aveva…
Era stato Ruhn, si ricordò Ember. Ruhn aveva dato il colpo di grazia.
Ma sembrava comunque che fosse stata Bryce a ucciderlo, in qualche modo. Aveva affrontato il Re dell’Autunno, sfidato tutto il suo odio e la sua miseria. Ember non aveva ancora idea di come processare il tutto.
Anche Nesta aveva quello sguardo. Come se stesse processando un sacco di cose.
E forse era un qualche istinto materno, ma Ember si trovò a dire: “Domani, se esci dal tuo incontro mattutino viva… mi piacerebbe sedermi e parlare con te, Nesta.”
Nesta rimase in silenzio per un attimo, senza dubbio soppesando la richiesta.
Alla fine, la sua bocca si curvò di nuovo verso l’alto in quell’ombra di un sorriso. “Anche a me piacerebbe.”
“Dovresti dormire, Em.”
La voce di Randall risuonò dall’altro lato del letto. Nonostante la chiara ambientazione non moderna, il letto era sufficientemente comodo da rivaleggiare qualunque materasso di Midgard. Ma comunque non offriva ad Ember l’occasione di trovare un oblio riposante.
“Non capisco come tu possa anche solo provare a dormire” sibilò lei, scalciando le pesanti lenzuola. “Siamo in un altro mondo, porca puttana.”
“Ecco perché dovremmo riposare finché possiamo, così avremo forza e concentrazione domani.”
Ember esalò un profondo respiro. “Ti fidi di queste persone?”
Randall rimase in silenzio per un momento, riflettendoci in quel suo silenzioso modo considerato e spietato. “Mi fido della fiducia che ha Bryce in loro. Non penso che nostra figlia ci avrebbe mandati tra le mani di brutali assassini, quando la sua intenzione era quella di tenerci al sicuro.”
Ember tirò su con il naso. “Ne sei sicuro? Ha minacciato di spingermi nella fornace una volta.”
Randall ridacchiò, girandosi su un lato e tenendosi su la testa con una mano. Dei, anche dopo tutti quegli anni, era ancora sufficientemente bello da farle arricciare le dita dei piedi. “Ti ricordo che sei stata te la prima a minacciare di gettare JJ in suddetta fornace se lei non avesse pulito la sua camera.”
Suo malgrado, Ember rise debolmente al ricordo. Ma il divertimento svanì mentre diceva: “La nostra bambina proverà ad affrontare gli Asteri, Randall.”
“Rigelus non saprà cosa l’ha colpito.”
Ember si tirò su a sedere, fulminandolo con lo sguardo.
Anche lui si mise seduto, prendendo una delle sue mani tra le sue, il volto serio. “Lo so contro cosa si sta mettendo. Ma so anche che se c’è qualcuno a Midgard che può farcela, questa è Bryce. E non lo sto dicendo come suo padre. Abbi fede in lei, Ember.”
Ember annuì, sospirando. “Lo faccio. Sono solo…”
“Terrorizzata.”
Ember annuì nuovamente, la gola che si chiuse. “Pensi che Cooper…”
“Sta bene. Quel ragazzo è intelligente e capace. E ha Fury Axtar e Baxian Argos che badano a lui.”
“Non perdonerò mai Bryce per questo.” Disse Ember trattenendo un singhiozzo.
Randall passò un’amorevole mano rassicurante lungo i capelli di lei. “Onestamente? Prego gli dei che riusciremo a dire a Bryce quanto incazzati siamo con lei.”
“Lo so.” Lacrime le pungevano gli occhi ed Ember non poté trattenere un rantolo tremolante. Un attimo dopo, le braccia di Randall si avvolsero attorno a lei, stringendola forte contro di lui. Le baciò la tempia. “La rivedremo.” La baciò di nuovo, delicatamente tirandola giù al suo fianco. “Te lo prometto. Li rivedremo entrambi.”
Ember e Randall si erano appena seduti per la colazione nella sala da pranzo, portati lì da un silenzioso Azriel, quando Rhysand atterrò sulla veranda oltre le porte in vetro. Le sue ampie ali erano come nuvole di tempesta nella luce mattutina. Un attimo dopo, Cassian atterrò, Nesta tra le braccia. Entrambi avevano il viso come la pietra. Incazzati.
Rhysand ringhiò qualcosa che fece irrigidire le spalle di Nesta, il capo che si abbassava.
Ed Ember si trovò a spingersi via dalla sedia, dirigendosi verso le porte. Randall provò ad afferrarla, ma fu troppo tardi. Ed Azriel non la fermò mentre Ember spalancò le porte in vetro per poi chiedere a Rhysand: “Non è un po’ presto per staccare a morsi la testa della gente?”
Il trio si immobilizzò. Rhysand si girò lentamente verso Ember. I suoi occhi erano pozzi neri. “Non ricordo di averti chiesto di unirti alla nostra conversazione.”
Ember tenne il mento verso l’alto. “Avete interrotto la mia colazione. Se volevate privacy avreste dovuto andare altrove.”
Era divertimento quello che brillava negli occhi di Cassian? Ember non osò distogliere la sua attenzione da Rhysand per confermarlo. Randall comparve al suo fianco, una mano sulla schiena in avvertimento mentre diceva: “Vi lasciamo soli.”
Ma Ember si rifiutò di muoversi, anche se una parte di lei tremava dal terrore, e disse: “Nesta ha deciso di accoglierci, ha deciso di dare a Midgard una possibilità per diventare libera. Per dare al mio mondo speranza. Che razza di persona sei per farla a pezzi per questo?”
“Em” la avvisò Randall.
Rhysand incrociò le braccia muscolose. “Mi stai definendo un mostro, Ember Quinlan?”
“Sto dicendo di farla finita” scattò Ember. Dietro di lei, avrebbe potuto giurare che Azriel si fosse strozzato. Ma lei indicò Nesta con il mento. “Lasciala in pace.”
Rhysand resse il suo sguardo.
Per un momento, un’eternità. Delle stelle sembrarono comparire negli occhi di lui. Come la vastità della notte che gli giaceva dentro, dolce e terribile, bellissima e straziante.
Ma Ember gli resistette. Aveva visto e affrontato il male vero. Ne avrebbe portato un segno sulla guancia per sempre a causa di esso.
Qualcosa sembrò ammorbidirsi nello sguardo di Rhysand, come se l’avesse visto. Lo sguardo di lui si spostò su Randall. “Con una moglie e una figlia come le tue, non so come fai ad essere ancora in piedi.”
Randall disse con fascino naturale: “Onestamente, il più dei giorni, non lo so nemmeno io.”
Rhysand sbatté le palpebre alla risposta di Randall, poi rise. Un attimo dopo, anche Cassian ed Azriel ridacchiarono.
Tipici maschi. Non importa su quale pianeta si trovino.
Ember però non sorrise. Il suo sguardò finì su Nesta. Nemmeno la femmina Fae rideva. I suoi occhi azzurro-grigi rimasero fissi su Ember. Pieni di emozione.
Sorpresa. Gratitudine. Desiderio.
E fu lo stesso istinto materno che l’aveva guidata la sera prima che fece estendere ad Ember una mano verso Nesta, dicendole: “Vieni. Fai colazione con me.”
Nesta le prese la mano, le dita sorprendentemente fredde. Come se il volo fin lassù le avesse raffreddate. Ember gliele strinse. “Non lasciare che ti maltratti” consigliò Ember alla femmina.
“Non preoccuparti” disse Nesta, anche se quello sguardo ferito rimase nei suoi occhi. “Mia sorella, la compagna di Rhysand, gli ha fatto la stessa identica ramanzina venti minuti fa.”
Ember sibilò: “Quindi ti ha riportata quassù per sgridarti lontano da lei?” 
Nesta sbuffò. “No. Feyre ha messo fine alla discussione. Non verrò giustiziata. Non oggi, almeno.”
All’espressione orripilata di Ember, Nesta continuò: “Non mi ucciderebbero. Non credo. Ma… è complicato. Dubito che qualcuno mi perdonerà molto presto.”
Ember fece cenno verso Cassian. “E il tuo compagno?”
Il dolore nel suoi occhi, la colpa, sembrarono intensificarsi. “Cassian è il più infuriato di tutti con me.” Un muscolo della sua mascella ebbe uno spasmo. Come se stesse trattenendo un’ondata di emozione pura. Solo un muro di acciaio la teneva alla larga.
Ember strinse ancora la mano di Nesta. “Se c’è qualcosa che posso fare per aiutare, qualunque cosa che io possa dire per togliere un po’ di colpa da te…”
Nesta le fece un mezzo sorriso. “Fare il culo a Rhys adesso mi è bastato.” Spinse Ember verso la colazione davanti a loro.
Ember si guardò oltre una spalla, verso Randall che era con Rhysand, Azriel e Cassian. Tutti i maschi ora stavano sorridendo, grazie agli dei. “Sembra che Randall stia facendo un buon lavoro nel conquistarli. Probabilmente raccontandogli di quanto io gli renda difficile la vita.”
Nesta sbuffò di nuovo. “Lamentarsi delle compagne: è praticamente uno sport competitivo per loro.”
Ember ridacchiò. “Sembra che Midgard e questo posto abbiano alcune cose in comune, allora.” Inclinò la testa, guardando la bellissima città dall’aspetto antico al di sotto, il fiume che serpeggiava lungo essa, e quello che sembrava essere il distante luccichio del mare. “Comunque, cos’è questo posto? E perché siete tutti così attraenti?”
Nesta fece un sorrisetto, prendendo a braccetto Ember prima di dire, con del calore che le era finalmente entrato nel tono: “Benvenuta nella Corte della Notte, Ember. Ti troverai bene qui.”
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In piedi davanti al tuo volto rivolto verso l'alto. Siamo in una distesa. Il profumo nell'aria. La luna splende in tutta la sua bellezza. Ti guardo e vedo i tuoi occhi chiusi. Il volto rilassato. Capelli sparsi intorno alla testa abbandonata sul suolo scuro. Le labbra schiuse. Mani abbandonate come un cristo crocefisso. Gambe rilassate. Una piegata e l'altra allungata. Cornice perfetta. 
Amore, caro amore mio. 
Non è finita. 
Apri gli occhi. Fuoco nelle pupille. La luna riflessa tra le nere ciglia lunghe. E' passione. Incredulità. Ti ho di nuovo ucciso. Una battaglia infinita. Non è un videogame. È la tua mente. La mia. I scherzi del destino. Mi guardi ed un lampo nei tuoi occhi mi fa venire un brivido lungo la schiena. La pelle diventa incendio. Bruciano i mobili e le foto appese al muro della casa che una volta era nostra. Sorrido. Hai perso. 
Ai miei piedi. Creatura indifesa. Le tue armi. Ora mie. Cerchi di parlare e la bocca è piena di sangue. Povera bestia. Povero essere. Cerchi di rialzarti, ma sei a pezzi. Vivisezionato posizionato secondo mio desiderio. A pezzi cerchi di rialzarti. Ricomponiti. Guerriero indifeso. La tua corazza ora è adagiata vicino al tuo corpo. La mia addosso. I capelli sciolti coprono metà del mio volto illuminato dalle stelle splendenti in una notte infinita. Non è finita. 
Amore, caro amore mio. 
Prova a salvarti. Scappare dal tuo destino ormai scritto da me. 
Non hai scampo. Leone in gabbia. 
Mi asciugo il sudore che colla giù dalla fronte. Pioggia che cade battendo sui finestrini dell'miei occhi non mettono a fuoco come una macchina fotografica con l'obbiettivo spaccato perché non l'hai coperta dall'urto improvviso. Un cuore frantumato, l'obbiettivo è un segno di domanda o uno esclamativo? Indirizzami, fammi strada, sussurrami all'orecchio la direzione. Sono persa in una vasta distesa di lavanda, il profumo mi stordisce, il respiro diventa sempre più pesante e le mani tremano. Hai paura dello schianto imminente o ti fidi? Dimmi amore, caro amore mio, è forse questa la fine di tutto? La morte avvolta dal dolce profumo dei fiore e del fumo della sigaretta che penzola dalle tue labbra. La cenere cade indisturbata sul sedile del passeggero. Non metti la cintura, non serve, tanto lo sai che è tutto nella tua testa. La mano fuori dal finestrino a seguire le onde del vento. Hai gli occhi persi. Dove sei? In che buio sei caduto di questa volta. Quale incubo ti circonda e che non riesci  a sconfiggere? Fammi entrare. Fammi guardare attraverso i tuoi scuri occhi quel che non vuoi che mi distrugga. Dimmi cosa pensi. Dimmi la musica che risuona incessante nel tuo corpo che ora si dimena dagli spasmi. Fammi toccare la tua guancia fredda. Fammi sussurrare al tuo orecchio che va tutto bene quando tutto va a rotoli. Tu non aver paura, non temere l'inevitabile. Non stringere i pugni e inchiodare i piedi al pavimento. Ti porto a casa. Dov'è la tua casa? In che luogo l'inadeguatezza lascia il posto alla calma? In che luogo non hai paura e non temi il cambio della brezza marina? Hai ancora paura del mostro sotto al letto? Hai ancora paura che io me ne vada? 
Amore, caro amore mio. 
Il mondo è cosi confuso, la mia testa non comprende, le mie mani non si muovono, i miei piedi non si schiodano dal posto in cui si trovano. Tienimi per mano. Tienimi vicina. 
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salva7orearato · 4 months
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La luna è piena come un cucchiaio di latte. < Guardami sono il tuo specchio > dice Lei con i suoi grandi occhi neri diluiti nei miei. In camera, nudi, sospesi sopra il letto ci baciamo tocchiamo lecchiamo fino ad abbandonarci alla fame, a non distinguere più l'uno il corpo dell'altra. Il suo volto è una foglia. Le sue braccia, un bosco intorno alla città. Ci annusiamo con tutte le rose che ci scorrono nelle vene. La sua bocca cerca la luce. Ogni sua vocale è una promessa d'amore. Un respiro, un bacio, le parole di un incantesimo bisbigliate in un orecchio. Ci addormentammo nel lento e dolce abbandono delle carni. Durante la notte mi svegliai. Un fiume nero di morte scorreva vicino intorno sopra al letto. I muri scricchiolavano. Una cornacchia sul davanzale gracchiò silenziosa < La tua ombra è prigioniera del suo sogno >. M'avvicinai allo specchio a due dita dai miei occhi senza riuscire a vedermi. Lei dormiva di un sonno oscuro. Le sue spalle erano d'oro. M'infilai sotto le lenzuola e mi distesi accanto a Lei in una pozza di sangue. Prima di riaddormentarmi ricordo pensai: ho perso il mio cuore.
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celestica-1988 · 9 months
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Le imposte della porta a vetri erano chiuse: non potevo vdere nell'interno, ma mentalmente passavo dalla casa oscura, un antro pieno di celle senza luce, come lo immaginavo, alla distesa di cielo sopra di me, un mare azzurro senza nuvole; e la luna lo percorreva nel suo solenne viaggio, e dalla sommità della collina, donde era spuntata, saliva sempre più verso lo zenit... notte oscura di una profondità incommensurabile e di una lontananza infinita... Alla vista delle stelle tremolanti che seguivano il suo corso, il mio cuore tremava e il sangue mi si infiammava. Ma le piccole cose ci richiamano sulla terra; nel vestibolo il pendolo suonò l'ora.
-Jane Eyre, Charlotte Bronte
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sebastiandrogo · 10 months
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Defibrillatore
Operare a cuore aperto fra queste palline di merda,
come scrive H., o come si può constatare dal tanfo
emanato a loro insaputa: un dì sulla terra che fa ombra
a qualsiasi forma vivente conosciuta e sconosciuta,
si nasce si muore, si va avanti, ci si suicida forse per
noia forse per troppo dolore; si guarda un film che ci
parla di essere e non essere, di evaporare sotto il sole
a picco, i battiti del cuore come i tamburi della notte
incipiente e grama dove una super luna occhieggia
prepotente e mortifera, megera del cielo e infissa nel
firmamento; uno sbaglio e sei finito, termina il pulsare
delle vene, il sangue si coagula, tutto si spegne, anche
dopo vari tentativi di rianimazione, il corpo tratto in salvo
dai flutti e disteso sulla rena, la spiaggia affollata gremita
di curiosi, l'aria insufflata, il buio che si rapprende sulle
palpebre cispose di alghe; oppure ci si sveglia nel proprio
giaciglio esanimi e sconfitti, senza nulla più da chiedere
orfani di se stessi, giacenti in un reliquiario dove gli
innamorati stentano a trovare l'anima gemella trapassata
a fil di spada dal fato orbo di misericordia, pulci nell'orecchio
punzecchiano i precordi e preconizzano le dipartite: c'è un
gran traffico di organi ancora funzionanti in un basculare
ininterrotto di garze, bende, cerotti, il torace aperto, convulso
il polso, lo scoccare delle ore riprende il tema del delitto perfetto
il ragno che divora ogni cosa che esiste e che si installa
nel petto e instilla una fievole goccia di eternità a questo
involucro di carne.
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