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shipisnotaboat · 3 years
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"...il sole prese fuoco. E quando si accorse di bruciare si tuffò in mare per spegnersi."
Una piccola anticipazione sul prossimo capitolo🥰
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shipisnotaboat · 3 years
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*Plin plon*
Only for crew, only for crew...
Capitan Pingu è imbarcato, per i prossimi 5 mesi i post potrebbero non avere cadenza regolare, e sarà impossibile inserire le formattazioni.
Prometto di occuparmene al mio ritorno. Intanto... Teniamoci tutti in forma con De Sardet e le sue lezioni di fitness!
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shipisnotaboat · 3 years
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why you should keep writing your story
because it’s a puzzle no one else will ever arrange the same way as you.
because there are ideas that simply won’t come to you until you write down the wrong words.
because all the bad scenes are the bones of the wonderful scenes.
because someone will love it: someone will read it once, and twice, and thrice; someone will ramble to you about the complexity of it; someone will doodle your characters out of love; someone will find it in exactly what they were looking for with or without knowing it.
because they have things to say, your characters. they’ve told you all those secrets and they have more to tell you, if you will listen.
because you love it even when you don’t; even when it drives you mad or when it accidentally turns into apathy; even when you think you’re doing it all wrong; you love it, and it loves you back.
because you can get a treasure even from things that go wrong; because if a story crumbles down you can build a shinier one on the same spot; because you won’t know where it will take you until it takes you there.
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shipisnotaboat · 3 years
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6. Célie. Balene e magie da nauti.
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La serata si annunciava piatta e noiosa, esattamente come quasi tutte le altre sessantadue di navigazione già trascorse.
Anche oggi ogni suo tentativo di avvicinare il capitano era stato eluso dal nauto, non aveva più dubbi a riguardo: lui la stava evitando.
Ogni volta che lei aveva provato a chiedergli di parlare lui aveva declinato gentilmente, l'aveva affidata al primo ufficiale e scusandosi a ruota si era infilato in cabina di comando, un posto in cui nemmeno al Principe D'Orsay era concesso entrare, poiché lì i nauti praticavano le loro presunte magie di navigazione.
Costantin aveva passato il pomeriggio tra allenamenti con Kurt e lezioni da parte di De Courcillon ed a fine giornata si era trascinato a letto quasi sui gomiti, talmente stanco da ammettere a mezza voce di soffrire quasi nostalgia di casa, per poi lasciarsi andare ad un sonno profondo.
Con un po' di fatica lo aveva spogliato di buona parte degli abiti da giorno ed aveva preso posto accanto a lui, come di consueto, ma dal canto suo non c'era stato proprio verso di prendere sonno.
Non si fece problemi a sedersi sulla schiena di Costantin per accendere il lume e recuperare il proprio blocco da disegno, in fondo se lo avesse svegliato avrebbe sempre potuto coinvolgerlo in qualche attività, lui non si sarebbe mai tirato indietro.
Prese di nuovo posto accanto a lui e lo osservò per un po' da quella prospettiva particolare, mentre Costantin si rovesciava su un fianco con la grazia di una foca male addestrata e gli abbracciava la vita, facendo del suo ventre il suo guanciale.
Senza fretta di iniziare, rimbalzò lo sguardo più volte dal foglio vuoto alla figura del ragazzo. Quella testa dura aveva voluto allenarsi senza camicia, il risultato che aveva ottenuto era una pelle più rossa di un'aragosta, che scottava al tatto strappandogli brividi e mugolii doloranti, persino nel sonno. E se lei aveva di che lamentarsi per le stesse ustioni sul volto, poteva solo immaginare cosa stesse passando il cugino.
In compenso l'allenamento del mercenario aveva dato i suoi frutti: i giochi di luce sulla pelle nuda del giovane disegnavano e mettevano in risalto una muscolatura che non c'era quando erano ragazzi ed i bagni al fiume erano concessi, nulla a che vedere con la fisionomia di Kurt, era evidente, ma comunque sufficiente a comprendere quanto il ragazzino stava iniziando ad essere un uomo.
Gli accarezzò i capelli con affetto, orgogliosa di quel principe d'oro, che nonostante i suoi difetti si sarebbe dimostrato all'altezza dell'incarico di governatore, di questo ne era certa.
Iniziò a tracciare le prime linee sul foglio, con delicatezza, per ritagliare una prima area per il suo soggetto.
Linea dopo linea un piccolo Costantin iniziò a prendere forma, ammirò compiaciuta l'effetto dei capelli sparpagliati in maniera disordinata contro le pieghe della sua camicia e la curva della spalla che si perdeva nel buio della stanza.
Un leggero bussare la fece voltare verso la porta, invitò distrattamente a parlare e riconobbe la voce del capitano che, dopo un primo attimo di esitazione, sembrò ritrovare la solita verve autoritaria da uomo di mare.
<Perdonate il disturbo signora, ma immagino che vostro cugino non volesse perdere questo spettacolo per nulla al mondo.>
Célie osservò Costantin, svegliarlo era probabilmente più pericoloso di guardare dentro la canna del fucile di una guardia dell'Alleanza, ma rispose ugualmente con tutta la sicurezza del caso.
<Saremo pronti in pochi minuti, spero ne varrà la pena.>
<Potete starne certa. Non indossate nulla che non volete bagnare.>
Qualche minuto dopo i due cugini si presentarono sul ponte. Costantin non si era ancora abituato del tutto al rollio della nave, cosa che invece Célie aveva fatto fin troppo bene. Era quasi l'alba, non pensava di aver passato così tanto tempo sveglia.
Le tre navi stavano procedendo più ravvicinate del solito, i mozzi avevano inserito delle lanterne nei boccaporti per illuminare l'acqua attorno a loro e chiunque non fosse prettamente impegnato nella navigazione si era ammucchiato insieme ai nobili ed agli altri passeggeri lungo il parapetto di manca per osservare dabbasso, tra esclamazioni esaltate e fischi divertiti.
Le luci dal basso, assieme al velo di luce rosata della prima alba erano sicuramente uno spettacolo degno di nota, ma non sufficiente per essere convocati a quell'ora.
Costantin sembrava pronto a muovere guerra al capitano, almeno a giudicare dal tono formale ed altolocati che raramente sfoderava.
<Carissimo capitano, comprendo che sia convinto che io di albe ne veda poche, ma come sa, baccaglio fino a tardi. Dun...!!!>
Non fece in tempo ad aggiungere altro, il suo sguardo fu rapito da uno schizzo d'acqua che da fuoribordo si sollevò sin sopra le loro teste e cadde, seminando goccie di una pioggia fredda e frizzante.
Il principino non perse tempo: bocca ed occhi spalancati ritrovò all'improvviso tutta la sua vitalità e si precipitò al parapetto per unirsi al coro di ovazioni non appena le vide. Come un bambino, allungò persino un braccio oltre il legno, come se potesse arrivare a toccarle, Célie si lasciò sfuggire un sorriso divertito nel vedere suo cugino tanto agitato, pregò nel suo cuore che il ruolo di governatore e gli intrighi politici non lo rovinassero.
<Sangue Verde, vieni a vedere questi pesci giganti. Ho già fame!> Kurt, sempre il solito, non si sarebbe stupito davanti a nulla. Le fece cenno di avvicinarsi e si scostò a sufficienza da permetterle di affacciarsi e osservarle a sua volta.
Balene, un intero branco. Gli animali si erano lasciati affiancare dalle navi e procedevano a ritmo dei loro inaspettati ospiti, lasciandosi guardare. Sbucavano da sotto la superficie scura, prendevano aria, soffiavano fuori acqua e tornavano ad immergersi nei flutti con la loro mole impressionante.
Possedevano una continuità armoniosa ed impressionante al tempo stesso, si muovevano una dopo l'altra seguendo la più grossa, in testa, creando l'effetto di tentacoli di una sola gigantesca creatura.
Mentre la sua mente già ingrassava nutrendosi di leggende e miti riguardo le più disparate dicerie, la voce entusiasta di Jonas annunciò per tutti <Guardate là! Al centro! Quello è un cucciolo!>
Il codazzo di nobili e faccendieri che i due principini si erano dovuti portare dietro si sciolsero in domande o versi di approvazione, i marinai invece risultavano più composti.
Preoccupata per l'assenza di una voce in particolare, Célie abbandonò il sorriso e cercò di allungarsi per vedere in mezzo a quell'accozzaglia di gente.
<Non vedo Costantin…>
Kurt, ben più alto di lei, lo individuò con maggiore sicurezza.
<Tranquilla Sangue Verde, non è saltato in mare per accarezzare quelle bestie. È con De Courcillon, credo che gli stia spiegando in quanti modi può farsi servire in tavola queste bestiole.>
Célie roteò gli occhi al cielo. Aprì la bocca per parlare ma improvvisamente la Cavalcaonde prese una brusca virata verso dritta nel tentativo di prendere distanza dal branco e dalle altre navi, spedendo qualche nobile con le natiche sul ponte, a lamentarsi del caprone al timone.
Célie stessa fu sorretta da una mano di Kurt.
<Gentili e nobili signori, sono spiacente di informarvi che lo spettacolo è appena terminato!> Dal timone la voce di Vasco intento a manovrare la ruota in tutta fretta. <Dobbiamo cambiare rotta e dovreste tornare tutti sotto coperta. Immediatamente.>
Uno dei nobili, un mercante ben pronto a lucidarsi le piume di fronte al futuro governatore, provò a questionare.
<Siete impazzito capitano? Il mare è calmo, le nuvole sono lontane. Ci avete quasi ammazzati, e non vedete che il principe stava contemplando quelle bestie?>
<Quelle sono balene.> Chiarì il capitano alle prese con il timone, una sola, piccola porzione della sua attenzione era dedicata all'uomo, il suo sguardo restava concentrato su quelle nuvole come una sentinella.
<Ho chiamato personalmente sua altezza, ma sta per arrivarci addosso una tempesta, è cambiato il vento.>
Insistette ancora, leggermente più autoritario. Il capitano era abile a stabilire entro quali limiti muoversi per rivolgersi ai nobili, ma non sempre il suo ruolo era rispettato a dovere, e la cosa iniziava ad appesantire i viaggi del nauto, questo Célie era riuscita a percepirlo.
<È pericoloso stare qui, se qualcuno di voi dovesse cadere in mare non farei in tempo a dire ai miei uomini di tuffarsi per ripescarvi.>
<Ma cosa state dicendo capitano.> L'uomo aveva ottenuto l'attenzione ed il malsano supporto di buona parte dei nobili, Célie notò che i nauti si erano subito messi in movimento, raggiungendo posti che il capitano andava indicando tra una stilettata e l'altra del nobile. Fece cenno a Kurt di seguirla e si fece largo fino a raggiungere Costantin, seduto a terra, nei pressi del loro vecchio maestro.
<Guardate, il mare è quasi calmo, le nuvole stanno andando nella direzione opposta!> Continuò il nobile.
Célie osservò le nuvole, inizialmente non trovò nulla di strano, ma qualcosa nel loro moto non era regolare, non come le onde che aveva osservato poco prima o come le balene ed il loro sbucare fuori dall'acqua.
Lo stesso branco sembrava essersi inabissato, forse spaventato dallo scatto improvviso delle navi. Probabilmente si stava lasciando suggestionare, ma il fatto che sui ponti scoperti delle altre navi intravedesse scene simili, la indusse ad affidare un po' di fiducia al tanto decantato Capitano.
<Costantin…> gli sussurrò <credo che il capitano abbia ragione. Dì qualcosa a questa gente prima che la situazione sfugga di mano.>
Il principino osservò sua cugina in volto, le sorrise, decisamente più cinico a riguardo ma decisamente ben disposto a lasciarsi manipolare da lei. Si rimise in piedi e lisciò il suo farsetto da viaggio, sistemò i capelli e cercò persino di non barcollare troppo per il rollio della nave, intromettendosi nel discorso con l'opportuna dose di spocchia da sangue blu.
<Signori, su questa nave la parola del capitano vale quanto quella del principe, dovreste obbedirgli senza discutere. O devo aspettarmi una ribellione una volta raggiunta l'isola?>
La voce alta, il tono che non ammetteva repliche, o forse le sue parole smorzarono davvero qualche animo e non pochi iniziarono a sciamare verso i ponti inferiori, lasciando di fatto i nauti liberi di agire con maggiore libertà.
Vasco osservò stupito i due cugini, ma tornò in fretta ad occuparsi del timone, le onde iniziavano in effetti a farsi più arroganti contro la chiglia. Fu stranamente delicato quando Célie si avvicinò.
<Siete certo di quello che dite capitano?>
<Noi nauti usiamo alcune magie per navigare. Ma ora non c'è tempo per spiegarvi, signora. Andate in cabina e chiudete gli scuri. Si ballerà un po' ma sarete al sicuro.>
Célie decise che non era il caso di ribattere. Ed il tono più premuroso usato da Vasco lasciava intendere come in qualche modo lo avesse colpito quel suo intercedere a suo favore.
Di nuovo in cabina, dopo aver eseguito gli ordini del capitano, iniziò a dubitare di aver fatto bene a dargli retta. La nave rollava un po', certo, ma una tempesta era cosa ben differente. Costantin trovò il ritratto e lo osservò, poi chiede perplesso <sono io?>
Célie sorrise <ti pare Kurt?>
<Dovrei metterlo al posto di quei ritratti così piatti e ordinari con cui continuano a tappezzarci le sta…> non fece in tempo a finire la frase, la nave piegò pesantemente di lato, spedendolo lungo e steso sul letto, Célie dovette afferrare una delle pareti per non sbatterci diretta la faccia.
L'intera struttura sembrò vibrare, emise un sinistro scricchiolio, poi la piega fu inversa e la nave iniziò a dondolare senza sosta.
La luce aveva smesso di filtrare dalle intercapedini negli scuri, salvo un unico bagliore seguito da un botto quasi immediato, non proprio lontano.
Il capitano ci aveva visto giusto, e se quella tempesta non gli stava passando sopra probabilmente non era molto lontana.
<C...Costantin stai bene?>
Il ragazzo tirò su la faccia, era verde nonostante l'abbronzatura, e cercava di arrancare e girarsi, come una tartaruga rovesciata sul guscio.
<Sto per…>
<Non sul letto ti prego…> gemette lei, naso arricciato, mentre arrancava. Aveva trovato un equilibrio molto precario, messo in difficoltà da bagagli e altri accessori che vagavano da un lato all'altro della stanza, accasciandosi o rotolando sul pavimento.
Célie quasi inciampò, ma riuscì a raccattare da terra almeno una delle vaschette in ceramica della quotidiana, un po' ammaccata, ma meglio che nulla <resisti ci sono quasi>.
Riuscì ad incastrarsi tra il letto ed una parete, abbandonata la vaschetta a terra poté finalmente usare entrambe le mani per aiutare il cugino.
Quel rollio andò avanti per un tempo indefinito, Costantin smise in breve di svuotare lo stomaco di ciò che restava della cena e della bevuta con Kurt, poi decise di non volersi mai più alzare da quel letto.
<Ricordami… di arrestare tutte le navi… appena arriviamo.>
<Certo cugino. Le ammanettiamo e le portiamo tutte in cella.> Lo schernì lei, con un tono fintamente serio ed un bacio sulla testa.
A mare ormai calmo e con Costantin addormentato soppesò l'idea di un cambio: pantaloni e farsetto avevano conservato ben poco del colore originale, ma prima che potesse spogliarsi un ennesimo bussare la convinse ad andare alla porta.
<Signora. Eccellenza. Va tutto bene?> Di nuovo il capitano.
Questa volta Célie decise di aprire la porta per parlargli, se lo trovò davanti. Qualunque fosse il motivo per cui l'aveva evitata per tutto il tempo sembrava essere riuscito a metterlo da parte per un po', una piccola tregua che le permise di cogliere un aspetto più umano nel giovane.
<Mio cugino ha patito il mare. Ma stiamo bene, si riprenderà in breve.>
Vasco annuì, le mani unite dietro la schiena ben dritta e le gambe appena divaricate in una posa composta, marziale quasi.
<Mando qualcuno a pulire la cabina. La tempesta è passata, siamo riusciti ad evitarla. Ci ha solo sfiorati.>
Il capitano abbassò lo sguardo per poi risollevarlo appena dopo <Io… devo ringraziarvi per aver convinto vostro cugino a parlare così prima. Ha evitato a molti passeggeri di ferirsi. O peggio.>
Célie piegò la testa di lato, cercando di mantenere almeno un minimo quell'aspetto altero che competeva al suo rango. Tuttavia era difficile non subire almeno in parte il fascino del capitano.
<Costantin ha fatto la cosa giusta, ma siete voi che meritate una lode. Le voci su di voi non vi fanno abbastanza giustizia. Siete davvero un ottimo capitano.>
Lui ringraziò, ma sembrò voler riflettere su quell'affermazione. Era pronto a congedarsi ma lei lo trattenne aggiungendo <ho bisogno di chiedervi una cosa.>
La reazione di Vasco fu inaspettata: per quanto la invitasse gentilmente a parlare le rivolse uno sguardo deluso e rassegnato al tempo stesso, ma la domanda di lei lo costrinse a scattare indietro con il capo e sgranare brevemente gli occhi per lo stupore.
<Ho come l'impressione che abbiate voluto evitarmi sino ad ora. È perché ho chiamato barca la vostra nave?>
<Cos…? No. No.> Il nauto scrollò il capo ed abbassò la voce. <È solo che non mi trovo molto a mio agio tra i nobili, tutto qui. Vi chiedo scusa se sono risultato scortese.>
<Vi capisco, buona parte dei nobili sono davvero fastidiosi.>
<In ogni caso, voi mi sembrate diversa. Perdonatemi davvero.> Una breve pausa per prendere fiato, Célie sembrò volergli scavare nell'anima con lo sguardo, aveva fiutato che non era stato del tutto sincero. Non nelle scuse, ma qualcosa in quelle motivazioni risultava fin troppo superficiale rispetto alle reazioni del nauto, che aggiunse <Fortunatamente mancano pochi giorni al termine del viaggio. Riguardatevi signora, e riportate i miei saluti a vostro cugino, di grazia.>
Un cenno al cappello da parte sua, poi si allontanò lasciandola affondare in un certo sconforto: al termine del viaggio li avrebbe scaricati, loro avrebbero iniziato una nuova vita sull'isola, lui sarebbe semplicemente ripartito e sparito tra i flutti.
Non si sarebbero mai più incontrati, e considerato quanto il pensiero sembrava turbarla, era meglio così.
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shipisnotaboat · 3 years
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5. Aphra
Anzianità sul campo.
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Sapeva che sarebbe stato difficile ricominciare in un’altra spedizione, ed era stata anche avvertita in merito.
Essere stata la pupilla prediletta del professor Asili per tanti anni aveva sicuramente dato ragione di essere a numerose invidie, ma il colpo di grazia alla sua immagine nella comunità scientifica era stata la decisione di abbandonare il suo vecchio professore, rendendosi così un bersaglio ideale di tutte le frecciatine provenienti da chiunque avesse desiderio di riempire quel posto rimasto vacante.
Kareema, la sua attuale capa spedizione, sembrava essere una di queste persone.
Sin dal giorno del suo arrivo nella compagnia non aveva perso una sola occasione per mandarla a spalare letame, letteralmente, mettendola a piantare le tende per tutto il campo, o spedendola a procurare legna per il fuoco.
Per superare lo sconforto rigettava in un diario alcune teorie e analisi che cercava di condurre in privata sede. Tra queste, l’idea che gli isolani non fossero davvero immuni alla Malicore, ma che semplicemente mangiassero qualcosa, o possedessero particolari enzimi nel tratto intestinale, che tramite una serie di reazioni chimiche fossero in grado di scongiurare la malattia, evitando così ogni forma di contagio. Un sistema già riscontrato in alcuni animali.
Si erano insediati a Magasvar da almeno una settimana, fin da subito avevano avuto il sentore di essere osservati, anche se, al momento, non avevano avuto alcun contatto con i locali. Kareema aveva comunque messo fretta a tutta la squadra, cosa che in effetti aveva dato modo di rispettare i tempi di raccolta dei campioni in maniera estremamente precisa.
<Dottoressa Aphra?> fu uno dei ricercatori a chiamarla, affacciandosi dalla boscaglia.
Si era trovata un luogo discosto in cui piantare la tenda, su un piccolo promontorio, separato dal campo principale da qualche albero. Da lì poteva godere di una bella vista su quella che i locali chiamavano “La valle della grande battaglia”.
Smise di scrivere su quel suo diario, chiuse il tomo con un laccio di cuoio e lo posò all’interno di uno scrigno in cui custodiva regolarmente il piccolo diario. Non voleva certo dare ulteriore modo ai colleghi di prendersi gioco di lei; quella teoria, doveva ammetterlo, era davvero troppo azzardata.
Prima di uscire dalla tenda, si sincerò di avere almeno un cappello sulla testa, una questione culturale, condivisa da molti Leoni.
La dottoressa poteva essere definita una giovane donna dai tratti affascinanti: pelle d’ebano e occhi d’ambra, una spruzzata di efelidi su un viso dolce e minuto, su cui spiccavano le labbra carnose, eppure non era mai stata vanitosa a tal punto dal voler mettere in risalto in alcun modo il proprio aspetto, anzi era solita indossare abiti grezzi, caftani lunghi e poco avvitati, abbinati a pantaloni larghi alla zuava, in tessuti e colori poco ricercati.
<Dottor Uthman, serve acqua per il fuoco?>
<No, la dottoressa Kareema mi manda a chiedervi di recuperare un nuovo campione.> L’uomo lasciò correre riguardo alla provocazione della giovane, si limitò ad arricciare un po’ il baffo, dal canto suo Aphra si fermò all’ingresso della propria tenda, ed allungò la mano all’interno per afferrare il proprio archibugio.
<Va bene, me ne occupo io.>
Pochi minuti dopo, la dottoressa stava strisciando tra erba alta e rada di una pozza paludosa, i fitti alberi erano alti e imponenti, costituivano quasi un soffitto artificiale fatto di rami e fronde, alimendo la sensazione di cappa e di umido che rendeva matida di sudore la fronte.
A denti stretti, borbottò qualche imprecazione quando dovette avanzare nella pozza, ed il livello dell’acqua superò quello del risvolto degli stivali, scivolando all’interno.
Raggiunse un grande ontano, sul quale pensava di aver avvistato un nido, e dopo aver soppesato la fattibilità di una arrampicata, iniziò effettivamente la scalata verso l’alto. Gli spessi guanti di cuoio le salvarono le mani da diverse ferite, il fucile invece, portato di traverso sulla schiena, la ostacolava in parte, così come la sacca che portava a tracolla, in cui avrebbe dovuto conservare l’uovo dopo averlo prelevato.
Un paio di volte gli stivali resi limacciosi dall’acqua paludosa scivolarono sulla corteccia perdendo la presa, scaricando improvvisamente tutto il suo peso sulle braccia, rischiando di farla cadere. Guadagnò la cima con il fiato corto ma con apparente soddisfazione sul volto, tanto da permettersi di riposare qualche istante, mentre osservava il panorama da quella nuova prospettiva, a cavalcioni del grosso ramo.
Poteva affermare con sicurezza di non avere memoria di paesaggi altrettanto selvaggi ed inesplorati nel Vecchio Continente: ogni foglia ed ogni creatura sembrava un pezzo unico, dal colore intenso e vibrante, di un mosaico variopinto, che riproduceva un disegno inconcepibile per la mente umana.
Un cicalio non troppo lontano le ricordò il verso usato da alcuni insetti nel periodo degli amori, altri fruscii si alternarono a suoni difficili da isolare e catalogare, ma che le chiarirono ampiamente quanto fosse viva ed animata quella palude. Si sentì un’intrusa: un elemento estraneo in un mondo che mai l’avrebbe contemplata.
Almeno il nido sembrò volerle offrire ciò che cercava: vi erano ben tre uova, ne prelevò uno solo e ne osservò la superficie liscia e maculata.
Con cura aprì la sacca ed inserirì l'uovo dentro un vasetto metallico all'interno del quale si trovava dell'ovatta, gli ritagliò uno spazio sufficiente e lo adagiò con cura, relativamente al sicuro da scrolloni.
La discesa dall'albero non fu meno faticosa, messa in difficoltà dalla necessità di muoversi lentamente per non danneggiare il prezioso carico, la sua attenzione dovette focalizzarsi esclusivamente sulla presa di mani e piedi, escludendo il resto della scena. Di fatto dovette abbassare la guardia, e fu in quel momento, quando meno se lo aspettava, che se lo trovò davanti.
Appena mise i piedi a terra avvertì del movimento alle proprie spalle, impugnò il fucile ma non trovò la forza di puntarlo davvero. L'uomo di fronte a lei, un isolano, vestiva grezze pelli e pelliccie, e le puntava contro un'arma. Era difficile, se non impossibile, determinarne l'età, sotto a quei tatuaggi scuri, l'unica certezza che aveva era che non si trattava certo di un ragazzino e che aveva una certa saggezza negli occhi.
La incuriosì un reticolo di escrescenze, similari a piccoli rami e viticci, che sporgevano nel capo, tra i capelli biondastri.
<Renaigse!> Parlò lui per primo, con la voce bassa, graffiante, Aphra si limitò ad osservarlo con gli occhi spalancati, incredula, senza riuscire a capire cosa le avesse appena detto.
L'uomo borbottò altre parole in quella sua lingua selvaggia e le si avvicinò fino a puntare la punta dell'arma verso la sacca.
La dottoressa decise di mantenere alte le mani, a vista, il fucile ancora in mano ma in palese disarmo, per tentare di non spaventarlo. Non riuscì nemmeno a concepire il rischio insito in quell'incontro, per settimane aveva desiderato studiare le attitudini degli isolani, ma nessuno di loro si era mai lasciato avvicinare.
<Capisci la mia lingua?> Ripeté la domanda appena dopo, quando quello borbottò nuove scontrose parole.
<Aspetta, ho bisogno di fare delle ricerche! Non voglio farti del male, ved..?>
Lui decise di passare all'azione, infilò una mano nella sacca e ne estrasse il contenitore.
<Vuoi quell'uovo? Lo mangiate?>
L'uomo passò oltre la curiosità insistente della dottoressa e trovò il modo di aprire il contenitore e recuperare l'uovo. In qualche modo le aveva risposto. Le restituì il contenitore con un ringhio ed un gesto secco, Aphra dovette fare un passo indietro per non cadere a terra tanta era stata la veemenza del movimento, ma tornò in breve a mitragliarlo di domande.
L'isolano si preparò alla scalata, ma prima di iniziare le rivolse l'ennesima occhiata di rimprovero seguirà da un verso, un suono che sapeva di ordine. Appena dopo due grossi Dantríg iniziarono ad avvicinarsi sbucando fuori dalla vegetazione, più grossi di cinghiali ed altrettanto feroci e resistenti, con la lunga schiera di aghi neri che percorrevano la schiena in tensione.
Aphra fu scientificamente rapita dal comportamento delle due bestie, che per proteggere l'uomo si insinuarono in mezzo in modo alquanto coordinato, ma fu comunque costretta a voltarsi e lanciarsi in una corsa a perdifiato.
Dopo aver percorso i primi metri iniziò ad avere il dubbio che quelle bestie volessero solo spaventarla, in fondo non avrebbero avuto alcun problema a raggiungerla se avessero davvero voluto, data la loro natura, ma decise che non si sarebbe certo fermata per verificare.
Si rese conto di aver sbagliato direzione, e di non essere corsa verso il campo, quando si ritrovò impantanata sino ai fianchi. I larghi pantaloni la impacciarono nei movimenti, pieni di acqua paludosa erano ormai più utili come zavorra che come indumento. Tenne alto sopra la testa il fucile e continuò ad avanzare alla cieca, cercando di non affondare troppo.
Guardandosi alle spalle riuscì a vedere le due bestie ferme al limite della grossa pozza, la osservarono per un po' ringhiando, poi semplicemente si allontanarono, lasciandola libera di tornare sui suoi passi.
Quando raggiunse la riva aveva ancora il respiro accelerato, posò il fucile contro un albero e si prese qualche istante per svuotare i pantaloni, strizzare il caftano e liberare il cappello da un grosso centopiedi che doveva esserle caduto in testa mentre correva.
<Trovati un'altra tana, bestia.>
Gli sbuffò contro di naso, seccata, ma del resto doveva pur prendersela con qualcuno per quella situazione: si era fatta rubare il campione, non era riuscita ad approcciare il selvaggio e si era anche persa.
Cercò di ritrovare qualunque riferimento le potesse essere d'aiuto, era stata in una marea di campi, ed aveva imparato a trovare in breve un punto o due utili per orientarsi, su quest'isola l'onnipresente vulcano era sicuramente d'aiuto.
Percorse più o meno a ritroso la strada percorsa durante quella sua fuga e riuscì infine a ritrovare la stessa pozza in cui aveva incontrato l'isolano. Di lui e delle sue due bestie da guardia non c'era traccia.
La zona, così viva inizialmente, era improvvisamente silenziosa, come se ogni creatura vivente avesse scelto di allontanarsi da quel posto. Da lei. Un pensiero che riuscì a turbare la sua scorza dura.
Decise di recuperare un altro uovo e tornare al campo prima del calar del buio, ma quando raggiunse l'albero si accorse che il nido era scomparso.
<Non è possibile… non posso essermelo sognato…> una protesta che fece scivolare fuori dalle labbra a mezza voce, cercando istintivamente un altro albero, sperando semplicemente di essersi sbagliata. Tuttavia si rese conto che più cercava e più si sentiva osservata, e quella palude così viva divenne all'improvviso morta e sinistra, tanto da strapparle un brivido gelido lungo la schiena.
Alzò la voce. <Hai intenzione di portarti via tutti i nidi di questa palude?>
Il silenzio che la circondava l'aiutò a sgonfiarsi, si rimproverò per aver agito come una ragazzina e si preparò a tornare verso il campo a mani vuote, chiedendosi se Kareema avrebbe preferito avere il campione richiesto o un altro motivo per prendersi gioco di lei.
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shipisnotaboat · 3 years
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4. Célie De Sardet. La noia e il mare.
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“È una nave, non una barca…”
Quella frase continuò a ronzarle nella testa, per ore, corredata dall’espressione di biasimo sul volto del capitano.
Quella frase, era stata un colpo al cuore, il simbolo del primo fallimento come Legato, e probabilmente anche la miccia dei suoi istinti omicidi nei confronti del nauto.
Che razza di differenza faceva? Galleggiava e portava le persone da un posto ad un altro.
E quella faccia poi, al di là del suo ruolo restava una nobile, ed una donna, e mai nella vita si sarebbe aspettata un’espressione tanto impunita sul volto di un semplice nauto, un capitano certo, ma nulla a che vedere con il suo sangue nobile.
Il piccolo incidente si era chiuso sullo stesso molo su cui era nato, dissimulato sotto un’espressione neutrale e delle scuse formali, forse addirittura superficiali da parte sua, ma che il capitano sembrava avere accettato.
Da parte sua quell’episodio continuava a rimbalzarle nella mente, complice la noia per l’assenza di attività a bordo a cui lei potesse partecipare, in un loop continuo e frustrante, tale da assumere a volte sfumature che rasentavano l’assurdo. In una di queste, ad esempio, cedeva ad un latente orgoglio capriccioso e rispondeva a tono al nauto, ricordandogli la differenza sociale tra loro.
In verità, almeno così aveva deciso per rimettere in pace la sua sanità mentale, era semplicemente stata colta di sorpresa. Nei giorni precedenti all’imbarco aveva sentito nominare più volte il capitano Vasco. La sua famiglia non avrebbe mai affidato i due “pulcini reali” nelle mani di un capitano di primo pelo. E di questo in particolare si erano sentite ogni genere di lodi, dalla sua grande esperienza al pregio di non aver mai perso un uomo in mare, un tizio sorprendente, capace, a modo, e di cui nessuno dei suoi precedenti passeggeri si era mai lamentato.
In pratica Célie si aspettava di incontrare un vecchio tricheco: uno di quei lupi di mare con la puzza di pesce nelle ossa, il tricorno ormai calcificato in testa e la barba ispida di salsedine. Aveva persino ironizzato con Kurt mentre dalla sua abitazione si spostava verso il porto, per incontrare il capitano, e quando se lo era trovato davanti aveva frenato in tempo la lingua prima di appellarsi a lui come "marinaio" e chiedergli di poter parlare con l’ufficiale; una gaffe che probabilmente le sarebbe valso un giro o due di chiglia.
“Si” concluse infine, seguendo la scia dei suoi pensieri “sono semplicemente stata colta di sorpresa, vittima della mia stessa inesperienza. Non si ripeterà più”. Una promessa a sè stessa che sancì con uno sguardo che fece scivolare verso la pistola posata sullo sgabello alla sua destra, pronta all’uso se fosse stato necessario.
Raccolse la spugna dal fondo della vasca di legno, l’acqua del bagno ancora tiepida le suggerì la possibilità di spendere ancora qualche minuto in ammollo. Di diverso avviso erano le rughette che le si erano formate sui polpastrelli, sorrise, quella vista le riportò alla mente una giornata trascorsa al fiume, con Costantin e Kurt.
Trovò curioso il fatto che la sua memoria avesse riportato a galla con tanta semplicità quell’evento, che non possedeva nulla di speciale, accaduto diversi anni prima. Erano poco più che bambini, un sorrisetto divertito le illuminò gli occhi verdi nel riportare a galla l’immagine di un Costantin appena ragazzo, con i suoi riccioli biondi e le gambette secche, battere ad una gara di nuoto un giovane Kurt, decisamente più ben piazzato di lui.
A lei era toccato il ruolo di giudice, un arduo ruolo: determinare se il mercenario avesse volutamente lasciato vincere o meno il principino fu un bel grattacapo. Ogni argomentazione fu però accantonata in fretta e furia quando il cugino si trovò un paio di sanguisughe di troppo nei mutandoni ed il mercenario un altro paio sulla schiena, tra schizzi d’acqua ed urla concitate.
L’immagine trasformò il sorrisetto compiaciuto in una risata delicata, un idillio che fu interrotto da un tornado biondo che spalancò la porta e si introdusse nella cabina di gran lena.
<Cugina! Vieni presto, il capitano ha appena battuto Kurt ai dadi! Devi vedere la sua faccia, presto!>
Célie sussultò e si chiuse e riccio dentro la vasca, riparandosi come possibile, premendo le gambe piegate contro al busto, con le guance paonazze e gli occhi sgranati. E se una mano cercò di coprire pudicamente parte del “tesoro D’Orsay”, con la destra afferrò la pistola, che rivolse all’ingresso della cabina, pronta a difendersi in prima persona.
Quando individuò la figura del cugino, sembrò volerlo fulminare sul posto.
<COSTANTIN!> Cèlie gli sibilò contro, ma avrebbe voluto urlare. Il rossore prese piede dal suo volto, andando a contaminare anche la pelle del corpo, normalmente di qualche tono più chiaro.
Il biondino era talmente concitato che non perse tempo a preoccuparsi per la canna della pistola, che non solo lo stava puntando, ma che continuò a seguire i suoi passi per qualche istante, mantenendolo in mira, del resto era certo che mai nella vita sua cugina gli avrebbe fatto del male. Indicò l’esterno con entrambe le mani.
<Il capitano… ha stracciato Kurt! Questa non puoi perdertela cugina!> solo quando Cèlie uscì dalla vasca con uno sbuffo rassegnato il principino perse mordente <...ma… sei nuda?> un passo a destra e chiuse la porta, prendendosi giusto il tempo per far scivolare lo sguardo all’esterno ed annotare mentalmente gli eventuali volti da spedire in qualche missione senza ritorno.
De Sardet intanto si era procurata un telo in cui avvolgersi e con un tono quasi annoiato rimbeccò il cugino <Visto dove ci troviamo avevo pensato di fare il bagno vestito, ma poi ho deciso che sarebbe stato poco utile.>
Incassando la stoccata con stile, Costantin si avvicinò per aiutarla, sistemando i separè e passandole i primi capi che trovò a portata, con naturale disinvoltura. Tutto sommato era abituato a vedere la cugina come una sorella, se avesse mostrato una qualunque forma di attrazione li avrebbero già separati da tempo e dato che temeva troppo a lei per perderla, aveva imparato dedicare alla forme della cugina, nessuna attenzione in più di quanto avrebbe rivolto a Kurt, anche se la differenza era evidente.
<Il capitano dice che dobbiamo ancora raggiungere l’oceano aperto, Kurt vuole organizzare alcuni allenamenti per alleggerire la traversata e sir De Courcillon…>
Cèlie gli arrivò davanti appoggiandogli con delicatezza una mano sulle labbra per arrestare quel fiume di parole <credi che manterrà quella faccia abbastanza a lungo da rendermi presentabile o devo correre fuori in sottana?>
<Ah cugina che splendida idea! Potrei farlo con mio padre, se mai verrà a cercare qualcosa per cui ribadirmi la mia inettitudine, spacciandola per una visita di cortesia.>
Cèlie modificò la sua espressione in una versione meno convinta mentre Costantin tirava fuori attitudini da pessimo venditore tentando di convincerla della genialità dell’improvvisato piano. Intanto allungò le mani per sistemarle la camiciola ed il gilet.
<Immagina la sua faccia, quando gli correrò incontro vestito solo dell’asciugamano, magari neanche di quello!>
Erano rare le occasioni in cui Costantin sorrideva pensando al Principe D’Orsay, ma l’immagine nella sua testa lo spinse a farlo
<Ma lascia gli scandali a me, sono io la pecora nera di famiglia.>
Si prese pure la confidenza di lasciarle un bacio dolce su una tempia, un bacio che Cèlie apprezzò socchiudendo gli occhi.
<Vado a punzecchiare Kurt, così sarà ancora di pessimo umore quando avrai finito di pettinarti.>
<Kurt di pessimo umore è la regola, io voglio vedere quella faccia.> gli fece eco lei, puntigliosa.
<Posso provare a bloccarlo come fai tu, se mi presti il tuo anello.>
Célie gli mostrò la mano destra, la base dell’indice era cinta da una sottile banda metallica brunita, dalla lavorazione grezza. L’anello del novizio, di certo non ne se sarebbe separata, nè lo avrebbe lasciato in giro.
Costantin sollevò le mani e mostrò alla cugina entrambi i palmi in un cenno di resa <D’accordo, hai vinto, appena arrivi gli ricordo quanto ha perso.> Si soffermò sull’uscio osservando l’esterno <sempre ammesso che non si sia buttato in mare per lo sconforto.>
<Costantin, se non esci da qui ti sparo davvero.> Una minaccia benevola, ma che sotto sotto nascondeva comunque una certa preoccupazione per il capitano del conio.
Una minaccia che il principino colse fin troppo bene, perchè si affrettò a portare davvero fuori dalla cabina la sua pregiata figura.
De Sardet decise di non sprecare troppo tempo, raccolse i capelli corvini con un nastro, dopo averli tamponati e sbrogliati, indossò gli stivali, la giacca da mercante, il cappello ed infine i guanti e si apprestò a mettere nuovamente piede sul ponte.
Ad accoglierla in prima istanza fu il bagliore del sole, quasi accecante, colpa anche del riflesso del mare aperto. Benchè non fossero che a poche miglia dalla riva, sembrava di essere sospesi sopra al più profondo degli oceani, un luogo insidioso a detta del capitano, poichè in queste acque basse tendevano a nascondersi scogli che potevano bucare la chiglia della nave o secche improvvise in cui arenarsi.
Tutti racconti già sentiti, a cui sembrava impossibile credere data la sensazione di pace che quel cielo terso ispirava, un cielo che a Sérène non si vedeva da tempo.
Senza alcun motivo apparente, la mente, che macchina strana, la indusse ad avvicinarsi al parapetto di dritta. Appoggiò le mani e si sporse cautamente con il capo per cercare di spingere lo sguardo verso poppa, oltre l'abbondante struttura del cassero, in cerca di una terra non più visibile. In silenzio scivolò nella nostalgia e nel senso di colpa per aver lasciato sua madre laggiù, malata. “Morente a dire il vero”, così le aveva chiarito senza accusa, ma con sincerità.
<Eccellenza> una voce la richiamò con i piedi sul legno, era Jonas, il giovane mozzo recuperato dai magazzini della famiglia Fontaine, i suoi genitori. Il ragazzo dalla pelle scura la guardava dal basso con gli occhi verdi, ereditati dalla madre e la schiena curva su uno spazzolone che spingeva avanti ed indietro a forza di gomito, cercando di ripulire il pavimento da brezza e salsedine, ma le sorrideva con gratitudine.
<Eccellenza,va tutto bene?>
<Avete visto mio cugino o il capitano Kurt?> Rispose con la solita espressione altera sul volto, aveva simpatia per il mozzo, ma non gli doveva alcuna spiegazione.
Il ragazzo indicò verso prua, dove si poteva distinguere chiaramente la vivace sagoma del cugino, intento a parlare con in imbronciatissimo mercenario. Poteva quasi sentirlo ringhiare a distanza, Costantin stava facendo un ottimo lavoro. Ringraziò il mozzo con un sorriso appena più gongolante del dovuto, con le labbra affilate compostamente serrate, e si avviò di buon passo, lasciandosi alle spalle quel breve momento di nostalgia.
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shipisnotaboat · 3 years
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Pausa, 5 minuti di pausa... Spezziamo un po’ la tensione con due note da Capitan Pingu. Se mi state mandando accidenti non fatelo, io VE LO AVEVO DETTO che c’erano SPOILER -lo avevo detto vero???-. In realtà volevo condividere questo... successo GRANDIOSO nella carriera da ninja di Kurt, il quale è talmente skillato nel nascondersi nelle ombre che in pieno giorno è arrivato a controllare la patta di un tagliagole. Che talento gente! Ovviamente stavo sghignazzando malamente (e mi immaginavo Célie fare altrettanto da dietro quella cassa). Questo ed altri interessanti momenti di umana raffinatezza nelle prossime puntate!
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shipisnotaboat · 3 years
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3. Padre Petrus. Giochi di potere.
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Padre Petrus non aveva più una bella voce, ma si unì volentieri al coro dei fedeli che sanciva la fine della funzione. Dopo che i fedeli si furono ritirati al di fuori della chiesa di San Lucio, attese in un angolo con le braccia conserte mentre gli sgabelli da preghiera venivano riordinati dagli inservienti, dopo di che si diresse verso la canonica immaginando che padre Amadeo fosse pronto a riceverlo. Bussò con le nocche alla porta ma si fece strada senza attendere risposta. L’uomo lo osservò inizialmente distratto, poi focalizzò su di lui ogni sua attenzione. Invitò il vescovo a prendere posto ad un piccolo tavolo al centro della stanza a pianta rettangolare. Nonostante non si trattasse di uno spazio ridotto, la quantità di mobilio e l’assenza di finestre rendeva l’ambiente soffocante.
Padre Amadeo recuperò una bottiglia ed un paio di bicchieri, e si apprestò a servire entrambi.
<Per essere la prima funzione sull’isola, direi che è andata molto bene, non siete d’accordo padre?> la voce del vescovo gracchiò quasi.
<Eccellenza! Sono ancora emozionato! Non mi aspettavo una raccomandazione per questa mia missione, dal Cardinale di Thélème! Come avete fatto a... io...>
Petrus sollevò una mano, mostrando il palmo per arrestare il fiume di parole del giovane sacerdote <sua eccellenza è un uomo che sa essere riconoscente e capisce quando concedere un piccolo favore ad un vecchio amico. È un bene che il suo potere venga riconosciuto anche così lontano da casa.>
Padre Amadeo non sembrò cogliere l'allusione, o semplicemente lasciò correre. Petrus si riteneva soddisfatto di aver appena guadagnato un nuovo contatto, per anni si era mosso così, guadagnando e riscattando un favore alla volta verso la vetta nel vecchio mondo, nel nuovo non avrebbe fatto differenza.
Petrus lasciò che Amadeo gli servisse il vino e perse con lui in chiacchiere che, sebbene non riscattassero per nulla il suo interesse, avevano il pregio di consolidare il suo rapporto con il sacerdote.
Una volta all'esterno il vescovo si diresse verso la taverna. Sebbene San Matheus non fosse grande quanto Hikmet, poteva vantare strade lastricate, una pianta regolare, alte mura protettive ed un enorme porto organizzato in maniera impeccabile, tutti segni che secondo lui dimostravano un maggiore livello di civilizzazione.
In fondo alla via principale vide le guardie in attesa, e quasi annoiate, intente a cercare un riparo dal sole battente del mezzodì. Una giornata come molte altre insomma, che scorreva pigramente inconsapevole delle macchinazioni del vescovo.
Raggiunta la piazza principale, recuperò dalla tasca della cappa un taccuino, e scorse le pagine alla ricerca del prossimo punto della sua agenda <Sua eccellenza Tadeusz ed il ministro Giustino...>
Fece sparire il blocchetto con gesto soddisfatto, che si trasformò in breve in una nota di rimprovero verso sè stesso <Il fatto che abbia dovuto appuntarmelo probabilmente significa che sto diventando troppo vecchio per questo genere di vita.> Con le mani sui fianchi rimase fermo qualche altro istante ad osservare la piazza circondata da negozi ed alimentata da un continuo via vai di coloni o inquisitori dell'Ordo Luminus. Riprese a camminare, accantonando l'idea di concepire un possibile cambio di attitudine, ma decise di trovare il tempo per un piccolo fuori programma, si avvicinò infatti agli uffici destinati all’Inquisizione e si addentrò all’interno, salutando con cenni educati i confratelli che incrociava.
Lì incontrò il neo-eletto inquisitore Aloysius, nel pieno dei suoi studi, almeno a giudicare da come risultava impegnato a leggere alcune liste insieme ad i suoi confratelli.
<Inquisitore> Petrus cercò con un cenno di attirare la sua attenzione <permettete due parole?>
L’uomo lo osservò torvo per qualche istante, non si trattava di un ragazzino, questo era evidente, ma riusciva a risultare ben più vecchio a causa dei tratti tirati e del reticolo di rughe ed imperfezioni che caratterizzavano il suo volto. Probabilmente aveva militato i primi anni da missionario all’interno di qualche lazzaretto, in fondo la Malicore non era certo l’unica piaga ad ammorbare il Vecchio Continente e per molti fedeli era ritenuto un esordio comune per dimostrare la propria fede in San Matheus, un esordio che, tuttavia, lasciava diversi segni e spesso era considerato un pretesto per sentirsi dei “miracolati”.
Aloysius aveva piccoli occhi castani  ed un naso aquilino, dettagli che alimentavano la sua aria da rapace. Petrus sorrise con calore e serenità, ben conscio di non avere nulla da temere, data la sua condotta impeccabile.
<Eminenza> concesse quello, con un cenno liquidò i confratelli ma si premurò di nascondere le liste alla vista di Petrus <...la luce rischiari la vostra Via. Come posso esservi utile?>
<A dire il vero passavo di qui, ed ho pensato di cogliere l’occasione di complimentarmi con voi per la vostra nuova nomina. Inoltre speravo di trovare sua Eccellenza Tadeusz.>
Aloysius lo scrutò a lungo prima di rispondere, formalità a parte, il vescovo non gli andava certo a genio, e Petrus non poteva dire che non fosse reciproco.
La risposta scivolò dall’alto, letteralmente, insieme all’attenzione dell’inquisitore <Credo… che sua Eccellenza si trovi nei suoi appartamenti. Il dottore si è caldamente raccomandato affinché riposasse.>
Petrus dovesse fare un grosso sforzo per non compiacersi di questa notizia <Spero che le sue condizioni non siano peggiorate.>
<A dire il vero temo che la sua ulcera sia degenerata a tal punto da impedirgli di camminare a lungo.>
<Oh, ne sono molto dispiaciuto.>
<Sono certo che troverà conforto nella preghiera.> L’inquisitore riprese in mano le sue carte ed aggirò il proprio scrittoio, esaurito l’argomento non si fece troppi problemi a cercare di mettere il vescovo alla porta <Sarei lieto di restare a chiacchierare con voi Eccellenza, ma temo di aver molto lavoro da sbrigare. Immagino possiate comprendere...>
In effetti Petrus aveva ottenuto le informazioni che cercava, non aveva senso restare oltre e rischiare di irritare gli inquisitori per nulla. Colse invece l’occasione di congedarsi esaudendo la richiesta di Aloysius, tra saluti formali ed auguri di repertorio.
Se l’Ordo Luminus avesse riversato in politica una parte del suo zelo religioso avrebbe avuto degli avversari temibili lungo la sua scalata sociale. Per sua fortuna gli inquisitori avevano ben altre mire.
Non gli restò che l’ultimo nome della sua lista, l’ultimo che avrebbe potuto risultare di intralcio quando avrebbe avanzato la sua nomina ad Ambasciatore nei confronti della Madre Cardinale, un posto che aveva deciso di rendere vacante non appena aveva saputo che il Principe d’Orsay aveva inviato il giovane Costantin ed il suo seguito sull’isola per assumere il ruolo di Governatore. Si chiese se avrebbe avuto modo di rivedere anche la figlia dell’isolana, un pensiero che fece dilagare nella sua mente una sequela di dubbi ed emozioni differenti.
Tirò un lungo sospiro e si rimproverò mentalmente per la sua mancanza di concentrazione, certo che se avesse esultato prima del tempo, o fatto un solo passo falso, i suoi obiettivi non sarebbero stati di più che castelli costruiti in aria da una mente troppo creativa.
Un pensiero che dovette mantenere bene a mente, come se si tappasse il naso, quando raggiunta la taverna si fece largo verso il livello inferiore, un postribolo di allibratori e giocatori d’azzardo, che lasciò il posto ad un covo di meretrici quando fece il suo ingresso nella stanza successiva. Anche Thélème aveva le sue luci e le sue ombre, tuttavia Petrus non era certo lieto di mostrarsi in un posto simile.
Un paio di prostitute si fecero avanti per accoglierlo, ma il tenutario le allontanò mandandole verso altri clienti. Lo accolse con discrezione, una dote che Petrus apprezzò sinceramente, così come la scelta di risalire al piano principale e spostarsi verso il retro della taverna.
<Spero che il ministro Giustino abbia apprezzato questa piccola festicciola…>
<Assolutamente padre. Il ragazzo che si è occupato di lui è stato particolarmente zelante nell’accontetare ogni sua richiesta...> rispose l’uomo <...non avrei mai detto che un uomo integerrimo come il ministro preferisce la compagnia maschile a quella femminile.>
Petrus non ne fu affatto sconvolto: aveva già avuto modo di fare le sue ricerche quando aveva pianificato come liberarsi dei possibili candidati più fastidiosi.
<Il messaggio gli è stato riferito?>
<Si è unito giusto questa mattina alla missione diretta verso Wenshaganaw.> il tenutario si grattò il mento, insinuando le unghie sporche sotto la barba scura, un modo come un altro per cercare di dissimulare la cupidigia nel suo sguardo mentre seguiva la mano di Petrus diretta alla cintola, da cui recuperò una scarsella che abbandonò al centro del tavolo, con un tintinnio eloquente proveniente dal suo interno.
Il tenutario non perse tempo, raccolse la scarsella e si accomodò meglio per mettersi a contare le monete.
<Ma ditemi, come facevate a saperlo?>
<Immaginavo soltanto che l’idea che la Madre Cardinale ricevesse le prove della sua perversione lo avrebbe aiutato a ritrovare la sua vocazione.> Fu la risposta del vescovo, innocente e… distratta, come se l’argomento non avesse importanza.
Concesse all’uomo il tempo necessario a contare tutte le monete, Petrus non potè fare a meno di provare un certo disgusto: il ministro si era rovinato con le sue stesse mani, ma erano stati sufficienti sei pezzi d’oro e dieci d’argento per convincere il tenutario a vendere a chiunque un uomo che per lungo tempo era stato un’autorità a San Matheus.
<Ci sono tutti.> confermò il tenutario con un sorriso soddisfatto, Petrus rispose con un cenno  soddisfatto, mentre quello continuò <Posso dire, padre, che fare affari con voi è stato molto... piacevole.>
Petrus si alzò dalla seduta che aveva occupato, senza fretta, ma si sentì in dovere di mettere un freno all’avarizia dell’uomo, per dissuaderlo dall’idea di mettere un prezzo anche sulla sua testa. 
<Sarà pure proficuo, se continuerete a fare affari con me, e non su di me.>
L’uomo ridacchiò, il messaggio era arrivato dove doveva arrivare, questo Petrus lo comprese grazie al silenzio che lo scortò sino alla porta.
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shipisnotaboat · 3 years
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2. Costantin. Luci notturne.
Pensieri di Costantin D’Orsay.
Sono al massimo dell’euforia. Vorrei ridere, vorrei gridare di gioia, vorrei cantare, vorrei... Mi sento come se potessi TOCCARE IL DANNATO CIELO!
Io, Costantin D’Orsay: lo stupido, l’incapace, il fallito, quello che non avrebbe mai concluso nulla nella vita, sono ad un passo dal diventare il nuovo governatore di Teer Fradee. Ed il merito è tutto tuo padre e di quell’ordine che hai dato, probabilmente nella sola speranza di eliminare per sempre il mio volto dalla tua vista e la mia voce dalle tue orecchie. Ma non sparirò, io farò davvero la differenza in questo Nuovo Mondo: sarò un governatore eccellente, farò in modo che tu abbia di che ricrederti padre e… forse..
...magari allora chissà... riuscirai a volermi bene, certo non quanto ne hai voluto a mio fratello, ma almeno ad accettare la mia esistenza, ad accettare il fatto che anche io sono tuo figlio…
Mi manca sai? Ogni volta che chiudo gli occhi vedo ancora il suo volto devastato dalla sofferenza ed il suo sguardo vuoto, incapace di cogliere la nostra presenza, tra i deliri e la febbre di quelle ferite per me troppo difficili da capire. Rivedo tutto, compreso il tuo dolore e poi quella rabbia che mi riversavi addosso, una rabbia che è presto diventata odio.
“Perchè non sei morto tu al suo posto?” Non lo so padre, non lo so. 
Non ho mai desiderato la morte di Simon, ma non voglio morire. Sento di poter dare qualcosa a questo mondo, DESIDERO davvero fare la mia parte.
Può apparire improbabile, ma ti assicuro che è così.
Amo la vita, ed anche se non mi lasciavi avvicinare al suo capezzale, ho promesso a Simon che avrei vissuto appieno ogni giorno, che lo avrei fatto anche per lui.
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Luci notturne
Sembrava una notte come tante a Sérène, un cielo nero ricoperto dalle solite nubi scure sembrava voler cancellare per sempre il chiarore delle stelle.
Ma per strada sopravvivevano sparuti fuochi: i fuochi solitari delle vie, minuti, di gruppi di poveracci sfrattati via da una casa appestata, o semplicemente troppo poveri per permettersi un tetto, ed i grandi roghi comuni nella Piazza dei Principi, cataste di corpi senza più un’identità e spesso senza neanche più un parente o un conoscente ancora in vita che potesse piangere per loro. La chiamavano Malicore: un male che da oltre quindici anni devastava il Continente, lasciando uomini e donne senza un rimedio, senza una cura e senza speranza, in preda a dolore e follia, in un viaggio lento e terribile verso una morte atroce.
Il degrado di Sérène sapeva stimolare tutti i sensi: la sporcizia e l’odore di urina  si mischiavano ai rivoletti fangosi che costeggiavano le vie ed i vicoli. Pochi dettagli distinguevano gli ambienti sicuri da quelli più malfamati, a riconferma che Sérène non era un luogo per stranieri, in cui girare tranquillamente.
Ad un tiro di sasso dall’iperattivo porto, brillavano altre luci, quelle della taverna in festa, nonostante tutto. Un gentile rampollo figlio del signore locale, il Principe D’Orsay, aveva sperperato una mezza fortuna per assicurarsi che il taverniere offrisse da bere alla sua salute a chiunque mettesse piede in taverna quella sera. Tre ore dopo, la stanza era un miscuglio di odore di alcool e sudore, nel locale sovraffollato erano radunati uomini e donne di ogni estrazione sociale. Qualcuno cantava, altri ballavano, alcuni amoreggiavano con prostitute a basso costo ed altri si limitavano a bere, il motivo di tali festeggiamenti, però, si era perso di vista da oltre due ore per buona parte dei presenti.
Seduta su una panca dirimpetta alle scale che conducevano al piano interrato, Célie De Sardet osservò la bolgia mischiarsi in un turbinio di colori. Il sorriso d’occasione stampato sul volto arguto, si era ormai trasformato in una sequenza di smorfie e sbadigli, nel tentativo di rilassare la mascella e fingersi impegnata quando il tizio accanto a lei, un borghesotto, tornò alla carica con domande a cui avrebbe risposto più volentieri con un’arma da fuoco, piuttosto che con la propria voce.
<Dunque…> no, per favore, non un’altra domanda... La testa sembrò voler esplodere, aveva esagerato con il vino, ma per quello persino Kurt si era messo in pace l’anima. L’indomani sarebbero partiti, lei e suo cugino Costantin, l’indomani avrebbero fatto il primo passo verso la cura. Come se fosse stato evocato magicamente, il capitano della Guardia del Conio le si sedette accanto proprio in quel momento. Nonostante sostenesse l’esatto opposto, il capitano si era sempre impegnato parecchio per proteggere i due principini, e con una notevole inventiva tra l’altro, a discapito degli sfregi sul volto, che gli conferivano sicuramente un’aria più truce, l’ex-mercenario possedeva un cervello sveglio e creativo.
Mise un braccio attorno alle spalle della sua giovane protetta e puntò gli occhi azzurri sulla figura del borghesotto, sfidandolo con una spocchia aristocratica che non gli era mai appartenuta e che spinse De Sardet a roteare al cielo gli occhi, divertita ed oltraggiata al tempo stesso.
<Mia cara, gli hai già spiegato che fine fanno quelli che puntano ai gioielli della corona?>
Ovviamente De Sardet decise di stare al gioco <Kurt, ti prego… non davanti a tutti…>
Dopo una breve occhiata al volto di Kurt, l’uomo percepì che non valeva la pena mettersi contro ad una guardia del conio. L’ex-mercenario ritirò il braccio e passò una tazza a De Sardet, una brodaglia calda e fumante, l’ideale per sperare di affrontare un’emicrania da sbronza.
<Ho perso il conto di questi buffoni. Intendi restare qui a lungo Sangue Verde?>
<Mi odieresti se ti dicessi di si?> lo provocò lei occhieggiando da dietro la tazza. Kurt non rispose ma il suo sguardo fu sufficientemente minaccioso da indurre un sorriso nella giovane donna.
<Cerchiamo Costantin, dubito che voglia venire con noi ma dobbiamo almeno provarci.> De Sardet si mise in piedi, Kurt la anticipò per aprirle un varco nel mucchio di gente, mentre scendevano le scale verso il piano inferiore. Costantin fu… relativamente facile da trovare, si era improvvisato una sorta di harem, con una prostituta seduta a cavalcioni di ogni gamba ed una terza in piedi accanto a lui, che tra moine e sussurri maliziosi, insinuava impunemente una mano nella sua camicia slacciata per convincerlo ad appartarsi con lei. Un tentativo che, a giudicare dalle attenzioni che il ragazzo concentrava su di lei, sembrava stesse andando a buon fine.
De Sardet mise le mani sui fianchi e rivolse alle donne uno sguardo di puro biasimo, qualcosa che solo lei sarebbe riuscita a fare, protettiva com’era nei confronti del cugino. Il principino D’Orsay in fondo era un bel giovane, con grandi occhi azzurri, capelli biondi ed una buona fisicità, frutto dei severi allenamenti di Kurt.
<Mia adorata cugina!> anche sepolto vivo da quelle signore del peccato, Costantin riuscì a percepire la presenza di De Sardet e ad allargare le braccia per accoglierla in una sorta di abbraccio a distanza. Avrebbe sempre trovato un posto per lei, il suo affetto era sincero, e non si sarebbe mai fatto alcun problema a manifestarlo. Cercò persino di ottenere un po’ di tregua dalle tre donne, con scarsi risultati, lo sguardo di rimprovero di De Sardet sembrò infiammare il loro spirito di competizione. <Ti stai… divertendo?> chiese Costantin. <Io torno a casa cugino, è molto tardi, vieni con noi?>
Costantin provò a sollevarsi dalla sedia, ma quelle tre, ormai alleate, non gli lasciarono molto spazio di manovra. Il ragazzo ridacchiò, poggiando una mano su un fianco della rossa seduta sulla sua gamba sinistra. L’altra, la mancina, la sollevò per fare un cenno, indice alzato e dritto, per cercare di sancire una tregua con la donna. Tornò in breve a rivolgersi alla cugina <Finisco di conversare con queste damigelle e rientro anche io cugina. Kurt…>
<...non ti preoccupare eccellenza, la riporto a casa sana e salva.> Concluse per lui l’ex-mercenario.
Costantin non fece in tempo a vederli andare via, le prostitute tornarono alla carica, più audaci e sfrontate di prima. Il giovane principe cercò di respingerne un paio, ma lo fece con la grazia di uno dei suoi sorrisi gioviali e le braccia allargate in segno di resa.
<Mie signore, fosse per me vi sposerei tutte e tre ma temo di essere dannatamente a corto di denari questa sera…> prese a tastare lungo la camicia e poi i lati dei pantaloni in corrispondenza dei fianchi, alla ricerca di un tintinnio metallico che non sarebbe mai arrivato. Come se avesse pronunciato una formula magica le tre si allontanarono come se gli avessero appena visto cambiare colore e forma, ridacchiando cercò di trattenerne almeno una, afferrandole il polso con dolcezza <...magari a credito?>
Sospirò nel vederla andare via, certo di averle strappato almeno una risata. Si rimise in piedi, immaginando con ottimismo la faccia sorpresa di sua cugina quando l’avrebbe raggiunta lungo la strada per casa. Si era promesso di non esagerare troppo questa sera, ed anche se barcollava come se fosse sul ponte di una nave in piena tempesta sapeva di essersi ridotto in stati ben peggiori negli anni passati.
Trovò un cappello e lo incalzò in testa, non era certo fosse il suo ma la misura sembrava corretta, almeno  finchè non mosse la testa e quello scivolò lungo la fronte sino a coprirgli gli occhi, il farsetto ricamato invece sembrava calzargli decisamente meglio, lo abbottonò sbagliando un paio di asole e dunque si incamminò su per le scale verso il piano principale e l’uscita. Non arrivò alla porta.
Quello che Costantin non poteva sapere, era che quel farsetto apparteneva a Ignace Richard, un giovane nobilotto dai capelli biondastri che, giusto la sera precedente, aveva perduto diversi soldi al gioco. La prima cosa che vide fu proprio il pugno che lo colpì in pieno volto, ancora prima di capire che cosa stesse succedendo era già impegnato in una rissa che dilagò a macchia d’olio nel salone principale.
Uno degli assalitori lo afferrò per il bavero, Costantin gli afferrò i polsi per trattenerlo e gli assestò un calcio frontale. Un secondo gli prese il braccio e lo colpì al costato, il dolore fu lancinante, tuttavia la parte peggiore fu quando il terzo lo scaraventò con la schiena su uno dei tavoli: lo caricò a testa bassa e fece in tempo a prendersi un paio di gomitate sui reni prima di riuscire a scaraventarlo sul ripiano, fracassando legno e stoviglie con un frastuono allucinante.
A dispetto di quanto il suo carattere facesse pensare, Costantin era stato allenato da Kurt molto più a lungo di sua cugina, e dunque risultò più complicato del previsto, per i suoi assalitori, metterlo ko.
Il più tarchiato se lo caricò su una spalla, per poi spingerlo contro la porta, le ante cedettero facilmente all’irruenza ed un attimo dopo Costantin si trovò riverso a terra in strada, dolorante, con il naso pieno dell’odore nauseabondo delle strade di Sérène e con quei tizi attorno a lui come lupi feroci a prenderlo a calci, poi il buio.
Riaprire gli occhi fu qualcosa di terribile, il sole, per quanto offuscato dalle solite nuvole grigie di Sérène e dalle assi che sigillavano la finestra, fu come uno schiaffo in faccia. La testa, pulsante, faticò a rimettere insieme pezzi e ricordi della sera precedente, ma quando finalmente riuscì a comprendere in che genere di guaio si fosse cacciato, il suo primo pensiero fu per sua cugina e per la marea che ormai sarebbe dovuta essere prossima, sperò che non fosse troppo tardi.
Quei tizi lo avevano spogliato del cappello e della giacca, ed ovviamente anche di ogni singola moneta ed oggetto di vago valore che potesse avere avuto indosso, stivali compresi, ma almeno non lo avevano legato. Si erano limitati a chiuderlo dentro ad una stanza senza apparenti vie d’uscita, nonostante i suoi tentativi nè la porta nè la serratura sembravano voler cedere, nemmeno a spallate.
<Signori! Sono sicuro che si tratta di un malinteso!> non importava quanto le sue stesse parole gli rimbombassero in testa, continuò quella nenia come un gatto in calore, camminando avanti ed indietro per quello sputo di stanza, continuando ad alzare la voce <Sono Costantin D’Orsay, figlio del principe Claude D’Orsay! So di per certo che si tratta di un equivoco e sono disposto a perdonarvi, ho troppi affari urgenti da sbrigare!!!>
Andò avanti per ore e non si fermò neanche quando gli si seccò la gola, poi sentì alcuni rumori all’esterno, forse venivano a consegnargli il pranzo o forse, decisamente più probabile vista la situazione, era riuscito a indurli a salire ad annerirgli l’altra metà della faccia, almeno avrebbero aperto la porta.
Ebbe pochi secondi per agire, e si impegnò per non sprecarne nemmeno uno, fu probabilmente per questo che non si accorse immediatamente che la persona che aveva appena aperto la porta, e che lui aveva scaraventato contro al muro violentemente trattenendola per il collo, non era altri che De Sardet. Se la trovò davanti con gli occhi sgranati, la voce strozzata a chiamarlo per nome.
<Costantin! Costantin sono io!>
<La mia adorata cugina!> La perplessità lasciò il posto ad una risata sollevata. L’abbracciò, la strinse con forza, in qualche modo doveva mostrare al mondo quanto fosse sinceramente felice di vederla, ma il tempo stringeva. Célie gli mise sulla testa il cappello ed il farsetto sulle spalle, ed arricciò il naso.
<Puzzi, sei pesto ed hai un aspetto orribile, ma stai bene! Vieni adesso, la nave sta per salpare!>
lo tirò per un polso, e lui non fece altro che rendersi la sua bambola di pezza e lasciarsi tirare, adorava quella sensazione: il calore dell’affetto, di quel legame che per anni li aveva tenuti insieme, come fratelli o, se possibile, molto di più. Non riusciva ad immaginarsi senza di lei e trovava assurdo come anche lei sembrasse condividere lo stesso pensiero.
Rimase indietro di un paio di passi, se non altro per chinarsi ed avanzare a saltelli mentre si infilava gli stivali che Kurt gli passava.
<Dobbiamo sbrigarci> continuò lei, con l’animo del condottiero <tuo padre ci ha mandato a cercarti, era preoccupato per te.>
Costantin avvertì l’aria scomparire dai suoi polmoni, di colpo. Rimase immobile, incapace anche solo di camminare, un lungo respiro fece da anticamera ad un tono lontano, distante, melanconico. <Mio padre…> non ce l’aveva con lei <...quando mai si è preoccupato per me?>.
Una domanda a cui nemmeno Célie sembrò riuscire a trovare risposta.
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shipisnotaboat · 3 years
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1. Capitano Vasco. Ferite aperte.
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<Tempesta…?> Una domanda che al capitano morì in gola nell’esatto istante in cui mise piede nella grotta sacra agli isolani.
Nell’aria poteva ancora percepire l’atmosfera opprimente dello scontro appena concluso, il peso delle scelte effettuate ed una sorta di respiro di En ol mit Frichtimen: non era solo il gigantesco albero di fronte a lui, la terra stessa sembrava pulsare sotto ai suoi piedi, in un riposo ferito.
Aveva nelle orecchie le ovazioni e le grida di gioia dei combattenti che erano sopravvissuti alla battaglia, fuori si festeggiava, un entusiasmo che si infranse come un’onda contro uno scoglio, non appena avvertì quel singhiozzo soffocato.
Lei era seduta a terra, accanto al corpo di suo cugino, il sangue ancora fresco: l’odore metallico appestava le narici ed imbrattava la scena mentre lei, Célie De Sardet, Legato della Congregazione dei Mercanti, Nauta, la sua Tempesta, colei che aveva riunito Teer Fradee e che aveva salvato l’isola ed il Vecchio Continente, piangeva in silenzio come una bambina, spezzata. Non avrebbe mai dovuto lasciarla proseguire da sola.
Con pochi passi le si portò a fianco e si piegò sulle ginocchia, lei nemmeno si accorse della sua presenza finchè lui non le prese una spalla ed il mento e la rivolse verso di sè.
<È finita, Tempesta mia. È tutto finito.> Cacciò fuori le parole a fatica, si sentiva stupido.
Cosa avrebbe potuto dirle? Aveva appena compiuto la peggiore scelta della sua vita; aveva sopportato cospirazioni, attacchi, tradimenti e pesanti rivelazioni; uccidere Costantin era stato il sacrificio finale.
In preda ad una strana agitazione, le tolse i guanti, sfilandoli con una mano sola, con un affetto quasi paterno, desiderava solo toglierle di dosso il sangue del cugino e distogliere il suo sguardo da quel cadavere. Le tenne il volto contro la propria spalla, accarezzandole la nuca, insinuando le dita tra i capelli ormai spettinati. De Sardet si lasciò manipolare come una bambola di pezza, ci mise qualche secondo a percepirlo del tutto ed a stringergli le braccia intorno al busto, eppure continuò a soffocare ogni rumore, a cercare di trattenere le lacrime e serrare i denti.
Lo chiamò per nome, un sussurro debole, con la voce spezzata, Vasco potè avvertire lo stomaco stringersi mentre dentro di sè ringraziava ogni divinità: lei era viva. Distrutta, a pezzi, ma viva.
<Ti porto via di qui> le promise mentre le accarezzava il viso <ma… tra poco.> La strinse a sè, lasciando che finalmente sfogasse quanto stava continuando a soffocare.
A distanza di pochi giorni dalla battaglia della grotta di En ol mit Frichtimen, le cose sembravano essere tornate normali a New Sérène, la gente aveva ripreso le proprie attività e solo il vuoto di potere creato dalla morte di Costantin aveva lasciato un segno sulla colonia. Per fortuna i rapporti intessuti da De Sardet con i Soli di Thélème e con i Leoni di Hikmet avevano impedito rispettivamente agli Illuminati ed all’Alleanza del Ponte di avanzare pretese in risposta al tradimento di Costantin.
Dama Morange aveva riassunto il ruolo di Governatrice provvisoria, assistita da De Courcillon e dal Ministro agli affari diplomatici, ma tutti erano certi che dal Vecchio Continente sarebbero arrivate presto le direttive del Principe d’Orsay ed il titolo ufficiale di Governatrice per De Sardet.
L’attesa, chiusa in uno scottante silenzio, era anche per le notizie riguardo alla Malicore, sebbene non tutti credessero davvero che i nuovi alleati Isolani, e la loro divinità, potessero portare a dei miglioramenti, o addirittura ad una soluzione del problema, gli eventi dei giorni precedenti erano stati troppo eclatanti perchè fossero del tutto ignorati. Di certo a Teer Fradee si respirava finalmente aria di pace e… di benessere.
Il capitano aveva mantenuto la sua promessa, per quanto possibile non si era mai allontanato da lei, sebbene non avessero avuto molte occasioni di dialogo.
De Sardet aveva passato giorni assorbita da questioni politiche, amministrative e, non ultime, dalle officianze legate ai funerali di Costantin. Da giorni non riusciva a mettere il naso fuori dal Palazzo, e forse era meglio così, non avrebbe sopportato le voci per le strade.
C’è un motivo per cui è buona creanza non parlare mai di politica a tavola, ed una dimostrazione il capitano la ebbe una sera, in mezzo a quella sorta di bonaccia di eventi.
Era tardi per cenare, ma solo a quell’ora riusciva a divincolarsi e riunirsi con alcuni dei “vecchi” compagni di avventure, quella sera fu il turno di Aphra.
La discussione nacque dal nulla, tra un paio di mercanti a cui probabilmente finì tra le mani una bottiglia di troppo, l’attenzione del capitano fu rivolta al duetto solo quando il più alto iniziò a dichiarare a gran voce di non vedere l’ora di poter pisciare sulla tomba del traditore.
La mano scese alla pistola con effetto immediato e mentre l’indice già si insinuava tra grilletto e ponticello, Aphra si alzò e cambiò posto, andando ad accomodarsi accanto a Vasco, in modo da occultargli la vista dei due avventori e poter posare la propria mano su quella del capitano, bloccandola prima che estraesse la pistola.
<Facendoti sbattere in cella non la farai stare meglio.>
Il giovanissimo lupo di mare puntò lo sguardo in quello dell’amica e risolse con un suono sbuffato fuori dalle labbra arricciate, ma ritirò la mano.
<Non puoi sparare a tutti e lo sai capitano.> insistette Aphra con voce bassa e tono fermo <E non puoi nemmeno biasimarli, avrebbe potuto ucciderci tutti.>
<Lo so, ma Célie sostiene la sua innocenza, dice che è stato vittima di una situazione più grande di lui.> Il nauto osservò il contenuto del proprio boccale con un moto di crescente disprezzo e l'espressione via via più tesa <Un'altra dannata vittima delle cospirazioni e dei giochi di potere di qualche nobile.>
Aphra si mise comoda, allungò sotto al tavolo le lunghe gambe ed appoggiò la schiena al muro, rassegnata. Vasco si era dimostrato troppo spesso un idealista, più volte lei lo aveva rimbeccato a proposito.
Vasco approfittò della pausa per bere un lungo sorso, poi riprese a parlare, cercando con lo sguardo gli occhi color ambra della donna.
<Ho avuto quel ragazzo per mesi sulla mia nave, non ha smesso un solo istante di entusiasmarsi, come un bambino, per qualunque cosa.>
Perse mordente, forse a causa del vino, dei ricordi o semplicemente di una stanchezza frutto di quei giorni passati a dannarsi l'anima per scontare quella sua personalissima colpa <Andava fermato si, ma nonostante tutto Costantin non si merita questo, e soprattutto non se lo merita Célie.> accompagnò le sue parole con una pessima occhiata verso i due mercanti, ormai quietati e tornati a godersi discorsi di altra natura, l'attenzione di Aphra tuttavia rimase sul volto del capitano, studiando in quel suo modo fin troppo scientifico l'accenno di barba incolta che sporcava le scure linee di quel dedalo di tatuaggi che ricopriva quasi per intero il volto del nauto.
<Da quanto non dormi?> Lo chiese a bruciapelo, un solo colpo ma dritta al punto più critico con precisione chirurgica, come era abituata a fare con il suo fucile.
Vasco non fece in tempo a rispondere, né ad accantonare la domanda, Kurt entrò in quel momento in taverna e il capitano non perse tempo a metterlo sotto processo <perché non sei con lei?>.
Kurt passò oltre, cercando di ignorare quel primo colpo, borbottò un saluto per Aphra e prese posto. Anche l’ex mercenario, guardia del corpo e amico di De Sardet appariva esausto come non mai, i segni e le cicatrici sul suo volto risultavano infiammati per via della pessima abitudine di cercare di sfogare lo stress stuzzicando la pelle con le dita.
<Stai calmo marinaio, c’è il Vecchio Affabulatore con Sangue Verde.>
Aphra sorrise nel sentire il guerriero riferirsi ancora con quell’assurdo ed irrispettoso nomignolo all’ormai cardinale Petrus.
<Tu piuttosto…> continuò Kurt, rivolgendosi direttamente a Vasco. Si allungò verso il centro del tavolo, afferrò la bottiglia che i due commensali avevano condiviso sino a quel momento e ne trasse un paio di sorsi, l’intenzione di proseguire la frase morì per lui sul conforto provvisorio dell’alcool.
<...Io piuttosto?> lo esortò Vasco, con un cenno della mano. Kurt posò la bottiglia sulla superficie di legno e riprese a parlare smorfieggiando mentre grattava il volto.
<Dovresti passare al porto, l’ammiraglio Cabral ha mandato uno dei suoi a chiedere di te.>
<Strano, le ho parlato questa mattina e non mi ha detto nulla.>
Il cinismo del capitano era evidente ma Kurt risolse con il suo solito atteggiamento apparentemente disinteressato ed una scrollata di spalle. <Non ne ho idea, magari ci sono delle novità dal Vecchio Continente.>
Uno scacco al nauto quasi perfetto, Vasco non potè opporre alcuna obiezione, aveva intuito che qualcosa in quella richiesta non era così nitida come poteva apparire, ma fu ugualmente costretto ad alzarsi dalla panca che occupava, lasciandosi dietro i due compagni.
Il silenzio scese al tavolo, ma fu breve, Aphra fece di nuovo sentire la sua voce.
<Kurt, se non la smetti ti sparo.> Le sue minacce non erano mai del tutto reali, questo Kurt ormai lo sapeva, ma la ragazza riusciva comunque a seminare un certo dubbio ogni volta.
<Sei già brutto, con quegli artigli da Vaileg finirai per sfregiarti del tutto. In ogni caso, non credevo che avrebbe funzionato.> Specificò con un cenno, indicando la porta della taverna in chiaro riferimento al nauto. <Dici che l’ammiraglio riuscirà a farlo ragionare?>
<Il Vecchio Affabulatore ci ha parlato questo pomeriggio, sembrava certa di poterlo aiutare.>
Una risposta, quella del Capitano della Guardia, che spinse Aphra a sollevare gli occhi al cielo, i lineamenti d’ebano furono contratti in uno sbuffo scocciato: nonostante avesse imparato ad apprezzare l’ex-rivale, il cardinale Petrus sembrava non riuscire a fare a meno dei suoi sotterfugi. <Quell’uomo…> chiese con retorica nel tono <...riuscirà mai a non manipolare le persone?>
Kurt emise un sospiro rassegnato, malinconico, ma piuttosto che parlare scelse di portare al fondo la bottiglia. Aphra rimase con lui, pronta a recuperarne i resti ed aiutarlo a trascinarsi all’esterno a notte ormai fonda.
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