Tumgik
alfredomedici · 3 years
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PAGINA 80
Ines era li perché lo stupido cocainomane Enrico immediatamente doponla sparatoria contro Arturo le aveva telefonato dicendole che 《u duttor l'agghjie lass't sang sang nterr! E mo n' pot chiù mbrugghià ne a te e ne a me. L' agghjie lass't for o campsant...( il dottore l'ho lasciato sanguinante per terra! E adesso non può più imbrogliare ne te ne me. L' ho lasciato fuori al cimitero...)》.
La voce concitata e lugubre di Enrico aveva convinto la spaventata donna a chiamare il 118, la polizia e correre lei stessa all'entrata secondaria del camposanto.
Arturo difatti era in un mare di sangue e ad Ines parve morto.
Ma il medico e gli infermieri del servizio d'urgenza avevano già attaccato una flebo nella vena della vittima e trasferito sulla lettiga e quindi nell'ambulanza quel corpo irreale ma riconosciuto, tanto che Ines riprese la speranza e con la speranza un pezzo di inaspettata felicità.
In ospedale Arturo fu sottoposto a trasfusione fino a riprenderlo e prepararlo per la sala operatoria.
Al lento risveglio dallo stato stuporoso Arturo cominciò a percepire la bocca secca e voglia di fare pipì.
Si ritrovò con tubi infilati un po dappertutto e con l'immagine del dott. Rocco Mondello, sua antica conoscenza adolescenziale, un fascistello qualunquista diventato chirurgo, che lo sovrastava dall'altro capo di quel contenitore con assi d'acciaio che doveva essere un letto d'ospedale.
《Caro Arturo! Mi hai riconosciuto? Sono Rocco, ricordi? Sei stato vittima di una sparatoria e hai un fegato attraversato da un proiettile che è uscito dal fianco ed un altro che andremo ad estrarre con facilità》.
<porco cazzo> si trovò a pensare Arturo <essere salvato da sto stronzo è poco dignitoso, e poi gli dovrò essere grato per anni!>.
Fu in quel momento che lo scrittore Alessio Medici gli chiese: 《vuoi vivere, tornare con Ines e rivedere i tuoi amici e pazienti? Oppure vuoi fare l'eroe e rifiutarti di farti operare da un coglione di persona che non hai mai stimato?》
Arturo ci pensò un po e si trovò a rispondere al suo autore: 《visto che è solo una storia inesistente puoi farmi morire da eroe? Rifiuto l'intervento di quel fascista raccomandato. Mi fai dire le ultime parole d'amore ad Ines e poi mi lasci morire con gioia come in un film di Frank Capra》.
Alessio, perplesso, accontentò Arturo.
Fece entrare nella stanza Ines in lacrime. Fece dire ad Arturo tutto l'amore che aveva sempre provato per lei e così lasciò morire Arturo.
Da eroe.
Come aveva sempre sperato.
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alfredomedici · 3 years
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PAGINA 79
《Ma porca puttana, Enrico di sto cazzo, dovevi uccidermi simbolicamente e non concretamente, coglione! Ma tu non sai che cazzo significa "simbolicamente". Ignorante e coglione sei!》tentò di urlare Arturo verso il neo-assassino che si allontanava per montare su di un vespino 50, celeste, del 69.
《Uccidere il padre era nei programmi, coglione, ma non così....cazzo》.
<Porca puttana vuoi vedere che sto morendo > cominciò a pensare un esausto Arturo.
<È la prima volta che muoio perciò non lo so. Ma sento una cazza di stanchezza e poi sto sangue che esce. Tecnicamente e clinicamente sto morendo ma cazzo, cazzo, cazzo mi sembra impossibile> continuò a pensare.
Era stupito ed estraniato Arturo.
Stava morendo, lo sapeva ma non ci credeva.
Ritenne ciò che a volte aveva intuito: che finché si è vivi la mente non comprende la morte.
La mente produce consapevolezze solo se ne ha fatto pratica e la morte è l'unico fatto della vita che si fa una sola volta e definitivamente pertanto davanti al momento della morte non esiste una esperienza sperimentata e immagazzinata così che ti ritrovi ad essere sempre vivo anche in procinto di morire.
Proprio quella cosa di Epicuro sulla vita e sulla morte che adesso aveva un senso psicologico vero e concreto.
Arturo era infinitamente stanco.
Si ritrovò a pensare ad Ines e a provare una vaga percezione di colpa per il dolore che le avrebbe procurato la sua dipartita.
In effetti provava quell'oscura colpa per il dispiacere che avrebbe arrecato a chi teneva a lui.
E queste nuove emozioni si mescolavano al senso di vergogna di stare li per terra a guardare il mondo dal basso e in una posizione ridicola.
Un senso di vergogna che aveva appena sfiorato quando cadeva giocando a pallone e si ritrovava a vedere gli altri dal basso.
Cadere era umiliante e la vergogna inevitabile. Ma allora poteva rialzarsi e riprendere a correre.
Adesso no. Non poteva rialzarsi.
<Ma porco Giuda, mo ci provo ad alzarmi> ma la strana sensazione di non avere più il fianco destro e poi il sangue che usciva sempre piu copiosamente ad ogni movimento gli impedivano quel gesto voluto ma oramai impossibile da realizzare.
Fu a quel punto che una vaga emozione di panico cominciò a farsi presente e pressante ma la debolezza, sempre più ingravescente, gli occultava la paura.
Vide da lontano un'auto.
Era un'Alfa Romeo rossa.
Era l'auto di Ines.
E poi vide quella che era un'autoambulanza.
Poi più nulla.
Era passata un'ora ma Arturo non ne aveva avuto la percezione.
I pensieri e le emozioni e le osservazioni avevano vagato in uno spazio senza tempo e senza spazio.
Senza contesto.
In un mondo irreale.
E sanguinante.
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alfredomedici · 3 years
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PAGINA 78
Anche quella domenica Arturo decise di andare al camposanto.
Scelse di entrare da un ingresso laterale, un po' nascosto dagli alberi, belli come lo sono gli alberi nei cimiteri, per arrivare subito alla cappellina dove riposavano i genitori.
Inaspettatamente intravide sull'uscio dell'ingresso Enrico.
Capì immediatamente che il delinquente, per evidenti necessità psicopatologiche, era li ad attenderlo.
《Uè d'ttò, t'agghjie v'nut a truà p'cchè mo st'c ammalament.
Me dà na cos d sold p'cchè a rrobb cost ass'jie e ije agghjia zucà!!!(ooh dottore, ti son venuto a cercare perchè adesso sto male. Mi devi dare un tanto di soldi perché la roba costa assai ed io devo tirare!!!) 》.
《Enrì io non ti do niente. Se stai in astinenza da coca vai al SERT o al pronto soccorso, ti fai ricoverare e forse puoi riprovare a smetterla con la polverina 》.
《Tu n' n'hajie capit nu cazz, dottò! Tu me da nu sac de sold p'cchè t stjie facenn ad Angiolett. (Tu non hai capito un cazzo, dottore! Tu mi devi dare un sacco di soldi perchè ti stai facendo Angioletta)》.
《È il tuo delirio paranoico, cazzo Enri!! Smettila con quella merda e vedrai le cose in maniera diversa》.
《Dottore》provò a parlare in italiano Enrico per sentirsi ferocemente adeguato all'italiano di Arturo 《tu non hai capito che Angela me l'ha confermato: mi ha detto che sta col dottore ed è cuntent e aspett i cart che l'adda spusà》.
A quel punto Arturo comprese che "il dottore" di cui aveva parlato la donna era l'ex-prete in fase di laicizzazione.
《Enrì! U duttor che d'cev Angela è nu prevt che s'è spugghjiet p' ess!!! N' so ije! U vujie capi?(Enrico! Il dottore di cui parlava Angela è un prete che si è tolto la tonaca per lei! Lo vuoi capire?》urlò Arturo, stavolta in dialetto nella speranza che gli arrivasse chiaro e forte l'equivoco nel quale era caduto.
《Dottò sti strunz'te raccontale a quella brava femmina dell'avvocatessa Ines che hai tradito assai. E nu trad'tor è semp nu merd trad'tor!! Ije a l'avvuc'te c'haggjie ditt che t fazz for...(E un traditore è sempre una merda di traditore!! Io all'avvocata l'ho detto che ti faccio fuori...) 》e mentre parlava velocemente e in maniera concitata Enrico tirò fuori una 7.65 che fece volteggiare sulla faccia di Arturo.
《Mo p'cchè n' f'jie u psicocazz?
Annanz o firr tu n' sì nint!!!! (Adesso perchè non fai lo psicoterapeuta? Davanti alla pistola non sei niente!!!!) 》urlò Enrico, approfittando del luogo deserto nel quale si trovava quella maledetta entrata secondaria del cimitero.
Arturo non mosse un muscolo ma ad Enrico non importò nulla.
Esplose due colpi.
Arturo stupito si portò la mano al fianco destro accasciandosi.
Enrico si avvicinò all'ex suo dottore e prese dalla tasca interna un piccolo portafogli con dentro banconote per duecentomila lire.
Arturo,incredulo, non sentiva dolore. Sentiva la mano sinistra scivolosa e bagnata mentre osservava la bella giacca grigio perla farsi rossa.
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alfredomedici · 3 years
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PAGINA 77
Ines sentiva un incombente pericolo.
Pericolo nell'aria.
Pericolo che le entrava nei pori della pelle.
Pericolo che tacitava con il piacere del leggere qualunque tipo di libro.
E con il piacere di scaricare quell'ansia da pericolo impalpabilmente imminente su quell'incosciente dell'ex-marito ed attuale fidanzato che l'ansia e il pericolo li aveva avvertiti solamente prima degli esami all'università.
Ines sentiva che Arturo poteva essere in pericolo a causa di quell'Enrico la cui voce le aveva provocato un sotterraneo allarme.
La voce di Enrico in versione vendetta era fuori dai suoni che Ines conosceva.
Il suono della vendetta conteneva la certezza di una implacabilità che lei percepiva non umana.
Ne parlava con Arturo che invece appariva tra l'annoiato e l'arrabbiato quando doveva spiegarle che da sempre lei sentiva situazioni pericolose e che Enrico voleva solo invertire le dinamiche del potere tra il terapeuta ed il paziente. Che avrebbe spiegato al pessimo criminale nonché psicotico paranoide che Angela aveva preso il volo con un ex-prete e che mai c'era stato qualcosa di erotico o sentimentale tra lui e lei.
Arturo riusciva a calmare per un po l'inquietudine di Ines somministrandole analisi psicologiche su di lei e che Ines non riconosceva come verosimili.
La psicologia e la psichiatria per lei erano solamente nuove religioni e l'inconscio era per lei un'invenzione letteraria di un bravo scrittore di fantasy come Freud.
Ma le dissertazioni tra i due ex su inconscio e comportamento umano allontanavano l'angoscia dell'avvocata, ritrovata come quasi compagna da Arturo, lo psicologo a tutto campo.
Forse il segreto di quel rapporto consisteva proprio nelle capacità di cura reciproca delle parti bambine dei due, forse quasi amanti, in fase di nuovo rodaggio relazionale: Ines aveva affidato alle regole il proprio bisogno di rassicurazione fino a diventare una brava avvocata, studiosa di regole sociali, regole che avrebbe poi dato al compagno.
Arturo invece aveva imparato a farsi carico delle paure altrui per risolvere le sue paure bambine.
Arturo accoglieva perciò le paure di Ines. E Ines ricordava ad Arturo di ascoltarle quelle sue paure e non stare ad affrontare il mondo con la sfrontatezza di un bambino in perenne gara di coraggio virile, quello che Arturo aveva intravisto nel padre poliziotto e sopravvissuto, affamato, alla guerra.
La seconda. Ancora così vicina.
Enrico era ancora lì tra loro due, come un figlio cresciuto male.
Arturo si era quindi dato un termine oltre il quale avrebbe chiamato l'ex-paziente per indurlo al chiarimento oramai necessario per tacitare le paure di Ines.
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alfredomedici · 3 years
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PAGINA 76
Stava nel suo studio Arturo.
Era appena andata via la mamma di una di una giovane paziente bulimica e grassa assai.
Una donna dall'aspetto trasandato e denti cariati che come unica attività aveva la cucina.
La cucina come unica forma di ideologia, come unica forma di espressione personale ed estetica.
La cucina come unica forma di comunicazione.
E le polpette come relazione.
La cucina di quella donna che stava ammazzando la figlia di centosessanta chili e delirio struggente.
Erano, difatti, una mamma che usava il cibo come universo affettivo e una figlia tossicodipendente di zuccheri e colesterolo cucinati in mille forme sfavillanti.
Andava via dallo studio col suo gelo e manifesta antipatia verso il dottore che da più di un anno provava a tagliare quel cordone ombelicale che stava ancora lì, nell'anima della mamma legata a quella figlia neonata di trent'anni.
Era giunto,quindi, il momento di chiamare Enrico.
Enrico da affrontare.
Da domare.
Da rassicurare.
Lasciò squillare il telefono del modesto paranoico incazzato.
《 Ch'è? Si tu, dottò? (Cosa c'è? Sei tu, dottore?)》l'apertura di Enrico.
《Uè Enrì, c'hamma v'dè? (Oh Enrico, possiamo incontrarci?)》senza preamboli la richiesta in dialetto di Arturo.
《E che m'è dic?(E cosa devi dirmi?)》
《Hamma parlà d'i fatt che v'jie d'cenn! (Dobbiamo parlare dei fatti che vai dicendo!)》
Il "lei" o il "voi" di uso meridionale e di rispetto erano saltati.
Arturo sentiva quella furia che avvertiva nei momenti di ingiustizia subita.
《Jie t pozz v'dè ma no da te, dottò...
t vogghjie v'dè for ché allà
jnt tu te sint nu re e m' f'jie sent nu shkif! (Io ti posso vedere ma non da te, dottore...ti voglio vedere fuori perché la dentro tu ti senti un re mi fai sentire uno schifo)》fu l'ultimatum di Enrico.
《Va bene Enrì. Dimmi dove e finiamo sta storia di infamità che mi butti addosso...》disse in italiano il dottore.
《N' sò 'famità...si tu nu 'f'm, dottò...(non sono infamità...sei tu un infame, dottore)》concluse quasi stancamente Enrico.
《Allora dove?》
《T'u fazz sapè ije. È sp'ttà... (te lo faccio sapere io. Devi aspettare..)》.
Arturo era sul filo dell'incazzato nero.
Capì che quella rabbia dentro di lui era il riflesso di quella di Enrico.
Si ritrovò a ricordare Sergio Leone e quei dialoghi strigati e primi piani da urlo raccontati con un montaggio al testosterone.
Arturo ogni tanto sapeva essere maschio come aveva imparato da ragazzo "on the road" nella eterna guerra tra buoni e cattivi sui marciapiedi della sua città.
"In fondo con gli psicotici non esiste un setting organizzato e incontrare Enrico è solo la continuazione della terapia" stava pensando mentre tirava via la porta dello studio per affrontare il fresco piacevole di inizio primavera.
Quel percorso, considerava, che sapeva di aver fallito per pigrizia e per puro suo narcisismo incontrollato, che lo aveva portato a prendere l'amore del giovane drogato innammorato.
Adesso stava per andare ad esplorare l'ombra dopo tanto sole.
Stava giungendo a "the dark side of the moon".
Stava per dare senso agli amati Pink Floyd.
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alfredomedici · 3 years
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PAGINA 75
Intanto Enrico continuava a rodere per l'amore mancato di Angela.
Le sue convinzioni attraversavano i pensieri ossessivi e paranoici che solo l' amore, o l'illusione d'amore, pareva aver curato.
E Ines era l'arma umana per punire il suo vecchio Mandrake e quasi genitore Arturo.
Enrico/Lotar aveva cominciato, in quei giorni di fine inverno, a pedinare il suo ex-boss.
E non capiva perché il dottore stronzo spesso attraversava i cancelli del cimitero.
Erano frequentemente le domeniche quelle che Arturo dedicava ai suoi genitori.
E il cimitero era la "città" che preferiva.
Ad Arturo piaceva passeggiare tra vecchie tombe. Leggere le lapidi, quelle antiche con le foto che raccontavano un'altra Italia, o leggere le date di nascita e di morte dei defunti.
Gli piaceva sentire tenerezza per i bambini morti per chissà quali malattie o stupirsi di persone morte a novant'anni nel 1905.
Si chiedeva come tale Esposito Giovanni fu Leopoldo, nato nel 1840 e morto nel 1910 avesse vissuto l'avvento dei garibaldini e poi dei piemontesi che stavano facendo l"Italia.
E poi si chiedeva se Esposito Giovanni fu Leopoldo fosse stato uno dei Carbonari Dauni che volevano l'Italia affratellata.
Tutte le storie seppellite li erano la Storia.
E poi nel cimitero, il quella città silenziosa ed alberata, con tante statue tragiche e cappelle art-nouveau, la gente diventava educata e sommessa. La volgarità e le sgradevolezze erano proprietà della città dei vivi, lì oltre i cancelli, oltre la lunga strada che portava ai rumori del mondo scostumato.
Arturo amava passeggiare lì.
Quello era l'unico luogo dove non produceva films o atmosfere sognanti.
La realtà più reale stava intorno a lui.
E sedersi davanti alla tomba della mamma e del papà era un piacere struggente.
Loro, fissi nelle fotografie a colori, rispondevano con le loro voci che Arturo, anche dopo tanti anni, ricordava.
In quel luogo Arturo era convinto di vivere i momenti più vitali della sua vita di adulto.
Li la morte era bella e aveva senso.
Il cimitero, la città dei morti, era più viva della città dei vivi.
Era lì quando senti il cellulare e poi la voce di Ines:《Artù quello continua a chiamare. Ho paura. Dice che mi vendicherà perchè non merito un uomo come te》.
《Ascolta: fammi fare lo psicoeccetera, quello "proietta" su di te la sua voglia di vendetta, ma è solo una fase, una specie di ribellione verso "il padre" che non ha mai avuto, una specie di dramma edipico come direbbe uno psicoanalista serio e sassone.
Lo chiamerò e sistemerò sta faccenda che comincia a rompermi per davvero.
Tranquilla Ines, torna a fare l'avvocata e lasciami fare l'aggiustatutto delle cose comportamentali》
《Artù ti avrei preferito idraulico》rispose affettuosa Ines.
《Vero》aggiunse Arturo serio serio《ma avrei dovuto lavorare....》.
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alfredomedici · 3 years
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PAGINA 74
Arturo stava guardando in tivvù un documentario sullo scudetto del Cagliari del 1970, sull'eroe assoluto Gigi Riva da Leggiuno e aveva programmato la visione in videocassetta di un film con Stanlio e Ollio (riteneva Stan Laurel, con Totò, il più grande comico mai esistito e superiore a Charlie Chaplin, considerato più furbetto e noioso) quando gli arrivò la telefonata di Ines.
《Maledetto Enrico è stato qui a raccontarmi di tale Angela e di te come di uno stronzo che ne è l'amante!》.
La voce di Ines era affranta.
Arturo conosceva quel tono tra il gelido disperato e il dolore soffocato che per un attimo lo spaesò.
《Lui è da tanto che ha cercato di creare una specie di vicinanza. Mi ha sempre spaventata, anche quando era quel docile imbecille da sembrare una pecora addormentata! E viene a dirmi che tu hai un'amante!! Non gli credo, non gli credo, ma cazzo potrei credergli, potrei credergli, lo capisci? È già successo Arturo che hai ucciso la mia fiducia...》.
A questo punto Arturo riconobbe il pianto di Ines.
Un pianto antico di anni.
Quel pianto che lei non gli aveva mai mostrato coprendo il dolore con la rabbia.
La rabbia di Ines adesso evaporata in quella telefonata fatta di disperazione e confusione.
Arturo riconosceva la bambina smarrita che in quel momento era diventata Ines.
《Non ho nessuna amante. Dopo quella storia ho imparato a non fidarmi più di me. Non ho amato nessuna. E Angela è stata mia paziente. Ed Enrico ne era innammorato. La faccenda è lunga. Ma adesso non piangere per questa storia》e affettuoso e rassicurante Arturo concluse con 《però puoi piangere per quella vecchia storia con Jolanda...》
《Tu fai un lavoro di merda Artù. Ma non potevi fare il dentista, l'oculista, oppure salvare vite umane con un lavoro serio da oncologo, cazzo!!! Invece ti sei messo in queste storie con gli Enrichi, le Angele e adesso a ricordarmi le Jolande.》.
Ines cominciava a ritrovarsi ritrovando Arturo.
Lui sollevato e stupito dall'essere stato creduto riprese a parlarle:《Ines che dici? Vuoi venire da me? Ti propongo tutti i goal di Gigi Riva e poi Stanlio e Ollio, ti preparo per cena tonno e pomodori e mai, mai giuro, ci proverò con te. Potrai dormire da me e mentre dormi ti racconterò tutti questi ultimi anni》.
《Che palle Artù! Ogni occasione è buona per parlare di te. Ma va bene, verrò. Lo faccio per il tonno che per fortuna non devi cucinare...》.
《Non portare la tua segretaria. Porta un Aglianico del Vulture...》.
《Te lo scordi l'alcol. Un chinotto basterà》.
Ines aveva accettato di raggiungerlo: si sentì contento e un po spaventato ma forse felice.
Arturo pensò anche ad Enrico che era diventato un guaio che avrebbe poi risolto.
Come spesso sapeva fare.
Sapeva risolvere sti casini.
Si immaginò come Harvey Keitel nel 'sono il sig.Wolfe e risolvo problemi'.
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alfredomedici · 3 years
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PAGINA 73
Il giorno dopo la telefonata ad Angela, Enrico, che era totalmente preso da quella rabbia da rifiuto amoroso che lo guidava da quando erano scomparsi i dialoghi con Padre Pio, decise di presentarsi dalla sua avvocata Ines.
Difatti senza appuntamento si ritrovò nel salotto d'attesa della sua legale.
La segretaria dal rossetto rosso, spaventata, era corsa da Ines chiedendole cosa poteva fare.
O cosa avrebbe dovuto fare.
Ines aveva un modo molto organizzato di lavorare, rabbuiata in volto invitò l'ex cliente ad accomodarsi per pochissimo tempo nella stanza/studio.
《A cosa devo questa improvvisata, Enrico?》esordì in maniera decisa Ines.
《Avvucà ije te l'è già ditt che marit't è nu carogn: ije agghjie r'g'stret a telefon't cu l'amant d'u duttor d stu cazz! (Avvocata, io le avevo già detto che suo marito è una carogna: io ho registrato la telefonata con l'amante del dottore di sto cazzo!)》si sovrappose con la sua voce alla richiesta di Ines e il tutto avviando il registratore del cellulare.
Ines confusa ed estraniata da tale comportamento aggressivo si trovò ad ascoltare quel dialogo tra Enrico e tale Angela che confermava il suo amore per il dottore definito prete da Enrico.
Ed anche da lei.
Allibita e strabiliata Ines alzò la voce invitando il semicriminale ad uscire da li.
Che era una cosa che non gli doveva interessare la vita del dottor Arturo.
E che non le interessava minimamente quella registrazione.
Enrico, praticamente cacciato dallo studio, tentò una dichiarazione che credeva di affetto verso la legale che lo aveva trattato così civilmente dicendole: 《ije te vogghjie aiutà p'cchè te vogljie bene, avvucà...(io ti voglio aiutare perchè ti voglio bene, avvocata...)》
《non so che farmene del tuo affetto, cazzo!!》l'insofferente risposta di Ines.
Mandato via Enrico, in versione subdola e ipocrita, Ines si precipitò a chiamare Arturo.
Difatti il cellulare di Arturo cominciò a servire quella deliziosa bossa nova che gli addolciva l'ansia da telefono irruente.
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alfredomedici · 3 years
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PAGINA 72
Passavano così i giorni: Ines e Arturo avevano ripreso una frequentazione, definita da lui, "leggera".
Cosa potesse significare il termine "leggero" era rimasto un mistero per le poche persone che avevano conosciuto i due da fidanzati, sposati e separati.
Le persone, poche, che avevano frequentato i due negli anni precedenti non erano rimasti stupiti.
Anzi a loro interessò poco che Arturo avesse preso a farsi vedere con Ines nei negozi di abbigliamento femminile a dare consigli e a fare il simpatico con le commesse proponendo loro le rappresentazione della "divertente coppia anticonvenzionale" come quella del film di Frank Capra "Accadde una notte".
Arturo aveva capito che per far funzionare quella relazione il rapporto doveva, con Ines complice, essere composto da "due amici" incontratisi per caso e che potevano, se volevano, recitare la parte dei coniugi cosi da offrire al mondo ciò che al mondo piaceva: una commedia brillante e sofisticata.
Ed Ines un po' alla volta si era sentita conquistata da questo gioco.
"Giocare" alla coppia era la scoperta di entrambi per allontanarsi dal loro passato serioso e un po' defunto.
Non parlavano mai d'amore ma avevano preso a divertirsi con adorabili parole al vetriolo oppure a recitare poesie di odio reciproco tanto da inventare un linguaggio tutto loro e precluso agli altri.
Tutto questo era la relazione "leggera" che Arturo aveva proposto senza forzare e coinvolgendo e convincendo Ines a staccarsi dalla realtà ma facendo finta di starci dentro.
E mentre i due "facevano finta" di stare insieme il mondo viveva senza finzioni.
E in quel mondo autentico e sincero, in una una giornata di fine inverno, una di quelle belle giornate splendenti come una coscienza pulita, Enrico, che da un po di tempo aveva ripreso una quasi onesta attività di spaccio di marijuana per giovani studenti delle medie superiori ed universitari, aveva deciso di chiamare Angela.
Angela la sua ossessione.
《Cià Angiolè, ti ricordi di me? So Enric》forzando il suo scarso italiano.
《Uè Enrì...certo che mi ricordo...》rispose con voce allibita la ragazza.
《 Angela solo na dumand: mo stai co lui, con quella specij d prev't che f'c u bun k tutt quant? (Adesso stai con lui, con quella specie di prete che fa il buono con tutti?)》chiese in maniera definitiva Enrico pensando ad Arturo.
《Si sto col prete, come lo chiami tu, e ci sto bene...》la risposta di Angela pensando ad Angelo.
《Ma tu u s'jie che quill è nu fav'zacchione e ha tenut nu sacc d femm'n? (Ma tu sai che quello è un falsacchione è ha avuto tante donne?)》provocò Enrico.
《So tutto di lui. Lo amo. E appena le carte saranno pronte lo sposerò.
Perciò Enrì non cercarmi più. La mia è stata una decisione difficile e tormentata. Ma lui è cambiato. E mi ama》concluse Angela.
E con lo stomaco in subbuglio concluse anche Enrico chiudendo la telefonata.
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alfredomedici · 3 years
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PAGINA 71
E ristorante fu.
Ines e Arturo si ritrovarono seduti, in quella sera di fine inverno, in un ristorante in riva al mare, un mare d'inverno ovviamente, a Manfredonia.
Ines era stupita della scelta dell'ex-coniuge perché sapeva che a lui non piaceva il pesce, non piaceva il mare ma gli piaceva l'inverno.
Arturo era stupito e basta, come sempre.
Una volta sistemati al tavolo dal maître, un meridionale bianco e di razza caucasica, che credeva di essere francese, ripresero a parlare di Enrico, di legalità e umanità infelice.
Verso la fine del primo piatto (maccheroncini al brodo d'astice) Arturo sparò, con noncuranza, una domanda:《Senti Ines, ma perché non torniamo a stare in casa insieme?
Sai che botto farmi rivedere nel tuo condominio?》
《Ma tu...tu...tu...ma sei pazzo?》provò a non balbettare Ines.
《Capisco, Ines, che la cosa peggiore che poteva capitare era diventare parenti. Beh! Adesso lo siamo. Lo sai che saremmo anche due separati non divorziati ma in realtà siamo parenti.
Che poi non so etimologicamente "parente" da dove viene ma dovrebbe essere meno impegnativo di moglie. O no?》
Ines, pur se abituata alle puttanate del suo ex, non sapeva se rispondergli seriamente o continuare sul filo dell'ironia divertita di Arturo.
Optò per la seconda soluzione: 《 Essere parenti forse è una buona idea. Ma cosa saremmo in definitiva? Cugini no, cognati nemmeno, maritati non esiste...》
《Coabitanti》la fermò lui.
《Coabitanti, e così non siamo neanche costretti ad amarci》
《Sei uno stronzo, ma cazzo Artù, ti è proprio difficile dire "mi manchi" oppure "Ines dopo sti tre anni mi son accorto di pensarti" o addirittura "Ines, io ti amo e voglio tornare con te!!!》.
《Non è che non voglio dirti ste cose ma è che ho scoperto che c'è uno che ci usa per scrivere una storia. Cioè io e te siamo personaggi letterari e questo signore che scrive le nostre attività ha deciso che io sia sempre sul filo del paradosso ironico》.
A quel punto Ines, fingendo stupore e un po' di spavento replicò :《 Oddio! Allora non sono più libera di mandarti a fanculo? C'è uno che decide il mio destino? Che mi racconta in un romanzo? Dimmi il titolo di sto libro e così saprò cosa ho deciso》
《Il titolo verrà alla fine del racconto. E inoltre sto tizio scrive in una specie di blog, si chiamano così quelle cose letterarie su internet? Non so proprio nulla di questa storia che racconta. Perciò Ines dimmi se vuoi essermi parente coabitante, che chissà che lo scrittore non si convinca a farci continuare la nostra storia》.
Ines esplose in una bella e calda risata, verso la fine di una orata al forno che Arturo aveva lasciato intonsa nel piatto.
《Va bene Artù, ci penserò. Almeno provo a convincere anch'io lo scrittore digitale a definire la nostra storia. Però una cosa devi dirmela. Anzi due. Primo: come ti vengono ste idee strane e divertenti tanto che sei riuscito a suggestionarmi e adesso temo di essere non più una persona a cena ma un personaggio in un romanzo che mi incuriosisce》.
《 Aah...Ines, se lo sapessi sarei già a casa tua a pretendere di far l'amore con te ma anch'io non so che fine faremo. E se ci sarà una fine》.
《La seconda cosa è: perché hai scelto un ristorante dove si mangia pesce se tu odi il pesce?》
《Perché ti amo. E tu ami il pesce》fu la risposta di Arturo.
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alfredomedici · 3 years
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PAGINA 70
Ines, dopo gli eventi di misfatti e pene sospese, aveva continuato la sua missione di avvocata di donne e di moderata acquistatrice di abbigliamenti e relativi accessori.
In sospeso aveva lasciato la possibilità di incontrarsi con Arturo.
La proposta di Arturo di festeggiare la vittoria legale del neo-figliuolo Enrico le girava nella testa.
Un po meno nel cuore.
Arturo, nonostante l'offesa da lui ricevuta con quel brutto ed inutile tradimento, gli era perlomeno simpatico.
Non sapeva se era pazzo o sano.
Se era geniale o imbranato.
Se sapeva amare o era solo un abile seduttore.
Certo che in quel mondo di "normali" lei non riusciva a starci.
I "normali", così come li chiamava Arturo, erano quelli che mai erano stati adolescenti, quelli per i quali il Natale pomeriggio, alle 17, andavano al cinema a vedere film per la famiglia.
I "normali" erano quelli con tanto buon senso da votare sempre al centro anche quando il centro era spostato a destra.
"Normali" erano per Ines quelli che seguivano la morale cattolica senza avere un proprio senso etico.
Erano "normali" quelle con tailleur e filo di perle tanto fine e quelli che "tengo famiglia" tanto da scavalcare le graduatorie per un posto da parastatale che "ti sistemi per tutta la vita" tanto basta pagare un consigliere comunale.
I "normali" per i quali era normale pensare ai cazzi loro.
Arturo non era tutto questo e questo le piaceva.
Svagato e accogliente.
Empatico e po' scemo.
Ingenuo e determinato.
Coraggioso ed incosciente.
Traditore per non tradirsi o traditore per le sue irresolutezze?
Ines era una fuorilegge in nome della giustizia (questo le diceva l'ex-marito quando era maritata con lui) perché una fuorigregge.
Ines fuorigregge e fuorilegge doveva decidere se riprendere i contatti con quell'uomo simpatico e con i circuiti mentali spesso imperscrutabili.
Riprovarci in un continuum con dentro tutto o far finta con se stessa di non sapere nulla di lui e provare a fidanzarsi con lui di nuovo ma come se fosse un vero e proprio sconosciuto?
Ines aveva rinunciato ad uscire con la segretaria e col suo rossetto, e mentre addentava una mela, li in cucina, si trovò a digitare sul cellulare il contatto "lo stronzo" e chiamare Arturo per dirgli: 《okkkkkey bambino, andiamo a cena.
Scegli tu il ristorante 》.
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alfredomedici · 3 years
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PAGINA 69
"Dillinger è morto" di Marco Ferreri era uno dei film preferiti di Arturo.
Un film in cui lui riconosceva il non-sense della vita borghese.
Aveva visto quel film da adolescente in un cinemino della sua città.
Adesso da adulto era quasi stupito di quanto da ragazzo aveva già quella strana consapevolezza del vuoto che avvolgeva la vita.
In fondo il tema del "vuoto" era il pieno della sua riflessione su quell'argomento che è di tutti: ma vivere cos'è?
Aveva frequentemente la percezione che la vita di tutti, e certamente la sua, fosse una rappresentazione poggiata sul nulla.
Queste considerazioni le teneva per sè.
Inutile discutere con altri, troppo pesanti ed insensate e senza un costrutto filosofico erano le sensazioni puramente emotive che ritrovava in film come quello di Ferreri.
O in romanzi di Camus come "Lo straniero" o di Sartre come " L' età della ragione", "La morte nell'anima", "Il muro".
In fondo era un lusso per Arturo poter dialogare con gli esistenzialisti francesi.
Ma lo faceva in silenzio.
In quei libri dell'adolescenza si era ritrovato.
Con l'adolescenza aveva sostituito l'idea di Dio, e la fede, con la ricerca di chi era capace di raccontare, con parole scritte, le sue percezioni, le sue sensazioni, le emozioni e tutti i vissuti dell'anima che lo attraversavano.
Era questa convinzione, nata nel momento in cui lasciava Dio, la famiglia e Il quartetto Cetra per avventurarsi nella costruzione della sua vita, che gli aveva prodotto una pena per ogni essere umano.
Ognuno chiuso nel proprio "vuoto".
Ognuno sofferente.
Ognuno alla ricerca di un senso.
L' amore, che era l'unica possibilità di sottrarsi all'angoscia del "nulla", era stata una ricerca costante, come per tutti del resto (eccetto che per i cercatori di potere).
Poi la psicoanalisi, la psichiatria fenomenologica, e tutte ste cose gli avevano permesso di diventare uno studioso del fenomeno amoroso.
Da cercatore a studioso, questo era diventato.
Poi la scoperta giovanile che ognuno si costruiva una maschera lo aveva messo nella condizione di costruire per sè una maschera il più possibile somigliante a sè stesso.
A quello senza certezze, senza più un padre, senza tante speranze, consapevole che l'unico modo per stare su questa terra era giocare.
Come i bambini che giocano per sperimentare la vita.
Come i bambini che non si chiedono cos'è la vita.
I bambini che vivono e basta.
E Truffaut lo aveva aiutato a trovare nel "gioco" l'unica possibilità per esistere.
E giocava Arturo.
Come Michel Piccoli in quel film di Ferreri che rivedeva spesso come un vaccino annuale per ritrovarsi ludico.
E triste.
In fondo per lui l'amore, l'arte, la follia erano la stessa cosa, modalità per sfuggire al nulla della realtà muta.
Ed anche il cellulare era muto.
Un sonno ubriacante stava lì per sommergerlo.
E prima che il film terminasse si addormentò.
E questo non era un gioco.
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alfredomedici · 3 years
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PAGINA 68
Come è tipico e specifico per il Tempo, che passa, impalpabile e silenzioso andando sempre piu in là, un mese era già passato dall'"affaire Enricò" anche per Arturo che macinava incontri con sconosciuti che conosceva intimamente rimanendo, con loro e loro con lui, sconosciuti.
In effetti uno degli effetti paradossali delle cosiddette psicoterapie era proprio questa peculiarità: medico e paziente entravano in una dinamica di estrema intimità rimanendo sconosciuti.
Un po' come in certi viaggi in treno quando ci si trova a raccontare cose e pensieri nascosti ad uno sconosciuto e precario compagno di viaggio.
Ed Angela aveva continuato ad incontrarlo proprio come in quel pomeriggio privo di sole, quando sistemata sul divano trovò il coraggio di raccontare al medico che il prete col nome d'arte di don Angelo aveva ripreso a cercarla.
《E cioè?》chiese Arturo.
《 Vede dottore, circa un mese fa ricevetti una chiamata da lui che mi diceva che voleva incontrarmi. Che aveva da chiarire alcune cose. Che sentiva la mia mancanza 》.
《Oh cazzo...dire ad una personaa "sento la tua mancanza" è come dire ad un bambino che la Befana e Babbo Natale esistono per davvero e che il mondo è un posto meraviglioso...》intervenne il medico delle cose psichiche.
《Dottore...io Angelo l'ho incontrato.
E nonostante tutte le mie diffidenze devo ammettere che qualcosa è cambiato. Pare che abbia fatto richiesta di lasciare il sacerdozio.
E so anche della telefonata tra voi, al termine della quale lui si sentì molto umiliato.
Era ricorso perciò al suo padre spirituale, un anziano francescano, con il quale e attraverso il quale maturò la decisione di tornare ad una vita laica.
Adesso ha ottenuto una specie di liberatoria dal Vescovado e ha idee imprenditoriali concrete: vuole aprire una boutique per abiti talari e per oggettistica sacra o religiosa in genere. L' incontro telefonico lo aveva offeso ed aveva aperto una breccia nella sua coscienza, mi disse proprio così...una breccia nella sua coscienza》
Una breccia nella coscienza di un giovane prete parve ad Arturo come "la breccia di Porta Pia", quando la cultura borghese e laica militarizzata dai bersaglieri aveva conquistato la città del Dio cattolico.
Perplesso Arturo rimase in silenzio.
"3 a 1 per la laicità o un 2 a 2 con pareggio della coscienza cristiana?"
pensò e stupito dovette ammettere che le vie del S(s)ignore erano proprio infinite, ed oltretutto inaspettate.
《Cosa intendi fare, Angela?》
《Voglio provare a dargli una possibilità. Non vuole più farmi soffrire. Inoltre vuole riprendere gli studi e laurearsi in psicologia 》.
《Nooo....laurearsi per fare lo psicocazzo no! Correrebbe il rischio di fare il prete a pagamento. Voglio dire che un narcisista rimane sempre uguale a se stesso. Facesse una buona analisi personale con un bravo ed esperto terapeuta. Anzi ti darò il nome di uno buono che esercita a Pescara.
A parte tutto questo, perchè mi dici ste cose affettive solamente adesso?》
《Avevo paura e un po' di vergogna a parlargliene dopo tutto quello che era successo. Ma dottore le dico altro: voglio chiudere. So di vedere le cose in modo diverso e gli amici mi percepiscono diversa...》
《 E poi c'è Angelo, senza don, adesso.》la interruppe Arturo.
《Si》fu la semplice, onesta, sommessa risposta della orgogliosa e dignitosa Angela.
《Le voglio bene, dottore, e le devo tanto, tutto》aggiunse la giovane.
《Non esagerare Angela. Stai per lasciarmi ed è naturale "volermi bene" per sostenere il dispiacere del distacco. Ecco adesso puoi lasciare andare la tua mamma. E comunque non cancellare il mio numero, non si sa mai: se l'ex-prete dovesse avere un rigurgito di fede messianica potresti ritrovarmi》disse sorridendo l'Arturo.
E con fare morbido e rassicurante l'abbracciò prima di aprirle la porta d'ingresso, e adesso di uscita .
Tornò alla sua scrivania un po' stranito e sempre sorridendo si accorse di non essere stato pagato.
Come spesso era succeduto con Angela.
Non pagato....
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alfredomedici · 3 years
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PAGINA 67
Enrico fu riconosciuto colpevole per partecipazione collaterale all'impresa criminale con moltissime attenuanti e gli veniva ridata la libertà con obbligo di firma.
Il quasi malvivente non aveva capito molto della sentenza quando fu invitato dalle guardie carcerarie a guadagnare l'uscita dall'istituto penale.
Sul piazzale antistante al fortino della giustizia realizzata c'era ad aspettarlo Ines che a sto punto della faccenda appariva come una mamma che era lì a ritirare il figlio dalla ludoteca dopo una festa di compleanno.
In poco tempo Ines gli spiegò cosa trattava la sentenza.
Era arrivato un tassì che l'avvocata aveva prenotato per accompagnare lo scompaginato Enrico ai servizi sociali comunali e poi da li dai carabinieri per gli accordi di firma.
Sta cosa di firmare dai caramba fu la consolazione del quasi delinquente che commentò:《Agghjie capite, avvuchè, comme è succiss a n'amiche mije che è un bun int a "società" ( Ho capito, avvocata, proprio come è già successo ad un mio amico che è uno buono nell'associazione criminale denominata "società").
Spicciata questa incombenza lnes, appena entrata in macchina, decise di chiamare Arturo.
Difatti ad Arturo suonò la melodia brasiliana e rispose.
《Beh, Artù, è andata bene, che dici? Ho spedito Enrico ai servizi sociali e tutto sommato ha quasi capito come deve comportarsi....》
《Ines cara, siamo due genitori bravi, amorevoli e pedagogicamente perfetti》.
《Artù siamo bravi come correttori di genitori. Siamo bravi, anzi sei tu un bravo correttore di genitori. Mi sei piaciuto》.
Al "mi sei piaciuto" Arturo si trovò a sentire un languore caldo sull'epigastrio e con voce liquorosa si ritrovò ad invitarla a cena.
《Arturo non ti allargare. Quando manifesti coraggio le cose vanno sempre a puttane!》
《Coraggio? No Ines è l'incoscienza che mi spinge a mettere la mia testa nella ghigliottina per "vedere se poi è difficile morire"... 》.
Alle risate dell'ex compagna ad Arturo parve di sentirsi un po commosso.
"Cazzo riesco ancora a farla ridere" pensò mentre Ines continuava: 《 senti dottore quasi genitore, sarò io ad invitarti ad una cena senza lumi di candela, anzi al neon, per festeggiare sto lavoro fatto insieme. Come due colleghi che....festeggiano》.
Arturo, concentrato sul tono caldo di Ines, accettò la proposta.
Anzi da colleghi sarebbe stato più intrigante giocare alla conquista amorosa come un Robert Redford qualunque con Debra Winger avvocati a New York.
E mentre si salutavano entrambi sapevano che mai si sarebbero sottomessi alla luce bianca di un neon.
Arturo così fece accomodare sul lettino un signore di centoquaranta chili che voleva innamorarsi di una donna e non più dei suoi superiori maschi all'Ufficio Protocolli della ASL locale.
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alfredomedici · 3 years
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PAGINA 66
Aveva atteso in ascolto e scritto tutto ciò che stava avvenendo in quella rappresentazione e racconto del mondo, prendendo appunti con una bella penna che aveva rapito l'attenzione di Arturo, quando finalmente giunse il suo momento: Ines si alzò così dalla scrivania, con un movimento imperioso ed elegante.
Si soffermò in silenzio per qualche secondo guardando in basso i fogli appuntati e dopo quel momento sospeso alzò lo sguardo verso l'uomo che stava lì ad amministrare la legge con gli occhiali dalla montatura nera e luttuosa, e con voce calma e decisa iniziò il suo ragionamento parlato:《E ci ritroviamo qui, signor Giudice e signor Pubblico Ministero, ad assolvere un compito: definire e praticare la Giustizia.
Lo so, so benissimo che la Giustizia è valore relativo e non assoluto.
Relativa alle leggi che normano i nostri comportamenti.
Ma le leggi non raccontano la vita.
La organizzano.
Io voglio parlare della vita.
La vita di Enrico Riccio.
Figlio di una situazione sociale che è la vidimazione di povertà, ignoranza, disperazione.
Figlio di una comunità che non sa e non conosce l'esistenza della Legge.
La Legge che non legge il disagio sociale.
La Legge che tutti noi sappiamo non essere uguale per tutti.
Abbiamo ascoltato testimoni.
Tutti asseriscono che non è stato l'imputato a sparare.
Tutti abbiamo assistito al tentativo del sig. Riccio di raccontarsi come colpevole solo per il bisogno di essere qualcuno, per un bisogno di identità.
Il sig. Riccio non sa chi è.
Il sig. Riccio è un bambino in un corpo adulto, oltretutto un corpo malmesso.
Io mi chiedo: dov'era la Legge quando, dopo un periodo in comunità di recupero durato due anni, per legge e regolamento fu dimesso e sbattuto in strada?
Dov'era la legge quando Riccio con facilità si approvvigionava di droghe in quartieri della città dove il "nostro Stato" non esiste?
Come avvocata mi sono sempre chiesta se la Legge esiste ma solo per i ricchi e per chi ha livelli minimi di istruzione.
Voi signori che amministrate la Legge vi chiedete mai cosa è la Giustizia?
Il mondo è stato ingiusto con questo uomo.
Ingiusta la vita.
Ingiusto anche Padre Pio che lo ha abbandonato senza più dire una parola.
Enrico Riccio ha infranto la legge?
Si, vi rispondo: ha infranto la nostra Legge non la sua legge, quella della sopravvivenza.
Avete ascoltato la testimonianza del suo terapeuta che lo ha seguito gratis per mesi dopo l'estromissione, legale eh?, dalla comunità.
Giustizia vuole cosa noi, fortunati gestori dello Stato, siamo capaci di offrire e restituire a questo bambino deprivato e abbandonato a sé.
Cosa siamo noi, persone di Legge e non sempre di Giustizia, in questo momento?
Temo che la risposta è in questi fatti sempre più spesso frequenti: siamo solo degli impiegati della legalità, piccoli burocrati amministrativi.
La Giustizia, cari colleghi è altro.
Giustizia è restituire Enrico Riccio alla comunità, a nuovi educatori, all'obbligo di firma ma in regime di libertà dopo otto mesi di carcerazione.
Date ascolto ai vostri ricordi di "filosofia del diritto" e non alle minute della polizia che lavora senza veri indirizzi ideali》.
E sempre con un gesto di raffinata danza Ines tornò a sedersi, con busto eretto, al suo posto, li dove si tolse gli occhiali dorati quasi a voler dire: non ho più voglia di guardarvi.
Arturo, incantato, guardò la segretaria dal rossetto implacabile e guardò Enrico che si mordicchiava le unghie.
Infine guardò Ines chiedendosi se quell'amore di avvocata era l'amore suo.
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alfredomedici · 3 years
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PAGINA 65
L'uomo con occhiali della legge guardando i fogli davanti a sé continuava a chiamare testimoni i quali erano tasselli di un puzzle che si ricomponeva.
E per come ogni puzzle che si rispetti alcuni tasselli non ci azzeccavano niente nel racconto dell'evento criminale.
Interrogato fu anche il vigilante oggetto del proiettile.
Si andava costruendo la cronaca della rapina e in questo racconto cominciava ad apparire una verità: il colpo era partito da un kalashnikov e non dalla beretta calibro nove in possesso dell'Enrico.
Ma il commissario Nicoli, il pubblico ministero e le vittime volevano fortemente che l'unico arrestato, Enrico, pagasse per tutti i componenti della banda che si erano volatilizzati dopo la tentata rapina.
Enrico interrogato aveva traballato tentando di prendere inutilmente su di sè la colpa dello sparo e la dichiarazione, vera oltretutto, di non conoscere i colleghi casuali di crimine.
Situazione imbarazzante: con un innocente che voleva stupidamente essere un eroe nonostante le indicazioni dell'avvocata.
E in quella fase di stallo Arturo fu nuovamente chiamato dal pubblico ministero.
《Allora dottore, lei ritiene l'accusato mentalmente patologico?
Ritiene che pur armato, pur riconosciuto presente alla rapina, pur accusandosi del colpo sparato, sia incapace di volontà criminale?》
A queste domande Arturo, nel pieno del suo film ove aveva deciso di interpretare il ruolo di Paul Drake, investigatore e complice di Perry Mason, rispose:《 Veda dottore, il signor Riccio ha idee megalomaniche ma è fondamentalmente un bambino incapace di valutare cosa è bene o cosa è male. Facilmente influenzabile può raccontare qualunque cosa pur di sentirsi accolto. Le faccio un esempio: se lei dovesse decidere di offrirgli la sua amicizia e il suo affetto Enrico diventerebbe per sé e per gli altri il presidente del Consiglio Superiore della Magistratura.
E siccome ha ricevuto più affetto e accoglimento da persone degli strati più infimi della nostra società come uno Zelig si è fatto il più miserabile e se vuole il più criminale della città.
Se lei, che è un borghese dovesse farsi a lui amico vedrebbe il signor Enrico vestire con abiti di finto cachemire e utilizzerete copie povere ma simili a questa sua cravatta regimental di squisita fattura anglosassone》.
Questa ultima personalizzazione fatta da Arturo infastidì il magistrato che invitò sgradevolmente il medico a tornare al suo posto.
Arturo sentì la piacevole sensazione di aver ridotto quella seria rappresentazione a commedia brillante.
Ines, intimamente divertita, rimase avvocata e l'uomo dagli occhiali viventi su un corpo anestetizzato ma legale non si accorse di nulla proprio come Enrico.
In fondo e chissà per quali motivi il giudice e l'accusato erano privi di anima e presenza consapevole.
Per Arturo quei due forse erano fratelli ma adottati da famiglie diverse.
Riflettè sulle stranezze del mondo e si accomodò godendo sempre più dello spettacolo della legge in movimento.
Ines raccolse vari fogli e si preparò alla arringa finale.
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alfredomedici · 3 years
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PAGINA 64
Erano le 8.15 del 12 gennaio.
L aria fredda e mattutina quasi commuoveva Arturo che come in un deja-vu si ritrovò improvvisamente in quegli istanti vissuti davanti al portone della scuola elementare "N. Parisi".
Era l'ingresso del tribunale.
Ed invece del bidello stavano lì una guardia giurata e un metal-detector a decidere l'ingresso nel tempio della legge.
Spicciato il riconoscimento si portò verso l'aula 17 del secondo piano, sezione penale.
Il tribunale non era quello dei film americani: ordinati e scenograficamente solenni, con il giudice poco sorridente messo sul trespolo più alto.
Quel tribunale era un luogo affollato da gente incravattata e con borse di pelle usurata, vociante e un po sguaiata come in un mercato rionale senza gli odori della frutta.
Il tempio della legalità non aveva nulla della sacralità dei tempi religiosi dove la croce domina lo spazio e i santi ti guardano con severa dolcezza.
Arturo si trovò un po smarrito tra i tanti avvocati e avvocate con giacche blu o marroni i maschi e tacchi e tailleur le femmine.
Finalmente individuò Ines fuori dall'aula 17 insieme con la segretaria.
Si sentì risollevato e un po' meno fuori posto.
Ines gli sorrise con quello sguardo che lui ricordava: quello dolce e accogliente.
Scoprì che nell'aria, tra loro, non c'era voglia di battaglia.
Forse le capacità dialettiche Ines le stava conservando per il processo.
Finamente entrarono nell'aula e vi trovarono un signore occhialuto al di là di una scrivania e, seduto ad un banco, Enrico con il vestito gessato da gangster marsigliese.
Arturo trovò il suo paziente ingrassato ma perfettamente sbarbato e ripulito e considerò che forse il carcere non doveva essere un luogo così infernale.
Il giudice occhialuto con voce annoiata lesse un papiello di fatti punteggiati da articoli e articoletti.
Arturo sentì il suo corpo trasformarsi in una pellicola Kodak a colori e quell'estraneamento alla situazione lo resero spettatore di un film giallo all'italiana.
Dopo questa introduzione Ines prese la parola e con voce sicura propose al signore della legge in terra di ascoltare il "perito di parte" il dottor Arturo.
Arrivò cosi il momento dell'interrogazione che in un tribunale diventava interrogatorio.
《Dottore ci dica quali elementi psicologici e psichiatrici ha verificato e riscontrato circa la personalità dell'imputato》fu l'esordio degli occhiali fatti prima uomo e poi giudice.
《Il sig. Riccio è affetto da disturbo borderline con manifestazioni psicotiche di tipo paranoide, ad eziologia verosimilmente correlata all' abuso e alla dipendenza da sostanze tossiche. È stato mio paziente per vari anni e posso confermare la strutturale tendenza narcisistica a ideazioni megalomaniche. All'immaturità affettiva è associata la tendenza a deliri di tipo mistico: il sig. Riccio frequentemente dialoga a con P.Pio ricevendo dal santo indicazioni per una vita più sana e regolare》.
Quest'ultima affermazione mosse il sorriso degli astanti eccetto del giudice miope.
Tornato al banco Ines gli cercò la mano e velocemente gliela strinse in segno di approvazione.
Affettuosa approvazione.
Il processo procedeva e il film stava prendendo un ritmo piacevole.
Enrico guardò inebetito Arturo, mentre Ines sottovoce gli diceva:《 Tutto bene, Enrì, il dottore è andato bene》.
Arturo si distese, allungò le gambe e senti di amare tutti i presenti ma Ines di più.
Arturo si sentì contento come quel trenta preso all'esame di psichiatria a Napoli quando recitava da studente in medicina.
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