Tumgik
#sì sto parlando di Amadeus
regina-del-cielo · 1 month
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Il gruppo Discovery e La7 con in mano la lista dei dipendenti e collaboratori della Rai 2023 - 2024, colorized:
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atomheartmagazine · 4 years
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Sanremo 2020 - La pagelle finali
Ragà: è finita anche quest’anno! Daje! Vi lascio i voti della serata finale di Sanermo 2020: maneggiate con cura e agitate prima dell’uso.
Amadeus: 3. È stato devastante dall’inizio alla fine. Anzi, da prima di iniziare fino alla fine. Raramente ho visto qualcuno perseverare così tanto nell’errore, fatta eccezione per Ranocchia nell’Inter.
Fiorello: 7,5. Ha retto la baracca anche quando Morgan e Bugo si son presi a botte, calci e acido muriatico.
Tiziano Ferro: 5. Troppi monologhi, troppe stonature, poca musica. Parla di meno, canta di più. Che quello sai farlo.
Michele Zarrillo: 6. Un pezzo giovane, più o meno. È sempre Zarrillo, eh. E questa era la sua partecipazione numero 1789 a Sanremo. Però non male, su.
Elodie: 4,5. Elodie – come direbbe Amadeus – è bella. Ma musicalmente parlando non convince quasi mai. Il pezzo è debolissimo e più lo ascolti più ti rompe i coglioni.
Enrico Nigiotti: 7. Nigiottino si presenta con un pezzo senza sbavature. Solo che dopo X Factor vive solo di Sanremo, ecco.
Irene Grandi: 7,5. Irene Grandi è sempre una piacevole conferma. Vuole essere se stessa e ce lo canta. Bene così.
Alberto Urso: 2. Benedetto iddio, che due coglioni. Nel coro del clero non sarebbe male, nella vita in generale sì. È Il Volo meno gli altri due, ma tre volte più noioso. Dai, no. Pietà.
Diodato: 8,5. Bella voce, bel testo. Un poeta. Ma non lo scopriamo certo adesso. Vittoria meritatissima.
Marco Masini: 8. A Marco non puoi non voler bene. Il pezzo è bello. La sua voce pure. Una certezza.
Piero Pelù: 9. Artista a tutto tondo. Non ce n’è per nessuno.
Levante: 9,5. Una delle realtà musicali migliori che abbiamo in Italia. Sorprende ogni pezzo di più.
Pinguini Tattici Nucleari: 6. Non sono sanremesi, e questo è un pregio. Chi li conosceva già prima, però, sa che quella vista al Festival è una versione disinnescata di ciò che sono. Peccato.
Rancore: 10. Rancore non è il rapper italiano migliore in assoluto solo perché, uno così, non puoi rinchiuderlo dentro a un genere musicale. Rancore è poesia. Con il tappeto di DarDust diventa inarrivabile. Ciao a tutti.
Tosca: 9. Talento puro.
Achille Lauro: 3. Per reggere il personaggio che si è creato, dovrebbe poterselo permettere. Del gesto in sé, quindi, non resta nulla. Sui paragoni con Bowie glisso perché potrei essere offensivo. Achille Lauro ha la fortuna di aver dietro una casa discografica forte. Nella sua discografia troviamo pezzi validi, comunque. Ma non è questo il caso.
Le Vibrazioni: 3. A me Le Vibrazioni avevano già rotto il cazzo nel 2003. Immaginatevi come sto messo diciassette anni dopo.
Rita Pavone: 6 d’ufficio. È Rita Pavone, non puoi darle l’insufficienza. Anche se la meriterebbe.
Francesco Gabbani: 5. La scimmia nuda che ballava era un’altra cosa.
Bugo e Morgan: 15. I vincitori morali del Festival. Hanno fatto un casino, buttato tutto in caciara sfanculandosi tra loro, devastato Endrigo nella serate delle cover. Mancava poco che dessero fuoco al palco. Il cavallo di Troia del Festival di Sanremo. Che spettacolo, ragazzi. Il pezzo era debolissimo, comunque. Non ne avremmo più sentito parlare già dal giorno dopo. Adesso resta invece scolpito nella leggenda.
Elettra Lamborghini: 2. AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH […] AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH!
Anastasio: 0-. Il rapperino per famiglie aka Il Kinder Rap aka Basta.
Raphael Gualazzi: 6. Fa sempre il compitino, ma lo fa bene.
Giordana Angi: 3. La noia si misura in una scalda che va da 1 a Giordana Angi.
Paolo Jannacci: 6,5. Tanto cuore e molta sostanza. Bene così.
Riki: 1. Dai, no. Sul serio. No. Echheppalle.
Junior Cally: -1. Che la musica di Junior Coso facesse abbondantemente cagare, lo sapevamo già prima del Festival. Già prima delle polemiche. Già prima di Junior Coso stesso. Lui sale sul palco e ce lo dimostra. Bene così. La prossima volta, però, anche meno. Scrivici una lettera, che ne so. Va bene uguale. Sul serio. Non ti scomodare.
Gabriella Martinelli e Lula: 7. Tra i giovani, sicuramente il pezzo più valido. Da tenere d’occhio.
Fasma: 1. L’autotune ha rotto il cazzo. E anche Fasma ce l’ha fatto discretamente a maccheroncino. Il pezzo è debole, lui lo canta pure male. Renè Ferretti direbbe: “Evviva la merda!“.
Marco Sentieri: 3. Male male, mamma mia.
Matteo Faustini: 4. Vabbè, lasciamo stare.
SkyTg24: 10+. Annunciano il vincitore un’ora prima che venga reso ufficiale. Oltre ogni leggenda.
Al prossimo anno, gente!
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pangeanews · 4 years
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“Certo, la sua è una storia incredibile…”: Paul Wittgenstein (fratello di Ludwig) era un pianista meraviglioso. E suonava con un braccio solo. Francesco Consiglio, impossessato, dialoga con Guido Giannuzzi
Un fatto strano, quasi un impossessamento per me spaventoso, accadde una mattina, mentre leggevo la storia di un pianista con un braccio solo. I miei occhi s’indebolirono, una forza sconosciuta s’impadronì del mio braccio destro e io vissi spettatore di me stesso, mentre la penna andava per suo conto…
Francesco Consiglio è solo l’eco di un nome. Non so chi sia. Un qualche imbrattacarte forse, uno scrittore da quattro soldi, uno dei tanti.
Io mi chiamo Paul.
Paul Ebbasta, vi piace questo nome? L’ho scelto perché la fama viene sempre a mio fratello e io non voglio essere oscurato da lui.
Dovete sapere che Johann Christoph Bach, al quale mi lega il triste destino che tra un poco scoprirete, era un grande organista, ma se solo pronunciassi il suo nome in pubblico, troverei di sicuro un falso sapientone pronto a dire: “Ti stai sbagliando, si chiamava Sebastian. Johann Sebastian Bach”.
“E invece no”, sarei costretto a replicare, fulminando con un’occhiata di sdegno il malaccorto interlocutore. “Sto parlando di Christoph, uno dei tanti fratelli del famoso compositore tedesco”.
“Bach aveva dei fratelli? Mai saputo”.
Lo stesso accadrebbe se parlassi di Modest Čajkovskij, autore di vari libretti operistici per il famoso Pëtr Il’ič, o di Gabe Jarrett, batterista e fratello del pianista Keith. E chissà se qualcuno di voi lettori sa dell’esistenza di Maria Anna Mozart, sorella maggiore di Wolfgang Amadeus, che un giorno le scrisse: “Non sapevo fossi in grado di comporre in modo così grazioso. Ti prego, cerca di fare più spesso queste cose”. Dopo aver girato l’Europa esibendosi insieme al fratello, Maria Anna fu costretta a smettere di suonare per imparare a cucire e trovare marito.
Un manuale di sopravvivenza per fratelli di personaggi famosi dovrebbe necessariamente contenere un capitolo dedicato ad Alberto Savinio, pittore, drammaturgo, regista, filosofo, musicista e soprattutto uomo furbo. Essendo fratello di Giorgio de Chirico, pensò bene di abiurare l’ingombrante cognome e, dopo essersi trasferito a Parigi, visse uno straordinario momento di celebrità suonando il pianoforte con una tale veemenza di passione che le sue ammiratrici, armate di fazzoletti, andavano a pulire i tasti macchiati di sangue.
Questi artisti sono come fratelli per me, i miei veri fratelli.
Ora che mi sono sfogato, dirò chi sono. Mi chiamo Paul Wittgenstein, ma ogni volta che viene pronunciato quel cognome, tutti pensano a mio fratello Ludwig Josef Johann, autore del Tractatus Logico-Philosophicus, uno dei testi filosofici più importanti del Novecento. E pensare che una volta il famoso ero io, il pianista con un braccio solo, mentre Lud studiava ingegneria senza riuscire a conseguire la laurea. Io mi rodo, anche se ormai sono quasi sessant’anni che vivo in Paradiso, nel cielo dei musicisti, e prendo lezioni di quietismo per guardare con distacco le vicende degli umani.
Ero nato a Vienna nel 1887, settimo di nove figli: sei maschi e tre femmine. Mia madre, Leopoldine Kalmus, una brava pianista, era amica dei più grandi musicisti dell’epoca: Brahms, Mahler, Joseph Joachim, Richard Strauss, Clara Schumann. Mio padre Karl, un ricchissimo industriale dell’acciaio, a dispetto della fama, assai meritata, di uomo burbero e autoritario, si adoperava in attività di mecenatismo a beneficio degli artisti viennesi. Pensate che a casa mia c’erano sei pianoforti, era proprio una casa della musica!
Da giovane studiavo con il famoso pianista polacco Theodor Leschetziky e sembravo avviato a una brillante carriera, quando, allo scoppio della Prima guerra mondiale, mi arruolai, ma solo perché costretto, nell’esercito austro-ungarico. Durante uno scontro a fuoco con i russi presso la città di Zamosc, nella Polonia sudorientale, fui colpito al gomito destro e svenni. Quando mi risvegliai, scoprì che mi avevano amputato il braccio. Ero sopravvissuto, ma in un modo tale da desiderare la morte, dato che rischiavo di essere privato della cosa che amavo di più: suonare il piano.
Con eccezionale forza d’animo, decisi di continuare a suonare con un arto solo. Maurice Ravel scrisse per me il Concerto per pianoforte per la mano sinistra, che suonai per la prima volta il 5 gennaio del 1932, con l’Orchestra Sinfonica di Vienna diretta da Robert Heger.
Il resto, se volete, potete leggerlo in un libro dedicato a me, intitolato Paul Wittgenstein, il pianista dimezzato (odio questo titolo), scritto da Guido Giannuzzi, professore dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna.
L’altra notte mi sono fatto chilometri e chilometri di gradini, percorrendo tutta la scala che conduce dal Paradiso alla Terra, e sono andato a bussare alla porta dello scrittore. Quando mi ha visto è impallidito e voleva chiudermi la porta in faccia (irrilevante, l’avrei attraversata in un baleno) ma dopo si è ricordato di essere uno scrittore, gente abituata a tutto, e mi ha offerto da bere.
Così abbiamo conversato per un po’.
Il suo è un ‘agile libretto’, quarantasei pagine appena, ma dense di informazioni e pertinenti osservazioni. Il titolo però non mi è piaciuto. Io non sono un pianista dimezzato. Come artista sono sempre stato integro e intero. Legga cosa scriveva di me il New York Herald Tribune: “Dopo i primi momenti, in cui ci si chiede come diavolo possa fare, uno quasi si dimentica che sta ascoltando un pianista la cui manica destra penzola vuota al suo fianco”. Non avrà mica pensato che il pubblico veniva ai miei concerti per vedere un fenomeno da baraccone?
Via, non si scaldi tanto! Il titolo è un’evidente citazione da Calvino e il suo Visconte dimezzato. Senta cosa diceva lo stesso Calvino del suo libro e vedrà che anche lei apprezzerà il mio titolo: “Ho pensato che questo tema dell’uomo tagliato in due, dell’uomo dimezzato, fosse un tema significativo, avesse un significato contemporaneo: tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti, tutti realizziamo una parte di noi stessi e non l’altra”. E comunque anche suo fratello Ludwig (oops, l’ho nominato, mi scusi…) temeva che quella del fenomeno da baraccone potesse diventare la sua sorte, sconsigliandola di continuare a suonare. Infatti, litigaste anche su questo.
Oh, sì, non voglio pensarci. Torniamo al libro. Le mie pagine preferite sono quelle in cui scrive che la mia vita non è stata una passeggiata su un tappeto rosso. Ho avuto chiodi sotto i piedi e spine che mi ferivano il cuore, ma non ho smesso di percorrere la strada della musica. Io sono un buon esempio di come si possano affrontare, con coraggio, gli attacchi della sorte. Se uno è debole di spirito e si lascia vincere dalla rassegnazione, vedrà morire i suoi sogni. Lo confessi, mio caro Giannuzzi: lei ha scritto questo libro nella convinzione che io possa essere d’esempio ai giovani.
Caro Maestro, adesso sono io che mi offendo! Pensare di scrivere per dare degli esempi ai giovani!  Per chi mi ha preso? I giovani svegli i loro esempi se li prendono da sé, non hanno certo bisogno di essere imbeccati. Certo, la sua storia è incredibile anche perché, diciamo la verità, lei prima della “disgrazia” aveva tenuto praticamente un solo concerto pubblico; la sua forza d’animo è stata davvero impressionante, per concepire di costruire una carriera dal nulla. E non solo: lei ha anche inventato un genere che non esisteva, cioè il concerto solistico per la mano sinistra! Prima della sua intuizione c’erano solo studi o brevi pezzi per pianoforte, ma senza un’orchestra ad accompagnarlo. Lei ha certo avuto una determinazione e una visionarietà uniche. E non pensi di vedere della piaggeria in queste mie considerazioni: col suo caratterino, non si sa mai, meglio dirlo…
Non posso darle torto quando lascia intendere che ero un irascibile e scontroso figlio di papà. Ma questa mia mancanza di tatto nelle relazioni con il prossimo faceva parte di una caratteristica familiare. I Wittgenstein erano estremamente severi o troppo sensibili, una miscela di sentimenti contrastanti. Mio padre era più duro dell’acciaio che vendeva, e il risultato fu che tre miei fratelli si suicidarono, e due sorelle si sposarono con mariti che finirono pazzi. Con tutto quello che ho passato, come facevo ad avere un buon carattere?
Capisco, capisco. E infatti, gliene do atto, nella mia biografia. Però, anche lei deve riconoscere che non ha fatto niente per cambiare troppo il suo essere un Wittgenstein; come dicono gli inglesi, “the apple doesn’t fall far from the tree”. Se no, come spiegherebbe le rispostacce da padrone che si è permesso di dare ai più grandi compositori dell’epoca, cui andava di volta in volta commissionando concerti? Da Britten a Strauss, da Prokof’ev a Hindemith, per non parlare di Ravel, vuol forse negare che siano veri tutti gli aneddoti (anche divertenti, per carità) che ho riportato? Diciamo che la malattia non ha certo migliorato alcune asperità ma, come dire, caro Maestro, lei un po’ ci ha marciato…
Nel libro vengono accennati alcuni bruschi rapporti tra me e quello là… insomma, mio fratello. Sono questioni di eredità. Ne parli lei se vuole, io preferisco dimenticare.
Questa è davvero una brutta storia: quando i nazisti hanno annesso l’Austria, lei, Ludwig e le vostre sorelle vi siete trovati a dover gestire le folli richieste economiche dei tedeschi per avere una patente che attestasse che non eravate ebrei ma “mezzo ebrei”. Una circostanza davvero umiliante: come, una delle famiglie più ricche e in vista di Vienna, peraltro cristianizzata da due generazioni, costretta a dover pagare una cifra astronomica per fingere uno status che non era il vostro? Così, come spesso succede in questi casi, la famiglia si spaccò, con le sue sorelle intenzionate a cedere alle richieste naziste, Ludwig ­– già divenuto cittadino inglese – totalmente disinteressato alle questioni economiche e lei – da poco trasferitosi in America – solo contro tutti a combattere come un leone per scongiurare questo ladrocinio. È davvero doloroso pensare che non vi siate più riconciliati, da quella volta, e che lei, di passaggio anni dopo a Vienna per un concerto, non sia neanche andato a trovare sua sorella Hermine morente.
Sì, ha ragione, sarei dovuto andare. Ma il passato è passato, non si può rimediare. Caro Herr Giannuzzi, è stato un piacere conoscerla, ma ora devo salutarla e correre in Paradiso, perché il Barba non vuole che si faccia tardi e si arrivi insonnoliti alla messa cantata del mattino. Però voglio farle un’ultima domanda, e mi auguro che sarà sincero nel rispondere: al di là di questa mia mutilazione che ‘fa notizia’, lei mi crede un pianista di valore?
Caro Paul… (posso chiamarla così? Ho vissuto diversi mesi occupandomi di lei, mi sento uno di famiglia… E poi, voi austriaci siete così fissati con i titoli: Herr Doktor, Herr Professor… Tant’è che lo stesso Musil vi prende in giro con la sua Kakania nell’Uomo senza qualità!) Allora, caro Paul, se posso, cosa vuole che le dica, io ho ascoltato qualcosa che si trova online – vabbé, adesso non sto a spiegarle cosa vuole dire online, sono diavolerie moderne, tanto le basti – e senz’altro il suo modo di suonare è furente, ma molto impreciso. Certo, sono registrazioni abbastanza avanti negli anni, in cui forse lei aveva già perso un po’ di smalto giovanile. Sospenderei il giudizio sul piano della qualità, se mi permette, però le dico una cosa molto più importante, per me: lei suonava col cuore e in tutta quella foga e in quell’impeto io ho riconosciuto, commuovendomi, la sua grande sofferenza e la sua immensa forza di volontà. Adesso, si riposi un po’ qui da me, la strada per tornare in Paradiso è lunga…
Francesco Consiglio
*Guido Giannuzzi è uno dei fondatori della Filarmonica del Teatro Comunale di Bologna, oggi Orchestra Filarmonica di Bologna, per la quale cura la programmazione. Nel 2017 ha pubblicato “Paul Wittgenstein, il pianista dimezzato” e nel 2018 un nuovo libro, “Gli ombrelli di Satie”.
*Francesco Consiglio ha pubblicato “Le molecole affettuose del lecca lecca” (Baldini e Castoldi, 2014) e “Ammazza la star” (Castelvecchi, 2018). Scrive di musica classica su Pangea.news e Musicaesatta.it.
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