Corto Maltese La Giovinezza / La Jeunesse de Corto Maltese
by Hugo Pratt
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Un colosso, una meschinità (dal parlare dolce e modesto).
<<Intanto Giacomo Leopardi era giunto tra noi. Avevo una notizia confusa delle sue opere. Anche di Antonio Ranieri non sapevo quasi altro che il nome. Il marchese citava spesso con lodi l’abate Greco, autore di una grammatica, il marchese di Montrone, il Gargallo, il padre Cesari, il Costa, e sopra tutti essi Pietro Giordani. Tra’ nostri citava pure il Baldacchini, il Dalbono, il Ranieri, l’Imbriani. Di tutti questi non avevo io altra conoscenza se non quella che mi veniva dal marchese.
Una sera egli ci annunziò una visita di Giacomo Leopardi; lodò brevemente la sua lingua e i suoi versi. Quando venne il dì, grande era l’aspettazione. Il marchese faceva la correzione di un brano di Cornelio Nepote da noi volgarizzato; ma s’era distratti, si guardava all’uscio. Ecco entrare il conte Giacomo Leopardi. Tutti ci levammo in piè, mentre il marchese gli andava incontro. Il conte ci ringraziò, ci pregò a voler continuare i nostri studi. Tutti gli occhi erano sopra di lui. Quel colosso della nostra immaginazione ci sembrò, a primo sguardo, una meschinità. Non solo pareva un uomo come gli altri, ma al disotto degli altri. In quella faccia emaciata e senza espressione tutta la vita s’era concentrata nella dolcezza del suo sorriso.
Uno degli "Anziani" prese a leggere un suo lavoro. Il marchese interrogò parecchi, e ciascuno diceva la sua. Poi si volse improvviso a me: "E voi, cosa ne dite, De Sanctis?" C’era un modo convenzionale in questi giudizi. Si esaminava prima il concetto e l’orditura, quasi lo scheletro del lavoro; poi vi si aggiungeva la carne e il sangue, cioè a dire lo stile e la lingua. Quest’ordine m’era fitto in mente, e mi dava il filo, era per me quello ch’è la rima al poeta. L’esercizio del parlare in pubblico avea corretto parecchi difetti della mia pronunzia, e soprattutto quella fretta precipitosa, che mi faceva mangiare le sillabe, ballare le parole in bocca e balbutire. Parlavo adagio, spiccato, e parlando pensavo, tenendo ben saldo il filo del discorso, e scegliendo quei modi di dire che mi parevano non i più acconci, ma i più eleganti.
Parlai una buona mezz’ora, e il conte mi udiva attentamente, a gran soddisfazione del marchese, che mi voleva bene. Notai, tra parecchi errori di lingua, un onde con l’infinito. Il marchese faceva sì col capo. Quando ebbi finito, il conte mi volle a Sé vicino, e si rallegrò meco, e disse ch’io avevo molta disposizione alla critica. Notò che nel parlare e nello scrivere si vuol porre mente più alla proprietà de’ vocaboli che all’eleganza; una osservazione acuta, che più tardi mi venne alla memoria. Disse pure che quell’onde con l’infinito non gli pareva un peccato mortale, a gran maraviglia o scandalo di tutti noi. Il marchese era affermativo, imperatorio, non pativa contraddizioni. Se alcuno di noi giovani si fosse arrischiato a dir cosa simile, sarebbe andato in tempesta; ma il conte parlava così dolce e modesto, ch’egli non disse verbo. "Nelle cose della lingua, disse, si vuole andare molto a rilento", e citava a prova Il Torto e il Diritto del padre Bartoli. "Dire con certezza che di questa o quella parola o costrutto non è alcuno esempio negli scrittori, gli è cosa poco facile". Il marchese che, quando voleva, sapeva essere gentiluomo, usò ogni maniera di cortesia e di ossequio al Leopardi, che parve contento quando andò via.
La compagnia dei giovani fa sempre bene agli spiriti solitari. Parecchi cercarono di rivederlo presso Antonio Ranieri, nome venerato e caro; ma la mia natura casalinga e solitaria mi teneva lontano da ogni conoscenza, e non vidi più quell’uomo che avea lasciato un così profondo solco nell’anima mia".>>
(Da Francesco De Sanctis, La giovinezza)
Non sappiamo come fosse davvero. Dal suo ritratto da giovinetto e dalle descrizioni del Ranieri, credo che la sua fronte fosse ancora più ampia di quanto raffigurato in questo monumento. Nessuno ha mai ritratto le sue mani mentre era in vita. In questo tributo dei suoi concittadini posto nella piazza del Municipio, le sue mani sono appena sbozzate, scabre alla luce. Denunciano un difetto di documentazione, una mancanza, un'assenza, che si cerca di riempire con l'immaginazione. Io me le immagino come quelle di un ragazzo, non particolarmente affusolate né eleganti, le unghie e i polpastrelli della destra spesso macchiati d'inchiostro, perché non credo che perdesse molto tempo a lavarsele. Di questa statua mi piacciono soprattutto la lunghezza, la pesantezza e la texture del cappotto che avvolge la figura, come in un altero gesto di protezione dal mondo, dal quale si sentiva ferito con mille punte. "Piccolo, hai freddo? Stamane ci saranno quattro gradi". Mi ha detto di no, porgendomi il cappotto perché, dice, per ora serve molto di più a me.
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David Lang | Sumi Jo . Simple Song #3
la giovinezza, paolo sorrentino
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“ Le foglie si stavano già diradando. "L'autunno, l'autunno è vicino," dicevamo scuotendo la testa. All'improvviso trillò un campanello, e su un tendone, alle cui porte gridavano "correte a vedere" si accese una scritta di luci colorate: Fotografia animata. Per entrarci ci volevano dei biglietti a parte, ci consultammo e li comprammo.
Dentro c'erano delle sedie, di fronte vi era appesa una tela, e quando tutti si furono seduti la luce si spense, il pianoforte e il violino presero a suonare, e noi vedemmo Giuditta e Oloferne, dramma storico a colori. Colpiti, ci guardammo. Le persone dipinte sul quadro si muovevano e i rami degli alberi disegnati si muovevano pure loro.
Al mattino, mentre mi accingevo a scrivere a Serge di Giuditta, Evgenija entrò e mi diede un biglietto arrotolato a forma di tubicino. "Vi è piaciuta la fotografia viva?" mi scrivevano. "Ero seduta dietro di voi. Permettetemi di fare la vostra conoscenza. S."
La compositrice di questa lettera attendeva una risposta seduta sulla panchina davanti a casa, e quando uscii dal portone si alzò. "Sono Stefanija Grikjupel'," sì presentò, e facemmo quattro passi. Ammirammo la ciambella di rame sulla porta della panetteria e la chiesa di zucchero. "Il mio amico Serge è partito per Jalta," raccontai, "invece Andrej Kondrat'ev è in colonia. Potrei starci anch'io per un po', ma Andrej non mi va molto a genio perché vuole sempre dire la sua su tutto." Venne fuori che anche Stefanija Grikjupel' stava per cominciare la scuola, e aveva una paura tremenda che fosse difficile: i numeri arabi, comporre composizioni.
Contenti l'uno dell'altro ci separammo. Avvicinandomi al mio cancelletto vidi un funerale: portatori di fiaccole in grossi sai bianchi, carri con la cupola decorata da una corona, dietro il carro la vedova. Vasja Strižkin le dava il braccio.
Quando maman tornò, mi presi una bella sgridata. Mi proibì gli incontri con Stefanija e la definì una corruttrice. La Čigil'deeva, che era venuta a sentire, prese le mie difese: "Ma è una cosa così naturale," disse e si mise a pensare non so cosa. Sorridendo salì di sopra e mi portò Gentilezza per gentilezza. "Te lo regalo," mi disse. “
Leonid Dobyčin, La città di enne, traduzione e postfazione di Pia Pera, Feltrinelli (collana I Narratori), 1995¹; pp. 49-50.
[Edizione originale: Город Эн, Krasnaya Nov editore, Mosca, 1934]
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Il solo vero viaggio,
l'unico bagno di giovinezza,
non consiste nell'andare
verso paesaggi sempre nuovi,
ma nell'avere cento occhi,
nel vedere l'universo con gli occhi di un altro,
anzi di cento altri:
e nel vedere così
i cento universi che ciascuno vede,
e che ciascuno è
Marcel Proust. “La prigioniera”
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Sfortuna di ferro, fortuna di(vento).
Sono figlio di un epoca in cui la resilienza era un modo di essere, l'incarnazione perfetta di uno stile di vita tutta italiana, di una sfaccettata sfortunata, e assurdamente fortunata normalità. La mia. E non si tratta di sfortuna, si tratta di vita, che accade, anche il più privilegiato ne accuserebbe il colpo. Forse ai miei occhi, come sotto la lente di un prisma di cristallo, quella sventura me la sono fatta scivolare sulla pelle, si perchè con gli occhi entusiasti di un bambino, alcune prospettive di quel prisma non erano così pungenti, tutto sommato bastava che guardasse altrove. Ma quel bambino, che giocava nel vicoletto, quel ragazzo, che invece del biliardo, preferiva le tavole scricchiolanti di un teatro con il suo silenzio sacrale, quella fortuna un pò voleva che accadesse infondo, anche se nel mentre, la sfortuna scorreva, la allontanava rifugiandosi in quel camerino che sentiva di più come casa, rifugio contento, segreto, di certo più accogliente dove poter mettere in sordina tutta quella sfortuna, dove poter trasformarla, vestirla, truccarla, e ironicamente diventarla. E nel contempo tutto accadeva. Io crescevo, e nella mia sfortuna diventavo sempre più fortunato, qualche sipario, il mio nome sulla locandina insieme ad altri nomi e qualche soldino in tasca, e nello stesso momento resilienza e vita che accadeva. Per la mia sfortuna di ferro c'era da temere, nel frattempo fortuna di(vento). Ma non mi sento un privilegiato, resto contento, certo, ma conscio del pretesto che una situazione così fortunata può comportare, intanto lascio che avvenga, che mi abbracci, e nonostante il disagio che posso provare, in quell'abbraccio io rimango, lascio che mi insegni il suo calore. A vent'anni come a cinquanta la prospettiva non cambia, gli insegnamenti sono gli stessi, ed anch'io resto lo stesso ragazzo che invece del biliardo, preferisce il teatro con il suo silenzio sacrale quando nella mia vita c'è troppo frastuono, e il cinema, quando di quel frastuono ne sento il bisogno. La mia fortuna l'ho costruita, abitata, navigata. L' ho resa bellissima, accomodata, persa e ritrovata, le ho sorriso, e l'ho conquistata.
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Ventura rimembri ancora quando la Spagna ci prendeva a pallonate?
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Hebe Munoz e Francesco Nigri a Siviglia per il libro di poesie d'amore HEFRA
Hebe Munoz e Francesco Nigri a Siviglia per il libro di poesie d’amore HEFRA
La poetessa italovenezuelana Hebe Munoz ed il poeta italiano Francesco Nigri, sposi dall’aprile di quest’anno, saranno a Siviglia dal 12 al 22 novembre – Hotel Don Paco – per incontrare amici e follower e presentare il loro primo libro di poesie d’amore scritto assieme “HEFRA amarsi amarse”, il più recente di circa 12…
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Hilary Mantel. Vite private di rivoluzionari
Hilary Mantel / Vite private di rivoluzionari
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L'importanza di collagene per la giovinezza
La quantità di collagene nella pelle ne determina la giovinezza, l'elasticità, la presenza o l'assenza di rughe e la definizione dell'ovale del viso. È possibile aumentare la produzione di collagene nel corpo e come? Scoprilo
Collagene è responsabile del aspetto giovane della pelle, come stimolare la sua produzione?
Sappiamo tutti che la quantità di collagene nella pelle ne determina la giovinezza, l’elasticità, la presenza o l’assenza di rughe e la definizione dell’ovale del viso. L’importanza di collagene per la giovinezza è indubbiamente fuori discussione. Sappiamo anche che con l’età la quantità di questa…
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Sono bellissimi con questi grandi sorrisi! 🤩
Papà Martino orgoglioso di suo figlio danese, come tutti noi.
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La Morte della Giovinezza by Alberto Martini
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(Image by jr222art)
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A meno che la giovinezza non sia una condizione permanente, il futuro è dei vecchi.
Leggi di Murphy
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I PARTIGIANI
Non per ragioni di gloria
andammo in montagna
a far la guerra.
La patria e la guerra erano per noi
motivi vani.
Le mani, lasciateci libere
le mani, i piedi, gli occhi
gli orecchi. Lasciateci dormire
Questo chiedevamo
e ci siamo fatti impiccare
e siamo andati al macello
tremando e con le labbra
bianche di paura.
Ma anche in quello stato
di fronte al boia fascista
uomini eravamo
e loro marionette.
E adesso che siamo morti
non rompeteci le scatole con le cerimonie,
dei vivi abbiate cura e
provvedete
che non si sprechi più
la giovinezza.
- Nino Pedretti
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Non è facile invecchiare con garbo.
Bisogna accertarsi della nuova carne, di nuova pelle,
di nuovi solchi, di nuovi nei.
Bisogna lasciarla andare via, la giovinezza, senza
mortificarla in una nuova età che non le appartiene,
occorre far la pace con il respiro più corto, con
la lentezza della rimessa in sesto dopo gli stravizi,
con le giunture, con le arterie, coi capelli bianchi all’improvviso,
che prendono il posto dei grilli per la testa.
Bisogna farsi nuovi ed amarsi in una nuova era,
reinventarsi, continuare ad essere curiosi, ridere
e spazzolarsi i denti per farli brillare come minuscole
cariche di polvere da sparo. Bisogna coltivare l’ironia,
ricordarsi di sbagliare strada, scegliere con cura gli altri umani, allontanarsi dal sé, ritornarci, cantare, maledire i guru,
canzonare i paurosi, stare nudi con fierezza.
Invecchiare come si fosse vino, profumando e facendo
godere il palato, senza abituarlo agli sbadigli.
Bisogna camminare dritti, saper portare le catene,
parlare in altre lingue, detestarsi con parsimonia.
Non è facile invecchiare, ma l’alternativa sarebbe
stata di morire ed io ho ancora tante cose da imparare.
- Cecilia Resio, “Le istruzioni”
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