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#In Nero e Luce
edithshead · 9 months
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from In Nero e Luce Kirsten McMenamy by Peter Lindbergh styled by Nicoletta Santoro for Vogue Italia, December 1985
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ecleptica · 1 year
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persa
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fashionbooksmilano · 4 months
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Sandro Sanna
Opere 1990-2000
Testi di Maurizio Calvesi, Augusta Monferini
Mazzotta, Milano 2000, 72 pagine, 21x24cm, ISBN 88-202-1415-6, Testo Italiano e Inglese
euro 20,00
email if you want to buy [email protected]
Mostra Vibo Valentia Palazzo De Riso Gagliardi luglio/agosto 2000
Nel 2000 una grande mostra curata da Maurizio Calvesi e Augusta Monferini, propone opere del decennio 1990-2000 nelle sale del Palazzo De Riso Gagliardi di Vibo Valentia. Questa retrospettiva mette in luce alcuni passaggi fondamentali del lavoro dell’artista: in particolare la serie dei Luce Formante, Miniera del Sole, Rock Nero Sabbia, Pietre, Bisanzio, Geodi, Maglie e Derive e Lo Specchio dei Pianeti,  che esposti contestualmente e nel medesimo luogo rendono evidente l’evoluzione della poetica incentrata sull’allusione alla tridimensionalità, sullo spaesamento percettivo e sulla “riduzione” della materia, che per sua propria peculiarità cromatica o riflettente sostituisce il colore. 
03/02/24
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La Luce In Due Tempi.
Gromo Spiazzi, Bergamo » 26.06.2022 » CODICES - ILLUMINATE
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pianista-19 · 8 months
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Viviamo_Numana_0066 da caleidoscopio concerti Tramite Flickr: Numana in bianco e nero ... - Numana in black and white ... youtu.be/QIPQnB-Iyno
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torinofinestre-blog · 2 years
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elkiar · 2 years
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volevoimparareavolare · 10 months
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Ultimamente sono sempre “troppo” stanca.
Sono troppo stanca per mangiare. E per leggere quel libro di cui avevo segnato l’uscita sul calendario.
Sono troppo stanca per andare al mare, per le onde che mi si infrangono contro le caviglie e i capelli annodati dal sale, mentre i gabbiani strillano sopra la mia testa.
Sono troppo stanca per prendere il treno. E per uscire la sera “anche solo per un gelato”. E per andare al centro commerciale “proprio ora che ci sono i saldi”.
Sono troppo stanca per scrivere. E per studiare per quel famoso “ultimo” esame. E talvolta persino per parlare, con le labbra contratte in una linea spezzata e le spalle che si sollevano a mo’ di scusa.
E ci sono giorni in cui sono troppo stanca persino per piangere.
É il genere di stanchezza che ti si accumula nelle ossa e ti si deposita dentro le vene, come piombo che ti trascina sempre più in basso.
Il genere di stanchezza che ti apre una voragine al centro del petto e come un buco nero assorbe tutta la tua luce.
Il genere di stanchezza che ti fa abbassare lo sguardo e tremare le mani, e ti fa appoggiare al corrimano mentre scendi le scale, e ti fa accostare mentre guidi, costringendoti ad abbassare i finestrini.
É il genere di stanchezza di cui cerchi disperatamente di difenderti. Perché ti senti consumare a poco a poco. E le parti che ti logora sai che non le riceverai più indietro.
È quella stanchezza che non puoi spiegare a parole. Della quale nessun articolo parla. Di cui non esistono canzoni abbastanza profonde e sinfonie abbastanza deprimenti per poterla esprimere in maniera completa.
Il genere di stanchezza che ti fa credere non esista rimedio. E che ti gonfia il cuore fino a strappartelo dalle costole, spezzandotele una ad una.
Non passa coi caffè. Né coi biscotti al cioccolato. Né con una mattinata di sole e un abbraccio sincero.
Non passa mai.
-pensieri delle 22:36
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smokingago · 2 months
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CUORE NERO 🖤
Mi destò un boato nell'oscurità della notte, tutto intorno era silenzio, l'esplosione era dentro di me.
"Mi assale un terrore primordiale, ho paura, come avvolto da filo spinato ogni respiro mi causa dolore, il vuoto  intorno, indifeso e impaurito vorrei urlare dal profondo il mio primo vagito.
Mi sento morire,  il petto è come una gabbia e le costole sono sbarre di acciaio.
Cuore rovente, impazzito, brucia da dentro, imprigionato,  pronto ad esplodere come la caldera dentro al vulcano.
Mostri, spettri, avvoltoi dagli occhi di pece pronti a cibarsi del suo sangue nero di rabbia.
Poi archi di luce intorno a lui, come tempeste solari a scacciare i demoni malvagi.
Cuore annerito continua a bruciare, avvolto da uno strato di cenere ora pare dormiente, esausto si prepara alla luce dell'alba , all'oblio del  nuovo giorno.
Ma la notte tornerà ancora, con le stesse paure, lo stesso dolore.
Finirà mai questo tormento per il mio cuore? Per quanto tempo ancora dovrà soffrire?
Quando uscirà dalla sua gabbia, sarà nuova vita, o sarà morte?."
@smokingago #pensieri #imieiversi
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jamajia · 7 months
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+Les saints+
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♣️VESTITA DI ME ♣️
MY.SOUL ♣️)
Il compito.
Capace di nasconderti
sotto una foglia gialla
portarci via in autunno
all’improvviso
o visitarci nel silenzio muto
all’aperto o al chiuso
Puntuale ma inattesa
in fondo sei costretta a farlo.
Chissà cosa daresti
per liberarti di noi,
della promessa visita
magari un po’ di vita
ma non puoi
Potresti dare il manto nero forse
o gettare la falce cupa al fuoco
ma non lo fai
Come tutti anche tu
sei condannata al compito
e lo sai. AF.
È silenzio dirompente sulle grida
è voce che scardina il silenzio.
Portamento regale nell’assedio
luce notturna, buio che c’illumina.
Come aquila incombe
invece è agnello
vita inerme che dura.
*
Lento bagliore della vita, così strascico un velo nero sui i tuoi pensieri, dove tutto tace ad un silenzio assordante J.m)@
*
Buon  Halloween tra luce e buio c'è sempre vita.! J.m@
1+11+2023+ore 7.j.m@
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luigimancini · 6 months
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Amo la strega per la sua onesta ambiguità, per quel suo vestito nero che sconfigge ogni luce artificiale, perché appartiene al buio, alla luna, perché apparecchia la notte ai disperati e ai dannati come me.
Luigi Mancini
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lunamagicablu · 7 months
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Poi mi trovai sulla più alta di tutte le montagne, e tutt’intorno sotto di me c’era l’intero Cerchio del Mondo. E in quel luogo vidi più di quel che posso raccontare e capii più di quel che vedevo; perché vedevo in maniera sacra la forma di tutte le cose nello spirito, e la forma di tutte le forme così come debbono vivere insieme come un unico essere. E vidi che il cerchio sacro del mio popolo non era che uno dei molti cerchi che facevano un circolo ampio come la luce del giorno e come la luce delle stelle, e nel centro cresceva un robusto albero fiorente per proteggere tutti i figli di una madre e di un padre. E vidi che era un albero sacro. Visione di Alce Nero -Lakota-Sioux *********************** Then I found myself on the highest of all mountains, and all around me was the whole Circle of the World. And in that place I saw more than I can tell and understood more than I saw; for I saw in a sacred manner the form of all things in the spirit, and the form of all forms as they must live together as one being. And I saw that the sacred circle of my people was but one of many circles that made a circle as wide as daylight and as starlight, and in the center grew a strong flowering tree to protect all the children of one mother and of a father. And I saw that it was a sacred tree. Vision of Black Elk -Lakota-Sioux
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libriaco · 2 months
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Le Fosse Ardeatine
Dieci metri piú in là del Quo Vadis la strada si biforca: a sinistra prosegue l’Appia Antica; a destra inizia la via Ardeatina. Prendemmo a destra. Man mano che proseguivamo nel cammino, m’accorsi che s’era formata una fila indiana di persone che, da sole o a piccoli gruppi, sembravano andare nella stessa direzione. Dopo cinquecento metri la strada smette di salire: segue una brusca discesa, che piega sulla destra. Proprio lí, poco dopo la svolta, nel compatto muro di fogliame che ci aveva fin allora accompagnati, s’apriva un varco. Vi entrammo: c’era uno spiazzo, a ridosso di una di quelle creste rossastre di tufo, che cosí frequentemente segnalavano allora nei dintorni di Roma la presenza di cave di pozzolana. Sullo sfondo, lungo la parete, s’aprivano due-tre grandi cavità oscure: si vedeva che erano state aperte, o riaperte, di recente, perché cumuli di terriccio fresco le fronteggiavano. Da quelle cavità un fitto via vai di persone, in gran parte militari, – poliziotti, carabinieri, pompieri, – ma tutti con delle povere tutacce blu o marroni, e fazzoletti colorati qualsiasi stretti intorno al volto. Mio padre trovò un masso da una parte e mi ci fece sedere. «Aspettami qui, – mi disse, – non muoverti». Capii che non era il caso d’insistere. M’accoccolai lí e cominciai a guardarmi intorno, mentre mio padre s’avviava verso uno di quegli ingressi. Mescolati a quelli che erano o parevano militari c’erano anche molti civili: uomini e donne aggrondati, generalmente vestiti di nero, che entravano e uscivano guardando fisso di fronte a sé. A un certo punto passarono due uomini, sorreggendo una donna: era riversa in avanti, con il volto cereo e le gambe rigide; le punte delle scarpe, tenacemente congiunte, come per un’inconscia resistenza nervosa dovuta a qualche dolore, rigavano la polvere. Ma la cosa piú impressionante per me era che da quelle bocche d’inferno veniva un fetore di fronte al quale quello dei poveri morti accatastati nelle bare qualche mese prima nel cimitero del Campo Verano mi sarebbe sembrato insignificante: forse a causa di un forte sbalzo di temperatura tra quelle fredde viscere della terra e il calore esterno, partiva dalla parete, e percuoteva tutti coloro che si trovavano lí davanti, una corrente, un vento intenso, un flusso mortifero compatto e come oleoso, che ci avvolgeva e ci sovrastava, permeando ogni molecola dei nostri apparati sensori, non solo il naso e l’olfatto, ma la bocca e il gusto, e impastandosi con tutta la nostra percezione. Il puzzo della morte, quando è particolarmente forte, si materializza, si fa corposo, si può toccare, diventa esso stesso una creatura vivente, una forza della terra. Cominciavo ad avvertire un ormai noto fremito di disgusto nello stomaco, quando mio padre riemerse dall’oscurità, con gli occhi rossi e il fazzoletto piantato anche lui davanti alla bocca e al naso. Disse: «Andiamo», e non ci fu verso di farlo parlare, fin quando, nel bar di piazza Tuscolo, non sorbimmo insieme un bicchiere di limonata. Sobriamente mi raccontò che proprio lí erano stati trucidati quei prigionieri italiani, politici e militari, di cui aveva parlato il giornale il giorno prima della morte di mio nonno Carlo, e che perciò da quel momento, poiché non aveva avuto ancora un nome, la strage poté chiamarsi, – e da allora s’è chiamata, – delle Fosse Ardeatine. Solo nelle settimane successive, e solo a brandelli, interrotti da lunghi silenzi, mia madre e io sapemmo il resto. Mio padre raccontò di aver visto le file dei prigionieri in ginocchio, non ancora decomposti, addossati l’uno all’altro, qualcuno caduto in avanti, con le mani legate dietro la schiena e un foro immenso nel cranio; disse che, a eccezione forse del primo, tutti gli altri avevano dovuto sapere, con un anticipo da pochi a molti minuti, quello che stava per accadergli. Raccontò anche che frotte di topi grassi fuggivano in giro quando uno degli addetti alla riesumazione spostava in uno di quegli angoli bui la luce della sua lampada.
A. Asor Rosa, L'alba di un mondo nuovo [2002], Torino, Einaudi, 2005
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ilpianistasultetto · 10 months
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Una lingua fresca e luminosa nutrita da cieli e paradisi.  Una poesia di pace sospesa, desiderata oltre ogni limite di umana debolezza. Il TEMPO scandisce il tempo mentre l’amore si nutre di secondi. Occhi limpidi e un cuore che vuole solo tornare a germogliare…Ma prima, com’era? E ora dove andra'? La sua voce dove fara' vedere nuovi angeli e nuove sorgenti ora che il suo corpo l'ha abbandonata dai mostri che l'hanno consumata piano piano fino a farla morire? Dove andra' quella testa che riusciva a partorire solo lampi carichi d'angoscia e disperata solitudine che può provare solo chi è prigioniero della malattia mentale? Gli unici sprazzi di luce le sono stati regalati dalla sua voce, diamante raro che brillava dentro quella sua bocca piu' della stupenda lucentezza dei suoi occhi. Voce che Sinead ci ha regalato per alcuni anni con brani indimenticabili..
Adesso potrai vedere chiunque tu scelga
Potrai cenare in un bel ristorante
Seppur niente potra' portare via quella tua tristezza..
come cantava nel brano che ci ha regalato quel lampo di luce dentro quel suo cielo sempre nero.. @ilpianistasultetto
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donaruz · 3 months
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Federico Garcia Lorca
Pioggia
La pioggia ha un vago segreto di tenerezza
una sonnolenza rassegnata e amabile,
una musica umile si sveglia con lei
e fa vibrare l'anima addormentata del paesaggio.
 
È un bacio azzurro che riceve la Terra,
il mito primitivo che si rinnova.
Il freddo contatto di cielo e terra vecchi
con una pace da lunghe sere.
 
È l'aurora del frutto. Quella che ci porta i fiori
e ci unge con lo spirito santo dei mari.
Quella che sparge la vita sui seminati
e nell'anima tristezza di ciò che non sappiamo.
 
La nostalgia terribile di una vita perduta,
il fatale sentimento di esser nati tardi,
o l'illusione inquieta di un domani impossibile
con l'inquietudine vicina del color della carne.
 
L'amore si sveglia nel grigio del suo ritmo,
il nostro cielo interiore ha un trionfo di sangue,
ma il nostro ottimismo si muta in tristezza
nel contemplare le gocce morte sui vetri.
 
E son le gocce: occhi d'infinito che guardano
il bianco infinito che le generò.
 
Ogni goccia di pioggia trema sul vetro sporco
e vi lascia divine ferite di diamante.
Sono poeti dell'acqua che hanno visto e meditano
ciò che la folla dei fiumi ignora.
 
O pioggia silenziosa; senza burrasca, senza vento,
pioggia tranquilla e serena di campani e di dolce luce,
pioggia buona e pacifica, vera pioggia,
quando amorosa e triste cadi sopra le cose!
 
O pioggia francescana che porti in ogni goccia
anime di fonti chiare e di umili sorgenti!
Quando scendi sui campi lentamente
le rose del mio petto apri con i tuoi suoni.
 
Il canto primitivo che dici al silenzio
e la storia sonora che racconti ai rami
il mio cuore deserto li commenta
in un nero e profondo pentagramma senza chiave.
 
La mia anima ha la tristezza della pioggia serena,
tristezza rassegnata di cosa irrealizzabile,
ho all'orizzonte una stella accesa
e il cuore mi impedisce di contemplarla.
 
O pioggia silenziosa che gli alberi amano
e sei al piano dolcezza emozionante:
da' all'anima le stesse nebbie e risonanze
che lasci nell'anima addormentata del paesaggio!
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kon-igi · 4 months
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IL PONTE SUL PASSO DEL TEMPO
Questa mattina mi sono riempito per sbaglio lo zoccolo sanitario di un flacone intero di lattulosio, che - per chi non lo sapesse - è una roba sciropposissima e appiccicosissima che si usa per contrastare l'encefalopatia epatica ma spiegarvene bene i meccanismi risulterebbe noioso e non pertinente a quanto sto per raccontare.
Il fatto è che nell'attimo in cui il mio piede ha sciaguattato fastidiosamente nello zoccolo ho avuto una reminescenza di un qualcosa che probabilmente da lì a qualche anno sarebbe stato spazzato via nella perdita continua delle cellule cerebrali che avviene quotidianamente e invece sono rimasto lì, quasi fulminato, a fare ciccheciac col piede come un bambino in stivali e impermeabile in una pozzanghera dopo il primo acquazzone autunnale.
Il fatto è che mi sono sentito come un emerito professore di storia di una prestigiosissima univesità che scopre in modo inconfutabile che lo stesso identico oggetto - non simile... proprio lo stesso - è stato tenuto in mano da un uomo di Cromagnon, da un faraone e da un cavaliere del basso medioevo.
L'oggetto era un paio di banalissime birkenstock.
Solo che quelle birkenstock erano un qualcosa fuori dal tempo perché collegavano tre mondi, anzi, tre ere geologiche lunghe millenni.
Nel primo flash ho 18 anni e sto lavando la macchina di mio padre nel polveroso cortile del condominio dove sono nato e da dove, l'anno dopo, saremmo andati via per traslocare in un appartamento finalmente di proprietà.
La canna dell'acqua mi sfugge di mano e mi si incastra tra il piede e la suola della birkenstock destra, allagandola completamente e inscurendo il cuoio.
Fine di un'era che chiameremo onirica.
Nella nuova casa, quella dove i miei genitori abitano ancora, sto realmente per poco tempo a causa di università e militare, ma nella mia memoria emotiva il tempo si dilata in decenni, perché stringo indissolubili e potenti legami con gli amici che mi resistono ancora accanto.
Sono a malapena cinque anni, finché non decido di raggiungere la ragazza che ancora adesso mi resiste accanto (nessuno dei due sapeva che aveva una bambina nella pancia ma vabbe'... così nessuno ha potuto dire che si era trattato di un trasferimento coatto riparatore).
Mio padre mi regala la sua macchina, per il viaggio e per cominciare la mia nuova vita, così decido di lavarla per arrivare in gran stile.
La canna dell'acqua mi sfugge di mano e mi si incastra tra il piede e la suola della birkenstock sinistra, allagandola completamente e inscurendo il cuoio.
Fine di un'era che chiameremo frenetica.
In un altro luogo, lontano mille anni luce nello spazio e nel tempo, una bambina piccola coi capelli rossi dice 'Papà... laviamo la macchina che è sporca!' e quindi usciamo insieme nel cortile illuminato da un sole primaverile. Insaponiamo la macchina e, ridendo, la sciacquiamo schizzandoci con la canna dell'acqua.
A un certo punto lei guarda le ciabatte che porto ai piedi, vecchie e annerite, che oramai uso solo per curare il giardino... e me le bagna col getto della canna dell'acqua urlando 'Sono brutte! Buttale!'
E io, a distanza di 27 anni, ricordo ancora il sacco nero della spazzatura, appeso alla ringhiera della scala, e le birkenstock che hanno viaggiato attraverso le ere di tre vite intere scomparirci dentro.
Allora non avevo capito ma nel momento in cui è entrata l'infermiera con sguardo interrogativo, fissando la pozza di lattulosio a terra, mi sono reso conto che continuavo a non capire.
Ma che alla fine andava bene così.
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