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#antonello trombadori
bagnabraghe · 7 months
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Sin dal novembre 1943 l'organizzazione miltare comunista stabilisce la costituzione a Roma dei Gruppi di Azione Patriottica
Una vista su Roma. Foto: R. G. 2 novembre [1943]La polizia tedesca irrompe [a Roma] nei locali di via Catanzaro 1, dove, nel negozio di fioraio di Agostino Raponi <104, aveva sede il Comando della Va Zona dei partigiani comunisti. I partigiani, tra cui Enrico Socrate, riescono a fuggire. Raponi per non fare arrestare la moglie e la figlia, esce dal nascondiglio in cui aveva cercato scampo e si…
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bigarella · 7 months
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Sin dal novembre 1943 l'organizzazione miltare comunista stabilisce la costituzione a Roma dei Gruppi di Azione Patriottica
Una vista su Roma. Foto: R. G. 2 novembre [1943]La polizia tedesca irrompe [a Roma] nei locali di via Catanzaro 1, dove, nel negozio di fioraio di Agostino Raponi <104, aveva sede il Comando della Va Zona dei partigiani comunisti. I partigiani, tra cui Enrico Socrate, riescono a fuggire. Raponi per non fare arrestare la moglie e la figlia, esce dal nascondiglio in cui aveva cercato scampo e si…
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agrpress-blog · 3 months
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Con il titolo “Memorie di acqua e colore”, la Galleria della Tartaruga di Marco Pezzali presso la Libreria Eli, in viale Somalia, 50/a, rende omaggio all’artista russo Vladimir Khasiev, scomparso nel 2022, inaugurando a Roma sabato 3 febbraio alle ore 18:00, una mostra di suoi acquerelli su carta nei quali la precisione della visone di scorci urbani e paesaggistici è espressa attraverso una cromia dai toni caldi, ricca di effetti di luce che esalta i valori espressivi dei luoghi. Nato nel 1947 a San Pietroburgo dove ha frequentato, laureandosi nel 1973, l’Accademia d’Arte e Design della Facoltà di Architettura d’Interni, Vladimir Khasiev nel 1981 si trasferisce in Italia e si stabilisce a Roma dove, nel 1982, allestisce la sua prima mostra personale, ricevendo un ottimo commento del critico Antonello Trombadori. Entrato in rapporto con l’Associazione Nazionale Acquarellisti d’Italia, partecipa, su invito, a rassegne nazionali e internazionali ottenendo significativi riconoscimenti per la capacità di rinnovarne il linguaggio, attualizzandolo, attraverso i suoi luminosi acquerelli. Tra questi, nel 1986 il premio internazionale di acquerello intitolato a “Villa Borghese”, svoltosi nel complesso monumentale di San Michele a Ripa. Seguono numerose e ampie esposizioni sia in gallerie private che in musei o Istituzioni pubbliche (tra le quali la rassegna curata dall’Università degli Studi di Roma – Tor Vergata a Villa Mondragone e quelle ai Musei Civici di Albano e alle Scuderie Aldobrandini di Frascati) a Roma, Venezia, Firenze. Vladimir Khasiev, per giudizio unanime, è inserito nel solco della consolidata tradizione degli artisti stranieri che, affascinati dall’unicità e dall’essenza del paesaggio italiano, giunsero in Italia nel corso dei secoli passati per seguire le vie del ‘Grand-Tour’ e per interpretarne le eterne bellezze. Come ha notato Cinzia Virno, Khasiev, che è stato anche socio onorario dell’Associazione Romana Acquarellisti, “per la tecnica e per i soggetti è certamente il naturale erede dei pittori dell’Associazione acquarellistica romana, nata nel 1875 e del successivo gruppo dei XXV della Campagna Romana, primi fra tutti Ettore Roesler Franz ed Onorato Carlandi.” Apprezzato dalla critica e dal pubblico, sia in Italia che negli altri paesi europei, per la poesia e la dolcezza dei suoi acquarelli di suggestivi luoghi e scorci del paesaggio romano e laziale, ha diretto due scuole di acquarello, una a Roma l’altra a Ciampino, dove risiedeva. La mostra, allestita a cura di Luciana Spernanzoni Khasiev e Marco Pezzali, resta aperta, con orario feriale, fino al 14 febbraio dalle 10:00 alle 13:00 e dalle 16:00 alle 19:30. (Nella foto, Piazza del Pantheon)
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iltrombadore · 8 months
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"Il patriota, il partigiano e il "sogno di una cosa": una biografia ragionata di mio padre Antonello Trombadori
di Duccio Trombadori
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Nella primavera del 2007 su iniziativa del sindaco Walter Veltroni il Comune di Roma intitolò un viale di Villa Borghese alla memoria di Antonello Trombadori. La toponomastica allora mi pregò di indicare i titoli che intendevo far incidere sulla lapide che ne portava il nome: “poeta, critico d’arte, uomo politico”, tagliai corto. E così fu. 
Oggi però a quasi vent’anni di distanza mi pento di non aver aggiunto il termine “patriota” quale richiamo al ruolo assolto da mio padre nella Resistenza romana (settembre 1943-giugno 1944) che gli valse una medaglia d’argento al valore militare. 
Ricordo ancora non senza rimorso un addolorato Rosario (Sasà) Bentivegna  - altro decorato dei Gap a Roma- quando, non senza  rammarico, mi fece notare la mancanza. 
Pensavo esagerasse, tanto era implicito l’ abito antifascista che onora la vita di mio padre. Ma Sasà aveva pienamente ragione. 
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Vedo più chiaro oggi quello che allora mi  sfuggì: era    la questione del “patriottismo” quale identità morale sofferta e controversa, rappresentativa di tutta una generazione di uomini e donne (padri e madri per me;  nonni e bisnonni, per i più giovani) che si formarono nel pieno delle illusorie mitologie nazionaliste e imperialiste, passarono il setaccio della guerra fascista, della umiliante sconfitta, della occupazione nazista e trovarono poi nella resistenza partigiana un riscatto morale per la guerra di Liberazione nazionale da combattere a fianco degli eserciti alleati. 
Della drammatica esperienza di questa generazione di italiani, forse l’ ultima coinvolta e motivata dal compimento civile di motivi ideali risorgimentali, mio padre Antonello fu un emblematico testimone e interprete. 
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“Risorgimentale” in senso analogico fu l’ animo del militante garibaldino; “risorgimentale” fu la radicalità di parte, lo spirito di sacrificio volontario che formò i ranghi della Resistenza; “risorgimentale” fu l’idea di restituire alla Patria umiliata e offesa una nuova unità morale e civile.
 Si spiega anche così l’ adesione al comunismo (il PCI di Togliatti) dell’ animoso patriota,  giovane inquieto di quegli anni difficili,  a complemento dell’ indole  di un carattere votato all’ azione, un’ impronta psicologica  che lo accompagnerà lungo l’ intensa e multiforme esperienza di vita distribuita tra l’ attività politica, la critica d’ arte,  la battaglia delle idee, il giornalismo, il cinema e la poesia.
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Giunto quasi al termine di una meticolosa e appassionata ricerca che lo ha impegnato a riassumere le tracce di un ritratto biografico, Mirko Bettozzi - giovane generoso che non si arrende al quasi procurato oblìo della memoria della Resistenza, e per questo ha già scritto un bel ricordo di Mario Fiorentini, “ultimo gappista”- si è più volte incontrato con me dopo avere consultato i documenti disponibili a partire da quelli lasciati da Antonello Trombadori ed oggi custoditi presso l’archivio della Fondazione Quadriennale di Roma.
 A lavoro quasi compiuto, l’autore ha pensato in un primo momento di sigillare il libro con un titolo -“Il comunista critico”, o giù di lì-  che forse non era inesatto ma che mi appariva piuttosto anodino e probabilmente fuorviante la particolarità di una trattazione non corrispondente a un vero e proprio saggio di storiografia politica.
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Una volta richiesto di un parere, gli consigliai perciò di evitare quella soluzione proprio perché l’argomento del “comunista critico” rischiava di ridurre l’ originalità di un lavoro più incline a figurare un carattere,  una fisionomia imbevuta dello spirito del tempo  che va ben oltre i vincoli dell’ ideologia e travalica le tematiche di partito. 
In effetti l’ adesione militante di mio padre a quel singolare organismo  che fu il PCI, ossatura politica costituente della democrazia italiana nata dalla Resistenza, non poteva rendere pienamente conto del “puzzle” intellettuale, morale e civile che rispecchia il  suo complesso profilo umano. 
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Era semmai più vero il contrario. Bisognava forse partire dalla formazione familiare, dalle radici sociali e culturali, dalle amicizie nate sui banchi di scuola, e da tant’ altra esperienza vissuta di natura pre-politica per comprendere meglio i tratti di una scelta di vita ( da “rivoluzionario professionale”, si diceva) segnata dalla permanente inquietudine, dalla tensione a spendere ogni energia per la “causa giusta”, e la pulsione a “prendere partito” volta per volta, spesso controcorrente, pagandone il prezzo dovuto. 
Tale in uomini come Trombadori fu il carattere predominante. 
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Ragionando allora  su quale fosse il titolo migliore per la sua narrazione, la parola “partigiano” a un certo punto comparve e prese quota nella riflessione di Bettozzi fino ad emergere quasi naturalmente dal computo delle diverse varianti esaminate. 
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A guardar bene, da qualsiasi punto di vista e in qualsiasi circostanza  la si osservasse, la figura di Antonello rispondeva quasi sempre all’ emblema del “partigiano”, in senso più generale:  partigiano, egli fu tale  non solo durante la Resistenza, ma in ogni occasione della vita pubblica e privata, sul piano degli schieramenti politici, culturali, esistenziali e così via. Meditando su questo singolare metabolismo psicologico, alla fine Bettozzi ha ricavato il titolo generale –“Un eterno partigiano”- che a me pare molto persuasivo e ben ritagliato a misura della ricerca. 
Non a caso nel ritratto prevale una sorta di adesione simpatetica dell’ autore all’oggetto della sua narrazione: dove le oscillazioni e le vicissitudini dell’ intellettuale organico del PCI, quale Trombadori fu fin quasi alla fine (ricordo il doloroso distacco dal comunismo, testimoniato proprio al culmine dell’esistenza) non contano tanto per quel che valsero nella vita pubblica italiana, quanto come contrassegno di una esuberante natura individuale pronta a battersi per la bandiera ritenuta giusta ma anche per rimettere sempre in questione sé stessa. 
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Bettozzi ha prescelto alcuni episodi centrali: tra questi la lotta partigiana contro i tedeschi, l’impegno per l’ arte realista, in pittura e nel cinema, la campagna per la pace in Vietnam, la particolare sensibilità verso la Chiesa del dialogo e del Concilio vaticano II . 
Di fronte al mosaico dai mille tasselli in cui si è risolta l’ attività di mio padre (la poesia in dialetto romanesco e in lingua italiana, la critica cinematografica, l’ attività politica e parlamentare, ecc…) non tutto è stato possibile riassumere e approfondire, né tantomeno Bettozzi ha preteso di offrire una versione storiografica esaustiva e sistematica.
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 Nel presentare la materia trattata egli ha avuto piuttosto il merito di cogliere un certo ritmo psicologico, che sembra condividere a tal punto fino a riconoscersi in esso, quasi per vocazione, quasi spontaneamente.  Il narratore diventa lo specchio di un’ anima il cui tratto fondamentale corrisponde all’ irrisolta ansia di chiarezza dell’ uomo laico moderno ( vedi la “freischwebende Intelligenz” di Mannheim) 
che insegue incessante il “ filo da disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità” (Montale, “I limoni”). 
 
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Questo spirito disperato  ma combattivo, questo temperamento “montaliano” tipico degli anni formativi (siamo nel pieno degli anni Trenta) portò a suo tempo Trombadori a riconoscersi nelle inquietudini dei giovani insofferenti la dittatura, a partire dal mondo antifascista per giungere all’ acquisita “verità marxista” e a quel comunismo che tracciò il corso principale della sua esistenza. 
 L’ emblematico “sentire partigiano”, che punta all’ azione politica come urgente prova di  verità, Trombadori  lo condivise con la parte più sensibile della sua generazione, penso al gruppo romano (intellettuali liberal-socialisti e filo-comunisti) tanto bene descritto da Albertina Vittoria: da Paolo Alatri a Bruno Zevi, da Carlo Muscetta a Mario Alicata da Pietro Ingrao a Lucio Lombardo Radice, da Antonio Amendola a Paolo Bufalini e tanti altri personaggi che hanno distinto la cultura e la politica italiana nella  democrazia “post-borghese” del secondo dopoguerra. 
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Una simile posizione morale accompagnò il “partigiano” Trombadori fino all’ età avanzata, quella delle amare disillusioni riguardo al socialismo sovietico, ma anche  del rilancio di nuovi traguardi di verità da conseguire per il futuro dei valori democratici e socialisti. Rivelatrice è in proposito la chiusa malinconicamente filosofica del poemetto (pubblicato nel 1998 in “Foglie perse”, per l’Associazione Amici di Villa Strohl-fern)  in memoria dell’ amico dirigente del PCI Mario Alicata che per  analoga “ansia di verità”  divenne anch’ egli intellettuale organico:
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“…Adesso sei,
forse come io solo ti conobbi
atrocemente intatto e lacerato,
ritornato al momento in cui Guttuso
ti dipinse ventenne, scapigliato:
fu allora che con Marx scoprivamo,
nella lettera a Ruge,"Il nostro motto
deve essere dunque: riforma 
della coscienza 
non per mezzo di dogmi, ma mediante
l'analisi della coscienza
non chiara a se stessa, o si presenti
sotto forma religiosa o politica.
Apparirà allora che il mondo
da lungo tempo ha il sogno d'una cosa…" 
La citazione di Marx -che tra l’altro fa non a caso da epigrafe al romanzo di Pasolini, “Il sogno di una cosa”- rivela di quale pasta spirituale fossero  gli uomini come Antonello Trombadori e spiega perché egli spese la vita nella partigianeria, scontando  illusioni ed errori, sempre pronto però a rivederli in nome della verità. 
Bisogna perciò  rendere grazie a Mirko Bettozzi per avere realizzato un ritratto che ha il merito di fare emergere, dall’attivismo proteiforme di mio padre, un filo di continuità che ne illumina le ragioni di fondo:  corrispondere alla leggenda di Prometeo (il gigante punito da Zeus per aver portato l’uomo a conoscere il fuoco) quale metafora del coraggio di chi sfida gli dèi per liberare l’umanità dai dogmi che la opprimono. Così, ripensato in chiave libertaria, anche il “sogno di una cosa” che animò Antonello può tornare di lampante attualità.  
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missviolet1847 · 5 years
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Nel  1944, in un’estiva Roma “città aperta”, Antonello Trombadori allestisce la rassegna “L’arte contro la barbarie”; vi partecipa Renato Guttuso con la sua reinterpretazione delle Fucilazioni del 3 maggio di Goya, ma anche gli altri intervenuti rileggono opere d’arte del passato: Mirko restituisce in chiave contadina La Marseillaise di François Rude; Mafai rifà La libertà che guida il popolo di Delacroix; Turcato, La difesa di Pietroburgo di Deineka e Rambaldi ripropone il Marat assassinato di David.
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biosorphikos · 5 years
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1. Ritratto d'autore Osvaldo Licini from lukaam on Vimeo.
Ritratto d'autore. Edizione speciale dedicata ad Osvaldo Licini. I maestri dell'arte italiana del '900, programma di Franco Simongini. Testo e presentazione di Antonello Trombadori. Intervento critico di Giuseppe Marchiori. Regia di Sergio Miniussi.
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fioralbafiore · 3 years
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21 aprile nasce Rossano Vittori
21 aprile nasce Rossano Vittori
Rossano Vittori è nato nel 1950 a Livorno, dove vive. Ha pubblicato le raccolte di poesia La volta dei dadi (Giardini, 1986), Il viaggio (con litografie di Antonio Vinciguerra e presentazione di Antonello Trombadori, Angeli, 1989), Colloquio coi personaggi (ritratti poetici di grandi artisti, Assessorato alla Cultura Comune di Livorno, 1992), Passeggiando nel tempo (Edizioni del Leone, 2004), Il…
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giancarlonicoli · 4 years
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17 ago 2020 15:31
MATTI DA SLEGARE – COSA È RIMASTO DI FRANCO BASAGLIA, A QUARANT’ANNI DALLA MORTE DELLO PSICHIATRA CHE LOTTÒ PER LA CHIUSURA DEI MANICOMI, QUEI GIRONI INFERNALI DOVE BIMBI E ADULTI ASPETTAVANO DI MORIRE TRA PUZZA DI FECI, PISCIO E SPORCIZIA? - NEL MOMENTO CHIAVE IN CUI LA RIFORMA AVREBBE DOVUTO ESSER MESSA IN PRATICA, IL DOTTORE MORÌ. COSA AVREBBE FATTO? LA PROSPETTIVA PER CHI USCIVA DA UN OSPEDALE PSICHIATRICO ERA IL NULLA O IL MANICOMIO CRIMINALE E DI LÌ A POCO...
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Antonio Stella per il Corriere della Sera"
Che cos' è rimasto, del «Dottore dei matti»? Sono passati quarant' anni dal calvario dell'agosto 1980 in cui Franco Basaglia si spense fiato dopo fiato, incurabile, nella sua casa nel sestiere di San Marco il giorno 29. «Tantissimi lo hanno letto, tanti lo hanno conosciuto, tanti lo hanno amato e tanti lo hanno anche odiato, perché in maniera semplice, bonaria, ironica questo veneziano aveva ribaltato un mondo», scrisse «Lotta Continua». Ribaltato come? Nel modo giusto o sbagliato? Polemiche roventi. Nel mondo intero. Per decenni. Con diffusi rimpianti per come era «prima».
Uno solo, però, può essere il punto di partenza per cercare di capire: che cos' erano i manicomi. «Colà stavansi rinchiusi, ed indistintamente ammucchiati, i maniaci i dementi i furiosi i melanconici. Alcuni di loro sopra poca paglia e sudicia distesi, i più sulla nuda terra. Molti eran del tutto ignudi, varj coperti di cenci, altri in ischifosi stracci avvolti; e tutti a modo di bestie catenati, e di fastidiosi insetti ricolmi, e fame, e sete, e freddo, e caldo, e scherni, e strazj, e battiture pativano», scriveva nel 1824 (come ricorderà Leonardo Sciascia sul «Corriere») l'illuminato palermitano Pietro Pisani.
Solo residui medievali? No. Un secolo e mezzo dopo, nel 1971, il verbale dell'ispezione della Commissione d'inchiesta al Santa Maria della Pietà di Roma spiega: «Ci sono bambini legati con i piedi ai termosifoni o ai tubi dell'acqua, scalzi, seminudi, sdraiati per terra come bestioline incapaci di difendersi, sporchi di feci, dovunque un lezzo insopportabile». «Non esistevano limiti d'età per il ricovero in manicomio: era sufficiente un certificato medico in cui si dichiarava che il bambino era pericoloso per sé o per gli altri», si legge nel web-doc Matti per sempre di Maria Gabriella Lanza e Daniela Sala.
«Dal 1913 al 1974 nel manicomio di Roma sono stati internati 293 bambini con meno di 4 anni e 2.468 minori tra i 5 e i 14 anni. In tutto 2.761 piccoli». Tre lustri ancora e il «Corriere» pubblica un reportage di Felice Cavallaro sull'Ospedale psichiatrico di Reggio Calabria: «Dormono con la schiena che sfiora il pavimento. Sprofondano giù perché le reti sono bucate al centro, corrose dalla pipì che con gli anni ha sciolto la maglia metallica. I materassi sono ormai sfoglie di gommapiuma sudicia. Di lenzuola nemmeno a parlarne. Puzzano anche le coperte. Tutto emana il fetore della morte in queste camerate dove quattrocento persone aspettano la fine come fossero animali».
È il 1987. La chiusura di quei gironi d'inferno è già stata decisa, sulla carta, da una decina di anni. Eppure troppe infamie, insopportabilmente troppe, sono rimaste come prima. Nel plumbeo mutismo sociale denunciato quasi un secolo prima da Anton Cechov ne L'uva spina : «Evidentemente l'uomo felice si sente bene solo perché i disgraziati portano il loro fardello in silenzio, e senza questo silenzio la felicità sarebbe impossibile. È un'ipnosi generale». Occhio non vede, cuore non duole, scandalo non urla.
È questo silenzio assordante a venire fracassato da Franco Basaglia. Nato a Venezia nel 1924, laureato nel 1949, specializzato in malattie mentali nel '52, l'anno dopo sposa Franca Ongaro, che gli darà due figli e sarà la compagna di mille battaglie. Frustrato dall'accademia («Direi che tutto l'apprendimento reale avviene fuori dall'università. (...). Io sono entrato nell'università tre volte e per tre volte sono stato cacciato», racconterà in una delle Conferenze brasiliane ), si immerge nel primo manicomio a Gorizia nel 1962: «C'erano cinquecento internati, ma nessuna persona». Ovunque «vi era un odore simbolico di merda».
Uno spazio nero dal quale trasse l'«intenzione ferma di distruggere quella istituzione. Non era un problema personale, era la certezza che l'istituzione era completamente assurda, che serviva solamente allo psichiatra che lì lavorava per percepire lo stipendio alla fine del mese». Guerra totale: «L'università, da quando io mi sono laureato, ha protetto in maniera reazionaria e fascista gli ospedali psichiatrici.
Non si è mai levata una voce, se non nei congressi, a dire che bisogna cambiare questa legge, ma nessun professore universitario si è sporcato una mano all'interno dei manicomi. Il professore universitario ha sempre avuto le mani pulite, amministrando l'insegnamento davanti ai letti d'ospedale, dicendo: questo è schizofrenico, questo è maniaco, questo è isterico».
Era insopportabile, agli occhi di chi veniva ferito da quei giudizi. Ribelle. Martellante. Cocciuto. Eppure, lavorando ventre a terra a Gorizia, Colorno, Trieste e Roma, scrivendo uno dopo l'altro, da solo o con Franca, libri ovunque amatissimi o contestatissimi, tenendo conferenze da Berlino a São Paulo, sfondando in tv con una celebre intervista di Sergio Zavoli («Le interessa più il malato o la malattia?», «Decisamente il malato»), riuscì in pochi anni febbrili a mettere in crisi l'idea del manicomio in mezzo mondo e a spingere il Parlamento italiano a cancellare le norme stravecchie del 1903 e votare il 13 maggio 1978 (cinque giorni dopo l'uccisione di Aldo Moro...) la «sua» legge 180.
Stesa materialmente dallo psichiatra e deputato democristiano, Bruno Orsini, e incardinata sulla chiusura (progressiva) dei manicomi e la cura dei pazienti non più «detenuti» in realtà il più possibile piccole e aperte.
Il tutto nel nome di un'idea: «Io non so cosa sia la follia. Può essere tutto o niente. È una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia». Un'utopia. Generosa ma irrealizzabile, quindi pericolosa, saltarono su gli avversari. Su tutti lo psichiatra e scrittore Mario Tobino: «Giunge voce, si viene a sapere che diversi malati, dimessi dai manicomi, spinti fuori nel mondo, nella società, per guarire, come proclamano i novatori, per inserirsi sono già in galera, in prigione, arrestati per atti che hanno commesso. Nessuno più li proteggeva, li consigliava, gli impediva. Nessuno li manteneva con amorevolezza e fermezza, li conduceva per mano lungo la loro possibile strada. Ed ora precipitano, si apre per loro il manicomio criminale. La follia non c'è, non esiste, deriva dalla società. Evviva!».
E il dubbio su quella legge inquietò via via perfino molti che l'avevano definita «sacrosanta». Come il deputato e poeta comunista Antonello Trombadori. Che in una sofferta intervista a Giampiero Mughini raccontò la sua tragedia personale: «Non sono in grado di soccorrere la persona che più amo al mondo». La figlia disabile: «La 180 prevede due soluzioni per chi soffre di mente: o il nulla o il manicomio criminale, riservato a quelli che ammazzano».
Era disperato, Trombadori. E furente coi «fanatici khomeinisti» che secondo lui difendevano l'«intangibilità» della legge: «Io dubito che Franco Basaglia, se fosse ancora vivo, approverebbe il loro operato. Forse direbbe, come già aveva fatto Marx, " Je ne suis pas basaglien "». Questo è il nodo. Nel momento chiave in cui la riforma avrebbe dovuto esser messa in pratica, il «Dottore dei matti» (titolo della biografia di Oreste Pivetta), non c'era più.
Cosa avrebbe detto? Cosa avrebbe fatto? «Certo non avrebbe accettato che quella svolta fosse tradita», mastica amaro Peppe Dell'Acqua, discepolo e amico: «Lui aveva fatto proposte precise, suggerito soluzioni, indicato percorsi pratici. La stessa chiusura dei manicomi non fu affatto immediata. Di rinvio in rinvio arrivò vent' anni dopo. C'era tutto il tempo per fare le cose per bene. E qua e là sono state anche fatte. Ma dov' era lo Stato? Dov' erano le Regioni?
Dov' erano le aziende sanitarie?» La risposta è nel dossier della Commissione parlamentare d'inchiesta sul Servizio sanitario nazionale del 2010. Spiegava il presidente, Ignazio Marino: «Se chi è internato in un ospedale psichiatrico giudiziario è lì per essere curato, abbiamo trovato un fallimento totale. In media possiamo calcolare che ciascun paziente abbia contatti con uno psichiatra per meno di un'ora al mese...». Dalla svolta erano già passati trent' anni.
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magauda · 6 years
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Miliziano a riposo (ritratto di Antonello Trombadori)    Renato Guttuso · 1937
Fonte: WikiArt
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movies-derekwinnert · 7 years
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Brief Season [Una Breve Stagione] *** (1969, Christopher Jones, Pia Degermark, Antonello Trombadori) - Classic Movie Review 4850
Brief Season [Una Breve Stagione] *** (1969, Christopher Jones, Pia Degermark, Antonello Trombadori) – Classic Movie Review 4850
Co-writer/ director Renato Castellani’s 1969 Italian film reunites Christopher Jones and Pia Degermark, the glamorous young stars of The Looking Glass War (1969), who became friends in real life.
Jones plays Johnny, a rebellious, fun-loving young American, who works as a stockbroker in Rome where he meet and falls in love with a Swedish girl Luisa (Degermark), who works as a simultaneous…
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tangocontirofisso · 5 years
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Il Foglio, 22 ottobre 2019
Che cosa avrebbe scritto oggi Sciascia di Salvini, di Grillo e del cretino di sinistra?
A ricordarmi che sono passati ben trent’anni da quando s’è spenta la voce di Leonardo Sciascia, una voce che era assieme uno atto di stile letterario e un atto morale, c’è voluto che mi arrivasse via mail un comunicato dell’Associazione Amici di Leonardo Sciascia. Trent’anni fa. Caso volle che a darmi la notizia, quella mattina, fosse Antonello Trombadori, la medaglia d’argento al valor militare della Resistenza che di Sciascia era stato amicissimo e talvolta complice intellettuale. Né mai dimenticherò una cena in un ristorante milanese in cui eravamo tutti e tre, Sciascia Antonello e io – due siciliani e un siciliano ad honorem quale Antonello (figlio di un pittore siciliano) –, a chiacchierare di dannate cose italiane recenti e meno recenti.
Trent’anni da quando s’è spenta la voce di Leonardo, quel suo stare al di fuori di tutto e di tutti pur stando addentro a ognuna delle cose che conta nella topografia del nostro vivere civile. Stare al di fuori delle congreghe editoriali, delle verità da quattro soldi seppur diffuse, delle apparentemente irrinunciabili correnti alla moda del pensare pubblico, delle giaculatorie dei Professionisti del Bene, dei continui e apodittici riferimenti all’“esser di sinistra” o all’“esser fascisti”. Fascista Matteo Salvini? Ma non diciamo sciocchezze. Lo fosse, sarebbe tutto più facile. Più facile contrastarlo, più facile sgambettarlo, più facile parare la riuscita plebea ma non soltanto plebea del salvinismo e dei suoi addentellati anche giornalistici e intellettuali (chiamiamoli così). E invece ci troviamo di fronte a una tragedia nazionale inedita, a cominciare dal fatto che uno dei protagonisti della storia italiana dell’ultimo Novecento, Silvio Berlusconi o comunque quel che resta della sua insegna, si è fatto risucchiare dall’adunata oceanica dei sostenitori di Salvini e di Giorgia Meloni. È questa la “destra” italiana del Terzo millennio, quelli che ce l’hanno a morte con Fabio Fazio e con alcune centinaia di poveri sciagurati eruttati dai drammi del continente africano e sempre che prima non muoiano annegati? Da piangere. 
Che ne avrebbe scritto Sciascia se fosse vivo? Che ne avrebbe scritto lui che era aguzzo su tutti e su tutto, lui che non perdonava nulla al “cretino di sinistra” di cui nei primi anni Sessanta era stato il primo a intravederne la nascita? Che avrebbe scritto di queste miserevoli geremiadi partitanti se sì o no aumentare di qualche euro alcune aliquote Iva, e laddove il nostro paese non ha più i soldi di che fare le manutenzioni le più necessarie in una città/vetrina come Roma? E che avrebbe scritto di Beppe Grillo, il quale vorrebbe togliere il voto a noi che abbiamo i capelli bianchi e dunque non abbiamo sufficientemente a cuore il destino del paese dato che siamo lì lì per stramazzare di vecchiaia? A Grillo, e ammesso che ne valga la pena, vorrei offrire il ritratto di me stesso ventenne, di uno che all’Università faceva spaventose concioni a favore del Bene e contro i Cattivi, per poi tornare a casa dove mia madre mi faceva trovare gli spaghetti bell’e pronti sul piatto. E invece adesso che sono “un quasi ottantenne” come mi ha definito un pensatore di rara eleganza quale Vittorio Sgarbi, sono invece uno che la domenica monta su un treno e va a guadagnarsi la pagnotta su cui pagherà il 50 per cento di tasse. Non proprio uno che se ne strainfischia del suo paese.
E a proposito di chi evade le tasse e chi non le evade, lo sapete vero che il 12 per cento degli italiani paga il 58 per cento delle tasse complessivamente incassate dall’Agenzia delle Entrate. Trovereste immorale, lo ha già scritto su queste pagine Stefano Cingolani, che qualcuno di quelli che stanno nel fatidico 12 cento di italiani tentasse di sottrarre qualche dindino ai colpi cruenti dell’ascia fiscale? Evasori e tartassati, era il titolo di un meritorio libro del grande economista Giorgio Fuà di ben 40 anni fa. C’è chi evade e c’è chi viene massacrato dal fisco. Un libro che potresti rileggere oggi avendone l’impressione che è stato scritto ieri mattina.
GIAMPIERO MUGHINI
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iltrombadore · 9 months
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Roma 1949: quando Picasso fece il ritratto di Rita Pisano, la "jeune fille de Calabre"...
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Nel catalogo dell' opera di Picasso compilato da Christian Zervos compare un disegno intitolato 'Jeune fille de Calabre' firmato e datato il 30 Ottobre 1949. La 'jeune fille' è Rita Pisano (1926-1984), comunista, antesignana del movimento femminile nel Mezzogiorno, che poi fu sindaco del PCI del suo paese Pedace, dal 1964 fino alla prematura scomparsa.
Lo sguardo di Picasso si concentrò sul volto di Rita a Roma durante una cena da Piperno a Monte Cenci, cui partecipavano, con Picasso, Antonello Trombadori, Renato Guttuso, Mario Alicata, Ernesto Treccani, Giulio Einaudi, Giuseppe De Santis e altri.
C' era appena stata una grande manifestazione dei Partigiani della Pace (infuriava la 'guerra fredda') cui la Pisano era stata delegata dopo avere guidato lo sciopero delle raccoglitrici di castagne di Malito ed avere subito gli arresti della polizia di Scelba.
In Parlamento si votava per l'adesione italiana alla NATO. Lo scontro politico era molto aspro, l'opposizione dei partiti della sinistra aveva coinvolto l'intero Paese.
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Il giorno prima, il 29 ottobre, a Melissa la polizia aveva sparato sui contadini che reclamavano la terra del fondo Fragalà (restarono assassinati Francesco Nigro, Giovanni Zito e Angelina Mauro).
A un certo punto della cena, Carlo Muscetta suggerì a Picasso l'idea di un ritratto della giovane 'paesana calabrese'...e Antonello Trombadori, nel rievocare l'episodio su "Repubblica" («Zavattini, Picasso e noi nel '49») ricorda che "fu lì che, presa carta e matita, egli disegnò lo splendente volto di Rita Pisano...".
Il disegno, infine, lo prese Carlo Muscetta (è ancora nella sua collezione privata) e fu poi pubblicato in copertina di una edizione Einaudi che egli curò di un libro di Vincenzo Padula ('Persone in Calabria') .
Antonello Trombadori, più malizioso, la mise così: '...Carlo Muscetta fu il più lesto degli altri commensali, appena Picasso l'ebbe terminato l'afferrò senza che gli fosse opposto un rifiuto... Intanto Pablo scherzava con Cesare Zavattini sui molti modi, secondo lui, di essere ladri di biciclette, tanto che all'uscita fece più volte e in diversa guisa l'atto di afferrarne una sulla soglia del vicino meccanico ciclista e un fotografo riprese la scena del simulato furto con Giulio Einaudi che in veste di guardia ferma il ladro Picasso...».
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jgmail · 5 years
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El Amblimoron antifascista
"el peor producto del fascismo fue el antifascismo democrático" Amadeo Bordiga El oxymoron, figura retórica que consiste en unir en una unica frase a dos palabras que expresan conceptos contrarios, es, como revela la etimología griega, una "locura aguda" (oxy moron). Como ejemplos del oxymoron, el Diccionario de la lengua italiana de Devoto-Oli, edición 2000-2001, cita expresiones como "hielo caliente" o "convergencia paralela". Sin embargo, hay casos en los que la combinación de los dos términos de sentido opuesto representa, a diferencia del oxymoron, una locura que no es en absoluto aguda, sino que es, al contrario, una determinación embotada, por eso se podría crear para tal caso un neologismo: el amblimoron (ambly moron), la "locura embotada". Así en la categoría del amblimoron se podrían guardar sintagmas como "antifascismo antiimpérialista", "antiimperialismo antifascista", "antifascismo y antiimperialismo", "antifascista y antiimpérialista," etc.
Expresiones como éstas se pusieron a circular recientemente, después de que a alguno se le ocurrio la idea de organizar, en apoyo a Irak, una manifestación sin prejuicios ideológicos, de la que nadie debía ser excluido por su orientación política. Inmediatamente resultó escandaloso, a algunos, que no se haya fijado, por la antedicha iniciativa, la condición indispensable y necesaria de profesar la fe antifascista para para tener el derecho a manifestar. Por ello se comenzó a decir y escribir que una manifestación políticamente ortodoxa de apoyo de Irak debía ser, al mismo tiempo, "antiimpérialista y antifascista". Que la combinación de los dos conceptos representa una contradicción es para nosotros manifiesta. Pero, para otros, no lo es en absoluto y por lo tanto es necesario demostrarlo, con pruebas en mano. El joven Marx ya había definido a Estados Unidos como el "país de la emancipación política realizada", así como como "el ejemplo más perfecto del Estado moderno", capaz de garantizar la soberanía de la burguesía sin excluir a las otras clases del disfrute de los derechos políticos y como una de las naciones mas progresistas de la epoca. Una crítica marxista observó que "en los Estados Unidos la discriminación censitaria toma una forma racial", por eso "se puede percibir una determinada indulgencia" de Marx respecto al sistema de Estados Unidos, mientras que "la actitud de Engels se desequilibra aún más en sentido americanofilo", que le lleva a escribir que: "en los países burgueses la abolición del Estado significa la abolición del poder nacional como en Norteamérica." Aquí los conflictos de clase se desarrollan solamente de una manera incompleta; los choques de clases se producen de vez en cuando camuflados por la emigración al Oeste de la superpoblación proletaria... La intervención del poder del Estado, reducido a un mínimo al Este, no existe en absoluto en el Oeste "(Marx-Engels, Opere complete, Editori Riuniti, Rome 1955, VII, p. 288). La suerte del Oeste parece ser sinónima de ampliación de la libertad: no hay rastro esa suerte reservada a los Pieles Rojas, así mismo se oculta la esclavitud de los negros." A veces, Engels se convierte en el apologista formal del imperialismo americano, como cuando celebra la "valentía de los voluntarios americanos" en la guerra contra México: "la espléndida California fue arrancada a los Mexicanos indolentes, que no sabían que hacer con ella"; o como cuando exalta "a los enérgicos Yanquis" que dan un impulso a la producción de la riqueza, al "comercio mundial" y por lo tanto a la difusión de la "civilización" (Marx-Engels, ídem, VI, pp 273-275). La izquierda, por lo tanto, "no podía ser sino américanista y fordista." Ya que desde su origen era industrialista; en realidad desde la Ideología alemana Marx y Engels habían exaltado el desarrollo de la industria (...) y el marxista que quería realizar el socialismo antes del desarrollo generalizado del capitalismo, Lénin, fue américanista y fordista (...)"y Bukarin, en 1923, podía exhortar a los comunistas" a añadir el americanismo al marxismo ." En Italia, uno de los más grandes representantes del pensamiento marxista, el proto-antifascista Antonio Gramsci, reivindicó para el grupo comunista Ordine Nuovo (fundado por él en 1919 con Palmiro Togliatti y otros) el mérito de apoyar una "forma de americanismo aceptado por las masas trabajadoras". Para Gramsci existe en realidad un "enemigo principal" es, citamos textualmente, "la tradición, la civilización europea (...), la vieja y anacrónica estructura social europea". Es necesario pues agradecer, dice, a "la vieja clase plutocrática", porque pretendió introducir "una forma muy moderna de producción y de trabajo que es ofrecida por el tipo americano más perfeccionado, la industria de Henri Ford". Y la clase plutocrática determinó rápidamente a sus compañeros de viaje. Felice Platone, cuyos trabajos sobre los clásicos del marxismo son reconocidos, recuerda cómo el senador Agnelli había hecho una "invitación" al grupo de Gramsci y Togliatti, en nombre de una pretendida "concordancia de intereses entre los obreros de la gran industria y los capitalistas de la misma industria". Es Gramsci, quien habló de una "financiación de Agnelli" y de "tentativas de Agnelli de absorber al grupo Ordine Nuovo". Sin embargo Gramsci no fue ni el primero, ni el único, entre los marxistas que vio en América el paso ideal para la edificación de una sociedad alternativa a la europea, que desgraciadamente "estaba cargada de esa cubierta de plomo" que era su tradición histórica y cultural". Es él mismo Gramsci, en realidad, que menciona explícitamente el interés de "Leon Davidovic" (es decir, Lev Davidovich Bronstein, alias Trotsky) por el americanismo, sus investigaciones sobre el American way of life y sobre la literatura norteamericana. Ese interés del pensador marxista por el americanismo se debe, explica Gramsci, a la importancia y al significado del fenómeno americano, que es: "el principal esfuerzo colectivo constatado hasta entonces para crear con una rapidez inaudita y con una conciencia del objetivo nunca visto en la historia, de un nuevo tipo de trabajador y de hombre". Los logros del americanismo hicieron nacer una especie de complejo de inferioridad en los marxistas, que declaran por la boca de Gramsci que "el antiamericanismo es cómico ademas de ser estúpido". Hablamos, más arriba, de literatura americana. Ahora bien, una de las manifestaciones más significativas de cultura antifascista ocurrida durante el período fascista fue la que tuvo lugar en 1942, con la publicación de la antología Americana de Elio Vittorini en la editorial Bompiani. Se dijo con mucha razón que para Vittorini, y para los camaradas que le sostuvieron en la iniciativa en calidad de traductor (todos giraban más o menos en la órbita de la resistencia comunista clandestina), "la literatura americana contemporánea (...) se volvió una especie de bandera;" fue también, o quizá sobre todo, como un manifiesto implícito de fe antifascista que Vittorini concibió y realizó su antología. América debía revelarse para los lectores, como una gran metáfora de libertad y progreso." El mismo año, varios antifascistas encarcelados por el régimen fascista - entre los cuales se encontraban los futuros dirigentes del PCI (Partido Comunista Italiano) - brindaban por la monarquía británica: "Estaban, entre otros, Carlo Muscetta, Mario Alicata, Mario Socrate, Antonello Trombadori, Guglielmo Petroni, Gabriele Pepe, Marco Cesarini;" (...) Gabriele Pepe propuso un brindis por Inglaterra, luego por Churchill, luego por la Real Fuerza aérea. "Bebamos por su felicidad y alegría." En los discursos que Palmirò Togliatti dirigía a los italianos desde Radio Moscú, la exaltación de los Estados Unidos era frecuente y tomaba a veces un verdadero acento de misticismo. He aquí resumidamente un significativo florilegio del Laudes Americae entonado por Togliatti: 8 de agosto de 1941. "Realmente debemos estar agradecidos con América, no sólo de haber dado trabajo durante tantas décadas a tantos de nuestros hermanos, sino tambien por el hecho de que a esos hombres, que salían de las oscuridad de un entorno social casi medieval, les hizo ver e incluir lo que es un régimen democrático moderno, lo que es la libertad (...) Mussolini y el fascismo (...) querrían hacer creer al pueblo italiano que tiene un enemigo en el pueblo americano (...). los Italianos que conocen América dicen la verdad a sus conciudadanos." Les dicen que el pueblo de los Estados Unidos es amigo de Italia, pero que es enemigo implacable de toda tiranía (...). y los Italianos que gustan de su país, que no son y no quieren ser los esclavos de ningún despotismo, tienen un nuevo motivo de reconocimiento hacia el pueblo de los Estados Unidos, que ayuda al pueblo italiano no solamente a romper sus propias cadenas." 2 de enero de 1942. "A nosotros llega por las ondas otra voz. Es la voz del gran pueblo americano. En su acento masculino acompañado por el ruido de mil de fábricas que trabajan día y noche, sin parar, para forjar cañones, tanques, aviones, municiones. Hace un mes, América fabricaba mensualmente tantos aviones como Alemania y su vasallo conjunto. De aquí a unos meses puede que fabricará dos veces lo mismo. Treinta millones de obreros americanos juraron no retrasar su esfuerzo productivo mientras los regímenes fascistas de terror, violencia y guerras no fuesen aplastados. Buena perspectiva, por lo tanto para el nuevo año." Los impérialistas no se negaron a mostrar su reconocimiento a los camaradas de Togliatti. Un ejemplo famoso es especialmente significativo, el general McCreery decoró con la medalla de oro a Arrigo Boldrini alias "Bulow", que después de haber liderado la 28° brigada Garibaldi fue un parlamentario durante mucho tiempo del PCI. Que la "Resistencia" antifascista fue un movimiento colaboracionista al servicio del invasor angloamericano, un movimiento que contribuyó a entregar a Italia al capital impérialista es un dato reconocido hoy por la historiografía comunista "herética", es decir, no alineada con la mitología de la resistencia. "La acusación que mantiene que el movimiento socialista se inserto con pleno conocimiento de causa en el frente militar de los aliados tiene evidencia histórica", escrito, por ejemplo, por un historiador que redactó varios artículos para la Enciclopedia dell' antifascismo e della resistenza. Por otra parte, ya en 1944, el órgano de un grupo comunista escribía: "por la desagregación del ejército, las bandas armadas son, objetivamente y en las intenciones de sus animadores, instrumentos del mecanismo de guerra ingles". Los antifascistas de Badoglio, católicos, liberales y socialdemócratas no tuvieron, terminada la guerra, ninguna dificultad para admitir el carácter colaboraciónista de la "Resistencia" con los Americanos, ya que en los años de la posguerra sus partidos siguieron estando subordinados a la política de los Estados Unidos y numerosos "partidarios blancos" siguieron sus actividades americanofilas en los "Partidos demócratas", en el periodismo o en las filas del contraespionaje o de la red Gladio. Los comunistas, que por causa de la "guerra fría" se encontraron alineados con la URSS, pretendieron crear una imagen patriótica de la "Resistencia" y asignar a su acción el mérito exclusivo de la derrota nazi-fascista. Como si los Angloamericanos nunca hubiesen existido. Como si la acción de los antifascistas no había sido apoyada y había sido financiada por los impérialistas occidentales (además de los capitalistas del Norte hostiles a la socialización de las empresas publicas por la República social). En el Sur ocupado, algunas formaciones de la extrema-izquierda se habían puesto inmediatamente a disposición de los invasores angloamericanos "para liberar" el resto del territorio de la península. En Campania por ejemplo, había nacido el Partido socialista-revolucionario italiano, que entre sus objetivos inmediatos tenía el "de ayudar a los angloamericanos en la liberación del territorio restante de la península". "Después de haber acogido a los aliados como liberadores, los socialista-revolucionarios se habían entrevistado, en Salerno, con el General Clark." Le pidieron entonces poder asistir a las tropas americanas en su entrada en Nápoles y participaron, además en los tratos para la constitución de los Grupos de combatientes italianos." En el Norte, en febrero de 1943, el Partido comunista, el Partido de acción, el Partido proletario para una República socialista y el Partido social-cristiano, se habían puesto en contacto con el OSS, el servicio secreto americano, por medio de un agente de conexión de primer orden: el ingeniero Adriano Olivetti, amigo de Carlo Rosselli. La dependencia económica de los antifascistas del CLNAI con los angloamericanos fue formalizada por un documento de cinco páginas redactado en inglés, los Protocolos de Roma, que fue firmado el 7 de diciembre de 1944 por el general británico Henry Maitland Wilson, el comandante general combinado en el Mediterráneo y por los jefes antifascistas: Alfredo Pizzoni (Pietro Longhi), Ferrucio Parri (Maurizio), Giancarlo Pajetta (Charca), Edgardo Sogno (Mauri). Los signatarios se comprometían a realizar, durante el conflicto, el trabajo sucio de los Aliados; se comprometían a nombrar como jefe militar del Cuerpo de los voluntarios de la libertad a un funcionario autorizado por los Angloamericanos; se comprometían a realizar cualquier orden que les dieran los Angloamericanos después de la "liberación" del territorio italiano. Y el CLNAI, contra parte, era reconocido por los Angloamericanos como el único Gobierno, de hecho y derecho, de Italia del Norte. En el apartado 5 del documento se estableció en estos términos la financiación destinada a las actividades antifascistas: "Durante el período de dominio enemigo en el norte de Italia se dará toda asistencia al CLNAI, conjuntamente con todas las organizaciones antifascistas, para cubrir las necesidades de sus miembros que son contratados en la oposición al enemigo en los territorios ocupados." El Comandante combinado hará una contribución mensual que no excederá ciento sesenta millones de liras para cubrir los gastos del CLNAI y de todas las demás organizaciones antifascistas." Traducido a buen español eso significa que los impérialistas atlánticos asignaban una financiación mensual de ciento sesenta millones de liras (valor de entonces) a sus colaboradores antifascistas!... Los Protocolos de Roma estipulaban, pues, que el Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia subordinaba formalmente la resistencia a la estrategia militar angloamericana y la ponía, como escribió un autor comunista "bajo la dependencia directa de los aliados", mientras que la Orden de los voluntarios de la libertad se reconocía como el ejecutor de los órdenes de la orden principal combinada. Ya antes de los Protocolos, los "patriotas" se habían puesto al servicio de los "liberadores", la prueba es que el general Alexander les había pedido: "Matemos a los Alemanes, pero para poder huir rápidamente y volver a atacar (...) los grupos de patriotas de Italia del Norte deben destruir las líneas ferroviarias y si es posible telefónicas, y hacer descarrilar los trenes." Destruid las instalaciones telegráficas y telefónicas." Pero dejemos la palabra a Renzo de Felice: "Los acuerdos de Roma aportaron a la Resistencia ciento sesenta millones de liras." Fue la salvación. Y Harold Mac Millan, responsable de la política inglesa en el Mediterráneo, pudo escribir en sus memorias un comentario salvaje y de satisfacion: "quién paga la orquesta decide la danza." "Para la Resistencia, era imposible romper con los Aliados, eso habría sido una catástrofe económica (el mismo Parri en su Memoriale sull' unita della Resistenza, escrito en 1972, precisa que esa ruptura habría conseguido " la derrota")". "Los Aliados sabían que tenían en mano las mejores tarjetas:" la fuerza militar y las ayudas económicas. Si para mantener un resistente, al final de 1943, era necesario mil liras, a principios de 1945 costaba mas de mil, o incluso ocho mil en las zonas donde la vida era más costosa. La cuestión económica se había vuelto política. Un ejército tan grande ya no podía autofinanciarse: los requerimientos, los impuestos revolucionarios, los golpes de mano del suministro, en otros términos la rapiña, el gran bandolerismo, los vuelos, comprometían, en ese largo invierno de 1944, la imagen misma del movimiento resistente. Seguir en lo mismo habría sido catastrófico en términos de resultados. Era necesario racionalizar el sistema de financiación más allá de las subvenciones de los industriales y ayudas de los servicios secretos ingleses y americanos. Eso era el trabajo de Pizzoni. El dinero de los Aliados llegaba a Milán por el Sur y pasaba por Suiza ." En 1944, frente al espectáculo de una extrema izquierda subvencionada por los Angloamericanos, el fascista republicano Stanis se dirigió a uno de sus viejos amigos, que del fascismo antiburges se había inclinado hacia el comunismo: "A riesgo de pasar por un ingenuo, confesó no entender cómo hombres que se declaraban revolucionarios, socialistas, comunistas, anarquistas - y que por sus ideales habían sufrido el exilio, podían aplaudir la Inglaterra plutocrática y la América que en nombre de la democracia y la libertad democrática devastaban Europa." "Sé de antemano tu respuesta." Como revolucionario te no gusta Hitler y no tienes confianza en Mussolini. ¿Pero cómo puedes confiar en la Inglaterra impérialista que traicionó al Persa, aplasto la República, oprimio durante tanto tiempo la India y Egipto y asume el derecho quitar la libertad y dirigir tantos pueblos? (...) ¿Cómo haces para reconciliar tus ideales revolucionarios con los de Churchill y Roosevelt?" Gracias a Dios, que rápidamente el Mariscal Stalin obligó a estos "hombres que se declaraban revolucionarios" a desconfiar de "la Inglaterra plutocrática" y en "la América". Pero ellos tuvieron hijos y nietos, que pretenden dar lecciones de antiimpérialismo, exigir testimonios e imponer prejuicios, para rechazar, indignados, todas las hipótesis de frente común con los neofascistas verdaderos o presuntos. Estos hijos y nietos harían bien en estudiar la historia de su familia y de reflexionar, si no quieren repetir el error de sus abuelos que durante un determinado período bailaron la música elegida por los que les pagaban en dólares y en libras esterlinas...
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micheledantini · 10 years
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Arte in Italia tra le due guerre
Arte in Italia tra le due guerre
Per effetto di rovesci economici o militari, cesure istituzionali e drammatici conflitti sociali, la storia culturale italiana del Novecento ha caratteri come di palinsesto: una continuità profonda, scritta in un alfabeto spesso perduto, corre al di sotto di innumerevoli cancellazioni e rifacimenti di superficie. L’opacità dei documenti e la dispersione degli archivi consiglia un’estrema…
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