Tumgik
#Spedizione di Fiume
italianiinguerra · 3 months
Text
Un grande soldato italiano, Germano Pellizzari
Quella che andiamo a narrare oggi è la bellissima carriera di Germano Pellizzari, fulgido esempio di soldato italiano, uno dei pochi decorati con la massima onorificenza militare italiana, la Medaglia d’Oro, a vivente. Durante la sua carriera lo ritroveremo prima a Fiume, poi su tutti i fronti di guerra, Africa Orientale, dove fu a capo di una banda indigena che portava il suo nome, nella…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
gregor-samsung · 10 months
Text
“ Attilio ed Emilio Bandiera erano figlioli di un contrammiraglio della marina austriaca, di cui essi stessi facevano parte, l'uno come alfiere di vascello e l'altro come alfiere di fregata. Non volendo servire l'Austria, dopo aver preso parte ad alcuni moti rivoluzionari, essi si erano ricoverati a Corfù. E in quel contatto con altri esuli in terra straniera; in quel comunicarsi continuo di aspirazioni e di speranze, più rincresceva loro l'inedia che l'esilio. Ond'è che decisero una spedizione arditissima, quasi folle per ardimento. Insieme a Ricciotti, a Moro e a pochi audacissimi, pensarono di compiere uno sbarco sulle coste di Calabria. Ivi avrebbero cercato di far rivoltare le popolazioni calabresi e, se fossero riesciti, di mettere in fiamme tutto il regno di Napoli. Nel 1844, nella notte dal 12 al 13 giugno, i due fratelli Bandiera partirono per la spiaggia calabrese. Era in essi presentimento di morte. Quasi al momento di partire Nicola Ricciotti ed Emilio Bandiera così scrivevano a Garibaldi: « Se soccomberemo, dite ai nostri concittadini che imitino l'esempio, poiché la vita ci venne data per utilmente impiegarla; e la causa per la quale avremo combattuto e saremo morti, è la più pura, la più santa che mai abbia scaldato i petti degli uomini; essa è quella della libertà, della eguaglianza, della umanità, dell'indipendenza, dell'unità d'Italia ». Erano buoni e sinceri: aveano soprattutto la giovanile ingenuità senza di che non è possibile compiere né tentare imprese come quella cui essi si avventuravano. La sera del 16 giugno il piccolo drappello sbarcò sulla costa calabrese, alla foce del fiume Nebo. Il luogo dello sbarco era tristissimo: ma la terra d'Italia parve a essi sacra e la baciarono all'arrivo. Il piccolo drappello, mal guidato, inesperto dei luoghi, aveva anche nel suo seno chi dovea tradirlo. Gli esuli speravano di trovare al loro arrivo popolazioni desiderose di rivolte: e trovarono l'ostilità e la indifferenza. Nella valle di San Giovanni in Fiore — paese già sacro alla leggenda religiosa — circuiti da soldati del re, dopo disperata lotta in cui parecchi morirono, dovettero arrendersi. Un mese dopo, i due fratelli Bandiera furono fucilati, il 25 luglio, in quella stessa terra da cui avevano sperato partisse il segnale della rivolta. Mai nessuna morte fu più compianta della loro. Erano giovani, ricchi, di alto casato: avevano rinunziato con serenità superumana a tutte le gioie della vita. Aveano tutte le qualità per destare negli animi il compianto, e la loro morte fu una delle cose che più nocquero a Ferdinando II. “
---------
Brano tratto dal saggio breve Eroi (1898) raccolto in:
Francesco Saverio Nitti, Eroi e briganti, Edizioni Osanna (collana Biblioteca Federiciana n° 3), Venosa (PZ), 1987¹; pp. 18-19.
14 notes · View notes
mezzopieno-news · 1 year
Text
RITORNA LA TARTARUGA DAL GUSCIO MOLLE CONSIDERATA ESTINTA
Tumblr media
Le tartarughe nere dal guscio molle, considerate estinte in natura da vent’anni, sono state nuovamente individuate in Nepal.
L’ultimo avvistamento regolarmente censito risaliva all’anno 2002 in un santuario sufi in Bangladesh dove alcuni monaci le allevavano. Una spedizione di ricerca ha ora identificato diversi nuovi esemplari nel fiume Brahmaputra che attraversa l’India e il Bangladesh e ne ha rilevato la presenza di alcune piccole colonie in Nepal. “Abbiamo avvistato la specie nella zona umida di Betana nel Nepal meridionale”, afferma Tapil Prakash Rai, coautore del rapporto sulla conservazione degli anfibi e dei rettili del Nepal che descrive in dettaglio la scoperta. La Nilssonia nigricans è tornata proprio negli ecosistemi dove un tempo prosperava. Ad oggi il conteggio ammonta a 17 esemplari, cuccioli compresi e permette di riconsiderare lo stato di estinzione attribuito alla specie nella lista rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura ponendola tra le specie ‘a grave rischio di estinzione’.
La Betana Wetland, nel distretto di Morang, in Nepal, si estende per 5,5 ettari ed è una fitta foresta di circa 175 ettari che offre rifugio per molti uccelli migratori e per molte specie di pesci. L’enigmatica tartaruga nera dal guscio molle è considerata sacra dagli induisti che la ritengono un’incarnazione della dea Vishnu. In Bangladesh queste tartarughe sono invece considerate la reincarnazione degli spiriti e cacciate dagli abitanti locali. “Ora dobbiamo rendere la comunità consapevole dell’importanza della tartaruga in modo che possa aiutare a conservarla”, dichiara Tapil Prakash Rai subito dopo la scoperta.
___________________
Fonte: Arco Nepal; International Union for Conservation of Nature
Tumblr media
VERIFICATO ALLA FONTE | Guarda il protocollo di Fact checking delle notizie di Mezzopieno
 BUONE NOTIZIE CAMBIANO IL MONDO | Firma la petizione per avere più informazione positiva in giornali e telegiornali
Tumblr media
Se trovi utile il nostro lavoro e credi nel principio del giornalismo costruttivo non-profit | sostieni Mezzopieno
4 notes · View notes
tour7-blog · 6 months
Text
Siviglia e la Memoria di Magellano: Un Viaggio Culturale nella Prima Circumnavigazione del Globo
Il Guadalquivir è il fiume di Siviglia, l’unico fiume navigabile della Spagna. Un fiume che è stato protagonista di molti momenti della storia della città, tra i quali la spedizione di Ferdinando Magellano: spedizione navale destinata a divenire la prima circumnavigazione del globo terrestre. Seguito il corso del Guadalquivir, le imbarcazioni furono bloccate dalle autorità locali alla foce del…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
pietroalviti · 8 months
Text
A le Pantane di Pofi le cornamuse canadesi in onore del cap. Scotti e di Antonio Ferraro, martedì 17 ottobre, ore 15,30
Salvarono dalle violenze le donne di Pofi, respingendo con il fuoco, alla fine del maggio 1944, i reparti coloniali del Corpo di Spedizione Francese che stavano cercando di passare sulla riva sinistra del fiume Sacco, per effettuare le razzie e le violenze cui già avevano sottoposto le popolazioni sulla riva destra. Erano i poliziotti della Edmonton Police, la polizia di Edmonton, capitale della…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
florencesales · 9 months
Text
25€ SPEDIZIONE GRATUITA - PIEGO LIBRI RACCOMANDATO consegna gratuita nell'area del comune di Firenze / contatto telefonico su richiesta
LIVELLO BIBLIOGRAFICO: Monografia
TIPO DOCUMENTO: Testo a Stampa
TITOLO: Il Fiume Livenza : Contributo Alla Salvaguardia Del Territorio
A CURA DI: Roberto Guerra – Massimo Mattozzi – Lamberto Uvai
ANNO DI PUBBLICAZIONE: 2003
EDITORE: Roberto Guerra - Tipolitografia Rubino
LUOGO DI PUBBLICAZIONE: San Stino di Livenza
DESCRIZIONE FISICA: 158 Pagine – Illustrazioni – 33 x 23 x 1 cm
FORMATO: Brossura Copertina Flessibile
FOTO AEREE: Roberto guerra
NOTE GENERALI: Volume 2 dell'opera Il Fiume Livenza E I Suoi Principali Affluenti
SOGGETTI: Fiume Livenza
ISBN: 8890128194
CLASSIFICAZIONE DEWEY: 914.53(21.) GEOGRAFIA. ITALIA NORDORIENTALE VENETO
LINGUA DI PUBBLICAZIONE: Italiano
PAESE DI PUBBLICAZIONE: Italia
Il libro "Il fiume Livenza. Contributo alla salvaguardia del territorio", a cura di R. Guerra, M. Mattozzi e L. Uvai richiama nuovamente l'attenzione del lettore sulla particolare importanza del fiume per il territorio. Le diverse voci che raccontano storie e vicende legate al fiume hanno un denominatore comune: l'amore, la sensibilità e l'interesse nei confronti del Livenza, da tutti considerato un asse di riferimento delle vicende sociali, storiche, militari, idrauliche delle regioni del Nord-Est. Devo ringraziare gli Autori, e Roberto Guerra in particolare, per avere compreso che anche le iniziative dell'Autorità di Bacino nei confronti del Livenza fanno parte delle cose da raccontare sul fiume. Proprio pochi giorni fa il Comitato Istituzionale dell'Autorità di Bacino ha adottato i piani stralcio per la difesa idraulica del Livenza e per il suo assetto idrogeologico, definendo con precisione gli interventi che lo Stato adotterà per dare sicurezza ai territori attraversati dal fiume, con particolare riferimento al Pordenonese.
E’ anche questa una avventura da raccontare, assieme alle altre testimonianze riguardanti le antiche presenze antropiche e la storia dell'll° Reggimento Genio Guastatori, che spesse volte, in passato, è stato chiamato ad intervenire anche per fronteggiare le emergenze alluvionali del Livenza
0 notes
Text
Come Funzionano Gli Hack Di Pokemon Go
Tumblr media
Uno dei giochi di realtà aumentata più in voga oggi si chiama Pokemon Go. In origine era un videogioco Nintendo. Successivamente, si è evoluto in una serie di anime e videogiochi. Ti permette di vivere la fantasia della tua adolescenza di essere solo un maestro di Pokemon, ed è probabile che chiunque sia nato negli anni '90 sia stato in qualche modo elettrizzato dai Pokemon durante gli anni scolastici.
Pokemon e la sua bellezza
È elettrizzante partire per una spedizione errante in giro per il mondo alla ricerca di nuove specie. Partecipa a una ricerca globale di mostri rari e forti con i tuoi amici. Mentre puoi muoverti per il mondo alla ricerca di Pokemon, lo scopo principale di questo gioco è guadagnare punti XP, monete e controllare le palestre. Ecco dove hai per scegliere se vuoi lavorare sodo per ottenere più punti o usare uno dei tanti hack e cheat che rendono il gioco più fluido.
Perché dovresti usare invece gli hack di Pokemon Go?
Non abbiamo nemmeno bisogno di uscire di casa per giocare a Pokemon Go, se abbiamo l'attrezzatura Pokemon Go Plus e un hack. Possiamo salta in qualsiasi punto del pianeta e i nostri personaggi possono essere spostati utilizzando solo un joystick virtuale.
Inoltre, sarebbe fantastico se potessimo usare alcuni semplici trucchi per avanzare più a fondo nel gioco. Pokemon Go è ottimo per i residenti delle grandi città. Questo è il motivo per cui l'app è leggermente distorta.
Sembra che il gioco sia più eccitante se giocato in ambienti urbani affollati. Non pensiamo che sia ingiusto utilizzare tali strumenti per migliorare il divertimento del gioco. È facile installare un'applicazione gratuita per sbloccare pokemon go hack. Questa funzione è sorprendente per coloro che sono costrette a casa a causa di malattie o altre condizioni.
Cosa ti permette di fare Pokemon Go Plus?
Per iniziare, devi prima scaricare PokeGo++ da BuildStore. Quindi, elimina il Pokemon Go classico dal tuo telefono. Il metodo seguente ti consentirà per visualizzare la mappa una volta effettuato l'accesso a Pokemon Go:
Fai clic su Impostazioni nell'angolo in alto a sinistra di questa casella per aprirla.
Fai clic sul pulsante "Posizione falsa" nella sezione "spoofing".
youtube
L'opzione Per sempre nel tempo può essere utilizzata per salvare la posizione.
Camminata automatica
Questa versione modificata di Pokemon Go è più intuitiva rispetto all'app standard. È dotato di un'opzione di camminata automatica che semplifica notevolmente il gioco.
Teletrasporto:
Teletrasportarsi nel punto del tuo Pokemon desiderato rende molto più facile ottenerlo rapidamente. Puoi arrivare dove ti serve per essere più veloce catturando i Pokemon rari che desideri in modo da poterli raccontare ai tuoi amici. Avrai un vantaggio sui tuoi amici quando cacciare creature virtuali solide rispetto all'app originale.
Joystick, Sistema di trasporto:
Potresti anche usare un joystick per Pokemon Go++ b Ipogo. Questo ti consente di spostare rapidamente il tuo protagonista in qualsiasi luogo di tua scelta e consente tu controlli il gioco. Possiamo anche sfogliare lo stream per informazioni su Pokemon, Raid e missioni secondarie. Un giocatore può essere tenuto aggiornato su ogni parte di questo gioco.
Quali sono i trucchi più utilizzati per Pokemon Go?
Spoofing GPS
Pokemon Go è un gioco di realtà aumentata (AR) che contiene il tuo GPS e ha bisogno di fare di tutto, anche attraversando un fiume, per ottenere i mostri. Ti localizzerà e mostrerà i Pokemon intorno a te. Tieni presente che alcuni Pokemon potrebbero nascondersi da te. Utilizzando il falso GPS per indurre il gioco a credere che sei altrove, puoi trovare più Pokemon non dovendo muoverti.
Una volta era il caso che solo coloro che stavano nel cuore del paese potevano catturare Pokemon di tipo Acqua, ma ora chiunque può farlo semplicemente spostando la propria posizione e i Pokemon si generavano proprio accanto a loro. Non farlo troppo spesso, altrimenti Niantic inizierà a punirti.
Bot
Questo trucco è utilizzato da alcune delle persone più pigre che conosco . Per coloro che non sono disposti a lavorare, vengono offerti quei bot di presentazione. Per ingannare il gioco facendogli credere che sei da qualche altra parte, puoi creare più account bot. I tuoi robot viaggeranno in diverse aree per catturare Pokemon rari e potenti a tuo vantaggio.
Elimina AR
I giochi abilitati all'AR sono fantastici e una parte del divertimento consiste nel vedere Pokemon attraverso il telefono in punti strani, come su una recinzione. Può essere frustrante per gli estranei vedere il tuo telefono e può metterli a disagio. L'AR può essere disabilitato per mostrare un area erbosa con un Pokemon nel mezzo. Sebbene possano muoversi, non lo è facile catturarli. Tuttavia, non è necessario spostare il dispositivo o correre il rischio di ferirsi.
Pikachu, il miglior Pokémon per cominciare, è Pikachu
All'inizio del gioco, devi scegliere un Pokemon iniziale. Se vuoi scegliere Pikachu, dovrai metterlo in attesa. Aspetta il più a lungo possibile per selezionare un pokemon go hack ios; col tempo, Pikachu e altri Pokemon appariranno sulla mappa. Proprio come il nostro eroe, Ash Ketchum, Pikachu ora può essere un principiante quando si tratta di Pokemon.
Ottieni informazioni segrete
Dal momento che il gioco ha bisogno che tu afferri i Pokemon, devi farlo. Ci saranno momenti in cui potresti dover fare a meno di alcuni Pokemon. Ci sono Pokemon che hanno PS e PC ottimi, ma IV deboli. Il suo grado IV è una misura della velocità con cui cresce un Pokemon. È la statistica critica non visibile su cui dovresti concentrarti.
Linea di fondo
Tutti i giocatori devono seguire le seguenti linee guida. Non dovresti usare questi strumenti di hacking, anche se sembrano intelligenti. Altrimenti il ​​tuo account Pokemon Go verrà sospeso. BuildStore dice che non è dispiaciuto per questa situazione.
0 notes
claudiodangelo59 · 2 years
Text
I primi colpi di fucile della "Grande Guerra"
I primi colpi di fucile della "Grande Guerra" furono esplosi alle 22,40 del 23 maggio 1915 dai finanzieri Pietro Dell'Acqua e Costantino Carta, sentinelle al ponte di Brazzano, sul fiume Judrio. La Guardia di finanza, partecipò alle operazioni con diciotto battaglioni ed altri reparti minori mobilitati, impiegati come unità di fanteria sul fronte trentino, in Carnia, sull'Isonzo e sul Carso. Distaccamenti speciali di sciatori si distinsero sull'Ortles e sulla Marmolada, unità navali operarono sul Lago di Garda, ed i reparti litoranei concorsero alla difesa costiera. Tre battaglioni parteciparono alla resistenza sul Piave e poi alla vittoriosa "Battaglia del solstizio" del giugno 1918, meritando alla Bandiera del Corpo la prima ricompensa al Valor Militare. Altri tre operarono con il corpo di spedizione in Albania. Dopo la fine delle ostilità, la Guardia di finanza, oltre a provvedere alla vigilanza lungo la linea di armistizio ed all'organizzazione del servizio d'istituto nelle nuove province annesse, inviò reparti in Dalmazia, in Albania ed in Anatolia. Due compagnie furono autorizzate a permanere a Fiume occupata dai volontari di D'Annunzio, uniche unità regolari incaricate della protezione della popolazione civile e del controllo dell'area portuale. Su un totale di circa 12.000 mobilitati (la metà dell'organico del Corpo) si contarono 2.392 caduti, 500 mutilati ed invalidi e 2600 feriti.
0 notes
Text
Tunguska: ciò che successe in Siberia tra meteoriti, ...
Tumblr media
Tunguska: ciò che successe in Siberia tra meteoriti, comete e alieni
Tempo fa vi abbiamo lasciato con il mistero della foresta di Hoia Baciu. Quest’oggi, dagli inquietanti boschi della Transilvania, andremo indietro nel tempo di più di 100 anni, nel cuore dell’Impero russo dello zar Nicola II. Non tratteremo più di presunti avvistamenti di fantasmi, bensì di un evento naturale, che, nella sua concretezza, è ben più inquietante e terribile. Considerate la bomba atomica sganciata a Hiroshima e moltiplicate la sua esplosione e potenza per mille: questa è indicativamente (anche se diversi scienziati abbassano le stime) la portata di ciò che è successo a Tunguska nel 1908.
Tumblr media
          Immagine presa dal sito Tunguska dell’Università di Bologna. Si può vedere il luogo  dell’esplosione e la sua proporzione con la città di Roma. Si tratta di un evento storico (si calcola che meteoriti simili a quelli di Tunguska si abbattano sulla Terra ogni 600 anni) su cui la comunità scientifica da un secolo compie continui studi e analisi, ma che rappresenta per alcuni aspetti ancora un mistero. Cerchiamo quindi di fare ordine a partire dalle certezze che abbiamo. Tunguska: l’esplosione e le testimonianze In una tranquilla mattina del 30 giugno, a nord della regione di Krasnojarsk, nella Siberia centrale, alcuni abitanti autoctoni della zona alzano gli occhi al cielo: un intenso bagliore, come se fosse un secondo sole, squarcia l’atmosfera, causando un boato assordante e un’onda d’urto che abbatte in un colpo solo 80 milioni di alberi in quasi 2.200 chilometri quadrati. Questa descrizione visiva è la sintesi di alcune delle testimonianze ricavate nelle settimane successive l’evento a opera dei quotidiani della zona, raccolte tra il popolo degli evenchi. Fortunatamente, la regione interessata era a bassissima densità di popolazione. Il bagliore causato dall’esplosione è stato tale da essere visibile persino in Europa, a più di 5.000 chilometri di distanza. L’onda d’urto, inoltre, venne percepita almeno fino a 600 chilometri dal punto di impatto, tanto da far quasi deragliare i treni che viaggiavano lungo la Transiberiana. La questione delle testimonianze è tuttavia piuttosto controversa. Nikolay Vasilyev, che intraprese una spedizione nella zona nel 1981 con il Tunguska Exploration Group, le organizzò e raggruppò tutte in questo sito. Delle oltre 500 raccolte, molte sono discordanti e solo una strenua minoranza dei testimoni si trovava nell’area in cui erano caduti gli alberi. Il popolo degli evenchi, inoltre, utilizzava una lingua comprensibile a pochi e a quel tempo solamente orale, tant’è che molti resoconti provengono da individui che non hanno vissuto in prima persona l’evento, ma l’hanno sentito raccontare da terzi. Ciò nonostante, la descrizione che emerge dai racconti sembra avvalorare la tesi del meteorite. Parlando delle vittime, invece, non abbiamo alcuna certezza. Ufficialmente pare ce ne siano state due o tre possibili, tuttavia bisogna tenere in conto della ritrosia degli evenchi nel parlare di questo tema. In ogni caso, qualora ci fossero state, non sarebbe per fortuna un numero elevato. Le spedizioni e il mistero del cratere La prima spedizione ufficiale avvenne quasi due decenni dopo l’evento, nel 1927, ad opera del meteorologo Leonid Aleeksevic Kulik. Grazie a lui, vennero scattate le prime foto del paesaggio totalmente devastato. L’impresa di fine anni ’20 fu solo l’apripista, in quanto egli stesso ne condusse diverse altre fino al 1939. Il suo obiettivo fu quello di individuare il luogo d’impatto del meteorite, che ipotizzò ubicarsi in una foresta nei pressi del fiume Tunguska Pietrosa. Intorno a quell’area, in cui l’onda d’urto aveva spazzato via milioni di alberi, si sono susseguite innumerevoli spedizioni fino al giorno d’oggi. È interessante riportare il ruolo dell’Italia in queste indagini scientifiche, in quanto a partire dal 1991 il dipartimento di fisica dell’Università di Bologna ha condotto una serie di spedizioni nella zona, tanto da realizzare un sito apposito in cui sono raccolte diverse foto e pubblicazioni. Che cosa è stato trovato durante queste spedizioni? Forse sarebbe meglio parlare di cosa non è stato trovato. Infatti, non è mai stato individuato con assoluta certezza e precisione il cratere dell’esplosione, perché, forse, non esiste nemmeno. L’indagine italiana guidata da Gasperini nel ’91, aveva dato nuove speranze, in quanto si ipotizzò che il lago Ceko, nel bel mezzo della foresta, si fosse generato proprio grazie al meteorite. I sedimenti, la morfologia, la forma del lago, infatti, suffragarono tale tesi. Nel 2017, tuttavia, la ricerca russa avanzò delle controprove, stimando l’età del lago di almeno 280 anni, molto prima del 1908. Di conseguenza, è ormai dato per assodato che il meteorite non ha mai colpito il suolo, sfaldandosi a mezz’aria per la resistenza dell’atmosfera. Le vecchie e nuove ipotesi La stazza dell’asteroide, secondo delle stime recenti, sarebbe compresa fra i 30 e i 60 metri di diametro. La velocità di caduta, invece, doveva essere di 15 chilometri al secondo. L’impatto con l’atmosfera ha progressivamente frantumato il meteorite, convertendo la sua energia cinetica in energia termica, con la conseguente esplosione avvenuta indicativamente tra i 5 e i 10 chilometri dal suolo. Nella comunità scientifica, tuttavia, sussiste un’ipotesi alternativa, poco condivisa. A partire dagli anni ’30, infatti, si è fatta strada l’idea che sia stata una cometa a causare l’esplosione. Data l’assenza di frammenti meteorici nella foresta, la cometa, essendo composta in larga parte da ghiaccio, si sarebbe vaporizzata a contatto con l’atmosfera, senza quindi lasciare alcuna traccia al suolo. Il problema, tuttavia, è che il corpo celeste avrebbe percorso ben 700 chilometri di atmosfera prima di distruggersi, ma una cometa di piccole dimensioni si sarebbe sfaldata molto prima a causa della sua composizione. Di recente, sta prendendo piede una nuova teoria, assai più catastrofista. Secondo gli studi dell’Università Federale Siberiana, l’asteroide, a detta loro di natura ferrosa, sfiorò l’atmosfera terrestre, senza tuttavia attraversarla completamente, per poi rimbalzare da essa verso lo spazio. Quello sfiorarsi, avrebbe causato l’esplosione di Tunguska. Se tale ipotesi fosse veritiera, è probabile che se l’asteroide, di stazza veramente imponente rispetto a quanto si immaginava (150-200 metri di diametro), fosse entrato del tutto nell’atmosfera avrebbe determinato una catastrofe tale da cambiare totalmente il mondo in cui viviamo. Le teorie pseudoscientifiche
Tumblr media
           Immagine di Google Maps che indica il luogo da cui indicativamente è partita l’esplosione. Al giorno                  d’oggi è una riserva naturale protetta, ai cui confini meridionali scorre il fiume Tunguska Pietrosa. Questo evento ha senz’altro avuto una notevole rilevanza, anche culturale. Fumetti, musica, cinema e… teorie pseudoscientifiche. Se tutte le ipotesi precedenti poggiano su solide basi, altre hanno fatto leva sul mistero che aleggia in quella remota zona della Siberia. Data la mancanza del cratere, si è fatta strada l’ipotesi fantascientifica secondo cui gli alieni sarebbero atterrati a Tunguska quel giorno del 1908. Un’altra, invece, additava la colpa addirittura a Nikola Tesla e all’attivazione della sua Wardenclyffe Tower, una torre dedicata alla trasmissione senza fili. Durante gli anni ’70, due docenti dell’Università del Texas avanzarono addirittura l’idea del passaggio di un piccolissimo buco nero, che avrebbe attraversato la Terra passando proprio per Tunguska. La comunità scientifica, tuttavia, scartò prontamente questa ipotesi perché troppo vaga e avrebbe determinato molti altri problemi da spiegare. Tunguska: dal passato, le lezioni per il futuro La riposta certa ancora non l’abbiamo, tuttavia è altamente probabile l’ipotesi del meteorite. Ciò che è avvenuto a Tunguska, quindi, dev’essere motivo di riflessione per il presente e per il futuro. La caduta di meteore è un evento molto comune per ogni corpo celeste in orbita nello spazio, a ricordarcelo ogni notte c’è il nostro satellite naturale, la Luna, la cui superficie è un manto di crateri. L’atmosfera, fortunatamente, rappresenta uno schermo formidabile, ma solo per gli asteroidi più piccoli. Sempre in Siberia, nel 2013, famoso è il meteorite di Chelyabinsk, di cui abbiamo numerosi video. Il nostro pianeta è costantemente minacciato da asteroidi, potenzialmente disastrosi, che se cadessero in un centro abitato provocherebbero un numero spaventoso di vittime. Per questo è fondamentale l’investimento che stanno compiendo diverse agenzie spaziali, in primis la NASA, per testare delle tecnologie che possano deviare il percorso di questi corpi celesti. A questa missione, chiamata DART, abbiamo dedicato un articolo apposito. Sperando che possa essere un successo, rappresenterebbe un primo passo per prevenire una minaccia costante che in ogni attimo, come una scure sulle nostre teste, potrebbe rivelarsi devastante. Fonte: Read the full article
0 notes
tma-traduzioni · 2 years
Text
MAG133 - Caso #9302706 - “Cavallo Morto”
[Episodio precedente]
[INT. ISTITUTO MAGNUS, ARCHIVI, UFFICIO DI JON]
[CLICK]
DAISY
Ne sei sicuro?
ARCHIVISTA
(sorpreso) No, uh, va, um - va bene.
DAISY
È solo che - Basira ha da fare.
ARCHIVISTA
No, i-io capisco. O-Onestamente, uh, apprezzerei abbastanza la tua opinione, uh, su questa qui. Solo - sai. Rimani in silenzio durante la dichiarazione e tutto il resto.
DAISY
Certo. P-Posso rimanere in silenzio.
ARCHIVISTA
Okay. Uh, oh - vuoi una sedia?
DAISY
No.
ARCHIVISTA
Oh. Okay.
DAISY
(Prova a spiegare) Sto cercando di farmi tornare le gambe come prima.
ARCHIVISTA
Oh, (duh) Ma certo.
DAISY
Ignorami e basta. Me ne starò in piedi nell’angolo.
ARCHIVISTA
(inspira) O...kay allora. Dichiarazione di... (si schiarisce la gola)
Dichiarazione di Percy Fawcett riguardo alla sua ultima spedizione in Amazzonia. Dichiarazione originale rilasciata il 27 luglio, 1930. Registrazione audio di Jonathan Sims, l’Archivista.
Inizio della dichiarazione.
ARCHIVISTA (DICHIARAZIONE)
Non dite a nessuno che sono vivo. Non posso essere più chiaro a riguardo. Non provate a trovarmi dopo che me ne sarò andato. Vi prego. Chiedo solo che mi sia concesso di vivere quel che resta della mia vita nell’ombra e nell’anonimato.
Non mi concederò di essere trovato.
Forse avrete letto articoli sulla mia scomparsa o morte, che ricostruiscono folli teorie su violenza alle mani delle tribù dei Kalapalo, o sulla mancanza di provviste o preparativi adeguati. Posso solo desiderare che la mia arroganza fosse stata così banale.
Ero di nuovo alla ricerca della città perduta di Z. L’ho sognata per decenni, da quando lessi la descrizione di da Silva sulla sua scoperta nel 1753.
Le rovine antiche, le statue, i geroglifici. L’assoluta bellezza senza rivali di tutto quanto. Nelle trincee e nel fango, sul fronte occidentale, fu il pensiero di Z a sostenermi, sussurrandomi promesse di scoperte. I resti di una città antica, completamente perduta nel tempo e nascosta da qualche parte vicino al fiume Xingu.
La mia prima spedizione fu da solo, tranne che per una manciata di guide indigene. Mi ero creduto preparato, ma la realtà di quella giungla fu molto peggio di quanto avessi potuto prevedere, e quando alla fine giunse a termine, la mia mente confusa dalla febbre battezzò quel punto, il più profondo della giungla che eravamo riusciti a raggiungere, ‘Campo del Cavallo Morto,’ perché fu lì che alla fine il mio cavallo cedette.
Mi ritirai sconfitto, deciso a tornare al Campo del Cavallo Morto quando sarei stato veramente pronto. Quel momento è stato cinque anni dopo, nel 1925, e credevo onestamente che quella volta sarei riuscito a trovare Z. Ero molto preparato, e soprattutto, avevo pianificato di non andare da solo.
Gli Xavante, nel cui territorio saremmo entrati, erano descritti come violenti e diffidenti, rendendo una spedizione numerosa poco saggia, quindi invece ho convinto a venire mio figlio Jack, in quanto aveva già viaggiato con me prima di allora, e mi fidavo dei suoi istinti quasi quanto dei miei.
Lui, a sua volta, aveva richiesto che includessi un altro nel viaggio, un suo amico di vecchia data e confidente: un uomo di nome Raleigh Rimmell.
Non mi è mai piaciuto l’aspetto di Raleigh. Era alto, e i suoi lineamenti, anche se sarebbero tutti potuti essere definiti belli, erano disposti male sul suo volto, dandogli un aspetto che ammetterò avere preso in antipatia sin dal nostro primo incontro. Soprattutto, aveva letto anche lui il Manoscritto 512, e potevo vedere nei suoi occhi lo stesso desiderio di trovare la città di Z che a volte coglievo nei miei.
Ma nei suoi c’era anche qualcos’altro, dietro ad essi. Qualcosa di più oscuro, che non riconoscevo, e anche adesso sono riluttante a considerare troppo a fondo. Ma Jack pensava che fosse il caso di invitarlo, e mai prima d’allora avevo avuto ragioni per dubitare il giudizio di Jack su cose del genere.
È stato Raleigh a suggerire che procedessimo da soli dopo che avevamo lasciato il Campo del Cavallo Morto. Questa volta mi ero assicurato che saremmo stati ben forniti. Avevamo cavalli, cani, muli, e un paio di lavoratori locali, che avevano acconsentito a farci da guide. Ma al nostro arrivo al campo, Raleigh li ha mandati via, e ha iniziato a spostare tutte le nostre provviste su solo una parte degli animali.
Ci ha detto che avremmo dovuto essere veloci se volevamo trovare quello che stavamo cercando, e non avremmo potuto esserlo con una carovana di animali dietro di noi.
Usava molto quella parola, ‘veloci.’ Ho provato a spiegargli che una ricerca metodica sarebbe stata più efficace, ma lui continuava semplicemente a borbottarla. Alla fine ho ceduto. Per quanto Raleigh non mi piacesse come persona, ha esposto (Sospira) diverse buone ragioni sulle nostre possibilità di evitare ogni tipo di confronto diretto con gli Xavante, e Jack è stato veloce a far sentire il suo supporto.
Quindi è stato alla fine di maggio, che io, Jack e Raleigh ci siamo spinti nella giungla più profonda. Da soli.
Quella notte le zanzare erano implacabili, cariche di febbre, e assetate del nostro sangue. Ho fatto del mio meglio per ignorarle e basta, da dove mi trovavo al sicuro dentro la mia rete. Ma nella tenda di Raleigh continuavo a sentire ogni tanto dei colpi, dei battiti, come se stesse cercando di ucciderle a mani nude. Quando ho fatto delle domande sulla cosa il giorno seguente, lui mi ha detto semplicemente di avere dentro di sé un forte odio persistente per i succhia-sangue.
Jack ha annuito, come se la dichiarazione fosse stata in qualche modo profonda, ma non sapevo che cosa dire al riguardo.
Quello è stato il giorno in cui abbiamo trovato la pietra. Mezza sepolta, consumata dal tempo e dalle intemperie quasi al punto da essere liscia, ma ancora chiaramente ricoperta dagli stessi i geroglifici che avevo visto nel manoscritto di da Silva.
Ero così felice, che ho quasi iniziato a piangere: avevo ragione.
Jack mi ha dato una pacca sulla spalla e ha iniziato a fare degli schizzi dei simboli. Raleigh era silenzioso, fissava la nostra scoperta con uno sguardo che non avevo mai visto prima. Non ha sbattuto le palpebre per quasi due minuti. Poi, gradualmente, con precisione, ha abbassato la testa fino a che la sua faccia non era proprio accanto alla superficie di pietra grezza. Ha fatto diversi respiri profondi, come se stesse annusando la cosa. E poi ho pensato di aver visto la sua lingua schizzare fuori, solo per un istante, a sentire l’aria vicino a questa.
Senza una parola, ha iniziato a correre nella giungla a rotta di collo. Io e Jack, spiazzati per un secondo, lo abbiamo seguito velocemente. Raleigh era veloce, ma la superficie irregolare della giungla e il terreno rendevano spostarsi molto difficile, quindi siamo riusciti a tenerlo in vista fino a che non si è fermato di colpo.
L’ho raggiunto, senza fiato per la stanchezza, e gli ho chiesto che cosa nel nome di Dio pensasse di fare.
“Siamo vicini,” ha detto. “Posso fiutarlo. Non lo lascerò sfuggire di nuovo.”
Gli ho detto che non capivo, che stavamo cercando le rovine di una città, che non potevano sfuggire. Ma Raleigh si è ripetuto e basta: “Posso fiutarlo,” e con mio sgomento, ho visto Jack annuire.
Questo è stato il punto in cui le cose hanno iniziato a cambiare, e la mia memoria a frammentarsi. Tenevo un diario, ma le note… erano sporadiche. E tremanti.
Le date non avevano più alcun senso; a un certo punto mi sono accorto che non c’erano più animali intorno a noi, che la foresta Amazzonica era diventata stranamente silenziosa. Ma non so se questo sia stato prima o dopo che ho trovato il mucchio di uccelli morti nella tenda di Raleigh. Deve essere stato prima, ma il mio diario non è chiaro sulla cosa. Quello che so è che ci siamo addentrati sempre più nel profondo della giungla. Jack aveva preso controllo della bussola e del sestante a quel punto, e non avevo pressoché idea di dove stessimo andando davvero.
Raleigh non dormiva più, di questo ne ero sicuro, e l’inconveniente di preparare il campo stava chiaramente iniziando ad irritarlo.
Non avevo più alcuna paura d’incontrare gli Xavante, in quanto sapevo in qualche modo che, ovunque ci trovassimo, non era più un territorio che loro avrebbero voluto reclamare.
C’erano altri animali, adesso. Riuscivo solo a vederli sempre di sfuggita. Ma non erano gli uccelli, o i muli, o nessuna delle altre vittime di Raleigh. Erano troppo svegli per quello.
E ci stavano sicuramente seguendo.
Quando abbiamo incontrato la seconda spedizione, sembrava come se io fossi l’unico sorpreso. Erano quasi una dozzina, muniti di abiti da clima freddo ed equipaggiamento per rompere il ghiaccio, e non sembravano far caso al pesante calore umido della giungla. Ci avevano accolti come vecchi amici, e Raleigh ha iniziato a chiedere loro che cosa avessero trovato, come stesse andando la loro ricerca, in quanti ce l’avessero fatta.
Ho provato a dire qualche parola, ma a questo punto ero così disorientato, così lontano da qualsiasi sentiero la spedizione stesse seguendo, che anche se loro sono riusciti a sentirmi, era chiaro che non avessero alcuna intenzione di ascoltarmi. Il capo della seconda spedizione, un uomo in uno spesso giaccone di pelle di foca, stava parlando con zelo del loro progresso, della loro caccia alla ricerca del Passaggio a Nord-ovest, e io mi sono reso conto con un sobbalzo che quell’uomo era John Franklin, il famoso esploratore dei poli, le cui navi, la Terror e la Erebus, rimasero intrappolate nel ghiaccio e disperse nel Canada del Nord. Gli equipaggi erano spariti, e molti credevano che fossero ricorsi al cannibalismo.
Ovviamente, quella mi sembrava una preoccupazione di gran lunga minore al momento, dato che la spedizione di John Franklin aveva avuto luogo quasi cento anni prima.
Non era possibile che queste persone fossero reali, non era possibile che si trovassero qui. Ma erano abbastanza solide, e il bagliore e l’ossessione nei loro occhi riflettevano perfettamente quelle di Raleigh. Jack guardava entrambi con ammirazione.
Siamo stati per poco in quattordici, poi le cose che ci avevano seguiti hanno attaccato di notte. Mi sono svegliato con urla e colpi di pistola, l‘odore del sangue e della morte. Qualcosa di più astuto di un giaguaro ha dilaniato la mia tenda, i denti desiderosi di trovare la mia gola. Ed era solo la mia paranoia, verso gli altri membri della spedizione allargata, che mi aveva fatto tenere il mio revolver abbastanza vicino da farmi sopravvivere alla lotta.
Quando era finita e le bestie erano morte o scacciate, ho sentito un suono che mi ha agghiacciato molto più delle urla orribili dei predatori: l’esultanza dei sopravvissuti inebriati dal sangue, un suono di trionfo, esaltazione, e crudeltà. Eravamo rimasti in sei, e ho ricaricato la mia pistola prima di tornare a letto.
Il mondo cambiava con ogni giorno che marciavamo avanti, dando la caccia febbrilmente a una destinazione della quale non ero più sicuro.
Raleigh non aveva menzionato la città di Z per giorni, e a nessun punto Franklin ha indicato altra destinazione se non il Passaggio a Nord-Ovest, anche se stavamo camminando nel cuore del Brasile.
E ora gli alberi stessi sembravano sentirci, rami e tronchi si piegavano dall’altra parte mentre passavamo, tranne per quelli che si facevano più affilati e si allungavano verso di noi. C’erano cose adesso che si muovevano tra gli alberi che sembravano uomini, ma non si muovevano come tali. Le loro bocche non si aprivano mai, ma sapevo che in loro c’era qualcosa di terribile.
C’era un’assurdità grottesca in tutto questo, e a volte pensavo che sarei potuto scoppiare in una risata, anche se sapevo che questa si sarebbe trasformata velocemente in singhiozzi, e io sarei stato esposto. Avevo sentito che l’opzione più sicura per me era di fingere la stessa ossessione che attanagliava Raleigh, che aveva preso mio figlio. Anche se entrambi sembravano avere le idee chiare su che cosa stesse succedendo di preciso, non mi hanno fatto troppe domande se sembravo condividerle.
Nonostante tutte le mie abilità d’orientamento e cartografiche, non avevo la minima idea di dove ci trovassimo. In certi momenti, la posizione del sole faceva addirittura sorgere dubbi su per quale continente stessimo viaggiando. Abbiamo trovato Eduard von Toll qualche giorno dopo. L’ho riconosciuto immediatamente, in quanto era sempre stato per me una fonte d’ispirazione, fino a quando la sua nave, la Zarya, svanì mentre era alla ricerca della misteriosa isola polare di Zemlya Sannikova. Ora, lui e il suo equipaggio stavano inchiodando le cose che sembravano uomini agli alberi, con lunghe aste di ferro. Quelle si dimenavano, e si dibattevano, e una lunga lingua bulbosa pendeva dalle loro gole, inchiodata dal ferro degli uomini di von Toll.
“Non sopporto i succhia-sangue,” ha detto Raleigh con approvazione, mentre chiacchierava a bassa voce con il Barone von Toll in francese.
Due delle figure inchiodate agli alberi hanno urlato per il dolore. Loro non avevano una lingua, niente stomaco rigonfio di sangue rubato. Ma nessuno sembrava farci caso, o se lo avevano notato, non gliene importava niente. Nella gioia della caccia, erano stati catturati. E questo era quanto.
E quindi la spedizione è ripresa nuovamente, con nessun segno di progresso o destinazione precisa, solo con pura concentrazione e il fervore selvaggio di trovare… Quello. Qualsiasi cosa fosse ‘Quello,’ ovunque ‘Quello’ si trovasse, non si sarebbero fermati, non si sarebbero mai fermati fino a che Quello non sarebbe stato trovato e preso.
Le nostre provviste erano finite giorni prima, e stava diventando evidente che lo zelo ti può sostenere solo per un determinato periodo, mentre uno o due del gruppo hanno iniziato a vacillare e a cadere per la stanchezza e per la fame. Sono stati semplicemente lasciati indietro.
La parte più dolorosa è stata Jack, che passava ore camminando accanto a me, raccontandomi di tutte le meraviglie che avremmo visto, tutte le gioie a cui avremmo preso parte, quando alla fine avremmo trovato Quello. O perso Quello. O ucciso Quello. Qualsiasi cosa fosse Quello. Mi ha spezzato il cuore vedere che cosa gli ho fatto, sapere dove la mia strada lo aveva condotto.
Quando alla fine ho lasciato che il mio corpo cedesse, è stato un sollievo quasi troppo intenso da descrivere. Sono caduto, e loro mi hanno lasciato indietro.
Mi sono risvegliato di nuovo al Campo del Cavallo Morto. Alcuni dei Kalabolo mi avevano trovato privo di sensi nella foresta e avevano avuto pietà di me. Non vi annoierò con i dettagli delle mie febbri e sofferenze, se non per dire che la nevrosi causatami dalla Grande Guerra non è stata niente a confronto con quello che ho passato dopo il mio ritorno.
Sono stato attento, però. Nessuno sa che sono vivo, e desidero disperatamente che rimanga così. Sono sicuro, nel profondo di me stesso, che quello a cui Raleigh Rimmell dava la caccia nel cuore della giungla lui non lo troverà mai. Non potrà mai trovarlo.
Quello che quelle persone inseguivano, quello che io inseguivo, non esiste, e spero davvero che nessun altro debba mai soffrire per la nostra ossessione. Prima il mondo si dimenticherà di loro, si dimenticherà di me, meglio è. Desidererei solo non aver perso mio figlio per imparare quella lezione.
ARCHIVISTA
Fine della dichiarazione.
(pausa, un respiro profondo) Che cosa ne pensi, allora?
DAISY
Non so. Perché?
ARCHIVISTA
Oh, beh.. sei una uh, sei una Cacciatrice, no? Non -
[Daisy sospira a denti stretti alle sue ultime parole]
ARCHIVISTA
Io - me lo stavo solo chiedendo. Stavo cercando le prove di un, un rituale della Caccia. Per vedere se fosse uno dei rituali che Gertrude ha interrotto. E questa è stata la cosa più simile che sono riuscito a trovare.
DAISY
Sarebbe potuto esserlo. Credo.
ARCHIVISTA
Ma non ha funzionato. Non so neanche come avrebbe dovuto funzionare.
DAISY
No.
ARCHIVISTA
Ma perché? Non c’è stata alcuna interferenza dall’esterno, nessun altro potere; anche le tribù indigene che avrebbero potuto teoricamente deragliarlo sembrano essersi tenute a distanza. Allora perché non ha funzionato?
DAISY
Non - credo che fosse quello il punto.
ARCHIVISTA
Non sono sicuro di capire.
DAISY
È solo una sensazione. Quando ero - (cerca le parole giuste) Sai quale era la parte che mi piaceva meno di un caso?
ARCHIVISTA
Le cause per abuso di potere?
DAISY
(Fa un sospiro esagerato simile a una risata) Arrestarli. Odiavo le manette, il, il click. Voleva dire che l’inseguimento era finito, che la caccia era finita. Soddisfacente, quando era una buona giornata, certo, ma che mi portava a volerne di più. Non volevo mai davvero che finisse.
ARCHIVISTA
Hm. (Inspira) Non pensi che la Caccia lascerebbe il suo rituale finire. Non pensi che gli lascerebbe trovare il - compimento.
DAISY
Non so. Forse? A volte perdevo la motivazione perché mi facevo coinvolgere troppo. Gli lasciavo delle vie di fuga solo perché volevo continuare a inseguirli. Come con te.
[L’Archivista fa hm]
DAISY
A volte (sospira) voleva dire che io perdevo.
ARCHIVISTA
Uh, uno dei frammenti che sono riuscito a decodificare dagli appunti di Gertrude - faceva riferimento a qualcosa che lei chiamava l’, uh, l’Eterno Inseguimento.
[Mentre parla, in sottofondo, il respiro di Daisy si fa un po’ più pesante]
ARCHIVISTA
Pensi che potrebbe essere così, il, il rituale che non finisce mai, perché la Caccia consiste nell’inseguimento.
DAISY
Io-Io non so. Sei tu l’esperto.
ARCHIVISTA
(Sovrapponendosi) No, no. M-M-Mi piace; è una, è una buona teoria.
DAISY
Basira ha detto che puoi semplicemente - sapere tutto questo ora, comunque.
ARCHIVISTA
(Sospira) Già, è - io-io non posso proprio controllarlo.
[La porta si apre.]
ARCHIVISTA
Oh.
BASIRA
(Sorpresa) Hey. Eccoti qui. Dovresti essere a fare i tuoi esercizi.
DAISY
Eri fuori.
BASIRA
Avresti potuto farli da sola.
[Una breve pausa.]
DAISY
Certo.
ARCHIVISTA
Tutto bene?
BASIRA
Sì - Daisy, potresti darci un minuto?
DAISY
Oh. (Breve pausa) Dovrei -?
BASIRA
Sì, per favore.
[Un leggero sospiro da Daisy.]
DAISY
Certo.
[Lei se ne va, chiudendosi la porta alle spalle.]
ARCHIVISTA
Stai - stai…?
BASIRA
Jon, quella è lei?
ARCHIVISTA
Cosa?
BASIRA
Avete già avuto delle persone scambiate, vero? Rimpiazzate.
ARCHIVISTA
Voglio dire, v-vero, ma-
BASIRA
Quanto sei sicuro che quella è la vera Daisy?
ARCHIVISTA
Uh - Io, io, io ne sono sicuro, Basira; qui-quella è lei.
BASIRA
Ma lo - (breve pausa) Lo sai?
[Pausa.]
ARCHIVISTA
Sì. Perché?
BASIRA
Hm.
ARCHIVISTA
Parla con me Basira; è - diversa in qualche modo?
BASIRA
No. No, sembra ancora lei. Dice le cose che direbbe Daisy, ride come lei. Sembra solo… persa.
[Pausa.]
BASIRA
Voglio che sia lei.
ARCHIVISTA
Davvero?
BASIRA
['S] Che cosa vorresti dire?
ARCHIVISTA
(Sospira) Sta... cercando di mantenere la mente sgombra. Di stare lontana dalla Caccia quanto possibile. Tu… stimavi la sua dedizione. La sua determinazione.
(Breve pausa) Quel genere di cose…
BASIRA
(Smettila di parlare) Ho capito. È lei.
[Pausa.]
ARCHIVISTA
Siamo tutti cambiati, Basira.
BASIRA
Già, è solo - non mi ero resa conto che sarebbe diventata qualcuno che non riesce a badare a se stessa. (Inspira) Anche senza l’atrofia muscolare.
ARCHIVISTA
Speravi in una difesa.
BASIRA
Speravo in qualcuno di cui mi fido e che posse condividere il carico. Perché per ora, è tutto su di me.
ARCHIVISTA
(Inspira, Basira) Non deve essere così.
BASIRA
Hm.
ARCHIVISTA
Non sei felice che sia tornata.
BASIRA
Non ho detto questo, Jon. Non abbandonerò mai Daisy, e… riaverla qui è… (sospira) Ma al momento è un peso morto, e ho bisogno di viaggiare leggera.
ARCHIVISTA
Stai iniziando a parlare come Gertrude.
BASIRA
Bene. Da quanto vedo, Gertrude Robinson era la persona più efficace in questo posto.
[Pausa.]
ARCHIVISTA
È la stessa cosa che ha detto anche Tim.
(Pausa) Guarda, ci sono passato anche io.
BASIRA
Davvero?
ARCHIVISTA
(Con vigore) Sì, davvero. Essere l’unico responsabile per tutti, il peso di tutte le loro vite sulle tue spalle - ti porta a delle decisioni sbagliate.
BASIRA
Già, beh, quando mi sarò fatta rapire tre volte di fila, forse allora verrò da te per qualche consiglio.
ARCHIVISTA
Decisioni sbagliate, come sprecare tre settimane inseguendo piste false e vicoli ciechi piuttosto che parlarci del piano.
BASIRA
Ti avevo detto di non guardarmi nella testa.
ARCHIVISTA
Non l’ho fatto. Questo sono semplicemente io. Non hai detto niente su dove eri, evitavi di parlare di cosa avresti potuto aver scoperto, e quel fascicolo del quale stavi studiando i ritagli di giornale - vuoto.
BASIRA
Forse ho trovato qualcosa e non l’ho detto.
ARCHIVISTA
Ma non è così, vero?
BASIRA
Avevo delle buone informazioni.
ARCHIVISTA
Che sei corsa a investigare senza dire niente a nessuno. Sai che cosa mi ricorda questo?
BASIRA
(Inspira) Smettila.
ARCHIVISTA
(...Sospira) Va bene. Non m’importa se ti fidi di me, ma penso perlomeno di aver dimostrato di essere utile. Allora usami.
(Inspira) Perché se continui da sola, finirai per morire. Anche Gertrude lavorava con delle persone. Prendiamo decisioni sbagliate anche quando non comunichiamo.
[Basira fa un sospiro forte e rumoroso alle sue ultime parole.]
BASIRA
Tu sei letteralmente saltato in una bara soprannaturale senza avvertire nessuno.
ARCHIVISTA
(...) Ottimo esempio.
[Pausa.]
BASIRA
(Sospiro) Va bene.
ARCHIVISTA
E dai un po’ di tregua a Daisy. È stata là dentro otto mesi. (Respiro) Io ci sono stato solo per tre giorni, e -
BASIRA
Sì, lo so. È solo…
ARCHIVISTA
Cosa?
[Breve pausa.]
BASIRA
Niente. Ho del lavoro da fare.
[L’Archivista fa un sospiro profondo mentre Basira esce dalla stanza, la porta che si apre e si chiude dietro di lei]
[CLICK]
[Traduzione di: Victoria]
[Episodio Successivo]
3 notes · View notes
sancane · 3 years
Photo
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
David Livingstone (1813 - 1873) Pioniere e missionario congregazionalista della London Missionary Society (Lms). Celebrato come la più grande personalità dell'età vittoriana, fu, secondo verità, un ricercatore arruffone e scombinato, tanto da meritar l'epigrafe di "Peggior esploratore di tutti i tempi".
Per isbaglio (o calcolo fraudolento) entrò con nominanza nel registro aureo degli avventurieri, incarnando nei secoli a venire, inspiegabilmente, l'icona paradigmatica dell'intrepido giramondo.
Prode, strenuo ed, a suo modo, impavido viandante, contribuì con un certo merito a raccontar la topografia dell'Africa centrale, pur essendo artefice di una serie di fiere catastrofi sì orrende, da imputarsi con certezza ad una disposizion d'animo di vero e proprio gran maldestro.
Nel 1858, nell'intento di scoprire un fiume navigabile attraverso l'Africa meridionale, si perse nelle sterpaglie, fu morso da un leone, mise la mappa al contrario, si smarrì e tutti i suoi missionari morirono di malaria, cadde nelle sabbie mobili e fu colpito da dissenteria, emorragie e polmonite, si perse nelle rapide e cadde da una cascata, la moglie morì di malattia tropicale, tutti i collaboratori perirono tragicamente ed i sopravvissuti rinunciarono saggiamente a seguirlo e fuggirono con grande strepito, e dunque tornò malconcio in Inghilterra con le pive del sacco, ove fu scacciato dalla società missionaria che lo foraggiava.
"E' ossessionato dai suoi movimenti intestinali, che dettano la bussola e i suoi stati d'animo, non posso trarre altra conclusione se non che il dottor Livingstone è fuori di testa" Scrisse con malanimo il disperato John Kirk, suo medico accompagnatore.
Ma Livingstone, tradendo fuor d'ogni dubbio una pervicace attitudine alla fermezza, rispose con bravura: "Sono pronto a ritentare, ad andare ovunque, purchè sia in avanti"
E così fece.
Nel 1866, durante la spedizione in Tanzania, tentò di scoprire la fonte del Nilo. Scambiò il fiume Congo per il Nilo, si ammalò nuovamente di malaria, sbagliò ripetutamente strada rimanendo incagliato nel bitume, venne anzitempo abbandonato dai suoi 35 collaboratori che gli rubarono i viveri e le attrezzature, si perse nella giungla e sopravvisse mangiando locuste, scrisse 44 dispacci di aiuto, di cui uno solo fu intercettato ma, essendo stato scritto con inchiostro evaporante fatto di bacche, arrivò solo un foglio bianco.
Venne poscia rapito dai mercanti di uomini arabi, cercò di scappare e nel rocambolesco tentativo, per causa sua, furono uccisi 400 schiavi.
Fuggì sul lago Tanganika e visse per tre anni allo stato selvaggio. Fu rinvenuto da una tribù del posto, così tanto affascinata dal suo uso del coltello e della forchetta, da costringerlo per anni a mangiare pubblicamente in una gabbia, per guardarlo sfamarsi in quell'inusuale modus da damerino britannico.
Nel 1869 fu inviato alla sua ricerca il noto giornalista Henry Morton Stanley, che infine lo scovò nella città di Ujiji, sulle sponde del lago Tanganika.
I due si salutarono secondo il formale ed autorevole costume vittoriano: "Dottor Livingstone, i presume" ("Il dottor Livingstone, suppongo")
"Avrei voluto abbracciarlo, ma è pur sempre un inglese e non sapevo come avrebbe accolto il mio gesto" (Henry Morton Stanley)
Stanley provò a convincerlo a tornare con lui in Inghilterra, ma Livingstone volle partire immediatamente per una terza spedizione.
"Ho tutto sotto controllo"
Il giorno della partenza si ferì cadendo su un chiodo e finalmente morì di emorragia.
Sottolineò il suo biografo Tim Jeal:
"Livingstone sembra aver fallito in tutto ciò che più desiderava raggiungere"
Ma David Livingstone non fu uomo di poco affare.
Fu un valoroso che si pose con animo audace a malagevoli imprese.
La radice di tanto eroico accanimento giunse dallo smisurato profondo di un animo altiero e da maravigliosa forza:
"E' che non riesco a stare fermo" (David Livingstone)
ONORE
26 notes · View notes
Text
Capitolo 58 - Il patto, il nome e il principe (Prima Parte)
Nel capitolo precedente: Angie incontra Jerry all’uscita della tavola calda dopo il lavoro. Inizialmente lui cerca di farle credere di essere passato di lì casualmente, ma è chiaro che l’abbia fatto apposta. Le dice di aver scritto dei pezzi nuovi di cui non è del tutto convinto e di avere un demo in macchina. Angie si lascia convincere ad andare a sentirli assieme a lui. Si tratta di tre pezzi: uno dedicato all’amico scomparso Andy Wood, uno dedicato a suo padre e un altro... non si sa, perché Jerry, pur tentato di farglielo ascoltare, ferma il nastro prima che inizi il cantato vero e proprio. Questo perché la terza canzone ha a che fare con lei. Durante l’ascolto Jerry si apre e si sfoga con la ex, al tempo stesso trovando assurdo che riesca a farlo solo con lei. Angie gli dice che qualsiasi cosa sia successa tra loro, lei resterà sempre una sua amica e ci sarà comunque quando lui avrà bisogno. Jerry la riaccompagna a casa e sta quasi per baciarla, ma non succede nulla. Una volta rientrata a casa Angie s’interroga sulla sincerità della promessa fatta a Jerry e su quanto sia davvero disposta ad esserci sempre per lui e a passare sopra al dolore che le ha causato, su quanto sia disposta a sacrificare pur di essere sempre la brava ragazza che “fa la cosa giusta”. Angie telefona a Eddie e i due hanno una scaramuccia sul secondo nome misterioso di lei e sul nomignolo che lui usa per caso e che, vista la reazione della ragazza, decide di adottare ufficialmente. La situazione però precipita improvvisamente quando Angie, candidamente, rivela a Eddie di aver visto Jerry. Il cantante si incazza e la tratta in malo modo al telefono, attaccandole in faccia. Meg dice alla coinquilina che la sua amica Jane di New York l’ha cercata e pensa stesse parlando al telefono proprio con lei poco prima. Angie si irrigidisce, conferma la versione ed esce con la scusa di aver dimenticato di comprare le sigarette, per poi invece andare a chiamare Jane da una cabina. Il mattino dopo Eddie aspetta Angie sotto casa per scusarsi. Il ragazzo ammette il suo problema con la gelosia, lei lo perdona e i due fanno pace. Eddie sente che Angie sta nascondendo qualcosa, ma non vuole forzarla e spera sia lei a parlargliene quando le sembrerà il momento giusto.
***
Regno di Talmaren, anno decimo della Nuova Era
Non senza fatica il principe Alexander si passò il dorso della mano sulla bocca per rimuovere il sangue che vi era schizzato poco prima, fortunatamente non il suo. Il combattimento l’aveva lasciato stremato e privo di forze, ma non c’era tempo per riposarsi: Basil era sicuramente un guerriero tanto abile quanto spietato, nonché un sadico e un porco, e vederlo ridotto a una bambola di pezza senza vita, accasciata scompostamente sul pavimento della camera del suo oscuro sovrano, poteva senza dubbio far tirare un piccolo sospiro di sollievo a gran parte della gente delle Lande dell’Ovest e non solo; tuttavia, era soltanto lo stupido lacchè di quel mostro di Kaspar, che era ancora dannatamente vivo.
Kaspar, re di Talmaren, detto Il Sanguinario, colui che appena salito al trono dette il via a una guerra che si trascinava da ormai dieci anni, aveva già distrutto cinque dei sette regni conosciuti, tra cui Senaria, patria di Alexander. Il conflitto mirava ufficialmente alla pura espansione, ma in realtà nascondeva un obiettivo totalmente differente. Tale scopo giaceva di fronte agli occhi impietriti del principe e aveva le sembianze, seppure irriconoscibili, della donna che amava, incatenata per le braccia alla testiera in ferro del letto di sua maestà. Le gambe erano state lasciate libere, presumibilmente perché, anche se le avesse usate, quella fanciulla avrebbe potuto fare ben poco. Il volto di Coriliana era una maschera informe di capelli e sangue raggrumato mentre il corpo faceva mostra di un orribile velo di lividi. Di fatto, eccetto che per una volgare collana di grosse pietre nere che lui non aveva mai visto, la ragazza era completamente nuda. Lo sguardo di Alexander si era fermato sul suo petto generoso, quel seno dove spesso aveva trovato conforto e riposo dopo la battaglia, con la mente sgombra da ogni pensiero, finché non riuscì a scorgere un movimento impercettibile della collana. Su e giù.
Era viva.
Non c’era tempo per festeggiare, ma nemmeno per tirare il fiato e leccarsi le ferite, Alexander si precipitò sul letto e si avventò sulle catene, nel frattempo la chiamava per nome per cercare di destarla dal suo sofferto torpore, rifugio mentale dalle sevizie e dagli abusi di ogni tipo che Kaspar e la sua cricca dovevano averle inflitto nelle ultime settimane. Non fu facile liberarla, si adoperava con la spada cercando di assestare colpi efficaci, ma doveva ovviamente fare attenzione a non fare del male alla sua Coril. Sua… Non era sua, non poteva esserlo, lei era speciale, una futura regina, anzi, una futura dea, era a un altro livello, non sarebbe stato possibile, non più. Ma il suo cuore sarebbe appartenuto a lei e a lei soltanto, per sempre.
Finalmente la catena che imprigionava il polso sinistro cedette sotto i fendenti di Alexander, il braccio cadde di colpo sul letto, anche per il peso del bracciale e del pezzo di catena che le era rimasto attaccato.
Alexander si dedicò all’altra catena, in ginocchio sul letto impugnava la spada con entrambe le mani e colpiva con rabbia, finché anche questa si ruppe, quasi nello stesso momento in cui l’erede al trono di Senaria sentì qualcosa sfiorargli il fianco e accennare una debole stretta. La fissò per un istante, forse gli occhi di Coril erano ancora chiusi (chi poteva dirlo in quel macello), ma la sua mano lo stava cercando. In quel momento Alexander provò sollievo, assieme a una profonda vergogna: non vedeva la futura regina dei Kos da mesi, non ricordava quanto era passato da quando l’aveva tenuta l’ultima volta tra le sue braccia, da quando ne aveva saggiato il corpo con le dita e con la lingua, da quando si era insinuato dentro di lei per l’ultima volta. Ora la donna che amava era lì nuda sotto di lui e nell’osservarla, sebbene fosse in uno stato di incoscienza e straziata dalle torture di Kaspar, si era ignobilmente eccitato.
Tornò in sé quasi subito, cercò di sollevare Coril con delicatezza fino a metterla in posizione semi-seduta, dopodiché l’avvolse nel suo mantello di seta. Dovevano fare presto, ma non poteva portarla fuori dal palazzo così, sarebbe stato umiliante per lei, inoltre il freddo pungente dell’inverno di Talmaren avrebbe potuto peggiorare le sue condizioni di salute già precarie.
In un attimo si caricò l’amata sulle spalle come un fagotto e corse verso la porta della camera degli orrori. Gli sembrava più piccola, l’aveva presa in braccio più di una volta e mai a peso morto, e non l’aveva mai sentita così leggera, così fragile. Percorse correndo, ma con circospezione, il largo corridoio, rallentò quando gli parve di distinguere l’ombra in movimento di una persona, presumibilmente un uomo, proiettata da una torcia in fondo al passaggio, dove il corridoio voltava a destra. Tolse la mano dalla spada solo quando riconobbe Gabriel, suo fratello. Accelerò di nuovo, gli fece un cenno, Gabriel si bloccò e ricambiò sollevando appena il capo, poi si accorse che l’aveva trovata e gli diede il segnale di via libera. Se la situazione non fosse stata talmente agghiacciante da rendere impossibile solo pensarlo, Alexander avrebbe giurato di aver visto comparire sul viso del fratello un sorriso.
Il drappello capitanato da Alexander si era accampato sulle rive del fiume Neeto. Per evitare le ronde avevano pensato di raggiungere il castello attraversando la foresta. Lungo il cammino si erano d’un tratto imbattuti in questa piccola radura che spuntava dal nulla in mezzo al fitto bosco e il principe aveva deciso di stabilirvi la loro base operativa. La fortezza distava circa un’ora di cammino e Alexander aveva pensato che, per salvare Coriliana, un “attacco silenzioso” nel cuore della notte, con un pugno di uomini che giungessero al castello a piedi e vi si introducessero senza farsi notare, sarebbe stato più efficace di un assedio. Aveva scelto quindi una ventina di uomini che lo seguissero, incluso Gabriel, lasciando il resto della spedizione, destrieri compresi, alla radura.
Si malediceva per questa scelta mentre percorreva a ritroso il sentiero che si inerpicava sul Colle Zham, il basamento della dimora di Kaspar, cercando di non sbilanciarsi e cadere nel vuoto. Tirò un sospiro di sollievo quando finalmente terminò la discesa e iniziò il bosco, almeno fin quando non si rese conto che stare attenti a non inciampare sulle radici esposte e a non farsi schiaffeggiare dai rami sporgenti, assicurandosi che anche Coril non si ferisse, richiedeva altrettanto impegno.
Ripensò allo sguardo che il fratello minore gli aveva riservato quando gli aveva detto che si sarebbe occupato lui di Coril. Gabriel invece avrebbe coperto la loro fuga, assieme agli altri, per poi trovare la moglie di Kaspar. Se tutto fosse andato bene, sarebbe bastata qualche minaccia a voce grossa per farsi dire dove si trovava il consorte. Gabriel aveva recepito l’ordine e si era congedato con un mezzo inchino, non prima di aver lanciato al principe un’occhiata al veleno. Alexander doveva dimenticare quella donna, lo sapeva benissimo, e lo avrebbe fatto, non c’era bisogno che gli altri glielo ricordassero in continuazione. Si sarebbe fatto da parte un giorno, sapeva di essere fuori posto nel cuore di Coriliana, ma prima doveva prendersi cura di lei, farla stare meglio, prepararla al futuro che l’aspettava. Un futuro al comando, che non prevedeva la presenza del principe di Senaria al suo fianco, se non come alleato nella guerra contro il Sanguinario e la sua stirpe.
La profezia parlava chiaro.
Sentiva il rumore dell’acqua, il Neeto era vicino. Riconobbe su un tronco d’albero il segnale tracciato all’andata dal fratello e voltò a sinistra. Seguì un’altra indicazione e si ritrovò a costeggiare il fiume. D’un tratto sentì che Coriliana si muoveva e, per quanto poteva, si stringeva a lui. Ebbe la mezza idea di fermarsi. L’avrebbe fatta sedere per un momento, sarebbe sceso velocemente verso la riva per raccogliere dell’acqua nella borraccia, tornato da lei gliene avrebbe data un po’, a piccoli sorsi, e avrebbe usato il resto per lavarle via il sangue dal viso e dai capelli. Senza bagnarli troppo, era ovvio, o le sarebbe venuto un accidente con quel freddo. L’avrebbe rassicurata, mancava poco all’accampamento. Le avrebbe detto che era tutto finito e che sarebbe stata meglio, che quei viscidi vermi non l’avrebbero più toccata, che avrebbe ucciso Kaspar con le sue mani. Oppure sarebbe semplicemente rimasto accanto a lei, in silenzio, con gli occhi nei suoi mentre si abbeverava. Rallentò pensando alle sue labbra, bagnate, quando queste ultime si appoggiarono sulla sua guancia sinistra accennando un bacio asciutto. Poi sussurrarono:
“Gabriel...”
Alexander sentì le ginocchia cedere. Improvvisamente il suo fardello gli sembrava troppo pesante, lo schiacciava, ciononostante accelerò il passo. Non si curò più delle fronde che lo colpivano in volto.
Ora il veleno aveva tutto un altro sapore.
Coriliana è proprio una stronza. Scuoto il capo e sogghigno, mentre rimuovo il foglio dalla macchina da scrivere. Cos'ho da ridere poi non si sa. Vivo in un appartamento squallido di New York, mi affaccio da una qualsiasi delle due finestre e vedo solo mattoni, sono single, non ho neanche un gatto perché il mio padrone di casa non vuole animali. Sento un rumore strano, uno squillo. Il telefono? Ma io nemmeno ce l'ho il telefono, ogni volta che ho bisogno di fare una chiamata devo arrivare fino alla cabina di fronte al negozio di sedie all'angolo. Che poi che cazzo mi rappresenta un negozio che vende solo sedie? Non dico vendere arredamenti completi, ma almeno offrire anche sgabelli, poltrone, tavolini. No, da Pianeta Sedia trovi solo sedie. Come quella su cui sono seduta adesso, che viene proprio da lì. Compro sedie da Pianeta sedia e mi mantengo scrivendo stronzate. Come mi sono ridotta: da aspirante sceneggiatrice di Hollywood a scrittrice di romanzetti rosa da quattro soldi che pure Harmony si rifiuterebbe di pubblica-
Mi sveglio di soprassalto, sudata e boccheggiante.
“Ma che cazzo” commento ad alta voce il mio sogno di merda. Grazie tante Morfeo, si può sapere che ti ho fatto? Mi lascio ricadere sul letto e prendo fiato. La parte fantasy era anche interessante e il principe Alexander aveva il suo perché, anche perché somigliava un casino a Eddie; la parte del mio ipotetico futuro in disgrazia, invece, l'avrei evitata volentieri. Il trillo del telefono continua e per un attimo ho il terrore di trovarmi ancora nell'incubo squallido, ma poi capisco che è il mio vero telefono a suonare. Allungo la mano sul comodino e prendo il cordless al secondo tentativo, dopo che al primo mi era cascato per terra.
“Pronto”
“E' già venerdì?” la voce del principe, ehm, volevo dire di Eddie, mi porta a un altro tipo di sogno.
“No, Eddie.” ripeto in automatico sbadigliando, continuando il nostro gioco degli ultimi tempi.
“Eheheh come no? Oggi sì!”
“Che?” sento che mi sto svegliando del tutto, anche se non vorrei, perché so che impegnandomi potrei chiudere gli occhi, riaddormentarmi, riprendere il sogno e arrivare velocemente al punto in cui quella stronza di Coriliana muore e Alex resta solo e consolabile da qualcuno a caso, come la figlia del fattore, che è tipo la copia della sottoscritta, ma magra, figa, con gli occhi azzurri e i denti dritti. Che poi chi li aveva i denti dritti nel medioevo? Mica c'erano gli apparecchi. Non c'erano neanche i dentisti. E' già tanto se arrivavano a quarant'anni con quattro denti in bocca. E' già tanto se arrivavano a quarant'anni e stop.
“Ma stavi dormendo? Guarda che oggi è venerdì sul serio”
“Non proprio, ma che ore sono?” posso capire l'impazienza di Eddie, soprattutto dopo la nostra piccola prima lite dell'altra sera, ma non pensavo arrivasse a chiamarmi a notte fonda per festeggiare il gran giorno.
“Sono le 8. Scusa se ti ho svegliato, ma pensavo fossi in piedi da un pezzo. Non hai mica lezione stamattina? Avevo capito che oggi fosse l'ultimo giorno...”
“COSA?! LE OTTO?” i miei neuroni si destano tutti assieme non appena capiscono che la sveglia non ha suonato e che sono in ritardo. Un'eventualità più unica che rara. Insomma è difficilissimo che io non punti la sveglia e, anche quando questo dovesse capitare, è impossibile che io non mi svegli ugualmente all'orario in automatico. Il panico è talmente immediato che mi alzo, afferro vestiti a caso e corro in bagno bestemmiando. Dopo cinque minuti pieni mi rendo conto di aver dimenticato qualcosa. Torno al volo in camera e cerco il telefono. Non lo trovo. Ritorno di corsa in bagno e in mezzo alla pila di vestiti recupero il cordless “Sei ancora lì?”
“Sì, lo sai che mi piace ascoltarti al telefono”
“Non avrai sentito granché, a parte un sacco di parolacce”
“Mmm non erano poi così tante”
“E io che mi spazzolo i denti”
“E la tua pipì”
“EDDIE!” l'elastico con cui mi stavo legando i capelli mi sfugge parte come un proiettile, finendo chissà dove.
“Eh ho sentito anche quella, che posso farci”
“DIO CHE FIGURA DI MERDA” mi nascondo la faccia con la mano, come se Eddie potesse vedermi.
“Questa è vera intimità di coppia”
“Ma non potevi riattaccare?” piagnucolo mentre sondo il pavimento del bagno in cerca dell'elastico.
“Nah, la telecronaca del tuo delirio era troppo divertente, micetta”
“Micetta invece non è divertita per niente” se comincio a usarlo pure io questo nomignolo siamo rovinati.
“Dai, per così poco?”
“Micetta è alquanto imbarazzata”
“Se vuoi posso scoreggiare al telefono, così siamo pari e non ti imbarazzi più”
“Ahahahah ma vaffanculo!” lo insulto quando finalmente trovo l'elastico, sopra il calorifero.
“Comunque è incredibile: anche tu dimentichi le cose come i comuni mortali”
“Già, hai visto? A volte capita perfino a me che qualcosa sfugga al mio controllo”
“Wow sei umana”
“Comunque ti devo lasciare, perché l'umana è in stra-ritardo e deve farsi la doccia”
“Ti scoccia se seguo in diretta anche quella?”
“Cos'è, anche il rumore dell'acqua ti rilassa?” passo il cordless da una mano all'altra mentre tolgo il sopra del pigiama e lo butto fra le cose da lavare.
“Sì, esatto. Proprio quello m'interessa. L'acqua che scorre. Mica il pensiero di te nuda sotto la doccia”
“Dai, non posso stare al telefono, devo correre” mi vengono in mente un sacco di battute sul gusto di Eddie per l'orrido, ma non ho voglia né tempo di farlo incazzare di prima mattina. Beh, prima, sono già le otto. Passate. Mi tiro giù i calzoni e li lancio con un calcio nella cesta dei panni sporchi..
“Comunque i denti potevi lavarli direttamente in doccia e avresti guadagnato minuti preziosi, si vede che sei una principiante dei ritardi”
“E spero di restare principiante. Ti chiamo dopo pranzo, ok?”
“E va bene... Wind?” mi tiro sù di scatto e le mutande che mi stavo levando rimangono arrotolate ad altezza ginocchia.
“...”
“Angie?”
“Uh...” mi guardo attorno persa e imbarazzata, come se mi fossi trovata all'improvviso nuda di fronte a Eddie. Ed è proprio così, in fondo.
“ASPETTA, HO AZZECCATO??”
“Quasi”
“CHE VUOL DIRE QUASI? Ci ho preso o no?”
“Ci hai preso... a metà” finisco di spogliarmi completamente e prendo l'asciugamano.
“In che senso a metà?”
“Te lo spiego dopo, dai, devo andare” entro in vasca e appoggio l'asciugamano sullo sgabello qui a fianco.
“Col cazzo, me lo spieghi adesso”
“E' metà del nome” sono in piedi, nella vasca, in ritardo, con il telefono in una mano e il doccino nell'altra, non possiamo rimandare questa conversazione?
“Cioè sei WindQualcosa o QualcosaWind?”
“Esatto”
“Esatto cosa? La prima o la seconda?”
“Ciao Ed, a dopo”
“A DOPO UN PAIO DI PALLE, ANGIE?!”
***********************************************************************************************************************************
“Grazie, eh? Arrivederci!” il mio saluto ad alta voce va dritto alla schiena del tizio che ha appena comprato una stecca di Pall Mall Extra Mild e se ne va indisturbato senza rivolgermi la parola. Io lo capisco che uno possa non aver voglia di parlare, socializzare o interagire come un essere umano di tanto in tanto e sono praticamente la portabandiera dell'idea che non puoi giudicare gli altri, specialmente gli sconosciuti, perché in fondo non sai che cazzo stanno passando. Però, perfino nei miei momenti più bui, un buongiorno e un grazie alla commessa, al cameriere o alla cassiera di turno non li ho fatti mai mancare, perché queste persone fanno già lavori di merda, sfruttati e mal pagati, e non mi sembra giusto privarli di quel minimo di dignità che gli spetta. Senza contare che essere gentili è gratis. La giornata dell'ultimo cliente deve essere davvero di merda però, perché non mi risponde e quasi non fa caso alla persona che sta entrando nel mini market, andandoci a sbattere praticamente addosso.
“Ehi, attenzione!” appena lo sento inveire contro l'uomo delle sigarette, alzo lo sguardo sul suo viso e sono io che vado a sbattere in pieno contro un paio di occhioni verdi e furbi.
“Sei in anticipo Stone, la tua ragazza stacca tra mezz'ora” Hannigan gli rivolge la parola prima di me, che ho la bocca occupata a mangiarmi una pellicina del pollice.
“Uhm, non possiamo fare un po' prima? Abbiamo il soundcheck alle sette” Stone guarda l'orologio che sta sulla parete proprio dietro di me e si aggiusta il berretto dei Chicago White Sox sulla testa, quello che si mette ogni volta che vuole far incazzare un po' Eddie, che ultimamente vuol dire ad ogni concerto.
“Oh Grace, non sapevo facessi parte del gruppo anche tu, cosa suoni?”
“Grace non fa parte della band. Lei suona... me, fa vibrare soavemente le corde del mio cuore, musica per la mia anima.” Stone continua a parlare col mio capo come se io non ci fossi, ma la cosa anziché indispettirmi mi diverte, come se stessi guardando una puntata del Muppet Show, che è più o meno come mi sento ogni volta che Stone parla a qualcuno di me “E se non vibro, non riesco a esibirmi”
“Se Grace si esibisce nel prezzare i cereali e li riassortisce, vi lascio andare a vibrare dove cazzo volete, ok?” anche il boss parla di me in terza persona come se non fossi presente, ma a questo punto finalmente reagisco.
“Ok, grazie. Lo faccio subito” mi guardo il dito per verificare se me lo sono mangiucchiato tutto assieme alla pellicina e vado spedita in magazzino.
Stone. Che diavolo ci fa qui Stone? Cioè, lo so cosa ci fa qui, ma quello che mi chiedo è... come? Insomma, sparisce per giorni, per metabolizzare tutto quello che gli ho detto, e non è che voglia fargliene una colpa, cioè lo capisco anche. Ma poi che fa? Si ripresenta così come se niente fosse per portarmi al concerto? Senza avvisare prima? Non mi ha neanche chiesto se ci voglio andare, se ho altri impegni. Non mi ha praticamente parlato. Altro che cuore, gli farei vibrare la prezzatrice sui denti ora come ora.
“Vuoi una mano?” mi volto di scatto quando sento la sua voce e per un pelo non realizzo la mia fantasia di un secondo fa.
“No, grazie” regolo le rotelline sul prezzo giusto e comincio a etichettare le scatole.
“Non ne hai un altro di quegli aggeggi? Aspetta, te li metto in fila, così fai prima.” Stone inizia a impilare le scatole tutte nello stesso verso, in modo da facilitarmi il compito, quando ha raggiunto tre pigne si allontana e va a recuperare due scatoloni vuoti, dove infila le confezioni già prezzate.
“Com'è che sei molto meglio di me a fare il mio lavoro?” vorrei dirglielo con una smorfia, con un tono arrogante, con aria seccata, invece alla fine glielo dico sorridendo. Perché è così che mi viene, perché mi è mancato e sono contenta che sia qui, perché se è qui vuol dire che è tutto a posto. O no?
“Sono solo più bravo a organizzare, tutto qui.” fa spallucce e mi da il bacio che stavo aspettando da quando l'ho visto sulla porta, mentre fa scivolare la sua mano lungo il mio braccio fino a portarmi via la prezzatrice “Vai a riempire gli scaffali, qui continuo io”
“Ok, capo”
“Era ora, che è successo? Hannigan ti ha fatto prezzare il resto del magazzino? E sì che te l'ho insegnato il metodo” Stone commenta il mio apparente ritardo quando lo raggiungo in macchina.
“Scusami, ma dovevo almeno darmi una sistemata. A saperlo prima, sarei uscita di casa in maniera un po' più presentabile” continuo controllando il lavoro fatto con la matita per gli occhi nello specchietto laterale.
“Che significa a saperlo prima? Sono settimane che ti parlo di questo concerto” Stone mi risponde allibito e io non capisco se ci fa o ci è.
“Del concerto lo sapevo, non sapevo se mi avresti voluta lì...”
“Che cazzo dici, eravamo anche d'accordo che saresti venuta al soundcheck”
“Sì, ma ci eravamo messi d'accordo prima”
“Prima?” quindi ha deciso di fare finta di niente e andare avanti come se nulla fosse successo?
“Prima del nostro discorso. Sai, il discorso...”
“E allora? Il discorso non ha cambiato niente”
“No?”
“Certo che no, non credo che all'Ok Hotel ci sia un regolamento che vieta l'ingresso ai portatori di protesi” la risposta alla mia domanda di poco fa è che ci è. Perché anche se lo fa apposta, lo fa proprio perché è così: un cazzone.
“E tra di noi?”
“Noi non abbiamo stipulato regolamenti”
“Tra di noi non è cambiato niente?” l'unica maniera di interagire con Stone in questi casi è ignorare cosa dice e andare avanti seguendo il tuo percorso logico, aspettando che lui ti reputi abbastanza degno e decida di venirti dietro.
“No, perché?” sbuffa perché stavolta è costretto a rispondere seriamente.
“Beh, non lo so, sei sparito per giorni, non ti sei più fatto sentire”
“Ho avuto da fare, lo sai”
“Non dire cazzate, me l'hai detto chiaramente che avevi bisogno di schiarirti le idee”
“E allora se lo sapevi, non c'era nulla di cui preoccuparsi, no?” Stone sorride e pensa di risolvere tutto con un'alzata di spalle e accendendo l'autoradio, ma ha sbagliato a capire.
“Quindi?” gli chiedo spegnendo la radio e guadagnandomi un'occhiata stupita.
“Quindi che?”
“Te le sei schiarite?”
“Sì”
“E?”
“E... ora ce le ho chiare” improvvisamente è diventato avido di parole?
“E non potresti illuminare anche le mie, di grazia?” lo illuminerei anch'io, dopo averlo ricoperto di benzina, se non la smette di fare così.
“Dobbiamo farlo proprio adesso? Ho il concerto stasera e ho un sacco di cose per la tes-” non lo faccio neanche finire di parlare e ho già slacciato la cintura e aperto la portiera, approfittando del fatto che siamo fermi a uno stop “Dove credi di andare adesso?”
“Vado a casa, ci rivediamo quando hai la mente libera” rispondo chiudendo la portiera e incamminandomi sul marciapiede verso la fermata del bus più vicina, seguita dall'auto, che procede a passo d'uomo col finestrino abbassato.
“Grace, torna in macchina, su”
“Salgo se hai intenzione di parlare, se no passo” gli rispondo, mentre le altre macchine che sopraggiungono gli suonano il clacson e lo sorpassano bestemmiandogli dietro.
“E va bene, parlo, basta che sali”
“Non lo so” potrebbe essere molto più convinto e convincente di così, se solo volesse.
“Ok, OK!” Stone spegne il motore, mette le quattro frecce e scende dalla macchina, per andarsi poi a sedere sull panchina della fermata “Allora? Non volevi parlare? Vieni su, parliamo” tocca lo spazio accanto a lui facendomi segno di raggiungerlo e sedermi.
“Sei tu quello che ha qualcosa da dire, io quello che dovevo farti sapere te l'ho già comunicato. E capisco sia una cosa difficile da digerire, credimi, lo so. Però mi aspetto anche una certa franchezza da parte tua. Insomma, sei qui, quindi ho capito che vuoi portare avanti questa cosa con me, ma-”
“Che cazzo vuol dire che l'hai capito? Perché avevi forse dei dubbi?” Stone mi strattona e mi fa sedere sulla panchina mentre io mi ci stavo avvicinando lentamente.
“Beh, hai detto che avevi bisogno di tempo per pensare”
“Pensare a quanto sono stato deficiente, a quante volte ti avrò ferita senza volerlo, magari anche la sera stessa, usando le parole o gli sguardi sbagliati, reagendo in maniera troppo esagerata o troppo composta. Pensare a quanto devi fidarti di me, al valore che devi dare alla nostra relazione per arrivare a dirmi una cosa del genere, a quanto devi aver ponderato la scelta del modo e dei tempi. Pensare a come posso fare per farti capire che anch'io ci credo e mi fido di te alla stessa maniera. Pensare a come comportarmi con te in maniera diversa e allo stesso tempo non cambiare di una virgola e continuare a essere il solito stronzo. Pensare a cosa posso dare io a te in questa storia, di altrettanto significativo, a come posso aiutarti, o almeno capirti, a qual è il mio valore aggiunto in tutto questo. Pensare a come posso starti vicino in questa cosa, ma senza darti fastidio, trovare la chiave. Oh e credo di averla trovata, sai? Ecco, queste sono le cose a cui ho pensato, beh, una parte, ma fra queste cose stai pur certa che non c'era assolutamente il dubbio se stare con te o no, perché quello non è mai stato messo in dubbio, neanche per un secondo”
“Ah” ha ritrovato le parole. E per fortuna.
“Ah?”
“E qual è?” sono io adesso ad essere senza parole. Anzi no, ne ho tre.
“Cosa?”
“La chiave, che hai trovato”
“Gaby Pearce”
“Chi?”
“La mia nemesi in seconda elementare”
“Uh, il piccolo Stone aveva una cotta!” non so dove cavolo voglia andare a parare, ma pensare a baby Stone mi mette istantaneamente un sorriso sulle labbra.
“No no, non è il caso di bambino che tira le trecce alla bambina perché la ama, la odiavo proprio. E infatti Gaby ha tentato di uccidermi”
“Che?”
“Mi ha letteralmente scaraventato giù dall'altalena durante la ricreazione”
“Ahahah magari era il tipico caso di bambina che prende a calci il bambino perché lo ama”
“Beh, doveva amarmi un sacco visto che mi ha causato un trauma cranico di grado severo e mi sono fatto quasi un mese in ospedale, più due di riabilitazione”
“COSA?”
“Già. Quando mia madre mi ha raggiunto al Virginia Mason era sconvolta, mi ha visto sveglio e mi ha abbracciato. Io l'ho guardata e l'ho chiamata pane. E' svenuta”
“Pane?”
“Non so se questa cosa abbia un nome, la botta aveva danneggiato la parte del cervello che si occupa del linguaggio. Capivo tutto e riuscivo a parlare, ma le cose che dicevo non avevano senso. Non mi ricordavo come si chiamavano le cose oppure me lo ricordavo e pensavo una parola, ma me ne usciva un'altra”
“Pane”
“Esatto. Due mesi di logopedista per tornare come prima. Anzi meglio. E meno male perché ti puoi immaginare uno come me privato dell'uso della parola”
“Posso immaginare, come toglierti l'aria che respiri praticamente”
“Eheh appunto. Comunque va beh, è stata una roba non grave e transitoria, non ho avuto nessuna conseguenza”
“Questo lo dici tu” scherzo per allentare la tensione e sono contenta di trovare il mio stesso ghigno riflesso sul viso di Stone.
“Ehi, non si scherza su queste cose!” mi spintona per scherzo per poi catturarmi di nuovo e tirarmi più vicino a sé sulla panchina.
“Chi lo dice? Ti ricordo che mi manca un piede, praticamente ho un free pass per qualsiasi cattiveria”
“Ah è così?”
“Già, e visto che anche tu hai una piccola storia triste del passato, hai il permesso di prendermi per il culo e prendere la cosa con leggerezza. E' questa la chiave, giusto?”
“Oh mio dio, no! Sei totalmente fuori strada, nemmeno io sono così cinico, vergognati!” Stone mi spinge via di nuovo, ma io mi sento disorientata davvero.
“E allora qual è il senso?”
“Il senso è che so cosa vuol dire ripartire da zero, Gracie. Non voglio tirarmela, ma credo che poche persone capiscano cosa significhi dover attraversare il processo di imparare di nuovo a fare cose basilari. Camminare e muoverti nel tuo caso, parlare nel mio. Perché io ero più piccolo di te e molte cose me le sono scordate, ma la fatica e la frustrazione no, quelle me le ricordo bene. In pochi sanno cosa significa spingere te stesso fuori dalla comfort zone per raggiungere degli obiettivi. Lo sai che avevo appena iniziato a suonare la chitarra? Ho dovuto ricominciare da capo anche lì, perché a quanto pare la parte sinistra del mio cervello andava da una parte e la destra dall'altra e ho imparato a mie spese che questo non è un bene quando devi suonare un cazzo di strumento”
“Mi sembra che tu abbia recuperato alla grande” gli prendo le mani con cui stava accennando una sorta di air guitar e gli accarezzo le dita lunghe e affusolate.
“Sì, ma mi sono dovuto fare il culo, sicuramente non quanto te, ma non è stato facile. Anzi no, cazzata, lo è stato in fondo, è stato facile, ma solo perché io ho deciso che doveva esserlo, ho deciso che potevo fare qualsiasi cosa e che ce l'avrei fatta. Bastava capire quando potevo spingere e quando invece dovevo abbassare l'asticella di un paio di misure, e io l'ho capito, l'ho imparato. E con questo non voglio giustificare il mio essere un perfezionista del cazzo maniaco del controllo. Però, tant'è” Stone intreccia le dita con le mie e allarga le braccia, come per dire eccomi, sono così, è questo quello che ti offro. E io non chiedevo di meglio.
“Io non sono una perfetta perfezionista però”
“E vai bene così. Io non pretendo di sapere e capire tutto di te, anche perché sei completamente pazza, ma capisco lo schema di pensiero che sta dietro a questa cosa, a questa parte di te. Posso capire quando spingerti e quando abbassare l'asticella, e tu puoi fare lo stesso con me. Capisco cosa vuol dire seguire il proprio istinto anche quando gli altri ti dicono di fare il contrario, magari anche per il tuo bene. E penso che anche tu possa capirlo, anzi, ne sono sicuro. E per me è una cosa importantissima. Perché nessuno nella mia vita è mai stato capace di distinguere tra quando sono testardo per il gusto di esserlo o di dimostrare che ho ragione e quando invece spingo su me stesso per raggiungere un obiettivo vero”
“Tra testardaggine e determinazione”
“Già. Vedi che tu mi capisci? Da quando ho ripreso in mano la chitarra da bambino non ho mai più smesso. Mai. Non ho smesso quando si sono sciolti i Green River. Non ho smesso quando Andy è morto. Non ho smesso quando mio padre mi consigliava di tornare al college. Ed ora è il mio mestiere e lo sarà per sempre. E non c'entra il successo, Mark Arm può dire quel cazzo che vuole, a me interessa farlo perché fra tutte le cose che so fare, e ti dirò, non sono certo poche, è quella che mi riesce meglio”
“Mmm presunzione, ne abbiamo?” gli riesce tutto bene, specialmente con me.
“Io la chiamo consapevolezza”
“Sei consapevole che dopo questo discorso non potrò mai lasciarti perché non troverò mai un altro che mi parli in questa maniera?”
“Dici che ho alzato troppo l'asticella?”
“Se l'abbassi ti ammazzo”
“Adesso andiamo, sono in ritardo per il soundcheck e Jeff starà già dando fuori di matto” Stone sorride e si alza in piedi, invitandomi a seguirlo.
“Jeff lo sa? Dico, di questa cosa...”
“Nah, non lo sa nessuno, a parte la mia famiglia. E quella stronza di Gaby Pierce. Sai che non mi ha mai neanche chiesto scusa?”
“Io avrei iniziato da lì in poi a chiamarla stronza anziché usare il suo nome, dando la colpa al trauma”
“Sei... un genio del male, cazzo. Perché questa cosa non è venuta in mente a me? E soprattutto, dove diavolo eri nel 1974 se non nella mia vita?” Stone si ferma a un passo dall'auto, si gira e mi abbraccia stretto.
“Kenosha, Wisconsin”
“Oh. Cavolo questo sì che cambia tutto. Ehm... non so se posso stare con una del Wisconsin, non ti offendere, ma non credo di farcela” mi lascia andare di colpo e si affretta a salire in macchina.
“Scusa se non ti ho confessato prima questo segreto, ero preoccupata di come l'avresti presa” salgo anch'io e non posso fare a meno di seguirlo anche in quest'ultima cazzata, come sempre.
“E facevi bene a preoccuparti. Però se vuoi possiamo rimanere amici”
“Metti in moto, Stone” seguirlo, ma senza perdere l'orientamento.
“Possiamo andare a caccia di tassi insieme qualche volta, se ti va”
“Ti amo” seguirlo ovunque.
“Anche se non so distinguere un tasso da un procione?”
“Te lo insegno io”
“In questo caso, ti amo anch'io”
***********************************************************************************************************************************
Quando sento Angie al telefono nel primo pomeriggio riesco a convincerla a venire all'Ok Hotel con me e i ragazzi già dal soundcheck, ma non riesco a convincerla a dirmi il suo cazzo di nome.
“Ok deve essere per forza Windqualcosa perché sei Angelina W. Pacifico, quindi inizia per doppia vù” le dico non appena esce dal portone del suo palazzo.
“Ciao anche a te, Eddie”
“Windflower? O Windchill?” le chiedo mimando un brivido di freddo, neanche tanto per finta, vista l'aria frizzante del tardo pomeriggio, per poi avvicinarmi e baciarla.
“Acqua e acqua” risponde dopo aver alzato gli occhi al cielo. La bacio di nuovo e lei si guarda attorno in maniera un po' subdola per non farsi notare da me. Illusa. Non lo sai che noto tutto?
“Sono nel furgone che ci aspettano. E poi è venerdì, no?” le sorrido e la bacio di nuovo e stavolta mi sembra un po' meno tesa.
“Già, hai ragione” risponde con un sorriso dei suoi e mi accarezza una guancia, prima di baciarmi ancora a sua volta.
“Windstorm?” le chiedo, lanciando poi un'occhiata al cielo per cercare di prevedere come girerà il tempo.
“No. E adesso taci perché se gli altri vengono a sapere anche questa sei morto.” mi raddrizza il collo della giacca e mi prende per mano “Da che parte?”
“Laggiù, dopo il bowling, all'angolo... Windsurf”
“Ahahah figurati!” scuote la testa e attraversa la strada con me tenendo lo sguardo fisso sul furgone e, anche se non dice nulla e cerca di dissimulare, lo so che nella sua mente sta facendo un veloce calcolo di angolazione e prospettiva per capire se da lì possono averci visti che ci baciavamo. Tra parentesi io l'ho già fatto mentre arrivavo ed è sicuro come l'oro che ci hanno visti.
“Va beh, però dopo me lo dici, ok?”
“Sì. Se te lo meriti”
Quando arriviamo davanti al van, Mike e Jeff, seduti davanti, sono rivolti entrambi verso Dave, seduto nel mezzo, apparentemente molto concentrati in una conversazione. Tanto concentrati da non cagarci di striscio. Sicuramente stanno parlando di noi e non si sono accorti che siamo proprio qui. Chissà che faccia faranno appena aprirò lo sportello e-
“Dai, Lynch è un genio” ehm, no, mi sa che parlano di altro.
“Lynch è un genio, ma ci sta prendendo tutti per il culo secondo me, ora è palese” Mike ribatte all'affermazione di Jeff scuotendo la testa.
“A me è sembrata una scena perfettamente in linea con lo show. Quell'uomo è in contatto diretto con un altro mondo, la sua arte è piena di momenti della serie che-cazzo-ho-appena-visto” Dave cerca di mediare, ma i risultati sono scarsi a quanto pare.
“Un pomello? Un cazzo di pomello??” McCready sbotta facendo sobbalzare sia me che Angie, che cerchiamo l'uno lo sguardo dell'altra nello stesso istante, lei divertita e io perplesso.
“Ahahah mi piace perché fra tutte le cose nonsense come il gigante, la signora ceppo, i gufi, l'uomo nel sacco, l'uomo con un braccio solo...  a te fa incazzare il pomello!” Jeff sghignazza aggiustandosi il cappello sulla testa.
“Di che cazzo state parlando?” mi decido a intervenire nella questione e a comunicare la nostra presenza ai ragazzi, che non ci hanno ancora cagati.
“Della morte di Josie, nell'ultimo episodio” Angie risponde al posto dei miei compari, che si voltano appena a guardarci.
“Quando arriva Cooper, sembrava dormisse” il batterista inizia a spiegare.
“Invece aveva appena ammazzato uno” aggiunge Jeff.
“Che però non muore subito subito, eh, fa due passi giù dal letto prima” Mike ironizza cercando il mio appoggio, mentre gli altri due continuano ad aggiungere dettagli alla trama a turno.
“E confessa di averne ammazzati altri”
“Poi sembra si stia per sparare”
“Ma non lo fa”
“Però sembra”
“Però sviene”
“Ricade sul letto ed è morta”
“Poi lei e lo sceriffo scompaiono, un riflettore da chissà dove illumina l'agente Cooper e lì inizia il che-cazzo-sto-guardando”
“Bob ciccia fuori da sotto il letto e fa tutti i suoi versi alla Bob”
“E sembra molto soddisfatto di se stesso per l'interpretazione, devo dire”
“Ma scompare subito anche lui e chi spunta?”
“Il nano del cazzo” Mike irrompe nel serratissimo botta e risposta.
“E cosa fa? Quello che gli riesce meglio”
“Balla a caso sul letto”
“Fa il suo balletto del cazzo” è ancora 'Cready a manifestare la sua poca ammirazione nei confronti del personaggio.
“Poi scompare”
“E ricompaiono Josie e lo sceriffo”
“E lo spirito di Josie viene misteriosamente teletrasportato nel pomello di un cassetto del comodino” e non può che essere sempre Mike a ritirare fuori il pomello incriminato.
“E lei cerca di venire fuori da quel minchia di pomello, ma non ci riesce e il pomello prende la forma della sua faccia” stavolta è Angie ad aggiungere ulteriori dettagli.
“E io dico che è successo? Chi è stato? L'ha fatto Bob? L'ha fatto il nano? Insomma che-cazzo-ho-appena-visto??” Mike pone le sue domande a tutti noi singolarmente, che non sappiamo rispondergli.
“E non avremo mai delle risposte” appunto, Jeff.
“Ed è quello il bello! Voglio dire, se cominciano anche a darci delle risposte non ha più senso guardarlo. Già l'aver svelato in anticipo chi fosse l'assassino di Laura è stata una grandissima stronzata secondo me” commenta la mia ragazza mentre fa per aprire il portellone di dietro e io la aiuto.
“Effettivamente è diventato un po' moscio da allora” Krusen ammette mentre Jeff mette in moto e Mike da man forte a Angie nella sua critica.
“Secondo me Lynch non voleva dirlo fino alla fine, ma l'emittente l'avrà obbligato. E adesso ci sta perculando tutti per vendicarsi”
“Col pomello?” intervengo io, che mi sento un po' tagliato fuori dalla conversazione, e così facendo suscitando un'altra mini-reazione isterica nel chitarrista.
“Quel pomello del cazzo!!”
“Dai, quale altra serie tv può vantare di aver fatto morire un personaggio trasformandolo in un pomello?” Angie cerca di calmarlo con una pacca sulla spalla, mentre io chiudo il portellone da dentro.
“Già, è la morte definitiva” ammette Jeff cercando di non ridere.
“Potevano anche attaccarci un bel cartello con scritto Fine su quel pomello”
“Ehm si è fatto tardi, direi che è ora di andare” richiamo l'attenzione del gruppo quando vedo che Jeff non ha ancora intenzione di partire. E continua a non farlo, invece si gira e si rivolge direttamente a me.
“Tu che ne pensi, Eddie?”
“Eddie non guarda ancora Twin Peaks, ma non temere, ho registrato tutte le puntate su cassetta, possiamo iniziare a colmare la tua lacuna quando vuoi” Angie mi fa pat-pat su un ginocchio e mi prende per mano e lo fa proprio davanti a Jeff, a cui il gesto non passa certo inosservato. Lo vedo chiaramente abbassare lo sguardo sulle nostre mani unite, anche se per un nano-secondo, prima di sorridere e voltarsi di nuovo in avanti.
“Comunque la mia preferita è la signora ceppo, lei è ancora un mistero” continua Angie mentre finalmente ci muoviamo. Il segreto che dobbiamo svelare oggi, invece, credo non sia altrettanto misterioso in fondo.
9 notes · View notes
mezzopieno-news · 2 years
Text
RISCOPERTO UN PESCE CHE SI CREDEVA ESTINTO DA 50 ANNI
Tumblr media
Il Botia di Diyarbakir, un piccolo pesce che si riteneva estinto dal 1974, è stato recentemente trovato da un gruppo di ittiologi turchi in due corsi d'acqua nel sud-est della Turchia.
La spedizione fa parte del progetto Search for Lost Fishes (alla ricerca dei pesci perduti) di Re:wild, un'organizzazione lanciata all'inizio del 2021 da un gruppo di scienziati della conservazione e dall’attore Leonardo DiCaprio. Il Paraschistura chrysicristinae (questo il suo nome scientifico) era nella lista dei 10 pesci d'acqua dolce più rari al mondo. Il piccolo pesce a strisce gialle e marroni che cresce al massimo fino a 3,5 centimetri di lunghezza, un tempo si trovava comunemente nei torrenti e negli affluenti del fiume Batman, nell’Alto Tigri, Turchia. Gli scienziati Cüneyt Kaya e Münevver Oral hanno perlustrato i ruscelli turchi usando reti a trama fitta per settimane ed hanno trovato 14 esemplari del Botia nel torrente Sarim e nove nel torrente Han. "Mentre stavo setacciando il torrente ho visto un individuo con queste strisce e mi sono emozionato" afferma Kaya. 
“Siamo così felici che questo piccolo pesce sia stato trovato e, si spera, ora potremmo assicurarne il futuro. Kaya afferma che la scoperta non è solo importante per la specie, ma anche una fonte chiave di motivazione per i ricercatori. “Non esistono specie irrilevanti in ecologia. Gli ecosistemi sono organizzati in uno stato di equilibrio in cui tutte le specie coesistono con le altre. Quando si rimuove una specie dall'ecosistema naturale, si riflette collettivamente sull'equilibrio ecologico".
__________________
Fonte: Re:wild; Shoal - 14 gennaio 2022
Tumblr media
✔ VERIFICATO ALLA FONTE | Guarda il protocollo di Fact cheching delle notizie di Mezzopieno
✖  BUONE NOTIZIE CAMBIANO IL MONDO | Firma la petizione per avere più informazione positiva in giornali e telegiornali
Tumblr media
Se trovi utile il nostro lavoro e credi nel principio del giornalismo costruttivo non-profit ✛ sostieni Mezzopieno
2 notes · View notes
Text
[Altadefinizione4K] Jungle Cruise film Streaming ITA
Jungle Cruise Streaming ITA Altadefinizione
Guarda Jungle Cruise Film Streaming Ita,Guarda Jungle Cruise,Altadefinizione,Jungle Cruise streaming cb01,Jungle Cruise Film Italia,720p, 1080p, BRRip, DvdRip, YouTube, Reddit, Multilanguage and High Quality.
Tumblr media
GUARDA O SCRARICA – SELEZIONA PIATTAFORMA
📺 Jungle Cruise Streaming ita Altadefinizione
📺 Jungle Cruise Streaming ita CB01
Trama Negli anni Trenta, durante la Grande Depressione, Frank, il capitano di una barca da fiume, porta una scienziata e suo fratello in missione nella giungla per trovare un albero che si crede abbia poteri curativi. Durante il viaggio, il trio dovrà combattere contro pericolosi animali selvaggi e affrontare una spedizione tedesca rivale.
TAG: Jungle Cruise streaming ita altadefinizione, Jungle Cruise streaming CB01, Jungle Cruise streaming altadefinizione01,
Jungle Cruise Altadefinizione, Jungle Cruise Streaming ita, Jungle Cruise CB01, Jungle Cruise Film Completo,
❍❍❍ Thanks for everything and have fun watching❍❍❍
Here you will find all the films that you can stream online, including the films that were shown this week. If you’re wondering what to see on this website, you should know that it covers genres that include crime, science, fi-fi, action, romance, thriller, comedy, drama, and anime film. Thanks a lot. We inform everyone who is happy to receive news or information about this year’s film program and how to watch your favorite films. Hopefully we can be the best partner for you to find recommendations for your favorite films. That’s all from us, greetings! Thank you for watching The Video Today. I hope you like the videos I share. Give a thumbs up, like or share if you like what we shared so we are more excited. Scatter a happy smile so that the world returns in a variety of colors.
1 note · View note
intotheclash · 4 years
Text
"Ehi, Pietruccio, ci sei ancora?"
La voce di Tonino proveniva da una zona remota della mia testa, ma ebbe comunque la forza di trascinarmi indietro.
"Certo che ci sono! Stavo pensando!"
"E a cosa? Alle chiappe di culo sulle cartoline?" Disse il Tasso, guardandomi con malizia esagerata l'uccello.
Cavolo! Mi era venuto duro! Di sicuro avevo continuato distrattamente a toccarmi, mentre ero perso nel fondo dei miei pensieri.
"Ci hai fatto preoccupare! Ti abbiamo parlato tre, o quattro volte, ma tu niente, Dove cazzo stavi col cervello? Sembravi Schizzo!"
"Io lo odio il mare! Con tutte le mie forze lo odio!" Disse Schizzo, a riprova che la similitudine era perfetta.
Lo fissammo per un istante e scoppiammo a ridere. Povero Schizzo, tutti eravamo a conoscenza della sua disavventura e ci venne subito in mente. E non solo noi, i suoi amici, la conoscevamo, l'intero paese ne era al corrente. D'altra parte, è risaputo, in un piccolo centro funziona così: tutti sanno tutto di tutti. Capita anche che sappiano molto di più. Sanno cose che non sono mai accadute e che, con molte probabilità, non accadranno mai, eppure le sanno, C'è sempre qualcuno che le sa. Qualcuno che le sa e qualcun altro che glielo ha detto.
Iniziammo a lanciare sassi nel fiume, cercando di colpire tutto ciò che galleggiava.
"Facciamo una gara!" Propose bomba, lanciandone uno ben oltre l'altra riva.
"Che tipo di gara?" Chiesi
"A chi va più lontano!"
"Che cazzo di gara è? Tanto lo sappiamo che vinci tu! Non hai un braccio, ma una catapulta!"
"Facciamo la gara di seghe! A chi viene prima!" Propose Tonino, come alternativa.
Perché no? Eravamo nudi come vermi, l'attrezzatura era in bella mostra e la voglia non mancava mai.
"Va bene, però Sergetto è fuori e fa da giudice. Con lui non si può gareggiare, è svelto come un fulmine!"
"Col cazzo che sono fuori! Voglio giocare anch'io!" Protestò ferocemente Sergetto. Anche perché quella era l'unica gara in cui ci passava la biada a tutti.
"Io non voglio farla!" Si lamentò Schizzo, arrossendo.
"Perché non ti si rizza!" Lo punzecchiò il Tasso
"Certo che mi si rizza! Ed è pure più lungo del tuo! Non mi va e basta!"
"Non ti si rizza! Non ti si rizza!" Lo sfottemmo in coro, girandogli intorno.
"Andate tutti a fare in culo! Portatemi qui le vostre sorelle e vedrete se mi si rizza!"
"Allora fai il giudice di gara. Come a Giochi senza Frontiere." Disse Tonino.
"Mi sa che tu non ci stai con la testa. Secondo te io sto qui a guardare che vi fate le seghe?"
"Che male c'è?"
"C'è che mi fate schifo! Ecco cosa c'è." Concluse Schizzo, tuffandosi in acqua.
Non ci restava che iniziare la gara. Anche senza giudice. Tanto l'esito era scontato. Ci mettemmo in fila, spalla contro spalla: pronti? Via! Partimmo a razzo, mezza lingua di fuori, che, in quelle occasioni, sembrava aiutasse e la mano che andava su e giù come il pistone di una Ferrari. Non ci fu nulla da fare, quel coniglio arrapato di Sergetto trionfò in meno di un minuto. Lo odiavamo per questo. E lo invidiavamo anche. Solo qualche anno dopo ci saremmo ricreduti, felici che quel primato fosse tutto suo. Dopo un po', anche io, Tonino e Bomba tagliammo faticosamente il traguardo. Il Tasso era rimasto indietro. Terribilmente indietro, lui non arrivava mai. Mentre si accaniva a testa bassa sul pezzo, lo incitavamo e lo prendevamo per il culo contemporaneamente. Gli ci volle una mezz'ora buona, per arrivare felice e sudato alla bramata meta e noi lo portammo in trionfo come un vincitore. E lo era davvero. Anche questo lo avremmo capito più tardi, insieme alle nostre donne. "Beati gli ultimi, che saranno i primi", in questo campo specifico, forse solo in questo, valeva per davvero.
Terminate le solenni celebrazioni, saltammo nel fiume e raggiungemmo Schizzo, che, nel frattempo, stava cercando di far navigare un vecchio tronco marcio recuperato dalla riva. Ci sistemammo tutti su quella sottospecie di maleodorante zattera e ci lasciammo cullare da quell'indolente corrente. Gli uccelli si fermavano a guardarci stupiti e il sole martellava la nostra pelle senza troppa cattiveria.
"Certo che, a noi ragazzini, di "fregnacce" ce ne raccontano tante." Disse Tonino, con lo sguardo perso da qualche parte sulle canne dell'altra sponda.
"Hai fatto la scoperta dell'acqua calda." Risposi, cercando di capire cosa stesse guardando.
"No, dico: a parte Babbo Natale, la Befana, come nascono i bambini, quella che se ti fai le seghe diventi cieco è proprio la stronzata più grossa che abbia mai sentito."
"Bene, bravo! Ma ora che cavolo c'entra?"
"Ci stavo pensando prima. Mentre stavamo facendo la gara. Ho guardato prima Schizzo, poi noi, poi ancora lui che era l'unico a non gareggiare."
"E allora?"
"Allora ho pensato che non solo quella storia è una palla gigantesca, ma che, forse, è vero l'esatto contrario. Che diventa cieco proprio chi non si fa le seghe!"
Ridemmo felici per la scoperta. Sembrava chiaro che avesse ragione Tonino. Non c'erano santi. E quando se ne fosse convinto anche Schizzo, di sicuro non avrebbe disertato una gara.
"Ehi, guardate laggiù!" Urlò improvvisamente Sergetto.
Ci voltammo di scatto, tutti insieme. A quell'età la curiosità è vorace come una belva feroce digiuna da settimane. Un branco di mucche pezzate, bianche, nere e marroni, stava placidamente guadando il fiume su in una secca; forse in cerca di pascoli migliori.
"Stanno attraversando il fiume! Il nostro fiume!" Aggiunse, facendosi torvo in viso.
"Addirittura nostro!" Commentai sarcastico.
"Certo che è nostro. Qui ci veniamo solo noi. Così ci sporcano l'acqua, bestiacce maledette!"
"Ma che cazzo dici? Come fanno a sporcarci l'acqua se sono più a valle? Certo che ne spari di palloni!"
"Non me ne frega niente! Questo fiume è nostro e io qui non ce le voglio! Andiamo a prenderle a sassate!"
Seguì un coro di: andiamo! andiamo!, ma io rimasi in silenzio. Ero perplesso. Mi piaceva lanciare sassi e avevo anche una bella mira. Certo, non lanciavo lontano come Bomba, ma ero molto più preciso. Però non mi piaceva colpire gli animali, mi facevano pena, tutto qui. Facevo un'eccezione soltanto per quei schifosi ratti di fogna che, ogni tanto, incontravi per le vie del paese e per le odiate vipere. Ma era un altro discorso. Decisi di passare la mano. Nuotai fino a riva e mi sdraiai su uno dei tanti massi levigati che sbucavano prepotenti dalla vegetazione e mi misi ad osservare in disparte la spedizione punitiva. I miei amici arrivarono, con passo lesto, ad una decina di metri dalla mandria, poi diedero inizio ad una fitta sassaiola. Le povere bestie furono colpite a raffica, anche se diedero l'impressione di non curarsene troppo. Insomma, sembrava non considerassero le sassate più fastidiose delle centinaia di punture di mosche e tafani che subivano in continuazione. tuttavia la cosa non mi piaceva lo stesso. Decisi di alzarmi ed andare a porre fine a quello stupido gesto. Non feci in tempo. Dalla riva opposta partì, come un proiettile, un pezzo bello grosso di legno marcio e, per quanto lo trovassi impossibile, arrivò dalla nostra parte ed andò a schiantarsi contro il povero Bomba che cadde al suolo come un sacco di patate. In quell'attimo si fermò il mondo. Lo stupore si poteva tagliare con la motosega, tanto era presente. A farci uscire da quella fase di stallo fu un sasso. Un sasso lanciato dallo stesso punto di prima. Sasso che, con altrettanta forza e precisione, andò a colpire Sergetto proprio in mezzo alla testa. Lui lanciò un urlo disumano e, subito dopo, come a fargli compagnia, anche una gran bestemmiona. Rimase immobile, con le mani in testa, per un tempo indefinibile, gridando: "Non ci vedo più! Non ci vedo più!"
Fummo azzannati dalla paura, paralizzati, ma, per fortuna, subito dopo tornò a vederci. anche se quello che vide peggiorò la situazione. Si portò la mano destra davanti agli occhi e constatò, con la paura che gli si allargava in faccia, che era sporca di sangue. Del suo sangue. A quel punto le lacrime tracimarono dagli occhi e si trasformarono ben presto in un fiume in piena. Fu così che la paura si trasformò in rabbia e i miei amici iniziarono a lanciare tutto ciò che capitava loro a tiro verso il punto in cui aveva avuto origine il fuoco nemico. Io me ne rimasi ancora in disparte. Ancora dovevo capire.
Finalmente riuscimmo a vederlo. Dapprima solo una sagoma oscura tra i fitti cespugli dell'argine, poi, piano, piano, venne fuori la forma di un ragazzino, più o meno della nostra età, scalzo, con i pantaloncini corti e a torso nudo. Non sembrava affatto impaurito. Non fosse altro che per la differenza numerica. E, con nostro grande stupore, ce lo dimostrò pure. Saltò in groppa ad una delle mucche e ci raggiunse attraversando il fiume.
"Certo che ne ha di coraggio!" Pensai.
Fu Tonino a parlare: "Guarda come cazzo lo hai conciato! Gli hai rotto la testa, brutto figlio di puttana!" E gli mostrò, come prova, la zucca di Sergetto che ancora frignava.
Gli aveva detto proprio figlio di puttana! Era l'offesa mortale! Quella che necessariamente significava: cazzotti! Poteva passare solo tra amici stretti e detta per scherzo; ma urlata in quel modo ad uno sconosciuto! Nessuno di mia conoscenza avrebbe lasciato correre. Era la regola. Anche a costo di prenderle. Era una questione di onore. Eppure il nuovo arrivato sembrò non dargli peso. Rimase lì, immobile come un masso. Non era minimamente turbato. forse perché, nudi come eravamo, facevamo più ridere che spavento.
"Avete iniziato voi." Si limitò a dire. Con un tono così calmo che faceva quasi paura.
" Anche a me potevi rompere la testa, brutto stronzo di un matto!" Rincarò la dose Bomba.
"Avete iniziato voi." Disse ancora.
Era il turno del Tasso. Ma lui era uomo d'azione, non di parola, fece l'unica cosa che era capace di fare, caricò a testa bassa il nuovo arrivato, menando pugni all'impazzata e sbuffando vapore come un toro nell'arena. Il ragazzino con i calzoncini non mosse un muscolo. Attese la carica con le braccia conserte, quando il Tasso gli era praticamente addosso, veloce come il demonio scartò di lato e con uno sgambetto lo fece finire lungo disteso nel fiume.
Non potevo più aspettare, dovevo intervenire. Tra i miei amici, ero io il più bravo a fare a pugni, toccava a me condurre le danze. Certo, l'avversario sembrava una brutta bestia, anche troppo brutta, ma dovevo farlo, non potevo rimetterci la faccia. "Adesso basta, vuoi fare a botte? fallo con me!" Dissi.
I miei amici si fecero da parte ridacchiando nervosamente e urlarono in faccia al mio nemico: "Ora sono cazzi tuoi, stronzetto!"
Non è che io ne fossi troppo convinto, ma, come si dice, il tifo aiuta sempre.
"Non mi batto con te." Disse quello, sempre con quel tono gelido.
"Meno male" Pensai. Ma "Perché no? Hai paura?" Mi sentii dire.
"Non ho paura, è che tu sei l'unico che ha lasciato in pace le mie mucche. Non mi batto con te."
Aveva ragione, per Dio! E anche per fortuna! Avevo lasciato in pace le sue mucche! Feci qualche passo avanti e mi presentai: "Io mi chiamo Pietro, e tu?"
Quello mi fissò per un attimo, fece una smorfia che somigliava vagamente ad un mezzo sorriso, si voltò e ritornò nel nulla da dove era venuto.
1 note · View note
paoloxl · 5 years
Link
Tumblr media
In seguito all’inasprirsi delle violenze fasciste contro le organizzazioni e le sedi del movimento operaio e democratico, l’Alleanza del Lavoro (organo di un ampio fronte sindacale) proclamò per il 1° agosto 1922 uno sciopero generale nazionale in “difesa delle libertà politiche e sindacali”. Contro la mobilitazione dei lavoratori si scatenò la violenza delle squadre fasciste lungo tutta la penisola. L’Alleanza del Lavoro sospese lo sciopero il 3 agosto, ma le aggressioni aumentarono e solo in poche città fu organizzata la resistenza alle azioni delle camicie nere. Le spedizioni punitive ebbero così un totale successo con la distruzioni di circoli, cooperative, sindacati, giornali ed amministrazioni popolari. A Parma, sola eccezione, gli sviluppi dello sciopero furono ben diversi: la città divenne teatro di una resistenza armata alle squadre fasciste che, dopo cinque giorni di combattimenti, risultò vittoriosa. I lavoratori avevano risposto compatti allo sciopero e, forti delle tradizioni locali del sindacalismo rivoluzionario, mostrarono ancora una volta grande capacità di mobilitazione e di combattività.
Parma era “rimasta quasi impermeabile al fascismo” ed inoltre, dal luglio 1921, operava contro le aggressioni delle squadre nere l’organizzazione armata degli Arditi del Popolo, costituita dal deputato socialista Guido Picelli, che reclutava giovani lavoratori soprattutto tra le fila del socialismo radicale e dell’anarchismo. Nei giorni di agosto furono mobilitati dal Partito Fascista per la spedizione su Parma circa 10.000 uomini, giunti dai paesi del Parmense e dalle province limitrofe; a comandarle venne inviato Italo Balbo, già protagonista di analoghe spedizioni militari a Ravenna e a Forlì.
Mentre a livello nazionale lo sciopero si esauriva e il fronte democratico veniva sconfitto, a Parma la resistenza si faceva sempre più tenace e, nei borghi dietro le barricate popolari, i poteri passarono al direttorio degli Arditi del Popolo e al suo comandante Picelli.
All’alba del 2 agosto 1922 affluiscono a Parma circa 15 mila squadristi provenienti da tutta l’Emilia, dal Veneto, da parte della Toscana, dal Manto­vano e dal Cremonese. Il prefetto e il questore ritirano tutta la forza pubblica dai quartieri a rischio (l’Oltretorrente e il Naviglio), mentre gli arditi del po­polo, – che da giorni attendevano la spedizione punitiva – si organizzano:
I caposquadra – racconterà Picelli dodici anni più tardi – scelti fra gli operai militari, eb­bero il compito dell’addestramento degli uomini, mentre gli addetti ai servizi speciali furono incaricati di mantenere il contatto coi soldati dei reggimenti di permanenza a Parma per il rifornimento di armi e munizioni. […] Il Comando degli «Arditi del Popolo» appena ebbe no­tizia dell’arrivo dei fascisti, convocò d’urgenza i capi squadra e capi gruppo e dette loro di­sposizioni per la costruzione immediata di sbarramenti, trincee, reticolati, con l’impiego di tutto il materiale disponibile. All’alba, all’ordine di prendere le armi e insorgere, la popolazio­ne operaia scese per le strade, impetuosa come le acque di un fiume che straripi, con picconi, badili, spranghe ed ogni sorta di arnesi, per dar mano agli «Arditi del Popolo» a divellere pie­tre, selciato, rotaie del tramway, scavare fossati, erigere barricate con carri, banchi, travi, la­stre di ferro e tutto quanto era a portata di mano. Uomini, donne, vecchi, giovani di tutti i par­titi e senza partito furono là; fusi in una sola volontà di ferro: resistere e combattere.
Viene quindi divisa la città in quattro settori: due nell’Oltretorrente (Nino Bixio e Massimo D’Azeglio) e due in Parma nuova (Naviglio e Aurelio Saf­fi). Le squadre di arditi del popolo, composte da otto-dieci uomini, si suddi­vidono le zone d’operazione sulla base dell’estensione territoriale dei quar­tieri. Ventidue sono impegnate in Oltretorrente, sei nel Naviglio e quattro nel rione Aurelio Saffi: circa trecento uomini, solo la metà dei quali armati di fucili modello 1891, moschetti, pistole d’ordinanza, rivoltelle automati­che e bombe SIPE. Nei punti ritenuti tatticamente importanti vengono rafforzate le difese e gli sbarramenti minando il sottosuolo; i campanili ven­gono numerati e utilizzati come osservatorii. I poteri passano nelle mani del Comando degli Arditi del popolo, costituito da un ristretto numero di operai (eletti dalle squadre) tra i quali viene ripartita la direzione delle branche di servizio: “difesa e ordinamento interno”, “approvvigionamenti” e, infine, “sanità”. I commercianti e le classi medie simpatizzano con gli antifascisti e mettono a loro disposizione l’occorrente (viveri e quant’altro).
Dall’altra parte delle barricate il ritratto ora esposto viene confermato. Nel suo stile telegrafico posticciamente tardo-futurista, il comandante su­premo della spedizione punitiva (appena giunto da Ferrara), ricorderà così la situazione:
I dirigenti di Parma mi danno l’antefatto. I fascisti locali pochi: la città è rimasta quasi impermeabile al Fascismo: invece nella provincia la conquista fascista è quasi completa. Lo sciopero non potè essere impedito in città per la debolezza delle nostre forze. Fu più o meno generale. […] Parma divisa secondo i vecchi confini dalle fazioni in lotta: l’oltretorrente completamente in mano dei rossi. La popolazione asserragliata nelle case trasformate in for­tezze, con abbondanza d’armi e di tiratori scelti sui tetti: le strade bloccate da barricate col materiale delle scuole e delle chiese.
E, a proposito dello schieramento avversario, Balbo, dopo aver osser­vato genericamente che il fulcro della resistenza sono i comunisti, annota nel suo diario:
Forze avversarie. – Hanno solidarizzato con i rivoltosi: la Camera del lavoro sindacalista, con Alceste De Ambris alla testa. […] La Camera del lavoro socialista […]. Molti popolari. Partecipano alla resistenza sovversiva persino alcuni preti in sottana che hanno offerto viveri e banchi di chiesa per gli sbarramenti. I giovani popolari sono capeggiati da un noto avvocato della città. Frazioni di partiti borghesi, legati alla democrazia nittiana […]
In effetti lo schieramento politico che appoggia i rivoltosi è assai ampio. Ma una tale ampiezza gli deriva dall’essere uno schieramento sociale di po­polo, non certo un blocco di sigle, molte delle quali contrarie a qualsiasi ten­tativo di risposta violenta al fascismo. I socialisti, i comunisti e ancor più i popolari, che appoggiano attivamente la rivolta, lo fanno in dissenso, o quan­tomeno discostandosi, dall’indirizzo delle rispettive direzioni politiche. (Come sottolinea Dianella Gagliani (che ha raccolto alcune testimonianze, tra le quali quel­la di Dante Gorreri), la mediazione raggiunta dai comunisti parmensi con la “Centrale” fu quella di partecipare alla difesa unitaria con proprie squadre, subordinate al Comando degli Arditi del popolo. “Gruppi comunisti avevano il controllo militare di alcune vie, sostanzial­mente all’interno dell’organizzazione degli arditi del popolo” (cfr. D. Gagliani, Arditi del popolo, in AA.VV., Dietro le barricate, cit., p. 166). La partecipazione come combattenti di operai e, in generale, di cittadini che facevano riferimento al PPI ci viene confermata, oltre­ché dallo stesso Picelli (in tempi non sospetti, cioè prima del VII congresso dell’IC), dalla morte del consigliere popolare del PPI Ulisse Corazza (colpito al capo da una fucilata dopo essersi presentato – come scrisse Picelli – qualche ora prima, “col proprio moschetto a un ca­posquadra, per chiedere di partecipare al combattimento a fianco degli «Arditi del Popo­lo»”). Anche la partecipazione dei sacerdoti è confermata da più parti: il parroco di San Giu­seppe, ad esempio, mise a disposizione i banchi della sua chiesa per costruire una barricata, ma si oppose fermamente a Picelli quando questi gli chiese di issare la bandiera rossa sul campanile (cfr. Pietro Bonardi Cattolici e chiesa nella lotta politica, in AA.VV., Dietro le barricate, cit., pp. 271-72). Anche Balbo nel suo diario, dopo aver annotato la morte di Ulis­se Corazza, scrive: “I fascisti hanno visto un grosso prete rubicondo agitarsi dietro le barri­cate dei sovversivi a portare panche e sedie di chiesa. Momento di aberrazione. Contrasto con le parole cristiane di Monsignor Conforti [l’arcivescovo di Parma che la sera prima era andato a trovare Balbo con l’intento di pacificare le parti]” (I. Balbo, cit., p. 131).)
Le uniche forze politico-sindacali che sostengono apertamente la rivolta (oltre al nucleo “picelliano” della Camera confederale del lavoro di via Imbriani) so­no quelle dei sindacalisti rivoluzionari dell’UldL (con sede presso la Camera del lavoro di Borgo alle Grazie, guidata da Vittorio Picelli, fratello di Guido), dell’Unione sindacale parmense (aderente all’USI) e dei libertari (UAI).
La difesa di Oltretorrente è una lotta di popolo vera e propria. La divi­sione tra combattenti e ausiliari non-combattenti, usuale per qualsiasi con­flitto civile (si pensi alla Resistenza), non è in questo caso ben determina­bile. Accanto ai circa trecento arditi del popolo c’è infatti la quasi totalità della popolazione. Come annota Picelli, dopo aver descritto la situazione nel borgo del Naviglio:
Anche nell’Oltretorrente i servizi andarono man mano migliorando: requisizione e distribu­zione di viveri, posti di medicamento, cucine, vigilanza, informazione, rafforzamento delle co­struzioni difensive. Grande fu la partecipazione delle donne, le quali accorsero ovunque a pre­stare l’opera loro preziosissima e ad incitare. […] Un elemento molto importante del successo nella lotta armata è la certezza di vincere. È interessante osservare come questa «certezza» fosse in ognuno assoluta; nessuno ebbe il più piccolo dubbio. Nelle case si attese alla fabbricazione di ordigni esplodenti, di pugnali fatti con lime, pezzi di ferro, coltelli, e alla preparazione di acidi Dalle finestre di una delle casupole di Borgo Minelli, una ragazza di diciassette anni, tenendo le­vata in alto la scure ed agitandola, gridò ai compagni sulla via: «se vengono io sono pronta!». Alle donne vennero distribuiti recipienti pieni di petrolio e di benzina, poiché in base al piano di­fensivo, nel caso in cui i fascisti fossero riusciti ad entrare in Oltretorrente, il combattimento si sarebbe svolto strada per strada, vicolo per vicolo, casa per casa, senza risparmio di sangue, con lancio di liquidi infiammabili, contro le camicie nere e sino all’incendio e alla distruzione com­pleta delle posizioni.
Notizie, queste, confermate da Balbo che così descrive, lasciando an­che trasparire una certa dose di ammirazione, l’organizzazione della dife­sa in Oltretorrente:
Partecipano alle azioni le donne e i ragazzi. Ora per ora le trincee vengono approfondite e perfezionate. Servizio di sentinella. Operai che si danno il turno. Disciplina militare. Picelli ha il suo quartier generale al centro dell’oltretorrente. Arditi del popolo militarizzati. Stato mag­giore. Disciplina di guerra. […] Molti operai sono in divisa di ex soldati col relativo elmetto. I ragazzi sono in gran parte adibiti a spari a tradimento che colpiscono i fascisti persino nella piazza maggiore della città. Mentre i difensori sono di guardia alle trincee, le donne, mobilitate anch’esse, preparano il rancio. Sono coadiuvate da gruppi di cucinieri. Le popolane portano al­le cucine antifasciste pane, vino, frutta, lardo, patate. Il rancio viene distribuito due volte al giorno. L’ora del rancio è fissata con uno squillo di tromba. Altri squilli regolano l’ora della ri­tirata e l’ora della sveglia, nonché gli allarmi.
In realtà, contrariamente a quanto afferma Balbo, i giovanissimi (come il quattordicenne Gino Gazzola, ucciso inerme da un cecchino fascista) sono impiegati sui tetti e sui campanili in servizio di pattugliamento, men­tre le armi e le munizioni in possesso degli insorti non sono poi molte. An­zi, alcuni di loro, utilizzando un espediente di rimembranza garibaldina, durante la notte salgono sui tetti armati di tubi e bastoni impugnati a mo’ di fucile.
Il rapporto con i soldati di truppa è un altro aspetto saliente della condotta dei resistenti. Il tentativo di occupare il quartiere popolare da parte del generale Lodomez – al quale nel frattempo erano passati i poteri – fallisce per due moti­vi: per la netta opposizione del Comando degli Arditi del popolo al tentativo mediatorio del comitato cittadino dell’AdL e a qualsiasi richiesta di smobilita­zione avanzata dagli ufficiali (con la promessa che i fascisti si sarebbero poi al­lontanati dalla città), ma soprattutto perché i difensori accolgono i soldati del generale letteralmente a braccia aperte. (Come nota Picelli: “Gli ufficiali protestarono dicendo che avevano l’ordine; ma gli operai non cedettero. Anch’essi avevano un ordine! Il contegno dei soldati fu tale da non incoraggiare gli ufficiali ad insistere troppo. Due ore dopo il battaglione venne ritirato. Le manovre di com­promesso furono sventate e il tentativo di disarmare gli operai fallì” )
Un Balbo indignato scrive infatti:
Alle 14 le truppe del generale Lodomez entravano nei quartieri occupati dai sovversivi con mitragliatrici e con due cannoni. L’apparato di forze era grande. Si riteneva accanita la resistenza degli avversari. Invece non è stato sparato un colpo di fucile. Gli operai stessi han­no aiutato i soldati a sgombrare le barricate e a disfare le trincee. Da tutte le viuzze dell’oltre-torrente le masse sovversive accorrevano incontro ai soldati gridando «viva l’esercito prole­tario». Applausi senza fine agli ufficiali. Molti soldati abbracciati dalle donne che offrivano vino. Segni di vittoria in tutti i quartieri che fino a pochi momenti prima erano in stato di guerra. Le truppe, i carabinieri e le guardie regie non hanno sequestrato che tre o quattro mo­schetti. […] In una piazzetta dell’oltretorrente è stata scodellata ai soldati una polenta di 15 chili. Non sono mancate le musiche e i balli popolari.
Il mistero di questa manifestazione di giubilo e di solidarietà con l’Esercito è stato subito svelato. Il prefetto Fusco è sceso a patti con gli arditi rossi di Picelli. […] Si è presentata a Picelli la soluzione prefettizia come una clamorosa vittoria delle organizzazioni rosse […]. In­somma era tutto un equivoco. Inoltre le dimostrazioni fatte all’Esercito suonavano oltraggio all’Esercito stesso, che si tendeva a far apparire come bolscevizzante. (Se non corrisponde a verità il fatto che il prefetto Federico Fu­sco, uomo di Facta, simpatizzasse con gli insorti, è però vero che la sua condotta (ispirata dall’esclusiva volontà di non far giungere le parti a un sanguinoso scontro fisico) fu diversa da quella della maggioranza degli altri prefetti del regno, quasi tutti filofascisti. Come ha do­cumentato Palazzolo il prefetto di Parma inviò, il 6 agosto del ’22, un telegramma in cui si dice tra l’altro che “neanche il minimo atto di ostilità è stato compiuto dai socialisti contro la truppa e i Funzionari ed Agenti della forza pubblica […]. I socialisti hanno sparato e costrui­to barricate solo per difendersi dai fascisti, né occorre che io smentisca di avere, anche con un tacito consenso, incoraggiato tali barricate.” ).
In sintesi, dopo tre giorni di combattimenti che impegnano più che l’Ol­tretorrente il quartiere Naviglio (la cui difesa viene organizzata dall’anarchi­co Antonio Cieri), le truppe di Balbo devono battere in ritirata.
CRONACA (da la Gazzetta di Parma del 3 agosto 1922)
Lo sciopero iniquo
Se non fosse il movimento dj truppe, ed il girare attorno, sempre a tutte le ore compiendo miracoli di resistenza dei pochi funzionari e agenti della forza pubblica, non si avrebbe affatto l’im­pressione che lo sciopero… prosegue.
Mancano i treni cittadini? Ma se forse, è meglio.
Tutti i servizi procedono regolarmente. Gli spazzini stessi, ora che si sono messi a ragionare con la toro testa e non più con quella dei mestatori e dei politicanti, sono fermi al loro posto.
Mentre prima, facevan forse peggio dei tramvieri.
I ferrovieri (personale di fatica) si so­no messi quasi tutti in sciopero. Ilt de­posito di Parma con circa quattrocen­to agenti, hà più di trecentocinquanta scioperanti.
E ciò — ci diceva l’Ispettore della circoscrizione Ing. Carini — mentre a Piacenza. Reggio Emila e Modena, non uno ha scioperato, tutti sono rimasti fermi, comprendendo a pieno, quanto sia pazeesco e iniquo questo sciopero.
Eppure, a Parma, sono passati par­titi, arrivati, tutti i treni viaggiatori ed anche qualche treno merci a grande velocità.
In stazione fanno servizio squadre di fasciati; sui treni viaggiano dei fascisti; il personale di macchina è di ferrovieri fascisti.
Ed i treni passano recando le ban­diere dai sacri colori della patria sulle locomotive.
E tutto questo ieri ha dato molto fastidio agli scioperanti ma più che a loro alla teppa che s’affaccia sempre ovunque, che viene sempre a galla quando c’è un po’ di movimento in giro. Tanto che nel pomeriggio, ad un treno che passava, ornato di bandiere è stato sparato contro, da sotto il cavalcavia di via Trento.
Dal treno è stato risposto.
E poi essendo accorsa una squadra di fascisti in perlustrazione, questa nel piazzale interno della Barriera Gari­baldi, venne accolta, da motteggi e fischi.
I fascisti fermatisi, avendo ricevuta una nuova ed eguale dimostrazione ostiìle si slanciarono contro i malintenzionati. Ma questi fuggendo verso viale Mentana e riparando nelle case di borgo del Naviglio, spararono sui fascisti, numerosi colpi di rivoltella.
I fascisti tentarono di retrocedere per entrare in via XX Settembre per pren­dere alle spalle gli sparatori, ma anche in questa strada, malgrado la si vedesse vuota sino in fondo si sparava.
I fascisti erano tutti disarmati, ma nelle case di questo quartiere si usa­vano contro di loro le armi d’ogni sor­ta; che son sempre pronte a portata di mano, e che alla Questura son venne, mai fatto di rinvenire.
Intervenuti i carabinieri, col vice-questore ed il Comandate la Squadra Mobile, i i fascisti si ritirarono.
Ma il dott. Di Sero che aveva affron­tato da solo, con la rivoltella spiana­te, i fascisti non della città e non aven­do segni esteriori di riconoscimento, si ebbe una bastonata che gli ruppe il cap­pello di paglia.
Infatti di fascisti ne sono convenuti in città in numero grandissimo, e hanno continuato ad arrivare per tutta la notte.
Essi sono acquartierati nelle scuo­le di S. Marcellino, delle quali si sono impossessati di sorpresa e vi bivaccano attendendo ordini.
Il Comitato locate dell’ «Alleanza del lavoro» ( ?) ha lanciato un manifestino per inneggiare alla riuscita dello scio­pero che «deve proseguire con rinno­vato fervore» e si compiace perchè — esso dice — «l’ordine di effettuare lo sciopero generale è stato accolto ovun­que con entusiasmo vivissimo.».
Si vede che non vuol sentile «l’Alleanza del lavoro » ( ?) le bestemmie che tirano al suo indirizzo gli operai che sono obbligati dalla prepotenza di pochi politicanti, ben stipendiati, a perdere numerose giornate di lavoro.
La Federazione Commerciale Indu­striale Parmense, ha lanciato anch’essa un manifesto agli Industriali e Commercianti, avvertendo che «se nella dannata ipotesi che il movimento di rivolta sovversiva tendesse a prolungarsi oltre le 48 ore, la Federazione, d’accordo con tutte le organizzazioni consorelle d’I­talia agirà inesorabilmente con estrema energia perché esso movimento, venga inesorabilmente stroncato per il bene della Patria e di tutte le classi di cit­tadini».
In città tutti i negozi sono aperti, e la bandiera italiana sventola ovunque per le vie principali. E’ questo forse, il primo sciopero che si svolge con tutti i negozi aperti.
I portalettere, quelli che sono sem­pre, pronti per le feste di Ferragosto, Natale e Pasqua ad essere complimentosi, a salire fino ai quarti piani, a fare inchini e salamelecchi, si sono astenuti dal lavoro. Gli altri, i benpen­santi, sono in afficio e fanno la distribuzione delle corrispondenze dall’ufficio stesso, coadiuvati all’esterno da portalettere militari. Il Direttore e l’Ispettore delle Poste, i capi d’Ufficio per facilitare al pubblico il ritiro del­le corrispondenze, vigilano a che que­ste siano ripartite per quartieri e per strade, a mano a mano che giungano. Poiché gli arrivi e le partenze si suc­cedono con ogni regolarità. Da certi paesi, come ad esempio, Langhirano, la posta è stata portata in città dai fa­scisti in automobile.
Fonti:
http://www.barricateaparma.it
Eros Francescangeli – Arditi del Popolo – Ed. OdradeK
Gazzetta di Parma del 3 Agosto 1922
da
storie dimenticate
13 notes · View notes