Dziś po raz pierwszy widziałam Biennale Sztuki w Wenecji. Nie wiem czy to dobry sposób na oglądanie sztuki, by wypełnić oczy takim nadmiarem. Bo jest to męczące upchać tyle wizualnych bodźców w jednej przestrzeni, w której się spędza zaledwie parę godzin. A jednak to karmi mózg.
Byłam zaskoczona, że obok różnorodnych, ciekawych prac, było tyle projektów przaśnych, odbijających się gdzieś między kiczem a kampem. Zmęczyło mnie to. Szanuję dziwność, dziwaczność, przegięcie, jeśli im wierzę, jeśli widzę ich uzasadnienie i dystans. Dlatego zauroczył i zaczarował mnie pawilon Litwy: porcelanowe dziwy dwóch młodych dziewczyn. Nie podobało mi się jednak znacznie więcej „barokowych” projektów.
Rozczulił mnie pawilon Serbii, która - z tęsknoty za morzem - dała nam widok wody. Spodobała mi się romska, paczłorkowa koncepcja pawilonu polskiego. W ogóle sporo było oryginalnego przetworzenia tkanin.
Oszołomił mnie pawilon wypełniony roślinnością (ciekawe ile trwało to zarastanie przestrzeni).
Ten pokaz sztuki mógłby się odbyć wszędzie, ale przez to, że odbywa się w Wenecji, w której byłam pierwszy raz, został przez nią całkowicie przyćmiony. Co tam wystawy, Arsenał, Giardini, pawilony, skoro sama Wenecja z jej ulicami, kamienicami, kanałami, z tym światłem i tą wodą, to jedno wielkie biennale….
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FRULLATO DI SOGNI AL LATTE
Latte, sogni e milkshake
Un ignorante d’arte contemporanea (e non solo) si interroga sul senso dell’arte contemporanea (e non solo)
di Giovanni Aldegheri
Sono qui a scrivere questo breve - quasi telegrafico - articolo, anche se di arte so poco, quasi niente. A maggior ragione di arte contemporanea che resta infatti per me, come per molti, in qualche maniera indecifrabile, ermetica.
Nel guardarla, nel viverla intuitivamente, tendo solitamente a racimolare da essa numerosi spunti. E spesso la mia riflessione si ferma lì. Ogni due anni ci provo, vado a La Biennale di Venezia e scurioso, girovagando tra l’Arsenale e i Giardini, nei vari padiglioni nascosti tra corderie, alberi, canali e cespugli.
E quest’anno alla sua 59esima edizione, da La Biennale Arte sono uscito principiante, ignorante, come prima di entrare. Ma una riflessione aggiuntiva, penso di averla elaborata. Una bozza di idea. Che qui provo a condividere, con un sotteso umorismo e allo stesso tempo con grande serietà, senza però - sia chiaro - prendere me stesso sul serio.
L’arte contemporanea, come la si vede a La Biennale, con le sue forme plastiche, i suoni più o meno cacofonici, „rumori e basta“ direbbero in tanti, i video, le installazioni e via discorrendo, ci ricorda dell’importanza di andare oltre. Ci ricorda che l’arte e la creatività non sono solo quelle dei dipinti o delle sculture. Sono invece caratteristiche intrinseche della vita, sono vita. E da lì l’apertura dell’arte a tutto, ma proprio tutto.
La Biennale non ci invita unicamente a pensare. Pensare è solo una delle tante cose che ci sollecita a fare, pensare è solo un aspetto della nostra coscienza. I meandri della mente infatti sono infiniti… e così lo sono quelli dell’arte.
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Storia della Notte e Destino delle Comete | Padiglione Italia
di Beatrice Mosole
Le emozioni che mi attraversano al varcare la soglia del Padiglione Italia sono un immediato senso di calma, un’impressione di traslazione, una necessità di silenzio serbato per luoghi di culto. Sono disorientata rispetto all’aspettativa che mi ero creata, davanti a me si staglia una situazione inequivocabilmente industriale dove una grossa macchina occupa orizzontalmente e verticalmente il centro dello spazio, ingombrante alla vista ma silenziosa all’udito in un contrasto di sensi inaspettato. Percorro gli spazi in quasi solitudine, si procede mormorando a bassa voce verso altri ambienti, si intervallano luci fredde a led e illuminazione naturale che penetra dalle grandi vetrate. Una scala antincendio mi porta altrove, dentro una casa che riflette il suo stato d’animo: spoglia in quanto disadorna, silente in quanto disabitata. Subisco il fascino particolare di questa scatola marrone mal illuminata: il pavimento di mattonelle decorate sconnesse, delle quali un paio producono un rumore sordo al passaggio del piede, richiamano una sensazione conosciuta di ambienti familiari che potrebbero perfettamente trovarsi dietro a una di queste porte chiuse (la curiosità mi fa abbassare le maniglie invano). La finestra della “casa” dà di contro su un paesaggio inaspettato e meno domestico, una fabbrica tessile deserta: altre scale antincendio e percorro poco dopo lo spazio, tra le postazioni ordinate, gli sgabelli vissuti, i rocchetti di filo inseriti dentro a decine di macchine da cucire. Infine l’ultimo ambiente dove un’onda profonda di immensità mi investe. Altre sensazioni: suono di acqua che si infrange lungo i bordi di una lunga vasca di cui non percepisco profondità e lunghezza, odore di corso di nuoto di quindici anni fa, buio pesto di un nuovo colore, liquido nero pece. Una banchina dalla quale affacciarsi e guardo al fondo dello spazio (quanto corre in profondità lo sguardo non riesco a dirlo): piccole frequenze di luci che si intervallano sopra il mare mosso: navi? lucciole? stelle? In modo anomalo questo ultimo spazio, l’unico che produce un vero e proprio suono, mi appare come il più silenzioso. Mi faccio abbracciare dalla sensazione pungente. Da qui, quando l’animo è soddisfatto, di nuovo fuori sotto il cielo coperto di Venezia a novembre.
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Biennale milkshake
di Annalaura Fornasier
Latte dei sogni.
Milk of Dreams.
Sentendo il titolo di questa Biennale, le memorie da millennial riportano al 2010 mentre Katy Perry fluttua sdraiata su una nuvola di zucchero filato o si immerge tra orsetti della Haribo e biscotti allo zenzero.
Ai giardini però non c’erano né i biscotti glassati e lo zucchero a velo, né tanto meno le ciliegine candite. D’altronde non siamo mica a Candyfornia nel 2010.
Eppure tra zampe di gallina metalliche, corpi di centauri, figure androgine ed entità feline dalla profonda giungla Amazzonica, si poteva immaginare pure qualche leccornia.
Per i visitatori di passaggio Il Latte dei Sogni rimane solo un titolo, ma per i curiosi trasporta negli anni cinquanta del novecento, quando Leonora Carrington escogita l’omonima storia per confortare i figli impauriti dalle figure mostruose che aveva dipinto sulle pareti della loro casa a Città del Messico. Leonora non nasconde, ma anzi sfrutta tutta la sua carica immaginativa per dar vita ad un intero universo alchemico ricco di figure spesso orripilanti e spaventose, ma allo stesso tempo bizzarre e buffe come gesto catartico e necessario. La visione mistica, fiabesca e al contempo ironica della realtà e la sua ricerca di connessioni extracorporee risultano un'impresa complessa da trasmettere al visitatore tra le mura affollate del padiglione centrale dei giardini. La presenza del corpo e le sue manipolazioni transumane nelle opere scelte, dimostrano il tentativo di avvicinarsi al lavoro di Leonora, ma gli ampi spazi chiari e luminosi, insieme al costante movimento dei visitatori accaldati, rendono difficile la stessa connessione intima ed individuale che il singolo può invece avere con i racconti o i dipinti dell’artista.
Invece, tra le mura dei padiglioni nazionali, il buio acceca, gli odori si amplificano ed il silenzio degli interni poco frequentati spezza il brusio del torrido ambiente esterno, obbligando a rivolgere lo sguardo alle opere dinanzi. Sarà l’umidità lagunare di meta’ agosto, il contrasto di suoni e luci, il ristoro degli spazi bui rispetto ai 40 gradi all’esterno, ma i padiglioni assumono un'aura solenne, diventando dei mausolei dove poter venerare e connettersi con le nuove grottesche entità che vi ci abitano.
A distanza di mesi dalla visita ai giardini, il mondo occulto di Leonora, le sensazioni e gli incontri nei padiglioni tuttora spingono la mente verso una realtà fiabesca, mettendo in luce l’importanza dell’esperienza individuale con le singole opere lontano dal brusio della folla.
D’altronde, non siamo a Candyfornia nel 2010, eppure mi è parso di averla sognata giusto ieri notte.
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Riflessione
di Carlo Coccia e Matilde Pezzini
La visita alla sede dell’Arsenale della Biennale Arte ci ha lasciato alcuni spunti relativi alla sua impostazione e realizzazione sul campo. Durante il percorso di visita, muovendoci attraverso gli spazi dedicati alla mostra Il Latte dei Sogni, abbiamo potuto apprezzare la disposizione spaziale delle opere che rendono il percorso più interattivo, nonostante comunque si sia puntato poco sulla possibile capacità immersiva degli spazi. Questo è risultato evidente per la scelta di una illuminazione leggermente monotona.
Rispetto alle edizioni precedenti, è apparsa rilevante la presenza di visual art.
Le scelte più interessanti a nostro avviso sono state quelle intraprese dai padiglioni di Malta, Kosovo, Turchia e il Padiglione Italia. Quest’ultimo in particolare riesce, attraverso l’idea di Tosatti, a rendere l’esperienza di visita particolarmente immersiva, a differenza di quanto invece fatto negli spazi precedenti. Il coinvolgimento di più sensi quali l’olfatto e l’udito si è rivelata una scelta particolarmente corretta per quanto detto in precedenza.
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Grazie a Giovanni Aldegheri, Beatrice Mosole, Annalaura Fornasier, Carlo Coccia e Matilde Pezzini per i contributi - team Spritz Apeiron
Fonti:
https://www.labiennale.org/it
https://www.youtube.com/watch?v=rymFN-HOO90
https://www.youtube.com/watch?v=L1JpBY1ZX7Q&list=PL2J3c5AtY5K_kpw97qxH6L5ndDoui9l1a&index=7
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