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#vale per tutte e due le fazioni
mimmosgorge · 6 months
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le shipper pazze di twitter un giorno mi spiegheranno perché sono così incazzate se tanto, come hanno detto loro, alla fine stanno seguendo l’og e i simuel finiscono insieme nella s3
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cinquecolonnemagazine · 7 months
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Israele-Hamas, tregua al via oggi: primi 13 ostaggi liberi dal pomeriggio
(Adnkronos) - Scatta oggi nella Striscia di Gaza la tregua di 4 giorni tra Israele e Hamas, durante la quale saranno liberati 50 ostaggi israeliani. I primi 13 lasceranno Gaza oggi. E' quanto prevede l'accordo entrato in vigore alle 7 ora locale, le 6 in Italia. L'annuncio dell'intesa è arrivato ieri, al termine di una giornata di incontri, durante la quale la fumata bianca è apparsa a rischio di fronte alla mancata consegna da parte di Hamas della lista delle persone da liberare. In serata la svolta. L'ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha confermato di aver ricevuto una lista preliminare degli ostaggi che dovrebbero essere rilasciati. Il ministro israeliano della Difesa, Yoav Gallant, ha però avvertito: "Sarà una tregua breve, al termine della quale i combattimenti continueranno intensamente e faremo pressione per riportare indietro altri ostaggi. Si prevedono almeno altri due mesi di combattimenti". Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden avrebbe chiesto a Netanyahu di agire con calma anche al confine settentrionale con il Libano. A sostenerlo sono i media israeliani che citano una fonte anonima. Netanyahu non avrebbe fatto alcuna promessa su tema al presidente degli Usa. Nelle ore che hanno preceduto la tregua, Israele ha portato avanti le operazioni. Un raid aereo ha ucciso Amar Abu Jalalah, comandante delle forze navali di Hamas a Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza, e un altro agente delle forze navali di Hamas.  Secondo il ministero della Sanità di Gaza, l'ospedale indonesiano nel nord sarebbe stato colpito da un "intenso bombardamento".  Hamas ha respinto l'ipotesi che la Croce Rossa visiti gli ostaggi israeliani non inclusi nella prima fase dell'accordo. Lo scrive Haaretz, riportando la testata Al-Araby Al-Jadeed: Hamas avrebbe invece comunicato ai rappresentanti del Comitato internazionale della Croce Rossa che ci saranno aggiornamenti sulle loro condizioni. Intanto la stessa testata ha riferito che Hamas starebbe preparando la liberazione senza condizioni di 23 ostaggi thailandesi frutto di una mediazione dell'Iran.   In una dichiarazione, Hamas ha affermato che la tregua durerà quattro giorni, durante i quali si prevede che le Brigate Qassam, il braccio armato di Hamas e le altre 'fazioni palestinesi', "cessino ogni attività militare". Gli aerei israeliani, rileva Hamas, "smetteranno completamente di sorvolare il sud di Gaza, Gaza City e il nord di Gaza per sei ore al giorno, dalle 11 alle 17". Per ogni prigioniero israeliano rilasciato, rileva Hamas illustrando l'accordo, "verranno rilasciati tre prigionieri palestinesi, vale a dire donne e bambini. Entro quattro giorni, un totale di 50 prigionieri israeliani – donne e bambini di età inferiore ai 19 anni – saranno rilasciati. Ogni giorno potranno entrare a Gaza 200 camion di aiuti che includono forniture mediche per l'intera Striscia. Saranno ammessi a Gaza anche quattro camion di carburante al giorno".   In precedenza era stato il portavoce del portavoce del ministero degli Esteri del Qatar, Majid bin Mohammed al-Ansari, ad annunciare che l'accordo era stato raggiunto. Secondo il portavoce oggi "intorno alle 16", ora locale, sarà rilasciato il primo gruppo di ostaggi nella Striscia di Gaza, composto da 13 tra donne e bambini. Gli ostaggi rilasciati da Hamas saranno consegnati alla Croce Rossa e alla Mezzaluna Rossa, mentre dell'arco dei quattro giorni di tregua "verranno raccolte informazioni" sugli ostaggi ancora rimasti nell'enclave palestinese. Il portavoce ha precisato che si sono conclusi i contatti con tutte le parti ed i mediatori e che sono stati consegnati gli elenchi con i nomi di coloro che verranno rilasciati. La tregua riguarderà sia la parte settentrionale che quella meridionale della Striscia di Gaza. "Durante i quattro giorni - spiega ad 'Al Jazeera' - verranno raccolte informazioni sugli ostaggi rimasti per valutare la possibilità di rilasciarne un numero maggiore e prolungare così la durata di questa tregua". Le linee di comunicazioni, aggiunge, "resteranno aperte e qualsiasi violazione sarà segnalata"  Il portavoce di Hamas, Osama Hamdan, ha ringraziato il Qatar e l'Egitto per la loro assistenza nella mediazione dell'accordo di tregua e ha incolpato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per il ritardo nell'esecuzione dell'accordo, dicendo che avrebbe dovuto essere concordato "più di 10 giorni" fa. Tuttavia, Hamdan ha spiegato ad 'Al Jazeera' che "spera" che la pausa di quattro giorni vada avanti senza complicazioni. Ma, ha detto, mentre vede positivamente la pausa temporanea, "l'unica cosa che renderà la nazione palestinese soddisfatta è la fine dell'occupazione e la fine dell'attacco israeliano a Gaza". Pertanto, ha aggiunto, il cessate il fuoco "non è la fine della strada". "Le perdite umane del nemico non sono ancora iniziate se decide di continuare la sua aggressione nazista”, ha affermato dal canto suo il portavoce delle Brigate Al-Qassam, braccio armato di Hamas, Abu Obeida. "Ciò che il nemico ha accettato con la tregua temporanea e con l’accordo di scambio parziale è quello che avevamo proposto in precedenza", sottolinea Obeida affermando di essere "pronti a continuare lo scontro e ad affrontare il nemico, non importa quanto durerà l’aggressione". Il portavoce delle Brigate Al-Qassam, ha chiesto in un messaggio audio "un’escalation contro l’occupazione sia in tutta Cisgiordania che su tutti i fronti della resistenza", in riferimento al partito sciita Hezbollah in Libano. Abu Obeida ha anche sollecitato "l'intensificazione di tutte le forme di resistenza popolare e di massa in Giordania", aggiungendo “salutiamo in particolare i nostri fratelli in Yemen, Libano, Iraq e su ogni fronte che lavorano per colpire il nemico".   L'Egitto, da parte sua, ha invitato entrambe le parti a rispettare l'attuazione della tregua. "L'Egitto ha ricevuto la lista di detenuti e di ostaggi sia dal lato palestinese che da quello israeliano, che dovrebbero essere rilasciati il primo giorno della tregua venerdì pomeriggio", ha detto Diaa Rashwan, capo del Servizio di informazione statale egiziano. "L'Egitto invita entrambe le parti della tregua a rispettare l'attuazione dell'accordo secondo il piano e quanto concordato", ha aggiunto, secondo l'agenzia governativa.  Israele spera "di tirare fuori i suoi ostaggi", ha dichiarato il premier israeliano Benjamin Netanyahu, nel corso di un incontro con il ministro degli Esteri britannico David Cameron. "Non si tratta di una cosa priva di sfide ma dobbiamo, speriamo di tirare fuori questo primo gruppo e poi siamo impegnati a tirare tutti fuori". Israele, ha poi proseguito "porterà avanti i suoi obiettivi di guerra e cioè sradicare Hamas, perché Hamas ha già promesso che lo rifarà ancora e ancora e ancora. Sono un culto terroristico genocida".  Intanto, riferisce Haaretz, l'esercito israeliano si sta preparando alla realizzazione dell'accordo mantenendo particolare enfasi sulla separazione fra il nord e il sud della Striscia di Gaza, anche per evitare che operativi di Hamas tornino nella parte settentrionale. Le Idf si sono munite di "equipaggiamento per il controllo della folla" per impedire il ritorno a nord di civili sfollati a sud. Non è ancora stato deciso se l'esercito continuerà o meno le attività all'interno di ospedali o altri luoghi sensibili  ---internazionale/[email protected] (Web Info) Read the full article
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dilebe06 · 5 years
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The Untamed ( ep 26,27,28)
Quando giochi al gioco del trono muori, o vinci o muori. Non ci sono terze strade.
 - Cersei Lannister
Correva la prima stagione di GOT quando la Regina dei Sette Regni, regalava a tutti noi questa meravigliosa perla di saggezza.
Ovviamente questa frase nascondeva ad un livello più ampio la tematica del potere e di come questo debba essere usato. Ned Stark il primo cavaliere del Re usò questo potere in modo erroneo e pagò con la morte. 
Ecco, tutto ciò mi è venuto in mente guardando queste tre puntate: Wei Wuxian ( Ned Stark) va dal clan Jin ( Cersei Lannister) mettendoli al corrente che lui sa tutte le loro malefatte. Il discorso di Cersei allora, si profila come una metafora tra chi non sa usare il suo potere ( Wuxian) e chi lo adopera anche troppo bene ( Jin Guangyao. 
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Mentre il primo irrompe “ a caz...o duro” al banchetto del Clan Jin, così pieno di rabbia da non tenere a mente la situazione socio-politica vigente, accusando e minacciando i responsabili dei dolori dei sopravvissuti del clan Wen, il secondo usa tutta la sua diplomazia e mellifluità per riempire di insinuazioni contro Wuxian, i presenti. 
Alla fine del banchetto, colui che viene decretato come “cattivo” è proprio Wuxian, nonostante le sue giustissime accuse. 
E perchè è successo questo? Perchè Jin Guangyao sa giocare il gioco del potere. Sa come farsi alleati, come lusingare, come attirare con i suoi modi le persone entro la sua sfera. Wuxian invece, nonostante il potere che ha acquisito durante la serie, si lascia prendere preda delle emozioni, della rabbia. 
Ritengo interessantissima questa differenza tra i due, che apre ad un sacco di riflessioni. 
Riguardo ancora la non abilità politica di Wuxian ( chiamiamola ingenuità và) ciò si evince ancora di più nel non aver messo al corrente il fratello di quanto stava accadendo agli Wen. La cosa più logica da fare una volta parlato con Wen Qinq, era prendere da parte Jiang Cheng, dirgli tutto e a) studiare insieme una strategia o b) chiarire le proprio posizioni a Jiang Cheng in modo che questo fosse preparato alle sue prossime mosse. 
NON ENTRARE A GAMBA TESA AL BANCHETTO DEI JIN E SPARARE ACCUSE RANDOM! 
Mi sembra logico quindi che Jin Guangyao usi questa mancanza di rispetto per Jiang Cheng come modo per spingere sul pedale di Wuxian come nemico. Per inserire un cuneo tra i due fratelli, insinuando che Wuxian non tenga in considerazione il ruolo di capo clan del fratello ( ed è vero)
La considerazione più importante è però quella che riguarda i fratelli Wuxian e Jiang Cheng. E la loro relazione. 
Personalmente ritengo la dinamica tra loro divisibile in due “fazioni”: quella morale/di ideali e quella relazionale. 
Jiang Cheng e Wuxian hanno costruito negli anni un rapporto fantastico e molto difficile: il primo si risente della bravura del secondo, dell’essere costantemente messo in ombra dal fratello. Del fatto che persino suo padre, ha preferito Wuxian al sangue del suo sangue. Nonostante questo, Jiang Cheng vuole bene a Wuxian. Non solo lo ama come un fratello, ma prende a cuore la promessa che l’altro gli fece, di aiutarlo con i doveri del Clan una volta giunto il momento. 
Anche Wuxian ama il fratello: gli ha dato il suo Nucleo d’oro, un gesto d’amore difficile da non considerare. E da quando erano piccoli, Wuxian ha sempre cercato di innalzare agli occhi del padre il fratello, lo ha convalidato, aiutato e tentato di alleggerire il peso dei futuri doveri di Capo Clan del fratello. 
Ma nonostante questo affetto, nonostante il crescere insieme, sono persone diverse, con valori, morale, doveri diversi. Ed è proprio in questi tre episodi che la loro relazione viene messa alla prova con una domanda alla quale i due fratelli danno risposte troppo diverse, per giungere ad una pace. 
La vita dei sopravvissuti del Clan Wen vale più della pace tra i Clan? Le vite di Wen Ning e Wen Qinq valgono più della promessa che Wuxian ha fatto al fratello? 
La fazione Morale/ Ideologica ci dice che Jiang Cheng ritiene la vita di questi, una cosa sacrificabile in virtù della stabilità tra i clan ( non sa dell’ambizioni del clan Jin) , in virtù della sua posizione di Capo Clan agli occhi del mondo del cultori. 
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Viceversa Wuxian con il suo atteggiamento e modi, sceglie la strada opposta e mostra la grande ipocrisia del loro mondo: Qual’è il senso di seguire la strada dell’uomo virtuoso, della spada, delle regole di salvare i deboli e gli innocenti, se poi una volta che hai davanti quest’opportunità, la scarti perchè “non vuoi problemi”? 
Per come la vedo io le risposte contrastanti dei due fratelli a queste domande, fanno in modo che l’equilibrio tra loro diventi ancora più fragile.
Per la fazione relazionale,  Wuxian agli occhi del fratello, è un ingrato. Bugiardo e irriconoscente. Dopo tutto quello che la famiglia Jiang ha dato al ragazzo, dopo le promesse, l’affetto, una casa...Wuxian preferisce questi quattro derelitti alla sua famiglia. 
Ma in realtà credo che il Nostro abbia fatto un ragionamento di utilità: 
Chi ha più bisogno del mio aiuto, Jiang Cheng Capo Clan o gli Wen sopravvissuti che senza di me, muoiono male?
Wuxian sa che per quanto Jiang Cheng si lamenti, si arrabbi o inveisca contro di lui, se la caverà. Gli Wen no. 
C’è inoltre da considerare un altro atto di Jiang Cheng: la sua capacità di non aver odiato il fratello per tutti questi anni per via della sua superiorità. Questo è una capacità molto bella che rende il personaggio ( e non solo lui) pieno di sfaccettature. 
Fatto sta che il comportamento e le azioni di Wuxian, per quanto giuste e condivisibili, abbiano causato enorme imbarazzo e problemi a Jiang Cheng. E mi stupisce come Wei ying che è un personaggio intelligente, capisca che i Jin = Wen ma non che le sue azioni si ripercuotano sui suoi cari. 
Ma l’azione di andare con gli Wen non si ripercuote solo su Jiang Cheng, ma anche su Lan Zhan. Se prima era Wuxian a stalkerare male la Seconda Giada di Lan, adesso è lui l’inseguitore. 
Meravigliosamente intensa la scena sotto la pioggia, con un Wuxian che dopo essersi praticamente dichiarato ( ahhh l’ amoreeee ) capisce che Lan Zhan non lo seguirà. Mi piace pensare che a Wuxian piaccia questo ragazzo proprio per questo suo atteggiamento: il legame con il suo clan e le regole. 
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Ma Lan Zhan non può stare lontano da Wei Ying e nella scena finale dell’episodio, abbiamo un loro incontro molto, molto dolce. Approfittando della presenza di Wen Yuan ( ma quanto è tenero quel bambino?) la  puntata ci mostra una serie di immagini da famiglia felice: tenere e al tempo stesso divertenti. 
Lan Zhan è completamente incapace di occuparsi di un bambino e l’occhiata amorevole che getta a Wuxian mentre gioca con Wen Yuan vale tutta la puntata. In realtà sono tutti e tre adorabili per motivi diversi. 
Un’ultima cosa su cui @veronica-nardi mi ha fatto riflettere è la splendida caratterizzazione dei personaggi, Wuxian in particolar modo. Questo suo sorridere e far finta che vada tutto bene mentre nasconde dentro di se molte sofferenze, lo rendono un personaggio molto umano. 
NOTE A MARGINE:
- il duello  Wei Wuxian VS Jiang Cheng non ha avuto senso. Oltre ad essere di una bruttezza rara ( mi hanno ricordato Vegeta VS Goku in Dragon Ball) non ha portato a nulla. Jiang Cheng dopo aver ferito Wuxian se ne va. 
Così! Ciao!
 .... e quindi? 
Avrei potuto capire se il duello fosse stato con in palio il Sigillo della Tigre ( chi vince se lo tiene) ma no. O.o 
- la sorella di Wuxian ha il dono della preveggenza. Il suo sogno dove Wuxian in barca la sorpassa nonostante lei lo stia chiamando e Jiang Cheng appena arrivato guarda anche lui, allontanarsi il fratello, ha il sapore del futuro. 
- Finalmente dopo 20 e passa episodi Jin Zixuan decide di non nascondere più il suo amore per Jiang Yanli. Ho adorato come abbia costruito per lei uno stagno ( perchè è uno stagno) che gli possa ricordare Pontile del Loto. 
- Ho trovato straziante la vicenda dei due Wen. Wen Qinq che corre verso il fratello sotto la pioggia e lo prende tra le braccia piangendo, è stata una scena di forte impatto emotivo. Si parla tanto dei fratelli Jiang Cheng e Wuxian, ma cosa dire dei due fratelli Wen? 
- Su come e cosa sia successo a Wen Ning non mi pongo manco la domanda perchè tanto so che la risposta non c’è.  Quindi passo oltre. 
MA NON VI PERDONERò MAI PER AVER AMMAZZATO WEN NING IN QUEL MODO ATROCE E SENZA NESSUNA DIGNITà!!!!! 
- Il clan Jin ormai fa il bello ed il cattivo tempo. Ed è per me incredibile come gli altri Clan non solo giustifichino la loro crudeltà, ma non riescano a vedere la loro sete di ambizione.  
E comunque Lan Zhan è sempre un amore. 
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toscanoirriverente · 6 years
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Il traffico di umani dall’Africa, le mafie e la complicità dei razzisti
Il traffico di esseri umani nel mondo frutta 150 miliardi di dollari alle mafie, di cui 100 miliardi vengono dalla tratta degli africani. Ogni donna trafficata frutta alla mafia nigeriana 60 mila euro. Trafficandone 100mila in Italia, la mafia nuove un giro di 600 milioni di euro all’anno. Nessun africano verrebbe di sua volontà, se sapesse la verità su cosa lo attende in Europa.
Non mi infilo nell’eterna guerra civile italiana basata su fazioni e non contenuti, ma da afrodiscendente italiano e immigrato ora negli Stati Uniti credo sia arrivato il momento di parlare e trattare l’immigrazione o meglio la mobilità come un problema e fenomeno strutturale che ha vari livelli e non come uno strumento per fare politica o da trascinarsi come i figli contesi di due genitori che li usano per il loro divorzio come arma di ricatto.
Secondo stime dell’ONU, ogni anno sono trafficati milioni di esseri umani con una stima di guadagno delle mafie di 150 miliardi di dollari di fatturato ripeto 150 MILIARDI. (le allego la news di AlJaazera non de Il Giornale o il Fatto Quotidiano). Io non so se lei ha mai vissuto o lavorato nell’Africa vera e che Africani conosce in Italia o se da giornalista si informa su testate anche non italiane, ma il traffico di esseri umani con annessi accessori vari ( bambini, organi, prostituzione ) non è un fenomeno che riguarda solo l’Italietta dei porti sì o porti no, ma è un fenomeno globale che fattura alle mafie africane, asiatiche, messicane, 100 – e ripeto 100 – Miliardi di dollari alll’anno.
Questi soldi poi non vengono certo redistribuiti alla popolazione povera di questi paesi, ma usati per soggiogarla ancora di più con angherie di ogni genere, destabilizzarne i già precari equilibri politici, reinvestirli in droga e armi.
Si è mai chiesto perché, a parità di condizioni di povertà e credenza che l’Europa sia una bengodi, quelli che arrivano da Mozambico, Angola, Kenya sono pochissimi, o quelli che arrivano dal Ghana (il Ghana che è il mio Paese d’origine ha una crescita del PIL del 7% e una situazione di assenza di guerre e persecuzioni) provano a venire? Perchè esiste una cosa chiamata Mafia Nigeriana, che pubblicizza nei villaggi che per 300 euro in 4 settimane è possibile venire in Italia e da lì se vogliono andare in altri Paesi Europei. Salvo poi fregarli appena salgono su un furgone aumentandogli all’improvviso la fee di altri 1000 $, la quale aumenta di nuovo quando arrivano in Libia dove gliene chiedono altri 1000$ per la traversata finale. Il tutto non in 4 settimane come promettono, ma con un tempo di attesa medio di un anno.
In tutto questo ci aggiungo minori che vengono affidate a donne che non sono le loro veri madri, che poi spariranno una volta sistemate le cose in Europa e di centinaia di donne che saranno invece dirottare a fare le prostitute ognuna delle quale vale 60 mila euro d’incasso per la mafia stessa. Solo trafficandone 100.000 verso l’Italia la mafia nigeriana muove un giro di affari di 600 milioni di euro all’anno.
A questo si somma quello che perde l’Africa: risorse giovani. Ho conosciuto ghanesi che hanno venduto il taxi o le proprie piccole mandrie per venire in Europa e ritrovarsi su una strada a elemosinare o a guadagnare 3 euro all’ora, se gli va bene, trattati come bestie e che non riescono neanche a mettere ovviamente da parte un capitale come era nei loro progetti. E anche se desiderano tornare non lo faranno mai per la vergogna perché non saprebbero cosa dire al villaggio, non saprebbero come giustificare quei soldi spesi per arrivare in Europa, anzi alimentano altre partenze facendosi selfies su facebook, che tutto va bene per non dire la verità per vergogna e quindi altri giovani (diciottenni, non scolarizzati ) cercano di venire qui perché pensano che sia facile arricchirsi.
Che senso ha sostenere che questo traffico di “schiavi” e questa truffa criminale della mafia nigeriana, come quelle asiatiche in Asia, deve continuare?
A chi fa bene? Non fa bene al continente africano, non fa bene al singolo africano arrivato qui, perchè al 90 per cento entra in clandestinità e comunque non troverà mai un lavoro dignitoso; non fa bene all’Italia che non ha le risorse economiche e culturali per gestire e sostianzialmente mantenere tante persone che non possano contribuire specialmente in un Paese dove il 40% dei coetanei di questi giovani africani è già senza un lavoro; e non fa bene neanche all’immagine che l’europeo ha dell’Africano perché lo vede sempre come una vittima, un povero, un soggetto debole.
Questo da africano, ma anche essere umano, è l’atteggiamento più razzista che ci sia oltre che colonialista perché non aiuta nessuno, se non le mafie e chi lavora in buona o malafede in tutto questo indotto legato alla prima assistenza.
Con 5 mila dollari è più facile aprire una piccola attività in molti Paesi dell’Africa che venire qui a mendicare e se solo fosse veramente chiaro e divulgato questo concetto il 90 per cento delle persone non partirebbe più probabilmente neanche in aereo per l’Italia.
Specialmente chi ha forse la quinta elementare e 20 anni. Non è lo stesso tipo d’immigrazione di 30 anni fa dove molti erano anche 30enni, alcuni laureati, ma molti con diploma superiore e comunque trovavano lavori nelle fabbriche e in situazioni dignitose.
Non conosco la situazione delle ONG che si occupano dell’assistenza marittima, ma conosco benissismo quelle che operano in Africa di cui la maggioranza sono solo un sistema parassitario. Per i maggiori pensatori Africani e veri leader politici una delle prime cose da fare è proprio cacciare dall’Africa tutte le ONG, perché seppure il personale che ci lavora sono in buonafede, i giovani volontari, il sistema ONG serve a controllare e destabilizzare l’Africa da sempre, oltre che creare sudditanza all’assitenza, senza contare il giro finanziario di donazioni e sprechi fatti dalle ONG per mantenere dirigenti sfruttando l’immagine del povero bambino africano.
Basta con questo modo di pensare controproducente, razzista, e ignorante. Sarebbe curioso vedere qualcuna di queste ONG fare iniziative a Scampia mettendo nelle pubblicità le foto di qualche bambino napoletano.
Siamo stanchi di questa strumentalizzazione che fate su questo tema per i vostri motivi ideologici o le vostre battaglie fascisti o antifascisti sulla pelle di un continente di cui conoscete poco o che avete romanticizzato e idealizzato e che usate per mettere a posto la vostra coscienza o lenire i sensi di colpa del vostro status privilegiato. E’ ora di fare analisi serie e porre in campo soluzioni concrete vincenti, non di avvelenare i pozzi di un partito o dell’altro, perchè chiunque vinca perde l’Africa.
Sarebbe bello un reportage di Edo State in qualche villaggio per capire a che livello di furbizia, cattiveria, fantasia criminale sono arrivati e scoprirete che forse solo trasportare e illudere un giovane analfabeta di vent’annni e la sua famiglia è il minimo che questa potentissima e sottostimata organizzazione criminale fa ogni giorno, sfruttando la disperazione e ignoranza delle gente di cui alcuni disposti a tutto, persino a vendere un figlio appena nato per 100 dollari.
Se questo verrà tollerato ancora i rischi non saranno solo per l’Italia, ma anche per i Paesi Africani dove oltre al problema di dittatori si aggiungerà quello di Narcos al livello della Colombia di Escobar o il Messico di El Chapo con ancora più morti e sottosviluppo di quello che già c’è.
di Fred Kuwornu
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curiositasmundi · 6 years
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Ciao! Senti, io sono quasi ventenne ed ignorante. Però vorrei votare conscia di ció che faccio: come posso informarmi sulla politica senza influenze di nessun genere, secondo te? Grazie
Secondo il mio modesto parere dovresti innanzitutto evitare di guardare gliincontri tra politici in televisione, perché quelli non t’informano, ma tiraccontano un sacco di panzane condite di paure spesso irrazionali e promessezuccherine. Per lo stesso motivo non mi soffermerei neppure sulle trasmissioni radiofonichedi carattere politico e a maggior ragione non darei il minimo peso ai manifesticon gli slogan che trovi lungo le strade e che dovresti considerare allastregua di qualsiasi altra pubblicità di auto, detersivi, compagnie telefonichecon l’offerta del mese.Perché questa è la campagna elettorale: la vendita di un prodotto.Questo prodotto, Il Governo®, adifferenza di quelli commerciali, non ha garanzia, è a scatola chiusa e te lodevi tenere per un quinquennio (se questo non s’inventa di cambiare la leggeelettorale per garantirsi altri lustri di incarichi, come è già successo eprobabilmente succederà ancora).Ti consiglio pertanto di partire dalla tua posizione di donna, studentessa?Disoccupata? Imprenditrice? Del nord? Del Sud? Ereditiera? Ragazza madre?Guarda la tua situazione sociale e le tue necessità e verifica nel tempo lacompagine politica che più si è interessata alle tue condizioni, aspirazioni ediritti, e quanto questi siano stati realizzati da quella compagine.Nello stesso tempo dai una controllata per scrupolo chi si è opposto a te ealle tue aspirazioni, non importa se per ragion di stato, sicurezza e/o decoroo perché ce lo chiede l’Europa o il fondo Monetario Internazionale, quelle spessosono scuse per non affrontare politicamente una questione o per affossarla. Quindi, una volta identificato approssimativamente il settore politico o ilpartito che più ti identifica, studiati un po’ l’evoluzione o involuzione chequesto ha avuto nel tempo, la sua storia insomma e i suoi protagonisti, eguarda attentamente il loro comportamento nel corso degli anni al potere oall’opposizione, a quel che hanno o non hanno fatto e detto o taciuto quandoera il momento di parlare, verifica insomma la loro serietà a rappresentarti.Se dopo questo tortuoso percorso sarai riuscita a trovare chi puòrappresentarti nelle istituzioni direi che hai vinto il Voto Consapevole e potrai dare la tua preferenza in serenità.Mi sento però di doverti avvertire che metterai le mani in un verminaio in cuisarà facile perdere l’orientamento.Scoprirai personaggi di infimo spessore umano, sociale e politico, troveraiavventurieri e affaristi, mascalzoni di ogni risma, paraculi e marionette alsoldo dei pupàri.Ti capiterà anche di trovare brave persone, motivate e serie, che tengono unbasso profilo e sono spesso estromessi dal Grande Circo del Consenso perché inclinial lavoro a discapito di una loro immagine accattivante e quindi vendibile, netroverai poche, concentrati soprattutto su queste.
Come ultime raccomandazioni: Non votare Questo perché sennò vince Quell’altro.Ci sono dei programmi e se questi si assomigliano tra loro vuol dire che queglischieramenti hanno interessi comuni anche se sono di fazioni politiche opposte,e che una volta al governo si comporteranno di conseguenza per garantirseli.Quindi non farti prendere in giro da gruppi di potere che mascherano i loromaneggi con la politica.
Non farti condizionare dalla paura che viene elargita a piene mani specie inquesto periodo, ricorda sempre che la Formuladel Pericolo che devi considerare è: Danno Potenziale per Frequenza, vale adire il reale rischio che corri per quante volte questo può verificarsi, peresempio: La mancata messa in sicurezza della tua zona abitativa a rischio idrogeologicopuò portarsi via la tua casa con te dentro due volte l’anno quando arrivano lepiogge di primavera e d’autunno, le rom che ti entrano in casa a fregarti lecollanine possono passare tutte le volte che non sei a casa, qual è il rischiomaggiore che tu corri?Ecco.
Non credere troppo nei simboli e negli slogan, le bandiere rosse in mano achi ha tolto diritti e tutele fanno l’eco a chi vuol fare la rivoluzioneliberale garantendosi innanzitutto i propri interessi.Però usali quando vorrai verificare il percorso storico di quella determinataforza politica, che sicuramente sarà partita da un simbolo o da un motto perriassumere il proprio intento originario.
Infine:Le facce, come diceva Totò: Ognuno ha quella che si merita. E quando sorridono guardagligli occhi e non i denti, è importante.Non credere a quelli che sparano numeri a raffica. Non dar retta a quelli che urlano invece di argomentare e confrontarsi.Un simpaticone non è affatto detto è detto che sia competente, e viceversa. Lapolitica quando è seria è seria. Etalvolta anche un po’ antipatica.Individua quelle forze tetre e losche che vogliono retrocedere raccontandotiche ti porteranno avanti con ricette di ottant’anni fa, eliminale dal tuo orizzontepolitico e non credere loro, mai, per nessun motivo. Esse rappresentano lafeccia e l’onta nazionale della bassa manovalanza -spesso violenta- alledirette dipendenze di chi mal sopporta proprio quello che ti accingi a fare,partecipare alla vita sociale e politica del tuo paese come parte consapevole.
In ultima: ragiona con la tua testa, confrontati ma non cedere sui principifondamentali sui quali poggia la tua condizione.
È difficile e spesso frustrante essere coscienti di ciò che ci circonda, maci dà la misura che occupiamo in un determinato contesto, e ad accrescercianche personalmente e socialmente oltre che politicamente.L’alternativa a questa difficoltà e frustrazione è il seguire il primopifferaio che con urla, minacce e promesse ti porterà - insieme a tanti altritopolini che per comodo, indolenza, incapacità critica o rancore non si sentonodi investire in coscienza politica delegandola a dubbi figuri- fuori dalle muracittadine della partecipazione civile.
Spero di esserti stato utile.Un buon voto consapevole a te.:)Ciao!
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Brindisi, municipio romano (terza parte)
di Nazareno Valente
      Una delle caratteristiche dei municipi romani – tradizione questa risalente al periodo repubblicano – era l’assenza di organi monocratici, per questo non esisteva il corrispettivo del nostro sindaco ma un istituto collegiale responsabile della gestione amministrativa della città. A Brindisi il collegio dei massimi magistrati cittadini si componeva di quattro membri (quattuorviri), ripartiti in due coppie: i due quattuorviri iure dicundo ed i due quattuorviri aedilicia potestate.
La prima coppia aveva un ruolo preminente, assimilabile a quello svolto a Roma dai consoli. A questi due magistrati — chiamati per semplicità giusdicenti, perché esercitavano tra le altre cose la giurisdizione civile e penale — spettava anche l’eponimia in ambito cittadino, presiedere e convocare il consiglio comunale e le assemblee popolari, sovrintendere alle funzioni di culto ed amministrare le finanze comunali.
Nell’ambito delle loro prerogative, godevano di un’ampia autonomia organizzativa, però rispondevano personalmente di eventuali problemi di carattere economico e dovevano risarcire il municipio brindisino per qualsiasi dissesto finanziario conseguente ad una loro decisioni. Per questo la summa honoraria che dovevano versare per assumere l’incarico era particolarmente onerosa. Di conseguenza solo i Brindisini particolarmente danarosi potevano aspirare ad un simile incarico.
Anche la seconda coppia, quella dei due quattuorviri aedilicia potestate, doveva essere finanziariamente ben attrezzata. La locuzione aedilicia potestate racchiudeva infatti tutte le funzioni amministrative riguardanti l’approvvigionamento della città, il mantenimento dell’agibilità delle strade, degli edifici pubblici e dei templi ma pure funzioni di polizia urbana che dovevano consentire una vita pubblica regolata.
Rispetto al presente, però, chi aveva “poteri edili” non poteva accampare scuse di bilancio se c’era, ad esempio, una strada brindisina dissestata, né allargare le braccia per esprimere impotenza. Era costretto a cercare di trovare i soldi necessari allo scopo, magari mettendo mano al portafoglio ed a provvedere in parte a sue spese. Non l’avesse fatto, avrebbe visto evaporare la stima di cui godeva e nessun concittadino sarebbe stato più disponibile a dargli il voto in un’altra occasione. I quattuorviri duravano infatti in carica un solo anno ed erano i comitia, le assemblee cittadine, ad eleggerli. Sicché, chi si era dimostrato in un qualche frangente troppo sparagnino o incapace, non aveva molto tempo a disposizione per far dimenticare la brutta figura fatta. Senza poi contare che non si godeva dell’appoggio di partiti politici compiacenti — in quanto allora inesistenti — in grado di sostenere una diversa, e più favorevole, versione degli avvenimenti. Esistevano sì le fazioni (optimates e populares), naturalmente impegnate ad indirizzare la politica cittadina nel senso desiderato, ma nessun apparato burocratico funzionante a sostegno delle varie candidature. Chi si dava alla politica doveva pertanto contare quasi esclusivamente sulle sue specifiche qualità e sulla cerchia di amici e di clientes per emergere e sui suoi mezzi per mantenersi a galla.
Dai magistrati si pretendeva la diligentia (da dis e lego, vale a dire di scegliere con discernimento) quindi un comportamento scrupoloso nell’adempimento dell’incarico e di non fingere una cosa facendone un’altra (sine dolo malo). E questo atteggiamento solerte e sincero lo dovevano assumere sin dal momento della candidatura che essi presentavano durante la contio. Le contiones erano riunioni dei comitia a carattere consultivo in cui gli aspiranti candidati presentavano il proprio programma politico facendosi propaganda. Ed era proprio in queste occasioni che i cittadini li accettavano come candidati. Da questo momento in poi iniziava il loro andare intorno (ambire da cui il termine ambitus, poi utilizzato ad indicare il reato di propaganda elettorale illecita) nel foro cercando di convincere i Brindisini a concedergli il proprio voto.
    Le campagne elettorali soggiacevano a precise norme – dette appunto de ambitu – per evitare che il candidato adottasse forme illecite nell’ottenimento dei suffragi. Come dire che anche allora c’era il sospetto che avvenissero pratiche spregiudicate, tipo il voto di scambio, solo che in antichità prendevano le leggi un po’ più sul serio.
Le norme prevedevano che in un periodo, variabile da uno a due anni1, i candidati non potessero organizzare oppure invitare qualcuno a cena per questioni collegate alla sua candidatura. Né potevano fare doni o regali per lo stesso motivo. E lo stesso valeva per i loro sostenitori, sia che lo facessero perché spinti dal candidato, sia di loro spontanea volontà. Nel caso, erano puniti allo stesso modo candidato e suoi fautori, e la condotta fraudolenta poteva essere evidenziata e perseguita da chiunque (cui volet).
Il ruolo dei due quattuorviri iure dicundo era di sicuro quello più prestigioso e più impegnativo da un punto di vista politico. In pratica, l’apice delle cariche magistratuali previste dal cursus honorum (letteralmente, corso degli onori, intesi appunto come sequenza delle cariche pubbliche) a livello municipale, anche perché erano loro che, a scadenza quinquennale, diventavano i quinquennales incaricati, come già detto, della lectio senatus. Era questa una carica che aveva un valore speciale per l’antichità, perché collegato a quello che era il bene che più si teneva in considerazione: il proprio buon nome.
A Roma li chiamavano censori, e la magistratura che svolgevano era detta censura, termine che derivava da censeo (valuto ovvero stimo). Pur non avendo poteri militari, giuridici e comunque coercitivi – quelli derivanti dall’avere una carica dotata di imperium – i censori nell’Urbe, ed i quinquennales a Brindisi potevano incidere sulla sfera sociale di ciascun cittadino, decretandone di fatto l’emarginazione. Infatti il loro compito principale era fare i censimenti che, a quel tempo, non avevano scopi puramente statistici quanto piuttosto di stabilire il censo di ciascun cittadino. Di fatto ogni cittadino veniva incasellato socialmente per fissare, in base ai beni da ciascuno posseduti, le tasse da pagare.
Se queste operazioni fossero svolte ancora ai nostri tempi, ci dichiareremmo tutti (o quasi tutti) capite census vale a dire tra chi, non avendo beni di sorta, doveva essere censito solo per la propria persona, sicché non era tenuto a pagare alcuna tassa dovendo essere inserito nel censo minimo,.
Allora invece era motivo d’onore avere proprietà ed essere inseriti nel censo più elevato possibile perché di fatto ne determinava il peso sociale. Così come un decurione ci teneva a non essere degradato, lo stesso valeva per gli equites (cavalieri o equestri), i magnati del tempo, così come per qualsiasi abitante della città, anche il meno abbiente. Il censimento ricollocava pertanto ogni Brindisino nella classe di reddito di spettanza stabilendo il carico fiscale e la consistenza sociale da ciascuno posseduta nell’ambito cittadino.
Di là dall’inserire ciascun cittadino nella fascia socio-economica di competenza, i quinquennales avevano il potere di esercitare la nota censoria, una vera e propria sanzione politica comminata a chi s’era macchiato di comportamenti indegni, che comportava l’espulsione dal decurionato, dall’ordine equestre e, per il semplice cittadino, dalla tribù. Una specie di disistima sociale o ignominia che accompagnava gli ignominiosi (così venivano identificati) per i cinque anni successivi, sino cioè al successivo censimento.
Serve ricordare, per curiosità, che anche in antichità sorgevano dispute se questo potere sanzionatorio dovesse essere assoluto o subire un controllo. Sicché, così come ai nostri tempi si discute se sia sufficiente l’incriminazione o la condanna in primo grado o più, per considerare un parlamentare indegno di svolgere l’incarico, allora si litigava se alla base della nota censoria ci dovesse essere o no una condanna che avesse comportato di già la perdita di alcuni diritti civili (deminutio capitis). Ed anche allora c’erano giustizialisti e garantisti. Tra i secondi è ricordato Clodio, fratello di Clodia, meglio nota come Lesbia negli immortali canti di Catullo, che fece passare una legge (lex Clodia de censoria notione) che limitava nel 58 a.C. il potere dei censori ai soli casi in cui ci fosse stata in precedenza una condanna.
Non si conosce — essendo una di quelle questioni sulle quali gli storici non si trovano tuttora d’accordo — per quanto tempo tale norma sia poi rimasta in vigore nell’ordinamento giuridico, certo fu motivo di controversia anche nei secoli successivi.
  (3 – continua)
Per la prima parte:
Brindisi, municipio romano (prima parte)
Per la seconda parte:
Brindisi, municipio romano (seconda parte)
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thegirlofmilkshake · 7 years
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No, assolutamente, non intendo offendere te o i tuoi lettori, ma guardare uno schermo a lungo brucia i neuroni. Riguardo l'argomento serve fare ricerche molto approfondite perché bisogna "ascoltare tutte e due le campane", ovvero informarsi attraverso dati presi da svariate fondi perché ci sono 2 "fazioni" che hanno pareri discordanti a riguardo e vengono pubblicati innumerevoli "ricerche scientifiche" fasulle con dati campati per aria. Non è semplice farsi un'idea completa della cosa. :)
Apprezzo davvero questa discussione, che è basata su un problema attuale, e soprattutto non è una discussione futile. Mi hai davvero incuriosita, e sono d'accordo con te. Anche perché alla fine qualche ricerca in più non guasta mai, e se proprio devo stare a guardare lo schermo tanto vale dare una ragione più utile a questa distruzione di neuroni, che dici?
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gwallgaming · 5 years
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L'evento speciale di For Honor® "Il Contrattacco del Priore Nero" ha inizio oggi
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Ubisoft annuncia il primo evento stagionale dell’Anno 3 di For Honor, Il Contrattacco del Priore Nero, dal 14 al 28 marzo su tutte le piattaforme. Il Contrattacco del Priore Nero approfondisce la storia dei Priori Neri e il ruolo decisivo che essi assumono nel mondo di For Honor. Per tutta la durata dell’evento i giocatori potranno sperimentare una modalità disponibile per un periodo limitato e ottenere ricompense esclusive.
La nuova modalità introdotta durante l’evento consente ai giocatori di rivivere una delle più grandi battaglie della Guerra di Fazioni: la Battaglia di Logoramento. Questa modalità 4 contro 4, disponibile per un periodo limitato, introduce una versione alternativa della modalità Dominio con un set di regole uniche. In Battaglia di Logoramento gli attaccanti guadagnano punti conquistando le zone laterali della mappa. Ciascuna zona vale 500 punti e non può essere ripresa dai Difensori una volta conquistata. I difensori ottengono punti uccidendo soldati e giocatori avversari. Entrambi i team possono conquistare la corsia principale, che vale 500 punti. Il primo team che ottiene 1.000 punti spezza le linee nemiche.
Nel corso delle due settimane dell’evento, i giocatori di For Honor potranno completare ordini giornalieri a tema che ricostruiscono la storia della Battaglia di Logoramento dalla prospettiva di ciascuna fazione. Inoltre, i possessori dell’espansione Marching Fire potranno prendere parte a missioni settimanali uniche nella modalità Arcade.
Il Contrattacco del Priore Nero introduce vari elementi di personalizzazione e ricompense a tema, tra le quali outfit, armi, effetti mood, gesti e ornamenti. Dal 14 al 28 marzo sarà possibile acquistare anche i Bundle del Contrattacco del Priore, al costo di 30.000 pezzi d’acciaio per eroe. Il prezzo potrà variare in base agli oggetti del Bundle già in possesso dei giocatori.
L’Anno 3 di For Honor, l’Anno del Messaggero, introdurrà nuovi contenuti per tutto il 2019, con nuovi eventi di gioco in arrivo in ciascuna stagione.
Per maggiori informazioni su For Honor, visita forhonorgame.com e segui la nostra pagina Facebook www.facebook.com/ForHonorIT/.
*I team Ubisoft coinvolti nel progetto sono Quebec, Toronto e Blue Byte. Sviluppo aggiuntivo di Studio Gobo.
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              prompt: #lightmyfire
Il volume della musica è alto, assordante, ormai fastidioso, o almeno per te. Il tuo sguardo è rivolto verso un punto ben preciso dell'enorme salone. Serri ancora più forte le dita attorno all'ennesima bottiglia di birra ormai quasi vuota quando vedi Agnes stringersi al suo attuale ragazzo - non ti sforzi nemmeno di ricordare il suo nome. Ti appoggi al muro, distogli lo sguardo, ti guardi attorno ma ogni volta finisci inevitabilmente per tornare a fissare quello spettacolo pietoso ai tuoi occhi. Ma forse lo spettacolo pietoso lo stai offrendo tu. "Sei tu che la rifiuti, lasciala in pace ora" dici a te stesso mentre svuoti anche quella bottiglia di birra. - Ma quello non sei tu. Lo sai che presto finirà e tornerai a invadere i suoi pensieri. Anzi, continui a farlo anche adesso mentre è con lui. Hai visto che ti ha guardato? - Annuisci, come se fosse stato qualcun altro a parlare, ma è tutto nella tua testa. Questa lotta infinita che continua a imperversare silenziosa per gli altri e assordante solo nella tua mente, questa guerra ancora senza vincitore. Due fazioni nemiche. Il diavolo e l'angelo sulla spalla. La ragione e il desiderio. Il cuore e la mente? Non sai nemmeno tu quali siano queste due fazioni a dirla tutta. Imprechi sotto voce; perché non abbassano questa dannata musica? Ti sta facendo male alle orecchie ma allo stesso tempo sai che restare lì con tutta quella confusione è la cosa migliore. Il silenzio fa ancora più rumore. - Quello è una nullità, non vale nulla e non è giusto per lei. Si merita di meglio e credimi, sei tu il meglio. - "Lo pensi davvero? Sai quanto le fai male ogni giorno? Pensi di poterle dare il meglio?" - Vai a dare un pugno a quel cazzone! - " Ti odierà! " - Già ti odia. - « Mi odia? » Lo dici ad alta voce, come se l'avessi realizzato solo in quel momento. Sembri quasi un bambino sperduto mentre quelle voci tacciono e tu rimani a rimuginare su ciò che hanno detto, su ciò che hai pensato, ma (s)fortunatamente quel "silenzio" non dura molto. - Pensa, Elias. Quando siete soli non ti senti forse bene? Non è forse l'unica che riesce a farti sentire /così/ bene? E tu non sei forse l'unico capace di scuoterla nel profondo? Non sei forse l'unico a farla stare altrettanto bene mentre la tocchi e la baci? Mentre fate l'amore? Non sei cieco, lo vedi come ti guarda? Quello non può competere con te! Agnes è tua! - " Tua? Non è una tua proprietà! Sai cosa? Vai pure, rovina tutto ancora una volta e poi, quando tu e lei sarete di nuovo insieme, quasi felici, scappa ancora come un codardo! " La testa inizia a farti seriamente male ma non sai se imputare la colpa all'alcol o a quella "guerra". Le altre due voci si ammutoliscono mentre pensi a quanto detto. Dilaniato in due, non c'è nessun angelo e diavolo, pensi, non c'è nessun "buono", nessun buon consiglio perché il tuo modo di pensare ti porta a sbagliare in qualunque caso. Hai voglia di urlare per quell'ennesimo pareggio, l'ennesima battaglia conclusasi senza portare alla fine della guerra. Sei stremato. Non riesci a smettere di pensare a lei, ora è lei che infesta la tua mente come un fantasma. Senti il suo sospiro sulla tua pelle, le sue mani tra i tuoi capelli che prima li accarezzano dolcemente e poi li stringono e tirano, sempre più forte mentre la musica viene rimpiazzata dai suoi gemiti. Ti è impossibile non immaginarla ora davanti a te, completamente nuda, che ti osserva, aspettando che tu faccia qualcosa, qualsiasi cosa che possa farla stare bene come tutte le volte che state insieme. Vorresti maledirla mentre il suo sguardo ti spoglia, lasciandoti nudo. Non solo privo di vestiti ma nudo in tutti i sensi. Ma poi perché maledirla? È così bello e ti fa sentire così maledettamente vivo. Sì, sei vivo mentre con labbra e denti marchi la sua pelle. Sei vivo, mentre senti quanto ti desidera, diversamente da come ti desiderano tutte le altre. Sei vivo mentre fai sentire viva anche lei con le mani esperte di chi non si è negato alcuna passione, di chi ha donato il proprio corpo al piacere, ai desideri erotici più audaci, all'Impeto sensuale del sangue senza alcuna paura*. Ti fa sentire una divinità. Il modo in cui ti guarda ti fa quasi pensare di essere una bella persona ma appena questo pensiero sfiora la tua mente non riesci a fare a meno di rabbuiarti. Lei porta il sole e tu fai in modo che l'eclissi cada in quell'esatto momento. Lei porta la luce e tu ti rifugi nella tua tana buia, disordinata, arredata con brutti pensieri. Ecco che quel pensiero fisso che cerchi di accantonare nei meandri più reconditi della tua mente insieme all'evento da cui si è scatenato, torna a tormentarti. Non ti abbandona mai, è come un flebile sussurro che ogni tanto riesci ad ignorare, ma che quando cerchi di dimenticare alza la voce, inizia a urlare come un bambino capriccioso in cerca di attenzioni. E tu, che magari stavi uscendo dalla tana, corri nuovamente a rintanarti nel tuo letto: l'auto commiserazione. Inizi quasi a dubitare che le cose possano andare diversamente. Sospiri e la tua attenzione viene catturata da una ragazza che ti passa davanti, senza premurarsi di non farsi notare mentre ti guarda. Lanci un'ultima occhiata ad Agnes e quando non incontri il suo sguardo compi la tua scelta sbagliata. « Ciao, sono Elias, piacere. Posso offrirti da bere? » È una vendetta la tua? Sentiti egoista mentre tenti di scaricare la colpa su di lei e poi smetti di sentire mentre appaghi il tuo desiderio carnale e ancora una volta dentro di te piange la tua vita vuota e si vestono a lutto i tuoi desideri*. Madido di sudore ti stendi per qualche attimo sul materasso del letto di...qual'era il suo nome? Chiudi gli occhi e il petto si alza e si abbassa rapidamente mentre tenti di riprendere fiato.
( . . . )
Il cuore batte forte, hai gli occhi ancora chiusi ma sul volto un sorriso non vuole saperne di andare via, anzi, diventa ancora più ampio quando riapri gli occhi e ti giri a guardare la donna al tuo fianco, nuda e bellissima. Più volte hai pensato a lei come alla più bella della opere d'arte. Allunghi una mano, la porti sul suo volto e dolcemente le accarezzi una guancia, mentre la fede nuziale sembra quasi brillare al dito. « Agnes » Richiami la sua attenzione e lei riapre gli occhi, puntandoli nei tuoi. « Ti amo. » Lei ti sorride mentre dalle sue labbra fuoriesce uno dei suoni migliori che tu abbia mai sentito. “ Anche io. ” Sei tranquillo mentre la stringi a te, mentre appoggia il capo sul tuo petto e tu le accarezzi i capelli. Stai bene ed è tutto tranquillo. Riesci a goderti anche il silenzio, la quiete. Quando chiudi gli occhi ti focalizzi sul suo respiro e, lentamente, scivoli tra le braccia di Morfeo, spogliato dai vestiti ma anche da ogni insicurezza, ogni dubbio e ogni paura. Alla fine abbiamo un vincitore.
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pangeanews · 5 years
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“Sopravvivono gli scrittori epocali… i romanzieri che hanno incarnato la modernità d’un secolo con tutte le sue contraddizioni”: il manuale del buon europeo di Stenio Solinas (con florilegio di pensieri)
“L’Avventuriero è solo, ma non è solitario. Come monito è affascinante, non può lasciare indifferenti”.
Parole di Stenio Solinas in Compagni di solitudine, edito vent’anni fa ma che ancora affascina e come tutti i grandi libri fa sentire meno soli, o meglio rafforza nella solitudine, che tanto “poi è la stessa cosa”, concetto che si fissa in mente dopo la lettura così atipica, personale pantheon di “una laica religione”, di grandi vite inimitabili.
Di questa laica religione della grandezza mette assieme le pietre d’inciampo, le adagia sui selciati delle vie, spesso vicoli ciechi e bui, lastricati di mediocrità d’intellettuali senza indipendenza e presi da corna o beghe tra condòmini probabilmente in cerca di dominus, a destra o sinistra e col centro più scaltro con l’eterno gattopardismo.
Sferze. A destra al mussolinismo, al provincialismo, al qualunquismo, al cabarettismo, al settarismo, al nostalgismo. A sinistra – vale per l’oggi come per vent’anni fa, dal pulp e dal cool all’lgbt – al gramscismo, setedi regime. E Solinas prova una repulsione assoluta per ogni regime, hitleriano, mussoliniano, staliniano, democristiano.
Il totalitarismo ultimo italico è l’Italia stessa – il trasformismo “per chiamare con altro nome pratiche antiche” – con “le mille giravolte”, “le mille meschinità”, “i mille travestimenti”, “il piccolo cabotaggio”, ancora gli stessi opposti estremismi, la medesima assenza di trasversalità, preconcetti, pregiudizi, stereotipi, roba anni Settanta…
Roba solamente da macero. Roba di cui non ha bisogno. Come degli scrittori italiani. Specie quelli di quei tempi. Troppo incapaci di rispecchiarsi nei grandi, o goffi nel farlo, privi di stile tanto nel vivere quanto nello scrivere.
Per questo, da sempre, una scelta, quella pro “fuorilegge”, pro “maledetti”, pro “sconfitti”, dalla Storia ma non nella Letteratura di cui sono il magma incandescente antitetico alla spenta melassa che soffoca la vita e la scrittura.
“Drieu è spietato verso il prossimo, ma soprattutto lo è nei propri confronti. Pagina dopo pagina, si demolisce: come narratore è troppo pigro per curare i dettagli e quindi abborracciato; e l’eventuale talento non può scusare la mancanza di genio”
I riferimenti di Solinas hanno vissuto guerre, viaggi, esilî, e delle amicizie andate al di là di fazioni e contingenze politiche (“E questo dovrebbe aiutarci a ripercorrere il nostro passato con occhi meno miopi e cuori più sinceri”)…
Malraux letto come fosse un Dumas moderno, tra esotismo ed erotismo, cospirazioni, rivoluzioni, navigazioni, amori e vele, morte e sole, e quindi Casanova, T. E. Lawrence, Henry de Monfried, Whyndam Lewis, scrittori etichettati di destra, come von Salomon, Jünger e Céline (“ quello che nel tempo mi ha maggiormente fatto compagnia” – “e tuttavia è il meno in sintonia con gli altri e con me stesso”), l’Aragon di Aurélien e autori identificati a sinistra, per lo più a torto e in tal modo sminuiti, come Rimbaud e Chatwin, e Hemingway, il cui Festa mobile lo accompagnò nel 1969 a Parigi, romanziere simbolo di un certo spirito virile trasversale, e libro in cui si viene a sapere che l’etichetta lost generation non fu coniata dalla Stein, ma da un garagista.
Hemingway visto con gli occhi di Drieu – il gallico preso tra aristocrazia e popolo – a un tempo a suo agio e a disagio in tutti gli strati della società – che detesta i ricchi ma schifa la povertà – figlio di una borghesia in rovina – guerriero nei sogni e dandy col gusto per il lusso e l’ascetismo – erotomane seduttore masochista – “grande scrittore, uno stile terso, lucido e forte come l’acciaio”, l’uomo che sognò l’alleanza tra sindacalismo anarcoide rivoluzionario e mondo cattolico, federalisti, monarchici, conservatori, destra e sinistra, borghesi e operai, giovani e vecchi, e con Morand e a Montherlant maestro della “destra elegante” – “curiosa e informata, che lanciava mode e scopriva tendenze” – “popolare ma non populista, aristocratica ma non reazionaria”.
In Italia si tratta di una destra per decenni misconosciuta oltre che poco vissuta. Obliterata dalla destra politica in senso stretto e dei provincialismi più ributtanti. La politica è sempre più una sfilata di illusioni perdute. Ma sempre esiste la più nobile famiglia dei vagamondi. Nei viaggi. O nei libri. Perché la grande letteratura è trionfo dei sogni ritrovati. Spazio per l’Avventuriero, quale Solinas è nel suo essere il meno italiano e il più europeo – si parla di Europa, e non di U.E. – di tutti gli intellettuali “di destra” italiani, e forse quello da cui più di tutti un lettore “di sinistra” si potrebbe lasciare affascinare. Si troverebbe in mano non solo una vita intellettuale ma anche un vero manuale. Su come essere un europeo.
Marco Settimini
***
Sugli scrittori, la destra e la sinistra, 1:
“A me piacevano gli scrittori trasversali… le destre della sinistra… le sinistre della destra… Ho sempre creduto che un cambiamento politico in Italia potesse venire solo attraverso una società civile che superasse le vecchie categorie e le vecchie logiche di appartenenza… dicotomie che in realtà finivano unicamente con il favorire il centro onnivoro […]”.
*
Sugli scrittori, la destra e la sinistra, 2:
“Ma sì, certo, chi se ne fotte se Nabokov è di destra o di sinistra, è un grande scrittore e tanto dovrebbe bastare, e fa sorridere quella dicotomia un tempo così di moda: Balzac reazionario nella vita, progressista nell’arte. Minchiate”.
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Sugli scrittori, la destra e la sinistra, 3:
“Sopravvivono gli scrittori epocali… i romanzieri che hanno incarnato la modernità d’un secolo con tutte le sue contraddizioni… […] la crisi dell’individuo, la decadenza di un continente, l’incontinenza dei consumi, la pressione delle masse…”
*
La scoperta di Chateaubriand e l’Italia:
“Quando lessi le Mémoires d’outre-tombe di Chateaubriand mi sembrò di avere a che fare con uno della mia generazione e della mia parte… Il suo essere proscritto per fedeltà a un mondo che comunque era finito… […] Come la Francia sconfitta e in rotta di fine Settecento mi sembrava assomigliare a quell’Italia del dopoguerra in cui m’ero trovato a nascere…”
*
Sulla politica, i totalitarismi, le macerie:
“[V]iveva il suo secondo dopoguerra come un anteguerra riveduto e corretto: un totalitarismo invece che due contrapposti… le macerie ideologiche… psicologiche… morali di quel conflitto… il sogno… o incubo… d’una terza via”.
*
Drieu La Rochelle e la sua spietatezza:
“Drieu è spietato verso il prossimo, ma soprattutto lo è nei propri confronti. Pagina dopo pagina, si demolisce: come narratore è troppo pigro per curare i dettagli e quindi abborracciato; e l’eventuale talento non può scusare la mancanza di genio”.
*
Drieu La Rochelle e la sua rivoluzione:
“Vuole l’alleanza fra gli opposti estremismi, una coalizione di giovani, borghesi e operai per far fuori un sistema putrido che porterà la Francia alla disfatta. ‘Solo il proletariato può fare la rivoluzione. E la farà a tempo debito’ è la secca risposta. Fra i due è Aragon il vittorioso della storia. Ma, anche se non lo ammette, sa che il vero rivoluzionario è stato l’altro. Nella vita, nella scrittura e nella morte”.
*
Céline, Guignol’s, la Trilogia del Nord:
“[L]a guerra come migrazione di popoli, il passato riscritto a seconda di chi vince, i bombardamenti come scienza, l’arrangiarsi fra le rovine, la canaglia che trionfa, la selezione naturale, i tradimenti, le delazioni, le menzogne, il disfrenarsi dei sensi, la voglia disperata di sopravvivenza e l’impulso irresistibile alla distruzione, la tragedia annodata alla buffoneria, l’esplosione totale di un mondo […]”.
*
Sul linguaggio nella scrittura di Céline:
“[L]’enorme distruzione e ricostruzione della lingua che c’è dietro, è roba da titani delle lettere, gente che lavora per la propria immortalità, ci crede… mentre noi siam qui che tiriamo la carretta del contingente, del quotidiano […].”
*
Antisemitismo, finti ariani e veri ariani:
“A me dell’antisemitismo, delle brume profonde, del sangue e suolo non è mai fregato niente, e fra nord e sud scelgo il sud, il mare e il sole, le pelli abbronzate e, se la vogliamo dire tutta, i veri ariani […] sono i curdi, mica i tedeschi…”
*
Sulle differenti condizioni di solitudine:
“La solitudine, intesa non come rifiuto del mondo e degli uomini ma come capacità di combattere l’uno e di mobilitare gli altri, è l’unica soluzione che il ‘villaggio globale’ pone oggi a chi in esso non si riconosce. Proprio perché, per un curioso paradosso, oppone degli individui che vogliono fare la storia a una massa di solitari che si limita a subirla. Più le culture si diffondono, più i costumi si uniformano, più le informazioni si moltiplicano, più i media dominano e più, sotto l’apparente realtà di una massa in movimento, s’intravvede la povertà di tante piccole formiche private di tutte quelle difese che una volta gli avevano dato la loro cultura, le loro tradizioni, le loro conoscenze dirette”.
*
Morand, un modello di cosmopolitismo:
“Cosmopolita, ovvero erede di quell’umanesimo colto e aristocratico che fu il sale della cultura europea, disprezza il melting-pot […]. L’internazionalismo, ‘questa salsa senza colore dove le nazioni annegano’, lo disgusta, il nazionalismo xenofobo lo indigna: ‘Per comprendere la propria patria la si deve abbandonare, per amarla la si deve paragonare’. Assertore delle diversità, è critico verso il colonialismo: Figlio di un’Europa di cui conosce tutte le debolezze, spera egualmente in una sua guarigione […].
Quanto alla Francia, comprende che la crisi è innanzitutto morale. Come ogni vero libertario è aristocratico: sa che la trasgressione cosciente dei pochi si trasforma nell’eccesso incosciente dei molti. Come ogni vero anarchico, è un uomo d’ordine: la punizione è un male necessario, antidoto per chi non sa regolarsi da sé. Come ogni vero libertino, è un moralista: le passioni vanno guidate, a chi non è in grado resta solo la depravazione. […] È un pessimista attivo, non si fa illusioni, ma non si tira indietro”.
*
Sulle relazioni amorose nella militanza:
“[…] Un mondo maschile… dove l’elemento femminile era minoritario… di fidanzate dai tempi del liceo… poi sposate a laurea avvenuta… fidanzamenti di sette, otto anni, che arrivavano al matrimonio come una consuetudine obbligatoria… per poi separarsi di lì a un po’ di tempo… non avevano più nulla da dirsi… non sapevano più di cosa parlare…”
*
Sulla destra dei nostalgici del fascismo:
“Tutti cadaveri in stato più o meno avanzato di putrefazione… tutte battaglie di retroguardia… tentativi penosi di fermare il tempo… non di comprenderlo né di guidarlo… macigni posti a ostruire il futuro che presto si sarebbe di nuovo affacciato a presentare il conto… spazzandoli via…”
Stenio Solinas
L'articolo “Sopravvivono gli scrittori epocali… i romanzieri che hanno incarnato la modernità d’un secolo con tutte le sue contraddizioni”: il manuale del buon europeo di Stenio Solinas (con florilegio di pensieri) proviene da Pangea.
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sportpeople · 6 years
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Tira dritto per la sua strada l’Intercity 703, partito da Roma poco dopo le 7. Scavallato l’Appennino, le prime balle di fieno su una piana distesa di appezzamenti verdi e gialli, mi informano che siamo in Puglia. Il Tavoliere si estende per svariati chilometri, fin quando dal finestrino comincio a intravedere l’azzurro del mare.
Bari è a un tiro di schioppo. E da là ancor più facile sarà raggiungere Monopoli. La mia destinazione finale.
Mi ero ripromesso, a inizio stagione, di battere maggiormente questa terra. Per approfondire i suoi contenuti ultras e non solo. Ciò che è al di là della spina dorsale appenninica conserva da sempre un’aura di mistero. Ed è arrivato il momento di dare un volto, dei colori e un giudizio a 360 gradi a questo mondo.
La Finale di Coppa Italia Eccellenza è forse la migliore occasione per vedere all’opera due squadre e due tifoserie blasonate. In una cornice altrettanto suggestiva, quale lo stadio Veneziani.
Il lauto anticipo con cui arrivo in città mi permette un bel giro turistico, da cui rimango alquanto soddisfatto. Camminare per le bianche vie del centro storico di Monopoli, odorare a polmoni pieni la salsedine che di tanto in tanto penetra dalle viuzze che scendono sulla banchina del porticciolo e immergersi nei sapori culinari dei forni piazzati qua e là è un’esperienza che di suo vale il viaggio.
Lo stadio è poco distante dalla stazione e man mano che si avvicina comincio a intravedere le sue luci, nel frattempo accese al calar del sole.
Monopoli è stata una scelta lunga e travagliata. Questa partita si sarebbe dovuta disputare circa un mese fa, a Grottaglie. Prima sede scelta dalla Federazione. Decisione che ha fatto storcere il naso ad ambo le società. Non a torto, se si pensa che la distanza da Fasano è di circa 60km mentre da Trani addirittura 160. Fattore che avrebbe messo a serio rischio la massiccia partecipazione del pubblico ed esposto i club a ulteriori spese. Alla fine le rimostranze hanno spinto il Comitato Regionale a rimandare la data del match.
Il Veneziani è stadio vero, senza le moine imbellettate che caratterizzano molti impianti dove al giorno d’oggi vengono fatte disputare simili partite. Spalti alla vecchia maniera, struttura circolare, pista d’atletica al centro (ottima per i fotografi, un po’ meno per i tifosi, diciamolo onestamente) e cinta muraria che rimanda ai tempi in cui un po’ tutti, per non pagare il biglietto, vi si arrampicavano per scrutare il campo.
Basterebbe enumerare i biglietti andati via in prevendita per comprendere quanto il calcio, a queste latitudini, sia vissuto ancora con una bella partecipazione corale. Circa 1.300 quelli staccati a Trani, oltre 2.500 quelli venduti a Fasano. A questi vanno ovviamente aggiunti i tifosi che hanno deciso di acquistare il biglietto direttamente all’ultimo e gli sportivi locali interessati all’evento in posizione neutrale. Prezzo unico 10 Euro. Zero documenti da mostrare, zero tornelli da superare. Poi ci vogliono ancora far credere che caro prezzi e modalità machiavelliche di ingresso agli stadi non abbiano allontanato la gente!
Quando metto piede sul manto verde e mi guardo intorno il colpo d’occhio è semplicemente notevole. E non sono uno che si esprime con giubilo gratuito. Mi fa effetto però vedere tutta questa gente già un’ora prima del fischio d’inizio, con altrettanti tifosi che continuano ad affluire. Su fronte fasanese gli striscioni sono già tutti affissi, con relativi tamburi appesi in balaustra. I megafonisti arringano la folla e lasciano partire i primi cori.
Da lì a poco anche i supporter del Trani fanno il loro ingresso, sostando sulla pista d’atletica per appendere lo striscione che ultimerà la coreografia. Dietro lo stesso fanno capolino anche le pezze con cui attualmente si riconosce il tifo tranese, a cui vanno aggiunte quelle degli amici monopolitani e manduriani.
Unico neo è la musica a tutto volume che inutilmente pervade lo stadio, spaccando i timpani dei presenti e non favorendo i rumori prodotti dal pubblico, che dovrebbero essere gli unici consentiti. Non si capisce il perché questi cerimoniali prevedano spettacolini pacchiani e fastidiosi, quando vivere il calcio all’ennesima potenza vuol dire evidenziare e permettere tutte le sue peculiarità e le sue componenti.
Fortunatamente l’entusiasmo e la voglia di farsi sentire sono talmente vivi che in più di un’occasione ambo le gradinate sommergono letteralmente tutte le peggiori hit del momento.
Un altro aspetto affascinante è senza dubbio quello calcistico. Di fronte si ritrovano due sodalizi che, nel loro piccolo, hanno scritto belle pagine di storia del calcio regionale. Il Fasano può vantare diversi campionati di Serie C, mentre la Vigor Trani è la prosecuzione ideale e sportiva di quella Polisportiva Trani che negli anni ’60 raggiunse il traguardo della Serie B, riuscendo persino a vincere un derby col Bari, passato ovviamente agli annali nel calcio cittadino.
Percorsi che hanno contribuito a tenere sempre viva la fiammella del tifo organizzato. Trani e Fasano possono infatti vantare una storia di curva meritevole di considerazione. Ultras che ci sono stati a prescindere dalle vicissitudini dei propri club. E già questo basterebbe per capire di cosa stiamo parlando.
Infine c’è quel tocco di spiritualità tipicamente meridionale. Quell’attesa mistica di chi vuol tornare a esser grande e ha passato le giornate precedenti a contare i minuti che lo separavano dal fischio d’inizio. Qualcuno ha ingannato quest’attesa studiando la coreografie e organizzando il tifo, nella consapevolezza di dover gestire una folla ben più grande dei soliti habituèe.
L’immagine votiva attaccata su una delle due panchine (immagino quella utilizzata dal Monopoli) oltre a offrirmi uno spontaneo sorriso, la dice lunga su quanto a queste latitudini il pallone riesca a penetrare nelle anime di giocatori e tifosi, assumendo dei contorni apotropaici che teoricamente nulla dovrebbero aver a che fare con la religione in quanto tale. Ho visto simili immagini anche in altre città del Sud e ne sono sempre rimasto colpito. L’amore sacro e l’amor profano messi l’uno affianco all’altro.
Intanto l’orologio marcia spedito verso le 19:30. Le squadre sono rientrate negli spogliatoi e si preparano ad uscire. Le due gradinate stanno ultimando la preparazione delle proprie coreografie. Persino l’odiosa musica ha finalmente smesso di irrorare le due note.
Nella gradinata scoperta, quella occupata dai fasanesi, cominciano a comporsi una miriade di strisce bianche e azzurre, che coloreranno tutto il settore in pieno stile argentino. Corredate dalla frase “Allora torna a sognare Fasano, te lo meriti” e da diversi big-flash accesi alla rinfusa. Dall’altra parte, su fronte tranese, si è invece optato per tantissime bandierine biancoblu, contorniate da torce e fumogeni e dallo striscione appeso sulla vetrata “Questo è un popolo che non muore mai”.
In ambo i casi la riuscita è pressoché perfetta, dando vita a uno spettacolo reso ancor più bello dalla semplicità con cui le scenografie sono state confezionate. Organizzare qualcosa di più elaborato avrebbe sicuramente richiesto la collaborazione di molti che allo stadio ci vengono saltuariamente, mettendo a rischio il risultato finale. Bravi gli ultras a capire ciò, ripiegando su dei veri e propri classici del tifo italiano. Peraltro intramontabili.
Finalmente il momento atteso da giorni è arrivato. L’arbitro fischia il via e le due compagini possono contendersi la coppa. Comincia lo spettacolo sugli spalti, che si protrarrà per 90′.
Tra le due fazioni non c’è grandissima rivalità e durante la partita gli screzi si limiteranno a qualche “vaffa” e a un paio di “chi non salta” di marca tranese. Il vero fiore all’occhiello della serata è osservare le gradinate, carpire i sentimenti della gente, coglierne le esultanze e le disperazioni. E ovviamente ammirarne il tifo.
Ai fasanesi è stata assegnato il settore scoperto e questo, giocoforza, crea sicuramente più dispersione di voce. Ciononostante il blocco centrale, posto sopra gli striscioni, si evidenzia con una bella performance, che riesce spesso a trascinare dietro il resto dei presenti. L’esultanza all’iniziale vantaggio di Montaldi è di quelle passionali, che confermano ancora una volta come, seppure in tanti questa sera siano “occasionali”, di fondo l’attaccamento alla propria terra e alla propria squadra resti viscerale. Non sono spettatori “momentanei”, anche se domenica prossima non saranno al campo e la prossima apparizione la faranno tra chissà quanto tempo. C’è un legame e questo, mi permetto di dire, credo sia anche e soprattutto merito del tifo organizzato. Su ambo i fronti.
Tra le fila fasanesi da segnalare la presenza dei gemellati di Rionero, che nella ripresa esporranno anche uno striscione in favore dei pugliesi.
© Fabio Mitidieri
Non me ne vogliano gli altri gruppi, la mia è soltanto una considerazione figlia di una memoria adolescenziale: i ricordi di Allenati e Irascibili nelle foto di Supertifo mi fanno sentire per qualche istante sedicenne, donandomi per una frazione di secondo quell’odore di carta nuova sfogliata sotto i banchi di scuola. Con il desiderio, un giorno, di vedere dal vivo tutto ciò.
Oggi uno di quei giorni è arrivato. Certo, affianco ai due gruppi succitati ce ne sono altri (e anche validi), i tifosi e il movimento ultras italiano sono radicalmente cambiati eppure molte linee guida sembrano esser rimaste intatte.
Posando gli occhi sulla porzione opposta di stadio mi ritrovo ad analizzare il popolo tranese. Due o tre megafonisti piazzati sulla ringhiera coordinano il tifo e la riuscita devo dire che è davvero ottima. La passione sale e supera anche la delusione dell’iniziale svantaggio. Tanta pirotecnica e un tifo a tratti davvero irresistibile, con la copertura del settore che, ovviamente, finisce per aiutare, facendo rimbombare la voce e spingendo i presenti a tenere un ritmo costante e intenso nei cori.
Tra i tranesi presenti alcuni gruppi monopolitani e gli ultras del Manduria.
Nella ripresa il Trani concretizza una latente superiorità territoriale e ribalta il risultato andando a segno ben tre volte, per l’infinito giubilo dei suoi tifosi e la delusione dei dirimpettai.
Finisce 3-1 e ovviamente la festa è tutta per i tifosi della Vigor. Lapalissiana delusione per i sostenitori del Faso che, dopo la premiazione, richiamano la propria squadra sotto al settore. In questi tempi di “dialoghi vietati” tra curve e giocatori, ritengo sempre salutare il contrario. Un confronto tra uomini che non per forza deve essere minaccioso o violento. Esporre la propria delusione e chiedere il rispetto per chi oggi ha portato quasi 3.000 persone al campo lo ritengo quasi un atto dovuto.
Inoltre è oggettivamente bello vedere il blocco ultras fasanese rimanere all’interno dell’impianto anche a partita abbondantemente conclusa. Si continua a cantare e accendere torce.
Ovviamente il clima è completamente diverso tra i tifosi del Trani. La gioia è quasi irrefrenabile e la squadra viene chiamata numerose volte sotto il settore. La pezza per Antonella, una ragazza scomparsa troppo presto, viene legata attorno alla coppa e issata al cielo e per svariati minuti un bel connubio giocatori/tifosi si crea sulla pista d’atletica del Veneziani.
Forse questa serata è un piccolo premio per chi, su entrambi i fronti, negli ultimi anni ha mandato giù tanto letame, non voltando mai le spalle alla propria terra, al proprie ideale e ai propri compagni di curva.
Gli ultimi cori riecheggiano prima di spegnersi definitivamente. Resta il suono di una tromba nelle mani di un bambini. Ultimo simbolo del calcio che fu, rediviva  reliquia di quegli stadi liberi e fruibili in base alle proprie passioni. Benché, lo ammetto, odio le trombe in maniera inverosimile.
Sono le 22. Il mio pullman partirà esattamente due ore e mezza dopo. Non mi resta che fare un altro bel tour della città vecchia, gustarmi il mare di notte e stuzzicare focacce e pucce. Cosciente di aver impiegato bene il mio tempo e ripromettendomi di tornare in terra di Puglia quanto prima.
Testo Simone Meloni
Foto Simone Meloni e Fabio Mitidieri
  Trani-Fasano, Coppa Italia Eccellenza: là dove il tempo si ferma, ricominciamo a sognare Tira dritto per la sua strada l'Intercity 703, partito da Roma poco dopo le 7. Scavallato l'Appennino, le prime balle di fieno su una piana distesa di appezzamenti verdi e gialli, mi informano che siamo in Puglia.
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sportpeople · 7 years
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Quello che l’inizio di un campionato di calcio si porta dietro è sempre un qualcosa difficile da spiegare. Dico la verità, quest’anno più che mai ho fatto fatica a realizzare che il pallone cominciasse a rotolare già al 20 di agosto. Una data che personalmente ritengo prematura, benché sia dettata dai mondiali in programmazione il prossimo anno in Russia. Quando si dice che si gioca troppo, prima di tener in considerazione le esigenze di chi scendono in campo, si dovrebbero pensare al tifoso, anima di questo sport ma sempre più ritenuto un fastidioso orpello per la realizzazione dei propri interessi.
Se vi sto tediando con il mio inizio tutt’altro che entusiastico aggiungo anche che l’unico motivo a farmi muovere le terga dalla Capitale in direzione Bergamo è una delle poche sfide per cui tengo veramente a presenziare. A chi è capitato di leggere qualche mia considerazione passata sulla Bergamo ultras avrà intuito quanto essa eserciti su di me un certo fascino. E questo non può che aumentare esponenzialmente se di fronte ci sono la Roma e i romanisti a dar vita a quella che resta tra le sfide più sentite, storiche e accese del nostro calcio.
Ben lontana dai baracconi televisivi che ormai rappresentano i vari Juventus-Milan. Sebbene anche questa sfida abbia perso tanto del suo originario appeal. Si marcia di pari passo con il decadimento del nostro pallone e non si può pretendere il contrario. Però – e la cosa mi rallegra – passare al fianco dell’Atleti Azzurri d’Italia, costeggiarlo dalla Curva Nord al botteghino degli accrediti e imbattermi in tutti quei ragazzi intenti a bere, mangiare e prepararsi all’esordio in campionato già due ore e mezza prima della partita, mi lascia sempre un certo alone di emozione.
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Così come non vedere nessuno abbigliato tutto in tiro (cd. casualismo), per un valore di mercato pari a 4-500 Euro (salvo poi non potersi comprare un litro di latte), è pur sempre una boccata d’ossigeno.
L’aria è calcisticamente frizzante ai piedi delle Alpi Orobiche. La qualificazione in Europa League, preceduta da un’insolita stabilizzazione pluriennale in Serie A dell’Atalanta ha caricato un ambiente che già di suo vive per la sua squadra di calcio. Così sono in tanti a indossare t-shirt con l’Europa colorata di nerazzurro o recanti frasi di sprono a invadere il Vecchio Continente. È lapalissiano che l’astinenza da trasferte del popolo bergamasco crei un’attesa para sessuale per i match internazionali. I numeri portati nelle amichevoli pre campionato ne sono un fulgido esempio, così come i circa 15.000 abbonamenti sottoscritti. Il che vorrà dire quasi sempre sold out in questa annata.
Complessivamente una delle poche note positive del nostro calcio, sempre più preda di presidenti anti-storici e club più attenti alle plusvalenze o agli stadi di proprietà rispetto al tesoretto rappresentato dalla passione e dal calore dei propri aficionados. Ora, Percassi non sarà certo un benefattore o il “presidente degli ultras”, ma venire a queste latitudini e vedere sempre una certa unità d’intenti tra tutte le componenti e anche il tifoso normale con la bava alla bocca è sempre un piacere.
Anche perché di fronte c’è il “nemico comune”. Ci sono i romani. E da queste parti ciò equivale sempre allo scorrere bollente del sangue nelle vene. “Se son tifosi della Roma li appendiamo a testa in giù, Roma merda brot terù…” recita uno dei cori più celebri inerenti a questa sfida. Dei solfeggi profondamente retrò, probabilmente avulsi a un contesto sociale che oggi vorrebbe solo canzoni griffate “The Voice” e infarcite di questa finta “educazione” che tanto piace all’Italia pronta a scandalizzarsi per un coro da stadio e a rimanere impassibile di fronte a una palese dispersione della cultura media in favore di un’informazione massivamente ignorante ormai pompata di giorno in giorno dalla maggior parte dei media.
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Ma oggi cosa è rimasto di quell’Atalanta-Roma che tanto ha segnato l’immaginario collettivo dei curvaioli? Sicuramente è rimasta l’antipatia reciproca, condita comunque da una sotterranea forma di rispetto per quello che queste due entità ultras sono state e sono tutt’ora nel nostro Paese. Sono rimasti gli insulti all’arrivo del pullman della squadra e i cori indirizzati ai tifosi bergamaschi “normali” dei supporter capitolini appena scesi nel parcheggio ospiti. Le scaramucce verbali e quelle “folkloristiche”. Poi sono rimaste le polemiche, fortunatamente evitate quest’anno, ma vive e possenti nella passata stagione, quando in fase di deflusso ci furono alcune tensioni tra ospiti e forze dell’ordine.
Infine – grazie a Dio – è ancora minimamente vivo quel bel clima dentro lo stadio. Il calore delle curve e l’attaccamento alla causa da parte del restante pubblico. Insomma, una delle poche sfide di Serie A per cui vale la pena spendere del tempo, dei soldi e della fatica. Scusate questa mia vena pessimistica, ma negli ultimi tempi quando penso alle partite nei nostri stadi mi viene in mente una pellicola che, di tanto in tanto, recita sempre lo stesso film. Ma con attori diversi.
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Il sole bacia la Brumana senza troppi complimenti e il caldo si fa inizialmente sentire. Quando manca una mezz’ora al fischio d’inizio il contingente ospite è praticamente al completo. Ufficialmente sono oltre mille i biglietti venduti. Una presenza buona, considerato il pieno periodo vacanziero, la distanza e una trasferta comunque considerata da sempre “ostica”. Durante la fase di riscaldamento cominciano le prime schermaglie tra le opposte fazioni, mentre lentamente si avvicinano le 18. Orario in cui è stato prefissato il calcio d’inizio.
La Nord prepara una coreografia che prontamente verrà mostrata alla discesa in campo delle squadre. Un grosso telone raffigurante la Dea è contornato da cartoncini nerazzurri. Semplice e sempre d’impatto. Gli atalantini non sono tifoseria da cose elaborate e questo – a mio avviso – resta un pregio. Se non altro perché esalta quello stile italiano da tanti ricusato. 
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Nel settore ospiti in avvio non si segnala nulla di eclatante al di fuori della buona dose di colore offerta da bandiere e stendardi. Può ufficialmente iniziare la stagione del tifo di Atalanta e Roma. Due ambienti che vivono momenti particolari. Oserei dire che se da una parte (quella lombarda) c’è esaltazione, dall’altra vige un po’ di scetticismo attorno alla squadra condotta da Di Francesco. Ma se Roma è sempre stata una città catastrofista e umorale, nelle situazioni di maggiore depressione è sempre stato il suo tifo a ricordare che la fede deve venire prima di qualsiasi polemica e di qualsiasi progetto tecnico.
Quello che mi spaventa, e questo parlando in generale, è un rapporto sempre più morboso con internet e social network per vivere la propria passione o portare avanti battaglie che come sede naturale dovrebbero avere solo e soltanto gli spalti. E invece il mondo virtuale acuisce ancor più quelle divisioni e quelle antipatie che una volta si appianavano col semplice concetto di esser tutti tifosi della propria squadra. Ecco, questo è uno dei motivi che sinceramente mi fa passare la voglia di girare ancora per i nostri stadi e raccontare emozioni e sensazioni spesso archiviate dietro a un pc e sfumate al momento della massima rappresentazione settimanale: la domenica (che tanto non è neanche più il giorno del calcio).
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Dovendo parlare prettamente di tifo mi preme esser franco: la prestazione odierna degli ultras bergamaschi è un pochino sottotono, soprattutto nella ripresa. Forse complice il caldo e il risultato negativo. Tuttavia la Nord riesce raramente a coinvolgere tutti i presenti, evidenziando una certa fatica nel far decollare il tifo. Una giornataccia è consentita a tutti, e mi sento di dire che si tratti di un caso isolato avendo visto in un paio di occasioni gli orobici all’opera in questi ultimi mesi ed essendo uscito dallo stadio sempre più che soddisfatto.
Inoltre non va mai dimenticato come un settore grande e dispersivo qual è la Curva Nord necessiti assolutamente di tamburi e megafoni per esser governato al meglio. Sì perché signori miei, checché se ne dica, attualmente possiamo parlare quanto vogliamo di protocolli firmati da Figc e Ministero dell’Interno, ma la verità è che innanzitutto per introdurre simili strumenti resta sempre l’obbligo di passare attraverso i tentacoli istituzionali, ma soprattutto non è detto che questi ultimi siano disposti a dar parere positivo. E in una realtà come quella bergamasca, dove la Questura alla prima occasione offre un salasso gratuito ai tifosi, dubito che si possa mai tornare indietro su tali, idiote, posizioni. Almeno in tempi brevi.
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Cambiando versante dello stadio l’attenzione si concentra sui tifosi romanisti. Come sempre spiccano i loro battimani e alcuni cori tenuti con parecchia intensità. Complessivamente mi sento di dire che è stata una prestazione buona, anche se – scusate la meticolosità nel giudizio – penso che la Sud abbia quasi sempre un potenziale maggiore rispetto a quello espresso. Del resto questo è il cruccio storico della tifoseria giallorossa. Così alcuni momenti che potrebbero sancire il vero e proprio decollo vocale non vengono sfruttati e – soprattutto – il voler accelerare troppo il ritmo dei cori contribuisce a far fiaccare presto molti degli stessi.
Al contempo però l’esultanza al gol decisivo realizzato da Kolarov su punizione è davvero bella da vedere. Una cascata umana seguita dall’accensione di torce e fumogeni, alcuni dei quali finiscono dall’altra parte della barricata, dove sono presenti i Forever. Classiche scaramucce che ancora consente uno stadio vecchio stampo come quello di Bergamo.
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Due righe le vorrei dedicare anche alle tipiche polemiche inutili foraggiate da nullafacenti travestiti da giornalisti: i cori contro Kolarov (per il suo passato laziale e qualche frase poco elegante nei confronti della Roma) nel finale. Premesso che già a classificare questa come una notizia mi viene voglia di dedicare il resto della mia vita a un ambiente frequentato da meno idioti. La ritengo semplicemente una “non notizia”. Anche in virtù del fatto che non è stato nemmeno tutto il settore ad eseguirli. Ma anche se così fosse stato, a prescindere dall’essere o meno d’accordo, davvero non ne comprendo l’inutile spettacolarizzazione. Andrebbe in fondo ricordato che ognuno è libero di esprimere la propria idea. Anzi, aggiungo, in un calcio dove il tifoso è cliente per antonomasia lo stesso ha il diritto di manifestare il proprio dissenso su questo o quell’altro argomento. Soprattutto quando in una giornata si è macinato circa 1.500 chilometri a proprie spese.
Fatevene una ragione: il pallone è una fatto “di pancia” e non un ambiente per “educande”.
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Termina così la prima giornata di questo campionato. Finisce tra gli applausi delle due tifoserie e De Rossi a lanciar maglia e pantaloncini ai propri tifosi. Una delle poche volte – negli ultimi anni – che la Roma si porta in maniera alquanto numerosa sotto ai propri tifosi. Un avvenimento così raro da meritare menzione. Forse si è capito che in un momento di difficoltà, dove parte dell’ambiente è pronto a remarti contro per partito preso, gli unici che ti abbracceranno a prescindere sono quelli che hanno rinunciato a un giorno di vacanza o con la famiglia per venire sin qui.
Non è mai troppo tardi. Anche se sarebbe bello accettare con la stessa serenità anche le contestazioni. Ma umiltà, riconoscenza e ammissione delle proprie colpe non fanno parte di questa era geologica. Figuriamoci se possono essere parte integrante del calcio.
Simone Meloni
Atalanta-Roma, Serie A: chi virtualmente vive puntualmente muore Quello che l'inizio di un campionato di calcio si porta dietro è sempre un qualcosa difficile…
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sportpeople · 7 years
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Certe volte, certe cose funzionano proprio come con l’amore: arriva un momento della tua vita in cui ti riscopri di punto in bianco adulto e smetti di credere in queste favole, magari per concorso di tutta una serie di contingenze. Poi all’improvviso scatta un inatteso colpo di fulmine e tutte le convinzioni vengono rimesse  improvvisamente in discussione, coprendoti persino di ridicolo a fronte di tutta una serie di incaute dichiarazioni ad ampio raggio che sei costretto a rimangiarti.
La Fortitudo è il mio colpo di fulmine con il basket o più precisamente con una sua tifoseria. Prima d’ora il movimento della palla a spicchi era per me giusto l’appagamento di qualche curiosità estemporanea, atta a ripulirmi la coscienza e malcelare i miei tanti pregiudizi in merito. Non m’era mai capitato prima di oggi di tornare, a distanza di una settimana di tempo, nuovamente in un palazzetto, ancor più nello stesso palazzetto. Il dato di fatto è che la “Fossa dei Leoni” vista in azione in gara 3 contro Agrigento, mi ha convinto in maniera totale e travolgente.
Quest’oggi, l’ennesimo ostacolo sulla strada che riporta in massima serie, è rappresentato da Treviso, altra nobile decaduta della pallacanestro italiana. L’inerzia della sfida spinge il vento in poppa alla “F”, che ha vinto clamorosamente le prime due gare in Veneto e oggi ha il primo match ball per chiudere il discorso e portarsi in semifinale. Alle motivazioni del parquet si sommano quelle sugli spalti: Treviso sarà seguita dai “Fioi dea Sud”, gruppo di formazione relativamente giovane ma che, almeno visto a distanza, mi pare interessante e senza dubbio può fornire un valore (e uno stimolo) aggiunto nel confronto con Bologna di gran lunga superiore allo sparuto gruppetto agrigentino, senza alcuna velleità ultras.
Questa volta, riesco persino ad arrivare con un certo margine di anticipo sulla palla a due, ma riuscire a rimediare un buco dove infilare l’auto è un’impresa assurda, per cui sono costretto ad allontanarmi oltremodo e giocarmi buona parte di tempo. Resta poco più di mezz’ora per curiosare in giro, notare i blindati della Polizia, che praticamente sigillano a tenuta stagna la zona del settore ospiti, prima di guadagnare l’ingresso. I quattro angoli del “PalaDozza” si presentano alternativamente e permanentemente colorati di bianco e di blu, grazie alla risposta unitaria del pubblico che raccoglie l’invito (lanciato già da inizio playoff) di vestire maglie di un determinato colore a seconda del settore da cui si seguirà la gara.
Il palazzo è ancora una volta pieno in ogni suo ordine di posto, forse ancora di più – se possibile – rispetto alle precedenti gare. Quando viene annunciata la formazione di Treviso, non sto scherzando, i fischi sono assordanti e non permettono di intuire la benché minima sillaba. Arriva il turno della formazione di casa, invece, e il ruggito dei leoni cerca di infondere la carica ad ogni singolo atleta. I roboanti “olé” sono accompagnati dalla simultanea esposizione di cartoncini bianchi-blu-bianchi-blu nei quattro settori. L’effetto scenico e l’effetto sonoro sono, ancora una volta, da accapponare la pelle.
Il quadrato riservato agli ospiti resta ancora vuoto per un po’ in questo primo quarto. Probabilmente la strategia del servizio d’ordine è stata di intercettarli, ingabbiarli e convogliarli al palazzetto solo a gara iniziata, abbattendo così i rischi di contatto fra le parti. Quando metteranno piede sul parquet verranno accolti da una bordata di fischi eclatante quanto rinfrancante per chi la riceve: qualcuno ha osato dire che nessun sentimento, nemmeno l’amore, è autentico come l’odio e i trevigiani se ne crogiolano, si esaltano e ricambiano con sfrontatezza, invitando istantaneamente i dirimpettai ad accrescere questa adrenalina e questo godimento succhiando le loro parti basse. A proposito di allusioni sessuali, in verità è una bionda, molto vistosa nella sua bellezza, a metter il primo piede avversario nel palazzo: tutto, ma tutto tutto tutto il palazzo, la accoglie con un fragoroso e politicamente scorretto “Quella bionda là, quella bionda là fa la pornostar… puttana!”. La cosa imbarazza e fa ridere, ascrivendosi comunque nel limite di quella che il buon Valerio Marchi definiva “violenza rituale (o simulata)” dei tifosi. Materiale che sarebbe altresì sufficiente a far stracciare le vesti agli analisti in cachemire sempre pronti a gridare al sessismo o al razzismo.
A proposito di “indignados alla amatriciana”, il coro mutuato da “La prima cosa bella” di Nicola Di Bari, pur essendo fra quelli che più odio per la sua pedissequa onnipresenza, risulta in questo caso stupendo non solo per la sua poderosa esecuzione, ma anche perché copre totalmente le note dell’inno nazionale e dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, che gli ultras fortitudini non si lasciano piegare la schiena dagli stupidi burocrati in odore di propaganda che promuovono certe cialtronate. In occasione delle gare sotto l’egida della FIP viene infatti suonato l’inno di Mameli, senza che in campo ci sia alcuna rappresentativa nazionale, inflazionato a tormentone pop, in una sorta di nazionalismo d’accatto che lascia più di qualche perplessità. Sarebbe bello che l’amor patrio fosse difeso e diffuso in sedi istituzionali e politiche con atti concreti sennò, sciatteria per sciatteria, tanto vale far ricantare l’inno da Fedez e Jax in versione rap. La pretesa di trasformare certi riti sportivi in eventi per aumentarne la rivendibilità commerciale, magari inzuppandoli in un nazionalismo stucchevole, sta sinceramente sfuggendo di mano. Giusto per la cronaca, a precisazione di certe inesattezze a mezzo stampa, va detto che i tifosi non hanno mai fischiato l’inno, hanno solo fatto quello che sempre fanno quando c’è la Fortitudo in campo, ossia hanno cantato per essa. Se lor signori vogliono sentirli cantare l’inno allora che ci portino la Nazionale sul parquet.
Tornando al tifo vero e proprio, la prima parte di gara, soprattutto dall’arrivo dei trevigiani in poi, è davvero molto bella ed interessante, ricca di scambi a distanza e di tifo per i rispettivi quintetti. I biancazzurri arrivano in Emilia bruciando tutta la dotazione di 150 biglietti messi a loro disposizione (stessa scorta di cui hanno potuto usufruire i bolognesi a Treviso in gara 1 e 2). Il loro impatto è molto positivo: avevo sempre considerato il tifo cestistico come una versione riveduta e castrata di quello calcistico, in cui le contrapposizioni fra opposte fazioni sono limitate o quanto meno diluite, i trevigiani invece arrivano subito con un piglio molto “cattivo”, mandando subito e ripetutamente a quel paese tutto il palazzo e tutta Bologna.
Ottimo anche il colpo d’occhio visivo, non solo perché i 150 sono quasi tutti assimilabili ad ultras e si compattano molto bene a quadrato, ma anche perché si presentano per la maggior parte a torso nudo e restituiscono una buona resa coreografica, specie quando si esibiranno nei loro battimani. Sinceramente il loro tifo non è trascendentale, ma è sicuramente buono: non si poteva certo pretendere che avessero la meglio di fronte alla soverchiante superiorità numerica avversaria e alla loro maggiore esperienza, però più di qualche volta si sono fatti sentire. Fanno la loro onestissima parte, soprattutto sfruttando cori secchi o pause dei dirimpettai, cantando anche con una certa continuità, specie nei primi due quarti. Poi si perdono un po’ dopo l’intervallo lungo per salire definitivamente sugli scudi a fine gara, quando si esibiranno in una serie di cori offensivi, di bei battimani e in una bella sciarpata per festeggiare la vittoria che riapre qualche margine di speranza, anche se la Fortitudo ha ancora a sua disposizione un secondo match ball, sempre con l’ulteriore beneficio del pubblico amico.
Questa volta, a differenza di gara 3 con Agrigento (e a maggior riprova di quanto eccelso sia stato il livello di tifo in quella gara), i padroni di casa si producono in un tifo sì buono, ma molto più “umano”. Risentono forse dell’altissima posta in palio e di una gara che in campo sembra arridere agli ospiti in ogni rimbalzo, portandoli a espugnare il campo avverso dopo aver tenuto in pugno la situazione dall’inizio alla fine, concedendo pochissimo ai felsinei.
Considerando l’ottimo spettacolo coreografico di inizio partita, aggiungendo gli elementi di interesse ulteriore dovuti al piacevole confronto con la controparte ospite, si può dire che Fortitudo-Treviso è stata sicuramente più ricca di contenuti ultras. Non di meno è stato sciorinato tutto il repertorio della “Schull”: dai tanti cori secchi poderosi passando alla manata ad “onda”, finendo con il “Bianco-Blu” a rispondere con gli altri settori, ma come potenza e come continuità si è rimasti una nota sotto alla precedente uscita. Resta inteso però che, in tempi di vacche magre, questo è comunque tutto grasso che cola, oppure oro che luccica per usare una metafora più pertinente: per trovare qualcosa di paragonabile, bisogna andare a cercare tra le curve calcistiche… e bisogna pure cercare tanto.
Matteo Falcone.
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Fortitudo Bologna-Treviso gara 3: come l’amore all’improvviso Certe volte, certe cose funzionano proprio come con l'amore: arriva un momento della tua vita in cui ti riscopri di punto in bianco adulto e smetti di credere in queste favole, magari per concorso di tutta una serie di contingenze. 
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sportpeople · 7 years
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“Genova ha i giorni tutti i uguali”, canta Paolo Conte in una delle sue più celebri canzoni. Chissà, in effetti, se il cielo che sovrasta la Lanterna in questa fredda domenica di gennaio ricorda ancora i fasti dello squadrone di Liedholm in quel maggio del 1983. Era ugualmente sereno, ma faceva più caldo. Si giocava sempre al Ferraris, ma nella vecchia versione. Chissà se quel pomeriggio di 34 anni fa è rimasto un pochino anche nella mente di qualche genovese. La corsa di Geppo per abbracciare il Barone, l’esultanza di Fiorini (che la terra ti sia lieve sempre, quel pianto di Lazio-Vicenza è arrivato al cuore anche di chi sta dall’altra parte del Tevere) che vale una salvezza. Le bandiere, la festa. Chissà se pure quel pomeriggio Genova ti accoglieva statica e diffidente come sempre. Con i suoi carruggi a tratti affascinanti e a tratti inquietanti. Di certo quel giorno c’era il Commando Ultrà Curva Sud, con tutte le sue storie. Quelle che riecheggiano oggi a 40 anni dalla sua nascita.
Genova si stende sorniona e silenziosa da Piazza Principe al Porto Antico. Con l’odore di qualche focaccia che ti entra nelle narici e quello aspro e malinconico del mare d’inverno che te lo spegne, facendoti stringere ancor più stretta la sciarpa al collo. Perché se arrivi con tre ore di anticipo sul fischio d’inizio dovrai pure impiegare il tempo in qualche modo. Genova l’ho descritta svariate volte. Nel volto genoano e in quello doriano. Eppure mi sorprende ogni volta.
Ho pensato lungamente a cosa scrivere in questo resoconto. E mi maledico forse nell’aver dato un incipit scontato. Perché non è vero in fondo che “Genova ha i giorni tutti uguali”. Genova ha i giorni più lenti di tante altre città italiane. Questo è vero. E così la sua gente è serafica, i suoi negozi aprono a stento nei giorni di festa e le sue strade sono cordiali ma distaccate. Lo invidio fondamentalmente. Perché la città di porto nasconde sempre i suoi misteri, i suoi artisti e le sue storie. Se Paolo Conte sbeffeggia affettuosamente Genova, Fabrizio De André le offre dichiarazioni d’amore. Anche se parla di puttane. Anche se parla di vecchi avvelenati ai tavolini della Città Vecchia. De André fa parte della nostra cultura popolare e sappiate che a Genova è possibile vederlo anche all’interno dello stadio. La sua effige è impressa su un bandierone della Gradinata Nord, a eterna memoria. “Ho una malattia”, disse Faber in un suo concerto. “Questa malattia si chiama Genoa”, continuò brandendo una sciarpetta rossoblu. Se i 40 anni del Cucs sono un evento liturgico per chiunque ami il mondo del tifo, i 18 anni dalla morte del cantautore (11 gennaio 1999) marciano di pari passo. Ed entrambi conservano quel fascino di chi scrivendo una storia ha saputo diventare leggenda.
Risalgo lentamente il centro storico per imboccare la Salita di Santa Caterina e poi trascinarmi fino a Brignole. Tutte le volte che vengo da queste parti la suddetta stazione funge da vero e proprio spartiacque. So che superato quello storico sottopasso, intriso di scritte attempate, sarò in zona stadio. Vedrò il torrente Bisagno e ripenserò alle prima trasferte fatte a queste latitudini. Il mio rapporto con Genova è di quelli ancestrali. Se parliamo prettamente di ultras non posso non tener conto della storia delle sue tifoserie. Curve che hanno scritto pagine bellissime e che da sempre ho abbinato a una maniera visceralmente passionale di seguire il calcio e a un tifo, sotto alcuni aspetti, quasi unico in Italia. Benché siano passati diversi anni e tante generazioni dall’expoloit calciofilo italiano. Dicono che sia una città calcisticamente inglese. Io, dal mio piccolo e insignificante pulpito, dico che è semplicemente molto italiana invece.
Lo schieramento di forze dell’ordine è ingente. Il treno con a bordo buona parte dei sostenitori capitolini è arrivato abbastanza presto e i pullman dalla stazione hanno fatto la spola per portare i tifosi allo stadio. La rivalità tra le due fazioni è ormai conclamata da qualche stagione. Anni in cui non sono mancate tensioni e dove l’amicizia tra liguri e napoletani ha certamente influito nell’accendere gli animi. Di certo il servizio d’ordine è pressoché perfetto e sembra difficile immaginare eventuali tumulti. Cosa che infatti non avverrà in tutta la giornata.
Quando entro all’interno del Ferraris il settore ospiti è quasi colmo nella sua parte superiore, mentre il resto delle gradinata sta andando man mano riempiendosi. Per ingannare il tempo gli ultras romanisti punzecchiano gli avversari, trovando pronta risposta dal gruppetto posto in Gradinata Sud che, a sua volta, provoca gli ospiti mostrando una bandiera del Napoli. I benpensanti odierni sarebbero capaci di condannare persino questo tipo di scene io, di contro, mi soffermo invece a incensare uno stadio dove determinate e stupide prescrizioni non sono minimamente presenti e chiunque può stare in piedi dove vuole, cambiare posto, cambiare anello e seguire la partita appoggiato su balaustre e muretti. Del resto il sorriso divertito di un bambino in spalla al padre mentre osserva le schermaglie tra romanisti e genoani la dice lunga su cosa possa portare le famiglie allo stadio e cosa le allontani. Un po’ come la risata neanche tanto repressa di un signore sulla cinquantina che, a pochi passi da me, sentendo le parole di un coro offensivo da parte giallorossa mormora: “Ma pensa questi che cosa sono andati a inventare”. Ecco, sappiate che a noi bestie da stadio nel 2016 piace da matti questa rozza e maleducata battaglia dialettica.
Ore 15, le squadre fanno il loro ingresso in campo. La Nord si colora con una sciarpata discretamente riuscita sulle note di “You’ll never walk alone”. Peccato, come ho detto lo scorso anno, che gli altoparlanti non mandino lo storico inno dei Grifoni (non conosco il titolo esatto, forse “Aprite le porte”?). Ci pensano i ragazzi della Nord a sopperire alla mancanza cantandolo successivamente. Lo stadio, come sempre, offre un buon colpo d’occhio tuttavia, va detto, la prestazione della Nord non sarà all’altezza di quello che è il blasone della tifoseria genoana e soprattutto di quello che sono stato abituato a vedere dagli ultras rossoblù. È infatti un manipolo centrale a tifare portandosi di rado dietro il resto del settore, un vero peccato. Buono il costante sventolio dei bellissimi bandieroni e la continua accensione dei classici fumogeni da porto di colore arancio. Purtroppo però troppo poco per una curva dal potenziale immenso. Ciò detto sarebbe sbagliato non ricordare tutti i problemi avuti dalla tifoseria organizzata del Genoa negli ultimi anni. Tra cui le decine di Daspo piovuti su personaggi carismatici l’indomani di quel famoso Genoa-Siena del 2012 (questo lo dovrebbe sapere anche chi sostiene che i tifosi non paghino mai le proprie colpe e trattino gli stadi come vere e proprie zone franche), oltre che una campagna mediatica diffamatoria condotta dai soliti noti.
Per quanto riguarda il settore ospiti, gli ultras romanisti, che già bel prepartita avevano riscaldato i motori, aprono le danze con il classico “Quando l’inno s’alzera” per poi sciorinare tutto il loro repertorio, tra cui parecchie manate e diverse torce accese al 30′ e nel finale, a vittoria ottenuta. Rispetto allo scorso anno il settore è apparso più compatto e numeroso (del resto nella passata stagione si giocava anche di lunedì alle 19 ed era l’ultima giornata, con un interesse sportivo pari allo zero) e il tifo si è mantenuto su buoni livelli per tutti i novanta minuti. Come detto tanti gli scambi “di veduta” con i dirimpettai che a tratti hanno contribuito ad accendere la contesa, scaldando anche il pubblico dei Distinti. Il Ferraris resta uno stadio reattivo, un luogo dove gli avversari non vengono a passeggiare. E questa, nell’anestetizzato calcio del 2016, è pur sempre una nota di merito.
In campo è la Roma ad avere la meglio, grazie a un rocambolesco autogol di Izzo nel primo tempo. Tre punti ottenuti con grande sofferenza ma fondamentali per la squadra di Spalletti, anche perché ottenuti laddove finora tutte le “big” erano fragorosamente cadute. Il Genoa può recriminare su qualche occasione mancata, tuttavia finora il campionato dei liguri non è stato negativo. Seppure, lo dico da spettatore esterno, sarebbe bello per una stagione rivedere tutti i marchi storici del calcio italiano primeggiare nella parte sinistra della classifica. So che è un sogno ma sognare almeno non costa nulla.
Il pubblico lentamente sfolla mentre i tifosi giallorossi permarranno all’interno del settore per un altro po’ di tempo. Per me è arrivato il momento di togliere il disturbo, con i freddo che prepotentemente è sceso su Genova e punge in maniera invereconda. Ecco, rispetto a quella giornata di maggio di 33 anni fa ci sono sicuramente tanti gradi in meno. Quindi non è vero che “Genova ha i giorni tutti uguali”.
Simone Meloni
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Genova non ha i giorni tutti uguali: Genoa-Roma, Serie A "Genova ha i giorni tutti i uguali", canta Paolo Conte in una delle sue più celebri canzoni.
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