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claudiotrezzani · 7 hours
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In quanto fa lo zero-cento una Rolleiflex T?
No, avete ragione, avrei dovuto dire Ford T.
Cheppoi nemmeno li faceva, i cento la Ford T.
E nemmeno i novantasette, riparametrando la prestazione allo zero-sessanta (miglia) che usano misurare oltreoceano.
Già, usano misurare.
Una volta invece le riviste erano meno prodighe di dati tecnici strumentalmente rilevati.
Così anche la nostrana Quattroruote.
Eppure la summentovata testata nel maggio 1959 pubblicava - accanto alla prova della Fiat 1100 Lusso e della Ford Taunus 1700 M - un articolo a proposito della summenzionata Rolleilflex T.
A firma - ricorrente e prestigiosa, allora - Mario Carafoli.
Meno numeri, dicevo.
Non c'è sensore da scandagliare, qui.
Al massimo l'esposimetro, quello al selenio che il tempo esaurisce.
Ma cosa scriveva Mario?
Le Rolleiflex costavano come una piccola automobile, si dice ora, anziché le poche centinaia di euro che sono necessarie oggi per un buon usato.
Mario però sottolineava che la T aveva "un prezzo sensibilmente inferiore" ai modelli superiori [la F con il Planar di pari apertura, o con il 2,8, NDR] a fronte di poche rinunce, avvertibili più dal professionista che dall'amatore.
Del resto, lo sapete:
il sensore era la pellicola, dunque la prestazione d'immagine non poteva risentire d'inamovibili  superfici sensibili differenziate tra modelli, dentro.
Quasi struggente rilevare che Mario decantava la possibilità di giostrare con le mascherine, dentro, onde guadagnare una manciata di fotogrammi in più.
Era pre-democratica, era:
la pellicola costava, non era alla portata di tutti convulsamente scattare.
Vantava il lantanio nelle lenti, poi, Mario.
Non c'era prima della guerra, precisava.
Lenta anabasi verso la fedeltà dei colori, quella fu.
Segue dettagliata descrizione dei comandi.
Già, i comandi.
Gioielli di meccanica, queste macchine erano.
Tra l'opera di un orologiaio e quella di un orafo, erano.
E il concetto di ergonomia muoveva i primi timidi passi nelle menti.
Non era ancora arrivato Giugiaro  - ulteriore parallelo con le automobili - a  disegnare corpi Nikon, ma Mario principiava discettare sull'opportunità di affidare al pollice - "dito non troppo gentile", spiegava - l'azionamento del pulsante di scatto.
Ecco, epoche.
Percezioni, attaccate alle epoche.
Modi di vita, pensieri sulla vita.
Ma i negativi si tramandano.
E novelle suggestioni vi si posano.
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Claudio Trezzani
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claudiotrezzani · 2 days
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L'anatra non sa di cosa è parte.
La modella, sì.
Modelle, anatre?
Sì, se la modella è di Firenze LObjectif.
Sì, se l'anatra è di Ersin Turk.
Ersin e Firenze hanno magistralmente interpretato la dicotomia delle apparenti divisioni.
O delle finte separazioni.
L'anatra non è consapevole dell'elegante scrittura di china in cui Ersin l'ha collocata.
Eppure è lì, icastica punteggiatura in una arazzo nel quale col moto favorisce osmosi.
Col moto favorisce osmosi?
Sì, perché incedendo nel liquido elemento genera circolari onde che vieppiù sottolineano l'osmosi tra il bianco ed il nero.
Apparente divisione, finta separazione, appunto.
E la modella di Firenze è sul limitare.
Limitare di cui con la schiena sente il confine tra l'asciutto e l'umido.
E sa, lei, che vi sono altri strati.
E che un drone li sta riprendendo tutti, e che con lo sguardo ella li sta percorrendo, benché per collocazione e postura  possa solo indicarne progressione, non averne immediata contezza.
Grazie Ersin, grazie Firenze.
Maestri d'apparenti divisioni, siete.
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Claudio Trezzani
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claudiotrezzani · 4 days
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Diaframmi.
In "Oltre la chimica" era un vetro di gocce imperlato.
Qui, un telo di funzionalità meramente edile.
Ma non è più un telo di funzionalità meramente edile, qui.
Perché Dima Zverev l'ha trasfigurato, questo telo.
I muratori non sapevano che il loro telo si sarebbe metaforicamente elevato.
Dima sì, e ci offre la sua alata coglizione.
Diaframmi, dicevo.
Diaframmi su diaframmi, qui.
Perché se ci è voluto il diaframma all'interno della fotocamera per rendere possibile la ritrazione, altro diaframma riveste d'onirica suggestione l'inquadratura.
Telo come dinamico sudario.
Telo come soffositore di siluette.
Telo come orchestratore di forme e toni.
E lo sbrego che riprende uno dei tre ombrelli.
E il viluppo che giostra con distanze trasformandole in toni.
E la grafia che rende scritture i pesi.
Grazie per aver sì finemente reinventato quel telo, Dima.
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Claudio Trezzani
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claudiotrezzani · 5 days
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Di forme, espressione ed ospitalità.
Renate Wasinger, con onde e surfista.
Fereshteh Abdolahimehr, con ondulazioni e coppia.
Lorenzo Cicconi Massi, con foglia e luce.
Di come, eccioè, forme possano ospitare altre forme senza abdicare a loro identità espressiva.
L'onda di Renate diviene - congelato l'attimo - plastica scultura e nello stesso tempo accoglie umano in precario - ma vittorioso - equilibrio.
Le candide corrugazioni di Fereshteh troneggiano come alabastro, ma non per questo rinunciano ad avvolgere atteggiati umani.
Anche la foglia di Lorenzo costituisce ipso facto una forma a sé bastevole, ma a sua volta ospita entità, la luce.
La dualità esprime pluriplanare concettualità, in queste tre riuscite immagini.
Essere cosa; partecipare a cosa.
La Fotografia, quando è alta, questo può.
Innescare percorsi mentali tra la scatola cinese e la specularità, può.
Una cosa è per sé, ed in rapporto ad altro.
Ed è per sé reinventata dalla veicolazione della ritrazione, ergo sin dall'inizio si stacca dalla mera intelleggibilità funzionale:
onda come scultura; corrugazione come alabastro ; foglia come astrazione da luce disegnata.
Concettuale pluriplanarità, appunto.
Grazie Renate, Fereshteh, Lorenzo, per aver sì finemente incarnato il volo.
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Claudio Trezzani
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claudiotrezzani · 6 days
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Claudio Trezzani <[email protected]>
https://www.globusrivista.it/.
Sì, è anche una rivista.
Di carta, intendo.
C'è anche Roberto Besana (in eccellente compagnia all'interno del comitato scientifico, compagnia troppo numerosa per qui interamente menzionarla), lì dentro.
Ergo, pregevolezze (non è piaggeria, Roberto sa che son pronto all'invettiva).
Ma qui c'occupiamo di un altro Roberto, un altro Roberto dentro la rivista.
Cattini, fa di cognome.
E' un cacciatore, questo Roberto qui.
Sapete, non si portano più trofei impagliati, al ritorno.
Inumano verso l'animale - animale verso animale - era.
Ma è ancora caccia grossa, quando è.
Con Cattini, è.
Dune.
Τοποι, con dune.
Τοποι che suggeriscono:
teoria di  cammelli in siluetta sul crinale.
Nei casi migliori:
grafismi in isolazione.
Nei peggiori - con depliantoria finalità - salto con ruote e morbido atterraggio.
Non, non le fa, Roberto Cattini, queste cose qui.
E' uomo di dialogo, questo Roberto qui.
E di contrappunto, musicale compositore fosse.
Il dialogo / contrappunto è fra sabbia e pietra.
Nerume in osmosi tra le due.
Nerume in contrasto, tra le due.
Morbida onda - mare fu - morbida ansa, e sopra modulate svettità.
O ricamata distesa, e sopra tagliato orizzonte, puntuta scultura.
Non ha ascoltato Giacomo, Roberto, qui.
Epperfortuna che non l'ha ascoltato.
Perché non vi è naufragio in mare qui, per dolce possa essere, e la femminea ansa lo propizierebbe.
No, vi è costruzione, qui.
Reinvenzione traverso esistente, qui.
Distribuzione di pesi, ma senza algore.
Perché danza è, qui.
Gioiosa musicalità, architettura incontra poesia.
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Claudio Trezzani
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claudiotrezzani · 7 days
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Forse da fiordo - Stéphane Pennellec è finlandense - forse no.
Non lo sappiamo, è una fortuna non saperlo.
Perché ne vediamo tanti, di turisti in crociera su balaustre poggiati ("from a moving boat", dice Stéphane).
I più tendendo ad una incerta orizzontalità, i meno alla ricerca di spumeggianti effetti di facile contentatura (grazie papà Sergio per l'efficace espressione).
Poi arriva Stéphane.
Non interessa l'intelleggibilità del luogo, a Stéphane.
Interessa esercitare sua intelligenza, a Stéphane.
Sapete, quella parte del cervello i cui neuroni sono deputati a suscitar poesia.
L'arte di approdare ad astrazione traverso letterale irriconoscibilità.
Che abdicando a primigenio segno, novello ne crea.
Dal deciso all'evanescente, questa la progressione.
Arcuati tratti di penna, salendo soavemente tendono all'estinzione.
Ci sono tecniche per questo, lo sapete.
Ergo, alta artigianalità.
Vana epperò, se non ispirata da canto.
Ed aligero s'eleva, il canto di Stéphane.
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Claudio Trezzani
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claudiotrezzani · 8 days
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Il Piccolo Chimico.
Un'entità mitologica (si, lo so, è una scatola), per me.
Sempre d'altrui vagheggiata, mai da me vista, siffatta mitologica entità.
Poi si diviene adulti.
Provette, boccette.
So di persona che ha chiesto buoni uffici, per procurarsi in farmacia un barattolo di acido tannico.
Acido tannico?
Sì, per virare una cianotipia.
Maria F va ben oltre la chimica.
Strada, pioggia, un automobilistico vetro.
E questo è già un trattamento.
Sì, perché all'esterno del parabrezza gocce rapprendonsi.
Ed è subito texture.
Avanti vetro, corruscazioni.
Balenii di luce con l'orizzonte gravato da oscuro damocleico incombere.
Ma l'arte di Maria non s'esaurisce nello scenario.
Perchè s'annida anche ai bordi, l'arte di Maria.
Quelle deliziose sbavature, intendo.
Quadro astratto, intrinsecamente sono.
Ed ancora, texture.
La texture che non è texture perché è nella scena, le summentovate gocce.
La texture che è texture pur essendo estranea alla scena, le succitate sbavature.
Ed ispirata artigianalità.
Oh, lo è anche certa fotografica postproduzione.
Ma qui materia s'allea a materia.
Azioni in osmosi con azioni, al servizio d'una danza di concetti.
Grazie Maria, la Tua mano genera poesia.
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Claudio Trezzani
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claudiotrezzani · 9 days
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Forme.
E luci.
Luce svincola forma da funzione.
Lo fa perché disvela novelli percorsi.
Novelli percorsi resi possibili da una deminutio - una virtuosa diminuzione - d'intellegibilità.
Sì, meno intelleggebilità.
Minor comprensione della primigenia destinazione, ed insomma.
Non sono più edifici, così.
I due manufatti di Monique Arleo sono costruzioni mentali, ora.
Sì, non più edili bensì psicologici.
Non son più lì ad ospitare cose, i muri.
Conta il nero, il bianco, la grafia, il peso e distribuzione, ora.
Mirabile orchestratrice di pesi, Monique, qui.
Cantrice di toni, apporta poesia all'originale algore.
Anche Ralph Graef ha alleata la luce.
La governa, la luce, con sopraffina sensibilità.
Insuffla emozioni entro severità, Ralph.
E ha visto dipinti, Ralph.
E' francese, quella vegetazione; italiana, quella parete; statunitense, quella finestra.
Sì, scuole pittoriche assimilate, a cavallo di secoli.
Monique, Ralph.
Sensibli, ispirati reinventatori, siete.
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Claudio Trezzani
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claudiotrezzani · 11 days
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Sotto il treno.
In una  fotografia l'atmosfera è notturna.
Nell'altra, diurna.
Ma è vita sotto vita, lì.
Vita che perpendicolarmente interseca vita.
Sopra sfrecciano treni col loro carico d'umanità, dolente o gaudente.
Sotto, singole vite, una per ciascuna immagine.
Paolo Zinzalari è ispirato interprete della strada sotto altra strada (quella ferrata).
Nel sottopassaggio ferroviario geometria si sposa a poesia, e grazie a luce.
Sì, grazie a luce.
Paolo ha mano felice e fervorosa nel soffondere grafie con bagliori, che dolcemente contrappuntano oscurità.
Nel sottopassaggio stradale vivido e plastico è il connubio tra lo scultoreo dinamismo del saltatore e la vettoriale gaiezza dei graffiti.
E' intermezzo rubato alla luce, quello lì.
Sì la penombra preserva dalla volgarità del solleone per dare intimità a ciò che canta suo individuale vigore.
Grazie Paolo.
Sensibile interprete della strada, sei.
Strada sotto strada, emozioni che stratificamente ardono.
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Claudio Trezzani
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claudiotrezzani · 12 days
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E' andata agli Uffizi, Daniela Giovanna.
Le sono piaciuti dei capelli, lì, nel loro essere ad un tempo massuali e ventosi.
Sì, la Venere del Botticelli.
Poi si è recata in Belgio, da Magritte.
Ed in Francia, da Garcin.
Ma è stato un prestito, non una appropriazione.
Perché abbiamo Daniela, qui.
Mica Sandro, René, Gilbert.
No, la personale mirabile sintesi è di Daniela.
Diana Burdein, ora.
Da Monaco di Baviera alle Fiandre, indi una puntata Oltremanica.
Sì, i Maestri Fiamminghi.
E sì, la Pop Art.
Ma - ancora - la cifra è personale.
Un capolavoro di plurima osmotica ispirazione, trovo.
Dal delicato rigore di quegli antichi là, all'espressiva vividezza di quei novecenteschi lì.
Visuale crasi di suggestioni introitate e novelle emozioni estrinsecate, trovo.
Grazie Daniela, grazie Diana.
Parole nuove nell'arte d'autoritrarsi, le Vostre.
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Claudio Trezzani
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claudiotrezzani · 13 days
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"In un mare di papaveri, UN papavero".
Lo scriveva Sergio.
Un altro Sergio, decenni dopo, lo fa.
Non coi papaveri, ma con ciò che è trovato tra spighe.
Scusate, scusate, riavvolgo.
Il primo Sergio era mio padre.
L'articolo fu a proposito di un grande fotografo lodigiano, Valerio Sartorio.
Sergio - mente elevata, lo dico anche se sono di dinastica spregevole parte, qui - ma profano di prassi fotografiche, lui.
Così si stupisce - ma ammiratamente - che un pigiatore di pulsanti possa nutrire interesse ed emozione per un singolo papavero.
Ma anche l'altro Sergio - Lorusso - è un Appassionato Investigatore.
Un Sopraffino Appassionato Investigatore, lui.
Non si ferma all marino frumentale cullare, lui.
Se ne bea, certo.
Ma ha una missione, questo coevo Sergio qui:
la Helicella Itala, come scriveva Linnaeus nel 1758.
Sì, la chiocciola.
Vorrei io essere chiocciola, lì, onde essere cullato dal summentovato frumentale mare.
Sergio Lorusso - aligera individuazione condita di fine percezione - mirabilmente ce ne restituisce anelito.
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Claudio Trezzani
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claudiotrezzani · 14 days
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Ha stipulato un accordo, Giordano Suaria, con un pilota di jet.
Ne trascrivo stralcio di scrittura:
"...che alle ore 10,46 del giorno 14 febbraio 2024 il velivolo transiti sopra l'intersezione dei tetti di cui al mappale allegato".
E' stato puntuale, l'aviatore.
E preciso, anche.
Perché sì, la scia del suo aeroplano effettivamente coglie l'angolo tra i summentovati tetti.
Ed oltre l'icastica grafia, i colori:
tintuali giustapposte tavole, sono.
Ma Giordano sa anche guardare all'ingiù.
Ai migliori il tetto di un'automobile può dir molto.
A Giordano, lo dice.
Anche lì, geometrie.
Il mancorrente, prua di nave.
Il riflesso della stadiuale lampione, potente suo contrappunto.
E cornici, modanature.
Grondano dinamismo in cartesianità, le due fotografie di Giordano.
Tensione ed equilibrio, ed insomma.
Grazie Giordano, anche Tu hai mirabilmente scovato Astrazione in quotidianità.
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Claudio Trezzani
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claudiotrezzani · 15 days
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Tessuto.
Tenda od indumento, non importa.
Purché voli, il tessuto.
Voli con la mente di chi guarda, il tessuto.
Ma quel volo ha bisogno di un musicale la.
Darian Volkova, Bruce Berrien - grazie, ispirata sceneggiatrice Manuela Russo, per la Tua sopraffina sensibilità divulgativa - Nicola Davison Reed lo sanno intonare, il la.
Perché se il rimiratore vola, è per l'aere che lor han saputo infondere.
Con pari fotografica preziosità, plurime concettuali veicolazioni.
Le tenda di Bruce volano perché devono volare, è Eolo che l'ha deciso.
E Bruce non è il motore: è il poetico orchestratore.
Il motore di Darian è la danzatrice, Darian è il lirico cantore.
Suo il pensiero, sua la delicata armonia che s'effonde.
Nicola è l'architetto.
Ma un architetto che gronda poesia da ogni piega.
Darian, Bruce, Nicola.
Diversi approcci, differenti osmosi tra azioni & percezioni.
Ma è lo stesso tessuto, idealmente.
Il tessuto che si spoglia di materia per prosciugarsi in Pura Astrazione.
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Claudio Trezzani
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claudiotrezzani · 16 days
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Una volta il grande fotografo Franco Razzini mi disse:
"se qualche persona fotografata ha qualcosa da obiettare, puoi sempre fare una videoproiezione".
Intendeva significare:
chi non vuole figurare in una stampa pubblica per sua natura lungamente rimirabile, più facilmente acconsentirà ad una fugace - pochi secondi di permanenza - videoriproduzione della stessa immagine.
Qui epperò non ci sono persone.
Ma sono troppe, le fotografie.
Stancherebbero, staticamente accostate.
Ecco allora questo https://youtu.be/CuGsg4vREaA?si=NAFWfDJqKnxH0Pwf fluire ritmicamente cadenzato.
Ed è un fluire che testimonia il tempo.
Il tempo di un tema, intendo.
Oh, aborro i così appellati progetti, l'espressione sa d'ingegneristico algore.
Il darsi un tema, ancora concepisco.
Il costringersi ad un tema, se l'atto propizia focalizzazione.
Ed il costringersi ad una singola focale.
Oh, non che sia reale forzatura.
Perché qui s'ha da puntare al giacere.
E se il giacere è acqueo, il raggiungimento esige lunga focale.
Non fuggono, ancorate barche.
Ne lo fanno lor riflessi.
E anche noi, non dobbiamo fuggire.
Occorre tempo e lenta deambulazione, per catturare, qui.
E frequenti soste, e meditazioni.
Oh, niente di filosoficamente trascendente.
Solo respirare, e lasciarsi intridere.
Puntare al giacere chiama proditoria ghermizione.
Ottenere il lì senza essere lì (ancora, la lunga focale).
Da pontili, intendo.
Non lasciare impunita bellezza che lì s'annida, intendo.
Alleato il tempo, e voglia di languido abbandono.
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Claudio Trezzani
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claudiotrezzani · 18 days
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Fortunatamente, case tuttora esistono.
La creatività, pure.
Sapete, più volte gli acquafortisti di secoli fa si sono fatti prendere le ...punte ammanicate nel ritrarre paesaggi.
Sia quanto a particolari di scene urbane sia per aver ritratto da dove non erano.
Aver ritratto da dove non erano?
Sì, riprese di montagne sullo sfondo stando su di una montagna che ...non esisteva.
Ovvero:
visioni aeree senza aver avuto davvero l'opportunità di posizionarsi all'altezza delle cime riprodotte per goderne di persona la prospettiva.
Così, ora, ma partendo dalla realtà.
Non esistono solo i droni, intendo, benché sommamente apprezzi questi dispositivi.
Esistono ancora le case, come dicevo.
Ed esistono le Nikon P900, quelle bridge superzoom.
Soprattutto, esiste José Antonio Munoz.
Ha facoltà di salire entro una casa, José Antonio.
D'imbracciare la sua P900, parimenti.
Il risultato è una meravigliosa fotografia che pare eseguita da un drone.
Certo, così non si può avere, del drone, l'esatta zenitalità, e con essa la perfetta ortogonalità.
La lieve inclinazione, epperò, restituisce appieno il senso del viaggio.
Il resto lo fa l'ispirata prontezza d'aver catturato la situazione.
Ed il sapiente, elegante e gustoso trattamento postproduzionale.
Magliette, zaini , valigie legate dalla tonale uniformità del magenta.
E contrappuntate dal delicato suolale giallume, dalla soffusa vignettatura dell'intorno.
Ecco, indumenti ed accessori moderni con l'antico mezzo del deambulare.
E con il delizioso sapore pittorico sopravvissuto ad anteriori ere.
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Claudio Trezzani
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claudiotrezzani · 19 days
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Quante sbavature, in Rete.
Quante, coi miei occhi in situ.
Per quelle in Rete, colpo di mouse e via.
Non mi soffermo, eccioè.
Acquei orizzonti, precipuamente.
Soggetto interessante in acqua, bene.
Confitture di pali, ancor meglio.
E sulla linea che separa il cielo?
Un frammento di costa su di un margine dell'inquadratura.
Colpo di mouse e via, ed allora.
Sbavature, la fotografia non m'interessa più.
Stessa cosa se sono in situ:
il dito indice non preme sull'otturatore, m'allontano.
Con Gérard Bret, no.
Non m'allontano da schermuale visione, con sua immagine.
Perché niente sbavature, con lui.
Perché l'aspro colle non è interrotto da margine, con Gérard.
Nessuna sbavatura, perché è dialogo.
Dialogo di forma sospesa su linea con forma svettante in acqua.
E sì, è compressione dei piani.
E no, non lo è.
Non lo è perché è un mirabile haiku in grafia di segno, quello di Gérard.
Bidimensionale nel suo pariteticamente giustapporre pesi posti su latte con penna intinta in china.
Coesione, non dispersione.
Niente fugge ai bordi.
Ogni cosa liricamente canta suo ruolo, e armonicamente lo comunica al suo vicino in icastico tratto.
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Claudio Trezzani
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claudiotrezzani · 20 days
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Brighton.
A portata di distratti turisti, quei pali lì.
Che guardano senza vedere.
Rovina coincide con inutilizzabilità, per loro.
Sapete, anche recensori fotografici usano quei pali.
Per provare obiettivi, loro.
Interessa l'obiettivo, a loro.
A Vladimir Kar interessano i pali, ed invece.
Per nostra fortuna, gli interessano.
Benvenuti nel mondo dei Manufatti Parlanti.
Con Karl quei pali divengono una cattedrale, una sinfonia, una scultura.
Mirabile composizione e costruzione, quella di Karl.
Fatta di latte e china, è questa la via verso Pura Astrazione, qui.
Anche Oleg Kozheltsev si volge ai Manufatti Parlanti.
E' lui che li fa parlare.
È l'Ingegnere della scena, Oleg.
E Poeta, anche.
Se i pali di Karl s'ergono da confittità, quelli d'Oleg denunciano anelito, con loro protensione.
Desiderano anche loro l'acqua, ma hanno un ruolo, a terra.
E lì ch'anno da farsi maestose sentinelle.
Maestose, non impassibili.
Perché ruote potrebbero sospingerle, ma non debbono.
Perché lor fissità contrasta con il movimento evocato da sfocatura.
Sì, quello del battello sapientemente corniciato tra parallele svettitudini.
Ed il tessuto rosso non turba.
E anzi indizio d'umano organico sopra oggetto reso umano da sua posturale espressività.
Grazie Kar, grazie Oleg.
Magistrali burattinai dei Manufatti Parlanti, siete.
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Claudio Trezzani
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