Tumgik
#e daje a colesterolo!
io-pentesilea · 3 months
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La vice capa mi ha portato il torrone al caramello salato e mandorle.
Posso morire felice.
Barbara
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orotrasparente · 2 years
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un giorno hai 15 anni e fai colazione con pizzette, nesquik, gelato e cornetti poi all’improvviso hai 23 anni e il colesterolo ti impone ciliegie e spremuta d’arancia daje
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soffionetaraxacum · 6 years
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La tesi uccide solo d’estate
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Scena 1: presagi
Mi capita sempre più spesso di andare in biblioteca per costringermi a buttare giù qualche riga di tesi e percepire confusamente che c’è qualcosa che non va. La sala studio è sempre la stessa: ultimo piano, cinque lunghe file di scrivanie sormontate da lampade stile ufficio anni ‘50, alle pareti tutti gli infiniti tomi dell’enciclopedia Britannica e quel profumo acidulo di disperazione pre-esame. No, la sala non c’entra.
Mi siedo, cinque minuti per apparecchiare tutto il necessario (PC, cuffiette ché se non c’è musica funziona come in palestra: tutti a casa prima di aver avuto il tempo di aprire un libro; acqua, fazzoletti, un botto di evidenziatori, dispense) e già lo sento: ha la stessa consistenza dell’irritazione mista ad ansia di quando non trovi le chiavi della macchina dove eri sicuro di averle lasciate, e sei già in ritardo.
Metto su la musica, una colonna sonora bella arrabbiata di un videogioco, mando una ventina di messaggi per organizzare la pausa caffè di metà mattina. Mi butto sulla tastiera che sono le 10: posso iniziare a lavorare, ma lei è ancora lì, la sensazione sgradevole, che mi guarda da dentro e se la ride.
Passano le settimane, tra pause caffè, pause sigaretta (elettronica; ho dovuto soccombere quando mi sono accorta che non riuscivo più a fare cinque chilometri di corsa in scioltezza), qualche lettura interessante ma inutile per la tesi, molte puntate di House of Cards: la tesi procede con lo slancio di una guerra di trincea, ma non posso dire di passarmela male.
Scena 2: gli altri, le epifanie, aritmie aritmetiche
E’ marzo, stagione di dottori del buco del cul all’Unibo, in piazzetta Verdi sbocciano allori su una marea di teste. Purtroppo dall’anno scorso hanno rimosso da via Zamboni i sedili cubici che erano stati eletti all’unanimità podio da cui i laureati, bottiglia di spumante in mano, declamavano ringraziamenti e dirigevano i cori degli amici, ma non è importante: la cagnara la fanno comunque, e i professori si lamentano ancora che non riescono a fare lezione per il casino e i dottore dottore dottore del buco che arrivano fin dentro le aule del secondo piano. Mi faccio la mia bella sfilza di feste di laurea, spumante, sboccio e tutto il resto, come ogni anno: a un amico conosciuto in Erasmus ho regalato un’ascia da legna (si è laureato in Scienze forestali), alla mia ex coinquilina la padella di cui abbiamo fatto a meno per un intero semestre in quello studentato. In fondo a ogni bicchiere però c’è ancora lei, che ancora mi guarda e ancora se la ride. Butto giù tutto il bicchiere e faccio finta di non pensarci più.
In effetti, gli indizi ci sono tutti. Ma è solo durante una pausa caffè con Ferdinanda (nome di fantasia) che capisco. Una nostra comune amicizia si sposa l’anno prossimo, mi dice: sta con il moroso da tre anni, ha strappato la laurea a novembre e adesso lavora per una di quelle cooperative che ti rinnovano contratti-minchia ogni tre mesi ma almeno pagano; lui invece fa l’architetto e gira voce sia una sentinella in piedi. Discutibile, ma sufficiente per l’epifania. C’è un momento, tra i venticinque e i trenta, in cui le vite si sfasano: fino a quel momento è perfetta la sintonia di tempi e di intenti, di desideri, di stile con gli amici di sempre, tutti i venerdì fuori o a casa di Marta a giocare a Carcassonne, le lezioni, i 12 crediti dell’esame che covi da mesi, le vacanze, gli appuntamenti. Poi invece eccolo lì, mind the gap, un’aritmia che per certi versi è inspiegabile. La gente si sposa, va a convivere, trova lavoro, manca una due tre volte al venerdì sera finché non ti accorgi che è da mesi che non la inviti nemmeno più. Fino a qualche tempo fa avrei fatto spallucce e con un sorriso da piranha avrei citato il monologo all’acido solforico di Mark Renton nel finale di Trainspotting:
“Metto la testa a posto, vado avanti, rigo dritto, scelgo la vita. Già adesso non vedo l’ora. Diventerò esattamente come voi: il lavoro, la famiglia, il maxi televisore del cazzo, la lavatrice, colesterolo basso, polizza vita, mutuo, prima casa, moda casual, salotto di tre pezzi, fai da te, telequiz, schifezze nella pancia, figli, a spasso nel parco, orario d'ufficio, l'auto lavata, tanti maglioni, Natale in famiglia, pensione privata, esenzione fiscale, tirando avanti, lontano dai guai, in attesa del giorno in cui morirai!”
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Ma adesso, davanti al caffè dell’ennesima pausa caffè, al primo anno fuori corso della magistrale, l’unica cosa che mi viene in mente è quella scena di quella puntata indimenticabile di Scrubs, quando J.D. si accorge che a un giorno dai 30 anni non ha realizzato nulla della to do list della vita, e per spuntare almeno una delle voci decide di partecipare a una gara di triathlon. Elliot lo trova mezzo morto dalla fatica a un chilometro dall’arrivo, ed è lì che rincoglionito dalla stanchezza, con Everybody’s Changing dei Kane come sottofondo, J.D. lo dice per tutti noi:
“Elliot, ormai ho 30 anni, sono single, sono senza una casa e probabilmente me la sono fatta addosso.”
E sotto, daje di Everybody’s Changing but I don’t feel the same.
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Quando torno nella sala studio mi rendo conto cosa c’è che non va: di tutte le facce chine sui libri, ne riconosco meno della metà. Mi siedo con l’angoscia di sapere che chi non è qui, adesso è in ufficio, al centro impiego, a casa a piangere sulla laurea in filosofia, qualche raro esemplare è già a spasso con il passeggino a fare una vasca in centro. Io ne ho 26 di anni, sono single, senza una casa e probabilmente me la sono fatta sotto.
Vuoi vedere che tutto questo tempo buttato a fare il nulla era paura? Vuoi vedere che ancora adesso me la sto facendo sotto? Può essere: paura e pigrizia, my old friends.
Alle epifanie, ai sudori freddi e al cagotto, nei film di solito segue la redenzione, dal fondo l’eroe si ripiglia e ce la fa. Farò anche io così. Sì. Ho deciso, basta cazzeggio, basta ore buttate, basta progettare cose. Adesso si fa sul serio. Già non vedo l’ora. Sì, mi rimetterò in carreggiata come fa Mark Renton in Train Spotting, farò come dice lui: “metto la testa a posto, scelgo la vita”. Aspetta, non diceva così. Com’è che faceva? Spetta che mi guardo il monologo su youtube. Cinque minuti, eh, poi comincio davvero.
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