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#mare di sensazioni provate
catastrofeanotherme · 11 months
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Sei sempre tu che vieni a riprendermi
Tutto chiede salvezza 🫀📙
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nineteeneighty4 · 6 months
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Sogni d'oro.
Sono nella mia città natìa, solo che non mi trovo né nel presente, né nel futuro. Credo siano su per giù gli anni sessanta. A casa sono tutti morti, non ho più nonni, zii e cugini. È rimasta in vita solo mia madre. La cosa strana è che il mio sguardo osserva la realtà intorno come quando si guarda una vecchia fotografia dai colori poco nitidi e sbiaditi, i toni delle piante e degli oggetti, infatti, appaiono tenui. Entro in casa dove non si sente nulla se non il soffio del vento, nonostante tutte le finestre siano spalancate. Provo una sensazione bellissima, a me già nota, mista a una felicità immotivata. L'atmosfera è quella tipica dell'alba e non si ode nulla se non lo stridìo dei gabbiani che vanno, di tanto in tanto, a posarsi sugli archi medievali poco distanti dal mio balcone. È come se la città fosse abbandonata e tutti gli abitanti si fossero trasferiti altrove. D'improvviso, poi, mi affaccio alla finestra della stanza dov'ero solita dormire con mia madre e mi accorgo che il mare, un tempo abbastanza distante da poterlo scorgere in lontananza, adesso è piuttosto vicino. Posso sentire le onde, la brezza marina, l'odore di salsedine che si diffonde nell'aria. Posso osservarne il colore che varia dal blu più intenso al verde. Sono stupita dall'emozione che mi suscita, talmente contenta che provo ad immortalare il tutto in una fotografia. Quindi prendo il cellulare e cerco di mettere a fuoco. Zoommo, una volta,due fino a quando nell'obiettivo della fotocamera scorgo una persona. È una ragazza dai lunghi capelli scuri, la sola che stia nuotando tra le correnti. La osservo meglio, benché sia girata di spalle, e in quel momento capisco che si tratta di me. Entusiasta dell'atmosfera, dei ricordi che iniziano a riaffiorare alla memoria e delle sensazioni provate, chiamo mia madre, allora, e la informo su come tutto sia mutato. La cerco a voce, come se fosse lì presente e di fatto mi risponde subito ma il suo tono è insolito,la sua persona non si lascia vedere. Di lei percepisco solo la presenza. Poi la scena cambia ed è pomeriggio. Dalla finestra percepisco molta confusione. Il chiacchiericcio è quello tipico degli adolescenti in spiaggia e ogni tanto, le parole, le grida, le risate, sono interrotte da un brindisi, da colli di bottiglia che urtano tra loro. Mi affaccio nuovamente e adesso sotto la finestra il mare ha lasciato posto a dei blocchi di scogli artificiali e su questi tantissimi ragazzi sono seduti a prendere il sole, intenti a godersi l'estate, leggere o sono presi dal fare tuffi più in là, verso quella che una volta era una strada. Mi domando che senso abbia tutto ciò, nonostante stia dormendo. È il tramonto e la città ora è ancora più bella, perché di essa rimane immutata solo la struttura, persistono soltanto gli edifici invasi dagli uccelli che entrano ed escono dai vetri rotti degli appartamenti. Successivamente sono nel soggiorno. Lì la visuale è diversa, normale. Stranamente però mi accorgo che di fronte al mio balcone c'è una sorta di altalena piuttosto ampia sospesa nel vuoto e poggiata su un filo d'acciaio sottilissimo con sopra : una valigia antica, una coperta e un gattino bianco e nero a cui hanno legato il muso e le zampe. L'altalena oscilla a destra e a sinistra e il gatto prova a non scivolare giù. La coperta e la valigia passano prima da un lato e poi dall'altro. Capisco che devo fare qualcosa. Non è più il quarto piano. Le dimensioni del palazzo assomigliano ora a quelle di un grattacielo, sfioriamo le nuvole, superiamo i tetti degli altri. Dopo essere uscita fuori, quindi, provo a sporgermi nel tentativo di afferrare il filo d'acciaio ma mi accorgo che non ci riesco perché è troppo distante, non mi resta che una soluzione: arrampicarmi sulla ringhiera a mio rischio e pericolo. Senza pensarci due volte, decido di provarci. Tiro più forte che posso per avvicinare la dóndola ma qualcosa va storto. Il filo si rompe e il gattino, la valigia e la coperta precipitano giù, come me.
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Non è necessario mettere etichette, è vero, ma a me ogni tanto servono, anche solo per capire come comportarmi. Con te è sempre stato diverso che con gli altri, già dall'inizio. Nei tuoi occhi mi perdevo, ci vedevo me stessa, ci sentivo il dolore e la felicità, mi parlavano di te. Hai gli occhi del colore del mare, un mare capace di cullarti e rasserenarti ma allo stesso tempo un mare impetuoso, senza confini, temibile quasi. Era difficile per me non perdermici, e così è stato. Ripenso spesso ai nostri interminabili sguardi, mi facevano sentire protetta; erano la mia comfort zone, nel silenzio della notte, lontane dal mondo. Credo che mi faranno sempre questo effetto, qualsiasi cosa succederà d'ora in avanti. Vorrei avere la possibilità di tuffarmici ogni giorno, tenendoti a me, al sicuro dal mondo, con le nostre canzoni di sottofondo. Chissà se quando le ascolti ripensi a quei momenti, se ti ricordi le emozioni vissute, i posti visti, le sensazioni provate.. 🫂
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gabriele-rancan · 6 months
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B-36
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Sono passati molti anni da quando l'uomo ha smesso di vivere su questo pianeta. Ora siamo rimasti noi robot; ci hanno lasciati indietro dopo aver prosciugato tutte le riserve di questa terra, forse eravamo troppo ingombranti e occupavamo troppo posto sulle loro astronavi. E comunque continuiamo a vivere la nostra vita come prima della fuga degli esseri umani. Raccogliamo la spazzatura, aggiustiamo ciò che si rompe, continuiamo a preparare i caffè ogni mattina anche se non c'è più nessuno a berli, produciamo nelle fabbriche, verniciamo, saldiamo, tagliamo l'erba del prato, aspiriamo per terra. Insomma, facciamo un sacco di cose. Mi chiedo, perché lasciarci indietro? Credo di essere l'unico ad essersela presa per questa storia, e c’è un motivo: io sono diverso dagli altri robot. Il mio creatore ha deciso di regalarmi un vero cuore umano quella volta, credo fosse di suo figlio, non ricordo bene, ma ricordo di come scalpitava quando stavo con il mio creatore – che forse dovrei definire padre? Non che abbia molta importanza, adesso.
Il fatto è questo: io non posso non soffrire per essere stato abbandonato. Ho un cuore umano, provo sentimenti umani e in qualche modo riesco a comprenderli. E come tutti i cuori umani, anche il mio ha una data di spegnimento.
Ogni giorno mi sveglio e non so bene cosa fare, perché non ho mai avuto una mansione specifica. Mi limito a gironzolare per la città tutto il giorno, guardo i miei fratelli che continuano a lavorare e a svolgere le proprie mansioni, come se niente fosse cambiato. Loro, sotto un certo punto di vista, sono più fortunati di me, perché non si sono nemmeno accorti di essere rimasti soli. Anche il mio creatore diceva sempre:
“A starci male, è sempre chi rimane”.
Nonostante tutto, ho provato anche molte sensazioni gradevoli nell’arco della mia esistenza. Ne ricordo una in particolare: stavo facendo il mio solito giro per la città, senza una meta, ma preso dalla curiosità mi sono spinto fino in riva al mare.
Era ormai il tramonto, tutto era colorato di rosso e le ombre si allungavano e si facevano sempre più nette. Il cielo era limpido, l'unica cosa che si vedeva era il sole che scendeva all'orizzonte e si rifletteva su uno specchio d'acqua. Ricordo di aver provato un batticuore e una sensazione di euforia, che pensandoci bene era più una sensazione di calma e leggerezza. È stato un episodio commovente, è il mio più caro ricordo di questo mondo. A ripensarci mi sento felice, ma allo stesso tempo dispiaciuto. Avrei voluto essere lì con il mio creatore o almeno con qualche altro mio fratello, o con un amico. Anche se il concetto di “amico” non riesco a comprenderlo bene, non ne ho mai avuto uno.
Ti sto raccontando tutto questo solo per dire che sono grato di questo cuore umano, per quello che mi ha fatto provare: l'empatia, la gioia, la solitudine, la tristezza... anche se una cosa manca: l'amore. Quello, purtroppo, non l'ho mai provato.
Ti voglio ringraziare per aver ascoltato la mia storia. Tra pochi minuti il mio cuore si fermerà, ha ormai raggiunto la data di spegnimento, lo sento piano piano rallentare e faticare. Questa cosa mi fa sentire in allarme, penso sia la paura. Anche questa è una nuova sensazione, chissà quante ancora non ne ho provate.
Ora io aprirò questo sportello che ho sul petto – lì dentro c'è il mio cuore – lo estrarrò e lo donerò a te, in modo che qualcuno ricordi la mia storia e che sono stato B-36, l'unico robot al mondo ad avere un cuore umano.
B-36 aprì lo sportello sul suo petto, prese delicatamente il cuore all’interno e lo donò alla ragazza con la tuta spaziale. E poi, piano piano, si spense. La ragazza mise il cuore dentro un contenitore di metallo.
- È morto, mi dispiace. Ho solo il suo cuore.
- Va bene, ci hai provato.
- Mi chiedo perché faccia sempre così male.
- Perché a starci male, è sempre chi rimane.
Fine
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tomarobertm · 11 months
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[…]
- Cosa ricordi di lei?
- Aaaah io ricordo tutto, ogni singolo dettaglio
- ma ormai son passati quasi più di 3 anni
- son già 3 anni?
- e si, dal lockdown.
Mentre dicevo “tutto”, intendevo veramente tutto.
Come ci siamo conosciuti, le nottate insonni passate a chiacchierare di ogni cosa, come si accarezzava il petto, lo smalto rosso e le unghie smangiucchiate, il primo “ti amo” per sms, il colore e i vari tagli di capelli, la prima uscita assieme, i pochi viaggi fatti in macchina, il messaggio scritto con una penna rossa su un fazzoletto, La Rosa attaccata all’armadio, i suoi occhi da “cerbiatta”, il patataro e le mega piadine, le lacrime, i sorrisi, la notte d’inverno fuori dal portone quando si addormentò, le sue carezze, i suoi baci, la sua voce, i suoi “si sì va bene” e poi faceva comunque come voleva lei, la sua testardaggine, il suo sapore, i vari “eh pota”, lei che rimaneva incantata a guardarmi come se fossi l’uomo più bello del mondo, i vetri appannati, il lago, il mare, il dormire abbracciati o mentre si addormentava in webcam, il giro in Smart ai 30 all’ora, Roma… ogni cosa dopo tutto questo tempo è ancora lì.
Poi ho convissuto quasi più di 2 anni.
Si ho tanti ricordi, ma l’emozione, la scarica di adrenalina, l’impulso animale, i sentimenti, non possono essere paragonati.
Con lei proveniva tutto da un’altra galassia; era una cosa fuori da questo mondo.
Non che convivere con quella ragazza non mi abbia dato emozioni o che non l’abbia amata, ma io non ricordo nemmeno una singola sera (nemmeno la prima) in cui mettendomi vicino a lei tremassi in modo del tutto irrazionale dal desiderio di possederla; anche quando stavo via per 10 giorni per lavoro, tornando a casa io quell’emozione non l’ho mai più provata.
Sono tantissime le sensazioni mai più provate, quelle che fanno la differenza, quelle di cui si diventa inconsciamente dipendenti, quelle che legano due anime a vita, quelle per cui io non so se esistano parole per descrivere ciò c’è provavo e non ho mai più provato.
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la-lettrice-testarda · 11 months
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L'arminuta, Donatella Di Pietrantonio
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Nel tempo ho perso anche quell'idea confusa di normalità e oggi davvero ignoro che luogo sia una madre
Un’antica leggenda orientale racconta di un bambino e due madri, una “vera”, che lo abbandona per un guardaroba, e una acquisita, che lo cresce e lo educa. Entrambe lo reclamano, e ad un giudice l’onere di scegliere quale sia la madre. Per farlo, il bambino verrà messo al centro di un cerchio di gesso disegnato in terra e la prima che riuscirà a portarlo fuori sarà la madre. Una, quella che lo aveva abbandonato, lo afferra con foga, l’altra, quella che lo aveva curato, rimane ferma, immobile, per il terrore di farle male. La vittoria è ovvia, per il giudice, essa sarà la madre. Ho pensato subito al dramma di Brecht, leggendo L’arminuta. Ne Il cerchio di Gesso del Caucaso c’è, di base, un giudizio. Ne L’arminuta potremmo pensare che ci sia, allo stesso, un giudizio, eppure Di Pietrantonio rimane imparziale, lascia alla ragazzina il compito di essere la giudice. E lo è, giudice. Per lei non ci sono due madri, per lei ci sono due donne: quella “di prima”, già senza nome, che l’ha messa al mondo, aspra, reticente, apparentemente restia ai sentimenti, che semplicemente serba in silenzio e con timidezza, e quella “di mare”, che anche se un nome lo possiede (Adalgisa), perde gradualmente identità nel momento delle due verità, la prima, che riporta l’arminuta al paese senza spiegazioni, la seconda che si scopre solo e soltanto alla fine. Ha un sapore crudo e salato, questa storia. C’è il sale del mare che l’arminuta respira nei ricordi, sempre più sbiaditi, sempre emotivamente più distanti, c’è il sale del sangue che viene versato ogni qual volta che, il naturale bisogno di imporsi dei figli emerge e viene ricomposto sotto le percosse dei genitori. In quel nuovo contesto, l’arminuta, “la ritornata”, perde identità, ma al contempo la ritrova perché la ricostruisce; nel rapporto con la nuova sorella, Adriana, nella scoperta del corpo, un corpo con delle forme che, soprattutto nei primordi dell’adolescenza, risulta estraneo e confuso nelle sensazioni provate, da provare e negli sguardi. Soprattutto quelli di Vincenzo, quel fratello che, nel sangue, ha anche lui il sale che lo porta ogni volta a seguire gli istinti, soprattutto la fuga, ma anche quello più animale. C’è il sale anche nella lingua, continuamente in bilico tra il calore della chiarezza dell’italiano e un nuovo calore, quello antico, quello di un abbruzzese dapprima brullo ed estraneo, nel quale la ragazzina, solo dopo tanto tempo, scopre una nuova lingua, una nuova identità.
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sguardimora · 1 year
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[ph. Michele Montolli; Paolo Brancalion]
Nei giorni scorsi la compagnia Kepler-452 ha fatto visita al Centro d’Incontro per l’Alzheimer di Rimini e ha avuto l’occasione di conoscere due gruppi di persone che settimanalmente vengono accolti presso il centro. Come già accaduto durante il periodo di residenza a Budapest dove hanno incontrato altre persone che vivevano all’interno di un centro per l’Alzheimer anche durante la residenza di Mondaino hanno avuto l’opportunità di condividere con queste persone, accompagnate dalle psicologhe del centro, le domande che stanno muovendo il processo creativo e di ricerca per Album: Che cos’è un ricordo? Dove vanno i ricordi quando svaniscono? Paolo Brancalion ha curato l’organizzazione di questo incontro insieme a Michele Montolli che ha raccolto alcune immagini e parole per raccontare alcuni di questi momenti di condivisione.
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Ci aspettavano, tutti trepidanti, attorno ad un grande tavolo; saranno stati una trentina.
“Benvenuti agli attori!”
“Io sono stata a Mondaino!”
Già prima di iniziare una signora con in mano dei fogli di giornale plastificati ci racconta che più di cinquant’anni fa, grazie all’intercessione della maestra del paese, nel suo paese contadino arrivarono dei carri colmi di regali per tutti i bambini. Primo tuffo, inaspettato, nei ricordi.
Poi la compagnia si presenta, raccontando che la loro ricerca si sta muovendo attorno al tema della memoria e che, per forza di cose, si sta intrecciando con l’emergenza climatica ancora in corso in Romagna, seguendo questa metafora: come degli oggetti e suppellettili dimenticati emergono dalle case durante l’alluvione così dei ricordi sbiaditi, persi in qualche angolo oscuro, ad un tratto possono tornare in superficie.
“Buttate via tutti questi ricordi, da domani inizia una nuova vita!”
Questa la vivace esclamazione riportata da una signora, che si riferiva ad un episodio accaduto nei giorni scorsi in una delle tante case sommerse dal fango.
Nell’ultimo secolo ci sono stati eventi meteorologici estremi come quelli attuali? Questo l’innesco del discorso nei meandri della memoria. Alcuni prendono appunti di quanto detto, per fissarlo, altri alzano continuamente la mano per far fluire i racconti, prima che sfuggano. E allora iniziano ad apparire le immagini dal passato come il momento in cui “il mare era arrivato fino alle prime case e la mastella diventava una barca per muoversi” o di quando “la bibbia fu l’unico libro a salvarsi nel seminterrato allagato”. E poi il trauma dell’alluvione nel Polesine che ha costretto all’emigrazione molte famiglie, quello di Firenze del ’66 in cui molti volontari sono accorsi in aiuto, come oggi.
Cosa sono i ricordi? Un flash, un’emozione, un trauma, un luogo, una fotografia. Qualcosa di estremamente concreto per queste persone, tracce dense di sensazioni provate sulla pelle, tattili. Ma anche il luogo del primo innamoramento, quando “credevo di essere un conquistatore e invece sono stato conquistato”, o l’incubo ricorrente di essere bloccati in un posto buio che poi si rivela essere, forse, il ricordo traumatico e inconscio del parto difficile della madre.
Dove vanno i ricordi? Restano nella testa fino a che una parola non li liberi, passano nella memoria degli altri, forse vanno sulla luna. Di sicuro “hanno un gran senso dell’orientamento”, non si perdono davvero. Ecco allora che con la musica e i movimenti sperimentati durante gli esercizi del metodo Hobart, che qui viene applicato integralmente, affiorano immagini, suoni e odori sbiaditi, che si cerca di estrapolare il più possibile, andando a delineare i profili dei ricordi di una vita.
Mai come in queste occasioni emerge forte la consapevolezza che la memoria è anche e soprattutto un fatto collettivo, che affidiamo agli altri, di cui ci prendiamo cura nelle relazioni. E il progetto Album intende esplorare proprio questa dimensione.
Michele Montolli
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Over the past few days the Kepler-452 company visited the Alzheimer's Meeting Centre in Rimini and had the opportunity to meet two groups of people who are received weekly at the centre. As had already happened during their residency in Budapest where they met other people living in an Alzheimer's centre, also during their residency in Mondaino they had the opportunity to share with these people, accompanied by the centre's psychologists, the questions that are driving the creative and research process for Album: What is a memory? Where do memories go when they vanish? Paolo Brancalion organised this meeting together with Michele Montolli, who collected some images and words to recount some of these moments of sharing.
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They were waiting for us, all eagerly, around a large table; there must have been about thirty of them.
"Welcome to the actors!"
"I have been to Mondaino!"
Even before we began, a lady holding some laminated newspaper sheets told us that more than fifty years ago, thanks to the intercession of the village schoolteacher, wagons full of presents for all the children arrived in her peasant village. First, an unexpected plunge into memories.
Then the company introduces itself, saying that their research is moving around the theme of memory and that, of necessity, it is intertwining with the climatic emergency still underway in Romagna, following this metaphor: just as forgotten objects and furnishings emerge from houses during a flood, so faded memories, lost in some obscure corner, can suddenly come back to the surface.
"Throw away all these memories, from tomorrow a new life begins!"
This was the lively exclamation reported by a lady, referring to an incident that occurred in recent days in one of the many houses submerged in mud.
Have there been such extreme weather events in the last century? That was the trigger for the discourse in the meanders of memory. Some take notes of what was said, to fix it, others continuously raise their hands to let the stories flow, before they escape. And then images from the past begin to appear, such as the time when 'the sea had reached the first houses and the mastella became a boat to move around' or when 'the Bible was the only book saved in the flooded basement'. And then the trauma of the flood in Polesine that forced many families to emigrate, the one in Florence in '66 when many volunteers rushed to help, as today.
What are memories? A flash, an emotion, a trauma, a place, a photograph. Something extremely concrete for these people, dense traces of sensations felt on the skin, tactile. But also the place of first falling in love, when 'I thought I was a conqueror and instead I was conquered', or the recurring nightmare of being stuck in a dark place that later turns out to be, perhaps, the traumatic, unconscious memory of the mother's difficult birth.
Where do the memories go? They stay in the head until a word releases them, they pass into the memory of others, perhaps they go to the moon. They certainly 'have a great sense of direction', they don't really get lost. And so it is that with the music and movements experienced during the exercises of the Hobart method, which is applied in full here, faded images, sounds and smells surface, which we try to extrapolate as much as possible, outlining the memories of a lifetime.
Never before has there been such a strong awareness that memory is also and above all a collective fact, which we entrust to others, which we take care of in relationships. And the Album project intends to explore precisely this dimension.
Michele Montolli
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enkeynetwork · 1 year
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