Tumgik
#mani sui fianchi
petalodiseta · 3 months
Text
Tumblr media
L'eleganza è come l'intelligenza.
O ce l'hai o non ce l'hai.
@istintomaximo
Buona serata 💕
25 notes · View notes
sofysta · 1 year
Text
Tumblr media
20 notes · View notes
omarfor-orchestra · 2 years
Text
Two men sitting on a Vespa 5 cm apart bc they're not gay
1 note · View note
Text
Tumblr media
Danzatrice con le mani sui fianchi
La scultura "La danzatrice con le mani sui fianchi" di Antonio Canova è il ritratto di una danzatrice in una posa sensualmente sinuosa e sensuale.
Canova usava un'incisione del 1798 tratta da un dipinto di Jacques-Louis David per creare la scultura in gesso.
La scultura mette in risalto il corpo flessibile della danzatrice, la posa fluida e le mani su entrambi i fianchi.
#Scultura #Arte #Disegno #AntonioCanova
1 note · View note
dispallesuunanuvola · 9 months
Text
Vorrei solo svegliarmi con la tua faccia tra le gambe e le tue mani sui fianchi.
163 notes · View notes
smokingago · 7 months
Text
Tumblr media
Ti bacio in silenzio.
Tu resti ferma.
Ti tengo la faccia tra le mani.
Tu dici grazie.
Ti bacio lo sterno.
Tu respiri di più.
Ti metto le mani sui fianchi.
Tu sorridi e i fianchi si fanno più grandi.
Ti abbraccio tutta.
Tu diventi più piccola.
Ti tocco le mani.
Tu le apri tutte come un gatto,
Ti bacio il collo.
Tu lo allunghi, e il collo diventa profumato.
Ti stendo e mi metto sopra di te.
Tu chiudi gli occhi, annusi l’aria:
ora in questa stanza
ci sono tutte le rose del mondo.
Franco Arminio
46 notes · View notes
principessa-6 · 4 months
Text
Tumblr media
La sollevò in modo da poterle baciare i seni e lei si godette ogni bacio, ogni colpo di lingua sui capezzoli.
Ma anche in quella posizione sentiva il sesso premuto contro il suo addome morbido e desiderò di più: lo voleva dentro di sé.
Tenendola sollevata con un braccio solo, lui infilò una mano in mezzo ai loro corpi per toccarla, strappandole un gemito e quando mise un dito dentro di lei, lei lo incitò coi fianchi.
-Portami a letto. /- Come desideri. Lei rimase aggrappata alle sue spalle e lui l'adagiò sul letto.
Non appena vide che lei stava chiudendo le gambe, glielo impedì, mettendo le mani sulle ginocchia e disse:- Mi piace guardarti.
Si inginocchiò quindi accanto al letto e l'attirò verso di sé, cominciando a baciarle l'interno coscia fino ad arrivare alle parti intime.
Lei era già molto eccitata e vogliosa e al primo colpo della sua lingua si sentiva già portare alle stelle.
Arrivò presto all'orgasmo, dove il suo grido rimase in sospeso e il suo corpo tremante.
Alla fine lui salì sul letto per tenerla stretta a sé protetta fra le sue braccia.
᭄۫۫۫۫❤️𑜞᭄۫۫۫۫✿✿❤𑜞᭄۫۫۫۫✿✿❤𑜞᭄۫۫۫۫
20 notes · View notes
animadiicristallo · 2 months
Text
le tue mani sui miei fianchi >>>>>
15 notes · View notes
wutternach · 6 months
Text
amour de l'après-midi
Oggi mi occupo di te. Quante volte lo ho voluto fare senza potertelo dire, quante volte ho sentito il desiderio di farti ascoltare la mia voce nel silenzio delle pareti nascoste dalle librerie di legno chiaro. Ascoltare, questo devi fare, sentire entrare nella testa le parole. Chiudere gli occhi e lasciare che io solo possa vedere la luce del sole del tardo pomeriggio entrare dalle tapparelle a metà. La polvere che si muove lenta, le mani che si occupano della tua pelle calda.
Oggi mi occupo dei tuoi pensieri, li prendo tra le dita e li muovo lenti, confondendoli, accarezzandoli, trasformandoli da sacri a profani, da disillusi a speranzosi. Oggi le mie mani ti prendono la carne, te la rendono morbida, te la rendono cambiata. Con il tempo che ci vuole a vivere il piacere, a farlo entrare dalla schiena, a farlo passare nelle scapole, sentirlo sfiorare il collo. Il tuo collo da scoprire, il tuo collo da annusare, da sfiorare con le dita e accompagnare con le mani aperte.
Senti il calore sui palmi, senti il calore negli occhi. Oggi lascia fare, lasciati fare, lasciati amare, lasciati toccare, lasciati baciare, lasciati accarezzare, lasciati prendere, lasciati andare. Oggi lascia le mie mani sui tuoi fianchi sinuosi, sui tuoi spigoli scoperti, lascia la tua pelle davanti ai miei occhi, preda del mio desiderio, oggetto delle mie dita. Lascia che il mio piacere di dare diventi il mio piacere di dire, che il tuo godere del desiderio diventi piacere delle parole ascoltate. Con cura, con delicatezza, con sfrontatezza. Oggi ti parlo dei segreti che ho custodito nella mia mente, ti confesso pensieri irrealizzati e sempre più forti, mentre ti scopro la pelle ambrata. Oggi ti dico tutti i miei veri desideri su di te, sulla tua bocca, sul tuo seno che ogni giorno è più bello, sui tuoi capezzoli che diventano ogni ora più invitanti. Oggi ti parlo della mia voglia con le mani ferme sul tuo culo nudo, così senti nelle orecchie e senti nella pelle. Oggi ti lecco la schiena e ti parlo di noi, dei giorni passati e di quelli futuri, delle idee più segrete, delle volte che mi hai fatto godere, delle volte in cui ti ho fatta godere, delle mille volte in cui ti farò godere solo entrandoti nei pensieri, nei momenti più improbabili. Senti la mia bocca come si occupa della tua tranquillità? Senti la mia lingua che ti lecca i brividi, che ti succhia le scapole? Pensa tutti i momenti in cui avresti voluto essere nuda davanti a me, esibire il tuo corpo erotico al mio sguardo estatico. Ricorda tutte le volte in cui hai voluto osare, in cui hai voluto superare il limite per vivere l’orgasmo che ti prende la testa, prima che il corpo. Ripensa ai giochi proibiti, voluti, preparati, dimenticati e poi vissuti, alle mani che hai desiderato addosso, tra le gambe, sulla fica, nella bocca aperta, con gli occhi fissi nei tuoi. Mani di un altro, mani di un’altra. Vivi le mie carezze che diventano strette, le mie mani dolci che diventano forti. Senti il piacere del sentirsi toccata, esplorata, avvinghiata. Girati, esponiti, apri il tuo desiderio segreto alle mie labbra. Fatti leccare la pelle, il calore, l’odore, fatti annusare il sapore, fammi succhiare il bisogno di sentirti amata, presa, desiderata, voluta come se fossi l’unica cosa al mondo, come se fossi la più attraente, desiderabile, invitante, eccitante, arrapante persona che c’è. Fammi prendere quello che sei per me, oggi, fattelo sentire addosso, piena di un desiderio senza confini, senza paure, senza freni. Riempi le mie mani, la mia bocca, le mie labbra, regalami tutta la tua passione.  E io ti farò sentire l’amore sotto la pelle.
22 notes · View notes
poesiablog60 · 6 months
Text
Vai al tuo cuore infranto.
Se pensi di non averne uno, procuratelo.
Per procurartelo, sii sincero.
Impara la sincerità di intenti lasciando
entrare la vita, perché non puoi, davvero,
fare altrimenti.
Anche mentre cerchi di scappare, lascia che ti prenda
e ti laceri
come una lettera spedita
come una sentenza all’interno
che hai aspettato per tutta la vita
anche se non hai commesso nulla.
Lascia che ti spedisca.
Lascia che ti infranga, cuore.
L’avere il cuore infranto è l’inizio
di ogni vera accoglienza.
L’orecchio dell’umiltà ascolta oltre i cancelli.
Vedi i cancelli che si aprono.
Senti le tue mani sui tuoi fianchi,
la tua bocca che si apre come un utero
dando alla vita la tua voce per la prima volta.
Vai cantando volteggiando nella gloria
di essere estaticamente semplice.
Scrivi la poesia.
Jack Hirschman
Tumblr media
19 notes · View notes
ricorditempestosi · 5 months
Text
le tue labbra sul mio collo,
le mie mani sui tuoi fianchi
16 notes · View notes
intotheclash · 4 months
Text
CAPITOLO 2
“Pietro! Pietro! Affacciati!” Urlò la prima voce.
“E muoviti! Sei diventato sordo?” Fece eco la seconda.
Cazzo, no che non ero sordo! Ci sentivo benissimo, l’inconveniente era che avevo solo dodici anni. E a quell’età non puoi fare come ti pare, specialmente se è domenica e sei a pranzo con la tua famiglia. Tutta la tua famiglia, tuo padre compreso, che, gli altri giorni della settimana, è sempre via per lavoro: camionista per una ditta di travi e tavolati in castagno. Lavoro di merda, secondo i miei pochi anni, ma pur sempre un lavoro.
Sentivo le spine sotto al culo, ma guai a sollevare le chiappe senza permesso, così continuavo a fissare il minestrone, che tra le altre cose mi faceva pure schifo, e a giocherellare con il cucchiaio fingendo indifferenza.
“Pietro! E forza! Sei sempre l’ultimo!” Insistettero dal vicolo.
Mio padre sbuffò un paio di volte, mollò le posate, distolse lo sguardo dal telegiornale e mi allungò uno scappellotto.
“Ahio! Cosa ho fatto ora?” Protestai.
Mi fissò con i suoi occhi chiarissimi e l’aria burbera di sempre, poi ordinò: “Su, affacciati e senti cosa vogliono quei piccoli rompicoglioni dei tuoi amici; ché così non mi fanno capire una sega! Già non lo sopporto quello del telegiornale, se non mi fanno neanche capire quello che dice, me lo spieghi tu cosa cazzo lo guardo a fare?”
Controllò il suo orologio e aggiunse: “Ma è appena l’una e quaranta! Come li fanno mangiare ‘sti bambini quelle scansafatiche delle loro madri? Li imboccano con la fionda? Su sbrigati Pietro, che sento che stanno iniziando a girarmi.”
“Tanto a te girano sempre!” Pensai mentre mi precipitai sul balcone.
“Era ora Pietro! Ma che te stai a magna'?” Dissero in coro Tonino e Sergio non appena mi videro.
“Veramente ho iniziato adesso! Ma che volete a quest’ora? E’ troppo presto, i miei si incaz… si arrabbiano se rompete all’ora di pranzo.” Risposi.
Fortunatamente avevo fatto marcia indietro in tempo. O almeno così speravo. Mia madre diventava una iena quando mi scappava qualche parolaccia. Diceva che, per quel genere di vocabolario, bastava e avanzava mio padre. E non è che avesse tutti i torti.
“Ma che ti sei rincoglionito? La proposta l’hai fatta tu ieri sera ed oggi già non te la ricordi più?” Mi ammonì incredulo Tonino.
“Allora davvero sei rincoglionito!” Aggiunse Sergio, che, dei due, era quello che andava sempre a rimorchio.
Finalmente lo sguardo mi cadde sulle biciclette appoggiate al muro scrostato della casa di fronte e la nebbia nella mia mente si diradò all’istante.
“Cazz…volo! Il fiume! Dobbiamo andare al fiume a fare il bagno! Me l’ero proprio scordato! Che testa di legno che sono!” Dissi
“Di legno è dir poco! Di cazzo è più esatto!” Disse Tonino ridendo e facendo ridere anche Sergio.
“Aspettatemi lì, finisco in fretta di mangiare e scendo. Non vi muovete!” Dissi ancora.
“Sbrigati però, che gli altri sono già sotto porta che ci aspettano. Avevamo detto alle due precise!” Insistette Tonino.
“E allora? Non sono ancora le due, stronzi!” Stavolta mi era scappata sul serio e sperare che sarebbe passata inosservata era un’illusione che neanche io potevo concedermi.
“Pietro! Vieni subito dentro!” Fu l’ordine militaresco di mia madre. Come volevasi dimostrare.
Rientrai immediatamente in cucina e la trovai già in posa per la predica. Si era tolta il tovagliolo da sopra le ginocchia, si era alzata in piedi, aveva divaricato leggermente le gambe, ma, quel che è peggio, aveva appoggiato il dorso delle mani sui fianchi, che era davvero peggissimo. Tutte e due le mani, la posizione della brocca, praticamente tuoni e fulmini in arrivo. Fosse stata una sola mano, la posizione a tazzina, come l’avevamo battezzata noi ragazzini, te la potevi anche cavare a buon mercato, ma con la brocca eri finito. Avrei volentieri pensato: “Erano cazzi!” Ma in quel frangente avevo persino paura a pensarle, le parolacce; non tanto per la sgridata, o gli scappellotti, che avrei potuto prendere e che avrei sicuramente preso; quanto per la paura che mi avrebbero potuto vietare di uscire. Quella si sarebbe stata una catastrofe planetaria.
“Allora, signorino? Quante volte ti ho ripetuto che non voglio che tu dica le parolacce?”
“Scusa mamma, mi è scappata!” Risposi col tono più innocente che riuscii a trovare.
Non vidi partire la mano, ma l’impatto con la mia testa lo sentii; eccome se lo sentii.
“Ahio!” Urlai tra il sorpreso, l’arrabbiato e il piagnucoloso. Poi guardai mio padre di traverso.
Lui raccolse il tovagliolo con la mano assassina, si pulì i folti baffi castani, mi fissò e disse: “Scusa, mi è scappato. Non volevo. Magari se ci avessi pensato prima, sarei anche riuscito a non dartelo; ma purtroppo è così che va il mondo e io non posso farci un cazzo di niente!”
Da una parte mia madre, ovvero la teoria, dall’altra mio padre, senza ombra di dubbio la pratica. Insieme formavano una morsa d’acciaio che mi avrebbe stritolato senza scampo. Potevo dire addio agli amici, al fiume, al bagno e a chissà quanti altri divertimenti.
Ma non andò così. Una via di fuga esisteva, ridotta al lumicino, ma esisteva ed io la imboccai di filata, incurante dei tremendi pericoli ai quali sicuramente andavo incontro. Non fu una scelta consapevole, proprio no, fui costretto ad imboccarla dalla rabbia e dal desiderio di vendetta per essere stato colpito, a mio avviso, ingiustamente e a tradimento.
“Allora perché lui le dice in continuazione?” Urlai verso mia madre, ma rivolgendomi più che altro a mio padre. Gli occhi mi si affollarono di lacrime, ma le trattenni stoicamente. Ero schifosamente orgoglioso, fin da piccolo. Era un colpo basso, lo ammetto, avventato e alla cieca, l’ultimo colpo, di quelli che come va, va; quello della disperazione, che ti può regalare il KO, ma che, più spesso, fa finire te al tappeto e trionfare l’avversario.
“Cosa, cosa?” Ringhiò basso mio padre.
“Le parolacce ecco cosa! Perché tu puoi dirne quante ne vuoi, ma se ne scappa una a me sono guai? Penso che se una cosa è sbagliata, è sbagliata per tutti!” Dissi, sempre con le lacrime in bilico e sforzandomi di non abbassare lo sguardo. Un rischio della Madonna!
Fu ancora svelto come un gatto, mi afferrò per la maglietta e mi trascinò a pochi centimetri da lui, facendomi rovesciare la sedia dove prima ero seduto. Ma come aveva fatto? Era grosso come un armadio e con la pancia di chi non sa mai dire di no ad una bella bevuta; ma quando si muoveva era Flash Gordon in persona. Certo che da grande avrei voluto essere come lui! Nessuno mai si sarebbe azzardato a prendermi in giro!
“Ascolta bene, stronzetto,” Mi disse inondandomi col suo alito di vino. Di vino: staccato,”L’unica persona che poteva dirmi ciò che dovevo, o non dovevo fare, era mio padre ed ora sta sotto un paio di metri di terra. Pace all’anima sua.”
Devo dire che il sospetto che lo avesse ammazzato lui mi attraversò la mente, ma mica potevo dirlo.
“Adesso ho quarantacinque anni,” Proseguì,” e nessuno, dico: nessuno, può permettersi di darmi degli ordini.”
“Io non…” Tentai di giustificarmi.
E giù un altro scappellotto, stavolta un po’ più sonoro, visto che mi rimbombarono i pensieri. Il vecchio ora era incazzato sul serio. Ora non potevo fare passi falsi. Dovevo stare attento a giocare bene le mie carte. Soprattutto dovevo uscire il più in fretta possibile da quella spiacevole situazione. Fortunatamente ed inaspettatamente mia madre arrivò in mio soccorso. Cuore di mamma non tradisce mai.
“Dai Alfredo, lascialo stare. Basta con gli schiaffi!” Disse con tono pacato ma perentorio.
“Cosa fai ora, Maria? Prendi le sue difese? Io intervengo a darti manforte e tu mi vieni contro? E’ ora che qualcuno insegni davvero l’educazione a questo moccioso sfrontato e se non vuole capire con le buone, peggio per lui! Io sono cresciuto a pane e scapaccioni tuttavia non mi sono mai sognato di rispondere a mio padre; anche perché mi avrebbe scorticato vivo!”
“Ma io non ti ho risposto male! Ho solo dett…”
Fu il terzo scappellotto della giornata a troncare il discorso e a sbaragliare la mia timida difesa.
“E basta Alfredo! Piantala di alzare sempre quelle tue manacce! Poi non picchiarlo sulla testa che è pericoloso!” Lo ammonì di nuovo mia madre.
“Così impara a parlare soltanto quando è interrogato! In quanto agli schiaffoni invece, di cosa hai paura? Per il tuo marmocchio la testa non è un organo vitale, visto che è vuota. O forse temi che il rimbombo possa causargli danno all’udito?” Concluse ridendo di gusto.
Cosa volete farci, mio padre era fatto in questa maniera: se la suonava e se la cantava. Faceva le battute e rideva da solo. Era capace di passare dall’incazzatura più nera all’ilarità più sfrenata, e viceversa, in un battibaleno. Difatti mi strizzò l’occhio, mi scompigliò i capelli neri e arruffati e disse:”Dai, finisci la minestra, mangia la carne e fila via. I tuoi amici saranno già in pensiero.”
“E no, cari miei!” Intervenne mia madre sempre mantenendo la posizione; ma ebbi l’impressione che la “brocca” in questa circostanza, fosse tutta per mio padre: “Con te facciamo i conti dopo,” Disse rivolta al vecchio, “In quanto a te signorino: ora finisci di pranzare, poi te la fili dritto, dritto in camera tua. Uscirai domani. Sempre che tu sia capace di non dire ancora parolacce.” E questo era per me.
“Ma dai, Maria! Tre sberle, per oggi, vanno più che bene come punizione. Domani, se si azzarderà ancora ad essere maleducato, lo portiamo al fiume e ce lo affoghiamo! Così ci togliamo il pensiero!” Detto ciò si batté forte sulle gambe e rise a crepapelle.
7 notes · View notes
yourdirtiestdreams · 4 months
Text
Eravamo in una di quelle case vacanze che si affittano temporaneamente per trascorrere qualche giorno con gli amici e il sole mattutino di metà luglio illuminava tutti gli ambienti rendendoli quasi eterei.
Gli altri erano già a sguazzare nella piscina della casa mentre io stavo sul letto ad ascoltare un po' di musica e a leggere. “Hai altra roba da lavare?” mi chiedi da qualche porta di distanza, oggi il turno del bucato spetta a noi. Indossavo un paio di calze sopra il ginocchio bianche con due righe nere, dell’intimo bianco e una mini canotta nera. Ero abbastanza sicura di aver già portato in lavanderia tutto ciò che volevo lavare ma per una maggiore sicurezza decisi comunque di raggiungerti. “Cosa lavi? Scuri o chiari?” chiesi sporgendomi dalla porta. “Scuri”. Entrai del tutto nella stanza, la porta finestra aperta lasciava entrare un po' di arietta fresca facendo muovere la tenda avanti e indietro. “Scuri? Beh, a pensarci bene questa notte ho sudato parecchio, sarebbe meglio rinfrescassi anche questa maglia” dissi togliendomi la canotta. Non portavo il reggiseno, lo trovavo scomodo in casa, soprattutto viste le temperature estive. Con un lancio perfetto lanciai il capo in questione dentro la lavatrice dicendo “Grazie” e uscii dalla stanza dirigendomi verso quella che, per due settimane, è stata effettivamente la nostra camera da letto. Camminai lungo il corridoio incurante dei finestroni che si affacciavano sul giardino, erano tutti presi da altro. Una volta raggiunta la camera rimasi ad aspettarti vicino alla porta.
Aspettai poco.
Appena entrato feci scorrere la porta alle tue spalle chiudendola, finendo del tutto di fronte a te.
“Hey Gnocco” sussurro con le braccia sulle tue spalle, mani tra i tuoi capelli, le mie labbra sul tuo collo. “Ciao Fregna” mi rispondi con le tue braccia attorno alla mia vita e le mani che mi stringono il culo. Ti spingo lentamente verso il letto, continuando a tenere le mie mani e le mie labbra su di te, vestito solo dai pantaloncini da basket. Ti sdrai e mi porti con te, le mie cosce a lato delle tue ginocchia. Mi avvicino delicatamente, il mio petto contro il tuo, pelle a pelle, e riprendo da dove ho lasciato. Baci, leggeri morsi e percorsi con la lingua su quel tuo tatuaggio che tanto mi piace, per poi passare dall'altro lato. Le tue mani vagano su tutto il mio corpo e ti sento spingere contro il mio stomaco. “Vieni qui, sali su” mi dici con voce rauca prendendomi da dietro le cosce e posizionando la tua erezione contro le mie mutandine sempre più umide. Iniziamo a strusciarci l'una sull'altro mentre ricambi le mie attenzioni con succhiotti e baci decisi. Le tue mani sui miei fianchi mi guidano al ritmo che preferisci mentre una delle mie è finita sotto i tuoi pantaloncini a toccarti e a tenerti saldo contro di me. Continuiamo così per un tempo indefinito, finché la situazione non diventa insostenibile. Il mio petto si stacca dal tuo e mi siedo poco sotto la mano che continua a muoversi su e giù attorno a te. Non perdi tempo a copiarmi e a sederti portando la tua bocca sul mio seno, giocandoci.
Poco tempo e il tuo tocco diventa frenetico, il tuo respiro si spezza a causa degli ansimi sempre più forti e inizi a scoparmi la mano senza un senso preciso, con i tuoi fianchi che si alzano da sotto di me, finché non vieni sulle mie dita. Tolgo la mano tra di noi e la pulisco minuziosamente con la lingua, mentre tu mi guardi sorridente e soddisfatto. Guardo in basso, i tuoi pantaloncini neri sono leggermente sporchi. Ridiamo.
“Fortuna che non hai ancora avviato la lavatrice.”
15 notes · View notes
blacklotus-bloog · 4 months
Text
Tumblr media
Trattenne il respiro nell'inutile tentativo di nascondere la sorpresa di quel piacere. Era successo tutto così velocemente, superare le pieghe dei tre chimoni, avere i suoi fianchi tra le mani, sentire il profumo dell'essenza. Si abbandonò languidamente, appoggiato sui gomiti e le gambe di quella donna intorno al suo corpo, in preghiera a proteggerlo. Raggiunse le nuvole, la pioggia, non per ricevere piacere ma per darne...
.
.
.
JAMES CLAVELL - Shōgun
10 notes · View notes
gregor-samsung · 21 days
Text
" Serena ci lascia sempre guardare il notiziario. Dobbiamo prenderlo per quello che vale, chissà se è vero in ogni sua parte? Potrebbe trattarsi di vecchio materiale di repertorio, potrebbe essere falso. Ma lo guardo comunque, sperando di essere in grado di leggere tra le righe. Qualsiasi notizia, ora, è meglio di niente. Notizie dalla prima linea. In realtà non c'è una prima linea, pare che la guerra divampi in molti punti contemporaneamente. Colli coperti di boschi, visti dall'alto, alberi di un orribile giallo. Almeno sistemasse il colore. I monti Appalachi, dice la voce del commentatore dove gli Angeli dell'Apocalisse, Quarta Divisione, stanno snidando col fumo una sacca di guerriglieri battisti, con il sostegno aereo del Ventunesimo Battaglione degli Angeli della Luce. Ci vengono mostrati due elicotteri, neri con ali argentee dipinte sui fianchi. Sotto di questi, esplode un gruppo di alberi. Appare il primo piano di un prigioniero, la faccia sporca e ispida, tra due Angeli, nelle loro perfette uniformi nere. Il prigioniero accetta una sigaretta da uno degli Angeli, se la porta impacciato alle labbra con le mani incatenate. Fa un sorriso sbilenco. L'annunciatore dice qualcosa, ma non riesco a sentirlo: guardo gli occhi di quest'uomo, tentando di capire che cosa stia pensando. Lui sa che la macchina da presa è su di lui: quel sorriso è un atto di sfida, di sottomissione o esprime solo il disagio di chi non sa che atteggiamento prendere? Ci mostrano solo vittorie, mai sconfitte. Chi vuole cattive notizie? Forse è un attore.
Adesso compare sul video il commentatore. I suoi modi sono garbati, paterni; ci fissa dallo schermo con la sua carnagione abbronzata, i capelli bianchi, lo sguardo candido, sagge rughe qua e là, come il nonno ideale di tutti noi. Quanto ci sta dicendo, implica il suo sorriso sereno, è per il nostro bene. Presto tutto andrà a posto. Lo prometto. Ci sarà la pace. Dovete aver fiducia. Dovete andare a dormire, come bravi bambini. Ci dice ciò cui vogliamo credere. È molto convincente. Cerco di resistergli. È come una vecchia star del cinema, mi dico, coi denti falsi e una faccia stereotipata. Nello stesso tempo mi sento attratta da lui, come ipnotizzata. Se solo fosse vero. Se solo potessi credere. "
Margaret Atwood, Il racconto dell'ancella, traduzione di Camillo Pennati, Ponte alle Grazie, 2019², pp. 112-113.
[Edizione originale: The Handmaid's Tale, McClelland and Stewart, 1985]
6 notes · View notes
smokingago · 1 year
Text
Tumblr media
"Il sesso era un legno incollato al suo ventre. Allentò la spinta del bacio, si staccò, con uno scarto di fianco mi rigirò e fui sopra di lei. Sciolse le braccia dalle mie spalle, mi guidò le mani sopra i seni. Allargò le gambe, tirò su il vestito e tenendomi i fianchi sollevati spinse il mio sesso contro l’apertura del suo. Ero una cosa sua che lei muoveva. I sessi pronti, fermi nell’attesa, si appoggiavano appena, ballerini tesi sulle punte. Restammo così, Anna guardava giù verso di loro. Premette sui miei fianchi, un ordine che mi spingeva dentro. Entrai. Non solo il sesso, io entrai dentro di lei, nelle sue viscere, nel suo buio a occhi spalancati senza vedere niente. Tutto il corpo era sceso nel sesso. Entrai con la sua spinta e restai fermo. Mentre mi abituavo alla quiete, al battito del sangue tra le orecchie e il naso, mi spinse un poco fuori e poi di nuovo dentro. Lo fece e lo rifece, mi teneva con forza e mi spostava a ritmo di risacca. Agitò i seni sotto le mie mani, aumentò le spinte. Entravo fino all’inguine e uscivo quasi tutto, il mio corpo era un suo ingranaggio. Non respirava, i suoi occhi aperti vedevano lontano.”
Erri de Luca
74 notes · View notes