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#storie di calcio
spettriedemoni · 10 months
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Se non sai cosa fare dai la palla Suarez
Luis “Luisito” Suarez Miramontes è stato un grande centrocampista. Si dice che il Camp Nou di Barcellona sia stato completato grazie ai soldi che Moratti padre versò nelle casse blaugrana per prenderlo e portarlo all’Inter.
Grande combattente di centrocampo aveva una visione di gioco eccezionale, con lui in campo potevi giocare scavalcando il centrocampo perché i suoi lanci riuscivano sempre a trovare gli attaccanti, lanci di 50 e più metri tutti precisi per Mazzola, Jair, Domenghini e successivamente per Milani o Peirò.
Era il cervello della Grande Inter, giocatore carismatico in un periodo in cui sulle magliette non c’erano sponsor e i numeri dei giocatori in campo andavano dall’1 all’11, in panchina dal 12 al 16 e le formazioni erano una litania che imparavi a memoria e quell’Inter era Sarti, Burgnich, Facchetti; Bedin, Guarneri, Picchi; Jair, Mazzola, Peirò; Suarez, Corso.
C’è un episodio raccontato da Mazzola (e confermato da Suarez) che racconta bene l’ironia dello spagnolo: poco prima dell’ingresso in campo di Inter e Real Madrid per la finale di Coppa dei Campioni, vinta poi dall’Inter per 3-1, Mazzola è in estasi perché intento ad ammirare il più grande calciatore europeo Alfredo Di Stefano.
Suarez se ne accorge e gli tira uno schiaffetto sul collo dicendogli: «Noi andiamo a giocare. Te che fai? Resti qui a guardare lui?»
Che la terra ti sia lieve Luis.
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ilpianistasultetto · 1 year
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Come sorgessero dal nulla, su quelle barche in balia delle onde, migranti, spesso li crediamo soli al mondo. Queste entità senza volti, senza nomi, senza parenti, come mai nati, bambini, donne, uomini, magari siamo convinti che nessuno li piangerà, nessuno li cercherà, come li chiama quello che fa il ministro: "carico residuale".
Poi vedi gente piangere, un fratello, un nonno, una sorella, un cugino, una madre; li chiamano con i loro nomi, li fanno vivi: "lo stavo aspettando..." - "sperava in una vita migliore in Europa..." - "ci siamo sentiti ieri..." - "amava il calcio..." - "Aveva solo sei mesi...".
Mostrano foto, raccontano momenti, parlano di guerra, di torture, piangono sulle bare, quelle marroni e quelle bianche. Esseri umani, nient'altro che esseri umani, proprio uguali a tutti gli altri esseri umani, con le loro storie, il loro passato, le loro lacrime, un nome e un cognome, e poi la disperazione, proprio come gli altri esseri umani quando sono disperati e cercano una mano tesa. Una mano che non hanno trovato, perché qualcuno si crede più essere umano di altri.
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focacciato · 7 months
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Immaginate di gestire una pagina social di una scuola calcio, aprire un'ask box nelle storie instagram con una base meme e vedere i ragazzini che si divertono memando e ridendo nel gruppo whatsapp condividendo le storie. Quanto mi piace far ridere
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girasolealtramonto · 4 months
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Inizierò a lasciarti andare prima o poi. Inizierò a non rileggere i nostri messaggi, inizierò a non controllare più il tuo ultimo accesso, inizierò a non cercarti più tra le visualizzazioni delle mie storie, inizierò a non sbirciare più il tuo profilo, inizierò a non riguardare più le nostre foto, inizierò a togliere dal mio portafogli la nostra polaroid e il biglietto che mi hai lasciato quando sono tornata a casa dopo essere venuta a trovarti all’insaputa di tutti, inizierò a togliere la collana che mi hai regalato al compleanno dicendo che così saresti stato sempre con me, inizierò a non guardare la luna chiedendomi se la vedi anche tu, inizierò a non guardare più 500 blu in giro per strada sperando stia guidando tu, inizierò a non pensare più ai momenti passati insieme quando sono a letto o a lavoro, inizierò a non cercare più il tragitto con i mezzi per andare nel tuo posto speciale sperando di trovarti lì, inizierò a mangiare come si deve e a prendere peso, inizierò a uscire di nuovo senza rintanarmi nel mio letto, inizierò a non farmi più i capelli come ti piacevano tanto, inizieró a non ascoltare più le canzoni che mi dedicavi, inizierò a non guardarmi più il tatuaggio che abbiamo uguale nello stesso punto, inizierò a non piangere più sentendo i tuoi vecchi vocali, inizieró a non informarmi più sul risultato delle partite di calcio che guardi tu, inizierò a camminare per strada senza cercarti ovunque, inizierò a non pensare al futuro immaginandotici, inizierò a non comprare più le caramelle che ti piacevano tanto solo per farti felice, inizierò a non sedermi sul divano di casa dove lo facevi tu solo per sentire la tua presenza, inizierò a non odorare più i miei vestiti sperando di sentirci il profumo che lasciavi, inizierò a non chiedermi più il perché sei cambiato da un momento all’altro e mi hai fatto così male, inizieró a non scriverti più messaggi che lascerai in visualizzato, inizierò a non scrivere più ai tuoi amici per capire cos’hai, inizieró a non immaginare più un tuo ritorno, inizierò a parlare di te senza finire in lacrime, e poi inizierò a non parlarne più, a non scrivere più di te. inizierò a vivere nella tua città come fosse la mia e inizierò a sentirmici a casa anche senza di te. Inizierò una nuova vita, senza di te, e inizierò di nuovo ad innamorarmi, di me stessa questa volta. Prima o poi inizierò.
@girasolealtramonto
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acuorleggero · 6 months
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La fesseria
Un uomo parte a piedi dall'Argentina e percorre 2.600 km per andare a Rio de Janeiro, durante il cammino affronta non pochi pericoli e viene depredato di tutto, anche dell'acqua.
Ma arriva.
Un ragazzino vende la propria Playstation per potersi permettere il viaggio per la finale insieme al proprio padre che, invece, ha dovuto vendere la propria moto.
Non hanno i biglietti per lo stadio ma sentono di dover essere là, con la loro gente sulla spiaggia di Copacabana, per la propria squadra.
Il 18 maggio del 2002, ad Itauna, nella regione di Minas Gerais, nel sud del Brasile, viene alla luce un bambino. La famiglia Batista de Souza decide di chiamarlo come il 35esimo presidente degli Stati Uniti.
Non semplicemente John, si badi, ma John Kennedy, come nome proprio.
Il 4 novembre 2023 John Kennedy Batista de Souza, in arte solo John Kennedy, mette dentro il pallone che porta in vantaggio la Fluminense nella finale di Copa Libertadores contro il Boca Juniors.
Siamo al minuto 99, tempi supplementari.
Verrà poi espulso per l'esultanza ma quella sua rete decide la partita.
Fluminense campione, Boca sconfitto.
I sogni e i sacrifici dell'uomo a piedi, del ragazzino e del proprio padre finiscono così, persi come lacrime nella pioggia.
Il calcio è una fesseria, le storie che si porta dietro no.
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auxoubliettes · 6 months
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giulia ha cambiato casa, che detto così sembra l'inizio di qualcosa di tragico, di una lontananza che non si può ricucire se non provvisoriamente, di un gioco fatto di ciao e di addii rinnovati troppo spesso etc etc., ma si è trasferita a 3 minuti di macchina da dove stava prima quindi tutto okay. andiamo avanti.
la cosa divertente è che per andare a casa sua adesso devo passare da una serie di posticini custodi di un ricordo o più a testa. uno di questi è la villetta dove viveva una delle mie migliori amiche del periodo elementari e medie. passando di lì io non ho mai visto nessuno, ma la macchinina di google maps è riuscita a immortalare la sua mamma per ben due volte. 2 a 0 per lei.
il primo posticino in assoluto che incontro, però, è una fermata dell’autobus che ad un certo punto della mia vita, tanti anni fa, non si è propriamente guadagnata un significato, quanto la possibilità di divenire l’avvertimento di un possibile incontro: banalmente, era la fermata dove ogni giorno saliva un ragazzetto mio coetaneo, bassino, con gli occhi chiari e i capelli scuri. più che piacermi i corpi a me le persone incuriosivano, e lui mi incuriosiva (per onor del vero e del cringe era bellino quindi, alla mia maniera, mi piaceva anche). e poi avevo un ottimo fiuto, nel senso che chi mi sembrava potesse essermi simpatico poi mi stava molto simpatico, e chi sembrava potesse essermi antipatico poi mi stava molto antipatico. quindi chi mi incuriosiva, mi incuriosiva sempre parecchio. e chi poi non ho potuto apprezzare o odiare perché non ho mai conosciuto, ha sempre continuato a rimanermi in testa. tipo lui.
patetica questa cosa dell'agognata visione mattutina sul bus? probabile, ma spero che abbiate una storia patetica simile anche voi. non so se avete mai letto la ragazza delle arance di jostein gaarder (che comunque non credo consiglierei, non ricordo neanche come finisce) ma questa ragazza delle arance era il pensiero ricorrente di sto tizio che una volta l'aveva vista sul tram, e se non la vedeva allora sperava di vederla la volta dopo. con cornerstone degli arctic monekys siamo già a due esempi di storie patetiche come la mia, quindi anche se voi non ne avete io mi sento sufficientemente in compagnia per andare avanti. con questo ragazzetto non ho mai fatto amicizia, ma ci ho solo avuto brevemente a che fare sette anni dopo, quando ormai non ci pensavo più, perché venne col mio gruppo di amici a festeggiare il 25 aprile. di lui per lunghi anni ho continuato solo a sapere che era appassionato di politica e calcio e che a quanto pare era intelligente, informazione che conferiva un’aura potenzialmente più interessante ad una persona che invece avrebbe potuto semplicemente essere un tipico maschio italiano medio.
qualche settimana fa, mentre aspettavo che venisse l’ora giusta per uscire e andare a vedere la nuova casa di giulia stavo leggendo degli articoli online. ad un certo punto ne trovo uno che parla d’attualità. l'aveva postato una mia amica. lo leggo. è accurato, ma ha anche un’anima seria e ironica e appassionata e critica. è qualcuno che mi parla di cose vere senza la freddezza di un certo tipo di giornalismo, né la retorica gratuita o il pathos vomitevole di un certo altro tipo di giornalismo. del giornalismo poi sicuramente mancavano la disonestà e la superficialità. ma chi l'ha scritto? ma che giornale è? e l’aveva scritto il ragazzetto dell’autobus sul suo blog, in realtà. che ridere. quel 25 aprile ricordo che mi disse una cosa (tutte le altre conversazioni furono di gruppo, ma a me disse - con una voce che non ricordo - questa cosa) riguardo al fatto che studiavamo cose simili, cose ritenute un po' sfigatelle. e guarda che cosa bella ne ha tratto, da queste cose che tutti ci dicono essere sfigatelle. ho letto altre cose che ha scritto. che cosa bella la scrittura, come ci disvela bene, anche nei suoi artifici. poi sono uscita e passando dalla fermata dell’autobus ho pensato: c'è voluto un po' di tempo, ma pare che questa curiosità sia stata parzialmente soddisfatta. stavolta posso apprezzare anche senza conoscere.
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mezzopieno-news · 9 months
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I SENZATETTO GIOCANO IL CAMPIONATO DEL MONDO DI CALCIO
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La Coppa del mondo per i senzatetto si è appena tenuta a Sacramento, in California, ed ha visto l’incontro di circa 500 atleti da 30 Paesi, in un torneo di calcio di una settimana che ha messo in gioco e le storie e le vite delle persone senza dimora che vivono in tutto il mondo.
“Un evento di livello mondiale che ha il potere di cambiare la vita dei partecipanti e modellare gli atteggiamenti verso questo problema globale, utilizzando il linguaggio universale del calcio”: con questo motto il campionato ha messo in campo 28 squadre maschili e 12 femminili, composte da persone che negli ultimi due anni hanno sperimentato la condizione di non avere una casa, provenienti dalle strade, dai centri di recupero, rifugiati o che non posseggono un letto dove andare a dormire.
Nel 2021 il World Economic Forum ha riferito che 150 milioni di persone erano senzatetto in tutto il mondo, anche se un quadro accurato dei senzatetto globali è estremamente complesso da definire. “Dovremmo lavorare insieme per porre fine ai senzatetto per sempre, ovunque nel mondo, e possiamo farlo usando il calcio”, ha detto lo scozzese Mel Young, co-fondatore della Homeless World Cup nel 2001, durante la cerimonia di apertura. L’operazione ha coinvolto un grande numero di associazioni ed enti anche nei Paesi di origine dei giocatori e 700 volontari internazionali e locali nel periodo del campionato. Il Messico ha vinto il titolo femminile, mentre gli uomini del Cile si sono aggiudicati la coppa maschile.
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Fonte: Homeless World Cup; foto di Leonardo Hidalgo
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nusta · 10 months
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Grazie @campanauz per il tag ^_^
1. Are you named after anyone?
No, però ho rischiato di ereditare il nome di mio nonno al femminile e ho ricevuto i nomi delle mie nonne dopo il mio al battesimo. Per fortuna ufficialmente ho solo il mio, che amo molto e in famiglia è solo mio e ai miei tempi era un poco raro quindi me lo sono goduta per bene (poi nel tempo ho conosciuto alcune omonime che comunque lo "portano" egregiamente ^_^)
2. Quando è stata l'ultima volta che hai pianto?
Pianto di commozione da empatia mi capita spessissimo, l'ultimo qualche lacrima poco fa vedendo una scena al volo di un episodio di Heidi su youtube. Pianto serio da tristezza, coi singhiozzi, qualche settimana fa in un momento di crisi e sfogo esistenziale. Piango molto comunque, è il mio modo di sfogare lo stress quando sono al colmo della frustrazione.
3. Hai figli?
No.
4.Fai largo uso del sarcasmo?
Boh, largo non direi, cerco di non usarlo con chi non può capirlo, per esempio le mie nipotine o il mio capo in ufficio.
5. Quali sport pratichi o hai praticato?
Nessuno seriamente, mi piace correre per divertimento, non sono in condizioni di farlo per sport. Vado in bici ogni giorno ma anche questo non per sport, anche se vorrei fare ogni tanto giri più lunghi. Da bambina ho fatto qualche anno di ginnastica artistica e poi in quarta o quinta elementare ho convinto mia mamma che non faceva per me. Idem con nuoto, mi sa che ho resistito due anni e comunque non ho mai imparato a nuotare a stile libero. Alle medie ho fatto un corso di canottaggio, ma abbiamo interrotto per mancanza di fondi e iscritti prima di uscire dalla piscina dopo meno di una dozzina di lezioni. Alle superiori sono stata una delle tre ragazze che si è presentata alla prima lezione del corso di calcio, che ovviamente non è proseguito. Il mio compagno ha provato a insegnarmi a usare i pattini ma ha rinunciato per paura che mi facessi male e non posso dargli torto considerata la mia scarsa coordinazione. Mi piacerebbe giocare di più a racchettoni, sto aspettando che crescano le mie nipotine perché per ora in famiglia non piace a nessuno T_T
6. Qual è la prima cosa che noti in una persona?
Lo sguardo.
7. Qual è il colore dei tuoi occhi?
Verde oliva al centro dell'iride con un cerchio grigio intorno.
8. Scary movies or happy endings?
Lieto fine è meglio, però se muoiono tutti ed è una bella storia va bene lo stesso. Non amo gli spaventi, ma la violenza catartica è una delle mie componenti preferite. Alla Spartacus, per dirne una.
9. Qualche talento particolare?
Non credo.
10. Dove sei nato?
A due passi da dove abito.
11. Quali sono i tuoi hobby?
Disegnare, cucinare, correre, leggere, scrivere, cucire, giocare a inventare le storie con le mie nipoti, guardare serie tv, anime e documentari e film e chi più ne ha più ne metta XD
12. Hai animali domestici?
Non più e soffro molto la mancanza del mio gatto, anche se non vivevamo più insieme da anni. Se potessi prenderei cani e gatti, anche se non ho mai avuto un cane e non so se sarei capace di educarlo e farlo stare sereno.
13. Quanto sei alta?
Meno di quanto sia generalmente previsto da chi vende pantaloni, infatti devo quasi sempre fare l'orlo.
14. Materia preferita a scuola?
A volte italiano, a volte storia. Però nessuna che mi facesse dire "ah, che bello ora arriva l'ora di questa materia".
15. Dream job?
In una storia del Topolino c'era Paperino che finiva a fare il collaudatore di materassi e mi ha sempre affascinato come opzione. Se qualcuno volesse pagarmi per farmi passare il tempo a praticare uno dei miei millemila hobby, ben volentieri.
Non taggo nessuno ma se siete arrivati fino qui sentitevi invitati a partecipare se vi va ^_^
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francescosatanassi · 2 years
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A GINO NON INTERESSAVA IL RISULTATO
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Vivo a Forlì da parecchio, ma sono cresciuto a San Martino in Strada, il primo paese uscendo dal centro in direzione Predappio. Non è lontano, circa 6 km, e c’è una ciclabile che porta fino in centro. Nonostante la breve distanza, i miei nonni dicevano “Vado a Forlì” quando dovevano spostarsi verso la “città”, come se questa fosse una specie di metropoli lontanissima da loro. È stato così anche per me, per un certo tempo. A San Martino ho trascorso l’età in cui non esiste altro al di fuori del paese. È lì che ho fatto l’asilo, le scuole elementari, la prima comunione. Noi bambini avevamo un confine preciso oltre al quale non si andava, il Mulino Zampighi, lì terminava il marciapiede e sapevamo soltanto che più avanti, prima della metropoli, c’era un luogo indefinito che i nonni chiamavano "Caiossi". Ma durante nostre esplorazioni non arrivavamo mai fino al mulino, ci bastava scendere dietro casa, attraversare un canale d’acqua e perderci lungo i campi in cerca di avventure. Di quegli anni c’era una cosa che ci faceva ridere tantissimo: una squadra di calcio della zona, scarsissima, che si chiamava Tre Martiri, centro delle nostre prese in giro quando giocavamo a pallone al campetto. “Va’ a giocare nella tre Martiri” era un insulto frequentissimo. Il fatto è che la Tre Martiri era veramente una squadra scarsa. Ogni domenica che dio mandava in terra scendeva in campo e perdeva. Sempre. Ogni partita. Per tutto il campionato. Quattro, cinque, sei gol di scarto. Non ci siamo mai chiesti perché perdesse sempre e perché avesse proprio quel nome. Per noi era una squadra dove giocavano gli scarsi e gli sfigati. Un po’ di anni fa, leggendo della morte del suo fondatore, Gino Bertaccini, scoprii cosa rappresentava in realtà quella piccola società sportiva. La Polisportiva Tre Martiri era nata nel 1949 e Bertaccini era stato il primo a Forlì a creare anche una società che praticava pattinaggio. Scoprii che chi giocava nella Tre Martiri era scarso perché a Gino non interessava il risultato, ma il progetto. Andava per i circoli, i bar, le parrocchie e chiedeva “Qualcuno vuole giocare a calcio?” e raccoglieva gli sbandati che non sarebbero entrati in nessuna squadra giovanile. Dava loro un pallone e un motivo per stare assieme. Faceva tutto lui: allenatore, dirigente, magazziniere, custode. Disegnava col gesso le linee del campo, riempiva e portava le borracce, lavava in casa le casacche di ogni ragazzo poi le stendeva in giardino. Faceva tutto da solo e lo faceva così, per passione. E quel nome, Tre Martiri, che ci evocava risate e prese in giro, Gino l’aveva scelto dopo la guerra per un motivo: i tre martini erano Pino Maroni, Antonio Zoli e Antonio Piazza, tre partigiani di San Martino in Strada. Avevano combattuto ed erano morti per gli altri e Gino, che per tutti era un burbero, un solitario e un piantagrane, lo sapeva bene, e aveva scelto quel nome per ricordare i suoi compagni falciati dal fascismo a vent’anni. Anche se l’abbiamo capito tardi, la Tre Martiri non è più stata la squadra degli sfigati, ma il sogno di un uomo che voleva ricordare tre amici nel suo nome: Pino Maroni, Antonio Zoli e Antonio Piazza. Nel cimitero di San Martino, dove sono sepolti anche i miei nonni, c’è un monumento che li ricorda. Le loro storie ve le racconto un’altra volta.
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GENOA COMUNQUE E OVUNQUE
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✔️ 𝐒𝐓𝐑𝐄𝐀𝐌𝐈𝐍𝐆 𝐎𝐑𝐀 𝐐𝐔𝐈 ▶ https://t.co/LDobriytsq
:: Trama Genoa. Comunque e ovunque ::
Il film non indugia sugli aspetti strettamente sportivi ma vuole andare ad approfondire il senso profondo dell'essere genoani, la passione che avvicina persone con storie e provenienze diverse, la gioia del tifare come atto di fede a prescindere dai risultati, cosa vera per tante squadre ma ancor di più per una squadra antica e nobile, con una delle tifoserie più calde d'Italia, come il Grifone. La simbiosi tra la cittadi Genova e la sua squadra di calcio rappresenta il cuore stesso del documentario, per celebrare una delle tifoserie piu appassionate e fedeli del nostro Paese e ripercorrere la storia del club più longevo di Italia, analizzando il profondo significato dell'essere Genoani. Emerge così il senso di appartenenza, il desiderio di sostenere la propria comunità, di condividerne le gioie e dolori, "comunque e ovunque". In totale controtendenza con le logiche del marketing e delle multinazionali dell'intrattenimento, questo è soprattutto il racconto di un sentimento irrazionale ed extra calcistico, definito da molti nel film "una malattia", che accomuna, di una passione che si rinnova di generazione in generazione, come dimostrano le testimonianze dei vari intervistati del film.
Un film (in Italiano anche pellicola) è una serie di immagini che, dopo essere state registrate su uno o più supporti cinematografici e una volta proiettate su uno schermo, creano l'illusione di un'immagine in movimento.[1] Questa illusione ottica permette a colui che guarda lo schermo, nonostante siano diverse immagini che scorrono in rapida successione, di percepire un movimento continuo.
Il processo di produzione cinematografica viene considerato ad oggi sia come arte che come un settore industriale. Un film viene materialmente creato in diversi metodi: riprendendo una scena con una macchina da presa, oppure fotografando diversi disegni o modelli in miniatura utilizzando le tecniche tradizionali dell'animazione, oppure ancora utilizzando tecnologie moderne come la CGI e l'animazione al computer, o infine grazie ad una combinazione di queste tecniche.
L'immagine in movimento può eventualmente essere accompagnata dal suono. In tale caso il suono può essere registrato sul supporto cinematografico, assieme all'immagine, oppure può essere registrato, separatamente dall'immagine, su uno o più supporti fonografici.
Con la parola cinema (abbreviazione del termine inglese cinematography, "cinematografia") ci si è spesso normalmente riferiti all'attività di produzione dei film o all'arte a cui si riferisce. Ad oggi con questo termine si definisce l'arte di stimolare delle esperienze per comunicare idee, storie, percezioni, sensazioni, il bello o l'atmosfera attraverso la registrazione o il movimento programmato di immagini insieme ad altre stimolazioni sensoriali.[2]
In origine i film venivano registrati su pellicole di materiale plastico attraverso un processo fotochimico che poi, grazie ad un proiettore, si rendevano visibili su un grande schermo. Attualmente i film sono spesso concepiti in formato digitale attraverso tutto l'intero processo di produzione, distribuzione e proiezione.
Il film è un artefatto culturale creato da una specifica cultura, riflettendola e, al tempo stesso, influenzandola. È per questo motivo che il film viene considerato come un'importante forma d'arte, una fonte di intrattenimento popolare ed un potente mezzo per educare (o indottrinare) la popolazione. Il fatto che sia fruibile attraverso la vista rende questa forma d'arte una potente forma di comunicazione universale. Alcuni film sono diventati popolari in tutto il mondo grazie all'uso del doppiaggio o dei sottotitoli per tradurre i dialoghi del film stesso in lingue diverse da quella (o quelle) utilizzata nella sua produzione.
Le singole immagini che formano il film sono chiamate "fotogrammi". Durante la proiezione delle tradizionali pellicole di celluloide, un otturatore rotante muove la pellicola per posizionare ogni fotogramma nella posizione giusta per essere proiettato. Durante il processo, fra un frammento e l'altro vengono creati degli intervalli scuri, di cui però lo spettatore non nota la loro presenza per via del cosiddetto effetto della persistenza della visione: per un breve periodo di tempo l'immagine permane a livello della retina. La percezione del movimento è dovuta ad un effetto psicologico definito come "fenomeno Phi".
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abr · 2 years
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"Non ti do la sigaretta": e il nigeriano gli rompe una gamba
L'uomo, senza fissa dimora, era completamente ubriaco. Quando il cliente di un bar si è rifiutato di dargli una sigaretta lo ha colpito con un calcio talmente violento da provocargli la frattura di tibia e perone.
via https://www.ilgiornale.it/news/cronache/non-ti-do-sigaretta-e-nigeriano-rompe-gamba-2049942.html
Storie di ordinario DEGRADO. Colpa non del nigeriano ma dell'avventore: non ha capito che con le "risorse" si dev'essere aperti disponibili e solidali.
E' formativo per come si dovrà essere anche con gli LGBTQX+++ in fase di amichevole approccio: APERTI, disponibili, comprensivi.
E' un mondo dificile.
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vanbasten · 1 year
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rimesso gli anon solo per chiedere sul serio dove posso acquisire il libro delle storie di jorgi o se è un’esclusiva per loro raccomandati che ‘giocano a calcio’ e ‘fanno attualmente parte della nazionale’
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marikabi · 1 year
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Il fantacalcio pedagogico
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Ma tu sai che cos'è il fantacalcio?
Mi ha chiesto mio cugino qualche sera fa, intravedendo nelle sue parole un nonsoché di scettico, mentre passeggiavamo per il Corso.
Sì sì, lo so cos'è il fantacalcio. Conosco storie di gente che ci perde l'essere, nel creare squadre vincenti e dannarsi nei tornei, col calciomercato, per gli scambi e le cessioni. Insomma un universo parallelo, ed ugualmente caotico, al calcio giocato, ché già quest'ultimo è una perdizione.
Ho fatto una piccolissima indagine famigliare e mio figlio mi ha raccontato di non aver retto che due mesi al fantacalcio: troppa tensione, troppe regole, troppe condizioni da tenere a mente. Insomma, troppa fatica. Non comprendeva - e tuttora io con lui - il senso di tutto questo rodersi per dimostrare di averci visto lungo sulle capacità dei singoli giocatori, non bastasse il rosicamento quando perde la nostra squadra del cuore.
(Poi scopri che è tutta una questione di fattore ‘C’, come tutto del resto.)
Ma mio figlio è un po’ pigro, molto più fantasioso nella sua tigna di speculatore filosofico che disciplinato nel seguire qualsiasi tipo di regole, fossero pure quelle del Gioco dell’Oca.
Eppure il fantacalcio prende. Tant'è che la formula è stata applicata anche in altri ambiti e con requisiti perfino lontanissimi dalla bravura e dalle capacità positive degli inserimenti in squadra. Per esempio, al Fantacitorio vince punti il politico che fa la cazzata stratosferica, non il più serio o il più capace e la bravura del fantacitorista è quella di accaparrarsi i politici più cazzari/incompetenti/sboroni/narcisisti, e davvero ce n’è di imbarazzo nella scelta.
(Ma diciamocela tutta: il politico di oggi cerca visibilità e non esiste strumento migliore che sparare cazzate e/o sboronare al fine di attirare l'attenzione e polarizzare l'opinione pubblica. Non c'è bisogno di un talento particolare, attualmente la classe politica è quasi tutta una gran manica di incompetenti e boriosi in cerca di palcoscenici.)
Il fantacalcio - ho recentemente scoperto - è anche un mezzo per crescere, per capire il mondo e le persone, per formarsi insomma. L'ho capito leggendo un testo fresco e spigliato, divertente qubbì, quasi un trattato di insospettabile sociologia della post-adolescenza, ai tempi dei social ed anche del covid.
L'autore di questo simpaticissimo Il prossimo anno non contatemi (Urbone publishing, già esaurita la prima edizione!), Giuseppe Maria de Maio, racconta i carpiati delle sue emozioni di post-adolescente, descrivendo il contesto umano in cui vive, durante un anno - di tanti - stra-impegnato col fantacalcio (quasi salta la tesi), ripromettendosi di smettere all’eventuale riuscita dell'impresa.
Ritroviamo Edo, il protagonista, alle prese con una fauna giovanile che i miei concittadini riconosceranno autoctona, ma passioni, modi e aspirazioni sono comuni a quasi tutta la gioventù italica.
Tra un motto in vernacolo ed uno aulico, una cadenza partenopea e una partenirpina (con spuntature in romanesco, che si porta tanto), Edo e i suoi amici sciamano per le strade (e i bar) di una cittadina a loro indifferente (ma vi garantisco che il sentimento è reciproco) impattando a raffica gioie e delusioni, filosofie e regole, rifiuti, passioni, innamoramenti e finanche magiche epifanie orientali.
Edo, o meglio l’alter-eDo dell’autore, è un ragazzo comunque allegro e sereno, consapevole dell’importanza della sorte come della sfiga, sfidate continuamente dalla sua caparbia giovane età.
Che Edo vinca o meno al fantacalcio, lo scoprirete solo leggendo, ma vi appassionerete inseguendolo sulle montagne russe dove scorrazzano le sue emozioni.
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I maschi vanno via.
I maschi vanno via quando crescono e anche quando non sono mai cresciuti. Vanno e poi tornano.
I maschi vanno via per brevi periodi, poi tornano con il borsone e il completino da calcio da lavare, con i calzini che odorano di “sono a casa”.
Vanno via per brevi amori, grandi brevi amori e poi tornano a mettere le mutande nei cassetti di casa. I maschi vanno via quando non trovano le cose, vanno via di testa.
I maschi vanno via e sbattono sempre la porta, anche quando la chiudono piano senti che l'hanno sbattuta perché quando vanno via si deve sentire.
Vanno via presto i maschi, li vedi ogni giorno andare via, prepararsi per andare e poi tornare per andare via di nuovo. Poi ci sono i maschi che vedi sempre attorno, stanno lì, poggiati da qualche parte come urne cinerarie, contenitori di una ex vita, quelli sono i maschi che sono andati via tanto tempo prima in una di quelle albe nebbiose e non sono più tornati. I maschi vanno via, vanno sempre via.
Le femmine restano.
Le femmine restano anche mentre vanno via. Le femmine restano ancora di più quando non ci sono. Restano ovunque, nei cassetti, negli armadi, nei barattoli del caffè, scritte sulle lavagnette della spesa, nei reggiseni lasciati in bagno ad asciugare. Le femmine restano tra gli scaffali del supermercato.
Le femmine restano ogni oltre logica. Restano mentre sono altrove, impossibili da trovare, in posti che non hanno ancora nome. Le femmine restano ferme mentre corrono dentro altre storie. Restano sempre le femmine anche se vanno via senza trucco. Restano impigliate da qualche parte con un sorriso di riserva e un tacco in mano. Restano mentre urlano e piangono al telefono. Restano come un fondo di caffè.
Le femmine restano senza scuse o con tante scuse.
Gli uomini e le donne che si appartengono a volte si trovano. Gli uomini e le donne che si appartengono non importa se vanno o restano, appartenersi contiene tanti verbi, possono andare via in direzioni diverse continuando a restare insieme.
Quando decidono di staccarsi gli uomini e le donne che si appartengono non si separano si amputano chirurgicamente in stanze asettiche.
Gli uomini e le donne che si appartengono si toccano prima di vedersi, hanno le mani intrecciate già dal primo accordo, prima ancora che diventi musica.
Gli uomini e le donne che si appartengono a volte sono quelli andati via o quelli rimasti che si sono riconosciuti.
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m.c.m.
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ancilla-hawkins · 1 year
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il twitter calcio che commenta sta partita è un mondo fantastico: gang alla west side story che si dividono tra difendere e attaccare vlahovic, gente di altre squadre che passa giusto per fare la loro “buona azione” giornaliera (menzioneranno i 15 punti), gente che piange i morti (pogba, chi se n’è andato col calciomercato, la carriera di bonucci), gente che dice “quando ciera lui” (crustyano clownaldo), gente che farebbe/si farebbe fare follie da rabiot, fotomontaggi su cavalli etc etc
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Ma il punto è che oramai è diventato così normale che ci siamo abituati, perché si sentono storie di ragazzi che lavorano gratuitamente, quindi bisogna ‘ritenersi fortunati di poter lavorare, almeno si impara qualcosa’. E’ diventato talmente normale che ci sentiamo in dovere di ringraziare che ci venga offerto un lavoro, come se ci venisse fatto un piacere e non fossimo noi a fare un piacere a loro, lavorando per pochi euro al giorno.
Ci siamo dimenticati che il lavoro è un nostro diritto, così come è un nostro diritto andare a fare una visita medica o prenderci un giorno di ferie, così come sposarci o fare dei figli: stiamo abbandonando dei diritti che sono stati conquistati con fatica dai nostri genitori, perché non siamo più in grado di ribellarci. Quale sarà il prossimo diritto a cui rinunceremo? I nostri figli quali altri perderanno?. Forse ci meritiamo personaggi come Briatore e Borghese dove gettano merda sui lavoratori senza rispetto senza ritegno. È pieno di Rambo da Bar, perché per una volta non la facciamo davvero questa Rivoluzione per i nostri diritti per il nostro futuro. Guai a toccare il calcio, il grande fratello, l'isola dei famosi e tutti i programmi che fanno regredire il cervello, ci hanno addomesticato bene.
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