Tumgik
#Esiodo
iridediluce · 2 months
Text
Demetra
Figurina di Demetra seduta Mark Cartwright Demetra era una delle divinità più antiche dell’antico pantheon greco . Demetra era la dea dell’agricoltura e garantiva la fertilità della terra. Ha protetto sia l’agricoltura che la vegetazione. Lo stretto legame con la terra è stato ereditato dalla madre di Demetra, Rea . Demetra era probabilmente una reincarnazione delle dee locali della Madre Terra…
Tumblr media
View On WordPress
3 notes · View notes
gregor-samsung · 2 years
Text
“ Quando le Pleiadi, figlie di Atlante, s'innalzan nel cielo, tu comincia il raccolto, e quando tramontano, comincia anche a coltivare il campo. Esse invero per quaranta notti ed altrettanti giorni stanno nascoste, poi di nuovo col volgere dell'anno ricompaiono subito quando si affila la falce. Questa è la legge dei campi [...]. Nel tempo in cui la sferza del sole pungente perde l'ardore che rende l'uomo molle di sudore, quando Zeus onnipossente fa venire le piogge autunnali, e le membra dell'uomo si fanno molto più agili —allora infatti la stella Sirio passa sul capo degli uomini destinati a morire, solo per poco tempo durante il giorno, e gode rimaner di più durante la notte —, in quel tempo è del tutto immune dal morso dei tarli il legno del bosco, reciso dal ferro [...]. Sta' attento, quando senti il grido della gru, che dall'alto delle nubi ogni anno schiamazza: essa porta il segnale di arare i campi e annunzia la stagione dell'inverno piovoso [...]. Se invece seminerai la terra divina quando il sole volge al solstizio, tu potrai mietere stando seduto, stringendo in una mano lo scarso raccolto [...]. Quando Zeus ha fatto compiere sessanta giorni invernali dopo il solstizio, proprio allora la stella di Arturo, dopo aver abbandonato la sacra corrente di Oceano, s'innalza la prima volta nel cielo al calar delle tenebre. E dopo di essa, la figlia di Pandione dall'acuto lamento, la rondine sorge alla luce fra gli uomini, all'inizio della primavera. Tu prima della sua venuta pota i vigneti, perché così è meglio [...]. Quando poi Orione e Sirio sono giunti a mezzo del cielo, e l'Aurora dalle dita di rosa riesce a vedere Arturo, allora, o Perse, raccogli tutti i grappoli d'uva e portali a casa [...]. Ma se ti prende desiderio della navigazione perigliosa, nel tempo in cui le Pleiadi, fuggendo la terribile possa di Orione, si tuffano nel mare caliginoso, allora invero spirano i soffi dei venti da ogni direzione ed allora tu non tener mai le navi nel purpureo mare, ma ricordati di lavorare la terra [...]. Cinquanta giorni dopo il solstizio, quando è giunta al termine la stagione dell'estate spossante, allora è tempo giusto per i mortali di mettersi in mare; allora tu non perderai in naufragio la nave, né il mare farà perire i tuoi uomini [...]. In quel tempo i venti sono costanti ed il mare è sicuro [...]. “
---------
Brano tratto da Esiodo, Le Opere e i Giorni, traduzione di A. Colonna in Esiodo, Opere, Torino 1977; testo raccolto in:
André Pichot, La nascita della scienza. Mesopotamia, Egitto, Grecia antica, traduzione di Marina Bianchi, Edizioni Dedalo (collana Storia e civiltà n° 34), Bari, 1993¹; p. 295.
[1ª Edizione originale: La Naissance de la science, Tome I. Mésopotamie, Égypte, Tome II. Grèce présocratique, Éditions Gallimard, coll. Folio/Essai nos 154 et 155, 1991]
24 notes · View notes
tanogabo · 7 months
Photo
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
(via I miti mesopotamici e la teogonia di Esiodo)
I miti mesopotamici e la teogonia di Esiodo (Appunti a cura di G. Lucini tratti da una lezione del Prof. Aldo Bonetti dell’Università Cattolica di Brescia)
0 notes
marcogiovenale · 1 year
Text
roma, 5 maggio, studio campo boario: "i giorni, le opere (ma esiodo non c'entra)", di luigi ballerini
a Roma, venerdì 5 maggio 2023, alle ore 18:00 presso lo Studio Campo Boario (viale del Campo Boario 4a) Luigi Ballerini legge e presenta brani del suo oratorio inedito I giorni, le opere (ma Esiodo non c’entra) con la partecipazione di Giuliana Adezio * * * Lettura e commento dei primissimi brani di un oratorio immaginato idealmente come un’assemblea degli eroi ma realizzato assai più…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
bicheco · 1 year
Text
Tumblr media
Ha appena citato Esiodo.
Bersani è un gigante della politica rispetto ai nani e alle nane che ci governano.
20 notes · View notes
diceriadelluntore · 1 year
Text
Storie di Orse
Callisto era una bellissima ninfa. Che fosse bella, lo dice il suo stesso nome: Καλλιστώ, la più bella. Era una ninfa di Artemide, abilissima cacciatrice. Il suo mito è raccontato sia da Eschilo (opera persa, ma Eratostene di Cirene riporta la versione di Esiodo nei suoi Catasterismi), sia da Anfide, commediografo ateniese contemporaneo di Platone, nella sua Kallisto (perduta anch'essa, ma riassunta in un'altra opera, De Astronomia).
Il mito è questo: essendo al corteggio di Artemide, era a lei legata e, come la Dea, vergine. Un giorno, dopo una caccia stancante, era stesa senza faretra su un prato di un boschetto, quando capitò lì Zeus. Il Re degli Dei, con la consueta furbizia e cupidigia, prese le forme della dea, e la ninfa "ne accettò l'amore" (ovviamente la situazione è più violenta, ma tant'è atteniamoci alla favola). Questo punto è importante perchè è forse l'unico esempio di seduzione omosessuale femminile, e secondo alcuni studiosi era simbolico di riti iniziatici femminili scomparsi verso il I° millennio a.C. (tesi suggestiva si, ma piuttosto eterea). La ninfa rimase comunque incinta. Ma non lo disse ad Artemide, fino a quando, mesi dopo durante un'altra battuta di caccia, la Dea chiese alle ninfe di fare un bagno rigenerante: fu allora che scoprì la gravidanza della ninfa (un meraviglioso quadro di Tiziano ferma questo momento, del 1556-1559, conservato presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna)
Tumblr media
Scoperto il fatto, Artemide la scaccia: offesa e adirata, la trasforma in orsa.
Ovidio nelle Metamorfosi (che è un libro da tenere e leggere ogni tanto) narra che Callisto fu inizialmente avvicinata da Giove (Zeus per i greci) sotto le sembianze di Diana (Artemide greca), ma che, una volta accortasi della passione di questo, tentò di fuggire, costringendo il dio a riassumere il suo vero aspetto per prenderla con la forza. Uscita dal boschetto dove si trovava, Callisto notò Diana che la chiamava ma, per paura che potesse trattarsi di un nuovo travestimento di Giove, si rifiutò di avvicinarsi finché non vide il resto del corteo avvicinarsi, al che, convinta dell'identità della dea, si riunì al gruppo. Dopo tempo e in una nuova battuta di caccia, Diana propose di fare il bagno presso una fonte. Callisto tentò di nascondersi dietro alle altre ancelle per occultare il fatto di essere incinta, ma venne infine scoperta e Diana, adirata, la scacciò. Callisto diede quindi alla luce il figlio di Giove, Arcade, e solo allora Giunone (Era per i greci), infuriata per la messa al mondo di un figlio illegittimo del marito, la trasformò in un'orsa. Il figlio fu trovato da dei cacciatori e portato al re Licaone. Callisto vagò nei campi e nei pressi degli uomini ma avendo le sembianze di un orso fu temuta e scacciata sia dagli uomini che dai cani (in questo caso, il mito segue evemeristicamente il naturale comportamento dell'animale con l'uomo e gli animali addomesticati). Similmente, nella natura, era lei stessa a fuggire dalle altre bestie selvagge, compresi i lupi, "nonostante suo padre fosse un lupo", poichè secondo Ovidio era figlia di Licaone, Re della Pelasgia. Quindici anni dopo riconobbe il figlio Arcade che si era addentrato nella foresta per cacciare, ma quando cercò di avvicinarsi questo spaventato tentò di colpirla con una lancia nel petto. Giove, tuttavia, non permise il crimine di un figlio che uccide la propria madre, e mandò un vento che li sollevò entrambi da terra e lì collocò come costellazioni in cielo. Callisto diventò l'Orsa Maggiore, Arcade l'Orsa Minore. Giunone, infuriata nel vedere i due venire onorati con questa condizione, si recò da Teti e Oceano per chiedere che impedissero a madre e figlio di riposarsi nelle loro acque tramontando: si dice infatti che le due costellazioni "non si lavano nelle onde" poichè non scendeno mai sotto l’orizzonte, dove si riteneva vi fosse l’oceano. L’Orsa Maggiore è infatti alle latitudini mediterranee una costellazione circumpolare, di quelle cioè che non tramontano mai, non si inabissano sotto la linea dell’orizzonte.
Non tutti i favolisti seguono questo finale, poichè Arcade è riconosciuto un eroe greco importantissimo: infatti successe a Nittimo (figlio di Licaone, che per i favolisti greci era padre di sua madre Callisto, quindi suo nipote), e come nuovo re introdusse la coltivazione dei campi (che aveva imparato da Trittolemo, re degli Eleusi, e conoscitore dei famosi Misteri Eleusini), insegnando ai sudditi a fare il pane, a filare e a cucire i vestiti. Dopo di lui, la terra precedentemente chiamata Pelasgia fu chiamata Arcadia, e il suo popolo gli Arcadi. L'Arcadia divenne sinonimo di bellezza, della forza bucolica e dove uomini e natura vivono in perfetta armonia. Solo in seguito alla sua morte fu portato vicino la madre come stella, la più brillante, nella costellazione dell'Orsa Maggiore che i Greci chiamavano Arctophylax, Sorvegliante dell'Orsa, custode dell'amore che legava indirettamente madre e figlio.
12 notes · View notes
crazy-so-na-sega · 11 months
Text
in effetti se penso a testimonianze riportate su vasi d'argilla babilonesi, a Socrate o Esiodo non c'è dubbio che il sentimento di declino morale rispetto al passato è un sentimento universale che gli uomini hanno sempre vissuto.....
2 notes · View notes
vecchiorovere-blog · 2 years
Photo
Tumblr media
Eros, il più bello fra gli dèi immortali, che rompe le membra, e di tutti gli dèi e di tutti gli uomini doma nel petto il cuore e il saggio consiglio. Esiodo, Teogonia Raphael Kirchner
11 notes · View notes
libriaco · 2 years
Text
Sacro & Profano
Tumblr media
A scuola la noia rende adesso le ore interminabili: non c’è piú madre Consuelo, estrosa e imprevedibile, le pupille rimpicciolite dallo spessore delle lenti e la vocetta acuta che ironizzava sulla nostra ignoranza. Anche la professoressa di scienze, l’unica insegnante laica che in quarto ginnasio mi aveva dato giustamente un quattro al primo trimestre, è sparita insieme ai suoi alambicchi; e in una corsa al risparmio in vista della costruzione di un nuovo grandioso edificio scolastico, sono state eliminate tutte le insegnanti esterne. In cattedra siedono adesso suore appena diplomate che faticano a tenere sveglio il nostro interesse; e se la filosofia ci viene proposta da madre Pia, neolaureata irpina, come un ricettario dove Bacon e Locke non sono molto diversi dai cuochi che mescolano burro e farina, la giovane religiosa che cerca di farci condividere il suo amore per i grandi classici della letteratura latina e greca è invece sicuramente brava e intelligente. È la secondogenita di Alcide De Gasperi, laureata cum laude alla Sapienza di Roma, ma nella monotonia della sua voce si avverte la difficoltà a comunicare insieme a una infelicità controllata, intima, profonda. Un’infelicità che si manifesta nell’assenza di vibrazioni, quasi un’opacità costante avvolgesse il suo bel viso, il corpo imprigionato nel pesante abito viola.
Il grassetto nel testo è mio.
[Nella foto, dal sito dell’Istituto Mounier: Lucia De Gasperi il 7 dicembre 1947, vigilia dell’Immacolata, quando fece il suo ingresso tra le suore dell’Assunzione. Si era laureata a pieni voti in Lettere antiche il 27 novembre 1947, discutendo una tesi su La concezione morale di Esiodo]
R. Loy, Forse, Torino, Einaudi, 2016.
7 notes · View notes
klimt7 · 2 years
Text
Una ferita difficile da dire
I Greci hanno sempre avuto intuizioni geniali.
Basti pensare a come l'Amore lo rappresentano con l'immagine di un giovane, dispettoso e imprevedibile che scaglia frecce per colpire un essere che da quel momento diviene preda del Dio Eros.
Eros è il dio greco dell'Amore, conosciuto anche come Cupìdo dai Romani. La sua azione non si esercita solo sugli uomini, ma sugli stessi dei e perfino sugli elementi della natura. La fantasia dei poeti lo concepì come un fanciullo alato, pronto a colpire con le frecce le sue vittime.
.
Tumblr media
.
IL DIO CHE PARTECIPA ALLA CREAZIONE DEL MONDO
Nella Teogonia ("La nascita degli dei") del poeta greco Esiodo (7° secolo a.C.) Eros è presente sin dagli inizi del processo cosmogonico, cioè del processo di formazione del mondo: rappresenta la forza di generazione e riproduzione. Il poeta non lo descrive, ma la sua azione si manifesta tra tutti gli elementi e gli Esseri.
Nelle Teogonie attribuite al mitico cantore Orfeo, Eros è figlio della Notte e del vento, nasce da un uovo d'argento e ha le ali d'oro.
L'immagine più nota e diffusa di Eros è quella di figlio e compagno di Afrodite (Venere per i Romani), la dea dell'amore. Un dio che la poesia e le arti figurative rappresentano come un giovinetto dai bei riccioli e dal corpo atletico o anche, soprattutto a partire dall'età classica, come un fanciullo dotato di ali e armato di arco, faretra e frecce. Con queste ultime colpisce le sue vittime, infondendo in esse il fuoco d'amore.
È un dio amato e temuto, capace di apportare gioia e di provocare tormenti: "dolce-amaro, invincibile" lo definisce la poetessa Saffo (fine 7° secolo ‒ prima metà del 6° a.C.).
Anche il filosofo Platone (5°-4° secolo a.C.) tratta della natura di Eros in un suo dialogo, il Simposio.
La figura di Eros ha ispirato ai poeti innumerevoli paragoni.
"Eros ha squassato il mio cuore come vento che si abbatta sulle querce dei monti" (Saffo).
"Di nuovo Eros con un grande maglio come un fabbro mi ha colpito, e nel torrente invernale mi ha immerso" (Anacreonte, 6°-5° secolo a.C.).
"Di nuovo Eros col suo sguardo struggente sotto le ciglia scure con incanti d'ogni sorta, mi getta nelle inestricabili reti di Afrodite. Davvero al suo assalto io tremo, come un cavallo da corsa. (Ibico, 6° secolo a.C.).
Mosco, poeta greco del 2° secolo a.C., immagina che Eros sia fuggito da Afrodite. Così la dea lo descrive:
"Non bianca è la sua pelle, ma simile al fuoco; occhi penetranti e di fiamma; intelligenza perfida, eloquio dolce: altro pensa, altro dice. Ha voce di miele, ma come fiele è la sua mente. Selvaggio, seduttore, mai sincero, piccolo ma pronto a tessere giochi crudeli. Ha bei riccioli in capo e lo sguardo sfrontato.
Piccole ha le mani, ma colpisce lontano, fino all'Acheronte, fino alla reggia di Ade. [...] Alato come un uccello vola dall'uno all'altro, uomini e donne, e si posa sul loro cuore.
Ha un arco molto piccolo, e sull'arco una freccia ‒ piccina, ma vola fino al cielo ‒ e sulle spalle una faretra d'oro: lì tiene quei dardi pungenti con cui spesso ferisce anche me. [...]
Se tu lo catturi, tienlo legato e non averne pietà; e se vedi che piange, non farti ingannare; e se ride, trascinalo; e se vuole baciarti, fuggi: maligno è il suo bacio, le sue labbra sono veleno".
.
Per noi moderni tutto ciò suona desueto, arcaico, apparentemente "superato" ma non dovremmo mai dimenticare l'immagine così potente, significativa e densa di conseguenze: la freccia colpisce e causa sempre una ferita.
L'Amore nasce per sua natura da una ferita che manda in frantumi il nostro "Io" precedente.
Non a caso quindi i Greci capirono per primi, l'origine di ciò che chiamiamo Amore: una ferita.
.
Tumblr media
.
.
4 notes · View notes
tanogabo · 5 days
Text
Cotto, uno dei tre giganti Centimani
Cotto nella mitologia greca era uno dei tre giganti Centimani o Ecatonchiri, figli di Urano e Gea. Partecipò, insieme a Briareo e Gige, gli altri due Ecatonchiri, alla Titanomachia, dopo che Zeus liberò lui e i suoi fratelli dalla prigionia nel Tartaro. John Flaxman – I figli di Urano, Cotto, Briareo e Gige, combattono dalla parte degli dei contro i Titani. 0 Esiodo, Teogonia V. 719. – Wikipedia,…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
scienza-magia · 29 days
Text
Quando la donna scoperchiò tutti i mali di Zeus
Tumblr media
Perché si dice “aprire il vaso di Pandora”? Il significato deriva da un mito greco. "Aprire il vaso di Pandora" è un'espressione che trae origine dal mito di Pandora, prima donna mortale, che per curiosità scoperchiò il vaso contenente tutti i mali affidatole da Zeus. Per questo l'espressione è usata per indicare le gravi e impreviste conseguenze di un'azione apparentemente innocua. Avete mai sentito dire l'espressione "aprire il vaso di Pandora" per descrivere un'azione che sembra innocua, ma che in realtà scatena una serie di mali imprevisti e inarrestabili? Ecco, e vi siete mai chiesti chi è Pandora e cosa significa esattamente aprire questo vaso? In sintesi il detto deriva da un antico mito greco, cantato nelle opere di Esiodo. Approfondiamo la questione. Il mito di Pandora e l'apertura del vaso Secondo il mito narrato da Esiodo, Pandora sarebbe stata la prima donna mortale a comparire sulla Terra: fu creata per ordine di Zeus, il signore degli dei, come parte di una punizione per l’umanità (costituita da soli uomini di genere maschile), dopo che Prometeo rubò il fuoco agli dei per darlo ai mortali.
Tumblr media
Pandora fu inviata sulla Terra con un vaso che conteneva tutti i mali del mondo, allora sconosciuti, come la malattia, il vizio, la follia e la fatica. Aveva l’assoluto divieto di aprirlo. Il gesto di Zeus non bastò però a danneggiare l'umanità: per ottenere questo risultato Pandora venne mandata da Epimeteo, fratello di Prometeo. Questa figura incarna svariate qualità negative, prettamente umane: emergono già dal suo nome, che significa “colui che pensa dopo”, cioè senza badare alle conseguenze delle proprie azioni. Il suo nome è quindi in contrapposizione con quello del fratello Prometeo, che significa invece “colui che pensa prima”. Presso Epimeteo, per pura curiosità, Pandora alzò il coperchio del vaso così che il suo contenuto si sparse sulla Terra, condannando l'umanità a una vita con sofferenze, mali e afflizioni: ciò completò la punizione di Zeus. Per volere del signore degli dei, inoltre, Pandora richiuse il vaso prima che da esso potesse uscire anche Elpis, la speranza. Il fatto che la speranza sia rimasta nel vaso, d'altro canto, ha un valore positivo: significa che gli uomini possono conservare la speranza e ne possano disporre, contrariamente a quanto succederebbe se fosse uscita nel mondo insieme agli innumerevoli dolori. Interpretazione e significato del mito Il mito greco però ha anche risvolti positivi. L'apertura del vaso non è infatti solo un gesto di disobbedienza, ma simboleggia il momento in cui l'innocenza umana viene persa a fronte della conoscenza e della verità dolorosa, all’inevitabile presenza del male nel mondo. Il vaso simboleggia ciò che è nascosto, occulto perché chiuso.
Tumblr media
Il mito di Prometeo, colui che avrebbe rubato il fuoco agli dei per darlo agli uomini Pandora è diventata anche sinonimo di curiosità incosciente: proprio la sua curiosità da un lato riflette l’incessante ricerca di conoscenza dell’uomo, la voglia di andare oltre quello che non si conosce; dall’altro indaga le conseguenze imprevedibili che possono scaturire da un singolo atto impulsivo. È interessante notare che anche nella mitologia greca, come in quella cristiana (pensate alla mela di Eva), l'origine dei mali del mondo deriverebbe dalla curiosità femminile. Ma il mito greco ha anche un'interpretazione positiva, secondo cui il gesto di Pandora non è una condanna per l'umanità ma la possibilità di acquisire consapevolezza. Come spesso accade quando si scoprono i lati bui delle cose, infatti, l’uomo ne rimane in qualche modo vittima, perdendo la sua innocenza. La perdita dell’innocenza lascia però sempre posto a una più profonda conoscenza, a una vera e propria catarsi, se l’uomo accetta la sfida e non si lascia sopraffare dal lato oscuro. Fonti:  Treccani - Libero arbitrio - mydbook Read the full article
0 notes
parole-buttate · 2 months
Text
Nel mio continuo divincolarmi tra le mie mille contraddizioni, trovo coerenza nella dicotomia del termine Caos. Confluiscono in me, sia il significato moderno, che quello antico. Sono fatta di disordine estremo e vuoto ancestrale. Esiodo, poeta greco, descrisse il Chaos come una voragine, un immenso abisso senza coscienza del proprio luogo e della propria origine. Da Chaos nascono Erebo e Notte, e da essi nascono Etere e Giorno. Così sento, che in me nascono prima le tenebre della luce. Come tutti, vengo al mondo piangendo.
0 notes
Text
ORAZIO, SATIRA II, 6 - Il topo di campagna ed il topo di città
New Post has been published on https://www.aneddoticamagazine.com/it/orazio-satira-ii-6-il-topo-di-campagna-ed-il-topo-di-citta/
ORAZIO, SATIRA II, 6 - Il topo di campagna ed il topo di città
Tumblr media
“Cervio, il vicino, in mezzo a questi discorsi, si diverte a raccontare le favole della nonna, in base all’argomento. Se qualcuno, infatti, loda le ricchezze di Arellio, senza sapere quanto affaticano, comincia così:
‘ C’era una volta un topo di campagna, che aveva accolto un amico, un topo di città, nella sua disadorna tana, stando pronto ed attento alle richieste dell’amico, tentando di ammorbidirne le difficili esigenze con gesti ospitali. Perché farla lunga? non lesinava né ceci messi da parte né l’avena lunga, e, portandoli con la bocca gli diede uva secca e pezzetti prelibati di lardo, mirando a vincerne l’atteggiamento schizzinoso con una cena variegata, visto che appena toccava i cibi con dente superbo, ed intanto il padrone di casa, arrampicato su un cumulo di paglia mangiava farro e loglio, lasciando all’ospite i bocconi migliori.’ “.
Per quello che ne sappiamo, il primo a far parlare gli animali in un’opera letteraria del mondo classico, fu il poeta greco Esiodo (VIII secolo a. C.) con la favoletta dell’usignolo e lo sparviero. Alla fine dell’epoca arcaica, nell’età della crisi dei regimi aristocratici, soppiantati da quelli democratici, si diffonde una raccolta di favole con animali protagonisti, attribuite ad un certo Esopo. Molte delle sue favole si ritrovano nella letteratura latina, ad opera di Fedro, del tempo di Tiberio (I secolo d.C.): dati i tempi, era pericoloso parlare di personaggi reali, ed allora si fanno parlare gli animali, chiaramente umanizzati. Insomma, per arrivare a Disney, il cammino è stato lungo. Ma sentiamo Orazio/Cervio:
” ‘ Insomma alla fine il topo cittadino dice al campagnolo: – Amico mio, che gusto ci provi, a vivere con sofferenza nel dorso di un colle franato? Non ti piacerebbe anteporre al bosco la città degli uomini? Prendi la strada, dammi retta, accompagnami, dal momento che i terrestri vivono avendo avuto in sorte una vita destinata a cadere, e non esiste né per il grande né per il piccolo scampo alcuno alla morte. Perciò, caro mio, finché si può, cerca di vivere beato nel piacere, e non dimenticare di quanto breve tempo tu sia.-“.
Il poeta qui si è fatto semiserio: l’amara riflessione sull’esistenza umana e la sua brevità, con il corollario di vivere godendosi la vita, derivante dalla filosofia edonistica, ha un sapore di parodia, da una parte, perché messa in bocca ad un sorcio, ma dall’altra è inevitabile il suo trasferimento nella condizione umana. E’ una favola, attori sono due sorci, ma il loro pensare ed agire è evidentemente e tipicamente umano. E la vena parodistica è ancora più evidente nei passi seguenti, e la parodia è dedicata alla maniera epica di narrare. Vediamo:
‘ Queste parole impressionarono il sorcio campagnolo, ed allora saltò fuori agile dalla tana: ed ecco che la coppia percorre l’itinerario proposto, desiderosi di scalare le mura della città di notte. Ed ormai la notte occupava il centro dello spazio notturno, ed entrambi mettono i piedi in una casa sontuosa, in cui un drappo tinto di rossa porpora era smagliante sopra gli eburnei triclini, e molte porzioni erano avanzate da una sontuoso cena, che giacevano da ieri in ben costruiti canestri. Dunque sistemò il sorcio campagnolo su un drappo di porpora, e alla maniera di uno schiavo succinto si dà da fare qua e là, assaggiando tutto quello che porta, e quell’altro se ne sta sdraiato ed in abbandono e si gode quella svolta di vita, e per la bontà dei manicaretti ringrazia il compiaciuto commensale. Quando di botto un fracasso di porte che si spalancano li precipita giù dai triclini, ed entrambi nel panico a correre per tutta la sala, mezzo morti e con il cuore in gola, intanto che la l’alta casa risuona di cani molossi. Allora il topo campagnolo disse: – Questa vita non fa proprio per me. Stammi bene tu, io me ne torno nella mia tana modesta e selvatica, ma bene al sicuro dai pericoli. -‘ “.
Fine del racconto di Cervio e della satira di Orazio.
0 notes
dominousworld · 7 months
Text
IL MITO DELL’EUROPA
di Gabriele Adinolfi Da Esiodo all’Intelligenza Artificiale, per la riconquista del nostro destino. L’Unione Europea, va da sé, non è l’Europa che ci piace. Ma quale Nazione, oggi, ci piace davvero? Quale Stato e quale regime politico, oggi, soddisfa pienamente le nostre aspettative? Essa non ci piace, è vero: pecca di poca determinazione ed eccessiva condivisone dei poteri, mostrando tutti i…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
Text
Tumblr media
⚠️ NOVITÀ IN LIBRERIA ⚠️
Gabriele Adinolfi
IL MITO DELL’EUROPA
Da Esiodo all’Intelligenza Artificiale, per la riconquista del nostro destino
L’Unione Europea, va da sé, non è l’Europa che ci piace. Ma quale Nazione, oggi, ci piace davvero? Quale Stato e quale regime politico, oggi, soddisfa pienamente le nostre aspettative? Essa non ci piace, è vero: pecca di poca determinazione ed eccessiva condivisone dei poteri, mostrando tutti i limiti di una burocrazia elefantiaca. Essa non ci piace, ma è quotidianamente sotto attacco: lo è per ciò che è stata, per ciò che rappresenta e per quello che potrebbe diventare. Lo è perché, malgrado il fatalismo che ci affligge, i nostri nemici ci temono terribilmente.
Questo libro – pubblicato nel 2018 e passato in sordina per i boicottaggi di un sovranismo sciovinista che aveva confuso l’essenza europea con il meccanismo che ne governa i processi monetari – vuole farsi portatore di una logica di rigenerazione rivoluzionaria, lanciando un monito e un appello.
La riforma costituzionale e sociale dello spazio fisico europeo che si collega al nostro Genius Loci, probabilmente, non è alla nostra portata. Ma possiamo fare molto per riempire i vuoti e accendere le fiaccole, restituendo senso e coscienza alla nostra gente. Non si tratta di definire un progetto politico, ma di suscitare una tendenza e di esserne i bardi: vivere da europei, coniugando le nostre specificità storiche, culturali ed antropologiche in una forza d’Impero. Per farlo, però, occorre ripartire dal Mito e dalla Necessità dell’Europa.
INFO & ORDINI:
www.passaggioalbosco.it
0 notes