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#Il Ritorno alla Mancia
uwmspeccoll · 20 days
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Wood Engraving Wednesday
MANUEL VERMEIRE
This 6.5 x 6.2 in. (16.5 x 15.75 cm) wood engraving is by Belgian printmaker Manuel Vermeire (b. 1987) and is one of the prints selected for inclusion in the Fourth Triennial Exhibition 2020-2022 of the American wood engravers society, the Wood Engravers’ Network (WEN). This image is from the catalog for that traveling show.
While Vermeire makes prints in other media, his specialty is wood engraving and much of his work follows a tradition of rendering paintings as wood engravings. We don't know if this print Il Ritorno alla Mancia is from any particular painting, but it could reference any number of paintings, prints, or illustrations depicting this scene from Don Quixote. He notes that his principal influences are Albrecht Dürer, Jacob de Gheyn II, and Timothy Cole. Of his work in wood engraving, Vermeire has said:
I started to make woodcuts and linocuts at the age of 15. Even in those early days, I did see myself developing as a printmaker and eventually honing and perfecting my working technique. When I was around 21, I chanced upon end grain wood as a base engraving option – and I realized that it was easily the most pliable and workable surface for my craft. My debut in this field was very spontaneous and natural.
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View other posts with engravings from the WEN Fourth Triennial Exhibition.
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unfilodaria · 1 year
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Buon primo maggio
Buon primo maggio a quelli che il lavoro è un diritto ma è un pezzo che mi va tutto storto. Buon primo maggio a quelli che sono a tempo indetermimìnato fino a quando il responsabile delle risorse umane ti convoca e ha il buon gusto di non indossare la divisa regolamentare del kapo e ti dice che tu non lo sapevi ma ti sei stufato di fare quel lavoro e vuoi cambiare e l'azienda è in attivo ma non dipende da noi è la sede centrale che ce lo chiede, come nel peggiore dei romanzi di Asimov e tu hai un affitto da pagare e cinquant'anni e una famiglia da mantenere e hai lavorato lì vent'anni e la notte da lì a sempre non dormirai più. Buon primo maggio alle partite iva che se son partite ci sarà un motivo e noi lì ad aspettare un ritorno che al confronto Godot era Lassie. Buon primo maggio a quelli degli uffici preposti. Buon primo maggio a quelli che di lavoro aiutano gli altri a trovare lavoro e svegliandosi la mattina e pagandosi il caffè al bar sono già in attivo con la coscienza. Buon primo maggio a quelli che dice che hanno tirato le pietre e hanno fatto le barricate e ora portano ancora la barba lunga ma lavorano per una multinazionale e fingono di non capire e acchiappano tutto quello che possono. Buon primo maggio a quelli che dice che ci rubano il lavoro e fanno i figli e ci cancellano la razza e poi vai a guardare e più son convinti di 'ste minchiate più è probabile che non abbiano figli e non lavorino da un pezzo sul serio. Buon primo maggio a quelli che insegnano a scuola mica perché era quello che volevano fare ma solo perché era quello che c'era e non sanno un cazzo, non vogliono sapere un cazzo, si trascinano dall'aula insegnanti alla tonnara didattica e stanno lì a aspettare la morte e basta aggrappati al programma ministeriale, insensibili alle lusinghe della conoscenza, inabili al racconto e anche solo alla parola, lontanissimi dalla pratica minima tecnologica, contatori di mesi alla pensione e di scatti e ferie e supplenze ma vincitori di concorso., sulla pelle dei ragazzi. Buon primo maggio a quelli che Lolli gliele ha cantate e per non restare a fare i pastori ora fanno i cani da guardia. Buon primo maggio a quelli che sono politici in carriera e fingono di averci un'idea, una qualsiasi, non necessariamente sempre la stessa e si danno incarichi tra loro e si fingono imprenditori e mecenati e illuminati e campano di esercizi di potere costruiti secondo gerarchie complesse che passano dal caffè al bar alla carica ministeriale, generando a catena altri mostri in coda, come loro, figli loro e dei loro sodali, peggio di loro, che nemmeno nella peggiore delle apocalissi dei morti viventi. Buon primo maggio ai camerieri che la mancia gliela tolgono dalla retribuzione. Buon primo maggio ai fogli di dimissione firmati in bianco. Buon primo maggio a quelli che da un call center in Albania rompono i coglioni per otto ore alla gente che li manda a fare in culo al telefono e quello è il loro lavoro e sono certo che a fine giornata la fatica pesa pari alla vergogna ma c'è la spesa da pagare. Buon primo maggio a tutte quelle parole di merda per dare distanza al dolore e dire esodati, a progetto, stagista, cooperativa di servizi. Buon primo maggio a quelli che picchiano i vecchi nelle case di cura per lavoro. Buon primo maggio agli artisti che non fanno un cazzo e si lamentano sempre, qualcuno ogni tanto si ammazza ma è tutta scena. Buon primo maggio a quelli che il lavoro rende liberi e a quelli che il tempo oltre il lavoro lo dicono libero, non fateli mai incontrare. Buon primo maggio ai lavori socialmente utili che non servono a niente per definizione in un mondo socialmente inesistente. Buon primo maggio a me che sono il peggiore di tutti perchè il derubato che sorride ruba qualcosa al ladro.
Giorgio Olmoti
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Turno andato, bene su quattro ore e un quarto di lavoro ma malino per quanto riguarda spazzare e lavare gli spogliatoi. È più problematico dello spazzo della sala, per quest'ultima non mi hanno detto di utilizzare poca acqua. Oltretutto nello spogliatoio degli uomini dei colleghi lasciano i loro monopattini elettrici, anche in carica, che danno solo fastidio.. io non mi permetto di toccare la roba personale di altri colleghi e faccio fatica sia a spazzarci che a lavarci. Vabbè, spero che come ho fatto sia stato sufficiente, se no me lo diranno. A inizio turno alla radio c'è stata anche Adam's Song dei blink-182. ✨
Stasera un uomo, straniero, mi ha dato in mano cinque euro di mancia. Se non sbaglio era quello con il figlio che ha ordinato una coppetta Oreo, aveva chiesto di portarla velocemente perché di lì a poco sarebbe iniziato il film. Ho chiesto a Elena cosa dovevo farci di quei soldi e mi ha detto di andare da Danica in cassa. Io internamente: "OOH finalmente". Arrivato da Danica ha incominciato a guardarmi stralunata e mi ha detto di tenerli. Niente, ammontare dei soldi da non tenere pari a dodici euro e settanta centesimi.
Elena ha visto che quando sbarazzo i tavoli metto la carta nella tasca del grembiule e si è messa a ridere perché le sembrava una cosa buffa. In effetti lo è, perché vado in giro con un malloppo sul davanti tipo marsupiale 😅, ma è il metodo che preferisco. Se potessi ripiegare le cartacce senza dislivelli potrei tenerle sotto il vassoio ma a volte questo non è possibile quindi preferisco fare così.
Mentre mi cambiavo un collega della cucina parlando mi ha chiesto se eventualmente potevo dargli un passaggio alla tramvia, ho detto di sì ma una volta fuori ha rinunciato perché un altro suo collega non aveva ancora finito o qualcosa del genere. Ho detto di sì perché se è vero che avrei dovuto allungare il mio viaggio di ritorno comunque la tramvia non è lontana, so come arrivarci, e a livello ambientale la benzina, dal ristorante alla tramvia, sarebbe stata divisa su più teste invece di una sola.
Per la prossima settimana hanno rispettato la mia disponibilità, quindi ora ho qualche giorno di riposo dal lavoro.
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thebookwormsnest · 6 years
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Ho controllato il New York Times. Ho controllato il Telegraph. Ho controllato Le Monde. Ho controllato la BBC. Ho confrontato le proposte delle migliori case editrici italiane. Ho setacciato mezzo internet per poter stilare una lista al contempo più completa e più varia possibile.
E, alla fine, ce l'ho fatta.
Clicca su "Continua a leggere" per scoprire l'elenco completo dei duecento libri da leggere prima di morire! 
I DUECENTO LIBRI DA LEGGERE PRIMA DI MORIRE: L'ELENCO
(IN ORDINE ALFABETICO)
1984 – George Orwell
1Q84 – Haruki Murakami
A Christmas Carol – Charles Dickens
A ciascuno il suo – Leonardo Sciascia
A Fine Balance – Rohinton Mistry
A me le guardie! – Terry Pratchett
A sangue freddo – Truman Capote
Alice nel Paese delle Meraviglie – Lewis Carroll
Alla ricerca del tempo perduto – Marcel Proust
Altri libertini – Pier Vittorio Tondelli 
Amabili resti – Alice Sebold
Amore e Psiche – Apuleio
Anna dai capelli rossi – Lucy Maud Montgomery
Anna Karenina – Lev Tolstoj
Artemis Fowl – Eoin Colfer
Ayla figlia della Terra – Jean Auel
Bar sport – Stefano Benni
Black Beauty: autobiografia di un cavallo – Anna Sewell
Bleak House – Charles Dickens
Brideshead Revisited – Evelyn Waugh
Buchi nel deserto – Louis Sachar 
Buona apocalisse a tutti! – Terry Pratchett and Neil Gaiman
Caino e Abele – Jeffrey Archer
Canto di Natale – Charles Dickens
Casa Desolata – Charles Dickens
Cent'anni di solitudine – Gabriel García Márquez
Charlotte's Web – EB White
Cime tempestose – Emily Brontë
Comma 22 – Joseph Heller
Cristo si è fermato ad Eboli – Carlo Levi
Cuore – Edmondo de Amicis
Cuore di tenebra – Joseph Conrad
David Copperfield – Charles Dickens
Delitto e castigo – Fëdor Dostoevskij
Diario – Anne Frank
Dieci piccoli indiani – Agatha Christie
Dio di illusioni – Donna Tartt
Don Chisciotte della Mancia – Miguel de Cervantes
Dracula – Bram Stoker
Dune – Frank Herbert
Emma – Jane Austen
Fahrenheit 451 – Ray Bradbury
Favole al telefono – Gianni Rodari
Finzioni – Borges
Frankenstein – Mary Shelley
Furore – John Steinbeck
Gente di Dublino – James Joyce
Germinale – Emile Zola
Gita al faro – Virginia Woolf
Gli indifferenti – Alberto Moravia
Gormenghast – Mervyn Peake
Grandi speranze – Charles Dickens
Guerra e pace – Lev Tolstoj
Guida galattica per autostoppisti – Douglas Adams
Harry Potter – J. K. Rowling
Ho un castello nel cuore – Dodie Smith
I Buddenbrook – Thomas Mann
I cercatori di conchiglie – Rosamunde Pilcher
I Dolori del Giovane Werther – J. W. Goethe
I figli della mezzanotte – Salman Rushdie
I fiori del male – Charles Baudelaire
I fratelli Karamazov – Fedor Dostoevskij
I Malavoglia – Giovanni Verga
I Miserabili – Victor Hugo
I pilastri della terra – Ken Follett
I Promessi Sposi – Alessandro Manzoni
I Tre Moschettieri – Alexandre Dumas
Il barone rampante – Italo Calvino
Il bianco e il nero – Malorie Blackman
Il buio oltre la siepe – Harper Lee
Il Cacciatore di Aquiloni – Khaled Hosseini
Il canto del cielo – Sebastian Faulks
Il Codice da Vinci – Dan Brown
Il Colore Viola – Alice Walker
Il Commissario Maigret – George Simenon
Il Conte di Monte Cristo – Alexandre Dumas
Il diario di Bridget Jones – Helen Fielding
Il Dio delle piccole cose – Arundhati Roy
Il dottor Jekyll e Mr. Hyde – Robert Louis Stevenson
Il dottor Zivago – Boris Pasternak
Il fu Mattia Pascal – Luigi Pirandello
Il Gattopardo – Giuseppe Tomasi di Lampedusa
Il giardino dei Finzi-Contini – Giorgio Bassani
Il giardino segreto – Frances Hodgson Burnett
Il giornalino di Gian Burrasca – Vamba
Il giovane Holden – J. D. Salinger
Il grande Gatsby – Francis Scott Fitzgerald
Il leone, la strega e l'armadio – C. S. Lewis
Il maestro e Margherita – Bulgakov
Il mago – John Fowles
Il Mandolino del Capitano Corelli – Louis De Berniere
Il mondo nuovo – Aldous Huxley
Il Nome della Rosa – Umberto Eco
Il Padrino – Mario Puzo 
Il paradiso degli orchi – Daniel Pennac
Il passaggio segreto – Enid Blyton
Il Piccolo Principe – Antoine De Saint-Exupery
Il potere e la glori – Graham Greene
Il Processo – Franz Kafka
Il Profeta – Kahlil Gibran
Il profumo – Patrick Süskind
Il ragazzo giusto – Vikram Seth
Il ritratto di Dorian Gray – Oscar Wilde
Il Rosso e il Nero – Stendhal
Il signore degli anelli – J. R. R. Tolkien
Il signore della magia – Raymond E. Feist
Il signore delle mosche – William Golding
Il vecchio e il mare – Ernest Hemingway
Il velo dipinto – W. Somerset Maughan
Il vento tra i salici – Kenneth Grahame
In culo al mondo – Antonio Lobo Antunes 
Io, robot – Isaac Asimov
Jane Eyre – Charlotte Brontë
Katherine – Anya Seton
Kitchen – Banana Yoshimoto
La casa degli spiriti – Isabel Allende
La ciociara – Alberto Moravia 
La collina dei conigli – Richard Adams
La coscienza di Zeno – Italo Svevo
La Divina Commedia – Dante Alighieri
La donna in bianco – Wilkie Collins
La fabbrica di cioccolato – Roald Dahl
La famiglia Winshow – Johnathan Coe
La fattoria degli animali – George Orwell
La fattoria delle magre consolazioni – Stella Gibbons
La fiera delle vanità – William Makepeace Thackeray
La lettera scarlatta – Nathaniel Hawthorne
La luna e i falò – Cesare Pavese
La Storia – Elsa Morante
La trilogia della città di K – Agosta Kristof
La verità sul caso Harry Quebert – Joel Dicker
La versione di Barney – Mordecai Richler
L'alchimista – Paulo Coelho
L'amore ai tempi del colera – Gabriel García Márquez
L'arte della guerra – Sun Tzu
L'arte di essere felici – Arthur Schopenhauer 
Le affinità elettive – Goethe
Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie – Lewis Carroll
Le Avventure di Pinocchio – Collodi
Le Avventure di Sherlock Holmes – Sir Arthur Conan Doyle
Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco – George R. R. Martin
Le notti bianche – Fedor Dostoevski
L'eleganza del riccio – Muriel Barbery
Lessico Familiare – Natalia Ginzburg
Lettera a un bambino mai nato – Oriana Fallaci
L'insostenibile leggerezza dell'essere – Milan Kundera
L'isola del tesoro – Robert Louis Stevenson
Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte – Mark Haddon
Lolita – Vladimir Nabokov
L'ombra del vento – Carlos Ruiz Zafon
L'ombra dello scorpione – Stephen King
L'opera completa di Shakespeare
Madame Bovary – Gustave Flaubert
Mattatoio n. 5 – Kurt Vonnegut 
Memorie di Adriano – Marguerite Yourcenar
Memorie di una geisha – Arthur Golden
Middlemarch – George Eliot
Moby Dick – Herman Melville
Morty l'apprendista – Terry Pratchett
Niente di nuovo sul fronte occidentale – Remarque
Night watch – Terry Pratchett
Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino – Christiane F.
Non ora, non qui – Erri De Luca
Norwegian Wood – Haruki Murakami 
Notes From A Small Island – Bill Bryson
Oceano mare – Alessandro Baricco
Odissea – Omero
Oliver Twist – Charles Dickens
Opinioni di un clown – Heinrich Boll
Orgoglio e pregiudizio – Jane Austen
Pastorale americana – Philip Roth
Persuasione – Jane Austen
Piccole donne – Louisa May Alcott
Possession – AS Byatt
Preghiera per un amico – John Irving
Quel che resta del giorno – Kazuo Ishiguro
Queste oscure materie – Philip Pulman
Racconto di due città – Charles Dickens
Rebecca, la prima moglie – Daphne du Maurier
Ritorno a Brideshead – Evelyn Waugh
Se questo è un uomo – Primo Levi
Shining – Stephen King
Siddharta – Hermann Hesse
Sostiene Pereira – Tabucchi
Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare – Luis Sepulveda
Suite francese – Irene Nemirovsky
Sulla strada – Jack Kerouac 
Tess dei d'Urbervilles – Thomas Hardy 
The Faraway Tree Collection – Enid Blyton
The Wasp Factory – Iain Banks
Tre Uomini in Barca – Jerome K. Jerome
Uccelli di rovo – Colleen McCullough
Ulisse – James Joyce
Un Uomo – Oriana Fallaci
Una città come Alice – Nevil Shute
Uomini e topi – John Steinbeck
Via col vento – Margaret Mitchell
Via dalla pazza folla – Thomas Hardy
Vita di Pi – Yann Martel
Winnie the Pooh – AA Milne
Mi sembra strano che autori come Baudelaire, Wilde o Shakespeare siano stati citati un'unica volta, così come il Diario di Anna Frank o Ulisse di Joyce - che per carità possono piacere o non piacere, ma sono comunque importanti dal punto di vista storico il primo ed il padre del modernismo inglese il secondo - mentre Harry Potter o Il Signore degli Anelli erano presenti in tutte le liste - anche qui, importantissimi per la storia del fantasy e perfino rivoluzionari, ma paragonarli a Shakespeare?
E voi, cosa ne pensate? Siete d'accordo, anche parzialmente, o ci sono grandi assenti? Fatemelo sapere nei reblog :)
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mazzait · 5 years
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13 Novembre:  Dakar
Riposo.
Oggi secondo giorno di riposo, altra buona notte di sonno e di relax.
Al mattino lunga colazione ( spazzoliamo tutto, il buffet è costantemente vuoto, i camerieri sono allibiti dalla nostra voracità) con chiacchiere varie poi ancora un po' di attività di routine e quindi mi sono fatto una lunga passeggiata fino al punto più occidentale del Africa continentale che coincide praticamente con l' ex Club Mediterranee.
Avevamo prenotato circa 40 anni fa ( approfittando di uno scalo per o da Buenos Aires) ma poi avevamo disdetto e non ricordo il motivo: ma ho ben presente che ero affascinato di poter passare una settimana in questo club, che era uno dei migliori del Med.
Adesso è in rovina totale da alcuni anni: stringe il cuore vedere questa maestosa struttura, sulla spiaggia più bella di Dakar, protetta da un reef a 1 km dalla costa, in totale abbandono. Il club lo ha venduto nel 2010 ad una società senegalese che non ha saputo/voluto gestirlo e è finito così, come si vede dalle foto.
Ci sono i guardiani che non lasciano entrare ma basta allungare una mancia...
al ritorno, piccolo siparietto: li vicino, ovviamente il posto più esclusivo di Dakar c'è l'ambasciata degli Usa, grande, maestosa, piena di fiori al esterno e circondata da un alto muro e mi è venuto istintivo di fargli una foto. Esce subito un marines che mi chiede se ho fatto la foto, alla mia risposta affermativa chiama la polizia senegalese che mi porta in un gabbiotto e mi sequestrano la macchina fotografica.
Un po' di discussioni con il mio francese zoppo, si fanno la fotocopia della mia fotocopia del passaporto, riempio un formulario che poi loro ricopiano su un altro uguale e alla fine, cancellata la foto incriminata, mi danno via libera: è stato abbastanza divertente. ( gli stessi poliziotti senegalesi mi hanno fatto capire che gli americani sono sono ossessionati per queste cose di sicurezza).
E così anche il secondo giorno di riposo sta passando, domani vorrei andare a vedere il mercato locale in centro.
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pangeanews · 6 years
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Tour nella città fantasma di Pyramiden, vent’anni dopo l’abbandono. Alle Svalbard, dove Lenin si erge tra gli orsi e tutto è a prova di Armageddon
La porta di legno era chiusa a chiave dall’interno. Quando finalmente ritrovarono la Swedish House, la casa svedese, nell’Isfjorden, alle Svalbard, la casa di legno, la casa più antica delle Spitsbergen, era immersa in un silenzio sinistro. All’esterno, i corpi di cinque cacciatori di foca avvolti in coperte di tela catramata. Era l’estate del 1873 e una nave era partita da Tromso, dalla Norvegia settentrionale, per cercarli. I diciassette cacciatori svedesi avevano fatto sparire le proprie tracce il 14 ottobre 1872, diretti alla “Svenskhuset”. Avevano trovato alloggio e rifugio, nella casa svedese appunto, quei diciassette cacciatori svedesi, scelti tra quelli privi di famiglia, non tutti potevano essere assistiti dall’esploratore Adolf Erik Nordenskiöld, in spedizione nel territorio artico. Ma in quella casa c’era tutto il necessario, cibo, carbone e abiti in abbondanza, per affrontare la lunga notte artica. La porta, su cui è disegnato un divieto d’accesso, viene spalancata e, dentro, si trovano i cadaveri, stecchiti dal gelo, degli svedesi dispersi. In tutto quindici (due saranno trovati anni dopo). Dentro casa, i corpi dei cacciatori sono seduti sulle sedie, sdraiati a letto e sul pavimento, conservano la postura esatta del momento in cui la morte li ha colti e il gelo custoditi. I cadaveri vengono presto bruciati e uno dei misteri delle Svalbard e Jan Mayen passa alla storia come una delle numerose tragedie dello scorbuto, tra i ghiacci polari. Eppure erano già note all’epoca le malattie che potevano colpire gli esploratori e i cacciatori di foche e di orsi. Nel 2008, alcuni medici riescono a riaprire il caso, c’era qualcosa di sospetto in quelle morti, qualcosa di maledetto in quella Swedish House. “Si tratta di avvelenamento da piombo”, ci spiega la giovane guida, un allegro ragazzo siberiano a bordo del piccolo catamarano Aurora Explorer, mentre attraversiamo le fredde acque dell’Isfjorden, diretti a Pyramiden. Mi racconta che la storia della casa svedese è parecchio nota. Mi mostra anche un libro in cui avrei potuto trovare maggiori informazioni, Isfjorden di Kristin Prestvold. La casa svedese è una di quelle storie leggendarie che si possono facilmente scoprire tra queste terre artiche e inospitali. Con la strana sensazione di sapere che non si tratta affatto di leggende. L’avvelenamento da piombo – mi spiega la guida – è stato causato dal cibo intossicato che, lentamente ma inevitabilmente, ha condotto questi robusti e avventurosi svedesi alla morte certa. Non erano morti per la mancanza di vitamina C, ma a causa del piombo utilizzato per sigillare le lattine dei cibi. Una morte forse più inquietante di quella di Roald Amundsen, l’Aquila Bianca della Norvegia, scomparso per sempre e inghiottito dall’Artico mentre andava alla ricerca del suo rivale, amico nemico, Umberto Nobile, il cui dirigibile Italia era naufragato sul pack, a nord est delle Svalbard.
La città fantasma di Pyramiden, nata intorno alle miniere di carbone, è russa dal 1929 ed è stata abbandonata nel 1998 (le fotografie del servizio sono di Linda Terziroli)
Sulle spedizioni polari, la giovane guida russa mi consiglia di visitare il North Pole Expedition Museum di Longyearbyen, dove lui vive felicemente da quattro anni e dove ritrovo cimeli straordinari, testimonianze dei pionieri dell’Artico, da Nansen a Cook e Peary, fino ai disegni e filmati originali dei dirigibili che hanno raggiunto il Polo, prima il Norge e poi l’Italia e persino dei residui di telai, radio, cordami, libri e documenti di inestimabile valore. Fotografie e lettere, storie di chi ha fatto ritorno e di chi non è mai tornato vivo dal Polo. Come il giovane giornalista Ugo Lago, scomparso a bordo dell’Italia nei cieli dell’Artico. La sua lettera scritta alla vigilia della partenza, dalla grafia dannunziana, non si può leggere senza provare una dolorosa fitta al cuore. “Carissimi papà, mammà e Dora, io tornerò certamente da questo viaggio polare. Se mai non tornassi, e se avete, come avete, fede in Dio e nell’immortalità dell’anima, pensate che il più grande dolore che possiate dare al mio spirito, in cielo, è quello di vedervi disperati. Il vostro dolore tranquillo deve rassegnarsi, se volete sapere la mia anima felice. Questa è la mia più viva preghiera. Vi bacio tutti con affetto eterno Ugo”. La lettera è datata 11 aprile 1928. Il dirigibile su cui viaggiava Ugo Lago, giornalista de Il Popolo d’Italia, scomparve il 25 maggio. Non c’è tenerezza tra questi ghiacci, benché i fiori di cotone inizino a spuntare ad agosto e il papavero artico faccia la sua comparsa breve. La desolazione è sublime, il cielo plumbeo incombe, insieme a scuri gabbiani che attraversano il cielo. C’è persino una scuola e l’asilo qui a Longyearbyen, i bambini sono imbacuccati e con piccoli giubbotti catarifrangenti. Mentre il loro “prato” brullo è circondato dall’alta maglia della rete di recinzione. Non è possibile non fare i conti con gli orsi da queste parti. Chiunque deve sapere che un orso polare potrebbe spingersi fino in paese da un momento all’altro. Quindi tutti girano armati di fucile. All’ufficio postale e in banca non è possibile entrare armati e un cartello con il singolare divieto è incollato alle porte scorrevoli di vetro. Si vede che l’orso non ama la vita civile. Qualche mese fa è successo – racconta sempre la guida – ad una ragazza che stava passeggiando a breve distanza dalla città di Longyearbyen. È stata azzannata. Qui l’orso non ispira una simpatia da circo, ma incute il timore delle belve feroci. In questo fiordo non si vedono altre imbarcazioni, ma tutto intorno sipari di montagne dalla forma triangolare, piramidale, mentre i ghiacci finiscono in mare. Piccoli pezzi di ghiaccio galleggiano in superficie e iniziano a sciogliersi. Si vedono due orsi, a occhio nudo, sulle rocce vicino al ghiacciaio Nordenskiöld, di fronte alla città mineraria abbandonata di Pyramiden. Quando arriviamo al vecchio molo di legno scricchiolante di Pyramiden, saliamo su un vecchio pullman, l’autista russo tiene la sua vecchia pistola sovietica, in un vassoio, vicino alle monete della mancia. Lui è uno dei pochissimi russi che abitano a Pyramiden, uno dei due che vivono qui tutto l’anno. Dodici persone in tutto, russe e ucraine nel periodo del sole di mezzanotte. L’autista vive da decenni in questa città fantasma, sin da prima che venisse abbandonata, ma non possiede le chiavi del vecchio ospedale, dove alcuni dicono che siano racchiusi molti misteri. Ma Pyramiden, Pyramida in russo, è una città mineraria fantasma, quasi al 79° parallelo (N 78°40’), abbandonata nel 1998, dopo il crollo dell’Urss, ma ancora oggi baluardo russo in territorio norvegese. Un’altra causa dell’abbandono fu il disastro aereo del 29 agosto 1996, quando persero la vita un centinaio di abitanti di Pyramiden, dopo lo schianto del volo Vnukovo Airlines nei pressi di Longyerabyen. Una semplice e umile croce di legno ricorda quelle morti. Passeggiando tra le vie deserte di Pyramiden, sembra di vivere dentro il romanzo Dissipatio H.G., di Guido Morselli: la città deserta, scomparsi tutti gli uomini. Ogni cosa è rimasta immobile, si vedono solo aggirarsi animali, volpi artiche come gatti che camminano tra le case, mentre i gabbiani hanno fatto grandi nidi alle finestre, che non si aprono più.
Non tutti gli edifici si possono visitare. Quasi tutti sono chiusi a chiave, sigillati, al riparo dai furti e danneggiamenti. La nostra guida russa, una bella ragazza di nome Anna, ha una rivoltella alla cintura e lo sguardo circospetto. Teme che qualcuno dei visitatori possa rimanere intrappolato nei vecchi edifici sovietici, come è successo a una coppia qualche mese fa. Anna vive qui con il suo fidanzato ed entrambi lavorano per la compagnia russa Grumant, arctic travel company, che organizza spedizioni alle miniere, anche a quelle tuttora in opera e tra i ghiacci di Barentsburg. Sia Pyramiden che Barentsburg erano insediamenti olandesi che furono venduti all’Unione Sovietica nel 1929. Gli anni d’oro delle miniere carbonifere alle Spitsbergen furono tra gli anni ’70 e ’80 quando lavorare alle Svalbard era una piccola fortuna per i sovietici. Un cartello russo, sul muro di mattoni rossi, recita solenne ancora oggi: “In onore del trentesimo anniversario della miniera carbonifera sovietica. Piramida Agosto 1976”. Gli uomini e le donne che lavoravano qui vivevano in edifici separati tra loro, Paris e London, e si sussurra che ci fosse un tunnel sotterraneo che permetteva incontri clandestini. La città fantasma aveva un edificio (ormai non più visitabile) con due piscine per adulti e bambini, con acqua di mare riscaldata, un ospedale ben equipaggiato, l’ufficio postale, un luogo dove mangiare, la Crazy house per far giocare i bambini, una scuola che accoglieva i circa centocinquanta piccoli russi che vivevano qui. C’era una palestra con un campo da basket e da calcio, ben conservata e con le fotografie ancora appese alle pareti che ricordano celebrazioni e intrappolano avvenimenti rilevanti che nessuno dei turisti può riconoscere. Un teatro e addirittura un grande pollaio e una stalla, l’orto dove si coltivava la terra che dava, incredibilmente, grandi frutti (stando alle parole della guida). Un piccolo paradiso agli estremi confini delle terre abitate. Alle finestre degli alloggi femminili, alcuni piccoli sportelli di metallo fungevano da refrigeratori naturali per piccoli utilizzi. Dai soffitti dei palazzi pendono ancora preziosi e importanti lampadari dell’epoca sovietica, nella stanza della musica un pianoforte verticale aperto aspetta il pianista che si è allontanato, “da qualche istante”, lasciando lo spartito aperto sull’ultima nota. Ci sono anche i piatti, una vecchia batteria e diverse pianole sul davanzale della finestra che guardano questa desolazione artica, punteggiata di neve. Ci sono le scale bloccate da una panchina di legno che ormai nessuno sale più, le ringhiere e i corridoi che conducono a stanze e ampi saloni che sono diventati improvvisamente deserti e silenziosi. In un corridoio, una cartina politica del mondo, in cirillico, rende ancora più vasta la grandezza dell’Urss, mentre gli angoli si arricciano in giù. Intorno alle stanze, vicino alle grandi finestre, vasi con vecchie piante ormai rinsecchite e prive d’acqua. Ovunque vestigia russe di una gloria perduta, sepolta tra i ghiacci.
La strada principale era chiamata per un vezzo oggi ridicolo “Champs-Élysées”, mentre il busto di Lenin (quello più a nord del mondo) volge severo lo sguardo dall’alto di una colonna di cemento posta sopra tre gradini. Alle spalle di Lenin, la casa della cultura e dello sport con un campo da pallavolo e una biblioteca e, seguendo il suo sguardo, si vedono i palazzi abbandonati, la lingua cerulea del mar glaciale artico e, a sinistra, il ghiacciaio. Nessuno più si cura di cambiare le lampadine ai lampioni, mentre le aule della scuola, dalle mura rosso acceso e decorate – uno degli edifici più belli e meglio conservati – sembrano abbandonate da poco. Nelle cucine lasciate per sempre, i forni sono spalancati e dentro le loro bocche, come carie nei denti, si è insinuata abbondante la ruggine. Piccoli pezzi d’intonaco si stanno lentamente staccando dal soffitto, mentre un odore appiccicaticcio, tra l’acidulo e il rancido, solletica le narici. Quanti anni saranno passati dall’ultimo pasto cucinato qui? Per quale occasione è stato preparato? C’è anche un albergo nella città abbandonata – dove vivono quasi tutti i pochi abitanti, compresa la nostra guida, un paio vivono in un “garage”, vicino al molo – si chiama Tulpan Hotel e costa un centinaio di euro per notte (all’incirca 1000 corone norvegesi). Chi vuole può passare qualche notte nella città fantasma. La nostra guida ci racconta che molti sono i progetti in campo a Pyramiden, un filmfestival – il più a nord del globo – e alcuni registi americani intendono girare un film e un horror. Il set è già pronto. Anna ci rivela che le piacerebbe vedere, nel cast, George Clooney. Ma qui non c’è nemmeno la TV e neppure la connessione Wi-fi, ci tiene a sottolineare, il loro “internet point” (l’unico posto in cui c’è campo) è vicino al molo e quando ce lo mostra è una postazione, con una vecchia cornetta telefonica. L’impressione più vivida che si ha è quella di camminare tra i fantasmi, di una città fantasma, mentre le parole russe che un tempo qui si udivano sono state sostituite dalla voce alta e querula dei gabbiani che qui nidificano a migliaia. Le persone che vivevano qui e lavoravano alla miniera di carbone ormai potrebbero essere già morte. Il vento increspa le onde, mentre ci allontaniamo dalla visione di Pyramiden, la città fantasma presto viene nascosta da altre montagne piramidali, ma deserte. Quando il fiordo ghiaccia, si può arrivare qui in motoslitta.
Attracchiamo a Longyearbyen, la città più popolosa delle Svalbard, con i suoi 2200 abitanti; la visione di una città che vive ancora dà un certo sollievo. Del resto qui tutto si conserva, tutti i semi di tutte le piante, allo Svalbard Global Seed Vault, il deposito globale di sementi, aperto dieci anni fa, vicino a Longyerbyen, con porte d’acciaio e la struttura in calcestruzzo, a prova di Armageddon e di affamati orsi polari. Nelle terre artiche, non si perde nulla e tutto si conserva, a volte, con l’inevitabile scioglimento dei ghiacci, compare qualche capitolo di una leggenda perduta. Anche al buio delle notti polari, che tra qualche mese faranno piombare Pyramiden in una città fantasma ancora più sinistra, l’aurora boreale renderà più misteriosi e affascinanti questi luoghi estremi. La terra delle Svalbard, scoperte dall’olandese Willem Barents nel 1596 ma battezzate così nel 1194 in lingua islandese, il “litorale freddo”, dove si cacciavano le balene, il cui grasso veniva bollito e messo nei barili. E dove, ancora oggi, si cacciano le foche. Dove, qui più che altrove, la natura mette a dura prova la resistenza fisica e psichica degli uomini. Ma l’unica terra al mondo dove non si può nascere né morire. Quelle porte qui non si aprono più.
Linda Terziroli
L'articolo Tour nella città fantasma di Pyramiden, vent’anni dopo l’abbandono. Alle Svalbard, dove Lenin si erge tra gli orsi e tutto è a prova di Armageddon proviene da Pangea.
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raccontidiragazzi · 6 years
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Al tramonto
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Parcheggiai l’auto sul retro. La villa era circa dieci chilometri fuori città lungo la costa, isolata. Esattamente nel punto indicato e non c’erano altre costruzioni nei paraggi.
Tirava una leggera brezza, pungente, preludio dell’inverno ormai alle porte. Respirai a pieni polmoni l’aria frizzante, pregustando già la notte in arrivo.
La villa era stata costruita di recente, e non ci abitava ancora nessuno. Il giardino che la circondava su tutti e quattro i lati, progettato e realizzato a regola d’arte, non era stato più seguito, e l’erba e i fiori e gli alberi da frutto rasati e potati avevano già iniziato a riprendere le proprie forme naturali.
La porta d’ingresso aveva una serratura a combinazione: 8 – 3 – 2 – 1, si aprì all’istante con uno scatto secco. All’interno, un sottile e uniforme strato di polvere ricopriva il pavimento e i mobili, nessuno era più entrato in quella casa da un po’.
Anche alla luce del sole morente l’ambiente appariva luminoso e spazioso, e dalle grandi portefinestre del salone si ammirava un panorama mozzafiato.
Come al solito, ero arrivato in anticipo e dopo aver sbrigato alcune incombenze mi sedetti con le gambe larghe e la testa all’indietro sull’unico divanetto nel salone, assolutamente rilassato.
 ***
 Ero inquieto, avevo la testa affollata di mille pensieri e sognavo ad occhi aperti. Non mi accorsi nemmeno che eravamo arrivati finché il tassista non richiamò la mia attenzione, forse per la seconda volta.
Quando mi riscossi lui mi fissava apprensivo, riuscivo quasi a scorgere la tristezza dei miei occhi riflessa nei suoi. Sembrava quasi volesse dirmi qualcosa, o magari offrirsi di aiutarmi. Era tutta la vita che per il mio aspetto le persone intorno a me si comportavano in quel modo, senza mai chiedersi realmente nulla su chi fossi o cosa desiderassi. .
Cercai di sorridere e stringendomi nel cappotto lo ringraziai con una generosa mancia, affrettandomi a scendere dall'auto.
Nella fredda oscurità della notte raggiunsi l’ingresso della villa isolata a passo svelto e senza voltarmi indietro. Lo sentii ripartire solo quando riuscii ad aprire la porta a combinazione.
Entrai in casa tenendo la testa bassa e rimasi per qualche secondo ad ascoltare il rumore del motore farsi sempre più lontano, fino sparire. Poi mi chiusi la porta alle spalle e sospirai, era fatta.
 ***
 Appena sentii scattare la serratura raddrizzai la testa, giusto in tempo per assistere al suo ingresso in casa. Teneva lo sguardo basso e il viso dai lineamenti delicati era parzialmente coperto da un ciuffo di capelli scuri e lisci. Indossava un cappotto nero che fasciava ogni curva del suo corpo e spiccava sulla pelle chiarissima delle gambe. Ai piedi un paio di scarponcini neri, sportivi ed eleganti allo stesso tempo.
Era semplicemente perfetto.
Senza alzare lo sguardo ne dire una parola, iniziò a sbottonare il cappotto con mani tremanti. Stetti a guardare in silenzio, ammirato per il suo coraggio.
Il cappotto gli scivolò dalle spalle lungo la schiena e fini sul pavimento con un fruscio leggero. In un batter d’occhi era rimasto completamente nudo ad eccezione delle scarpe. Riabbassò le braccia, lungo i fianchi, e rimase in silenzio, immobile, in attesa.
Il suo torace liscio e pallido, con i muscoli del petto appena accennati, si muoveva al ritmo lento del respiro. I capezzoli, di un rosa appena più scuro rispetto al resto della pelle, iniziavano ad inturgidirsi esposti all’aria fresca della stanza, rendendosi ancora più invitanti.
Istintivamente il mio sguardo si spostò più in basso, lungo la linea morbida dei fianchi, e lo sentii gemere quasi impercettibilmente.  
Alzai gli occhi al suo viso e solo allora notai le lacrime silenziose scorrere sulle sue guance lisce.
Aggrottai le sopracciglia e mi avvicinai, riportando senza volere lo sguardo fra le sue gambe. Lui non si mosse, a parte il leggero tremito che lo scuoteva e non emise un fiato mentre lo raggiungevo a grandi passi.
Da vicino era ancora più spettacolare. Sotto l’addome piatto la pelle proseguiva bianchissima e liscia senza l’ombra di imperfezioni. Il suo pene, sorprendentemente piccolo era lo stesso tempo oltremodo invitante.
«Sei pronto?» Gli chiesi approfondendo la voce, in tono sicuro e senza indugiare oltre
Lui sussultò e annuì quasi impercettibilmente.
Una volta perfezionato il patto, con il suo ingresso in casa, non mi interessava più il suo consenso. Eppure i suoi modi mi incuriosivano e forse avrebbero potuto fornirmi uno spunto per quello che avevo in mente.
Un mezzo sorriso di pura soddisfazione mi increspò le labbra.
Non avevo programmato di scoparlo prima di iniziare. Ma era davvero troppo invitante e gli afferrai i capelli spingendolo verso il divanetto al centro del salone.
Lo superavo di almeno dieci centimetri in altezza, non mi aspettavo di avere problemi con lui, e in ogni caso non si era ribellato alla mia stretta.
Lo obbligai a sdraiarsi sulla schiena e iniziai immediatamente a spogliarmi, ero già eccitato.
Mi sputai su una mano e insalivai la punta del mio uccello, usando la stessa mano per inumidire il suo minuscolo buchetto posteriore, mentre mi sdraiavo su di lui schiacciandolo con il mio peso.
Lo penetrai senza troppi riguardi e lo sentii sussultare e contrarsi sotto d me, mentre la mia asta scivolava dentro di lui facendosi strada prepotentemente.
Era umido e morbido e caldo, e mi stringeva il cazzo come in una morsa rovente di piacere.
Gli strinsi un capezzolo tra le dita, massaggiandolo con veemenza e iniziai a baciarlo sul collo sfregando la mia barba ispida sulla sua pelle delicata e liscia come seta.
Non durai a lungo, nel giro di qualche minuto ero già all’apice del mio piacere e sborrai dentro di lui, senza preoccuparmene troppo.
Quando scivolai fuori dal suo corpo, col cazzo ancora gocciolante, mi fermai un attimo ad ammirare la mia opera. Il capezzolo destro era arrossato e sul collo spiccava il segno di un morso che non ricordavo nemmeno di avergli dato. Il suo buchetto era ancora leggermente dilatato, e ammaccato, e gocciolava del mio seme. Sul suo ventre poche gocce perlacee testimoniavano che, almeno fisicamente, quel piccolo fuori programma era piaciuto a lui quanto me.
Singhiozzava sommessamente, con gli occhi dalle lunghe ciglia chiusi e le guance bagnate di lacrime. Non aveva detto una parola da quando era entrato in casa.
Lo aiutai ad alzarsi e lo accompagnai gentilmente nell’ampio servizio al pian terreno. Anche se nessuno cliente si era mai lamentato per il mio lavoro, non c’era ragione di rendere le cose più volgari di quanto dovevano.  Gli preparai un bagno caldo, provvedendo a lavarlo con cura e massaggiarlo finché non si rilassò, abbandonandosi completamente a me.
Credo non si sia accorto di nulla alla fine.
Una volta sistemata ogni cosa, presi la busta già pronta dalla tasca del suo cappotto e tornai con calma alla mia auto. Nel silenzio di quella notte tranquilla, spezzato solo dal mormorio incessante delle onde in lontananza.
Un altro lavoro portato a termine senza incidenti, pensai tra me sulla via del ritorno. Eppure persino io alla fine avevo ceduto al suo fascino.
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painfulpresent · 4 years
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Opera di Hiroyuki Masuyama.
Ci sono alcuni versi, in tutte le lingue, che sembrano vivere di luce propria. E sembrano compendiare nel loro breve respiro la vita del prisma cui appartengono: frammenti che raccolgono e custodiscono nel loro scrigno, integro, il suonosenso della poesia dalla quale provengono. Con un solo verso un poeta può mostrare il doppio nodo che lo lega al proprio tempo e al tempo che non c’è, all’accadere e all’impossibile. In un verso, in un solo verso, un poeta può rivelare il suo sguardo, in grado di rivolgersi all’enigma che è il proprio cielo interiore e al movimento delle costellazioni, alla lingua del sentire e del patire di cui diceva Leopardi e all’alfabeto degli astri di cui diceva Mallarmé. Un verso, un solo verso, può essere il cristallo in cui si specchiano gli altri versi che compongono un testo. Per questo da un verso, da un solo verso, possiamo muovere all’ascolto dell’intera poesia.
Caminante no hay camino. Viandante, non c’è cammino […]. Il verso di Antonio Machado ha lasciato la poesia alla quale apparteneva per andarsene nel mondo, insomma per camminare, a sua volta, lungo quei sentieri dove prende forma, e ritmo, un sapere, o una sapienza, della vita: l’esperienza del cammino non come movimento progressivo verso una meta, né come relazione visibile della partenza con l’arrivo, e neppure come piacere per il tratto già compiuto e ansia per quel che resta da percorrere, ma soltanto come esperienza tutta interiore di una condizione, che è insieme uno stato di sospensione e di conoscenza, e dunque come figura dell’esistenza umana stessa. Il verso appartiene a una poesia della raccolta Campos de Castilla, del 1912, in particolare alla sezione Proverbios y cantares (la poesia è indicata con il numero XXIX). Ecco la poesia in spagnolo, seguita da una mia traduzione in italiano:
Caminante, son tus huellas
el camino, y nada mas;
caminante, no hay camino,
se hace camino al andar.
Al andar se hace camino,
y al volver la vista atrás
se ve la senda que nunca
se ha de volver a pisar.
Caminante, no hay camino,
sino estelas en la mar.
Viandante, sono le tue impronte
il cammino, e niente più,
viandante, non c’è cammino,
il cammino si fa andando.
Andando si fa il cammino,
e nel rivolger lo sguardo
ecco il sentiero che mai
si tornerà a rifare.
Viandante, non c’è cammino,
soltanto scie sul mare.
“Caminante, non hay camino”. Traducendo, diversi anni fa, ero incerto se rendere quel “caminante” con un’allocuzione: “Tu che sei in cammino, non c’è cammino”. Questo sia per dare rilievo con la voce cammino all’atto stesso del camminare, sia per sottrarre l’immagine alle varie declinazioni romantiche del wanderer, appunto del viandante (ma sul wanderer ci sono le due liriche bellissime di Hölderlin, la seconda rifacimento ampio della prima, versi densi di riverberi e di possibili trasvalutazioni metafisiche, soprattutto nella parte dedicata al tempo del ritorno).
Liberare il cammino, come fa Machado, dalla sua dimensione fisica e visiva, per farne una figura precipua dell’interiorità, è possibile proprio in una cultura come quella spagnola che ha nella sua mitografia due grandi rappresentazioni, sorgenti a loro volta di molte interpretazioni e variazioni filosofiche e narrative: l’hidalgo don Chisciotte della Mancia e il pellegrinaggio a Santiago de Compostela. Il cammino di Alonso Quijano diventato il Cavaliere dalla triste figura, è, di stazione in stazione, di avventura in avventura, l’affermazione di un’alterità fantastica, ideale, irriducibile alla convenzione, che fa deflagrare il sempreguale, la ripetizione, la concretezza del visibile e del tangibile. In quel grande romanzo non è la direzione verso una meta a generare fantasmagorie, ma il cammino stesso, inteso come tempo e spazio dell’accadere. Quanto all’altro cammino, quello verso Santiago, esso era, prima che il costume e il cosiddetto turismo culturale ne dilatasse e disperdesse il senso, un esercizio che univa il percorso sul sentiero e nel paesaggio con l’itinerario spirituale che portava verso la purificazione: figurazione corporea della medievale cristiana peregrinatio. Paradigma che presiede alla Commedia di Dante, il cui verso d’incipit nomina appunto il cammino: “Nel mezzo del cammin di nostra vita”.
Del resto, una filigrana di ascesi, un esercizio di distacco dagli affanni del mondo perché lo sguardo possa rivolgersi al teatro della propria interiorità ha a lungo accompagnato la figura del cammino: si pensi alla lettera nella quale Petrarca racconta l’ascensione al monte Ventoux in compagnia del giovane fratello, che è insieme descrizione del cammino e interrogazione di sé (il poeta porta infatti con sé le Confessioni di Agostino, che apre quando giunge in alto). Molteplici sono le connessioni del cammino con la cura di sé o con l’attivazione di un pensare che sia in accordo con il ritmo del passo (quella che Valéry chiama “reciprocità tra la mia andatura e i miei pensieri”): nel mio libro sull’interiorità (Il cielo nascosto) non potevo non dedicare un capitolo alla figura del cammino.
Machado nel verso “Caminante no hay camino” allontana la storia, e le storie, che fioriscono nel tempo e nei luoghi del pellegrinare – il narrare favoloso, dal picaresco al devozionale che nasce proprio nelle soste del viaggio e alimenta il romanzesco occidentale – per dare rilievo a un movimento che è percezione dell’essere in cammino, da sempre e per sempre in cammino, cioè in una condizione che è raffigurabile bene dall’esilio: stato di lontananza anzitutto interiore, di spaesamento e sradicamento, di sospensione e desiderio aperto e incolmato, come quella che sarà nei particolari interrogata da Maria Zambrano (eccoci ancora nella cultura spagnola), o da scrittori dell’esilio come Edmond Jabès. Costui sottrarrà l’erranza sia al rimpianto dell’origine sia alla speranza della meta, per farne invece la soglia di un interrogare incessante: apertura costante della domanda, invece che replica del senso, o quiete di un approdo.
Ricordo che quando per Feltrinelli tradussi di Jabès Le livre de la subversion hors de soupçon (Il libro della sovversione non sospetta) la copertina più appropriata – parlandone anche con l’autore – sembrò la riproduzione di un’opera di Antoni Tàpies, l’artista spagnolo che nella sua ricerca ha dato forma alla cancellazione, colore all’abrasione, segno materico alla mancanza e allo spaesamento (molto bello il dialogo che Tàpies ha intrattenuto a lungo con un suo amico, José Ángel Valente, il quale a sua volta, oltre che poeta di grande tensione immaginativa e speculativa, fu il traduttore spagnolo di Jabès).
A proposito del legame tra il cammino e l’esilio: un bravo interprete musicale di Machado, Joan Manuel Serrat, quando nel 1969 cantò, tra diverse poesie del poeta, i versi di Caminante son tus huellas sopra citati, li unì ad altri versi sull’esilio, in una canzone che comincia:
Todo pasa y todo queda,
Pero lo nuestro es pasar,
Pasar haciendo caminos,
Caminos sobre la mar.
Tutto passa, tutto resta,
ma il nostro è un passare,
un passare battendo sentieri,
sentieri sopra il mare.
Per Serrat dire di Machado e del “caminante” voleva dire pensare all’esilio, a Machado stesso in esilio (il poeta, sostenitore attivo della Repubblica spagnola, dopo la caduta di Barcellona il 26 gennaio del 1939 e la fine dell’esperienza repubblicana, dovette attraversare il confine e andare in terra d’esilio, dove dopo meno di un mese morì).
Potremmo ora sostare un momento sulle huellas, le impronte del verso di apertura, e sulle estelas, le scie del verso di chiusura. Le impronte, nient’altro che le impronte: questo il cammino. Esse dicono il passaggio, ricordano che siamo passaggio, cioè segno che insieme dice quel che è accaduto e annuncia la sparizione di quel che è accaduto. Se di qualcosa le impronte testimoniano, esse testimoniano del transito: esposte al vento della cancellazione, la loro forma è un fragile gioco dell’apparenza, appartengono al mostrarsi e nascondersi della terra. Ma quelle impronte sono le tue impronte. Anche quando sulla sabbia del deserto sono subito cancellate dal vento, esse ti appartengono in quanto già state. Il cammino è questo tuo offrire un segno alla sparizione. Camminare è stare nella bellezza, e nel fuggitivo lampeggiare, della sua apparizione. Delle immagini che nascono da questa consapevolezza, si alimenta la poesia di Machado.
Sulle estelas. Non c’è cammino, soltanto scie sul mare. Anche il mare, come il deserto, più ancora del deserto, si prende il passaggio, lo sottrae alla vista, lo cancella. Ma le scie sono il segno di una presenza: questa presenza è la vita stessa, una scia, una sequenza di scie, che presto si ritrae confondendosi con un’onda più grande. E questo mare che chiude la poesia e che si spalanca dinanzi alla vista interiore – come accade nella più nota poesia leopardiana, L’infinito – invita a spostare lo sguardo verso la lontananza estrema, sul confine tra il visibile e l’invisibile, sull’orizzonte che è oltre il nostro stesso vedere, oltre il nostro cammino.
Dalla soglia del verso “Caminante, no hay camino”, possiamo muovere verso tutta la poesia di Machado, a cominciare da Soledades, seguire il meraviglioso accordo tra il vedere e il sentire, ascoltare le modulazioni pensosamente musicali dei versi, e avvertire come il dolore cerca di salire verso la parola, farsi parola.
Dopo la lettura di Machado, ciascuno porterà con sé qualche verso che, come accadeva per i detti memorabili presso la sapienza antica, gli farà compagnia lungo il cammino. Tra i versi del poeta che da molti anni mi risuonano spesso nella mente ci sono tre versi pronunciati da un “caminante” nella notte: “Está en la luna /el alma de la tierra /y en los luceros claros”. Versi che ho tradotto, un po’ liberamente, così: “È nella luna l’anima della terra /e nel chiarore delle prime stelle”.
Un verso:
Ugo Foscolo. Né più mai toccherò le sacre sponde
Dante. L'amor che move il sole e le altre stelle
Giacomo Leopardi. Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi
Charles Baudelaire. Un lampo... poi la notte! Bellezza fuggitiva
Francesco Petrarca. Erano i capei d'oro a l'aura sparsi
Eugenio Montale. Spesso il male di vivere ho incontrato
Stéphane Mallarmé. La carne è triste, ahimè, e ho letto tutti i libri
John Keats. Una cosa bella è una gioia per sempre
Giuseppe Ungaretti. Mi tengo a quest'albero mutilato
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paoloxl · 5 years
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La vicenda riguardante il rientro in Italia di Cesare Battisti, terrorista condannato in via definitiva, ha dato origine a una serie di spettacoli mediatici davvero disdicevoli da parte di esponenti dell’attuale maggioranza di governo e della grande maggioranza di già asserviti strumenti mediatici. Pronunciamenti e presenze davvero inquietanti non solo dal punto di vista della ricostruzione storica dei fatti ma soprattutto della strumentalizzazione al riguardo della perenne, affannosa, campagna elettorale condotta da questi signori sempre in cerca di una rozza visibilità a buon mercato. Ne è uscita, in verità, una terrificante visione della giustizia confusa con la viltà della vendetta (viltà ben stigmatizzata da Gian Giacomo Migone oggi sulle colonne del “Manifesto”). Ma c’è di peggio in giro nelle espressioni di questa “partitocrazia qualunquista” che sembra piacere tanto agli italiani, tutti intenti a demonizzare i migranti e seduti sulla riva del fiume ad attendere la mancia del reddito di cittadinanza. “Il Messaggero”, infatti, osa accostare la figura di Luciana Castellina a non meglio identificati “salotti parigini modello Carla Bruni” adombrando l’ipotesi di un “ritorno” non si sa bene da quale latitanza: un accostamento neppure troppo velato tra la storia della “nuova sinistra” italiana e il terrorismo. Ripetizione di vecchi schemi abusati ma sempre utili per la mistificazione e la calunnia. Lungi da me l’idea di difendere soggettivamente Luciana Castellina che sa benissimo farlo da sé. Sia consentito però sentirsi, personalmente e collettivamente, profondamente offesi da questo stato di cose e soprattutto dallo scempio del diritto e della storia che si sta compiendo in questi giorni. Mi sia permesso anche rivendicare con il massimo della forza possibile e senza timidezze (che pure un poco permangono anche nella stessa replica della redazione del “Manifesto) la storia della “nuova sinistra” in Italia. Una storia complessa, articolata, anche complicata nelle sue separazioni e in parte anche nelle derive che certe sue divisioni fecero registrare almeno nel corso del decennio dei Settanta. Non si può dimenticare però che la nuova sinistra italiana sorse nell’intreccio tra la ventata del’68 e la storia del movimento operaio intreccio che in Italia diede vita al ’68 “lungo” esploso con il ’69 del contratto dei metalmeccanici. Una nuova sinistra incubata negli anni’60 attraverso riferimenti culturali e politici di grande spessore come quelli che attraversarono il PCI a cavallo dell’XI congresso e,lo PSIUP soprattutto grazie all’elaborazione di Panzieri e dei “Quaderni Rossi”, il dissenso cattolico, l’impegno sindacale, la presa di coscienza femminista. Una nuova sinistra capace di assumere la più coerente posizione critica espressa in Occidente al momento dell’invasione della Cecoslovacchia, sulla quale si consumò la separazione dal PCI: ricorre in queste ore l’anniversario di Jan Palach ben definito oggi da Francesco Leoncini “un comunista luterano”. In precedenza però ci si era già appassionati all’internazionalismo seguendo il Vietnam delle due guerre anti-colonialiste e quanto stava avvenendo in Africa per la liberazione di quei popoli. Ci si era già trovati in piazza per difendere la democrazia italiana da un tentativo di rigurgito neo-fascista cui la DC aveva dato spazio, fino a comprenderne gli epigoni nella maggioranza di governo: si era lottato a prezzo del sangue caduto a Reggio Emilia, a Palermo, Catania, Licata. Non mi inoltro nel ricostruire la storia di quel periodo ma debbono rimanere ben chiari i tratti sui quali, in quella fase, ci si mobilitò per reclamare un diverso orizzonte per un’intera generazione. Certi accostamenti subdoli, certi tentativi stupidi di “damnatio memoriae” forniscono oggi il miglior contributo possibile alla distruzione dei fondamenti della nostra vita democratica: distruzione già abbastanza avanti nel suo definirsi, grazie anche ai tanti tentativi di bruciare la Costituzione Repubblicana sull’altare della governabilità e del potere personalistico. Non si tratta però soltanto di questo: si tratta soprattutto dell’offesa profonda rivolta verso un’intera generazione che aveva cercato, non sempre riuscendovi sia ben chiaro, di coniugare la passione rivoluzionaria con la pratica politica cercando di rendere possibile un “assalto al cielo” svolto nella limpidezza delle proprie convinzioni e di una grande espressione di onestà e d’impegno intellettuale. Onestà e impegno intellettuale di cui nell’attualità si stenta a trovare le tracce.
Franco Astengo
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pikaciccio · 5 years
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Cominciamo dicendo che il titolo non è sbagliato …. leggete l’articolo e lo scoprirete
Fine agosto 2018
Siamo gia rientrati e abbiamo iniziato a lavorare…… ma comunque i week end ci sono ancora per fortuna …. quindi venerdì pomeriggio si parte appena finito.
Ritorniamo in Trentino a noi abbastanza vicino ……..il tempo non promette bene … ma è decisamente lo stesso, abbiamo un programma decisamente interessante.
Prima tappa Tenno … ristorante Antica Croce… cena vista castello, dobbiamo ringraziare i nostri amici Lara e Lorenzo che in occasione del nostro quasi matrimonio ci hanno fatto questo regalo….
Ci accomodiamo in giardino … un bel bicchiere di Teroldego consigliato da un giovane ma preparato Somelier …… cin cin e poi via di gnocchetti verdi carne salada cotta e cruda, polenta etc …… non ci siamo fatti mancare proprio niente ….
Tutto buonissimo ….. sapori semplici …. ingredienti genuini e di grande qualità il tutto condito da simpatia e cordialità…..
Foto col Ciccio blogger ??
Nessuno sa resistergli …
e noi non resistiamo a fermarci a dormire proprio sotto il castello ….. sta diventando una tradizione …. un castello al giorno ……
Lo vedete il furgoncino ??
Proprio nelle vicinaze c’è un piccolo borgo medioevale che fa parte dei Borghi più belli d’Italia …. il Borgo di Canale
sono 4 strade, ma ogni angolo , in ogni scorcio lo sguardo cade su qualcosa che vale la pena ammirare, oltre all’insieme decisamente pregievole … ci sono tant piccoli dettagli che ne fanno un vero gioiello
Guardatevi bene le foro e forse potreste cogliere qualcosa che noi non avevamo visto….
Alla fine proprio sulla via del ritorno …. guardate qua cosa abbiamo trovato
mancia data …. fa freddo da queste parti e Babbo Natale volete solo che si scaldi con il latte .
Parte culutural-blogger della mattina fatta, adesso andiamo a Pranzo dagli amici camperisti Roberto e Claudia.
Visto che non scherzavamo ?
Tra un chiacchera e l’altra ci hanno invitato a proprio a pranzo e le ore sono passate in maniera serena, che bello capirsi al volo …. parlare di sogni e speranze… e anche a loro tocca la foto di rito
a presto anzi prestissimo, sulla strada naturalemte…
Noi di nuovo sulla strada prossima tappa Storo …..alla ricerca della polenta
Week end in Trentino con il furgoncino…. cena a Tenno … pranzo a Pranzo Cominciamo dicendo che il titolo non è sbagliato .... leggete l'articolo e lo scoprirete Fine agosto 2018…
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viaggiatori · 6 years
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l mio viaggio in Myanmar è durato 13 giorni e ha previsto un itinerario classico completamente on the road.
Come già raccontato nel mio primo post dedicato ad impressioni e suggerimenti organizzativi, per realizzarlo mi sono affidata ad un driver, Usoe, di grande esperienza che ci ha permesso di viaggiare con un certo comfort e conoscere molti aspetti umani di questo paese.
Le nostre tappe, sono state quelle che tipicamente vengono proposte per un classico primo tour in Myanmar della durata del nostro, ha risentito di un cambio necessario (non c’è stato possibile fare il trekking a Kalaw) per avverse condizioni meteo e nostra indisposizione.
Proverò a ripercorrere in modo molto veloce le tappe ed offrire una idea di massima, senza soffermarmi troppo su ciascuna.
Questo itinerario può essere pensato anche con aerei domestici e\o mezzi pubblici. Ognuno può costruirlo in base alle proprie esigenze. Farlo in macchina ci ha portato a lunghe trasferte su strade non molto agevoli, ma neanche troppo pessime; ci ha permesso di assaporare aspetti della vita quotidiana delle popolazioni sopratutto nella tratta più rurale da Bagan al lago Inle.
Mi fa piacere scrivere che questo paese, per ciò che ho visto, non è ancora battuto da un turismo di massa troppo invadente e, sopratutto, la gente del luogo non sembra aver cambiato usi e costumi in modo troppo radicale, influenzata da noi occidentali.
Yangon
Yangon è quasi certamente la base di arrivo e di partenza di quasi tutti i turisti via aria. Pur non essendo la capitale del Myanmar ne possiede tutte le caratteristiche: la zona commerciale con banche in palazzi moderni, vecchi palazzi fatiscenti e coloniali, street food, China town, grandi mercati, traffico, templi e pagode dal fascino superbo.
Una sosta in questa città è d’obbligo, e deve prevedere almeno due notti. Nel traffico caotico come ogni altra città asiatica (forse appena meno di altre) Yangon si sviluppa in quartieri che raccontano passato coloniale (indiano, cinese, mussulmano), palazzi stile British, sfavillanti stupa e segni della sua storia politica recente.
In questa città ho visto gli unici ospedali attrezzati di tutto il Myanmar che ho visitato, e ciò non è un dato secondario e fa pensare sulle scelte politiche a sostegno della popolazione, da parte di un paese di recente apertura ed economicamente sofferente.
Fra le immagini che più mi ricordano la città, il mercato Bogyoke Aung San Market in cui abbiamo trascorso una mezza mattina, fra negozi che vendono a prezzi molto convenienti per noi europei, una buona selezione dell’artigianato locale che si incontra in tutto il Myanmar.
Particolarmente colorata la parte dedicata alle stoffe ed i vestiti, dove si possono acquistare le tipiche gonne (hta mein per donne e long gyi per gli uomini) ammirando colori e sarte all’opera nei dietro bottega.
Il monumento simbolo del Myanmar è la Shwedagon Paya ed è visibile, dicono, da ogni punto di Yangon. Essa é di grande impatto, non solo fisico. In maniera molto e troppo sbrigativa, mi limito a dire, per ora, che la Shwedagon Paya è uno dei luoghi più affascinanti che abbia mai visitato: un mix fra colori, forme, oro, riti ti accompagna nella sua visita e con rimpianto ho deciso, dopo ore che era giunto il tempo di lasciarlo.
Bago
Non molti la inseriscono negli itinerari sopratutto se si decide di prendere un aereo da Yangon per Bagan. È stata la nostra prima tappa fuori da Yangon, il primo effettivo giorno in Myanmar. Ho amato questo luogo, perché lo associo ai primi ricordi del mio viaggio. A Bago ho iniziato a capire come forse sarebbe stato questo paese, quali sarebbero stati i suoi colori, i tratti delle persone e cosa mi potevo realisticamente aspettare.
É una città che non appare se non attraverso i suoi tanti templi ricchi di leggende e di riti. Si può  scegliere quali prediligere. Noi abbiamo visitato i più famosi e scelto di vedere lo Snake Monastery, per le guide certamente secondario. Esso sorge vicino ad un sobborgo di case umili la cui gente si riversa a venerare un pitone, presunta incarnazione di un monaco od un nat. Il serpente è lungo ben 5 metri e riceve omaggi ed attenzioni dei pellegrini, molto particolare la sua atmosfera indubbiamente autentica.
Qui nessun turista, come in quasi tutti gli altri templi della città. Bago possiede dei mirabili tesori fra cui un magnifico Buddha sdraiato, Shwethalyaung Buddha, la Shwemawdaw Paya, simile seppur più modesta alla magnifica Shwedagon Paya di Yangon e i quattro magnifici Buddha seduti della Kyaik Pun Paya, posti uno dietro la schiena dell’altro che osservano, dall’alto, incensi, fiori, riti, cibo e preghiere dei tanti pellegrini scalzi e dei pochi turisti, che solcano il loro ingresso.
Il monte Popa
Arroccati sulla cima di un monte, un complesso di templi. Per arrivarci occorre una lunga salita.
Per giungere alla salita, e sopratutto al ritorno, meglio affidarsi al passaggio in motorino perché la strada è poco sicura in macchina, dopo un terremoto avvenuto neanche troppo tempo fa. L’ascesa sul monte è un’esperienza che consiglio. Abbiamo scalato questa montagna sacra a piedi scalzi fra venditori di cibo, oggetti sacri, souvenir, monaci e bimbe monache, osservati da scimmie ed evitando i loro escrementi, che giacciono sulle scale, alacremente pulite da uomini speranzosi di una mancia, dotati di acqua sporca e straccio.
La salita è faticosa ed allo stesso tempo suggestiva. In cima templi, riti, donazioni, ed un paesaggio, che ripaga di ogni stanchezza.
Bagan
Se si pensa al Myanmar da qualche parte, nella memoria, risale l’immagine nota delle mongolfiere che si sollevano fra il cielo e le pagode di questa città, ed i suoi tramonti. Bagan è una tappa che non può mancare ed il maggior numero di turisti si concentra in questa città. Centinaia di Pagode la affollano, piccole, grandi, enormi, visitate, abbandonate, restaurate, danneggiate dai frequenti terremoti.
Ognuna ha una atmosfera unica ed occorre selezionarne alcune fra le tante. Parlerò anche di Bagan in modo più approfondito, raccontando cosa abbiamo scelto di vedere, i mezzi più adatti e i tempi per farlo. Chi volesse intanto può studiarsi un po’ questa meta pensando che, se le pagode più famose sono da non perdere, altre, le minori hanno un loro fascino e occorre per vederle mettere in conto di chiedere a chi vi abita vicino, i custodi: in cambio di una piccola mancia potrete accedere a dei tesori.
Kalaw
Kalaw è una cittadina dall’atmosfera montana base per trekking di diversa durata. Per arrivarci da Bagan è stato necessario un lungo viaggio su una strada non agevole che ci ha però regalato scorci di una bellezza incredibile e di una rara umanità.
Qui la vita più rurale dei birmani, meno esposta e più legata alle tradizioni ti viene incontro. Non mancano occasioni di scambio umano con queste persone che sembrano uscite da un epoca fuori dal tempo e che ti guardano con discrezione, senza volere nulla da te se non al massimo un sorriso.
  Kalaw offre un centro animato da una pagoda a tratti psichedelica ed un folcloristico market dove trascorre un bel po di tempo come in altri luoghi del Myanmar.
La vita dei birmani scorre fra commerci, scambi, cibo di strada e  prodotti di diverso genere a volte dalla difficile identificazione per noi occidentali.
lago Inle
Il lago Inle è un luogo che ho amato molto. Questa meta, nel Myanmar orientale è visitato da molti turisti anche occidentali e gode di buone ricezioni turistiche. L’ esplorazione del lago via barca (della durata di circa 6 ore) consente di conoscere la vita dei villaggi che lo popolano: colture galleggianti, mercati, artigianato, pesca, religiosità.
Le ore trascorse in questo luogo non  sembreranno bastare e, anche se frequentato da turisti, il suo fascino, a me, è apparso quasi autentico. Lo si ritrova, in molti scorci, che rispecchiano la gente che vive coltivando verdure negli orti galleggianti, vendute poi, assieme a quelle che arrivano dai villaggi montani, nei mercati, a loro volta galleggianti ed itineranti; nei  profili dei pescatori in equilibrio su una gamba sola, le cui sembianze sembrano simili a ballerine sulle punte.
La vita tutta del lago Inle è sospesa fra le sue acque e la terra ferma, animata da umani dai tratti di anfibi, immersi in un paesaggio che non ricorda nulla di ciò che ci è troppo noto. Non c’è distanza e separazione fra acqua e terra qui: lo dicono le palafitte dove si trovano le manifatture ed il suo artigianato ed i villaggi. Lo dicono le donne che lavano i panni, lo dicono i bambini nudi che giocano nella sua acqua verdognola i cui colori rispecchiano la vegetazione; lo dice la grande armonia che c’è in tutto ciò.
Fra i tanti complessi quello di Shewe Indein Pagoda: migliaia di stupa alcune antiche e in rovina, altre più moderne, raggiungibili via barca; un incredibile colpo d’occhio.
Pidaya
Alla sommità di una lunghissima scalinata sorge Pindaya, un luogo assolutamente unico nel suo genere: una grotta affollata da 9000 Buddha.
Per raggiungerla, si percorre una lunghissima scalinata o si arriva comodamente in macchina a ridosso dell’entrata dove una enorme statua di un ragno nero ricorda la leggenda da cui nasce il culto di questo luogo. Il colpo d’occhio è incredibile, ci si perde dentro le insenature di queste grotte, un dedalo a volte alcune sono delle piccole nicchie. È un luogo difficile da fotografare e ci si perde senza mai perdersi nella sua unicità.
  Mandalay
Mandalay è una città dai tratti simili a Yangon. Purtroppo essa ci ha accolto con la pioggia nonostante fosse la stagione secca. Vi abbiamo trascorso due giorni visitando monasteri e osservando riti di monaci giustamente infastiditi da turisti poco rispettosi.
Anche su questa città e i suoi luoghi di culto c’è  dire tanto. Per ora solo un accenno ed il ricordo dell’ affascinante passeggiata su lungo ponte in teck tanto rappresentato nelle immagini che raccontano il Myanmar : U bein bridge.
La pioggia ha forse reso più suggestivo il nostro passaggio da una sponda all’altra, a caccia di particolari, colorati, sonori, unici del paesaggio circostante: dagli uccelli orientati dal pescatore con un richiamo, alle pagode, dal fiume secco, per la stagione, attraversato da uomini in moto, alle barche incagliate nel bagno asciuga, ai bambini sotto la pioggia, bagnati, incuranti di noi e della pioggia, liberi ed a piedi nudi.
Il profilo geografico del mio Myanmar, guardando una cartina geografica ed abbinando delle immagini, è stato all’incirca questo. La strada fisica è facilmente tacciabile e ripercorribile da chi volesse pensare ad un viaggio nell’ex Birmania. Chi come me ha la fortuna di sognare il Myanmar e di realizzare questo sogno, potrà unire questi punti e vestirli con le esperienze di un viaggio, che difficilmente gli farà dimenticare questa terra, e la sua gente.
Yagon, Bagan, Mandalay: i miei consigli di viaggio per il Myanmar l mio viaggio in Myanmar è durato 13 giorni e ha previsto un itinerario classico completamente on the road.
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the-entangler · 7 years
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La battaglia di Lepanto - 1571
Uno dei più famosi partecipanti alla battaglia fu lo scrittore spagnolo Miguel de Cervantes, che venne ferito e perse l'uso della mano sinistra; fu ricoverato a Messina, al ritorno dalla spedizione navale, presso il Grande Ospedale dello Stretto, e si dice che durante la degenza cominciò il Don Chisciotte della Mancia.
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tourbulgaro · 7 years
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3° giorno 14-05-2017: VELIKO TARNOVO-ARBANASI-MADARA-VARNA (250km)
Mentre faccio il check-out in reception, Kamen sta telefonando per informasi della mia valigia dispersa. Confermano che hanno consegnato il bagaglio ad un corriere che me la recapiterà in hotel a Varna. Tutto O.K. dunque. Puntuali alle 08.30 partiamo per il villaggio-museo di Arbanasi, Patrimonio UNESCO, dove arriviamo in 20'. Il paesino fu fondato nel XV sec. da cristiani Albanesi in fuga dall'avanzata turca a poca distanza da Veliko Tarnovo. Un poco in anticipo aspettiamo l'apertura della Chiesa della Natività di Gesù Cristo del 1640 le cui pareti sono dipinte di affreschi che rappresentano più di 3500 personaggi, uno spettacolo -vietato fotografare-. All'uscita esaminiamo le spurie bancarelle di prodotti artigianali e ci spostiamo a piedi per la visita della casa-museo Kostanzaliev, costruita nel settecento da un ricco mercante turco, arredata con tutti i mobili originali del periodo. Alle 10.30 partiamo per Madara. Facciamo una sosta idraulica e alle 12.50 arriviamo al ristorante per il pranzo. Alle 13.50 in tre minuti siamo all'ingresso del parco naturalistico-archeologico. Affrontiamo la salita del parco nelle migliori delle condizioni fisiche: al centro della calura e con la pancia piena. Nel primo tratto incontriamo le due Grotte delle Ninfe, giustamente distinte in Grande e Piccola. Proseguiamo la salita per ammirare il Cavaliere nella Roccia, Patrimonio UNESCO, risalente al VIII secolo, scolpito su una parete rocciosa alta 100 metri a 24 metri da terra. Il Cavaliere è rappresentato mentre solleva una lancia, dopo avere colpito un leone ai piedi del cavallo. La scultura è presente su una delle facce delle monetine bulgare. Alle 15.05 partiamo per Varna, località turistica sulle sponde del Mar Nero, dove arriviamo alle 16.10. Al check-in dell'hotel Kamen chiede, come sempre, la carta di identità ed io mi accorgo di non averla ritirata alla partenza da Valiko Tarnovo. Distratto dalla telefonata mattiniera di Kamen, per la mia valigia, non ho fatto caso al piccolo particolare di ritirare la carta di identità in possesso della reception dell'hotel. Mi sono infilato in un altro guaio. Subito Kamen telefona all'hotel di ieri che conferma di avere la mia tessera, ma non possono spedirla in serata a Varna. Informo Kamen di avere con me anche il passaporto, altra mia precauzione per i casi d'emergenza, e che la carta di identità mi può essere recapitata comodamente a Sofia al nostro ritorno. Così ci accordiamo. La mia valigia invece non è ancora arrivata. Ancora una volta Kamen chiama i suoi contatti e veniamo a sapere che non esiste nessun corriere consegnatario come anticipato stamane, ma che la valigia arriverà alle 22.00 in aereo all'aeroporto di Varna. Kamen, si offre di ritirarla al mio posto, io gli affido il passaporto e il modulo P.I.R. consegnatomi dal Lost & Found al momento della denuncia. Non mi resta che andarmene a spasso per la cittadina marinaresca. Alle 16.35 sono in giro da solo. Imbocco la Ulika San Stefans ed inizio dalle Terme Romane del II sec. le più grandi di Bulgaria. Dalla chiesa Sv. Atanas , proseguo per Ulika Preslav e la sua zona pedonale fino alla Cattedrale della Dormizione della Madre di Dio di Varna che visiteremo nel dettaglio domani. Torno indietro e proseguo per la zona pedonale di Bulevard Knyaz Boris I e giro da Bulevard Slivnitsa che percorro fino in spiaggia. Sulla bianca e pulita spiaggia arrivo fino all'altezza del nostro hotel e rientro per la doccia precena alle 18.50. Per cena, a piedi, alle 20.00 ci spostiamo in un ristorante con terrazza sul mare simile ad una nave. Dopo cena, mentre Kamen ed autista vanno in aeroporto a ritirare la mia valigia io insieme ad alcuni compagni di viaggio ripercorro le vie pomeridiane fino alla Cattedrale illuminata a notte. Al rientro, alle 22.35, incrociamo il nostro pulmino con il mio bagaglio. Evviva,  posso finalmente cambiarmi di abbigliamento. Ringrazio sentitamente Kamen e Angel e mi sdebiterò in occasione della mancia di fine viaggio.
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pikaciccio · 5 years
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Cominciamo dicendo che il titolo non è sbagliato …. leggete l’articolo e lo scoprirete
Fine agosto 2018
Siamo gia rientrati e abbiamo iniziato a lavorare…… ma comunque i week end ci sono ancora per fortuna …. quindi venerdì pomeriggio si parte appena finito.
Ritorniamo in Trentino a noi abbastanza vicino ……..il tempo non promette bene … ma è decisamente lo stesso, abbiamo un programma decisamente interessante.
Prima tappa Tenno … ristorante Antica Croce… cena vista castello, dobbiamo ringraziare i nostri amici Lara e Lorenzo che in occasione del nostro quasi matrimonio ci hanno fatto questo regalo….
Ci accomodiamo in giardino … un bel bicchiere di Teroldego consigliato da un giovane ma preparato Somelier …… cin cin e poi via di gnocchetti verdi carne salada cotta e cruda, polenta etc …… non ci siamo fatti mancare proprio niente ….
Tutto buonissimo ….. sapori semplici …. ingredienti genuini e di grande qualità il tutto condito da simpatia e cordialità…..
Foto col Ciccio blogger ??
Nessuno sa resistergli …
e noi non resistiamo a fermarci a dormire proprio sotto il castello ….. sta diventando una tradizione …. un castello al giorno ……
Lo vedete il furgoncino ??
Proprio nelle vicinaze c’è un piccolo borgo medioevale che fa parte dei Borghi più belli d’Italia …. il Borgo di Canale
sono 4 strade, ma ogni angolo , in ogni scorcio lo sguardo cade su qualcosa che vale la pena ammirare, oltre all’insieme decisamente pregievole … ci sono tant piccoli dettagli che ne fanno un vero gioiello
Guardatevi bene le foro e forse potreste cogliere qualcosa che noi non avevamo visto….
Alla fine proprio sulla via del ritorno …. guardate qua cosa abbiamo trovato
mancia data …. fa freddo da queste parti e Babbo Natale volete solo che si scaldi con il latte .
Parte culutural-blogger della mattina fatta, adesso andiamo a Pranzo dagli amici camperisti Roberto e Claudia.
Visto che non scherzavamo ?
Tra un chiacchera e l’altra ci hanno invitato a proprio a pranzo e le ore sono passate in maniera serena, che bello capirsi al volo …. parlare di sogni e speranze… e anche a loro tocca la foto di rito
a presto anzi prestissimo, sulla strada naturalemte…
Noi di nuovo sulla strada prossima tappa Storo …..alla ricerca della polenta
Week end in Trentino con il furgoncino…. cena a Tenno … pranzo a Pranzo Cominciamo dicendo che il titolo non è sbagliato .... leggete l'articolo e lo scoprirete Fine agosto 2018…
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