Tumgik
#invece no cari non può essere tutto così liscio
ross-nekochan · 9 months
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Oggi è stata una giornata difficile.
Vorrei dimenticare tutto e passare a domani e invece lo scrivo come una cogliona così me lo ricorderò per sempre.
Oggi ho fatto il grave errore di mettermi un poco di pepe nel culo e timbrare poco prima delle 9. Ebbene, vado in panico perché la password è sbagliata. Come cazzo è possibile?! Provo settanta volte ma niente e l'ora x si avvicina. Poi col PC lento come una lumaca decido di entrare nella Room del training per prima cosa è intorno alle 9:05 scrivo la mail per dire che ho fatto ritardo perché mi dice la password è scorretta. Invio la mail e poi mi ricordo che ho sbagliato la password perché ne ho messa una completamente diversa. Timbro alle 09:15 e invio un'altra mail spiegando cosa è successo. Dopo 30min o 1h mi arriva la mail con qualcosa da compilare: un template in cui devo scrivere per filo e per segno cosa è successo con destinatario nientepopodimeno che il capo. Dopo arriva la telefonata in cui mi si dice che bisogna prepararsi prima perché le 08:56 è troppo tardi così che se succede qualcosa si è sempre in tempo ecc ecc. Peccato che è già 1 mese che sono sempre puntuale, lo so come funziona, è solo che stamattina è andata così.
E non è finita qua: sono giorni che invio mail a chiunque per dire che ci ho ripensato riguardo il trasferimento ad altre sedi (in verità ho detto di sì per sbaglio) e quindi voglio rimanere a Tokyo. Stamattina se ne escono con un lavoro nientemeno che a Fukuoka (profondo sud giapponese) e sia io che l'amico indiano andiamo nel pallone incazzati come una bestia (siamo incazzati da ieri perché senza dirci un cazzo, ieri mattina ci hanno messo un training dalla mattina alla sera, così).
Forse non è ritardo quello di stamattina (a un certo punto ho sperato che lo fosse pur di togliere da mezzo tutta la frustrazione e il senso di colpa) e forse la mail per Fukuoka era solo una proposta perché in fondo c'era scritto di mandare una mail se interessati.
Ad ogni modo: che giornata di merda.
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yesiamsmilly · 7 years
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L’ AMORE AI TEMPI DI FACEBOOK
In un’era come quella che stiamo vivendo è diventata quasi un utopia l’idea di andare a presentarsi a qualcuno che si incontra per strada, o in un locale. Oggi ci sono metodi ben più mirati, abbiamo Facebook  Whatsapp o Instagram, a seconda dei gusti. ma prima ancora MSN, Badoo e tanti altri siti e App di messaggistica che hanno lentamente modificato il nostro modo di interagire e fare nuove conoscenze. Per i più passionali  questa nuova forma di comunicazione che ha investito la società occidentale viene vissuta come un dramma, per altri invece è stata l’occasione per superare le proprie paure e timidezze riuscendo a fare con più facilità il primo passo nei confronti di una persona per la quale si prova un interesse. Ormai sappiamo benissimo che tutto ciò non è più solo una tendenza, una moda o semplicemente un alternativa, ma è la normalità, il nostro comportamento si è letteralmente modificato. Basti pensare che la prima cosa che ci viene in mente quando vediamo una ragazza o un ragazzo che ci attrae è “come si chiamerà su facebook? “ci sarà un modo  , per trovarlo/a su facebook?” “forse riesco a trovare il suo numero per scrivergli/le su whatsapp”. Innamorarsi sui social oggi non è così difficile,e  sicuramente almeno uno dei vostri più cari amici si trova o si è trovato in passato in questa situazione poiché molti credono nell’ amore a distanza, o meglio, credono nell’amore nato su face book, anche quando, complice la distanza, queste due persone non si sono mai incontrare realmente. ai più titubanti può sembrare assurdo, ai più alternativi può sembrare addirittura “eccitante”, io eviterò di esprimere pareri personali in merito e mi limiterò per quanto possibile a riportare la tragicomica storia che vide come protagonista una mia cara amica all’epoca delle superiori, all’ epoca lei 16enne lui 27enne, due ragazzi come tanti che per qualche coincidenza iniziarono a conoscersi in chat, e parlando, parlando iniziò una vera e propria “relazione”. All’ inizio sembrava tutto filare liscio. Lui, si era invaghito di lei, o meglio, delle sue foto e lei ricambiava le sue attenzioni, insomma, c’era una reciproca attrazione, ma poco dopo qualcosa andò storto, un po’ come quando sei al computer e all’improvviso senza un motivo apparentemente valido compare la scritta “ error something went wrong! “ (errore, qualcosa è andato storto!) generando in lei sensazioni contrastanti accompagnate da memorabili bestemmie. Lui da un lato accusava lei di non essere sufficientemente “dolce” nei suoi confronti, ma di esserlo solamente con altre persone (prove inconfutabili alla mano) a discapito suo, e nonostante lei gli facesse molti complimenti lui voleva di più, mentre lei insisteva a volere da lui solo un amicizia intrappolandolo per sempre nella così detta “ friendzone” come un pesce in una rete. Una storia talmente agghiacciante e profonda che farebbe impallidire anche Moccia, ma l’amore si sa, metaforicamente parlando può essere descritto come una grossa rete che viene lanciata da un pescatore, in un mare dove ci sono molti pesci, in cui anche i più grandi finiscono per rimanere incastrati non riuscendo più a liberarsene, in un primo momento questa rete sembrerà comunque “comoda”, una distesa di filamenti che ci permette comunque di rimanere in acqua, nel nostro habitat naturale, ma ad un certo punto il pescatore tirerà su tutto senza pietà, per farci entrare nella sua barca e infine nel suo piatto mangiandoci ( o se proprio sei uno sfigato anche nelle metafore, ti rivende online come pesce surgelato ) la friendzone può essere descritta così, poiché quando ci finiamo dentro non ce ne rendiamo nemmeno conto perché una donna, come un pescatore li farà adagiare dolcemente nella sua rete facendogli credere che tutto vada bene e che si trovano ancora nel loro habitat naturale, ma quando vi dirà la fatidica frase “ mi dispiace ma ti vedo come un amico “ ormai, già sarete spacciati, come un pesce nella barca di un pescatore che fin quando era in mare si credeva uno squalo ma che poi si è dimostrato un piccolo pesce indifeso davanti al pescatore
Buonanotte, Smilly
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pangeanews · 4 years
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“E l’Onnipotente ha fatto me come suo contrario”: Blake e Cowper, due anime sull’orlo del precipizio, poeti tanto eccelsi da meritarsi il manicomio
Il protagonista eccellente dell’avanguardia della poesia romantica, specchio sulle più eclatanti angosce moderne, ha tentato di uccidersi quattro volte. L’uomo che tentò di darsi la morte e che spianò la via di una nuova parola poetica alla ricerca del sé, è l’uomo in cui (insieme a Milton) William Blake vide Dio “più che nei principi e negli eroi”, sebbene poi sia lo stesso uomo che Blake utilizzò anche come simbolo del suo Spettro. L’uomo in cui il poeta riconobbe Dio è l’uomo che, a sua volta, si sentì rinnegato e dannato da Dio per tutta la vita: e che quindi fu, in effetti, lo Spettro.
Il poeta la cui frattura con Dio, e con gli uomini, fu talmente devastante da fargli tentare il suicidio per quattro volte, scoprì la nuova fragilità dell’uomo rimasto senza punti di riferimento, indagando tra disperazione ed estasi, nuove opportunità, o necessità, di ritrovare interiormente ciò che si era perso all’esterno. Quest’uomo evidenziò, senza saperlo, l’elemento fondante dell’uomo moderno che così tanto si allontanò dall’uomo antico: la ricerca interiore. Proprio quando la necessità di trovare nuovi riferimenti ha creato il modello individualista dell’uomo eroe, che col produrre annienta lo spirito ma domina gli eventi, accade che nello stesso uomo materialista si insinui il tarlo peggiore, il peggior nemico, la sua eterna dannazione, cui il nostro poeta servì da esempio, e monito, con la propria imprescindibile dannazione (mettendoci non solo la faccia, ma la vita): l’introspezione, la ricerca dell’anima, il sottosuolo, e in fin dei conti, la psicologia.
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Esistono diversi ritratti di William Cowper: questo è di George Romney, 1792
William Cowper (1731-1800) è stato un poeta così eccelso da meritarsi il manicomio, almeno due anni per manifesta incapacità di stare nel mondo (soprattutto quello in cui lo costringeva il reverendo padre, metodista) che in effetti pareva l’unico possibile per la salvezza, cosa che il poeta fu certo di non ottenere mai, morendo convinto di essere un dannato. Blake fece dodici ritratti di Cowper, e l’unica incisione esistente di sua madre, morta quando lui aveva sei anni. A questa prima tragedia seguirono molti anni di collegio in cui il poeta fu violentemente bullizzato, e anche se imparò latino e greco, e i classici, ne evinse una sensazione di solitudine e abbandono che non gli avrebbe lasciato scampo, soprattutto in una realtà in cui solitudine e abbandono erano la normalità. Cowper scrisse moltissimo, ma ebbe successo soprattutto, o soltanto, per il suo capolavoro The Task, poema cominciato per una sfida lanciatagli da Lady Austen (con cui ebbe un rapporto estremamente conflittuale), che lo invitò a fare un poema su un “divano”, probabilmente senza ben comprendere chi avesse davanti: quel poema, nato forse da un capriccio, divenne un capolavoro poetico, di sei libri e circa 5000 versi, di cui Blake fece alcune illustrazioni. Questo comunque non bastò all’autore per ottenere l’autosufficienza materiale, né tantomeno per non considerarsi, ed essere da più parti considerato, un fallito.
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I temi più cari a Cowper prendono nel poema la loro forma definitiva: l’arroganza senza senso del mondo, la violenza della schiavitù, la solitudine in cui tutti siamo abbandonati perché il mondo nuovo non la vuole riconoscere; e soprattutto l’insicurezza, la fragilità (che precorreva il dramma di tre secoli di individualismo come panacea di ogni male) di un popolo che con l’Impero aveva perso l’anima – da cui la domanda imprescindibile se fosse possibile non trovarla ma cercarla ancora.
Cowper parla già di consumismo e di nuovi imperi commerciali che si stanno costruendo sul sangue. Non esiste un matrimonio possibile tra industrializzazione e anima, e la sofferenza che ne deriva caratterizzerà ogni uomo che nascerà dopo la grande Sfida di (ri)trovare questa anima – sfida persa, probabilmente, ma costantemente in atto. Man mano che il poema procede, Cowper si allontana dalle città, e da ciò che rappresentano per il suo spirito ormai martoriato, e si rifugia nella natura, sia fisicamente che spiritualmente.
The Task (dal libro 1)
Pochi fiori reggono da soli il vento restando incolumi, ma necessitano del sostegno del puntello liscio e legato con cura. Restano così uniti, come la bellezza alla vecchiaia, per amore, i vivi e i morti. Alcuni rivestono il terreno che li nutre, spargendosi ovunque e crescendo umili, modesti e anche discreti, come la virtù… Tutti invece odiano la marcia società delle erbacce, sgradevole e mai sazia di annientare la terra dilapidata.
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Si è dibattuto a lungo sulla follia di Cowper, come d’altronde su quella di Blake; domandandosi da più parti se essa stesse nel cercare Dio, nell’averlo trovato o non trovato, se fosse inevitabile per esseri spirituali incapaci di rapportarsi alla realtà, o se la necessità di creare, e quindi di posizionare Dio, infine, dentro se stessi, non fosse in fondo l’inevitabile genoma della pazzia: divenendo mania di grandezza in Blake e mania di persecuzione in Cowper.
Blake non ha mai accettato questa domanda: “Tu puoi sinceramente dire che io sono pazzo?”. Non permetteva a nessuno di avere una risposta facile: se non si potevano provare le sue visioni, non si poteva nemmeno provare la sua follia, e mai si scoraggiò, arrivando a cantare, pare, sul letto di morte, inni di gioia e trionfo, ma sentendo sicuramente per tutta la vita, la mano di Dio sulla spalla. Non così fu per Cowper, che di Dio sentiva la maledizione.
Nell’interpretazione di Blake, la psiche umana si suddivide in quattro principi fondanti: Umanità, Emanazione, Ombra e Spettro. Lo Spettro, emanazione di Urizen, è l’incarnazione della ragione che ha perso la spiritualità, dunque della ragione che diventa imposizione, violenza e sopraffazione.
L’uomo caduto ha bisogno del mondo materiale, per frenare la caduta, ma per riconciliarsi con la propria umanità che racchiude l’anima, deve servirsi dell’immaginazione. La vita stessa deve essere una frenata della caduta e il potere immaginativo, Urthona, simbolo anche della donna, è caduto sulla Terra attraverso la “parola”. In Jerusalem, lo Spettro è proprio un calvinista che si sente dannato da Dio ed è destinato a soffrire per sempre. È evidente il richiamo a Cowper e alla sua terribile frattura interiore, così chiara a Blake che lo riteneva accompagnato dagli Spiriti (Angelici) che possono circondare soltanto un uomo di luce, intanto che vedeva la lotta incessante che lui compiva ogni giorno contro il mondo creato da quella razionalità disumana, che lo stava distruggendo.
I venti ululano, mi guidano subdoli scossi dalla tempesta  le vele si strappano aprendo larghi squarci nelle cuciture e la bussola è perduta Giorno dopo giorno, una certa forza contrastante mi costringe più lontano dalla rotta del successo
È la poesia che Cowper negli ultimi anni della sua vita dedicò alla morte della madre, rivelando il terribile dialogo che il poeta si è sempre portato dentro e non ha mai avuto paura di esprimere, un dialogo difficilmente ipotizzabile e profondamente incomprensibile nel suo tempo: quello con sé stesso.
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È dunque davvero la parola la più importante forma spirituale sulla Terra, per i due più importanti poeti pre-romantici?
Né Cartesio, né Hegel hanno affrontato il problema della scrittura. Il luogo di questo combattimento e crisi si chiama diciottesimo secolo – scriverà Jacques Derrida.
Questo concetto si può ampliare, perché il problema della scrittura, aperto in quel secolo e mai sanato, è anche il nuovo problema dello spirito.
Al dilemma interiore Cowper non trova alcuna risposta nella comunità, nella fede condivisa, e tantomeno, da Avvocato, nelle leggi, e in alcun modo nella morale.
La fiammata che stralcia il diciottesimo secolo, e che ancora oggi incombe su di noi, pone la questione se il tentativo di entrare nella vita immaginativa, faccia inevitabilmente impazzire.
La poesia cambia indissolubilmente legata al cambiamento dell’uomo. Entrare nell’immaginario, nel sentire, e cercare lì la risposta a ogni perdita definitivamente compiuta, è elemento imprescindibile dell’avvento del maudit, ma non può ridursi a un’interpretazione di necessaria alienazione.
Fino al diciottesimo secolo l’anima è rimasta un problema appannaggio dei religiosi, mentre ora, proprio per questi uomini, per questi primi poeti alla ricerca di Dio, l’anima è la scoperta del dramma, tutto umano, della ricerca interiore delle certezze perdute. Più lo standard di vita materiale si elevava, più il costo dell’integrità immaginativa e spirituale era alto (Adam Smith parlava già di automi); così, più la disgregazione avveniva inesorabile, più l’interiorità diventava importante, proprio laddove il nuovo eroe materialista e narciso avrebbe dovuto annientarla.
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William Cowper secondo Blake, in una tempera realizzata dopo il 1790, ora alla Manchester Art Gallery
Non si giudichi il Signore con l’umana ragione – scriveva Cowper, da cui l’interrogativo agghiacciante: e dunque, con cosa? La paura della dannazione non è forse la paura del nuovo sistema sociale e il terrore di restarne esclusi, non accolti dal Dio-sistema, trasformatosi in un mostro così cattivo? E quello che introduce Cowper non è forse il più moderno concetto di psicanalisi? Il nuovo eroe si deve imporre sul mondo interiore, che mai era esploso con così tanta potenza.
Nel sottosuolo che Cowper osò esplorare, come ogni degno esploratore, perse la vita. Nel ’700 si fa prepotentemente strada un nuovo concetto di natura, con Cartesio e Locke la natura perde il suo ruolo di grande madre e diventa la culla del meccanicismo.
Nel mondo antico l’introspezione aveva il carattere della confessione, non del conflitto. C’era un equilibrio col mondo esterno, perché c’era equilibrio con la natura; tutto si risolveva nella saggezza, nella virtù, e c’era ben altra accettazione del fato e della morte, considerati elementi imprescindibili, di cui l’uomo non doveva sentirsi padrone, e che per più versi nemmeno temeva, ma solo sereno compagno nelle stesse mani generose della natura.
L’eroismo e la santità erano a loro volta i più degni compagni della morte: il materialismo e la meccanica trasformarono invece, con velocità sorprendente, l’eroe e il santo in coloro che la morte annientano e la natura dominano. La strada verso l’individualismo come nuova potenza divina è irrevocabile: l’eroe della vita spirituale diventerà un folle, al posto del saggio, l’inetto alla vita materiale diventerà il reietto, al posto del santo. Ma l’eroe produttivo nasconderà sempre in sé la fragilità del sentire, dell’immaginare, del cercare, del disperato bisogno di un’anima, che perduta la collocazione, non è possibile ritrovare. Non ci vorrà molto a individuare il nuovo mostro in questa esigenza: la strada per la maledizione dell’uomo moderno e per la paralisi emotiva, così come per la depressione e per la disumanizzazione meccanica, è spianata.
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Cowper, che si sentiva dunque dannato e fallito, giacché non riusciva a trovare la sua posizione all’interno di un contesto sociale che aborriva, e da cui divenne definitivamente terrorizzato, ebbe la forza per momenti di entusiasmo spirituale e contemplativo propri della sua scrittura poetica, quella per cui Blake vedeva l’emanazione divina. Blake rifletterà sempre la propria sofferenza in Cowper, come uomo che crede nell’ispirazione ma sa che l’ispirazione non può essere provata: entrambi, nonostante il successo di The Task per Cowper, saranno sempre trattati con un vago sentore di condiscendenza, e comunque considerati affetti da una follia, che se li faceva scrivere bene, non avrebbe mai permesso loro di essere uomini completi. L’aberrazione era compiuta: a cosa serviva, a quel punto, scrivere bene?
Cowper è profondamente consapevole della pochezza spirituale del mondo in cui vive. Sarà capace di immani slanci poetici e di grande umorismo, così di satira con cui si fa beffe delle meschinità umane, anche se in lui non ci fu mai fatua leggerezza. È un poeta sul ciglio del burrone e ride solo nel momento in cui sta precipitando.
Se Blake rivendicherà il diritto alle proprie visioni, Cowper ne avrà invece orrore e individuerà in esse la conferma delle ragioni del mondo, quelle stesse che lo schiacciava. Non troverà mai Dio nella ragionevolezza, né nei doveri della morale e della fede calvinista, meno ancora nelle imposizioni sociali necessarie per ottenere il gradimento di Dio. Tuttavia, invece che scorgere in questa impossibilità la dinamica dell’errore materiale, si convinse di essere sbagliato lui, cosa che non accadde a Blake, e per cui Blake si rammaricò sempre: era una vera sofferenza per lui accettare che proprio l’uomo circondato di luce, la cui penna si intingeva in quell’anima perduta e per talento ritrovata, non capisse di aver trovato Dio.
Per Cowper il Dio Urizen, la legge cui lui disattendeva, puniva la sua creatività, la stessa creatività in cui Blake era certo si celasse Dio.
L’immaginazione per Blake crea lo stimolo, che genera l’entusiasmo che inibisce la depressione: è qui lo snodo della ragione. A seconda di come si svilupperà il suo rapporto con la creatività, la nostra completezza sarà o meno possibile: per stare bene bisogna avere un entusiasmo, e da qui si può sviluppare l’infinità dell’essere.
Lo Spettro dunque, si portava dentro Dio. Esattamente come l’uomo materiale si porta dentro quello spirituale, come una condanna o una liberazione.
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Vive e lavora un’anima in tutte le cose e quell’anima, è Dio
Scrive così Cowper, proprio lui che trovandola si perde ogni giorno di più.
Lo Spettro infatti consuma, la sfera pratica degrada il valore umano, gli eccessi e le prevaricazioni disumanizzano, il privilegio della ragione narcotizzante non può essere la risposta, le ombre si impossessano del genio romantico, perché gli spettri offuscano la luce.
E in tal senso parla lo Spettro di Blake in Jerusalem:
Ora la mia pena peggiore, impossibile da essere superata, ma che ogni istante accumula e accumula afflizione, accumula per l’eternità! La gioia del Signore è per chi è retto, non per un essere da compatire, che si sente pieno di angoscia,
lui nutre sacrificio e offerta, deliziandosi fra pianti e lacrime, e vestito di santità e solitudine, invece le mie pene avanzano, senza fine e per sempre!
Oh potessi smettere di vivere! Angoscia! Io sono una creatura disperata creata per essere il migliore esempio di orrore e agonia, anche la mia preghiera è vana, ho implorato compassione, compassione derisa misericordia e compassione gettano su di me la pietra tombale  e con ferro e piombo la inchiodano per sempre intorno a me la vita trascorre nel mio struggermi e l’Onnipotente ha fatto me come suo contrario perché io fossi un diavolo completo tutto opposto e per sempre morto conoscendo e vedendo la vita ma senza viverla come potrei vedere e non tremare come potrei essere visto e non aborrito!
E quella stessa disperazione verso un giudice implacabile, verso lo Spettro, nel cui petto avrebbe voluto nascondersi, ma da cui si sentiva respinto senza alcuna pietà, Cowper la scriveva perfino sulle finestre:
Io miserabile! Come potrei scappare dalla infinita collera divina e dall’infinita disperazione se Morte, Terra, Paradiso e Inferno di cui fu amico Dio sono ormai in macerie, quel Dio che giurò che non avrebbe mai aiutato me
*
William Cowper in un ritratto canonico di Lemuel Francis Abbott, 1792
Benché abbia aiutato William Hayley a scrivere la biografia di Cowper, Blake non risparmierà dure critiche verso di lui, da cui si sentì sempre in qualche modo denigrato, e che riteneva non valorizzasse a fondo Cowper. Riteneva che il biografo non vedesse come il poeta consumasse la sua anima nella Profezia, e al contrario cercasse in lui solo una malattia confusa, per cui sarebbe stato necessario che un editore lo prendesse in considerazione per dimostrare che c’era del vero nei suoi stravaganti proclami. Non sopportava che fossero richieste le prove del loro sentire, e voleva che il giudizio delle loro opere fosse lasciato ai posteri.
Sul suo primo attacco depressivo, che avvenne a seguito della necessità di una prova pubblica per entrare alla Camera dei Lord, Cowper scrisse:
Fui vessato da una tale alienazione dello spirito, come nessuno, se non l’ha provata, può nemmeno immaginare. Giorno e notte ero nelle torture; mi addormentavo in preda all’orrore, e mi svegliavo nella disperazione. Poi persi ogni gusto per lo studio, che prima mi pareva così importante, i classici non mi affascinavano più; non potevo più accontentarmi delle distrazioni, avevo bisogno di altro, ma nessuno sapeva dirmi dove trovarlo.
Il nuovo uomo è solo. È la caratteristica che si evince maggiormente dall’alienazione di una ricerca infruttuosa che ancora oggi non trova risposta. Il silenzio di Dio lo annichilisce, Cowper gli chiederà di dirimere il suo dubbio, di spaccargli il cuore se necessario, ma la risposta non arriverà, o almeno, il poeta non la scorge, e morirà convinto della dannazione eterna.
E i diversi giudizi servono solo a rendere evidente che la verità da qualche parte esiste. Se solo sapessimo dove.
I versi sono tratti dalla poesia Hope, lungo poema che illumina, anticipando The Task, i rari momenti di felicità contemplativa del poeta: la luce degli Spiriti, secondo Blake, che soli possono salvare l’uomo; il fallimento materiale che lo faranno dannare per sempre, secondo l’autore. L’immaginazione, che dà accesso all’ideale e al bello, è superiore a ogni altra forma di produzione. Cowper considera il compito dello scrittore, che il mondo potrebbe considerare mera pigrizia, come l’impresa più importante di tutte, perché ha l’ufficio di recuperare e mantenere viva nelle persone la consapevolezza umana, la saggezza. Ma questo sembrava non bastare: fu infatti implacabile nel punire sé stesso, proprio per avere vocato la sua intera vita, a tale compito.
*
Hope è un poema antecedente a The Task che si snoda in più di 700 versi, di cui riporto la mia traduzione della parte iniziale perché la composizione gioca un ruolo fondamentale nell’evidenziare la luce che stralcia lo Spettro nell’anima martoriata di Cowper, che aveva ossessionato Blake proprio per la sua natura divina, e non per la sua così facilmente sbandierata, dai contemporanei, inettitudine, ridotta a una mera esercitazione di follia. In effetti in nessuno dei due poeti ci fu mai propensione verso la maledizione intesa nel senso moderno di auto-distruzione: i tentati suicidi di Cowper restarono sempre senza esito, e che sia stato un caso o meno, è certo che una resistenza alla morte dannata, l’autore la esercitò con determinazione impressionante, attraverso la poesia, dimostrando che in qualche modo entrambi cercavano la salvezza, la luminosità in vita e, appunto, la speranza di una diversità possibile.
Questo poema dimostra quanto Blake avesse ragione; è il luogo dove, se non si incontrarono mai fisicamente, finalmente i due poeti si incontrano interiormente, al cospetto dell’amore, del Dio, della completezza ritrovata, o meglio dell’anima, in quell’antro dello spirito che ne è la più forte emanazione: la poesia.
Hope
E che cos’è la vita umana – replica il saggio abbassando con sconforto gli occhi un doloroso passaggio in un incessante scorrere un vano perseguire inafferrabili falsi beni una recita di illusoria felicità e di accorata preoccupazione che conduce all’oblio nell’oscurità e alla dissolvenza
Il poverino, assuefatto al duro lavoro e all’afflizione, in nessun luogo se non nell’immaginare scene di Arcadia, aveva assaporato la gioia, o percepito il senso del piacere
La ricchezza scivola via di mano in mano come la fortuna, i vizi, o il delirio di poter comandare come quando in una danza,
la coppia che conduce deve inchinarsi e così trionfa la coppia più miserabile allo stesso modo, è mutevole e casuale, il dipanarsi della nostra vita per questo il Paradiso regola i disordinati accadimenti degli uomini e le vicissitudini fanno girare la ruota rimescolando tutto fra le genti
I ricchi diventano poveri, i poveri si fanno orgogliosi della propria ricchezza gli affari sono un lavoro e la debolezza dell’uomo è tale che perfino il piacere diventa un lavoro e ci rende molto stanchi, la sua stessa essenza ne sconsiglia l’abuso siccome la ripetizione lo annoia, e l’età lo smussa
Deploriamo la gioventù dissipata in spreco che nessun sospiro risana nel triste scampolo di vita che resta
I nostri anni, una sfida sterile senza alcun premio, Troppi, ma troppo pochi per renderci saggi.
Dondolando intorno il suo bastone mentre prende il tabacco, Lothario piagnucola: “Che roba filosofica! Come sei lamentoso e debole! Con un cervello inetto, che un tempo non pensava a niente, e ora pensa invano; con un occhio riverso nel pianto su tutto il passato, la cui promessa ti mostra una lunga serie di deprimenti sprechi; se maturasse in te rinuncerebbe al suo fosco regno, e la giovinezza ravviverebbe ancora quella forma, il desiderio rinnovato allieterebbe con altre parole, le gioie sono sempre apprezzate, quando le possiamo raggiungere
Per rialzare la tua testa paralizzata, liberati delle tenebre che pervadono i limiti della tua tomba, guarda la natura gioiosa, come quando per prima cominci con sorrisi a sedurre l’uomo suo ammiratore; al mattino si riversa sulle colline d’Oriente e la Terra scintilla con le gocce che la notte distilla; il sole ubbidiente al suo richiamo appare per diffondere la sua gloria sul vestito che lei indossa; le rive sono agghindate di fiori, i boschetti sono riempiti di suoni allegri, i grani dorati, i prati verdi, le rocce, i terreni che si gonfiano, i torrenti circondati dai salici donano fertilità ai campi fluendo tra le curve ora visibili ora nascosti dall’orizzonte blu, dove cieli e montagne si incontrano, giù fino al manto erboso sotto i tuoi piedi
Diecimila incantesimi, che solo gli sciocchi disprezzano, o che solo l’orgoglio può osservare con occhi indifferenti, tutto parla un’unica lingua, tutto con una sola dolce voce urla al suo regno universale, esulta!
L’uomo sente lo sprone di passioni e desideri, e lei dona immensamente più di quanto lui richieda; non che le sue ore tutte votate all’impegno, portino astinenza all’occhio svuotato e magra disperazione, il disgraziato potrebbe struggersi, mentre per il suo olfatto, gusto e vista, lei contiene in sé un paradiso di esultanza infinita, ma con gentilezza, per rigettare ogni sua assurda paura, e dimostrare che ciò che lei dona lo dona sinceramente, bandendo ogni esitazione e rivelando che la felicità dell’uomo le è cara, ed è il suo unico intento.
Questa tomba è il sogno più assurdo della filosofia, che le intenzioni del Paradiso non siano quelle che appaiono, che solo ombre siano dispensate quaggiù, e la terra non abbia altra realtà che il dolore.
Il poeta distrutto dal mondo, nel mondo poetico si ricompone e trova la felicità, lasciando che la sua insaziata dannazione, avvenga altrove, e in un altro tempo.
Francesca Ricchi
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cucinaconpamela · 7 years
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Cari amici di Cucina Con Pamela in questo articolo ho valuto raccogliere le mie ricette di Halloween che ho già pubblicato per Voi ma che vi ripropongo in questa collezione così da poter regalare un momento goloso e divertente ai vostri bimbi e non solo…
PAN DEI MORTI (Ricetta Rivisitata)
Ingredienti                                                                  
250 g  farina “00”
6          albumi
100 g   amaretti
100 g   savoiardi
100 g   biscotti secchi
60 g     cacao amaro in polvere
300 g   zucchero semolato
1          cucchiaio (abbondante) di cannella in polvere
1          cucchiaino di noce moscata
½         bustina  di lievito in polvere vanigliato
120 g   mandorle sgusciate e pelate
40 g     pinoli
320 g   uvetta essiccata
30 g     zenzero candito (facoltativo)
100 ml Porto (o Vin Santo)
q.b.      zucchero a velo
Procedimento
Con l’ausilio di un mixer frullate separatamente: prima i savoiardi, i biscotti secchi e gli amaretti, dopo di che frullate le mandorle e i pinoli ed infine l’uvetta e lo zenzero candito (il cui risultato dovrà essere una pasta morbida). Se vi piace il gusto pungente dello zenzero, potete aumentarne la quantità. Unite tutti gli ingredienti frullati in una ciotola larga.
Aggiungete poi, il cacao, la cannella, la noce moscata, la farina setacciata con il lievito e lo zucchero.
Versate infine il Porto o il Vin Santo, gli albumi ed impastate il tutto fino ad ottenere un composto liscio e ben amalgamato.
L’impasto dovrà essere corposo e non appiccicoso, se dovesse risultare troppo bagnato, aggiungete un pizzico di farina.
Dividete il composto i pezzature da 100 g ciascuna e realizzate con le mani dei dolcetti con forma ovale di spessore 1 cm circa.
Adagiateli su una placca rivestita con carta da forno, ben distanziati tra loro, ed infornateli alla temperatura di 180°C per circa 25/28 minuti (forno elettrico statico – preriscaldato). Non prolungate troppo la cottura altrimenti i dolcetti perderanno la loro caratteristica fondamentale: la morbidezza. Fateli raffreddare e cospargeteli con zucchero a velo prima di servirli.
FANTASMINI DI MERINGA
Ingredienti per circa 20-25 meringhe
200 g     albumi
400 g     zucchero
150 g     cioccolato fondente
50 g       panna fresca
q.b.       decorazioni di zucchero colorate (perline)
q.b.       colla alimentare
Preparazione della meringa (con procedimento a freddo)
Versate gli albumi nel recipiente della planetaria e cominciate a montarli alla massima velocità. Quando cominciano a schiumare, aggiungere lo zucchero, un cucchiaio alla volta, e montateli fino ad ottenere una crema soda e ben ferma (montateli per circa 20 minuti, se utilizzate delle fruste elettriche, fate una pausa di 1 minuto ogni 5 minuti circa per non surriscaldare l’elettrodomestico). Trasferite l’impasto in una tasca da pasticcere con bocchetta liscia e formate tanti piccoli fantasmini su una teglia rivestita di carta forno. Mettete in forno preriscaldato a 100°C per circa 3 ore (le meringhe devono asciugare in forno, se alzate troppo la temperatura del forno, rischiate che si scuriscano eccessivamente). Passato il tempo di cottura, spegnete il forno e lasciatele freddare in forno per tutta la notte. Preparate la crema al cioccolato facendo sciogliere a bagnomaria il cioccolato fondente sminuzzato finemente con la panna fresca riscaldata. Immergete le meringhe cercando di nappare solo il fondo del dolcetto e mettetele ad indurire su un’apposita gratella leggermente imburrata. Una volta ben asciugati, procedete con l’aggiunta degli “occhi” ai fantasmini. Mettete due punti di colla parallelamente sulla parte alta del dolcetto (all’altezza della “testa” del fantasmino) ed incollate due perline dello stesso colore e tenetele in posizione per qualche minuto per fissarle. Fate attenzione a non eccedere con la colla, altrimenti le perline invece di incollarsi coleranno giù lentamente. Dopo che saranno ben asciugate, potete maneggiarle e metterle in un piatto od un’alzatina per dolci.  Le meringhe farcite si conserveranno per qualche giorno mentre se le realizzerete senza farcitura, dureranno anche diverse settimane, chiuse in un vaso di vetro.
BISCOTTI “ZUCCHE PAUROSE”
Ingredienti per circa 20-25 biscotti (grandi)
370 g     farina “00” con lievito
1            uovo
180 g     burro ammorbidito
230 g     zucchero grezzo di canna
q.b.       zenzero fresco (1 grattugiata)
1            cucchiaio di cannella in polvere
5 g         lievito in polvere vanigliato
q.b.       sale (un pizzico)
3           cucchiai di cacao amaro in polvere
100 ml   latte fresco
200 g     ghiaccia reale (preparato in polvere)
q.b.       acqua fredda
q.b.       colorante alimentare in gel arancione
150 g     cioccolato fondente
50 g       panna fresca
Vi servirà inoltre un taglia-biscotti a forma di zucca (grandi dimensioni)
Procedimento
Lavorate con una frusta in una ciotola larga (o con l’aiuto di un’impastatrice) lo zucchero con il burro fino a quando il composto non diventa soffice e spumoso, aggiungete poi la cannella, lo zenzero sbucciato e grattugiato (non esagerate con la quantità in quanto la radice di zenzero è molto aromatica, lo zenzero in polvere è invece molto meno profumato di quello fresco), il pizzico di sale, il cacao amaro ed amalgamate bene il tutto. Sbattete leggermente l’uovo ed aggiungetelo a filo all’impasto, unite poi la farina con lievito e lavorate bene tutti gli ingredienti, quando l’impasto risulterà liscio ed asciutto, fatene una palla, avvolgetelo nella pellicola e riponetelo in frigorifero per almeno 30 min.
ATTENZIONE: può accadere che, per via della percentuale di componente liquida (se utilizzate un uovo di grandi dimensioni, esso tenderà ad ammorbidire troppo il composto)  l’impasto possa risultare un po’ appiccicoso, in tal caso è sufficiente aggiungere un po’ di farina (q.b.) fino a quando il composto non diventerà più omogeneo ed elastico, esso si dovrà staccare perfettamente dalle mani e dalla ciotola.
Trascorso il tempo di riposo, togliete l’impasto dal frigorifero e stendete una strato di pasta sul piano di lavoro infarinato (spessore 0,5 cm circa). Ora ritagliate i biscotti con un coppapasta a forma di zucca, disponeteli su una placca rivestita con carta da forno ed infornateli a temperatura non molto alta 175/180° C (sul piano medio del forno elettrico) per circa 25 minuti. Mi raccomando controllate che la temperatura del forno non sia troppo alta e che i biscotti non cuociano per troppo tempo altrimenti risulteranno troppo secchi. Quando li sfornerete,  appariranno al tatto ancora morbidi, ma è questo il giusto grado di cottura che gli donerà la friabilità desiderata. Fateli raffreddare bene su una gratella prima di passare alla decorazione.
Preparate la glassa arancione: mescolate il preparato in polvere per ghiaccia reale con l’acqua (circa 25-40 g) seguendo le istruzioni riportate sulla confezione, dovrete ottenere una glassa fluida ma non troppo liquida. Aggiungete qualche goccia di colorante alimentare in gel, a poco a poco, fino ad ottenere la gradazione di colore desiderata. Immergete una “faccia” del biscotto con delicatezza ed eliminate con una spatola la glassa in eccesso. Ripulite i bordi e mettete ad asciugare su una gratella per circa un’ora. Una volta asciutti passate pure alla decorazione con il cioccolato. Sciogliete a bagnomaria il cioccolato fondente con la panna fresca riscaldata e raggiunta una consistenza piuttosto densa, trasferite il composto in un cornetto di carta oppure in una piccola sacca da pasticcere munita di bocchetta liscia e piccola e decorate i biscotti disegnando occhi e bocca. Lasciate asciugare bene prima di maneggiarli.
CUP-CAKE DA BRRR…IVIDI
Ingredienti (20 dolcetti)
Per l’Impasto
200 g farina “00”
170 g cacao amaro in polvere
290 g zucchero semolato (extra-fine)
290 g burro ammorbidito
4 uova
80 ml latte fresco
1 pizzico di sale
1 bustina di lievito vanigliato
Per la Crema al Burro (Arancione)
300 g burro ammorbidito
400 g zucchero a velo
1 bustina di vanillina
3 cucchiai di latte
q.b. colorante alimentare color arancione
Per la Crema al Burro (Cacao)
150 g burro ammorbidito
190 g zucchero a velo
100 g cioccolato fondente
3 cucchiai di latte
2/3 cucchiai di cacao amaro in polvere
Per la Decorazione
q.b. pasta di zucchero colore: nero, giallo, grigio (*), bianco, arancione, verdone, marrone, rosa
q.b. zucchero glitterato nero
q.b. stelline di zucchero verde
q.b. cacao amaro in polvere
(*) io non ho utilizzato la pasta di zucchero grigia, ho miscelato la pasta di zucchero bianca con un pezzetto di pasta nera e così ho ottenuto un bel grigio effetto “marmo”, molto più realistico per la lapide.
Preparazione delle decorazioni (suggerimento: potete prepararle con largo anticipo)
Con la pasta di zucchero realizzate le decorazioni per i cup-cake utilizzando gli ingredienti sopra riportati. Preparate quindi: 5 cappelli da strega, 5 zucche, 5 fantasmini, 5 lapidi e 5 gatti neri. Infine adagiate le decorazioni su un vassoio e lasciate asciugare all’aria. Quando saranno asciutte, riponetene in una scatola di cartone per alimenti, in luogo fresco e lontano dalla luce o fonti di calore fino all’impiego. Lo zucchero glitterato nero ed il cacao amaro vi serviranno per spolverizzare la crema al burro.
Preparazione della base cup-cake
Miscelate e passate al setaccio: la farina, il lievito, il pizzico di sale ed il cacao amaro. In una planetaria montate lo zucchero con il burro, aggiungete le uova (a temperatura ambiente) una alla volta, avendo cura di unire un cucchiaio di miscela di farina e cacao per ogni uovo fino al completo assorbimento, aggiungete poi il latte ed il resto di miscela di farina e cacao fino a quando gli ingredienti non risultino ben amalgamati tra loro. Ora rivestite gli stampi da cup-cake con i pirottini di carta e riempiteli per ¾ con il composto. Infornate in forno preriscaldato (elettrico) alla temperatura di 180°C per circa 20/25 min. Sfornate i dolcetti e lasciateli raffreddare su di una gratella.
Procedimento per la preparazione della crema di burro (arancione)
Con l’aiuto della planetaria (o delle fruste elettriche) cominciate a montare il burro con lo zucchero a velo e la vanillina fino ad ottenere un composto spumoso. Dopo di che aggiungete il colorante alimentare arancione: fate attenzione con il colorante, procedete goccia a goccia fino a raggiungere la tonalità di colore desiderata. Amalgamate bene il tutto e mettete a rapprendere in frigorifero (fino a quando la glassa non risulti ben soda).
Procedimento per la preparazione della crema di burro (cacao)
Fondete a bagnomaria il cioccolato e lasciate raffreddare.
Con l’aiuto della planetaria (o delle fruste elettriche) cominciate a montare il burro con lo zucchero a velo fino ad ottenere un composto spumoso. Dopo di che aggiungete il cioccolato fuso raffreddato e il cacao amaro. Amalgamate bene il tutto e mettete a rapprendere in frigorifero (fino a quando la glassa non risulti ben soda).
Decorate i dolcetti
Riempite 2 tasche da pasticcere (bocchetta media dentellata) una con la crema al burro arancione ed l’altra con quella al cacao). Decorate metà cupcake con la crema arancione (realizzate la classica decorazione “a spirale”) e l’altra metà dei cup-cake, con quella al cacao (realizzate una decorazione “a ciuffetti”).
Cospargete i cup-cake con la crema arancione con lo zucchero glitterato nero mentre i cup-cake con la crema al cacao spolverizzateli di cacao amaro (per creare l’effetto “terra”. Decorate poi come segue:
5 cup-cake con crema al burro arancione con i cappelli da strega,
5 cup-cake con crema al burro arancione con i fantasmi,
5 cup-cake con crema al burro al cacao con la zucca
5 cup-cake con crema al burro al cacao con la lapide ed il gatto nero (vi consiglio di inserire uno stuzzicadenti nel centro della lapide ed infilatela nel cup-cake per fissarla meglio).
BUON HALLOWEEN A TUTTI!!! 
SPECIALE HALLOWEEN: Dolcetto o Scherzetto?….Dolcetto!! Cari amici di Cucina Con Pamela in questo articolo ho valuto raccogliere le mie ricette di Halloween che ho già pubblicato per Voi ma che vi ripropongo in questa collezione così da poter regalare un momento goloso e divertente ai vostri bimbi e non solo...
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