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#Ubaldo Marchioni
paoloxl · 5 years
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E’ in corso una vera e propria offensiva di recupero del fascismo: dalla spiaggia di Chioggia, ai campi estivi neo–nazisti, ai manifesti inneggianti alla bontà di governo di Mussolini. Più in generale il clima è di allentamento al riguardo dei principi fondamentali dell’antifascismo, sulle sue ragioni profonde, sulla realtà storica dei fatti. Ha contribuito a questa sorta di rilassatezza culturale l’attacco alla Costituzione tentato nel corso die mesi scorsi e (provvisoriamente?) respinto con il voto del 4 Dicembre 2016. Per questi motivi è bene tener viva la memoria, perché senza di essa si smarrisce l’identità repubblicana dell’Italia: il profondo significato etico e politico di questa identità conquistata con la lotta. Queste le ragioni del tentativo di rinnovo del ricordo contenuto in questo intervento, partendo dalle due stragi–simbolo compiute dai nazifascisti nell’estate del 1944 a Sant’Anna di Stazzema e a Marzabotto. Intervento che si conclude con l’elenco delle 139 stragi compiute su tutto il territorio nazionale per un totale (secondo l’Atlante delle stragi nazifasciste in Italia) di circa 23.000 vittime Sant’Anna di Stazzema All’inizio dell’agosto 1944 Sant’Anna di Stazzema era stata qualificata dal comando tedesco come “zona bianca”, ossia una località adatta ad accogliere sfollati: per questo la popolazione, in quell’estate, aveva superato le mille unità. Inoltre, sempre in quei giorni, i partigiani avevano abbandonato la zona senza aver svolto operazioni militari di particolare entità contro i tedeschi. Nonostante ciò, all’alba del 12 agosto 1944, tre reparti di SS salirono a Sant’Anna, mentre un quarto chiudeva ogni via di fuga a valle sopra il paese di Valdicastello. Alle sette il paese era circondato. Quando le SS giunsero a Sant’Anna, accompagnati da fascisti collaborazionisti che fecero da guide[10], gli uomini del paese si rifugiarono nei boschi per non essere deportati, mentre donne, vecchi e bambini, sicuri che nulla sarebbe capitato loro in quanto civili inermi, restarono nelle loro case. In poco più di mezza giornata vennero uccisi centinaia di civili di cui solo 350 poterono essere in seguito identificate; tra le vittime 65 erano bambini minori di 10 anni di età. Dai documenti tedeschi peraltro non è facile ricostruire con precisione gli eventi: in data 12 agosto 1944, il comando della 14ª Armata tedesca comunicò l’effettuazione con pieno successo di una “operazione contro le bande” da parte di reparti della 16. SS-Panzergrenadier-Division Reichsführer SS nella “zona 183”, dove si trova il territorio del comune di S. Anna di Stazzema; l’ufficio informazioni del comando tedesco affermò che nell’operazione 270 “banditi” erano stati uccisi, 68 presi prigionieri e 208 “uomini sospetti” assegnati al lavoro coatto. Una successiva comunicazione dello stesso ufficio in data 13 agosto precisò che “altri 353 civili sospettati di connivenza con le bande” erano stati catturati, di cui 209 trasferiti nel campo di raccolta di Lucca I nazistifascisti rastrellarono i civili, li chiusero nelle stalle o nelle cucine delle case, li uccisero con colpi di mitra, bombe a mano, colpi di rivoltella e altre modalità di stampo terroristico. La vittima più giovane, Anna Pardini, aveva solo 20 giorni(23 luglio-12 agosto 1944). Gravemente ferita, la rinvenne agonizzante la sorella maggiore Cesira (Medaglia d’Oro al Merito Civile) miracolosamente superstite, tra le braccia della madre ormai morta. Morì pochi giorni dopo nell’ospedale di Valdicastello. Infine, incendi appiccati a più riprese causarono ulteriori danni a cose e persone. Non si trattò di rappresaglia (ovvero di un crimine compiuto in risposta a una determinata azione del nemico): come è emerso dalle indagini della procura militare di La Spezia, infatti, si trattò di un atto terroristico premeditato e curato in ogni dettaglio per annientare la volontà della popolazione, soggiogandola grazie al terrore. L’obiettivo era quello di distruggere il paese e sterminare la popolazione per rompere ogni collegamento fra i civili e le formazioni partigiane presenti nella zona. La ricostruzione degli avvenimenti, l’attribuzione delle responsabilità e le motivazioni che hanno originato l’Eccidio sono state possibili grazie al processo svoltosi al Tribunale militare della Spezia, conclusosi nel 2005 con la condanna all’ergastolo per dieci SS colpevoli del massacro; sentenza confermata in Appello nel 2006 e ratificata in Cassazione nel 2007. Nella prima fase processuale si è svolto, grazie al pubblico ministero Marco de Paolis, un imponente lavoro investigativo, cui sono seguite le testimonianze in aula di superstiti, di periti storici e persino di due SS appartenute al battaglione che massacrò centinaia di persone a Sant’Anna. Fondamentale, nel 1994, anche la scoperta avvenuta a Roma, negli scantinati di Palazzo Cesi-Gaddi, di un armadio chiuso e girato con le ante verso il muro, ribattezzato poi armadio della Vergogna, poiché nascondeva da oltre 40 anni documenti che sarebbero risultati fondamentali ai fini di una ricerca della verità storica e giudiziaria sulle stragi nazifasciste in Italia nel secondo dopoguerra. Prima dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, nel giugno dello stesso anno, SS tedesche, affiancate da reparti della X MAS, massacrarono 72 persone a Forno. Il 19 agosto, varcate le Apuane, le SS si spinsero nel comune di Fivizzano (Massa Carrara), seminando la morte fra le popolazioni inermi dei villaggi di Valla, Bardine e Vinca,nel comune di Fivizzano . Nel giro di cinque giorni uccisero oltre 340 persone, mitragliate, impiccate, financo bruciate con i lanciafiamme. Nella prima metà di settembre, con il massacro di 33 civili a Pioppetti di Montemagno, in comune di Camaiore (Lucca), i reparti delle SS portarono avanti la loro opera nella provincia di Massa Carrara. Sul fiume Frigido furono fucilati 108 detenuti del campo di concentramento di Mezzano (Lucca), mentre a Bergiola i nazisti fecero 72 vittime. MARZABOTTO Dopo l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema avvenuta il 12 agosto 1944, gli eccidi nazisti contro i civili sembravano essersi momentaneamente fermati. Ma il feldmaresciallo Albert Kesselring aveva scoperto che a Marzabotto agiva con successo la brigata Stella Rossa e voleva dare un duro colpo a questa organizzazione e ai civili che l’appoggiavano. Già in precedenza Marzabotto aveva subito delle rappresaglie, ma mai così gravi come quella dell’autunno 1944. Capo dell’operazione fu nominato il maggiore Walter Reder, comandante del 16º battaglione esplorante corazzato (Panzeraufklärungsabteilung) della 16. SS-Panzergrenadier-Division Reichsführer SS, sospettato a suo tempo di essere uno tra gli assassini del cancelliere austriaco Engelbert Dollfuss. La mattina del 29 settembre, prima di muovere all’attacco dei partigiani, quattro reparti delle truppe naziste, comprendenti sia SS che soldati della Wehrmacht, accerchiarono e rastrellarono una vasta area di territorio compresa tra le valli del Setta e del Reno, utilizzando anche armamenti pesanti. «Quindi – ricorda lo scrittore bolognese Federico Zardi – dalle frazioni di Pànico, di Vado, di Quercia, di Grizzana, di Pioppe di Salvaro e della periferia del capoluogo le truppe si mossero all’assalto delle abitazioni, delle cascine, delle scuole», e fecero terra bruciata di tutto e di tutti. Nella frazione di Casaglia di Monte Sole la popolazione atterrita si rifugiò nella chiesa di Santa Maria Assunta, raccogliendosi in preghiera. Irruppero i tedeschi, uccidendo con una raffica di mitragliatrice il sacerdote, don Ubaldo Marchioni, e tre anziani. Le altre persone, raccolte nel cimitero, furono mitragliate: 197 vittime, di 29 famiglie diverse tra le quali 52 bambini. Fu l’inizio della strage: ogni località, ogni frazione, ogni casolare fu setacciato dai soldati nazisti e non fu risparmiato nessuno. La violenza dell’eccidio fu inusitata: alla fine dell’inverno fu ritrovato sotto la neve il corpo decapitato del parroco Giovanni Fornasini. Fra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, dopo sei giorni di violenze, il numero delle vittime civili si presentava spaventoso: circa 770 morti. Le voci che immediatamente cominciarono a circolare relative all’eccidio furono negate dalle autorità fasciste della zona e dalla stampa locale (Il Resto del Carlino), indicandole come diffamatorie; solo dopo la Liberazione lentamente cominciò a delinearsi l’entità del massacro. 13 giugno, la strage di Niccioleta Il 13 giugno 1944, i reparti tedeschi e fascisti irruppero a Niccioleta per punire i suoi abitanti che, come in molte zone del grossetano, avevano disertato di presentarsi ai posti di polizia fascisti e tedeschi di Massa Marittima, in seguito ad un manifesto affisso in tutti i comuni della provincia di Grosseto, firmato da Giorgio Almirante. Sei minatori (Ettore Sergentoni, con i figli Aldo e Alizzardo, Rinaldo Baffetti, Bruno Barabissi e Antimo Ghigi) vennero fucilati subito nel piccolo cortile dietro il forno della dispensa, largo non più di tre metri. Il minatore Giovanni Gai riuscì a fuggire nella macchia, grazie ad un attimo di distrazione di un fascista di Porto Santo Stefano, Aurelio Picchianti, che si stava arrotolando una sigaretta. Altri 150 operai furono portati a Castelnuovo di Val di Cecina, e la sera del 14 giugno, 77 minatori vennero giustiziati sulla strada per Larderello, 21 deportati in Germania e gli altri liberati. In tutto perirono nella strage 83 operai di Niccioleta. Tra i cadaveri si scoprì tempo a dietro che c’erano anche i componenti della famoso gruppo partigiano la “Banda di Ariano”: Gianluca Spinola, Vittorio Vargiu, Franco Stucchi Prinetti e Francesco Piredda assassinati dai nazifascisti sempre il 14 giugno. Elenco degli eccidi e delle stragi riconosciute (da Wikipedia) A    Strage di Acerra    Eccidi dell’alto Reno B    Eccidio di Barletta    Strage della Benedicta    Eccidio di Bergiola Foscalina    Eccidio della Bettola    Strage della valle del Biois    Massacro di Biscari    Bombardamenti di Foggia del 1943    Eccidio di Borga    Strage di Borgo Ticino    Eccidio di Boves    Eccidio di Braccano    Bus de la Lum C    Eccidio di Cadè    Strage di Caluso    Strage di Campagnola    Strage del palazzo Comunale di Campi Bisenzio    Strage di Canicattì    Eccidio di Capistrello    Strage di Castello    Strage di Castiglione    Strage di Cavriglia    Eccidio del Colle del Lys    Eccidio di Cravasco    Strage di Cumiana E    Eccidi di San Ruffillo    Eccidio di Santa Giustina in Colle    Eccidio de La Storta    Eccidio dei conti Manzoni    Eccidio dei XV Martiri di Madonna della Pace    Eccidio del Castello dell’Imperatore    Eccidio del Ponte dell’Industria    Eccidio del pozzo Becca    Eccidio dell’Aldriga    Eccidio della caserma Mignone    Eccidio della famiglia Arduino    Eccidio delle Fosse Reatine    Eccidio di Argelato    Eccidio di Bari    Eccidio di Cadibona    Eccidio di Caffè del Doro    Eccidio di Cavazzoli    Eccidio di Cibeno    Eccidio di Civitella    Eccidio di Codevigo    Eccidio di Crespino sul Lamone    Eccidio di Gardena    Eccidio di Guardistallo    Eccidio di Maiano Lavacchio    Eccidio di Malga Bala    Eccidio di Massignano    Eccidio di Monte Manfrei    Eccidio di Monte Sant’Angelo    Eccidio di Pessano    Eccidio di Piavola    Eccidio di Pietralata    Eccidio di Portofino    Eccidio di Pratolungo    Eccidio di San Michele della Fossa    Eccidio di San Piero a Ponti    Eccidio di Schio    Eccidio di Trivellini    Eccidio di Valdagno    Eccidio di Vallarega    Eccidio di Vattaro    Eccidio di via Aldrovandi    Eccidio di Malga Zonta F    Strage di Falzano    Eccidio dell’aeroporto di Forlì    Strage di Forno    Strage delle Fosse del Frigido    Eccidio di Fragheto G    Bombardamento di Grosseto    Strage di Grugliasco e Collegno L    Eccidio di Salussola    Strage di Lasa    Strage di Leonessa M    Martiri di Fiesole    Martiri ottobrini    Strage di Marzabotto    Strage di Matera    Strage della cartiera di Mignagola    Strage della Missione Strassera    Strage di Monchio, Susano e Costrignano    Eccidio di Montalto    Eccidio di Montemaggio N    Eccidio di Nola O    Operazione Ginny    Operazione Piave    Operazione Wallenstein P    Eccidio di Procchio    Eccidio del Padule di Fucecchio    Strage di Pedescala    Strage di Penetola    Eccidio del Pian del Lot    Eccidio di piazza Tasso    Strage di Piazzale Loreto    Eccidio di Pietransieri    Eccidio di Ponte Cantone    Eccidio del ponte di Ruffio    Strage della Portela R    Rastrellamenti di Villa d’Ogna    Eccidio della Righetta    Strage di Rionero in Vulture    Eccidio della Romagna    Eccidio di Ronchidoso    Strage di Rovetta S    Eccidio di San Giacomo Roncole    Strage di San Polo    Eccidio di Sant’Anna di Stazzema    Eccidio di Scalvaia    Strage del collegino di Sesto Fiorentino    Strage di Solcio di Lesa    Eccidio di Soragna    Eccidio di Spino d’Adda    Strage del Duomo di San Miniato    Strage del pane    Strage della caserma di Anghiari    Strage della corriera fantasma    Strage della famiglia Einstein    Strage di Barbania    Strage di Corrubbio    Strage di Costa d’Oneglia    Strage di Gorla    Strage di Oderzo    Strage di San Benedetto del Tronto    Stragi di Ziano, Stramentizzo e Molina di Fiemme T    Eccidio di Tavolicci    Eccidio di Testico    Eccidio del Torrazzo    Strage di Treschè Conca    Triangolo della morte (Emilia)    Strage del Turchino U    Strage di Serra Partucci V    Eccidio di Valdobbiadene    Eccidio di Vercallo    Eccidio dell’ospedale psichiatrico di Vercelli    Eccidio di Vinca http://contropiano.org/news/politica-news/2017/08/12/estate-1944-le-stragi-nazifasciste-non-dimenticare-094699?fbclid=IwAR0ypcv8T_o9uUEHrRgHMUtlhFrD2q1ENyloc1n1hniBh7yoPirhaUYc4Ns
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Le cicatrici dell’Appennino
Gli eccidi nazifascisti rimasti nell’oblio della Giustizia
Tutto era partito da un ordine del maresciallo Albert Kesserling, ferreo comandante a capo delle forze tedesche in Italia. Di fronte all’avanzata dell’esercito alleato i tedeschi si erano asserragliati nelle fortificazioni appenniniche della linea Gotica, ma erano funestati dai frequenti attacchi dei partigiani. Si decise, allora, di fare terra bruciata, sia davanti  all’esercito avanzante, sia attorno alle posizioni tedesche, dove si potevano annidare i combattenti della Resistenza. Ciò voleva dire che all’esercito in avanzata non si doveva far trovare nulla, dai depositi di munizioni alle singole fattorie. Nel caso più brutale, nella lotta alla guerriglia diffusa, significava anche radere al suolo interi villaggi. Le responsabilità di tali azioni sono da imputarsi ai militari tedeschi, spesso supportati dai collaborazionisti della Repubblica Sociale di Salò e solo in parte alle temute SS. È studiando questi avvenimenti che gli storici hanno coniato definizioni come “guerra ai civili” (P. Pezzino), ribadendo quell’atteggiamento di sospetto dei tedeschi verso ogni italiano, visto dopo l’8 settembre come un traditore o sostenitore di quei “briganti” che costringevano l’esercito nazista ad una guerra su due fronti. Kesserling poteva comunque contare su reparti induriti da anni di guerra, soprattutto contro i Russi sul fronte orientale, la cui esperienza risultò tristemente efficacie nel contesto italiano.
Questa brutale opera di rastrellamento ebbe inizio il 13 Aprile 1944. Partina, Moscaio, Badia Prataglia e Vallucciole furono date alle fiamme e distrutte, seguite da Forno (13 Giugno), dove si erano asserragliati i partigiani della brigata "Aldo Mulargia" e Miniera di Niccioleta, fino a Castelnuovo Val di Cecina (14 Giugno). Il 17 giugno 1944 Kesselring inasprì ancora di più la lotta alle bande, assolvendo di fatto da ogni responsabilità ogni ufficiale tedesco che, nella lotta contro i partigiani, avesse assunto metodi anche non conformi all’onore militare. Ne seguì un’escalation che devastò la Toscana Orientale e Nord Occidentale: Bucine, Guardistallo e Civitella della Chiana (29 Giugno), Castelnuovo dei Sabbioni, Massa dei Sabbioni, Meleto e Castelnuovo Berardenga (4 Luglio). In queste azioni furono attivi i tedeschi della Divisione Goering, ma anche reparti italiani della Guardia nazionale repubblicana e della X Mas.
Alle centinaia di morti precedenti se ne aggiunsero molte altre durante l’estate: ad Empoli il 24 Luglio e a Pisa il 1 Agosto furono attuate delle rappresaglie contro altri civili e contro la rimanente comunità ebraica, ma il fatto più sanguinoso doveva avvenire a S. Anna di Stazzema il 12 Agosto 1944. Il piano iniziale era forse quello di far sgomberare i civili presenti in zona, ma qualche reazione degli abitanti avrebbe fatto scattare la feroce rappresaglia. Altri storici propendono per un’azione terroristica premeditata da tempo. In ogni caso, il villaggio fu raso al suolo e gli abitanti sterminati con l’uso di lanciafiamme, mitra e bombe a mano. Il Comune di Stazzema ha ricevuto la Medaglia d’Oro al Valor Militare con questa motivazione:
"Vittima degli orrori dell’occupazione nazista, insigne, per tributo di sofferenze, fra i Comuni della Regione, riassume, nella strage di 560 fra i suoi cittadini e rifugiati di Sant’Anna, il partigiano valor militare e il sacrificio di sangue della gente di Versilia che, in 20 mesi di asperrima resistenza all’oppressore, trasse alla guerra di Liberazione il fiore dei suoi figli, donando alle patrie libertà la generosa dedizione di 2.500 partigiani e patrioti, il sacrificio di 200 feriti ed invalidi, la vita di 118 caduti in armi, l’olocausto di 850 trucidati. Tanta virtù di popolo assurge a luminosa dignità di simbolo, nobile sintesi di valore e di martirio di tutta la Versilia, a perenne ricordo e monito. Versilia, settembre 1943 -–aprile 1945"
Oggi, a Sant’Anna, le vittime del massacro sono ricordate dal Mausoleo- Ossario e da un museo.
Al 28 Settembre si era arrivati al conto di 3622 persone uccise, cifra ovviamente approssimativa e frutto di laboriose ricerche di parenti, storici e studiosi nell’arco degli anni a venire, ma dall’altra parte dell’arco alpino vi era un ufficiale che rivaleggiava con i suoi colleghi del versante toscano. Walter Reder, maggiore delle SS soprannominato “il monco” perché aveva perso l'avambraccio sinistro a Karkov, sul fronte orientale. Considerato da Kesserling uno “specialista” in materia, al comando del 16° Panzergrenadier «Reichsfuhrer», rastrellò e distrusse dal  12 agosto numerosi villaggi tra la Versilia, la Lunigiana e il Bolognese, lasciando dietro di sé più di tremila morti (Gragnola, Monzone, Santa Lucia, Vinca) . In Lunigiana si erano uniti elementi delle Brigate nere di Carrara, fondamentali per la loro opera di guida e coordinazione delle colonne tedesche. Nella zona non c'erano partigiani: lo dirà anche la sentenza di condanna di Reder: «Non c'erano combattenti. Nei dirupi intorno al paese c'era soltanto povera gente terrorizzata...». 
Queste sono le parole di Arrigo Petacco: “A fine settembre il «monco» si spinse in Emilia ai piedi del monte Sole dove si trovava la brigata partigiana «Stella Rossa». Per tre giorni, a Marzabotto, Grizzana e Vado di Monzuno, Reder compì la più tremenda delle sue rappresaglie. In località Caviglia i nazisti irruppero nella chiesa dove don Ubaldo Marchioni aveva radunato i fedeli per recitare il rosario. Furono tutti sterminati a colpi di mitraglia e bombe a mano. Nella frazione di Castellano fu uccisa una donna coi suoi sette figli, a Tagliadazza furono fucilati undici donne e otto bambini, a Caprara vennero rastrellati e uccisi 108 abitanti compresa l'intera famiglia di Antonio Tonelli (15 componenti di cui 10 bambini). A Marzabotto furono anche distrutti 800 appartamenti, una cartiera, un risificio, quindici strade, sette ponti, cinque scuole, undici cimiteri, nove chiese e cinque oratori. Infine, la morte nascosta: prima di andarsene Reder fece disseminare il territorio di mine che continuarono a uccidere fino al 1966 altre 55 persone. Complessivamente, le vittime di Marzabotto, Grizzano e Vado di Monzuno furono 1.830. Fra i caduti, 95 avevano meno di sedici anni, 110 ne avevano meno di dieci, 22 meno di due anni, 8 di un anno e quindici meno di un anno. Il più giovane si chiamava Walter Cardi: era nato da due settimane. Dopo la liberazione Reder, che era riuscito a raggiungere la Baviera, fu catturato dagli americani. Estradato in Italia fu processato dal Tribunale militare di Bologna nel 1951 e condannato all'ergastolo. Dopo molti anni trascorsi nel penitenziario di Gaeta fu graziato per intercessione del governo austriaco. Morì pochi anni dopo in Austria senza mai essere sfiorato dall'ombra del rimorso.(in il Resto del Carlino, 12 aprile 2002)”.
Non serve ricordare che solo in pochi casi (come per Reder e Kesserling, il quale fu condannato al carcere a vita) si riuscì effettivamente a processare e condannare gli autori delle stragi, sia tedeschi, sia collaborazionisti, sia per le oggettive difficoltà nel perseguire la giustizia in tempo di guerra, sia per volontà di alcuni di dimenticare e insabbiare. Vi era un  tacito accordo tra gli ex paesi belligeranti, soprattutto con la Germania (non mancano, comunque, atti terribili anche da parte alleata), per non processare i rispettivi criminali di guerra. I documenti dei processi e i fascicoli raccolti dagli alleati e dagli addetti ai lavori sulle stragi nazifasciste furono chiusi in un armadio, un armadio “fantasma”. Le ante girate verso il muro, in una stanza del Palazzo Cesi Gaddi, a Roma, sede della Procura Generale Militare. Venne scoperto e aperto solo nel 1994 per mano di Antonino Intelisano, magistrato militare che stava indagando sull’autore dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, Erich Priebke . Il giornalista dell’Espresso, Franco Giusolisi, lo ribattezzerà l’“armadio della vergogna”, termine che utilizzerà per il suo omonimo libro. In esso vengono ritrovati 695 fascicoli, 2274 voci di reato e fatti che coinvolgono oltre 15 mila vittime rimaste senza giustizia. Giusolisi sarà il primo, assieme a Alessandro De Feo, a parlarne in un articolo sull’Espresso nel 1996. al suo interno vi erano cinquanta condannati all’ergastolo, tra cui i responsabili delle stragi di Cefalonia, Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, Fivizzano, Civitella in val di Chiana.
È necessario, oggi più che mai, preservare la memoria sia degli eventi tragici, sia dei nomi delle persone che sono ad essi indissolubilmente legati, perché non si dimentichi né il volto dei carnefici, né la sorte delle loro vittime. Che siano, quindi, le parole del presidente tedesco Rau a Marzabotto nel 2002 a concludere questo saggio:
“La colpa personale ricade solamente su chi ha commesso quei crimini. Le conseguenze di una tale colpa, invece, devono affrontarle anche le generazioni successive”.
Vittorio Trenti
Questo articolo è stato pubblicato sul Cimone, il notiziario del CAI di Modena. Per scaricarlo Cliccate Qui
Bibliografia E. Droandi, Le stragi del 1944 nella Toscana orientale, Edizioni Calosci, 2006 http://www.storiaxxisecolo.it/index.htm P. Pezzino, Guerra ai civili. Le stragi tra storia e memoria, in Passato e Presente 58 (2003) http://espresso.repubblica.it/attualita/2015/08/04/news/stragi-nazifasciste-quei-fascicoli-archiviati-dell-armadio-della-vergogna-1.223928 http://espresso.repubblica.it/attualita/2016/02/15/news/stragi-nazifasciste-l-armadio-della-vergogna-adesso-consultabile-online-1.250535
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