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jacopocioni · 2 days
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Il sasso di San Zanobi
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Nei pressi di Firenzuola, vicino al passo della Raticosa, si trova il Sasso di San Zanobi; durante la seconda guerra mondiale, una cappella che qui sorgeva, fu demolita e le pietre vennero usate per sistemare la strada provinciale che passava lì vicino. Su questo masso, esiste una leggenda.
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La leggenda che riguarda le origini del Sasso si lega alle origini di due grandi formazioni presenti nella zona: il Sasso della Mantesca o del Diavolo, dai riflessi blu e bianchi e quello detto di San Zanobi con venature verdastre e violacee.
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Nel IV secolo, il vescovo Sant'Ambrogio di Milano si incontrò col vescovo di Firenze San Zanobi, vicino a Malomonte, dove quest'ultimo si era recato per la sua opera pastorale. In seguito a questo incontro, san Zanobi sentì raddoppiare le proprie forze ed ottenne nuove conversioni nella zona tra la Diaterna, Caburaccia e l'Idice. il diavolo convocò allora un concilio infernale, per stabilire il modo di porre termine alle conversioni e propose a san Zanobi una scommessa, secondo la quale chi avesse portato dall'Idice fino alla cima della collina il più grosso macigno sarebbe stato il vincitore e avrebbe preso tutte le anime. San Zanobi si affidò a Dio e firmò questo patto.
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Il demonio raccolse un macigno e se lo mise sulle spalle con molta fatica e si incamminò; San Zanobi raccolse un macigno molto più grande sollevandolo con leggerezza e tenendolo sul dito mignolo e, superato il diavolo, lo posò nel luogo dove oggi si trova. Il demonio allora, vedendo che aveva perso la scommessa, andò su tutte le furie e gettò il suo macigno che andò in frantumi fra fuoco e fiamme (trattasi del Sasso della Mantesca o Sasso del Diavolo, situato a non molta distanza dal Sasso di San Zanobi, nella vicina Valle del Sillaro). Fu così che, avendo vinto la gara, il Santo ebbe la possibilità di conquistare le anime degli abitanti del luogo. Il Sasso si erge nero sul pianoro e spicca e si distingue nel paesaggio circostante anche per il suo colore, tanto che era chiamato Pietramora, e per la caratteristica forma triangolare con cui si mostra di faccia a chi passa lungo la strada per Piancaldoli dal Passo della Raticosa.
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Gabriella Bazzani Madonna delle Cerimonie Read the full article
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jacopocioni · 6 days
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Lo Struscio Fiorentino Sabato 20 aprile 2024: Camposanto dei Pinti
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Foto del Gabelliere Alfonso Fornabaio La seconda passeggiata dello Struscio Fiorentino del 2024 si è svolta presso Camposanto dei Pinti sito in via degli Artisti al civico 2. A questo LINK si può trovare tutto il programma 2024. Data le notevoli prenotazioni di strusciaioli veterani e novizi la visita è stata divisa in due turni: il primo alle 14.30 e il secondo alle 15.30. Purtroppo la giornata in termini metereologici non è stata delle migliori e la visita si è accompagnata alla pioggia, un maltempo che ha generato anche alcune defezioni di qualche strusciaiolo. Mentre l’Alfiere Maggiore Umberto Panti, assieme al Gabelliere Alfonso Fornabaio, raccoglievano nuove adesioni e rinnovi, il primo gruppo si è inoltrato nel cimitero. La visita si è dimostrata davvero valida. I volontari della misericordia composti da Roberta Scarano, Donata Scarselli e Barbara Affolter, coadiuvate dal custode del Cimitero Augusto, hanno permesso di conoscere non solo la storia del luogo, ma anche una serie di aneddoti e curiosità sulle sepolture e sulle sculture presenti. Innanzi tutto è stata spiegata la nascita di questo cimitero. Date le nuove ordinanze dell'epoca, che vietavano le sepolture entro le mura della città, la Confraternita della Misericordia si attivò per trovare un luogo dove poter seppellire i confratelli. Fu il Granduca Leopoldo II che concesse in data 11 luglio 1824 un terreno adiacente il vecchio cimitero dello 'spedale di Santa Maria Nuova. Lo stesso 'spedale, a seguito di accordi, cedette il suo terreno che riunito a quello della Misericordia dette origine al Cimitero dei Pinti. Il nome "Cimitero dei Pinti" o "di Porta ai Pinti" deriva proprio dal fatto che era posizionato fuori dalla Porta ai Pinti.
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Foto del Gabelliere Alfonso Fornabaio Nell'arco di due anni, dal 1837-1839 l'ingegnere Paolo Veraci ristrutturò il cimitero dandogli un aspetto di stile classico attraverso la realizzazione di due loggiati semicircolari che si riunivano al centro in una cappella dedicata all'Immacolata Concezione. Al progetto iniziale seguì l'ammodernamento dell'architetto Michelangelo Maiorfi che tra il 1878 e il 1886 il quale aggiunse due aree laterali e una facciata in stile classico. Le guide ci hanno illustrato alcune tra le personalità che hanno trovato in questo cimitero l'ultima dimora, come Giuseppe Barellai o Emilio De Fabris, o ancora Pietro Benini, l'ingegnere che fu il primo vero inventore del motore a scoppio presso la Fonderia del Pignone; ne racconta la Madonna delle Cerimonie Gabriella Bazzani in questo articolo: Il pignone e il primo motore a scoppio. L'ultima tumulazione avvenne nel giugno del 1896 con la sepoltura di Emilio Lapi.  Il cimitero verte, purtroppo, in cattive condizioni ed avrebbe bisogno di manutenzione, cosa di cui il Comune di Firenze si ben guardato dal provvedere. Invitiamo quindi a visitarlo e a pagare quei dieci euro di biglietto che poca cosa sono per il fiorentino curioso, ma tanto possono fare nel migliorare le condizioni di questo luogo storico e monumentale. Queste alcune fotografie del Mastro Iconografo Gianni Degl’Innocenti Balsicci:
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jacopocioni · 8 days
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Celebrazione Solenne alla Chiesa di San Giorgio alla Costa
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Martedì 23 aprile alle 18.00, nel giorno di San Giorgio, avverrà una celebrazione presso la chiesa di San Giorgio alla Costa; un'apertura straordinaria per onorare il santo dato che il martedì la chiesa è normalmente chiusa. Un'occasione ghiotta per chi non ha mai visto questa antichissima chiesa poterla vedere durante la celebrazione del Santo che le attribuisce il nome. Risalente all'anno 1000 è stata interamente restaurata. La chiesa si trova nel quartiere di Oltrarno lungo Costa a San Giorgio, strada che dal Ponte vecchio arriva al Forte Belvedere.
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Dal blog museionline: " Anticamente esistevano in questo luogo tre piccole chiese di cui una intitolata san Giorgio martire, una a san Sigismondo e una terza a san Mamiliano. La chiesa di San Giorgio era anteriore all'anno mille ed era una delle principali priorie della Firenze medievale, e qui il giovane Giotto eseguì la tavola d'altare con la Madonna col Bambino in trono e due Angeli, oggi al Museo diocesano di Santo Stefano al Ponte. Ben presto fu aggiunto un convento, il quale fu ampliato e completamente rinnovato nel corso del XV secolo. Appartenuto ai Canonici di Sant'Andrea a Mosciano, ai Domenicani ed ai Silvestrini, nel 1520 per volere di Lucrezia de' Medici, figlia di Lorenzo il Magnifico, venne edificato un nuovo convento dedicato allo Spirito Santo e concesso alle monache vallombrosane. Nel 1705-1708 la chiesa venne rinnovata dall'architetto Giovan Battista Foggini e l'interno (costituito da un'unica navata introdotta da un ampio endonartece sormontato dal coro delle monache) fu decorato da opere in stile rococò di Alessandro Gherardini (San Giorgio in gloria nella volta) e Antonio Domenico Gabbiani (Discesa dello Spirito Santo nell'ovale dell'altar maggiore). Gli stucchi sono di Giovan Battista Ciceri, le grate di Jacopo Pini, il tutto su disegno del Foggini. Tra le altre tele San Benedetto che resuscita un fanciullo di Tommaso Redi (1705 circa)." Ringraziamo Adriana Bartolini per la segnalazione. Read the full article
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jacopocioni · 10 days
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Lorenzo Ghiberti e la tamburazione
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Lo Statuto Fiorentino era composto da un insieme di leggi, tra le quali alcune davvero particolari. Nel 1307 venne istituita la carica di Esecutore. Una figura molto particolare, alla quale era demandato il compito di proteggere le classi più povere dalla prepotenza dei ricchi. Per essere eletto Esecutore, si doveva (manco a dirlo) essere uomo, avere almeno 36 anni, essere tassativamente guelfo, non avere alcun tipo di contatto con stati contrari alla Chiesa e, principalmente, non essere fiorentino. Fu proprio al fine di aiutare l’Esecutore nello svolgimento del suo compito che la Repubblica Fiorentina escogitò il sistema della tamburazione. La tamburazione era quel meccanismo che consentiva a chiunque di denunciare una persona in modo anonimo.
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Nelle chiese principali della città furono posti dei contenitori di legno chiusi a chiave, dall’aspetto simile a tamburi (da qui il nome). Su questi tamburi era scritto il nome del Magistrato e dell’Uffizio a cui le denunce si rivolgevano. Sui tamburi era presente una fessura, attraverso la quale chiunque poteva inserire un biglietto con indicata la persona da denunciare ed il reato commesso; volendo essere precisi, si poteva anche scrivere la data ed il luogo in cui il crimine si era consumato e, se erano presenti, anche i nomi dei testimoni all’accaduto. Una particolare norma era contenuta nello Statuto, rispetto alle tamburazioni: se nei tamburi fosse stato trovato un biglietto che accusava un popolano invece di un aristocratico, la denuncia doveva tassativamente essere stracciata. L’uso della tamburazione si protrasse per lungo tempo, almeno fino a metà del Cinquecento. Molte furono le piccole vendette che vennero ordite con questo sistema, e non mancarono anche scherzi di cattivo gusto. Molti personaggi caddero vittime di tamburazione.
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Tra questi, uno di cui raramente si parla in tale contesto: Lorenzo Ghiberti. Non che fosse una persona particolarmente ricca, ma la fama che lo accompagnava bastò per procurargli delle invidie che sfociarono, appunto, nella tamburazione. Lorenzo Ghiberti venne accusato di essere figlio illegittimo. Direte voi: e allora? che c’è di male? Il male c’era, perchè essere figlio illegittimo avrebbe inficiato la sua carica di membro del Consiglio de’ Dodici Buonomini, a cui era stato eletto l’anno precedente.
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Filippo Baldinucci riporta nel suo libro sulla vita dell’artista il testo della tamburazione: “Lorenzo di Bartolo, che fa le porte di San Giovanni, di nuovo tratto all’uficio di de’ dodici, è inabile a tale ufizio, perchè non è nato di legittimo matrimonio; perchè detto Lorenzo fu figliuolo di Bartolo e Mona Fiore, la quale fu sua femmina ovvero fante, e fu figliuola d’un lavoratore di Val di Sieve, e maritolla a Pelago, a uno chiamato Cione Paltami, uomo della persona molto disutile, e quasi smemorato, il quale non piacque alla detta Fiore: fuggissi da lui, e vennessene a Firenze, capitò alle mani di Bartolo predetto dell’anno 1374, o circa, e in quattro o cinque anni ne ebbe due figliuoli, una prima femmina, poi questo Lorenzo dell’anno circa il 1378, e quello allevò, e insegnolli l’arte sua dell’Orafo: dipoi circa l’anno 1406 morì il detto Cione; e ‘l detto Bartolo trovato da certi amici, i quali mostrarongli, che male era a vivere in adulterio, la sposò, come di questo è pubblica voce e fama, e come per li strumenti di matrimonio”. Ghiberti presentò un ricorso alla Signoria, si difese dicendo di essere nato nel 1378 dal regolare matrimonio tra Fiore e Cione Paltami Ghiberti, figlio di un notaio, matrimonio che si celebrò a Pelago nel 1370. Solo in un secondo momento, secondo la versione di Ghiberti, la donna avrebbe lasciato il marito per trasferirsi a Firenze, con i due figli, vivendo more uxorio con Bartolo, che sposò soltanto nel 1406, alla morte di Cione. Bartolo avrebbe dunque allevato ed educato Lorenzo Ghiberti come se fosse suo figlio (pur non essendolo effettivamente), tanto che in molti credevano che fosse il suo padre naturale. Pur essendo questa versione la più avvalorata, non si può comunque escludere che il Ghiberti abbia posticipato di qualche anno la data del trasferimento a Firenze della madre, per apparire figlio di un regolare matrimonio.
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jacopocioni · 12 days
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Lo Struscio al camposanto dei Pinti
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Sabato 20 aprile in via degli Artisti 2
Due Turni di visita: PRIMO TURNO alle ore 14:30, SECONDO TURNO alle ore 15:30 (specificare nella prenotazione) Presentarsi 15 minuti prima del proprio Turno, grazie. Il CAMPO SANTO DEI PINTI o CIMITERO DEI PINTI è il vecchio Cimitero monumentale dell'ARCICONFRATERNITA DELLA MISERICORDIA DI FIRENZE, così chiamato perché si trovava fuori della PORTA A PINTI, lungo l'antica VIA FIESOLANA dove la Misericordia di Firenze aveva dei terreni di proprietà Ci guideranno nella visita i Confratelli della Misericordia di Firenze. PRENOTAZIONI: presso FRANCO CIARLEGLIO cell.3479181674, Whatsapp, o email: [email protected] (no Messenger). I NUOVI SOCI dovranno indicare: nome, cognome, luogo e data di nascita, codice fiscale, indirizzo abitazione, indirizzo email e numero di telefono per l'iscrizione alla nostra Associazione Culturale (condizione indispensabile per partecipare alle nostre uscite) e pagare sul posto la quota sociale annuale (2024) di 10 euro. I VECCHI SOCI dovranno solo pagare la quota sociale annuale e rinnovare le tessere. Ricordate di portare i NOSTRI FAZZOLETTI DEL GRUPPO (per chi li volesse sono a disposizione sul luogo di ritrovo).
La COMPAGNIA dello STRUSCIO FIORENTINO
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jacopocioni · 12 days
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Jacopo di Cione detto il Robiccia
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Jacopo di Cione, detto Robiccia, è nato a Firenze nel quartiere di Santa Maria Novella nel 1325 da una famiglia di artisti, primo tra tutti il fratello Andrea di Cione detto l'Orcagna (da non confondere con Andrea di Cioni detto il Verrocchio), ma anche gli altri due fratelli, Nardo e Matteo, furono pittori e architetti. Si formò come artista presso la bottega di Andrea Pisano e in quella di Giotto di Bondone, assieme ai suoi fratelli Andrea, Matteo e Nardo di Cione con i quali collaborò tutta la vita tranne nel periodo che va dal 1366 e il 1368 in cui lavorò da solo. In quel periodo realizza gli affreschi nel palazzo dell'Arte dei Giudici e Notai. Ricordiamo una pala d'altare "La Crocifissione" un dipinto a tempera e oro su tavola che, dall'attuale via del Proconsolo, passò per svariate mani fino a quelle del reverendo Jarvis Holland Ash che nel 1896, dopo la sua morte, lasciò alla National Gallery di Londra dove ancora oggi è conservato.  Alla morte del fratello Nardo di Cione nel 1368 Jacopo è nominato erede al pari dei suoi fratelli Andrea e Matteo. Quando morì il fratello Andrea (l'Orcagna), sempre nel 1368, svariate commissioni rimasero incomplete e fu Jacopo che le terminò. Tra queste i dipinti della "Vergine e di San Matteo" per Orsanmichele e la grande tavola con "S. Matteo e quattro storie della sua vita" (conservata agli Ufizi) che era stata commissionata nel settembre 1367 dai consoli dell'arte del cambio.  Mel 1369 era impegnato in decorazioni ad affresco nella sede della Misericordia presso l'oratorio del Bigallo a Firenze. Jacopo di Cione era iscritto dal 12 gennaio 1369 all'Arte dei Medici e Speziali e ne divenne console nel 1384, 1387 e 1392.
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Tra le varie collaborazioni fu sovente quella con il pittore Niccolò di Pietro Gerini con cui dipinse l'altare della chiesa di San Pier Maggiore commissionata dalla famiglia Albizi. Anche buona parte di queste opere, i dodici pannelli principale, sono conservate alla National Gallery di Londra. Assieme a Niccolò Gerini realizzò anche l'affresco dell'"Annunciazione" nel Palazzo dei Priori a Volterra e L'"Incoronazione della Vergine" che fu commissionato dalla zecca fiorentina. Tra il 1378 e il 1380 Jacopo di Cione lavorò con l'ultimo fratello rimasto, Matteo, presso Santa Maria del Fiore all'epoca ancora in cantiere. Durante questo periodo anche Matteo morì e Jacopo lo sostituì nella scelta dei marmi da impiegare nel rivestimento esterno del Duomo. Jacopo di Cione morì a Firenze nel 1399. E con questo ho voluto ricordare un antico cugino...
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Jacopo Cioni Gran Cerusico Read the full article
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jacopocioni · 15 days
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Buon viaggio a Roberto Cavalli
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Creazione ed arte. Un fiorentino che ha onorato Firenze portando l'Italia nel mondo.
Buon viaggio a Roberto Cavalli, morto a 83 anni nella sua amata Firenze.
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jacopocioni · 15 days
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Un Americano a Firenze: Henry Brockholst Livingston
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Henry Brockholst Livingston (Padre) di Isaac L. Williams Tutti a Firenze lo conoscevano e lo chiamavano “L’americano”. Era Henry Brockholst Livingston, nato a New York nel 1819, ultimogenito dell’omonimo Henry Brockholst Livingston, che alla nascita del figlio copriva il ruolo di giudice associato della Corte suprema degli Stati Uniti e che era stato ufficiale nella guerra d’indipendenza americana. Ricchissimo di famiglia non ebbe mai la necessità di esercitare una professione. Si stabilì a Firenze poco più che ventenne, a partire dal 1841. Fu uno di quegli stranieri, non in piccolo numero, che divennero fiorentini “per adozione” ed ebbero un nome a tutti noto e una spiccatissima fisionomia loro propria. Enrico Livingston si rivelò subito un tipo originalissimo. Possessore di una grande ricchezza, fu di una estrema e quasi eccessiva parsimonia: ai teatri andava di buon’ora per arrivare in tempo a prendere un posto nelle panche di platea e più volte richiese alla Amministrazione fiorentina sgravi sulle tasse, che mai gli furono accordati.
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I cavalli erano il solo suo lusso. Attirò l’attenzione pubblica con la mania sfarzosa di guidare per le strade della città la sua straordinaria carrozza trainata da dieci, dodici, addirittura venti cavalli, bardati d’oro, più o meno ammaestrati e vigilati da vari staffieri a piedi. Tutti parlavano di lui: il New York Times lo descrisse nel 1878 mentre guidava una pariglia di 12 cavalli dal mantello equino baio per le strade di Firenze. Era un vero e proprio spettacolo vederlo alla guida della sua carrozza, trainata da un numero spropositato di cavalli, uscire dalle scuderie del Casino delle Delizie, un tempo di proprietà della famiglia Ginori, in via della Mattonaia per raggiungere il viale della Regina e il piazzale del Re alle Cascine. Un acquarello del pittore fiorentino Giovanni Signorini (1808 – 1862), oggi conservato nella Galleria d’ Arte Moderna di Palazzo Pitti, raffigura il passaggio dal piazzale del Re alle Cascine della sua carrozza con un tiro di dieci cavalli. Alla fine dell’ Ottocento i viali delle Cascine costituivano uno dei più prestigiosi palcoscenici del mondo per le ultime “recite” delle carrozze private, antico simbolo del rango sociale. Il parco si apriva al pubblico passeggio, animatissimo specialmente nelle giornate festive e in quelle riscaldate dal sole, quando una folla composta di famiglie popolane, borghesi, aristocratiche, famiglie in libera uscita, vestite con gli abiti della festa si riversavano lungo i numerosi viali e vialetti. I signori non mancavano all’ appuntamento della sfilata di eleganza e del censo, si recavano alle Cascine in carrozza, si esibivano in una specie di parata al piccolo trotto, fra mezzi inchini, cenni di saluto, sorrisi e commenti salottieri. Nel piazzale del Re nel 1869, nel periodo di Firenze capitale, anche Doney aprì un ristorante che sarà frequentato da fiorentini e stranieri. In queste famose e memorabili sfilate Enrico Livingston ogni volta primeggiava per numero di cavalli, inservienti e paramenti , ma dopo che la sua smania di guidare dieci, dodici, venti cavalli per volta dette origine a vari e spiacevoli inconvenienti, la polizia municipale gli proibì, non di usare, ma di abusare della occupazione del suolo pubblico in certe ore della giornata e in certe vie più frequentate per evitare danni alla circolazione di altri mezzi di trasporto e dei pedoni. Il signor Livingston se n’ebbe a male e cambiò domicilio: andò a stabilirsi a Livorno, ma presto abbandonò la città e ritornò a Firenze. Fu sempre originale e stravagante anche negli ultimi anni della sua vita: quasi ottantenne continuerà ad uscire nelle ore pomeridiane guidando da quattro a sei cavalli. Lo accompagnerà sino all’ultimo l’abitudine di rimanere sdraiato su un sofà in una sala del Casino Borghese in via Ghibellina dalla notte sino alle prime ore della mattina, costringendo gli inservienti a far un servizio, davvero dei più straordinari, promettendo che nel suo testamento avrebbe fatto loro cospicui lasciti. Dopo la sua morte, avvenuta a Firenze nel luglio del 1892, rimase per molto tempo nella memoria popolare il ricordo delle sue bizzarrie e della sua singolarità di carattere e del suo memorabile testamento. Lasciò un patrimonio di oltre due milioni di lire in contanti, cifra astronomica per l’ epoca. Nominò eredi universali le nipoti Valentina ed Anna Livingston. Fu stravagante anche nelle sue volontà : destinerà ingenti somme in denaro a stretti amici, tra cui il senatore Olinto Barsanti, suo erede testamentario, ma anche a numerosi cocchieri e conduttori di omnibus, a fiaccherai, a camerieri e altri addetti al servizio del Caffè Bottegone in piazza Duomo, agli inservienti del Casino Borghese, come aveva promesso, e del Caffè Doney.
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Non dimenticò nessuno dei suoi camerieri personali , parrucchieri, maestri e assistenti di scuderia, medici che lo avevano sempre curato. Assegnò lasciti a tanti famosi enti e istituzioni benefiche che operavano in città ed a varie scuole d’infanzia. Nel 1912 l’asilo infantile femminile in via di Camaldoli a Firenze, situato nei locali di proprietà della Amministrazione delle Scuole Leopoldine, risultava dedicato a “Enrico Livingston”. Un ritratto dell’ Americano, realizzato dall’ artista romano Eugenio Renazzi (1863 – 1914) ai tempi in cui era studente all’Accademia di Belle Arti a Firenze, era conservato nel Museo Firenze com’era, che dal 1955 sino alla chiusura definitiva nel 2010, si trovava nell’ex convento delle Oblate in via dell’ Oriuolo a Firenze. Oggi un’ urna cineraria nel cimitero degli acattolici, conosciuto come Cimitero degli Inglesi, in piazzale Donatello, conserva le ceneri di questo particolare personaggio, conosciuto da tutti come “ L’ Americano”, che tanto ha lasciato alla città ed ai suoi abitanti.
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Marta Questa Read the full article
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jacopocioni · 17 days
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Tenere a stecchetto
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Quando gli uccellini cadono dal nido oppure sono allevati in gabbia, si provvede a nutrirli con briciole di cibo poste su degli stecchini appuntiti mediante i quali i piccoli vengono “imbeccati”. Il procedimento è piuttosto lento e la quantità di cibo ingerita a ogni imbeccata è assai ridotta. Per analogia con il termine “tenere a stecchetto” si intende essere in regime di economia, in ristrettezze, a corto di cibo o denaro o anche limitarsi nel mangiare per tenersi a dieta. (da "Adagi ma non troppo" di Franco Ciarleglio, Sarnus Editore)
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Franco Ciarleglio Read the full article
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jacopocioni · 19 days
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Il Brindellone e lo scoppio del carro: la storia dal Trecento ai giorni nostri
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Nel Medioevo il “Carro di San Giovanni” è un modesto carretto su cui viene trasportato un cero durante il corteo da piazza della Signoria al Battistero nel giorno della festa del patrono cittadino, San Giovanni Battista, il 24 giugno. Con gli anni il "Carro di San Giovanni" diventa una torre alta 10 metri, con una base di 3 e una lunghezza di 4 metri, suddivisa in quattro ordini, con nicchie per ospitare fanciulli e, in cima, un uomo rivestito di pelli che impersona lo stesso santo. Si tratta in genere di un pover'uomo che viene, per questo scomodo servizio, ricompensato con 10 lire dall'Arte dei Mercatanti. Dall'alto della sua postazione l'uomo mangia, beve e soprattutto distribuisce dolci, confetti e monetine al popolo, suscitando una vera baruffa intorno al Carro: l'arguzia dei fiorentini lo ribattezzerà "brindellone", vocabolo con cui si indica un uomo alto, grosso, dinoccolato, di movenze sgarbate e malvestito. Anche se questo tipo di carro cadrà in disuso nel Settecento, il nome di "Brindellone" arriverà fino ai nostri giorni passando però ad indicare tutta la complessa macchina che il giorno di Pasqua (e non più il 24 giugno) prende fuoco nella piazza fra il Battistero e il Duomo liberando le colombe che hanno preso il posto dell'uomo travestito da San Giovanni. Le scintille provocate dalla silice delle pietre focaie regalate a Pazzino de’ Pazzi davano fuoco al razzo a forma di colomba che partiva dall'interno del Duomo e arrivava al Carro dandogli fuoco e accendendo altri mortaretti e girandole. Se tutto andava bene i contadini ne traevano auspicio per un anno di buon raccolto.
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Lo Scoppio del Carro è una delle tradizioni più amate e antiche della città, che risale alla fine del Trecento, quando il “fuoco santo”, simbolo di purificazione, era portato in processione per Firenze sopra un carro. Questa tradizione affonda le radici all’epoca della prima crociata, quando Pazzino de’ Pazzi, di ritorno da Gerusalemme, portò con sé tre pietre provenienti dal Santo Sepolcro; quelle stesse pietre che per centinaia di anni hanno acceso il fuoco del carro. Nel 1097, al comando di Goffredo di Buglione, Duca della bassa Lorena, i crociati, il cui nome derivò dalla croce rossa cucita sulla spalla destra della tunica bianca che ricopriva l’armatura, partirono per la Palestina e nell’estate del 1099 posero l’assedio alla città di Gerusalemme che espugnarono il 15 luglio. Secondo la tradizione fu il fiorentino Pazzino de' Pazzi a salire per primo sulle mura della città santa dove pose l’insegna bianca e vermiglia. Per questo atto di valore, Goffredo di Buglione gli donò tre schegge del Santo Sepolcro. Rientrato a Firenze il 16 luglio 1101, il valoroso capitano fu festeggiatissimo ed accolto con solenni onori.
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Le tre pietre rimasero inizialmente conservate nel Palazzo dei Pazzi e quindi consegnate alla Chiesa di Santa Maria Sopra a Porta in Mercato Nuovo, poi ampliata e rinominata come chiesa di San Biagio fino a quando, nel 1785, questa fu soppressa. Dal 27 maggio di quell’anno le sacre reliquie vennero definitivamente trasferite nella vicina Chiesa di Santi Apostoli dove tuttora sono gelosamente conservate. Gli storici ci hanno tramandato che, dopo la liberazione di Gerusalemme, nel giorno del Sabato Santo, i crociati si radunarono nella Chiesa della Resurrezione e, in devota preghiera, consegnarono a tutti il fuoco benedetto come simbolo di purificazione. A questa cerimonia risale l'usanza pasquale di distribuire il fuoco santo al popolo fiorentino. Difatti, dopo il ritorno di Pazzino, ogni Sabato Santo, i giovani di tutte le famiglie usavano recarsi nella cattedrale dove, al fuoco benedetto che ardeva, accendevano rispettivamente una fecellina (piccola torcia) per poi andare, in processione cantando laudi, per la città a portare la fiamma purificatrice in ogni focolare domestico. Il fuoco santo veniva acceso proprio con le scintille sprigionate dallo sfregamento delle tre schegge di pietra del Santo Sepolcro. Secondo versioni meno romantiche della storia, la famiglia dei Pazzi avrebbe ottenuto dalla Repubblica il diritto ad accendere per prima il fuoco santo grazie a qualche personaggio particolarmente robusto e persuasivo… Comunque sia andata, per molti secoli la famiglia si occupò del carro e dei suoi addobbi, ed era addirittura previsto un omaggio davanti alle loro case, al Canto dei Pazzi, all’angolo di via del Proconsolo. Con l'andar del tempo lo svolgimento della festa divenne sempre più articolato per cui venne introdotto l’uso di trasportare il fuoco santo con un carro dove, su un tripode, ardevano i carboni infuocati. Non si conosce quando, in sostituzione del tripode, si usarono i fuochi artificiali per lo "scoppio del carro", ma si ritiene che ciò risalga alla fine del trecento.
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Oggi la processione è gestita dai discendenti degli antichi crociati, ovvero dai Cavalieri dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, i quali accendono e, scortati dal Corteo Storico della Repubblica Fiorentina, consegnano all'Arcivescovo di Firenze il fuoco sacro, originato dalle pietre del Santo Sepolcro, partendo da piazza del Limbo e giungendo con solenne processione in Piazza del Duomo la sera del Sabato Santo.
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La domenica di Pasqua il corteo parte dal piazzale di Porta al Prato intorno alle 8 di mattina, perché è proprio qui che il carro, chiamato Brindellone, viene parcheggiato per 364 giorni. Un alto portone in legno (ricavato da una vecchia stradella d’ingresso al giardino Corsini) si maschera tra le facciate dei palazzi e custodisce l’unico esemplare sopravvissuto dei carri e carrocci usati in antico per battaglie e processioni: ha la forma di una torre mozza come quelle usate per assedi e battaglie nel Medioevo.
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Il carro ha una base di 3 metri per 3,50 ed è alto circa 9 metri, che diventano 12 con la girandola. Il carro che vediamo oggi ha al suo interno varie targhe commemorative che indicano i restauri e le riparazioni più significative (1622, 1629, 1764 e 1924). Si suppone che abbia circa tre secoli. La mattina di Pasqua vengono attaccati al carro quattro buoi ben addobbati per l’evento e appositamente allenati! Un corteo di circa 500 figuranti in costume accompagna il carro (il percorso: da Via il Prato, Borgo Ognissanti, Piazza Goldoni, Via della Vigna Nuova, Via Strozzi, Piazza della Repubblica, via Roma con arrivo in Piazza San Giovanni). In piazza Repubblica si esibiscono gli sbandieratori e si ricongiunge il corteo “delle autorità”, per arrivare poi in Piazza del Duomo.
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Il Carro, ben fornito di fuochi d’artificio, quando arriva davanti alla cattedrale si ferma e aspetta l’inizio della messa. Prima dello scoppio vero e proprio vengono sorteggiate le partite del Calcio Storico.
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Più o meno verso le 11 dall’altare della Cattedrale, mentre all’interno della chiesa si canta il “Gloria”, l’arcivescovo accende con il fuoco sacro un razzo a forma di colomba (chiamato appunto “la Colombina”, che simbolizza lo Spirito Santo). Questa vola fuori dalla chiesa percorrendo un filo d’acciaio di 90 metri in circa 10 secondi e va a colpire il Carro nella piazza, accendendo i primi fuochi d’artificio e dando il via alla spettacolare manifestazione di fuochi d’artificio che incontrano gli applausi di tutto il pubblico: gli ultimi fuochi fanno aprire tre bandiere sulla sommità del carro e concludono la festa. Se il rituale procede regolarmente e tutti i fuochi d’artificio esplodono, allora si prospetta un raccolto ricco e florido e buona fortuna per la città e per i suoi cittadini. L’ultima volta che la colombina non riuscì a completare il suo percorso fu nel 1966, quando ci fu l’alluvione. In epoca più recente, a causa dell’epidemia di Mucca pazza, il carro è stato portato in piazza del Duomo con un trattore, ma la colombina ha spiccato ugualmente il volo.
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jacopocioni · 22 days
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Ci sono vini e vini, etichette ed etichette...
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Stavo cercando in rete informazioni sui vini, sul mondo vitivinicolo toscano per scriverne un articolo, ma l'attenzione è stata parzialmente deviata… Sempre di vino si tratta, ma non in modo canonico. Tutti sappiamo che, in Italia, Toscana e Piemonte sono le regioni regine per la produzione di vino, ne esistono infinite varietà, ci sono tantissime cantine, e una miriade di etichette. E proprio qui è caduta la mia attenzione: lasciando perdere i vini di pregio, Sassicaia, Tignanello, Ornellaia, Brunello, Barolo, Amarone e quant'altro, sorvolando sui produttori più conosciuti, le etichette in sé e per sé sono quelle che mi hanno colpita. “Alcune” etichette, in modo particolare. Ce ne sono di tanti tipi: eleganti, stravaganti, colorate, sobrie, artistiche, decorative, tutte bellissime e poi… ci sono quelle allusive. Non avrei mai e poi mai pensato, al di là di un paio di nomi, di trovarmi davanti ad un corollario di etichette che inevitabilmente provocano ilarità, anche se tendenzialmente esulano dal buon gusto. Però la “scoperta” mi ha divertita e voglio condividerla con voi. Ecco dunque una serie di nomi di vini, alcuni anche di discreto valore, che non possono non suscitare una risatina, almeno credo. Ecco, questi sono i vini che, a una rapida ricerca, ho trovato più curiosi… magari ne conoscete altri, anzi sono certissima che ve ne siano molti ancora… E se avete voglia di dare un'occhiata alle foto, vedrete che l'allusione in alcuni casi è davvero esplicita e volutamente cercata!  Di sicuro, al ristorante, non avrei mai il coraggio di ordinarne una bottiglia! E voi?
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Scopaio Bolghieri Rosso
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Uccelliera Ficaia
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Passerina - Marche
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Trombaia
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Durello
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Soffocone di Vincigliata - Toscana
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Addio Cugghiuna - Sicilia
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Le Cicale di Vincigliata - Toscana
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Nero di Troia
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Toccacelo
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Buona Sega
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Volo di' Ciuco
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Deunasega
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Nero di Troia - Puglia
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Orgasmo
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Orgasmo
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Orgasmo
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Bernarda - Piemonte
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Signae Rossobastardo
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Bricco dell’Uccellone - Piemonte
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Pelaverga - Piemonte
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Gabriella Bazzani Read the full article
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jacopocioni · 24 days
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Le domande dei fiorentini curiosi, parte 8
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Le domande dei fiorentini curiosi, parte 8 Questa l'ottava serie di domande giunte in redazione, hanno contribuito a rispondere Gabriella e Jacopo.
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Domanda di Ugo: "Ma questi vicoli, sono /erano /pubblici o quale altra realtà? Mi viene in mente il ”vicolo” che unica piazza Strozzi con via Tornabuoni , chiuso alcuni anni fa. Grazie. La domanda è posta in relazione all'articolo: Vicolo dei Davizzi per colpa di una foto Risposta di Gabriella: Il vicolo degli strozzi, per quanto pertinenziale al palazzo, era di libero transito, e non solo: a metà si intersecava con un altro vicolo che aveva sbocco in porta rossa, c'era addirittura uno slargo in cui si trovava un caffè. Fu chiuso in modo totalmente illegale dalla proprietà di palazzo strozzi per evitare che quel passaggio venisse usato per intenti poco prosaici... Fu chiesto di riaprirlo, ma i proprietari del palazzo si opposero ed è rimasto chiuso. Domanda di Giordano: O ragazzi, ma i verbo “prillare” ? È fiorentino giusto? “Icche ttu stai li a prillare?” Cioe quando una persona sta li ferma, senza far niente… Risposta di Jacopo: Personalmente non ho mai sentito come termine, e nemmeno la redazione ne ha contezza; vediamo se tra i lettori qualcuno ci fornisce informazioni. Chiunque desideri porre una domanda può leggere qui: https://www.florencecity.it/le-curiosita-dei-fiorentini-fate-le-vostre-domande/ Read the full article
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jacopocioni · 27 days
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Da Oratorio a ristorante, il vero degrado a Firenze
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Dicono che è colpa dei turisti se i Fiorentini abbandonano il centro, ma non è vero, è colpa del fatto che il centro è stato trasformato in un mercato a cielo aperto con negozi e luoghi di ristorazione che nulla hanno a che vedere con Firenze. Firenze andava preservata nella sua anima bottegaia, nel suo aspetto medioevale, nella sua indole artistica, non svenduta alle vetrine scintillanti e ai neon colorati. Il centro doveva essere mantenuto come quella piazza di un tempo in cui le nonnine portavano la seggiolina per far comunella con le coetanee. Dove il bottegaio, il restauratore, mangiavano due fette di pane e finocchiona per strada mentre parlavano con il buon Vigile di un tempo. Quello che davvero era un Vigile di quartiere e non Poliziotto multarolo. Doveva essere organizzato a misura di Fiorentino, non a misura di multinazionale, tanto il turista sarebbe venuto lo stesso, nessuno rinuncia a Firenze, tanto più se è la Firenze bottegaia. Ecco, l'ultima notizia che non gira sui giornali ma che identifica questa disfatta della cultura fiorentina a scapito del guadagno e del truce è aver concesso i permessi per trasformare un Oratorio ricco di storia secolare in un ristorante alla moda. L'Oratorio di Santa Maria Vergine della Croce al Tempio diventerà un ristorante stellato con alla guida uno scappato (di casa sua) dal programma Master Chef. Quel luogo dove i Battuti Neri si vestivano con la tunica nera crociata di rosso e con la buffa in testa, per poi andare a confortare il condannato a morte per tutta la notte prima del supplizio mattutino, diventerà un tramestio di tegami e pentole, sughi e vapori, battuti e contorni. Il luogo dove i condannati a morte pregavano per l'ultima volta prima di essere uccisi presso i Prati della Giustizia sarà invaso da musica ritmata e smandibolio mangereccio. Il luogo dove i Buonomini delle Stinche mettevano insieme dolcetti e indumenti da portare ai carcerati abbandonati a se stessi sarà il regno dell'abbondanza sbrodolata.
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Il progetto approvato Il progetto è stato approvato dal Comune e a breve partiranno i lavori per allestire cucine e tavoli fregandosene se un tempo Lorenzo il Magnifico, Luca della Robbia, Iacopo Niccolini, Ippolito Galantini, Lorenzo Lippi, Michelangelo Buonarroti e lo stesso Papa Eugenio IV hanno calpestato quei pavimenti come confratelli della Compagnia di Santa Maria della Croce al Tempio, l'importante è sfornare lasagne e sfiammare crepe suzette per attirare il ricco asiatico di turno. Dove sono le "belle arti" quando passano questi progetti? Dove vogliamo arrivare? Vogliamo allestire una multisala nella chiesa di San Lorenzo? Oppure vogliamo mettere un autogrill sul Ponte Vecchio? Magari vogliamo mettere l'ennesimo kebabbaro sotto la Loggia dei Lanzi? Quando il fiorentino sarà colmo e dirà BASTA?! Read the full article
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jacopocioni · 29 days
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Per chi abita in… Via Toscanella tra il Pozzo Toscanelli e la Madonna del Puzzo
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Via Toscanella è una stretta via che parte dallo Sdrucciolo De' Pitti e con un andamento leggermente curvilineo termina, diventando un vicoletto, in Borgo San Jacopo. In passato la via era frammentata in più vie con denominazione diversa. Da Borgo San Jacopo a Via dello Sprone, la parte più stretta della via, si chiamava Chiasso de' Marsili che poi diventò via del Forno. Qui la via si apre sulla famosa Piazza della Passera. Il tratto successivo da Via dello Sprone a Via de' Vellutini assumeva il nome di Via del Canto a' quattro Pagoni. Il tratto seguente da Via de' Vellutini a Via de' Velluti prima assumeva il nome di Canto a' quattro Leoni e poi Via Pagni. Lo spezzone successivo da Via de' Velluti fino allo Sdrucciolo de' Pitti si chiamava prima Via della Cella de' Fantoni e poi via Toscanella.
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Il nome via Toscanella dell'ultimo tratto, che poi diventa nome dell'intera via, derivava dal fatto che la via costeggiava posteriormente il Palazzo Dal Pozzo Toscanelli (con la facciata sulla Piazza de' Pitti).  La famiglia Toscanelli, antichissima famiglia fiorentina, era detta anche “dal Pozzo” perché in vicinanza della casa si trovava un pozzo pubblico denominato Pozzo Toscanelli. Addirittura il pozzo compariva nel loro stemma familiare.
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Pozzo Toscanelli disegno S. Valentini La falda acquifera che alimentava il pozzo proveniva quasi certamente da una sorgente presente sulla collina di Boboli, e l'abbondanza d'acqua faceva si che la cisterna del pozzo fosse sempre piena tanto da superare il livello massimo e riversarsi, grazie alla pendenza, in Via Sguazza che magari assumeva questo nome proprio per le pozze generate dall'acqua che la percorreva.
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Il pozzo era andato perduto nelle successive edificazioni, probabilmente nella costruzione del palazzo della famiglia Ridolfi di Piazza costruito circa nel Trecento, in via Maggio. Estendendosi con il giardino sino a via Toscanella hanno probabilmente chiuso il famoso pozzo. Dopo anni di ricerche recentemente è stato individuato grazie a Marco Conti e al proprietario del ristorante "Toscanella Osteria" Fabrizio Roberto Gori. Durante i lavori di realizzazione del ristorante hanno riportato alla luce il perduto Pozzo Toscanelli e con lungimiranza l'hanno restaurato ed è oggi visibile.
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Proiettandosi dall'altra parte di Via Toscanella, dove si restringe in un caratteristico vicolo, appena prima di aprirsi su Via San Jacopo si nota una rappresentazione in terracotta della Madonna. Questa rappresentazione è del 1984 ed è stata commissionata a Mario Mariotti e posizionata ad opera degli abitanti della via in segno di protesta. Tra spazzatura abbandonata e ricorrenti minzioni sui muri la via si caratterizzava per un fetido odore. La madonna è infatti rappresentata in un atteggiamento conseguente e ha preso il nome di Madonna del Puzzo. La via nasceva quindi come "retro" di palazzi signorili con le facciate in vie e piazze di più rinomata fama, ma nel corso del tempo il suo lastricato si è impregnato di storia ospitando anche le abitazioni di uomini illustri come Giovanni Boccaccio o Ottone Rosai. Oggi, grazie a piazza della Passera, è diventata un angolo di aggregazione.
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jacopocioni · 1 month
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In conclave
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Quando i Priori delle Arti si rinchiudevano insieme alle massime autorità fiorentine all’interno dell’antica Torre della Castagna per deliberare e decidere sui casi più difficili che riguardavano i destini della città e delle rispettive Corporazioni, lo facevano “cum clave”, in conclave, cioè chiusi sotto chiave. Era un modo estremamente pratico per evitare intromissioni o pressioni troppo interessate da parte di politici, facoltosi banchieri e commercianti. La stessa cosa avveniva nella Roma medievale al momento dell’elezione del nuovo Pontefice quando i cardinali riuniti in un apposito salone, si chiudevano “cum clave” fino a che non si fossero trovati d’accordo sul nome del nuovo Papa. Quella sala, per tradizione, prese il nome di Sala del Conclave. A partire dal 1492 il Conclave si è sempre svolto nella Cappella Sistina. Ancora oggi il termine “chiusi in conclave” viene spesso allusivamente riferito a importanti riunioni collegiali o di lavoro nelle quali i membri devono prendere importanti decisioni senza venire disturbati. (da "Adagi ma non troppo" di Franco Ciarleglio, Sarnus Editore)
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jacopocioni · 1 month
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La Storia del Lo Struscio Fiorentino
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Franco Ciarleglio Negli anni '70 uno studente universitario di nome Franco Ciarleglio si affaccia curiosamente, e ne venne conquistato, al mondo delle giostre, dei pali, dei tornei medievali della Toscana e di conseguenza anche alle leggende, gli aneddoti, le credenze popolari, i modi di dire e le burle della Firenze medievale e rinascimentale. In altre parole la Firenze Minore. La curiosità porta Franco a documentarsi leggendo dei libri, soprattutto quelli dei grandi Maestri: Luciano Artusi, Giorgio Batini e Don Foresto Niccolai in primis. La passione che ne segue determina una costante raccolta di materiale che organizzato sembra delineare un progetto. Come sarebbe portare delle persone in passeggiata per Firenze illustrando questa Firenze minore spesso non conosciuta ai più?
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Il Narator Cortese Il progetto diventa realtà quando Franco organizza le prime Passeggiate Storiche gratuite insieme ai colleghi di lavoro della Banca Commerciale Italiana di via Tornabuoni. E' il giugno del 1990, 34 anni fa, e Lo Struscio Fiorentino prende vita. Le "Passeggiate lento pede" diventano famose tra i fiorentini tanto che negli anni successivi Franco viene contattato da varie Associazioni Culturali, Storiche, Dopo lavori, Lions e Rotary Club che richiedono di organizzare, per i propri associati, delle sortite per i quartieri fiorentini.
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Umberto Panti e Franco Ciarleglio Nel 2000, su consiglio di un amico lungimirante, Franco scrive e pubblica il suo primo libro "Lo Struscio Fiorentino", un libretto tascabile ed economico, un manuale pratico della Firenze minore. Il successo è esponenziale con oltre 22000 copie vendute. A questo primo libro ne seguiranno altri, ben 15 ad oggi. Ognuna delle successive opere letterarie si dipana sullo stesso filone letterario affrontando leggende, gli aneddoti, i modi di dire e le burle, senza far mancare anche dei romanzi storici.
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Piero Paoletti Nel 2004 Lo Struscio Fiorentino è ormai "istituzione" a Firenze e necessita di un'organizzazione più capillare, ed è così che inizia la collaborazione stretta con il DLF Dopolavoro Ferroviario di Firenze capeggiato da Piero Paoletti con il quale si cementa un sodalizio che è durato fino al periodo della pandemia (2020) quando, necessariamente, si sono dovute interrompere le Passeggiate Storiche. Le Passeggiate dello Struscio sono nel tempo aumentate passando da una singola sortita annuale del 1990 a ben 3 (tre) annuali dal 1995 fino a spingersi a 4 (quattro) nel 2005. Quattro passeggiate: una per ogni Quartiere Storico fiorentino.
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Luciano e Ricciardo Artusi con Franco Ciarleglio Sempre nel 2005 inizia la collaborazione con il Maestro Luciano Artusi e con suo figlio Ricciardo ai quali viene dedicata una quinta passeggiata con la loro attiva partecipazione e collaborazione. Una collaborazione che è attiva e gradita ancora oggi. Nel tempo a Franco si sono avvicinati svariati appassionati che in un modo o nell'altro hanno dato il loro piccolo contributo ad affermare Lo Struscio come una realtà sulla conoscenza della Firenze minore. Tra loro l'insostituibile Umberto Panti, conosciuto anche come Penna Bianca, Gabriella Bazzani, appassionata ed esperta di storia fiorentina, Fabrizio Ciabatti, colto storico e preciso narratore, e Jacopo Cioni, editore e direttore della Rivista Fiorentina che state leggendo.
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Franco Ciarleglio
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Umberto Panti
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Gabriella Bazzani
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Fabrizio Ciabatti
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Jacopo Cioni Ed ecco che, grazie all'unione di Franco con questi appassionati, nel 2021 (il 24 giugno) viene fondata l'Associazione Culturale "Lo Struscio Fiorentino" meglio conosciuta come "COMPAGNIA DELLO STRUSCIO FIORENTINO". Ciò che era nato da una passione si è trasformato nel tempo in una vera e propria attività culturale che meritava di evolvere per consolidarsi nel tempo. I suddetti fondatori formata la DIRIGENZA hanno poi allargato la schiera degli appassionati creando la BRIGATA che include Marilena Gambuti, Alfonso Fornabaio e Gianni Degl’Innocenti Balsicci.
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Marilena Gambuti
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Alfonso Fornabaio
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Gianni Degl’Innocenti Balsicci Come ogni compagnia che si rispetti anche la Compagnia dello Struscio Fiorentino è dotata di un carro che evolvendosi dal brindellone assume la denominazione di STRUSCIOMOBILE.
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jacopocioni · 1 month
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Baldaccio d’Anghiari e il suo fantasma
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Baldaccio d’Anghiari al secolo Baldo di Piero Bruni è vissuto ai primi del 1400. Nato ad Anghiari da Piero ed Assunta divenne un famoso condottiero. La sua famiglia in Anghiari era molto antica, addirittura blasonata, ma questo figlio di nome Baldo si scostò da essa per il suo carattere irruento e attaccabrighe, non a caso ebbe modo di scontrarsi con la giustizia più volte. Per il popolo il suo nome da Baldo diventò Baldaccio ad indicare non certo un santo.
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La sua stessa Famiglia non era a proprio agio in sua presenza e quindi il giovane Baldo decise di dedicarsi alle armi abbandonando la sua dimora, il famoso Castello dei Sorci. Lasciare Anghiari gli avrebbe permesso la vita che desiderava densa di avventure e scorrerie. Con i compagni d'arme ne combinò di ogni sorta tanto che nel 1420 fu addirittura accusato d'omicidio e condannato a morte. La sua fortuna fu riuscire a fuggire e questo gli permise di sopravvivere alla condanna.
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Divenne un soldato mercenario al soldo di chi offriva maggior denaro per le sue azioni di guerriglia. Fu spesso usato dagli stessi fiorentini, assoldato da il Conte d’Urbino, da i Malatesta, dagli Orsini, da Piccino poi a sua volta combattuto sotto le insegne di Papa Eugenio IV. Questi servigi resi a destra e a manca lo resero cosi famoso da essere graziato delle condanne accumulate ed addirittura la città di Firenze gli concesse la cittadinanza il 19 giugno del 1937. Francesco Sforza visto la sua indole e le sue capacità lo nominò maestro di campo dell’esercito fiorentino, ma si accorse ben presto che non era un uomo facilmente imbrigliabile tanto che tra i due si generò uno scontro che arrivò ad una sfida alle armi che il milanese perse. Lo stesso Machiavelli lo definì: "uomo di guerra eccellentissimo".
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Il prestigio di cui arrivò a godere Baldaccio nella città di Firenze, e non solo in questa città, era tale che taluni personaggi politici dell'epoca cominciarono a temere che potesse diventare un punto di riferimento politico e quindi un possibile, formidabile, avversario. Uno dei nobili che temeva di più questa possibile circostanza era Cosimo de' Medici, e forse fu proprio lui il mandante della fine di Baldaccio.
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Il 6 settembre del 1441 a Baldaccio fu recapitato un invito a presentarsi presso Palazzo Vecchio dove lo attendevano una schiera di sicari che rendevano conto al gonfaloniere di giustizia Bartolomeo Orlandini, uomo sicuramente nelle grazie di Cosimo de’ Medici e che con Baldaccio aveva un vecchio conto da regolare. Infatti tempo addietro Baldaccio aveva stigmatizzato l'operato dell'Orlandini nella difesa del Castello di Marradi, asserendo addirittura che si era dato alla fuga. Orlandini lo accolse al portone e lo accompagnò lungo i corridoi conducendolo nella trappola che lo attendeva. In pochi secondi Baldaccio fu circondato e sfruttando il vantaggio della sorpresa, fu colpito alle spalle, tramortito, ed in seguito buttato da una finestra di Palazzo Vecchio. Accasciatosi in piazza della Signoria un altro gruppo di persone lo trascinò per la piazza stessa sino a che esanime non fu decollato e lasciato a terra innanzi agli occhi dei fiorentini. Il monito per Firenze era capire la fine che faceva chi anche solo aveva le possibilità di imporsi politicamente contro il potere costituito. Pochi giorni dopo il corpo di Baldaccio giaceva ancora alla vista dei cittadini e solo la preghiera della vedova di Baldaccio, Annalena Malatesta di Rimini, donna di mirabile bellezza, rivolta al Papa Eugenio IV permise la sua tumulazione presso la Basilica di Santo Spirito.
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Cessata la fama e la gloria in vita cominciò la leggenda nella morte. Baldaccio d'Anghiari non abbandonò Firenze, ma vi restò come fantasma. Un fantasma che si è manifestato più volte ed addirittura fu anche fotografato. Sembra che si aggiri per Palazzo Vecchio e il rumori da lui provocati, sordi e lontani, si odono solo dopo l'orario di chiusura quando il brusio turistico cessa e il silenzio mette in evidenza echi d'oltretomba. Il 6 settembre è il giorno in cui si materializza in vari luoghi, talvolta per la festa di ognissanti il 1 novembre, non solo nei luoghi della sua morte, ma anche in quelli della sua nascita.
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Il 6 settembre del 1991 apparve sul Ponte Vecchio e il giovane fiorentino che lo vide lo descrisse come una figura che si stagliava in maniera vivida e vestito in arme. Il 6 settembre del 2001 si presentò al Piazzale Michelangelo ma non fu visto bensì fotografato. Due ragazzi, scattando una foto ricordo, lo immortalarono senza accorgersi e solo il giorno dopo osservando la foto al computer si accorsero della sua presenza. La fotografia mostrava una faccia arcigna e spaventosa che li guardava in cagnesco. La foto fu addirittura inviata ad alcuni esperti che le certificarono come autentica e in seguito altri esperti del paranormale sancirono che si trattava proprio di Baldaccio d'Anghiari. Sembra che ogni 40 anni (che dovrebbero essere i suoi anni vissuti) il 6 settembre o il 1 novembre il suo fantasma si presenti presso il Castello dei Sorci ad Anghiari, antica dimora della sua famiglia. Si presenta decollato e con la testa sotto il braccio forse con un messaggio che ancora oggi nessuno ha compreso.
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