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#Luciano Re Cecconi
perfettamentechic · 3 months
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18 gennaio ... ricordiamo ...
18 gennaio … ricordiamo … #semprevivineiricordi #nomidaricordare #personaggiimportanti #perfettamentechic
2022: André Leon Talley, giornalista statunitense. (n.1949) 2022: Yvette Mimieux, all’anagrafe Yvette Carmen Vivieux, attrice statunitense che è stata in attività nel cinema e in televisione. Sposò il regista cinematografico Stanley Donen e  Howard RubyNon ebbe figli. (n.1942) 2021: Catherine Rich, Catherine Simone Henriette Marie Renaudin, attrice francese. Sposò Claude Rich e nacquero due…
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aforismidiunpazzo · 2 years
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Accadde Oggi: 18 Gennaio 1977
Luciano Re Cecconi, calciatore della Lazio, viene ucciso dal gioielliere Bruno Tabocchini con un colpo di pistola. Il calciatore stava per scherzo fingendo una rapina.
Continua su Aforismi di un pazzo.
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giancarlonicoli · 4 years
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21 GEN 2020 20:23
"GIORGIO CHINAGLIA E’ IL GRIDO DI BATTAGLIA!" I GOL, LE PISTOLE, I CALCI NEL SEDERE A D’AMICO, LE SCAZZOTTATE, IL VAFFA A VALCAREGGI (“E’ SOLO UN DISADATTATO IRRECUPERABILE”, COMMENTO' FRANCO CARRARO), GLI ECCESSI E GUAI GIUDIZIARI DI "LONG JOHN", SIMBOLO DELLA LAZIO DEL PRIMO SCUDETTO - "MI DICONO CHE SONO FASCISTA SOLO PERCHÉ VADO AL POLIGONO CON UNA 44 MAGNUM A ESERCITARMI. DI POLITICA NON CAPISCO NULLA MA MI PIACE GIORGIO ALMIRANTE" - VIDEO
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Claudio De Carli per “il Giornale”
Tor di Quinto, 12 maggio 1974, Lazio campione d' Italia, interno. Tavolata di tutta la squadra, eccitazione adolescenziale, ognuno racconta qualcosa, Luigi Polentes si è comprato un orologio nuovo alla gioielleria di Gigi Bezzi, lo fa girare, bello, sì sì, proprio bello, complimenti. Long John dice: fa vedere... e se lo mette al polso, poi legge infrangibile, ride, tutti ridono, allora se lo toglie e lo appoggia sulla tovaglia, prende un coltello per la lama e batte forte il manico sul quadrante, il vetro va in frantumi. Di colpo silenzio: «T' hanno fregato, gli fa a Polentes, vedi, non è infrangibile» e scoppia a ridere.
Quanto ci manchi Giorgione, puro e vero, distruttore del falso in un mondo di quasi tutti ipocriti, se uno è scarso è scarso e bisogna dirlo, non è coraggio, è la verità, e la dicevi con quella testa incassata nel collo piegata da un lato.
Bullo per indole, grande e grosso per natura, emigrante innocente, Galles, serie B, quando torna da noi è uno di Carnaby Street, giacca di velluto, camicia colorata, pantaloni attillati a tubo, stivaletti, basettoni, capello lungo. Diciannove anni, bocciato, il presidente dello Swansea Glen Davis fa: quell' italiano... come si chiama...sì sì, Chinaglia. Bene, quello non diventerà mai un calciatore professionista, non è portato, troppo grosso, meglio per il rugby. E gli sbatte il cartellino in faccia.
Era partito a sei anni dalla casa di nonna Clelia a Montecimato quasi Carrara, solo, su un treno con un cartellino al collo come le bestie, nome, cognome e indirizzo della destinazione, 111 Richmond street, Cardiff, Wales. Lì c' è il resto della famiglia, di mattina gioca a rugby, seconda linea, al pomeriggio calcio, centravanti.
Torna quando la Massese lo tessera per 250 mila lire al mese, l' Internapoli picchia 100 milioni sul tavolo, la notizia gli arriva quando sotto leva è su un banco di marmo in punizione per aver messo le mani addosso a un sergente.
Ma all' Internapoli conosce Pino Wilson, mezzo inglese, un amicone, la Lazio li prende in un colpo solo. La sua storia inizia qui.
Lui e Wilson da una parte, Luciano Re Cecconi e Luigi Martini dall' altra, due bande armate, spogliatoi separati, se per caso sbagliavi porta ti arrivava una bottigliata in faccia, Felice Pulici la evita per un pelo, botte senza pietà durante le partite di allenamento, in gara una squadra di cemento a presa rapida, la Lazio. Chi tradiva aveva chiuso. E una volta si sono messi a sparare per davvero tutti assieme dalle finestre dell' Hotel Americana alla vigilia di un derby. I tifosi della Roma si erano messi a far casino per disturbarli durante la notte, è partito qualche colpo, tutti spariti.
Wilson è il padrino, Long John il supremo, la Lazio è mia, cosa mia, fa, e prende a calci nel sedere Vincenzo D' Amico a San Siro perché non ha fatto pressing su Alessandro Mazzola, fa a cazzotti con Martini, tenta di strozzare l' arbitro Menicucci, non ci riesce, lo rincorre per prenderlo a ombrellate, attacca al muro un dirigente perché ritarda gli stipendi, si sposa, divorzia, si risposa, indagato, processato, prosciolto, spacca difese, un bisonte che vuole sempre vincere, chi non gli passa la palla finisce sul taccuino. A Monaco manda a quel paese due volte Valcareggi (nella foto) perché lo sostituisce con Pietro Anastasi durante Italia-Haiti al mondiale, il braccio destro che accompagna il labiale. Bufera.
Chi pensa di essere? Mai sostituito nella Lazio? E allora? È solo un disadattato irrecuperabile, commenta Franco Carraro. Il gesto è da maleducato, in mondovisione e va su tutti i giornali, ma aveva ragione.
Il ct si era intestardito e aveva messo dentro contemporaneamente Sandro Mazzola, Luigi Riva, Gianni Rivera e lui. Non funziona, Long John gioca da schifo ma non è lui il peggiore, però paga lui. Tommaso Maestrelli vola in Germania, gli chiede di scusarsi pubblicamente, non esiste, gli risponde, e non devo farlo per la Lazio che qui non è rispettata, dovevamo esserci almeno in sette, invece due fanno panchina e io vengo sostituito. Il suo mondiale del '74 si chiude qui. Ma poi si prende una rivincita che entra nella storia, in un colpo solo sistema Italia e Inghilterra a Wembley davanti a quarantamila emigrati che gli inglesi chiamano camerieri. E lui l' ha fatto il cameriere al Mario' s Bamboo restaurant di suo padre. All' 88' va via sulla destra a modo suo, ingobbito, testa giù, quando arriva sul fondo la butta in mezzo, Peter Shilton va in presa bassa, gli sfugge, area piccola, c' è lì Fabio Capello a un metro, la mette, 1-0, prima vittoria dell' Italia contro l' Inghilterra.
Ma lo chiamano fascista. Un tifoso della Roma un sabato sera lo insulta. È al cinema Gregory con tutta la squadra, lui aspetta che si spengano le luci e poi gli si piazza dietro la poltroncina, gli batte due dita sulla spalla, il tifoso si gira e gli arrivano un destro e sinistro che lo sprofondano sulla mouquette della sala. Mi dicono che sono fascista solo perché vado al poligono con una 44 magnum a esercitarmi, tutta la Lazio la chiamano fascista, anche Martini e Re Cecconi girano armati e fanno paracadutismo con quelli della Folgore e allora? Io di politica non c' ho mai capito niente, destra, sinistra, centro, per me sono la stessa cosa, ma mi piace Giorgio Almirante, uno fuori dagli schemi, mi piace come parla, non so se è un tifoso della Lazio, ma mi sembra proprio come noi, forte, aggressivo, sfacciato, fuori dal Palazzo, e lo voto.
Ma in politica poi ci si butta, due volte, con la Democrazia Cristiana alle regionali e alle europee, niente da fare, ci riprova con i Popolari, bocciato.
Va in America, i Cosmos di Edson Arantes do Nascimento lo ricoprono di dollari, lì c' è il business, in nove anni di Nasl segna 231 gol in 234 partite ma quel cimitero di elefanti del soccer non decolla, adesso ha i soldi, è ricco, e ritorna in Italia per la seconda volta. Guai infiniti, casini a Foggia, presidente alla Lazio, paga tutti i debiti, la vuole la meglio squadra del mondo, le ha fatto vincere quasi da solo uno scudetto, la riduce con le pezze al sedere da dirigente, un amore viscerale, sbaglia ogni volta sempre di più, un' indole incapace di controllarsi che lo porta a strafare, generoso e inviso nelle stanze che contano con un progetto dissennato di grandezza. Paga e paga pesante la sua idea di libertà assoluta.
È scappato dalla Lazio con un piede in serie B ma i tifosi non smettono di amarlo: agisco con il cuore, fa, e questo non è sbagliato nel mondo del calcio, voglio troppo bene alla Lazio, per me questa è normalità. Unico, dinastia di uomini che non tornano, lo sguardo malinconico e gli occhi da buono, ha costretto i cronisti a raccontare cose che nel nostro calcio non erano mai successe, caudillo di una squadra trasgressiva che giocava contro tutto, scandalizzava e vinceva.
Di notte in giro per Roma sulla Jaguar e la giacca con le frange, I' m a football crazy, il primo aprile 2012 a Naples, piccola cittadina della Florida, la morte improvvisa per infarto cardiaco, quanto ci manchi Long John.
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imagenprimero · 7 years
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Hace frío y llueve en la tarde que se hace noche bajo el cielo de Roma. Ya van 18 días del primer mes de 1977. Pleno invierno. Luciano Re Cecconi -mediocampista de la Lazio, 28 años- acepta la invitación de dos de sus amigos, Pietro Ghedin y Renzo Rossi. Van a visitar a Giorgio Fraticcioli, encargado de una perfumería en el centro de la ciudad. Luciano lo acompaña a su última tarea del día: el encuentro con el joyero Bruno Tabocchini, en su local de la via Francesco Saverio Nitti.
Re Cecconi quiere jugar a ser un ladrón. Se levanta el cuello de su abrigo. Entra. Grita:
-Arriba las manos. Esto es un asalto.
Son sus últimas palabras. Asustado, sorprendido, Tabocchini no lo reconoce. Y dispara. El único balazo de la Walther 7,65 lo mata.
Fue la broma más cara de la vida breve del Ángel Rubio.
La Justicia creyó esa versión del joyero. Y lo absolvió. Muchos desconfiaron. Y desconfían de ese relato.
Aquel episodio resultó también el manto mortuorio de una historia inverosímil, pero estrictamente real: la de la Lazio de los Pistoleros.
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Era un equipo único, inclasificable, preso de su violencia interna y espejo de la otra violencia, la de todos los días, la de las calles. Guy Chiappaventi, autor del libro Pistolas y balones definió a aquel plantel que investigó en detalle: “Locos, salvajes y sentimentales, simpatizantes fascistas, pistoleros y paracaidistas, jugadores de azar y bailarines de club nocturno; era un equipo dividido en clanes, con dos vestuarios; quien entraba en la habitación errónea corría el riesgo de encontrarse con la amenaza de una botella rota bajo el cuello”.
En el campo de juego resplandecían los que fuera de él se peleaban y se amenazaban con matarse. Ellos le dieron a la Lazio, en la temporada 1973/74, el primer Scudetto de esa historia que ya cumplió 117 años.
Había dos bandas en el plantel. Estaban peleados. A muerte, literalmente. Halcones y Palomas, pero sin tantas palabras públicas y con armas de verdad. A los tiros. Y a los golpes.
De un lado, los cabecillas eran Luigi Martini y Re Cecconi; del otro, Pino Wilson y Giorgio Chinaglia. Discutían por todo. Se peleaban por todo. No compartían el vestuario durante la semana. Esos eran los códigos. Esos enfrentamientos sólo se interrumpían los días de partido.
El periodista Enric González -preciso observador del calcio- contó los alcances de ese grupo indomable en el diario El País: “Aquel grupo indeseable, pero triunfal, estableció la ecuación que identifica al Lazio con el fascismo. Decenas de miles de seguidores laziales de todas las coloraciones políticas querrían romper la ecuación a martillazos, pero es inútil porque existe en ella una verdad matemática: la ultraderecha domina la grada“.
Lazio, de todos modos, ya estaba vinculado a la derecha desde los tiempos de Benito Mussolini. Ahora, el estadio Olímpico da cuenta de esa sensación cada vez que los celestes de la capital se presentan allí, como locales.
Aquellos 70, eran tiempos complejos en la capital italiana. Momentos de armas por todos lados, de violencia latente por los rincones de la ciudad y del país. Lo reconstruyó Andrea De Pauli, en la revista Panenka: “Nadie está seguro en Roma. Las caras pintadas de los indios metropolitanos gritan todo su malestar mientras retumba la música martilleante de su inquietud. Ruidosos, pero a fin de cuentas no demasiado peligrosos. Se trata de unos jóvenes que se sienten marginados por el sistema y, como mucho, pueden obligar a un líder sindical a huir de un mitin, como le pasó a Luciano Lama en el Piazzale della Minerva. Mucho más miedo dan los disparos que resuenan en la calle, acompañando la lucha por el monopolio del tráfico de droga y el creciente número de atracos a bancos y joyerías”. De fondo, el contexto político: las Brigadas Rojas y los fascistas.
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En ese ambiente, con futbolistas armados en las concentraciones y en las prácticas, con dos vestuarios en el campo de entrenamiento de Tor di Quinto, con grescas y golpes en casi cada partido de los viernes -en el que se resolvía la formación de los domingos-, había un hombre que hacía magia. Tommaso Maestrelli, El Maestro, era más que un entrenador; una suerte de alquimista. Resultaba el perfecto administrador de egos y de odios, de talentos y de desprecios. Lo respetaban todos. Escuchaba a todos.
Con él, Lazio regresó a la máxima categoría del fútbol italiano. Y tres años después, salió campeón de la Serie A. La campaña del plantel imposible fue un lujo: 18 victorias, 7 empates, 5 derrotas. Tuvo la defensa menos vencida del torneo y al goleador, el irascible Giorgio Chinaglia. Maestrelli no logró que se quisieran fuera del campo, pero adentro aquel equipo amaba ganar. Y ganaba, aunque celebraran por separado.
Le faltó algo a ese entrenador que le mostró la gloria a la Lazio: convencer a Re Cecconi de que una broma pesada podía terminar en tragedia. Pero no se enteró. Maestrelli se murió un mes y medio antes de que el desmesurado Luciano entrara a la joyería.
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pangeanews · 6 years
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Erano per Almirante, ma piacevano a Berlinguer: ode ai “bad boys” del calcio, la Lazio irriverente di Chinaglia e Maestrelli
“Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada, lì ricomincia la storia del calcio”, diceva Jorge Luis Borges. Li hanno definiti maneschi e fascisti, eppure hanno scritto una delle pagine più belle del calcio italiano. C’è tutta una letteratura su quella squadra di cui ha parlato nel libro Pistole e palloni, ripubblicato nel 2017 da Liet Edizioni, il giornalista e scrittore Guy Chiappaventi. La Lazio di Tommaso Maestrelli, l’allenatore buono, nel 1972-’73 sfiorò lo scudetto e vinse il campionato di serie A nel 1973-’74. Due anni prima militava in serie B. L’ambiente non aveva accolto favorevolmente quel gentiluomo nato a Pisa, che aveva combattuto in Montenegro, che era stato un giocatore dell’odiatissima Roma e che aveva guidato, fino quel momento, compagini di serie cadetta come la Reggina, il Bari e il Foggia. Poi, all’improvviso, il miracolo Lazio. Era specialmente la squadra di Giorgio Chinaglia e Giuseppe Wilson, che non sopportavano chi parlasse lombardo. Maestrelli aveva diviso lo spogliatoio in due. Di qua i chinagliani, di là Martini, Re Cecconi e “quelli del nord”. Chinaglia, centravanti, era un ragazzone bizzoso, figlio di emigranti che aveva iniziato a giocare in Galles dove gli italiani venivano definiti con disprezzo “i camerieri”. L’altro, Wilson, difensore colto e raffinato, il primo calciatore laureato ancora in attività. Nell’undici di base della Lazio del ’74 militavano: Felice Pulici, Sergio Petrelli, Luigi Martini, Giuseppe Wilson, Giancarlo Oddi, Franco Nanni, Renzo Garlaschelli, Luciano Re Cecconi, Giorgio Chinaglia, Mario Frustalupi e Vincenzo D’Amico. La squadra si dichiarava politicamente dalla parte dell’Msi di Giorgio Almirante, ma Enrico Berlinguer, segretario del Pci, aveva simpatie per i colori bianco-azzurri e non lo nascondeva. “Eravamo convinti che potessimo fare ciò che volevamo, sempre e dappertutto”, ha ammesso il capitano Wilson in una recente intervista che ho pubblicato sulla rivista “Lazialità”. Quei giocatori sparavano alle lampadine degli alberghi lasciando sbigottiti i proprietari, ma anche in mezzo alle gambe dei massaggiatori che si prestavano a fare da cavie. Qualcuno volava con il paracadute. Eppure hanno scritto una delle pagine più belle del calcio italiano di tutti i tempi, tanto da attirare le attenzioni del figlio del Presidente delle Repubblica Giovanni Leone, Giancarlo (oggi dirigente di spicco della Rai), che il giovedì si allenava con quel gruppo di scalmanati. Durante le partitelle infrasettimanali volavano spintoni, schiaffi, calci e qualche fondo di bottiglia. La domenica, però, il mucchio selvaggio era un blocco unito, granitico. Sono morti quasi tutti, qualcuno addirittura per un’incredibile fatalità (a Re Cecconi il 18 gennaio 1977 spararono dentro una gioielleria in circostanze mai chiarite del tutto, nonostante la versione ufficiale fu che avesse inscenato una finta rapina). Giorgio Chinaglia, latitante negli Stati Uniti e imputato in Italia per i reati di riciclaggio di denaro e aggiotaggio nel tentativo di riprendersi la Lazio, se ne è andato il 1° aprile 2012, di domenica durante l’ora delle partite.
*
Ma come fece quella squadra così irregolare a vincere il campionato contro ogni previsione? Annotò Mimmo De Grandis (il padre di Stefano, noto conduttore televisivo di Sky Calcio) in S.S. Lazio (Edi-Grafic 1977): “Nessuno lo pensa, nessuno se ne accorge. La squadra è divisa, c’è un gruppo di maggioranza, uno di minoranza, c’è il gruppo degli indipendenti. Al di sopra di tutti si innalza però la figura di Tommaso Maestrelli che tiene in pugno la situazione e governa la barca con sensibilità e intelligente elasticità”. Il segreto stava nelle capacità umane di questo padre per tutti. Affabile, discreto, in grado di gestire sapientemente i suoi ragazzi. Li capiva, li ascoltava. Li difendeva, li perdonava. Il giornalista Franco Recanatesi ha scritto un volume che lo ricorda affettuosamente: Uno più undici (L’Airone 2006) definendo Tommaso Maestrelli “l’interprete più anomalo e meno integrato di un mondo decisamente venale, discretamente superficiale e un po’ tronfio”. Gianni Brera reputava la Lazio un’eresia calcistica. Giocava un calcio all’olandese, arrembante e dinamitardo. Ma si sa, le storie belle finiscono presto. Nell’inverno del 1975 Maestrelli iniziò a stare male e si accasciò al termine di una trasferta vittoriosa a Bologna. Il perseverare dei sintomi lo costrinse a sottoporsi ad esami clinici. Gli fu diagnosticato un epatocarcinoma al fegato. “Perché mi avete chiamato per farmi vedere un morto?”, disse il famoso chirurgo Paride Stefanini allargando le braccia. Perse quasi quindici chili in due settimane. La squadra dello scudetto, senza il suo allenatore, stava precipitando in serie B. All’inizio della stagione 1975-’76 venne chiamato sulla panchina il bergamasco Giulio Corsini, che entrò subito in conflitto con Chinaglia. L’intransigenza di Corsini cozzava con lo spirito di ragazzi anarchici e ammaestrati solo dalla bontà e della dolcezza di Maestrelli. I giocatori continuavano a pensare al loro secondo padre e passavano ore al suo capezzale. Intanto un immunologo genovese, Saverio Imperato, stava sperimentando sull’allenatore una nuova cura contro il cancro. Si era presentato spontaneamente promettendo la guarigione. I risultati furono stupefacenti. Maestrelli, sul letto di morte, cominciò a reagire bene e gli tornò l’appetito. La cura si chiama sinterapia, ed è un trattamento che agisce in sinergia con le terapie ufficiali utilizzando il vaccino BCG per stimolare le difese immunitarie del corpo a reagire contro le cellule tumorali. L’allenatore buono ordinava il pesce e la carne mentre i ristoranti di Roma si mobilitavano per portargli a casa i piatti più prelibati. L’attrice Lea Padovani, tutti i lunedì, gli faceva recapitare la pasta con i fagioli da lei stessa cucinata.
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Era il 30 novembre del 1975. Un giorno insignificante, una domenica come un’altra, per gli italiani. La Lazio partì per la trasferta di Ascoli Piceno. Negli spogliatori dello stadio, prima della gara, in uno dei tanti diverbi tra Chinaglia e Corsini, l’attaccante diede un ultimatum all’allenatore: “Se oggi perdiamo, tu te ne vai”. Maestrelli, da casa, si apprestava ad ascoltare “Novantesimo Minuto” seduto sulla poltrona del salotto. Ad Ascoli faceva freddo. In Piazza del Popolo, chiusa dallo splendido abside di San Francesco, il convoglio dei tifosi di casa partiva alla volta dello stadio. Ascoli era per tutti la città di Alfredo Alfredo di Pietro Germi, e Dustin Hoffman poteva sembrare un po’ l’americano che sarebbe diventato di lì a poco Giorgio Chinaglia andando a giocare nei Cosmos stellari di Pelé e Beckenbauer, diventando in un paio di anni l’icona del calcio statunitense che si stava espandendo in tutto il paese. Allo stadio Cino e Lillo del Duca l’Ascoli si batté al massimo delle forze, mentre la Lazio appariva smarrita. Segnarono Gola e Morello. All’ultimo minuto l’arbitro indicò il dischetto del calcio di rigore in favore la squadra romana. Chinaglia realizzò con un tiro laterale a sinistra. Il bomber esultò, irriverente, verso il pubblico ascolano che l’aveva fischiato per novanta minuti. Per i laziali Ascoli non era di certo, quella notte, la città del film I delfini di Citto Maselli, in cui i giovani del posto furono incapaci di rompere un ordine prestabilito, di andarsene dal luogo della nascita, ma proprio nella cittadina marchigiana nacque la suggestione dell’incredibile ritorno. Chinaglia e Wilson telefonarono a Maestrelli abbandonando ogni indugio: “Mister, noi senza di lei siamo un’armata brancalone”. L’allenatore buono fece una scelta d’amore. Emaciato, magro, febbricitante, ritornò in panchina per i suoi ragazzi. Quando mercoledì 3 dicembre 1975 sciolse ogni riserva, a molti tifosi vennero le lacrime agli occhi, mentre altri aspettarono che si accomodasse in panchina, per crederci veramente. Fu accolto da 75.000 spettatori per la partita interna con il Napoli del 7 dicembre. Salvò la squadra dalla retrocessione, ma morì l’anno successivo, il 2 dicembre 1976. Per un destino crudele, nel 1999 e nel 2011, sono venuti meno, per lo stesso male, anche Patrizia e Maurizio, due dei quattro figli.
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Tommaso, dopo la partita di Ascoli, aveva chiamato la moglie Lina per dirle: “Amore mio, torno ad allenare. Non mi dire di no”. Si era appena lavato il viso e aveva passato il dopobarba sul mento. Si infilò un maglione e si avviò in corridoio dove era posizionato il telefono. Chinaglia e Wilson si abbracciarono come bambini perché erano stati i primi a saperlo, appena rientrati nella capitale e diretti al night club preferito, il “Jackie’O”, meta del jet set italiano di allora. I bad boys avevano finalmente ritrovato il loro maestro. Belli e maledetti, come quella Lazio eccessiva, indomita. Una formazione dove Giorgio Chinaglia si permetteva di sbeffeggiare la Juventus e perfino Gianni Agnelli in persona, l’unico che lo aiutò nella folle impresa di diventare presidente della Lazio nel 1983. Oggi, in un’epoca oberata da costi e fatturati, il calcio degli affetti è svanito. E ci manca, come ci mancano Maestrelli e Chinaglia. Chissà se Giorgio, Long John dalla marca di whisky che beveva, si sentiva solo, in Florida. Dicono che non facesse altro che parlare di Roma, dei tempi belli. Tante volte era tornato e tante volte se ne era andato. Un’avventura continua. Roma è stato sempre orfana di lui, quando non c’era. Ogni settimana lo raggiungeva Giancarlo Oddi al telefono. Parlavano da vecchie glorie, ma l’amore per quella maglia era rimasto immutato. E pensare che qualche giorno prima ci aveva anche giocato, sulla malattia. L’ex compagno di squadra gli aveva detto: “Mica te ne vorrai andare prima di rivederci?”. Lui rispose che stava bene e rise. Aggiunse poche cose con la voce roca, intervallata dalla boccata di una sigaretta appena accesa. A Naples, nella città dove viveva, il clima era ideale. Ci abitano anche Steven Spielberg e Larry Bird su quella linea costiera dal clima temperato. Ma Roma era Roma. I figli di Tommaso Maestrelli hanno voluto che salma del campione fosse tumulata accanto a quella del padre nel cimitero di Prima Porta a Roma (dove ancora oggi giungono mazzi di fiori da tutta Italia). Per una ricongiunzione ideale, come dopo quella lontana partita di Ascoli, che ormai quasi nessuno ricorda più.
Qualunque cosa può essere mitologia. Anche il mito dell’infanzia, del tutto soggettivo, che in questo caso si lega al gioco del calcio, al “basso epico” che Jorge Luis Borges vede come la faccia moderna di un passato altrettanto mitologico, quello dei gladiatori dell’Impero Romano per intenderci, dei lottatori che sublimavano la lotta per la sopravvivenza. Il mito segue il senso della forza fisica, dell’imposizione fiera ed eroica incarnata da Tommaso Maestrelli e Giorgio Chinaglia.
Alessandro Moscè
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feeldeporte-blog · 6 years
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Cómo olvidar la inesperada Muerte del Futbolista Luciano Re Cecconi 😔😔 Artículo completo 👇👇👇 http://feeldeporte.com/la-muerte-del-futbolista-luciano-re-cecconi/ . . . . #futbolista #futbol #futbolistashistoricos #futbolitaliano #futbolmundial #rip #memories #football #footballer #ilovefootball #pasionporelfutbol
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tepasport · 6 years
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Happy Birthday 🍾🍾🍾 Luciano Re Cecconi  ❤️ ❤️ ❤️ A noi piace ricordarlo così, Campione di un calcio che non c'è più ... ⚽️ C'ero anch'io ... https://www.casatepa.it/ 🇮🇹 Made in Italy dal 1952 #tepasport #sneakers #madeinitaly #weareback
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desertodiparole · 7 years
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sportpeople · 7 years
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Mercoledì 18 gennaio 2017, allo Stadio Olimpico di Roma, è stata giocata la partita Lazio-Genoa, sfida valevole per gli ottavi di finale della Coppa Italia. Un trofeo, quest’ultimo, che risulta, ormai da tempo, sostanzialmente obsoleto e privo di quel fascino che lo caratterizzava negli anni passati, sopratutto per la formula adottata, da alcune stagioni a questa parte, e che vede, sistematicamente, favorite le grandi squadre. La competizione attuale, infatti, prevede l’ingresso delle squadre più blasonate della Serie A solo da gennaio, cioè proprio dagli ottavi di finale, con la concreta possibilità, quindi, di poter alzare questo trofeo giocando solo cinque partite. Per non parlare, tra l’altro, della fastidiosa abitudine di dover far giocare queste sfide (in gara secca, visto che la formula di andata e ritorno è prevista solo per la semifinale) nello stadio della squadra più forte. Le logiche economiche e di potere, che tendono a salvaguardare gli interessi dei club più forti, aiutando queste ultime a salvare stagioni, di fatto, fallimentari consentendogli di vincere un trofeo con poche partite (se non addirittura due, visto che c’è anche la Supercoppa subito dopo), quasi certamente non permetteranno una modifica sostanziale di questo tipo di impostazione, nonostante le numerose critiche di appassionati e tifosi vari. Eppure basterebbe davvero così poco per rendere questa competizione nuovamente affascinante. Le proposte, in merito, sono state diverse, spesso prendendo anche ad esempio i trofei nazionali di altri paesi (uno su tutti, la FA Cup inglese), ma tra i vertici del calcio nostrano nessuno sembra averle mai prese seriamente in considerazione.
Oggi, inoltre, per i tifosi laziali, è una giornata un po’ particolare, perché ricorre il quarantesimi anniversario della morte di Luciano Re Cecconi, storico calciatore della Lazio dello scudetto, scomparso tragicamente dopo essere stato colpito da un proiettile sparato dal gioielliere Bruno Tabocchini, all’interno del suo negozio. La versione iniziale parla di un presunto scherzo del calciatore laziale terminato in tragedia, ma la dinamica reale resta, tutt’ora, ancora un mistero. Ai funerali dell’Angelo Biondo (così era soprannominato Re Cecconi) parteciparono centinaia di persone e, da alcuni anni a questa parte, nella Curva Nord della Lazio sventola un enorme bandierone che lo ritrae.
In occasione di questo triste anniversario la società biancoceleste ha anche deciso di realizzare un video commemorativo che viene trasmesso sugli schermi dello Stadio Olimpico alcuni minuti prima dell’inizio di questa partita.
Mentre le immagini scorrono sugli schermi dello stadio, accolte dagli applausi dei tifosi biancoazzurri, nel settore ospiti fanno il loro ingresso anche i sostenitori genoani. Il coro “Genoa Genoa” rimbomba nell’impianto sportivo capitolino, seguito a ruota dal classico “Lazio vaffanculo”, sommerso però dai fischi dei tifosi laziali.
Gli ultras rossoblu sono circa una cinquantina. Affiggono i propri drappi sulle vetrate e si compattano nella parte bassa del settore a loro destinato. Sono molto colorati e rumorosi. Per tutta la durata della partita sventoleranno numerosi bandieroni ed esporranno diversi stendardi. Esordiscono con un coro dedicato ai gemellati di Napoli e saranno autori di una prova vocale davvero molto interessante, con cori continui ed intensi. Numerosi saranno i cori di reciproci insulti tra le due tifoserie presenti quest’oggi, mentre, nel secondo tempo, c’è da segnalare anche il coro, lanciato dai tifosi rossoblu, dedicato a Gabriele Sandri, accolto dagli applausi dei sostenitori di casa. Sempre nella seconda frazione di gioco gli ultras del Genoa effettuano inoltre una bella sciarpata.
Sul fronte opposto, in Curva Nord, i tifosi laziali sono assiepati solo nello spicchio di fianco ai distinti Nord Ovest. Nella parte bassa vengono affissi i drappi “Questa curva non si divide” e “Diffidati vanto nostro”. Le squadre vengono accolte da una sciarpata che coinvolge quasi tutto il settore. Anche qui, per tutta la partita, verranno sventolati diversi bandieroni, sopratutto nella parte bassa della curva. Bandieroni per altro presenti anche nella parte bassa della tribuna tevere, anche qui molto spesso sventolati. I cori, in curva, sono costanti, cantati con molta intensità, e contornati da diversi battimani molto ben coordinati. Verranno inoltre esposti due striscioni. Il primo, mostrato nel corso della prima frazione di gioco, è dedicato proprio a Re Cecconi, e riporta la scritta: “18-1-1977 18-1-2017 ANGELO BIONDO PER SEMPRE!”. Sopra lo stesso, nel contempo, viene energicamente sventolato il bandieroni dedicato al calciatore laziale. Nel secondo tempo, invece, lo striscione esposto riporta la scritta: “CIAO ANGELO ETERNO VIKINGO”, ed è dedicato ad un grande tifoso biancoceleste, appartenente allo storico gruppo dei Viking, scomparso nei giorni scorsi.
Sul campo la partita, per altro giocata in uno stadio sostanzialmente vuoto nonostante i prezzi molto popolari stabiliti per l’occasione, risulta molto bella. La Lazio domina la prima parte del primo tempo, portandosi addirittura in vantaggio per due reti a zero e sbagliando anche un calcio di rigore. Verso la fine del primo tempo, però, il Genoa riesce incredibilmente a riagguantare il pareggio e a riaprire la sfida. Nel secondo tempo, però, la squadra biancoceleste, sale nuovamente in cattedra e riesce ad avere la meglio, seppur faticosamente, sugli avversari, realizzando altre due reti e chiudendo la partita con il risultato di quattro a due. Al termine della partita, mentre le note della canzone “I giardini di marzo” vengono diffuse dall’impianto audio dello Stadio Olimpico e la celebre canzone di Lucio Battisti viene cantata a squarciagola dai tifosi laziali, i giocatori delle due squadre vanno a ringraziare i rispettivi sostenitori per l’apporto ricevuto nel corso dei novanta minuti di gioco.
Daniele Caroleo.
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Il trofeo ormai obsoleto: Lazio-Genoa, Coppa Italia Mercoledì 18 gennaio 2017, allo Stadio Olimpico di Roma, è stata giocata la partita Lazio-Genoa, sfida valevole per gli ottavi di finale della Coppa Italia.
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perfettamentechic · 1 year
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18 gennaio ... ricordiamo ...
18 gennaio … ricordiamo … #semprevivineiricordi #nomidaricordare #personaggiimportanti #perfettamentechic
2022: André Leon Talley, giornalista statunitense. Fu uno dei primi afro-americani ad avere successo nel campo del giornalismo di moda. Dopo aver lavorato presso le riviste Interview e New York Times, nel 1983 Talley iniziò a scrivere per Vogue, e nel 1988 ne divenne direttore artistico. Dal 1995 fu per tre anni direttore dell’edizione parigina di W Magazine, per poi tornare a Vogue, dove tenne…
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aforismidiunpazzo · 3 years
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Accadde Oggi: 18 Gennaio 1977
Luciano Re Cecconi, calciatore della Lazio, viene ucciso dal gioielliere Bruno Tabocchini con un colpo di pistola. Il calciatore stava per scherzo fingendo una rapina.
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Luciano Re Cecconi y Aldo Agroppi disputando el Torino-Lazio en Mayo de 1974.
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tepasport · 6 years
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Luciano Re Cecconi Il figlio Stefano ha scritto un libro sulla vita del padre dal titolo "Lui era mio papà"... ⚽️ C'ero anch'io ... https://www.casatepa.it/ 🇮🇹 Made in Italy dal 1952 #tepasport #sneakers #weareback
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