Tumgik
viaggiarescritto · 7 years
Text
Parte 3
Evitammo di vederci con Mike per qualche giorno, incontrarsi con lui richiedeva molte energie, e comunque avevamo altre persone da vedere.
 Io volevo cominciare a sistemarmi un po. Nonostante il viaggio e l’avventura non avevo mai abbandonato la mia voglia di routine. Volevo trovare una palestra per allenarmi ed organizzare una dieta sana. 
Non so come giudicare questa scelta a posteriori, mi piace tenermi in forma e mangiare bene anche se so che toglie molto tempo al resto delle cose, soprattutto quando si è in viaggio. Ho trovato però con il tempo che restare in forma ti da la possibilità di affrontare molte sfide con entusiasmo. In Colorado feci molti “hike” sulle montagne ed andai molto in bici, in Australia andavo spesso in kayak e tutto mi venne molto più facile grazie all’allenamento. Nonostante tutto sono riuscito a non rinunciare a qualche nottata di baldoria, qualche bevuta ed al buon cibo, quindi mi ritengo abbastanza soddisfatto. Alison mi disse che frequentava una palestra che si trovava vicino al suo ufficio, “downtown”, ci andava spesso in pausa pranzo ed era un posto carino con gente piacevole. Decisi di provare e subito me ne innamorai. Il posto si chiamava “Old Town Athletic Club”, aveva quello che mi serviva, c’era il “Crossfit”, i ragazzi erano tutti simpatici ed era in una location favolosa. Alla fine del centro, poco prima di una pista ciclabile che portava direttamente a casa di Alison costeggiando il Poudre River, un fiume chiamato così perchè i francesi vi nascondevano la polvere da sparo durante la guerra. Ci feci il bagno una volta, l’acqua era gelata ma fu bellissimo.
Avevo sistemato la questione della palestra con la piena approvazione di Alison e il malcontento di mio zio che non sopportava questa vita disciplinata. Diverse volte a cena io, lui ed Alison avemmo lunghe discussioni sul “fitness”, lui ci dava degli ossessi, quasi psicopatici e noi ci battevamo forti per la nostra causa, dandogli probabilmente ancora più ragione.
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Tutto sembrava stabilizzarsi e non mi restava che concedermi nuovamente alla vita sociale di FoCo. Ricordo questo periodo di assestamento in Colorado come uno dei più pieni e confusionari di questo viaggio, tanto che non riuscii neanche a riflettere sulla mia condizione. Le idee e i pensieri fecero posto alla vita e fu forse uno dei momenti più riusciti di tutta la mia avventura. La cosa che più mi piaceva era lanciarmi in nottate senza sapere dove andassero a finire. Più volte mi risvegliai a casa di persone che non conoscevo la sera prima. Ricordo che il momento più interessante era al mattino, dopo il risveglio. Andavo spesso alla ricerca di una colazione che sistemasse il mio stomaco quasi sempre provato dalle troppe birre della notte prima, quasi sempre però mi svegliavo riposato e il fatto di aver dormito con i vestiti e non doverli cambiare per uscire di casa aveva una sua strana comodità. Era bello fermarsi a pensare quanto fosse improbabile la situazione nella quale mi trovavo mentre mangiavo il mio bacon croccante con le uova. Spesso mi capitò di tornare a casa in bici, verso le otto del mattino, passando per Mountain all’ombra degli alberi e con una brezza leggera che mi risvegliava dolcemente mentre vedevo le persone uscire di casa per andare a lavoro. Spesso sorridevo ed accennavo un saluto con la testa e loro mi rispondevano, mi sentivo felice, ed in qualche modo importante.
Ogni week-end Cassi, la figlia di Alison, tornava a casa. In realtà il campus dove stava si trovava a pochi passi da lì, ma le piaceva comunque passare un po di tempo nel comfort della sua camera e ne approfittava per vedersi con i suoi amici di “Greyrock”. C’era un bel gruppo di ragazzi che erano cresciuti assieme lì, la loro età andava dai 20 ai 25 anni ed anche se si volevano tutti un gran bene, ormai avevano tutti vite molto differenti. Approfittavano dell’estate per delle “reunion” davanti ad una colazione per aggiornarsi sulle ultime novità ed io, tramite Cassi, fui invitato ad una di queste.
Era organizzata a casa di Izzy, a tre passi da dove stavamo noi, ci sarebbero stati un po tutti i ragazzi e si sarebbero cucinati pancakes ai mirtilli, bacon e patate. Noi fummo incaricati di portare i mirtilli.
 Mentre ci organizzavamo per andare parlai molto con Cassi, cercai di avere qualche informazione in più su di lei e sui ragazzi e scoprii felicemente che era una di quelle persone con cui le conversazioni funzionano alla grande. Capii anche che il distacco che avevo riscontrato al nostro primo incontro era in realtà nient’altro che timidezza. Cassi era la prima figlia di Alison, aveva una sorella minore di nome Mila, aveva un fisico atletico dovuto alla corsa che praticava agonisticamente all’università ed un look acqua e sapone da brava ragazza. Era un ottima studente e molto intelligente ma non di quell’intelligenza che piace a me, quella sottile ed efficace che fa la differenza in ogni cosa. Arrivati da Izzy mi presentai ai ragazzi che erano lì, tutti sembravano incuranti della mia presenza e si aggiornavano sulle ultime novità. Izzy dopo la laurea in Economia, aveva deciso di andare in Australia per un anno, una delle sorelle Glebe stava finendo di studiare, Sara si era iscritta ad una scuola di cucina ed infatti cucinava la colazione per tutti, ci tenne a spiegarci che le patate vanno messe nell’acqua prima che raggiunga l’ebollizione altrimenti non si cuociono bene all’interno. Tra tutti c’era un ragazzo giovane, appena maggiorenne, un cugino di Izzy, aveva iniziato a studiare giornalismo mi pare in Michigan e faceva a tutti domande da intervista in modo un po imbarazzante, giustificandosi subito dopo dicendo che era vittima della sua passione. Cassi mi sembrò un po messa da parte, mentre tutte le ragazze parlavano in modo rilassato e divertito lei riceveva solo qualche domanda di cortesia ogni tanto, del tipo <<allora come ti va all’università?>>, <<com’è il tempo lassù in Canada?>>. Molte domande riguardavano la sorella più giovane Mila, che stava a Denver ed era la pecora nera della famiglia. Aveva deciso di lasciare il college e di lavorare un po, dicevano che cercasse sempre un ragazzo nuovo e che fosse un animale da festa. Non sapevo se fidarmi del giudizio di quelli che mi sembravano dei bravi ragazzi di ottima famiglia e decisi di non farmi altre domande.

Conobbi i genitori di Izzy, il padre Rust, era un tipo simpatico, parlammo del caffè a Fort Collins, mi consigliò un posto dove trovarne uno a suo parere buono, diceva che ci lavorava un ragazzo che sembrava sapere quello che faceva. Parlammo anche del caffè di Alison che oltre al suo lavoro da ingegnere aveva un piccolo bar “downtown” vicino alla palestra.
Dopo poco la situazione si fece abbastanza pesante, Cassi aveva un appuntamento e io ne approfittai per tagliare la corda. 

I ragazzi di “Greyrock” mi erano sembrati a loro modo simpatici anche se poco svezzati e non ero sicuro che fossero il tipo di persone che cercavo in un avventura come questa.
Scoprire che mio zio aveva piani per la sera fu molto più eccitante dopo una mattinata con gli scolari e mi lanciai senza fare domande. Andammo in giro in diversi locali del centro, mio zio si doveva fermare a parlare con un conoscente ogni dieci metri, e la struttura della conversazione si ripeteva spesso.
 <<Cosa ci fai qui!? Non eri in Florida?>>. <<Che progetti hai? Davvero, torni in Italia?>>.
<<Quante ne abbiamo passate inseme>>. <<Bevete qualcosa! Dai offro io, in memoria dei vecchi tempi!>>. <<Non perdiamoci di vista, fatti sentire!>>.
Conobbi parecchi proprietari dei locali più interessanti e di successo della città, molti avevano cominciato lavorando per la mia famiglia ed avevano un autentico senso di riconoscenza. Uno di questi era Thai, un ragazzo che aveva cominciato come cameriere nel ristorante di mio zio, poi divenne sommelier ed ora aveva aperto un locale tutto suo molto chic, era sottoterra, al centro di Fort Collins, si chiamava Social e serviva grandi Drink, buoni vini e vari antipasti. C’era un affettatrice Berkel rossa che si vedeva dalla sala e l’atmosfera era ricercata ma amichevole. Thai si sedette a bere con noi della falanghina di Feudi San Gregorio che importavano dall’Italia, lì era considerato un vino di grande importanza, anche se non riuscivano mai ad avere l’annata corrente, così bevono quello dell’anno prima che noi in Italia consideriamo già vecchio. Lo commentammo insieme ricordando anche uno dei diversi viaggi di Thai in Italia per fare esperienza sui vini. Ci salutammo affettuosamente e Thai ci invitò a bere tequila una di quelle sere con lui e altre vecchie conoscenze e ci disse di farci vedere più spesso. Fu bello constatare che avere il mio cognome a Fort Collins significasse qualcosa nei posti giusti. Eravamo soliti finire la serata con una camminata fino alla macchina commentando le storie delle persone che avevamo incontrato. In Colorado la sera fa sempre fresco, anche ad agosto, e l’aria tersa ci aiutava a riprenderci un po dall’alcol. Non tornavamo mai a casa prima che fossimo davvero stanchi e soddisfatti, non ci risparmiavamo mai e credo che io fui l’unico ad esaurire le energie e l’entusiasmo più di qualche volta. C’erano tanti pianoforti per la città e spesso mi fermavo a suonare qualcosa prima di tornare. Le nottate erano lunghe eroiche e romantiche, i risvegli comodi e pieni di impegni e Fort Collins mi stava regalando un periodo fantasticamente riuscito.
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
1 note · View note
viaggiarescritto · 7 years
Text
Parte 2
La strada era quasi finita e fu il turno del Nebraska, lo attraversammo per poco quasi al confine nord e rimanemmo lì a dormire una notte.
 Passando vicino ad un auto con due ragazzi fermata dalla polizia cominciammo a raccontarci storie di mascalzonate, io non ne avevo tante, mio zio poté invece parlare per molto tempo. Per cena cercavamo sempre del BBQ, era l’unica cosa interessante che puoi pensare di trovare nella farmland. Quella sera cenammo in un piccolo ristorante che stava chiudendo. Era praticamente una casa, lo si capiva dal bagno, se non ricordo male aveva addirittura una doccia all’interno. Eravamo gli unici clienti e mangiammo una pessima spalla di maiale in salsa BBQ con delle patatine fritte congelate. Il proprietario ci disse che sarebbe andato ad Estes Park nel weekend, era proprio dove c’erano dei locali della nostra famiglia e gli consigliammo di passare lì. Sicuramente non ci sarà andato.
 Dopo ci fermammo a bere birra in uno “sport bar”. Lo avevano comprato due ragazze da pochi giorni e cercavano di ingraziarsi la clientela, lo fecero anche con noi, pur sapendo che eravamo forestieri.
 Entrambe grassocce, sui trentacinque anni, sembrava si costringessero a mostrarsi a loro agio in un bar per maschi che fuggono dalle loro mogli e cercano un covo dove bere ed essere maleducati. Mio zio uscì per una chiamata, ed io rimasi dentro da solo per più di mezz’ora e non potendo parlare con i depressi o gli squilibrati che popolavano il bancone decisi di bere anche la sua birra rimasta li a riscaldarsi, e poi ancora una ed un altra ancora. Arrivai a quattro mi pare, avevo mangiato poco ed ero quasi ubriaco. L’aria fuori era fresca e il cielo sembrava sconfinato, fui felice di notare che il Nebraska assomigliava molto all’immagine che ne avevo costruito nella mia testa attraverso i film.
Tumblr media Tumblr media
Avemmo una breve conversazione su come la qualità dei motel si fosse alzata molto durante gli anni, soprattutto grazie agli indiani diceva mio zio. Gli era capitato di viaggiare molto durante i suoi primi anni americani. Era appena ventenne e faceva su e giù per gli Stati Uniti a risolvere problemi in vari locali, questo gli aveva dato la possibilità di conoscere gli Stati Uniti come poche persone al mondo.
Come ogni sera in camera, guardavamo le news e seguivamo il dibattito politico, così si creava l’illusione che fosse una didascalia di quello che ogni giorno incontravamo sulla strada. Una sera ci eravamo fermati a Greenville, una triste cittadina abbastanza sviluppata del Mississippi. 
Trovammo un motel scadente nel quartiere nero della città, la reception chiudeva alle otto di sera e ci consigliarono di chiudere a chiave la porta della camera e la macchina.
 Mangiammo del pollo fritto in un fast food, l’unico posto che trovammo aperto, ci lavorava solo gente di colore, mio zio ricordò che era il fast food preferito di Bobby. 
Mentre mangiavamo il pollo con gli operai che spazzavano e rassettavano la cucina, entrò una delle ragazze di colore più belle che abbia mai visto con quello che sembrava il suo ragazzo. Indossava degli shorts ed una maglietta fina che coprivano a malapena quel corpo quasi perfetto. 
Catturò la nostra attenzione e smettemmo di parlare per qualche minuto.
 Usciti dal locale trovammo la ragazza in posa sul cofano dell’auto ed il ragazzo a fotografarla in pose provocanti, io rimasi perplesso per qualche istante e mio zio suggerì che si trattasse di una prostituta, o almeno che quello fosse l’intento delle foto. 
Ne avemmo la conferma pochi minuti dopo, quando mentre eravamo in camera venne a bussare un altro ragazzo di colore, chiaramente fatto, per proporci delle ragazze giovani. Lo mandammo via con pochi dollari dicendogli con tono aggressivo di non tornare più. In tv passava un intervista a Donald Trump, la vedemmo per più di un ora. Non dormimmo benissimo quella notte.
Tumblr media
Durante tutto il viaggio si era parlato di come ci saremmo sistemati arrivati in Colorado dal momento che c’erano molte opportunità. Diverse persone avrebbero voluto ospitarci ma dovendo passare lì due mesi stavamo ragionando su quale fosse l’opzione migliore.
 Io avevo paura di come avrebbe funzionato la nostra vita lì una volta che ci fossimo fermati e cercavo di imporre una distanza psicologica in modo che nessuno si sentisse obbligato a stare sempre con l’altro.
 In Colorado mi sentivo un po come a casa ormai e quindi sapevo che avrei voluto i miei spazi, come ogni qual volta si sta a casa propria.


Passato il confine del Nebraska sentì subito cambiare il mio stato d’animo, mi convinsi che il paesaggio fosse completamente diverso, le piante più verdi e le vacche più grasse. 
Arrivammo in Colorado al tramonto, passando vicino ad un immensa fattoria piena di vacche, era grande almeno quanto i campi di mais che avevamo incontrato nel mid-west. Sbagliammo strada ed ebbi la sensazione che fossimo nel viale di casa e stessimo decidendo dove parcheggiare.
 Si era deciso per stare a casa di Alison, un amica di mio zio che io non conoscevo. Aveva una bella casa vicino al centro di Fort Collins, era una persona piacevole, viveva da sola e ci aveva detto più volte che sarebbe stata contenta se fossimo stati lì. Io le avevo parlato a telefono due anni prima, quando ero a New Orleans, in una serata in cui avevamo alzato troppo il gomito. Mio zio mi aveva passato il telefono e mi sorprese scoprire che lei avesse voglia di parlare per diversi minuti con un completo sconosciuto per di più alticcio e con un inglese che lasciava a desiderare. 

Arrivati a casa di Alison non c’era nessuno, sentii che lei viveva una vita sola e forse un po triste ma ebbi modo di ricredermi nei mesi successivi. La conobbi la sera. Dopo essere usciti per un drink, tornando a casa, la trovammo appena uscita dalla doccia, mi ricordò Uma Thurman e questo ho continuato a crederlo anche dopo.
Aveva una casa fantastica, su tre livelli, io sarei stato nel “basement” dove c’era una stanza con un grande letto matrimoniale, una batteria ed un bagno. Mio zio sarebbe stato al piano terra, nello studio, vicino alla cucina e lei avrebbe dormito al piano di sopra, in camera sua.
 La casa era in un complesso chiamato “Greyrock” che prendeva il nome da una grande roccia grigia che si poteva vedere in lontananza sulle montagne. Tutti quelli che avevano una casa lì avevano comprato il terreno in società e se lo erano spartito in base alle esigenze di ognuno. Avevano scelto le case da costruirci da un catalogo che il costruttore gli aveva proposto, così, come quasi sempre accade in America, tutte si assomigliavano un pò. Oltre alle case c’era anche tanto terreno comune, una parte di questo era tenuto vuoto e vi erano stati piantati degli alberi tipici della flora del Colorado, con scopo di conservazione, un altra parte era dedicata ad un orto comune dove scorrazzavano anche delle galline che facevano uova per tutti. Saranno state una trentina di case, tutte persone benestanti e tranquille che volevano vivere in modo sostenibile e civile. Avrei avuto modo successivamente di imparare come ognuno sentisse un forte senso di appartenenza a quella comunità. Ogni settimana arrivava del latte crudo da una fattoria di cui ognuno possedeva una quota, si producevano verdure un po per tutti ed ognuno raccoglieva il compost a casa propria per fertilizzare l’orto comune. 

Io fui entusiasta della sistemazione, Alison mi sembrò da subito una persona interessante, la casa era comoda e piena di luce ed era disseminata di strumenti musicali. Un pianoforte, due chitarre, una batteria e due violini. Tutto attorno alla casa c’erano alberi e verde, ma la cosa che più mi rese felice fu scoprire che la distanza dal “downtown” di Fort Collins era di circa dieci minuti in bici, passando per Mountain, la strada più bella della città.
Fort Collins è una città di centocinquanta mila abitanti a nord di Denver, è lì che vive parte della mia famiglia ed è lì che mi sono innamorato degli Stati Uniti. 
La città è la casa della Colorado State University, un college pubblico famoso negli Stati Uniti più per le feste che per la qualità degli insegnamenti. La presenza dell’università, combinata con l’economia fiorente del Colorado, la tradizionale tendenza al voto democratico, e la presenza di una miliardaria filantropa, fanno di Fort Collins un piccolo paradiso tra le montagne con un equilibrio perfetto tra natura incontaminata e civiltà, con un “downtown” eletto il quinto più bello di tutta l’America e una vivibilità ai limiti del surreale.
Alison mi mise a disposizione una bici e mi chiese di passare il giorno dopo al campus della Colorado State University, anche quello a pochi minuti da casa, per portare una pompa da bici alla figlia. 
Cassi, la figlia di Alison, studiava scienze in Canada ma si trovava lì in Colorado per un progetto estivo alla CSU, aveva così trovato il modo per passare un po di tempo vicino casa mentre continuava a costruire la sua promettente carriera.

Colsi al volo l’occasione per capire meglio la posizione della casa rispetto al centro e conoscere qualche volto nuovo. Era una mattina caldissima e secca e non avendo portato acqua con me faticai molto ad arrivare al campus sotto il sole cocente.
 I giardini dell’Università erano proprio come li ricordavo, enormi e pieni di quiete. 

Avevo un numero americano e quindi potevo usare il telefono per contattare questa Cassi. Ci misi un po per trovare il posto giusto nel campus sconfinato, lei mi stava aspettando subito fuori dall’edificio dove c’erano i laboratori di chimica, quello che affaccia su una delle piazze principali dove c’è una grande scultura a forma di archi intrecciati. Le diedi la roba che Alison mi aveva chiesto di portare e scambiammo due chiacchiere di cortesia, lei mi sembrò sbrigativa e un po fredda così io non scesi dalla bici. Dopo pochi minuti la salutai dicendole che ci saremmo sicuro rivisti, lei rientrò e io mi andai a sedere sull’erba in un giardino lì vicino. Chiamai un amico in Italia, facemmo due chiacchiere generiche, provai a descrivergli il posto in cui mi trovavo sapendo di non riuscire a trasmettere il piacere che sentivo a stare lì, fu una conversazione mal riuscita e durò non più di dieci minuti. Sentii mio zio, voleva che lo raggiungessi per pranzo, avremmo incontrato degli amici e fatto il nostro ingresso ufficiale nella scena di Fort Collins.
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
I giorni seguenti trascorsero tra pranzi con amici, qualche bevuta e un po di riposo dalla lunga guidata. 
Conobbi subito quello che sarebbe stato uno dei posti più significativi della mia permanenza a FoCo, il Rio Grande, un locale in stile messicano gestito da americani che serviva i migliori margarita della città, i migliori che abbia mai bevuto. Si trovava alla fine di Mountain, all’ingresso del centro. Il Rio Grande accoglieva tutti, i professionisti di successo in prima serata, gli studenti universitari il giovedì sera per la “college night” con margarita a cinque dollari, i danzatori di salsa ogni martedì e tutti quelli a cui piaceva divertirsi. Aveva un bellissimo cortile dove potevi riposarti all’ombra degli alberi vicino alla fontana bevendo in primo pomeriggio o la sera presto, un grande bancone all’interno nella stanza principale e una sala da ballo al piano di sopra. C’era l’aria condizionata forte e questo aiutava a bere. Con il passare del tempo conobbi tutti i baristi che lavoravano lì, molti li chiamavo per nome e qualcuno chiamava per nome me, tutti smisero di chiedermi i documenti per bene. Il limite massimo di margarita che ti servivano era tre, e questo era ricordato anche da un cartello luminoso vicino al bancone, più di qualche sera riuscii a farmene servire quattro o cinque e quelle sono le nottate che non ricordo così bene.
Il primo pranzo lo facemmo al Rio con Mike Mockler. Mike lo conoscevo da quando ero bambino, ci avevo viaggiato assieme la prima volta che andai negli Stati Uniti, quando ero solo un dodicenne. Mi tirò uno schiaffo in un negozio di San Francisco mentre cercavamo dei jeans lunghi a causa del freddo che avevamo trovato. La cosa fece molto ridere mio cugino e molto arrabbiare me, ma era passato tempo e lo ricordavo a malapena. Era un omone enorme, alto circa due metri, con i capelli corti e rossicci ed un po di gobba. Portava gli occhiali ed aveva una faccia intelligente e simpatica. Vestiva sempre con camice hawaiane a maniche corte e pantaloncini di jeans o tessuto militare. Indossava costantemente dei sandali che mostravano i suoi piedi consumati con alcune dita che gli mancavano, probabilmente a causa di qualche incidente di guerra.
 Mike veniva da New York, era diretto, sarcastico e spregiudicato, era stato in guerra da giovane e gli era capitato di dover uccidere molte persone, aveva poi viaggiato molto e avuto una vita molto densa. Era stato il primo coltivatore di marijuana in Colorado subito dopo la liberalizzazione, così aveva fatto un po di soldi ed ora era proprietario di una rivista locale, “The Scene Magazine”, che parlava di musica e di eventi a Fort Collins. Aveva smesso di vendere marijuana ma non di coltivarla e consumarla.
Mi consigliò un nuovo drink che facevano lì, il Tex-Mex, era una versione diversa del margarita, più forte e più fresca. Quel giorno chiese a mio zio quali fossero i suoi progetti per il futuro imminente e cercò di consigliarlo con la leggerezza di chi è già al secondo drink, ci parlò poi della giovane ragazza che aveva conosciuto e sposato in Messico e del fatto che volesse portarla a vivere con lui negli Stati Uniti.
Si erano conosciuti in un Bar a Tijuana e avevano parlato per tutta la sera tramite il traduttore di Google, poco dopo erano finiti a fare del sesso che lui descrisse come il migliore della sua vita.
 Da buon newyorkese aveva ben chiara la situazione, lei era giovane e bella e lui aveva una certa età ed era malandato ma ricco ed americano. Disse che sarebbe stato bello per lui avere qualcuno accanto per la sua vecchiaia e che lei avrebbe avuto la possibilità di vivere una vita agiata negli Stati Uniti ed ereditando tutto, un giorno non troppo lontano, anche di vivere una seconda giovinezza senza troppa fatica.
Quei discorsi mi sembrarono sensati mentre sorseggiavo il mio Tex-Mex e passò un ora e un paio di pause al bagno prima che riprendessi pienamente il controllo. Era pomeriggio tardo e decidemmo di andarci a tagliare i capelli.
 Andammo in un posto lì vicino, Tony’s, dove due donne, mamma e figlia, lavoravano da anni.
Mike era un cliente abituale e conosceva bene la figlia, una ragazza in carne anche lei di origini messicane. Mike fece una battuta molto spinta sul suo seno enorme e lei reagì divertita rincarando la dose. Io mi feci tagliare i capelli dalla madre, la quale sembrava avere qualche problema di astinenza e muoveva continuamente la mascella in maniera inquietante. Mi fece un taglio pessimo, ma mi importava poco. Cercai di pagare anche per Mike ma non me lo permise, uscimmo di lì e ci salutammo, Mike si ripropose di vederci in serata o all’indomani, io sapevo che ne avevo avuto abbastanza almeno per qualche giorno.
Tumblr media Tumblr media
0 notes
viaggiarescritto · 7 years
Text
Parte 1
Prima di partire scrivevo già che non sapevo più perchè lo stavo facendo.

Avevo pianificato questo viaggio che mi sembrava un sogno prima di finire l’Università, lo avevo fatto dopo un esperienza in America che mi aveva aperto gli occhi e regalato uno spirito nuovo.

Ero stato lì poco più di un mese e mi ero perso, avevo perso i miei riferimenti e al mio ritorno mi ero ritrovato, migliore, più sereno.


Nella mia mente ho allora esteso il potere di quel viaggio a tutti i viaggi in generale e anche se soddisfatto da quello che avevo capito, ho avidamente pensato di voler scoprire ancora di più.
La formula era “perdersi” così com’era successo quando ero stato in Colorado due anni prima. Senza contatti con la mia routine e la mia realtà, sembrava facile, avevo creduto che bastasse la distanza da casa per poterlo fare.


Esattamente 6 mesi fa sono partito da casa provando a lasciarvi uno stato d’animo un po confuso che era stato appannato dall’imminente viaggio. Confidando nel potere di quest’avventura ho soprasseduto su molte domande e ho prestato poca attenzione a quello che mi stava attorno.
Tumblr media

Sono partito allora alla volta degli Stati Uniti, lì la doccia fredda a cui ci si sottopone quando si balza dall’altra parte del mondo mi ha dato l’illusione di una precoce riuscita. Ho sentito nei primi giorni la realizzazione delle mie aspettative mescolarsi all’eccitazione procurata dai posti che amo.
Ho viaggiato da Orlando in Florida fino a Fort Collins in Colorado in una vecchia Buick leSabre con mio zio, passando per il sud degli Stati Uniti.

Sono tornato a New Orleans dopo due anni ed è stata un esperienza elettrizzante. Complici le ostriche e la birra, le nottate infinite e il blues, ho ritrovato per pochi giorni quello per cui ero partito. La stessa cose si è ripetuta in diversi posti e diversi momenti, mi sono perso e ho sentito la vita scorrere in me senza una direzione. 


Ma la storia è lunga, andiamo per ordine.
Atterrato mi ritrovai con mio zio all’aeroporto di Orlando. Quella sera fu una lunga conversazione, tra ricordi, storie, confessioni e qualche lacrima di nostalgia. Stemmo all’hotel dell’aeroporto di Orlando che ha una hall enorme con una bandiera Americana su una delle pareti, mi fu abbastanza chiaro dove mi trovavo, lo si sentiva nell’aria. I primi giorni di auto furono a loro modo divertenti. La vecchia Buick aveva l’impianto dell’aria condizionata rotto e questo ci costringeva a viaggiare con i finestrini abbassati e a fermarci quando potevamo per una nuotata. Il mare della Florida è di un azzurro chiarissimo e le spiagge hanno una sabbia molto bianca. L’acqua era limpida e il sole cocente e una nuotata era perfetta per sgranchirsi le gambe e rinfrescarsi un po.
Passammo la notte a Pensacola e ripartimmo la mattina presto. Dopo diverse ore di paesaggi fatti di grandi complessi per le vacanze e spiagge lunghissime arrivammo al confine con l’Alabama. Qui c’era un bar sul confine che prendeva il nome di FloraBama, dall’unione dei nomi dei due stati. Mio zio lo ricordava caratteristico e piacevole, e fummo un po in disappunto quando lo ritrovammo pieno di turisti e con un negozio di merchandising. Magliette, tazze e così via. Scoprimmo addirittura che non tutto l’edificio era quello originale ma era stato spostato ed ormai non si trovava più sul confine ma legalmente era completamente in Alabama. Ne approfittammo per una Bud Light al fresco di un ventilatore e per un altro tuffo e ci rimettemmo in macchina, la sera saremmo arrivati a New Orleans in Louisiana. 
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Quando ero a New Orleans pensai di scrivere e nell’ultimo pomeriggio lì ebbi qualche ora per farlo. Da allora non ho scritto quasi più niente quando ero in viaggio ma ho deciso che per raccontare NOLA le parole che scrissi a caldo siano meglio di ciò che potrei mai fare ora.
Scrivevo a New Orleans
Mio zio è una persona molto diversa da me, ci scriverò su qualcosa., se lo merita la sua singolarità. In questi pochissimi giorni di viaggio mi sto accorgendo (forse ricordando) di quanto limitato sia il mio approccio al mondo. Sono spesso in soggezione nei confronti di regole, delle novità, dell’incerto. Antonio vive affamato e senza remore riesce a fare quello che vuole, anche quando non può, io lo osservo esprimere il suo impeto di vita in questo posto così distante dalla mia realtà e questo mi costringe ad una continua messa in discussione della mia prospettiva. Ovviamente lui ha qualcosa di molto diverso da me, le sue necessità più intime che bruciano dentro non sono uguali alle mie, ma mi è da esempio e non posso fare a meno che ammettere che vivere un po più come lui sarebbe per me un modo per migliorare la consapevolezza di me stesso ed il mio rapporto con il mondo e spesso credo che queste siano le mie necessità, quelle che mi bruciano dentro.
Stiamo dunque per abbandonare New Orleans, siamo partiti da Orlando, in Florida circa 3 giorni fa, sono state una dozzina di ore di macchina fatte di chiacchiere, di leggerezza e di soste in posti pieni di carattere. Il sud degli Stati Uniti che stiamo percorrendo si presta bene alla dissolutezza e alla foga di cui vorrei parlarvi. New Orleans in particolare, si presenta a me come un paese dei balocchi, a volte triste, per le anime in pena dei turisti che percorrono le strade di Bourbon Street cercando di fuggire alla frustrazione e la morigeratezza dei loro infiniti giorni comuni e a volte vera, come nessun altro posto in cui sia mai stato al mondo, con persone che sembrano attori fuoriclasse dello spettacolo della vita ed interpretano parti esotiche e stravaganti con una verità indiscutibile. Le stesse usanze qui richiamano alla libertà, aperitivi fatti di centinaia di ostriche crude e fiumi di birra, notti interminabili in locali a luci rosse e vecchie strade dove suona un jazz che sa di una musica appena inventata. “Don’t yawn, the city never sleeps!” mi ha detto ieri una donna che mi ha colto in quello che qui forse può essere considerato un peccato mortale. Ero di ritorno al mio Hotel, dopo una notte semi-eterna a bere Bud Light con Antonio, in memoria di Bobby, uno degli attori di questo posto che poche settimane fa ha deciso di togliersi la vita. Una fine in tema con un posto così estremo e carico di malinconia, d’altronde NOLA è la città del Blues. Siamo stati in tutti i suoi bar, bevendo la sua birra e salutando le persone della sua vita, come Matt, un altro amico, che da Bobby pare aver ricevuto in eredità la sua saggezza. Siamo anche passati per casa sua 333 Pelican Street, nel cuore French Quarter, un posto magico. Un artista di colore suo amico lo ha dipinto lì vicino nella sua galleria, ne ha colto a pieno l’espressione. Avevo conosciuto Bobby 2 anni fa, proprio qui, mi aveva colpito per  il suo sorriso carico della consapevolezza di chi sa già dove tutto va a finire. Girava con noi per i quartieri, confondendosi tra la gente e lasciandoci vivere il nostro semplice entusiasmo anche per le cose più piccole, senza giudicare o ridimensionarci. Tra litri e litri di Bud Light, si confondeva tra le persone del French Quarter come chi apre le porte di casa propria e lascia le chiavi dicendo solo di ricordarsi di chiudere ma sapendo con serenità che probabilmente gli ospiti se ne dimenticheranno. Bobby mi era sembrato una persona completa, pieno della sua saggezza ed esploratore ormai certo della sua esistenza. Il fatto che abbia deciso di appendersi al soffitto potrebbe far vacillare queste mie considerazioni, ma la vita è come un Rollercoaster e voglio concedermi la libertà di ricordarlo così come lo avevo conosciuto, sorridente, come un padrone esperto di questo piccolo mondo che è New Orleans e che senza esitazioni apre la porte della città alle anime che di qui passano per il loro giro. R.I.P. Mayor of the Alley.
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Tra qualche ora mangeremo un Po-Boy, ne ho molta voglia, ma non quanta ne avevo ieri mattina a colazione. In auto la mia mente stava già assaporando il cibo che di questo posto amo. Sapevo che avremmo avuto qualche dozzina di ostriche per cena e un Po-Boy per colazione il giorno dopo, i nostri piani sono stati un po confusi da un amica del posto, Valery. Lei, secondo me, vive la condanna di chi non è capace di cogliere la natura del posto in cui è nato e quindi risulta fuori luogo, incerta, l’esatto contrario di Bobby. Ci ha costretti a mangiare del Sushi in uno dei tanti posti qui in città, ad Oak Street, quel Sushi non era onesto con se stesso e di certo non lo era con la città, ma d’altronde solo un pazzo può pensare di godersi del cibo così raffinato e pieno di disciplina nella città del jazz. (Io feci lo stesso errore al mio ultimo passaggio qui). Antonio conosceva il proprietario, come sempre. Abbiamo anche consumato una colazione tipicamente Americana, del Sud, con bacon, uova, e del semolino, Grit lo chiamano qui. Era Ok, ma non poteva vantare la perfezione del pasto giusto al momento giusto. Comunque sia andata, addentando uno Shrimp Po-Boy saluteremo questa città che ormai mi è entrata dentro come pochi altri luoghi al mondo. Si torna in strada, verso Nord lasciando dietro il melodioso baccano del South-West. il piano è quello di perdersi nel Mid-West tra strade di campagna, feste di paese e notti piene di stelle. Come dice sempre Antonio, “the best is yet to come!”.
Appena lasciata NOLA il paesaggio ha cominciato a cambiare, i palazzi malandati pieni di carattere ed impregnati di vita hanno fatto posto alle interminabili distese di soia, mais e cotone. Sapevamo che percorrendo il Mid-West saremmo entrati in quella che qui chiamano la Farmland, il vero cuore dell’America, dove tutto inizia. Nelle prime ore di auto tutto mi dava l’impressione di ripetersi, non riuscivo neanche a concepire come un essere umano possa legare i suoi sentimenti ed il suo lavoro ad uno spazio così vasto come un campo di cotone. Dove si trova la forza di tenere sotto controllo una cosa del genere? Ho deciso di credere che gli agricoltori si abbandonano alla natura . Campo dopo campo ho cominciato a notare le differenze proprie di questi spazi.
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Dopo qualche giorno a New Orleans partimmo alla volta dell’Arkansas, costeggiando il Mississippi, e le ore di macchina nella farmland a volte in silenzio, le passai anche a pensare a quello che sono e che vorrei essere. Alcune conversazioni sul futuro poi non aiutarono e così mi dimenticai di essermi perso.


Una delle tante sere ci fermammo a Rolla, una piccola cittadina universitaria del Missouri. Lì capii davvero cos’è l’America dimenticata, quella che non fa notizia ed è lì che mi persi nuovamente. Come sempre cercavamo un pub che ci facesse mangiare qualcosa e bere una birra, ma in quei posti desolati era difficile trovare qualche posto aperto dopo il tramonto. 
Trovammo una pizzeria che aveva anche un bar, chiaramente un posto per ragazzi dell’università ma eravamo fuori stagione e il bar era deserto così come il resto della città. Ancora una volta complice l’alcol, rimanemmo ad ascoltare la storia di un ragazzo di cui ho una foto, ma non ricordo il nome.

Era giovane, sembrava uno studente e io credetti che lo fosse, associandolo alla presenza dell’università in città. Ci sorprese dicendoci che non studiava, ma lavorava nel bar in cui lo avevamo trovato quella sera fin da quando aveva finito la scuola, nato e cresciuto a Rolla, nel Missouri. Ci parlò di Trump, della sua visione dell’America, della sparatoria appena successa in Florida tra poliziotti e ragazzi di colore, di sua moglie che era malata e della sua bambina che era nata da poco. Era un ragazzo giovane, giovane quanto me, e la vita gli aveva proposto un sentiero completamente opposto a quello che stavo percorrendo io.

Ci offrì un altro giro di tasca sua, prendendo i suoi soldi e mettendoli nella cassa e bevve con noi.

Ci raccontò della casa che stava costruendo con il fratello. Aveva comprato un pezzo di terra al confine con la foresta, vicino a dove abitava il fratello che gli dava una mano.
 Non so quale fosse il suo sogno, ma quello che voleva fare era costruire una casa per se, sua moglie e sua figlia. Un posto dove prendersi cura della donna che amava, affetta da una malattia degenerativa e crescere sua figlia nel migliore dei modi.
 Un posto dove poter onorare la memoria di sua moglie, a cui da li a poco avrebbe dovuto dire addio. Un posto dove poter raccontare alla figlia di come era venuta al mondo e di che persona stupenda fosse sua madre.


Con il bar ormai chiuso pagammo e lo salutammo, lui passò dall’altro lato del bancone, e ci abbracciò per salutarci. Quasi piansi quella sera.
Tumblr media
Ci rimettemmo in cammino la mattina dopo e, quando fummo ormai vicini alla meta, cominciai ad immaginare come sarebbe stato vivere in uno di quei piccoli paesi.
Erano tutti piccoli centri che sorgevano tra i boschi e i campi ed erano di riferimento per gli agricoltori che per chilometri e chilometri abitavano quelle terre e coltivavano il loro grano e la loro soia. Uno in particolare mi sembrò perfetto.
 Aveva una piccola chiesa in stile finto gotico, con dei giardinetti molto curati, un “downtown” di vecchi edifici che ospitavano un solo bar e qualche negozio utile agli agricoltori. 
Poche villette che spuntavano dalle strade subito fuori dal centro, coperte dagli alberi dei boschi.

 
Quando visitavamo i “downtown” stavamo sempre in religioso silenzio, e loro con il silenzio ci rispondevano, quasi sempre deserti.
Immaginavo di aprire lì un locale, l’unica pizza al taglio nell’arco di cento chilometri e diventare un riferimento per i contadini e quei cinquanta abitanti.
Comprare una casa, magari tra le più belle, con un po di bosco tutto mio, e la sera, quando sai già che tutti sono rincasati, sedermi fuori al patio al tramonto e suonare un po di chitarra in solitudine. Trovare una donna e sposarmi e passare con lei il resto dei miei giorni, invecchiando in un piccolo paese di cui non ricordo neanche il nome.
Si respirava una strana pace ed una strana energia in quei posti, così come una strana forma di nostalgia.

Un giorno per pranzo ci fermammo in un altro piccolo paese che non condivideva con gli altri il fascino dell’America dimenticata. 
La strada principale del centro era in costruzione e su questa sorgevano diversi negozi che vendevano macchine da cucire. L’intero paese era circoscritto in circa dieci chilometri. Nel cercare un posto dove mangiare trovammo solo una gelateria che cucinava anche hamburger e lì fummo incuriositi da una donna che aveva il nome del paesino sulla sua maglietta. 
Era la responsabile del progetto di espansione e rinnovamento della “città”, ci disse che di lì una volta passava un treno che era stato fondamentale per lo sviluppo del mid-west e di come questa cosa fosse motivo di orgoglio per la comunità. 
Continuò dicendo che avevano intenzione di portare lì molti turisti a vedere quei vecchi binari e che l’intera cittadina aveva grandi aspettative su come da lì a pochi anni anche loro sarebbero entrati nella grande America. Lasciai quella città ricordando solo le speranze di quella gente e un grande murales di un eroico treno, fuori alla gelateria che cucinava anche hamburger.
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
2 notes · View notes