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lamilanomagazine · 21 days
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Modena, controlli dei carabinieri sul territorio: due arresti e due denunce
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Modena, controlli dei carabinieri sul territorio: due arresti e due denunce Nella giornata di mercoledì 8 maggio, i militari del Comando Provinciale di Modena sono stati impegnati in attività di contrasto alla commissione di reati. I Carabinieri della Sezione Radiomobile della Compagnia di Modena, impegnati in controllo di persone e veicoli, fermavano un cittadino 26enne di origini nordafricane che, al fine di eludere l’identificazione, iniziava a scalciare gli operanti per darsi alla fuga. Bloccato grazie all’utilizzo dello spray urticante in dotazione, opponeva ulteriore resistenza liberandosi di un pacchetto che infilava in un tombino stradale di deflusso acqueo. L’involucro, recuperato in parte, celava ancora residui di hashish e analoga sostanza veniva trovata a bordo del veicolo dell’interessato, che veniva deferito in stato di libertà alla Procura della Repubblica per resistenza e violenza a Pubblico Ufficiale e segnalato al Prefetto quale assuntore di droghe. Sempre a Modena i Carabinieri del medesimo reparto, nel procedere al controllo del rispetto degli obblighi di un cittadino marocchino 21enne sottoposto agli arresti domiciliari, incontravano l’attiva resistenza fisica del soggetto, che con urla e minacce cercava di proibire l’operato dei militari. Il giovane veniva tratto in arresto per resistenza e minaccia a Pubblico Ufficiale e nella mattinata odierna è stata condotto innanzi al Giudice del Tribunale di Modena che, dopo aver convalidato l’arresto, ha disposto per l’uomo il prosieguo della detenzione domiciliare. Una pattuglia dell’Aliquota Radiomobile della Compagnia di Pavullo nel Frignano procedeva, in quel centro abitato, al fermo e controllo del veicolo condotto da un italiano di 63 anni, rilevando che il mezzo era stato rubato a Sestola nella pubblica via. L’interessato veniva pertanto denunciato all’Autorità Giudiziaria di Modena per ricettazione, mentre l’autovettura veniva restituita all’avente diritto, ancora ignaro del patito furto. I Carabinieri di Fiorano Modenese eseguivano, in quel centro, un’ordinanza di misura cautelare in carcere nei confronti di un 60enne, già destinatario del divieto di avvicinamento alla persona offesa. L’uomo, dopo aver più volte trasgredito i dettami del provvedimento, veniva segnalato dai militari alla Procura della Repubblica anche ai fini dell’aggravamento della misura, che veniva concesso dal Giudice ed eseguito nella mattinata.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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musicmaniacposts · 6 years
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Bon dia, maco!
Ti scrivo qui, tanto non mi leggi comunque, ma magari questo post ti arriva nel feed, vai a sapere. Volevo dirti che oggi, lavorando al parco a Parma prima di un appuntamento di lavoro, ho visto una coppia con una chitarra e un bimbo che potremmo essere benissimo io e te tra qualche anno, se non fosse che prima mi dimentico di te, meglio è.
Mi sono trasferita a Bologna; me lo avevi ripetuto un paio di volte che sono più nomade di te e mi veniva da ridere pensando che avremmo potuto trovare un posto dove fermarci insieme, magari tra qualche anno, sempre per il discorso del possibile bambino, bambina, chitarra, cani e gatti di cui sopra. Mi veniva da ridere per un sacco di altre cose che sparavi, ma tutto quel ridere si è trasformato in un silenzio incazzato che forse era meglio ridere di meno e parlare di più, forse, eh.
Mi sono trasferita spesso in giro per l’Italia e l’Europa, ma mai d’estate, me ne sono resa conto l’altro giorno. Mi spostavo sempre con maniche lunghe e scarponi, adesso è la prima volta che trasloco in infradito e canottiera e non è stato spiacevole per nulla, sudore a parte; ma amo l’estate, ci sono abituata a sudare come un maialotto. I momenti di cambiamento come questo mi elettrizzano e mi terrorizzano allo stesso momento e mi fanno pensare un po’ troppo spesso a chi vorrei avere accanto per ricevere un po’ di sostegno o che vorrei semplicemente poter invitare a venirmi a trovare per fare un po’ i guiri e un po’ i local insieme, fingendo che sia la normalità e non una parentesi di un fine settimana.
Non sono giornate facilissime, ma a parte essere tornata a sentire Tiziano Ferro a ripetizione in modalità salvagente, sono riuscita anche a cantare di nuovo le canzoni che canti tu senza rivoltarti contro i tuoi avi, il che è comunque un passo avanti, nonostante tutto. Ogni trasferimento è un ritorno all’indipendenza con i suoi pro e contro: dopo mesi in cui sono tornata a dormire nella stanza di quando avevo 14 anni adesso torno a essere responsabile dei miei spazi e degli spazi in comune, insieme a un pezzo di cuore che dai tempi dell’università si sorbisce anche tutte le tue canzoni e ancora non mi ha presa a sberle.
Insomma, lo ammetto, ho sfiorato un paio di volte il tuo profilo su Whatsapp, con la tentazione di invitarti a Bologna, come se nulla fosse, come se non fossi sparito nel nulla da cinque mesi, come se ci stessimo ancora sentendo e come se non avessi capito che non te n’è mai fregato un cazzo.La vera domanda è “ma per quale motivo stai scrivendo sto papiello per qualcuno che non lo leggerà, che se lo leggerà non ci capirà una mazza, per qualcuno che dovresti semplicemente archiviare tra gli esperimenti andati male?”. La risposta è che lo sto scrivendo per me, l’ho sempre fatto e sempre lo farò: quando si dice che scrivere è catartico non è una sciocchezza new age, anzi. È una delle verità più profonde e utili dell’evoluzione dell’essere umano in tutte le sue sfaccettature, perlomeno per quel che mi riguarda. Ho sempre scritto lettere che non sono state (quasi) mai lette dai destinatari perché il vero interlocutore sono io, chi deve cambiare idea sono io e forse, a furia di scriverlo, riesco a convincermi. In passato mi è servito, in questo momento sento che mi servirebbe tantissimo una seduta dal mio Dottore per la mia Signorina, ma quello è un capitolo chiuso e quindi eccomi a scriverti in maniera quasi epistolare, con il coraggio di parlarti che non ho mai avuto al 100%, ma che avrò eccome quando capiterà che ci rivedremo.
Perché ci rivedremo, figurati se te la faccio passare liscia. Mi spiace davvero perché pensavo fossi diverso, ma la cosa positiva è che ho avuto l’ennesima conferma che nessuno è mai davvero all’altezza delle aspettative che ci facciamo. In queste giornate in cui mi sento più fragile faccio finta di essere più forte che mai; mi ammazzo di cose da fare per crollare sul letto appena poggio la testa sul cuscino e cercare di non pensarti, ma è inutile visto che poi la maggior parte di quello che mi circonda mi rimanda con la mente a te. Potevi non scatenare tutta l’ira repressa che mi ritrovo adesso in corpo, e invece no... così come anche io potevo farmi gli affari miei, ma stupidamente pensavo di essermeli fatti.Insomma, niente invito a Bologna, ma pensa che ti sogno ancora e in ogni benedetto sogno trovi il modo di farti perdonare.Pensa che stupida.
Bologna, mi affido a te. 
Aiutami tu. 
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pangeanews · 4 years
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E tu, vuoi amare o essere amato? La domanda smisurata
Quando ci penso, penso a un tunnel tra gli alberi, cosparso di lucciole. Di giorno quel cunicolo, di fianco a un santuario, nel sottosuolo di Romagna, in una terra ancora calda d’aratura, non dice nulla: è passaggio tra l’edificio sacro e i campi. Se sei attento, ti accorgi dell’ideogramma che formano i rami, intrecciandosi, e poco altro, la bellezza è avara. Di notte, però, quel cunicolo diventa uno spettacolo, il cinema, un tunnel cosparso di lucciole. Sono ovunque, concentrate in quel luogo buio: sembra di volteggiare nel cosmo, senza casco. Sembra che la vestigia del sacro, di giorno evidente nel santuario, si sia spostata qui; le lucciole formano una specie di corpo santo. Quando penso a Inoue Yasushi penso alle lucciole, in quel tunnel di alberi, canne, liane, in prossimità del tempio. Un lettore sbadato potrebbe trattarlo con noncuranza – Yasushi è come le lucciole, devi attendere l’ora giusta, il momento adatto perché ti sorprendano, accese. L’ultimo libro di Yasushi è stato pubblicato da Skira nel 2016, Morte di un maestro del Tè – in origine, il libro è edito nel 1981, è stato tratto un film di Ken Kumai con Toshiro Mifune, vincitore del Leone d’argento a Venezia, nel 1989: neanche il riferimento cinematografico ha giovato alla vita editoriale di Yasushi in Italia.
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Nato nel 1907, da ragazzo, Yasushi era un ottimo atleta nell’arte del Judo, è diventato giornalista. Ha esordito alla letteratura a 42 anni, con un capolavoro, Il fucile da caccia, che gli ha concesso, nel 1950, il Premio Akutagawa; ha scritto moltissimo, compresa una biografia romanzata di Gengis Khan, tradotta in francese e in inglese, e una di Confucio. Il talento di Yasushi fu indubitabile, da subito: nel 1964, come La montagna Hira, Bompiani pubblica tre racconti – La lotta dei tori, Il fucile da caccia e quello che dà il titolo al libro – affidandoli ad Atsuko Suga Ricca, già traduttrice di Kawabata e Tanizaki. Evidentemente, il libro non ebbe successo: non si è tradotto altri prima che Spirali, nel 1985, editasse Ricordi di mia madre, poi ripreso da Feltrinelli, nel 1991. Ora Yasushi è pubblicato da Skira e da Adelphi, che predilige la vena nostalgica di un autore capace, anche, di toni lirici, epici.
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Nei libri di Yasushi è lampante la mancanza – un vuoto ricco di specchi, e privo di redenzione. Il maestro del tè deve uccidersi, e con lui muore il segreto della sua arte; in Ricordi di mia madre il genitore svanisce nella demenza, la memoria si caria; in Amore l’amato è sempre incompreso, fino al desiderio di morte (o all’incontro inatteso); in Vita di un falsario il tema è l’identità, lo stile, il significato di un talento (se so riprodurre le opere mirabili di un altro, vivo la sua stessa vita?, dissanguo la sua anima?). Yasushi è uno scrittore sottile: comincia, con un chiodo di vetro, a ferirti i polpastrelli, il sangue è invisibile, pare vento, poi ti trovi, finita la lettura, scorticato, con le ossa della schiena esposte, come strazianti ex voto. Così, Il fucile da caccia è un libro nitido, cauto, all’apparenza, dalla struttura perfetta (tre lettere inviate dal destinatario a un altro, ignaro, il narratore), da studiare. Eppure, il marchingegno del caos – per tutti, l’amore è una fossa bianca, affollata di tensioni, tentennamenti, tradimenti – ferisce. “Tempo fa un giornale riportava che in pieno deserto della Siria era stato trovato un ragazzo nudo che viveva insieme a un branco di antilopi. La sua fotografia era di una bellezza indescrivibile… Dopo aver visto quel ragazzo, qualunque uomo mi appare ordinario e terribilmente noioso”. L’inesorabilità di questa frase – ottusa, come tutto ciò che non ha ritorno –, frutto di una immaginazione ‘culturale’, del culto dell’insolito e del selvatico, ustiona. Perché? Perché quando tocchi qualcosa che non puoi avere, una irraggiungibile origine, sei sconfitto.
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Sconfinato, piuttosto, è il discorso sull’amare. Il brano che ho ricalcato me l’ha ricordato un sapiente, a cui non è ignota la scala del paradiso, la prateria dove i morti ruminano rancore, il racconto degli altri mondi. Ha citato Yasushi, lo avevo nello zaino, mi ha letto questa pagina, ghiacciandomi. Nel Vangelo di Giovanni, Gesù risorge e chiede tre volte a Pietro, “Mi ami?” (Gv 21, 15-17); questa triplice richiesta è assordante, ben più del triplice tradimento di Pietro. Forse Gesù insegna, con la stessa potenza dei ferri che gli hanno bucato mani e piedi, che l’uomo deve amare e non altro è chiesto. Amato da Dio, deve scegliere di amare. “Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici” (Gv 15, 13). Negli altri Vangeli si parla poco di amore, perché Gesù si dà alle fauci della Croce – non specula d’amore, muore. La domanda cruda, cruciale, che pone Yasushi, e tu, vuoi amare o essere amata?, pinza le labbra, non ha soluzione né assoluzione. C’è chi solleva e chi è sollevato, chi dona sollievo e chi pretende. Le lucciole, in questo caso, sono piccole fiamme, i denti fosforescenti del serpente – si vive, senza antidoto. (d.b.)
***
Amare, essere amato… come sono tristi le azioni umane. Quando ero al secondo o al terzo anno del liceo femminile, durante un esame di inglese, vennero fuori alcune domande sulla forma attiva e passiva dei verbi. Colpire, essere colpito; guardare, essere guardato… mischiati tra tanti verbi come questi, ce n’erano due che emanavano una luce speciale: amare, essere amato. Mentre guardavamo con attenzione le domande leccando le matite, a un certo punto da dietro le spalle mi arrivò un bigliettino che qualcuno aveva fatto girare per gioco. Guardai, c’erano scritte due domande: “Vuoi amare?”, “Vuoi essere amata?”. E sotto la frase “Vuoi essere amata?”, scritti con l’inchiostro o con la matita blu e rossa, c’erano molti cerchietti mentre nella colonna del “Vuoi amare?” non c’era nemmeno il più piccolo segno di adesione. Anch’io non feci eccezione e aggiunsi il mio cerchietto sotto “Vuoi essere amata?”. Perfino le ragazze di sedici, diciassette anni, che capiscono ben poco di cosa quelle parole “amare”, “essere amato” possono significare, intuiscono già per istinto che la felicità sta nel fatto di essere amate.
Solo la ragazza seduta accanto a me, quando le passai il biglietto, vi diede una rapida occhiata e subito, a colpo sicuro, con un deciso tratto di matita tracciò un grande cerchio nella colonna bianca ignorata da tutte le altre. Lei voleva amare. Ricordo ancora chiaramente che provai allo stesso tempo antipatia per quella compagna priva di mezze misure, e disorientamento per essere stata colta di sorpresa. La ragazza era un tipo insignificante, dall’aria malinconica, e i suoi voti non erano particolarmente alti. Non ho idea di come sarà diventata da grande quella ragazza dai capelli un po’ rossastri sempre sola, ma chissà perché, dopo più di vent’anni, mentre scrivo questa lettera, i lineamenti del suo viso mi tornano chiari alla mente.
Quando, giunte alla fine della loro vita, serenamente distese, volgeranno il loro viso al muto della morte, tra la donna che ha goduto appieno della felicità di essere amata e la donna che può dire di avere avuto poche gioie ma di avere amato, a quale delle due Dio vorrà concedere il tranquillo riposo? Ed esiste, in questo mondo, una donna che possa dire davanti a Dio: “Io ho amato”? Sì, sono sicura che esiste. Forse la ragazza dai capelli sottili crescendo è diventata una di quelle poche elette. Avrà magari i capelli in disordine, il corpo segnato dalle ferite, gli abiti a brandelli, ma potrà dire a testa alta, con fierezza: “Io ho amato”. Es esalare l’ultimo respiro.
Inoue Yasushi
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locuslocus · 5 years
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Citofono
Le persone che sorridevano poi al citofono, o al telefono, ma ancor più al citofono, quel ritrovarsi a parlare con qualcuno che eri felice di sentire e allora sorridevi, ignaro di sorridere senza essere visto dal destinatario, e allora intanto passavo io, un passante qualsiasi, che ti vedeva sorridere, rimanendo a sua volta soddisfatto e quasi sorridente davanti a un qualcuno impegnato a…
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dorianpavlov-blog · 7 years
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                    ┊ 𝖢𝖺𝗆𝖾 𝖻𝖺𝖼𝗄 ;                          ➘                    — 𝐻𝑜𝓈𝓅𝒾𝓉𝒶𝓁, 𝒮𝑒𝑜𝓊𝓁, 𝒮𝑜𝓊𝓉𝒽 𝒦𝑜𝓇𝑒𝒶                       ( 𝟤𝟫.𝟢𝟧.𝟤𝟢𝟣𝟩 / 𝟤𝟤:𝟦𝟧 )                                                                                                         Uno stato comatoso a far da gabbia, in un limbo sospeso tra la vita e la morte; una dannazione, un tunnel la cui uscita pareva troppo lontana per poter essere raggiunta; una gabbia la cui forma mutava troppo rapidamente, quasi non fosse altro se non un labirinto maledetto dalle pareti stregate.
Inevitabilmente, sembrava esser destinato a non poter trovare la pace, seppur non l'avesse mai realmente cercata, desiderata. Il percorso alle sue spalle s'era dissolto nel nulla spazzato via da una folata di vento, negandogli persino di tornare indietro, di tornare a vivere, di tornare. La sua mente aveva creato l'inferno perfetto, plasmandolo affinchè gli calzasse a pennello. I suoi piedi erano appantanati nel fango di quell'incoscienza perenne; bloccato in sabbie mobili troppo torbide per potersene liberare — non che lui avesse provato a farlo, dopotutto. Si lasciava semplicemente cullare da quell'acqua fredda, tagliente; acqua che perforava i suoi polmoni svuotandoli di ogni minima traccia d'ossigeno. Acqua, l'unica, che sembrava averlo accompagnato per quel lasso di tempo indefinito. Sprofondava senza sosta, senza fine, iniziando a chiedersi se di quel fiume vi fosse una fine, una profondità celata a cui giungere. Un fiume, esattamente come quello in cui sarebbe dovuto morire, un anno addietro, insieme alla sua nemesi, Novomir; eppure, per qualche astruso motivo, lui era ancora vivo, o quasi. Quell'acqua era ovunque, tutta intorno — il corpo era sospeso, quasi sembrava si trovasse nello spazio la cui forza di gravità si annulla; Dorian appariva come una foglia cullata dal vento nella sua discesa verso il freddo asfalto. Persino i suoi indumenti non ne erano immuni: la t-shirt bianca pareva aleggiare nel vuoto di quelle profonde acque. Le braccia aperte, ad accoglierne ulteriormente; le palpebre alzate a mo' di sipario su quelle scene mute, sbiadite, che si susseguivano nello scuro ambiente circostante. Sagome di persone i cui volti apparivano familiari, ma non abbastanza per poterli identificare. Il capo che si volgeva verso esse il necessario per poterne scrutare le vicende.
Parve nascere qualcosa nei suoi occhi vuoti quando l'ennessima immagine si palesò a lui; un guizzo di malinconia incompresa, nient'altro. Le luci dei lampioni incorniciavano quella strada semi-deserta, fatta eccezione per un'esile figura che siedeva su di una panchina. Al di sotto un pacco che non attendeva altro se non di giungere al suo destinatario — colui che senza preavviso ben presto sarebbe dovuto giungere, seppur i patti fossero stati decisamente diversi; ma sarebbe realmente arrivato, in quel ricordo alterato? Il tempo sembrava scorrere con una rapidità disarmante, senza che quel giovane ragazzo si muovesse dalla panchina, in attesa.
‹‹ Questa opale bianca continuerà ad aspettare la sua opale nera. Sono proprio qui. Non mi vedi? ››
L'inizio di una storia, la nascita indesiderata di sentimenti contrastanti, sentimenti non voluti eppure reali quanto il suo stato di incoscienza. Erano ancora lì, assopiti, li percepiva dormienti sotto la sua stessa pelle.
‹‹  Torna da me, Dorian. ››
La morsa al suo petto fu asfissiante: percepiva quel ricordo così vivido, vicino; quella voce ovattata e lontana ma al tempo stesso presente, era intorno a lui, nella sua mente oppressa, nella sua anima. La mano destra, inevitabilmente, si allungò verso quella figura familiare, quasi volesse – potesse – catturarla ed imprigionarla in un pugno. Eppure più cercava di avvicinarsi più essa s'allontanava, apparendo del tutto irraggiungibile.
‵ ‵  Non posso ‵ ‵  mimarono le sue labbra mute.
Poi, il ricordo si disperse nei meandri di quel lago, dissolvendosi poco a poco, dando quasi l'impressione che la mente lo rigettasse una volta e per tutte sino a quando di esso non ne sarebbe rimasto più nulla. Desiderava dimenticare, ignaro che in seguito se ne sarebbe amaramente pentito. L'espressione sul suo volto non era mutata affatto, però; appariva fredda, piatta, priva di emozione, quasi non ne potesse provare alcuna. Gli erano state strappate via, insieme alla sua vita.
Ecco di nuovo quel bambino, spesso protagonista di quella successione d'immagini — sorrideva, era felice, lo si poteva leggere sul suo volto dai tratti palesemente asiatici. Rincorreva una donna dai lunghi capelli pece; si trovavano nei pressi di un lago, le loro risate prive di suono, catturate in un istante di mera felicità. Sulla riva una tovaglia, adagiato al di sopra un cestino da picnic e delle canne da pesca. Il bambino cadde estasiato sull'erba bagnata dalla rugiada, al termine di quella breve corsa; visibilmente stanco, eppure felice. Venne raggiunto dalla donna, che gli si stese affianco — l'espressione di chi amava profondamente quella creatura a cui aveva dato la vita.
‹‹ Ti voglio bene. Voglio soltanto il meglio per te, Dorian. Non permetterei mai che ti accadesse qualcosa di male. ››
A dispetto delle parole da ella proferite, lo scenario iniziò a mutare innumerevoli volte, seppur i protagonisti di quella storia fossero gli stessi. Dorian, semplicemente, stava rivivendo la sua intera esistenza da spettatore, anno dopo anno, cambiamento dopo cambiamento.
Adesso siedevano insieme ad un pianoforte, mentre ella mostrava al bambino la sua più grande passione. E poi in un vasto salotto, tra le mani dei microfoni, nel mentre che si dilettavano in canti sconnessi, giocosi. Seppur il tempo segnasse il volto stanco della donna, ella pareva avesse sempre la stessa luce negli occhi; continuava ad amare quella creatura, in un modo totalmente puro, senza eguali.
Così tante scene, da poter essere impossibile star dietro ad ognuna di esse per quanto correvano veloci. Piccoli frammenti di quel passato bastarono, però, per comprendere quanto fossero profondamente legati, totalmente inseparabili. Eppure all'apice della gioia scaturita da quel rapporto unico, tutto mutò, prese una piega amara, dolorosa. Non v'era più luce, nel ricordo successivo; quella stessa donna dalla lunga e liscia chioma pece adesso era immobile su di un freddo pavimento, il corpo incorniciato dal suo stesso sangue. Situata ai piedi di una sedia su cui siedeva quel bambino ormai divenuto un adolescente.
‹‹ Hai mai trovato la pace dopo ciò che mi è successo? Guardami, figlio mio. Guarda dove l'ingordigia di tuo padre ci ha condotti. E se puoi, perdonami. E se puoi, perdonati. ››
Infinito tormento, il suo — la punizione divina per tutti gli atti terribili commessi; rivivere quei fugaci momenti di mera gioia o estremo dolore in un loop senza fine e al tempo stesso morire molteplici volte, tante quante le vite da lui stroncate. Il sangue e le urla dettate dal dolore, spesso, albergavano in quei brandelli di memoria ormai frammentata. Rimembrava il tempo trascorso in quello scantinato dapprima come vittima, successivamente da aguzzino. Erano le scene che disprezzava maggiormente, persino in quelle circostanze.
Ogni qual volta Novomir faceva capolino in quelle immagini frammentate, sapeva bene quali fossero le sue colpe. Ad ogni ferita che egli gli infliggeva, tanto era alto il dolore, quanto il disprezzo sproporzionato che gli montava nel petto con potenza. Percepiva come se la sua pelle venisse nuovamente dilaniata come in passato, lo stesso era per la sensazione che i polsi fossero ancora legati a quella sedia.
‹‹ Decidi chi vuoi essere, figliolo; la vittima o il carnefice? È semplice. ››
Una domanda che per anni gli venne posta quotidianamente, da quel demone tentatore. Eppure l'aveva declinata così tante volte da esserne nauseato; quel giorno, però, in cui la sua mente cedette, il suo destino fu segnato per sempre. Vendette l'anima e dovette poi convivere con quel peso, quel macigno per il resto dei suoi giorni. La sua più grande colpa, quella per cui non si sarebbe mai perdonato. Quel giorno divenne l'uomo che era, l'uomo che disprezzava più di ogni altra cosa.
‹‹ Non è colpa tua, tesoro mio. Non avevi scelta. ››
Fu la voce soave di sua madre a catturare successivamente la sua più totale attenzione. Lo sguardo, lento e vacuo, si volse nella direzione della figura che s'era ormai palesata a lui. Esterna a qualsiasi ricordo, la donna, nel pieno della sua bellezza, si lasciava abbracciare dall'acqua, nel medesimo modo di Dorian.
‹‹ Smettila di tormentarti, non meriti tutto questo. Non meriti di morire in questo modo. ››
Era lì, poteva scrutarla in ogni suo minimo particolare; nonostante ciò, non allungò la mano nella sua direzione, quasi temesse che ella potesse sparire da un momento all'altro.
‵ ‵  È colpa mia ‵ ‵ , biascicò semplicemente, in risposta.
Ella sorrise; un sorriso luminoso che le piegò dolcemente le labbra. Con quella lucentezza negli occhi che gli ricordò il modo in cui lo guardava da bambino, ogni qual volta erano insieme. Per la prima volta, dopo quel lungo lasso di tempo, percepì i polmoni lottare per ottenere dell'agognato ossigeno.
‹‹ È come quand'eri bambino; quante volte ti rifugiavi nella casa sull'albero, non appena erravi? Ma ero sempre io che venivo a prenderti, ricordi? Non aspettavi nessun altro; volevi soltanto me. Ero l'unica che sapeva calmarti e tranquillizzarti. Anche adesso che sei un uomo, la situazione è la medesima. Hai un cuore buono, seppur traboccante di rimorsi e peccati. Tu non hai davvero intenzione di continuare in questo modo. Il tuo animo è sempre stato quello di un guerriero, non demordi mai così facilmente. Errare è umano, tutti hanno le proprie colpe. Anche io. Il segreto sta nel non permettere che esse ti portino a fondo. Quindi cosa aspetti? Nuota. Nuota per i valori che ti ho insegnato; nuota per la tua vita. Nuota, figlio mio. Nuota e riprenditi le redini di questo destino. ››
Quelle parole toccarono corde nel suo animo che nessuno di quei ricordi era riuscito a raggiungere. Parve risvegliarsi dallo stato catatonico in cui era finito, Dorian; ascoltò le parole di sua madre e ribaltò la situazione spingendo il suo corpo verso l'alto. Prima i piedi, poi le braccia iniziarono a muoversi insieme ad essi, nuotando. Il corpo sembrò aver reagito d'istinto, senza che la mente impartisse effettivamente alcun ordine. In sottofondo la voce di sua madre che continuava ad incitarlo, sino a quando non iniziò a divenire attutita, lontana. Differentemente quelle in superficie man mano parevano sempre più nitide, chiare, comprensibili.
‹‹ Vivrò attraverso di te, figlio mio. ››
Furono le ultime parole che udì proferire dalla madre, prima che di essa restasse soltanto un mero ricordo. Quell'ascesa fu lenta, ardua; l'acqua tutto d'un tratto divenne pesante, difficile da dividere con il suo intero corpo che cercava disperatamente di ritrovare la strada per la vita. Intorno a sé molteplici immagini, ennesimi frammenti del passato che sembravano volerlo raggiungerlo e tornare ad imprigionarlo in quell'inferno mentale. Fu quando vide una sagoma particolarmente familiare, che il suo sguardo deviò: un uomo; sorrideva, seppur il corpo fosse insanguinato in diversi punti, la sua espressione era carica di sofferenza. L'osservava con amorevolezza mista a compassione. Dorian sentì l'ennesima morsa allo stomaco. Lo riconobbe; non poteva che essere lui, suo zio. Lo vide l'attimo prima di giungere al traguardo, poi l'uomo sparì e tutto intorno a sé mutò.
Colui che giunse in superficie abbandonò in quelle acque ogni ricordo vissuto ripetute volte.   Colui che aprì gli occhi tornò alla vita, ma di essa non aveva alcuna memoria.
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