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scienza-magia · 4 months
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Il business immobiliare miliardario nei paradisi fiscali
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Intrigo a Montecarlo, tre famiglie (italiane) in guerra per il business degli immobili. Dietro le rivelazioni dell’ex gestore del patrimonio del principe Alberto una lotta senza quartiere per un mercato miliardario dove un metro quadro si vende anche a 80mila euro. Questa è una storia di quattrini e di colpi bassi. Di avidità e di vendette. Ma all’origine di tutto ci sono solo i soldi, un fiume di denaro che arriva a Montecarlo e gonfia le casse di un pugno di società immobiliari controllate da miliardari italiani o di origine italiana. Dietro l’intrigo di palazzo che sta destabilizzando il Principato di Monaco e la famiglia Grimaldi - finito sulle prime pagine dei giornali francesi - ci sono gli interessi del colossale business delle costruzioni nel paradiso fiscale sulla Costa Azzurra. Un business dominato da tre famiglie: i Pastor, i Marzocco e i Caroli. La storia ha preso una piega imbarazzante per la dinastia del principe Alberto II quando il suo ex gestore del patrimonio personale, Claude Palmero, 67 anni, ha cominciato a raccontare al giornale francese Le Monde alcuni particolari che dovevano rimanere riservati sui beni di Sua altezza serenissima e della sua famiglia, valutati in circa un miliardo di euro. Un racconto fatto di spese pazze, di società fantasma e di prestanome. Così, il principe Alberto è stato tirato con forza dentro una specie di spy story che non è andata in scena sul palco dell’Opéra de Monte Carlo ma su un misterioso sito internet comparso dal nulla e il cui copione – almeno finora - aveva previsto per l’esponente dei Grimaldi un ruolo di semplice comparsa. Una trama che ricorda da lontano quella del romanzo di Tom Wolfe, “Il falò delle vanità”. I dossier della Rocca Tutto è cominciato alla fine del 2021, quando su un sito ospitato dalla piattaforma Substack sono stati pubblicati decine di documenti hackerati dalla posta elettronica di alcuni componenti dell’entourage di Alberto II e denominati con intuizione scenica “Les Dossiers du Rocher”. Sottotitolo: “Fughe di notizie e documenti su politici e imprenditori corrotti a Monaco”. L’obiettivo, anzi gli obiettivi di questa campagna di veleni - insolita per Montecarlo - erano i quattro membri del “cerchio magico” di Alberto II: il suo capo di gabinetto Laurent Anselmi, il suo avvocato e amico d’infanzia Thierry Lacoste, il presidente del Tribunale supremo Didier Linotte e Claude Palmero, il commercialista che per circa vent’anni ha gestito gli affari personali del principe prima di essere licenziato nel luglio 2023 dallo stesso Alberto II. Il gruppo veniva definito con l’appellativo di “G4” o di “Gruppo dei quattro” e veniva accusato – documenti alla mano – di aver tramato per condizionare i grandi appalti pubblici del Principato. Ma chi è il “corvo” che si nasconde dietro queste rivelazioni? Palmero – che dopo il suo licenziamento si è sentito tradito dal principe e ha deciso di far leggere i suoi documenti ai giornalisti di Le Monde, Gérard Davet e Fabrice Lhomme – sospetta neppure tanto velatamente che dietro i “Dossiers du Rocher” ci sia Patrice Pastor, l’uomo che viene soprannominato “il re di Montecarlo” per la sua ricchezza enormemente superiore a quella di Alberto II. Ma lui smentisce decisamente, sostenendo di non aver bisogno di ricorrere a mezzi del genere per far valere le sue ragioni. E allora, cosa c’è dietro questo scandalo che fa tremare il Palazzo dei Principi sulla rocca di Montecarlo? Monaco come Dubai Per capirlo basta un colpo d’occhio alla skyline del piccolo paradiso fiscale. I due chilometri quadrati di territorio su cui sorge Monaco sono costellati da decine di gru lungo la costa ma anche nei quartieri più interni. Montecarlo sembra una piccola Dubai. E come Dubai sta rubando spazio al mare per trovare nuove superfici su cui costruire appartamenti e strutture di lusso. Perché i super ricchi che diventano sempre più ricchi hanno molti soldi da investire e Montecarlo è una delle località più ambite. Tranquilla, in un luogo baciato dal sole e, soprattutto, in Europa. Così, è solo camminando per le strade del Principato che si notano gli effetti concreti dei fenomeni mondiali raccontati dalle indagini sulla concentrazione della ricchezza diffuse da Oxam al vertice di Davos. A Montecarlo i metri quadrati sono oro. Gli appartamenti vengono venduti a un prezzo medio di oltre 50mila euro al metro ma per le nuove strutture si può arrivare vicini al raddoppio. Dunque, accaparrarsi un progetto per una nuova area o per un semplice grattacielo significa guadagnare centinaia di milioni di euro. Ed è proprio questo il punto. Le email e i documenti contenuti nei “Dossiers du Rocher” riguardano alcuni progetti immobiliari milionari che sono stati sviluppati negli ultimi anni nel Principato. È il business d’oro delle costruzioni, infatti, l’oggetto attorno al quale ruotano i veleni e le accuse al “Gruppo dei quattro” di aver condizionato i grandi appalti pubblici a Montecarlo. L’obiettivo dell’anonimo “corvo” era quello di dimostrare che l’entourage di Alberto II tramava a favore dei Marzocco e dei Caroli, le due famiglie che nel Principato si sono ritagliate una corposa fetta del business immobiliare a scapito dello storico monopolista: la famiglia Pastor. Paradossalmente, lo stesso ex gestore dei beni di Alberto II, Claude Palmero, ha confermato ai giornalisti di Le Monde che la fine del monopolio dei Pastor era uno dei suoi obiettivi per fare in modo che le entrate del Principato aumentassero. Tutto questo era dunque nell’interesse dei Grimaldi. Da Imperia a Montecarlo Patrice Pastor, monegasco, 51 anni, appartiene alla quarta generazione della famiglia di costruttori che controlla una grossa percentuale degli edifici di Montecarlo. Capelli lunghi e neri, un po’ ingrigiti dall’età, fisico asciutto e occhiali di cornice nera, Patrice è figlio di Victor Pastor e nipote di Gildo, a sua volta figlio del capostipite Giovanni Battista Pastor, un ex minatore e scalpellino nato in provincia di Imperia che nel 1880 era emigrato a Montecarlo per lavorare alla costruzione della chiesa di San Carlo. Giovanni Battista (che cambiò nome in Jean Baptiste) costruì il vecchio stadio di calcio Louis II e con i soldi ricavati acquistò intere aree di territorio nella zona del Larvotto, in un periodo in cui i terreni a est del Casinò non erano ancora edificati. Ma quando il principe Ranieri trasformò Montecarlo in paradiso fiscale, Pastor cominciò a costruire condomini di lusso nell’area che oggi è tra le più esclusive del Principato e pose le basi di un impero immobiliare che non ha pari nel piccolo Stato. Il suo pronipote Patrice oggi è presidente della J.B. Pastor & Fils, la capogruppo di famiglia. Stando agli appunti di Claude Palmero, i Pastor hanno quasi il monopolio delle proprietà immobiliari di Monaco. Forse è per questo che l’ex amministratore di Alberto II apostrofava Patrice Pastor con il nomignolo “P2”, una sigla che si riferisce alle iniziali del nome dell’imprenditore ma con un ovvio riferimento negativo alla ex loggia massonica italiana. Il progetto conteso È probabile che a innescare la guerra tra i miliardari sia stato l’appalto per il progetto della Esplanade des pêcheurs, uno sviluppo immobiliare accanto a Port Hercule, la rada dove attraccano i megayacht dei Paperoni del Principato. Il progetto iniziale si estendeva su una superficie di circa 13mila metri quadrati ed era entrato nelle mire dei Pastor. Ma nel 2014 il governo aveva assegnato il piano al gruppo Caroli, salvo poi cambiare idea sostenendo che i cantieri avrebbero impedito lo svolgimento del Gran Premio di Formula 1. Gli accordi vennero cancellati. Così Antonio Caroli si era rivolto alla giustizia e nel 2018 aveva ottenuto un risarcimento di 157 milioni di euro dallo Stato monegasco. Ma chiedere 157 milioni al Principato sarebbe stato troppo per un imprenditore che fa affari soprattutto grazie agli appalti pubblici. Un comportamento quantomeno indelicato. E allora Caroli ha raggiunto un accordo con il governo. Il costruttore ha rinunciato al risarcimento ma curerà il progetto, che sarà ridimensionato e non provocherà problemi all’evento più importante di Monaco. La controversia però non è finita qui, perché Patrice Pastor si è opposto a questa decisione e nel contenzioso giudiziario aperto per accaparrarsi il progetto, ha chiesto la ricusazione del presidente del Tribunale supremo, Didier Linotte, appoggiandosi proprio ai “Dossier du Rocher”, secondo i quali tra il giudice e il gruppo Caroli ci sarebbero stati legami che avrebbero leso l’imparzialità di Linotte. Ma la corte non gli ha dato ragione. Il “re di Monaco”, detentore di una fortuna valutata in 20 miliardi di euro si è dovuto piegare al gruppo concorrente. Un romano in Costa Azzurra L’uomo che lo ha battuto è Antonio Caroli, il secondo dei tre miliardari italiani (o di origine italiana) veri protagonisti di questa storia. Caroli è nato a Roma 76 anni fa. Nel 1974, quando aveva 27 anni, ha sposato a Helsinki, in Finlandia, la moglie Ulla Soderholm, e nel 1978 ha fondato a Montecarlo la prima società immobiliare di un gruppo che oggi conta più di 22 realtà. In questi anni il Groupe Caroli – il nome sotto il cui cappello sono raggruppate tutte le entità - ha realizzato 80 operazioni immobiliari a Monaco e in Francia, dove Caroli è il beneficiario effettivo di almeno altre sei imprese. Il primo edificio costruito è in realtà del 1976 ma da allora la famiglia italiana ha realizzato anche il Loews Hotel, oggi Fairmont, che gli appassionati di Formula 1 conoscono perché si trova esattamente accanto alla più famosa curva a gomito del circuito monegasco. E poi La Réserve e Le Mirabeau al Larvotto, il Monte-Carlo Palace sul Boulevard des Moulins, il Soleil d’Or alla Condamine, le Terrasses du Port a Fontvieille e lo Yacht Club, uno strano edificio che ha la forma di una nave. Una delle sue società, la Société Monégasque d’études et de travaux (Smetra) prenderà il nome di Caroli Bat nel 2017. A poco a poco ma con determinazione, Caroli – divenuto ormai miliardario – ha esteso il suo raggio d’azione nel Principato. Oggi il suo gruppo pubblica due giornali, Monaco Hebdo e l’Observateur de Monaco, ha un impianto per la stampa, si occupa di pubblicità e di comunicazione, di installazioni per eventi, di gastronomia e di sicurezza privata. I tentacoli dell’imprenditore romano arrivano quasi dappertutto e gran parte degli affari derivano dagli ottimi rapporti con lo Stato. Ecco perché sarebbe stato inopportuno per uno come lui accettare il risarcimento di 157 milioni e voltare le spalle – probabilmente – agli appalti pubblici nel Principato. Fuga da Sanremo E poi ci sono i Marzocco. Anche di loro c’è traccia praticamente dappertutto a Montecarlo. Davanti al Monte Carlo Bay Hotel & Resort, ad esempio, il gruppo Marzocco sta terminando la costruzione dell’enorme progetto immobiliare Testimonio II. Il nuovo quartiere comprende due torri alte rispettivamente 100 e 110 metri, con 378 appartamenti di proprietà statale. E poi altre 56 proprietà con cinque ville e una nuova sede della Scuola internazionale di Monaco che accoglierà 700 studenti. Costruzioni di extra-lusso, naturalmente. Il capostipite, Claudio Marzocco, famiglia di costruttori, fu rapito dalla ‘ndrangheta nel suo ufficio di Sanremo il 22 gennaio 1988. Ritornerà libero 15 giorni dopo. Aveva 29 anni e insieme alla famiglia decise di trasferirsi immediatamente a Montecarlo, dove fondò il gruppo che guida ancora oggi insieme al fratello, ai figli e ai nipoti. I Marzocco hanno legato il loro nome alla costruzione della Tour Odéon, l’edificio più alto di Montecarlo, una torre di 49 piani con la penthouse più cara del mondo, venduta a 300 milioni di euro. La famiglia ligure vanta ottimi rapporti con Flavio Briatore, con il quale era socia nella società lussemburghese Splendor Investments (chiusa alla fine del 2023), partecipata anche da Bioera, società italiana finita al centro delle cronache per i suoi problemi finanziari. Sempre con Briatore e con l’imprenditore Gabriele Volpi, i costruttori di Monaco erano soci in un’altra società lussemburghese, la Starfly. Più recente, sempre nel Granducato, è invece l’alleanza dei soliti Marzocco e Briatore con l’armatore Gianluigi Aponte (attraverso la Sas Shipping Agencies Services), con il manager Claudio Costamagna e con l’imprenditore Danilo Iervolino. Il gruppo di imprenditori è azionista della holding Cfh che controlla il 100% di Unopiù, brand di design nel settore dei mobili outdoor di alta gamma, uscito dal concordato preventivo nel 2022. Guadagni milionari Nella contesa fra i miliardari dell’immobiliare monegasco un punto a favore è andato alla famiglia Pastor. Perché alla fine il “Gruppo dei quattro” è stato disgregato. Claude Palmero è stato licenziato ma anche il capo di Gabinetto, Laurent Anselmi, ha lasciato l’incarico. Il presidente del Tribunale supremo, Didier Linotte, è ancora al suo posto, così come Thierry Lacoste, l’amico d’infanzia e avvocato. Ma Alberto II, che all’inizio non pareva convinto dalle accuse dei “Dossiers du Rocher”, sembra oggi schierato dalla parte opposta e avrebbe incontrato in segreto Claude Pastor due mesi prima del licenziamento di Palmero. Nel frattempo, è scoppiata anche guerra del web. Il contro-sito “Les Vrais Dossiers Du Rocher”, contesta la campagna del misterioso portale che ha dato il via allo scandalo. Non poteva mancare neppure il fronte giudiziario, con procedimenti contrapposti aperti fra Parigi e Montecarlo. La battaglia dei miliardari infuria ormai dappertutto. E si capisce il perché. In un documento dei “Dossiers du Rocher” si spiega che il costo di costruzione di un nuovo edificio è di 10mila euro al metro quadrato ma quello di vendita raggiunge i 60-80mila euro. Dedotte l’Iva e gli oneri di commercializzazione, il margine netto per ogni metro quadrato costruito è di almeno 35mila euro. Montecarlo è seduta sull’oro. E forse la spy story sulla Costa Azzurra non è ancora finita. Read the full article
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reseau-actu · 6 years
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Comment concevoir des programmes qui puissent à la fois porter une exigence et attirer, intéresser, divertir, informer, émouvoir le plus grand nombre possible de téléspectateurs ?
On ne peut que s'interroger sur ce que signifient aujourd'hui ces mots: service public de l'audiovisuel. Françoise Nyssen présentait en début de semaine son interprétation de cet épineux problème. A-t-il été question de la façon dont la télévision peut être un vecteur de transmission du patrimoine culturel et de la vision du monde spécifique que porte la France? S'est-on demandé, dans un monde où les séries télévisées sont un des premiers instruments de la globalisation culturelle, comment concevoir des programmes qui puissent à la fois porter une exigence et attirer, intéresser, divertir, informer, émouvoir le plus grand nombre possible de téléspectateurs? Selon toute apparence, il est plus urgent pour nos vertueux réformateurs de rééduquer que d'éduquer.
Le constat de départ relevait de ce désarroi habituel chez les politiques: comment toucher «les jeunes»? «C'est un tiers de la population qui n'est pas là, qui ne distingue pas l'offre privée de l'offre publique, se désolait la ministre de la Culture et de la Communication. Ils n'attendent rien de cet audiovisuel. À nous de les surprendre.» Ce que le patron de TV5 Monde expliquait le lendemain sur Radio Classique de façon un peu plus claire: «Comment toucher un public que seul Cyril Hanouna parvient à toucher? Il y a une contradiction entre ce qui intéresse ce public et le service public tel que nous l'avons conçu.»
Mais ces grands esprits ont découvert une panacée: le numérique. Ils ont, paraît-il, en ligne de mire le succès retentissant de la BBC, dont la plateforme numérique est consultée par 80 % des 3-18 ans.Il faut dire que la BBC n'utilise pas cette plateforme pour accueillir les chaînes qui «n'ont pas trouvé leur public», comme on le dit pudiquement de France 4, mais pour proposer des contenus pédagogiques qui servent aux jeunes gens à réviser leurs examens. Pour toucher le public que seul Cyril Hanouna parvient à toucher, il ne faut pas faire du Cyril Hanouna qui ne s'assume pas, du Cyril Hanouna un peu plus propre sur lui, il faut proposer une offre de service public.
Pour toucher le public que seul Cyril Hanouna parvient à toucher, il ne faut pas faire du Cyril Hanouna qui ne s'assume pas, du Cyril Hanouna un peu plus propre sur lui, il faut proposer une offre de service public.
Ladite plateforme en projet doit offrir à nos jeunes un décryptage des «fausses nouvelles». Une sorte de vérité d'État censée convaincre ceux qui, justement parce qu'ils ne croient plus médias «officiels» et discours institutionnels, sont prêts à croire n'importe quelle théorie délirante. Une manière, surtout, de délivrer un catéchisme citoyen à l'opposé de la confrontation des idées qui constitue le cœur de la démocratie.
Parmi les bonnes intentions de la ministre, on trouve l'idée de garantir la représentation des «territoires». Il ne s'agirait pas de passer pour la ministre des villes d'un président des villes. On prévoit donc davantage d'heures pour les programmes régionaux, attention portée au local fort louable. Mais la représentation de la France dans sa diversité - dans sa beauté, oserait-on ajouter - relève aussi des missions de service public. Il ne s'agit pas seulement de faire en sorte que la Bretagne ou le Languedoc aient leurs émissions, mais surtout que le jeune de Brest ou de Saint-Denis puisse avoir une idée du Languedoc et de la culture occitane. La longévité d'une émission comme «Des racines et des ailes» le démontre. Et ce que cette émission réalise sur la géographie et le patrimoine appelle l'équivalent pour l'histoire, la littérature, le théâtre, les traditions populaires, bref, tout ce qui dessine le visage de la France et qui constitue l'héritage de tous ses habitants.
On se souvient d'une magnifique interprétation de La Reine morte par Michel Aumont, sur France 2 en première partie de soirée, sous la présidence de Patrice de Carolis, qui, quelle qu'ait été l'audience, incarnait l'honneur du service public, davantage que cette habitude de croire qu'on lutte contre le déferlement de séries policières américaines sur les chaînes privées en saturant l'antenne de séries policières françaises - quelle que soit la qualité de certaines d'entre elles.
Hélas, la Rue de Valois semble plus intéressée par ce qui nous divise que par ce qui nous rassemble. Françoise Nyssen, comme la présidente de France Télévisions, trouve qu'il y a trop d'«hommes blancs de plus de 50 ans» sur nos écrans. S'adresser au peuple français consisterait simplement à s'adresser à chacune de ses «communautés». Ce faisant, le service public réduit progressivement la place d'émissions comme «Le Plus Grand Cabaret du monde», émission unique et connue de tous les artistes de cirque, de la Chine à la Russie, en passant par l'Amérique, émission surtout qui démontre la qualité d'une authentique culture populaire.
Réfléchir sur le «service public de l'audiovisuel» pour ne mettre en avant ni le patrimoine, ni la culture classique, ni la culture populaire relève de l'exploit. Mais rassurons-nous, la rééducation par les écrans est en marche.
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