Tumgik
alessiacamera · 5 years
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Roberto Fontanella: l'Alchimia nel nuovo millennio
Roberto Fontanella: l’Alchimia nel nuovo millennio
Filosofi e alchimisti in ascolto ne abbiamo? Ma anche appassionati di Fullmetal Alchemist, fan del mondo magico di Harry Potter e lettori accaniti, da Coelho a Yourcenar…
A tutti voi, e a tutti i simpatizzanti per il mistero che circonda la pietra filosofale e l’elisir di lunga vita, vorrei chiedere: a cosa serve l’Alchimia oggi?
Per scoprirlo vi invitiamo alla mostra Roberto Fontanella.…
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alessiacamera · 5 years
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Alessandro Zaffonato: fotografia digitale e approccio analogico in amore della natura (intervista)
Alessandro Zaffonato: fotografia digitale e approccio analogico in amore della natura (intervista)
Cari vicentini (e non), alzi la mano chi ha visto la mostra Return to Nature del fotografo Alessandro Zaffonato esposta da Spazio Nadir!
Non ce l’avete fatta?
Niente paura: la prossima tappa del tour espositivo sarà nientemeno che a Roma, dal 9 al 22 marzo presso HÉCO, in occasione del Mese della fotografia.
(more…)
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alessiacamera · 5 years
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ART BAG: opere d'arte moltiplicata e divertimento condiviso da Spazio Rizzato!
ART BAG: opere d’arte moltiplicata e divertimento condiviso da Spazio Rizzato!
Amici, avete già visto la novità?
Stasera si inaugura una nuova mostra da Spazio Rizzato (Marano Vicentino) per condividere un progetto editoriale che pone il divertimento alla base di una collezione d’arte contemporanea!
ART BAG | Collezionare Arte divertendosi sarà visitabile a partire dalle 20.30 di venerdì 22 febbraio e fino al prossimo 16 marzo 2019.
Vi aspettiamo!
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leggi il comu…
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alessiacamera · 5 years
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Ecco il primo articolo del 2019, sempre all’insegna dell’arte contemporanea nel territorio vicentino!
Vi ricordate Fabio Refosco, artista di riferimento per la tappa vicentina di Suitcase Project allo Spazio Rizzato di Marano Vicentino?
Qui le info sul progetto: Suitcase Project: una mostra itinerante da Spazio Rizzato e qui la cronaca della presentazione: Invito al viaggio: Suitcase Project va in scena da Spazio Rizzato
Ora ve lo presento attraverso la sua ricerca artistica e qualche domanda!
Fabio Refosco
Fabio Refosco (1968) vive e lavora a Trissino, in provincia di Vicenza. Si forma da autodidatta qualche tempo dopo la maturità, iniziando un percorso graduale che lo porta a sperimentare diverse tecniche pittoriche e svariati materiali.
Matura così una certa consapevolezza dell’aspetto più pratico legato alla ricerca del fare arte, fino a trovare, a metà degli anni 2000, i medium prediletti nella carta e nell’inchiostro, sottesi a tutti i processi creativi del suo fare gestuale.
Lavora le materie prime con resine e componenti chimiche per ottenere la resa di volta in volta desiderata e manipola le stesse con il supporto di attrezzi non tradizionali, quali corde, lastre, anelli per bolle di sapone… sottoponendole a contaminazioni continue con altri materiali (cemento, acciaio specchiante, plexiglass) e strumenti (video, lightbox), in un mix equilibrato di causa, effetto e casualità.
Ritratto di Fabio Refosco
Intervista all’artista
1. Alice Traforti: Caro Fabio, nel tuo studio è disponibile una vasta gamma, anche se quasi esclusivamente in bianco e nero, di segni lasciati da graffi, cordate, pressioni, soffi, schizzi di inchiostro su carte particolari che danno il via a un processo di genesi parzialmente incanalato verso determinate direzioni creative. Come e quando sei passato da un fare figurativo a uno esplicitamente gestuale, anche se non del tutto casuale?
Fabio Refosco: Penso ci siano vari fattori che mi hanno portato a cambiare “direzione” dai primi lavori in cui usavo il colore puro creando le città sospese, campiture delimitate da contorni neri in una sorta di griglia geometrica con raffigurati castelli, città e costruzioni che però, nel corso degli anni, sono andate via via scomparendo, fino a sintetizzare sempre di più.
Avevo la necessità di trovare un mio linguaggio. Ho sempre cercato di lavorare con le mie sensazioni, scavando nel mio inconscio, e dopo un’accurata ricerca ho trovato nella carta come supporto un ottimo materiale.
La mia sensibilità è sempre in bilico tra “controllato” e “incontrollabile”, sperimento così equilibri sempre nuovi tra acqua (elemento vitale) e pigmento (materia).
Griglia, 2017
Griglia, 2017 – dettaglio
2. Alice Traforti: Questi diversi atti generativi danno origine a tante microrealtà, ciascuna con una propria precisa morfologia interna che tu, spesso, osservi da vicino con una lente di ingrandimento, tentando di individuare la formazione, in termini di causa ed effetto, di ciascun elemento compositivo, proiettandolo verso nuovi lidi immaginativi. Che effetto fa guardare il mondo – uno qualsiasi dei tuoi microcosmi – dal punto di vista della creazione?
Fabio Refosco: Mi sento come un ricercatore che guarda un vetrino attraverso il microscopio, cogliendo anche il più piccolo segnale di vita. Per esempio, srotolando i “tappeti” sento sempre nuove emozioni e, in questo magma nero, osservo embrioni di vita ed elementi biologici che si moltiplicano.
Nei frammenti, invece, lavoro su dei grandi fogli e, con l’aiuto di un piccolo vetro, cerco solo un piccolo particolare che poi ingrandisco di 100 volte e proietto su una parete.
L’azione della scelta è fondamentale perché è come creare un micro mondo e solo quello: il resto viene stracciato.
Cemento, 2018
3. Alice Traforti: Vuoi parlarci del progetto Horizon esposto per la mostra itinerante Suitcase Project – l’arte viaggia in valigia?
Fabio Refosco: Per questo progetto ho voluto portare la serie Horizon, delle piccole opere su carta con l’incontro tra il pigmento, l’acqua e la resina. Ho dato vita a questi orizzonti che mi ricordano molto i paesaggi della Pianura Padana, piccoli segmenti della linea di confine tra terra e cielo.
Racconto di un viaggio, il viaggio che faccio da passeggero, in auto, dopo un grave incidente. Sono costretto a lunghi viaggi tra un ospedale e l’altro, e osservo il paesaggio che corre ai bordi dell’autostrada, i campi, gli alberi, la nebbia, il cielo. È un lavoro poetico, con piccoli messaggi scelti che ti costringono a fermarti ed entrare nel “piccolo” per immaginare il “grande”.
Horizon, 2011
4. Alice Traforti: Infine, “dove ti porterà questo viaggio”?
Fabio Refosco: Il viaggio per ora mi porterà in giro per l’Italia con altre 7 tappe della mostra. Il bagaglio che mi porto è sicuramente più ricco, soprattutto grazie ai compagni di viaggio che ho avuto finora.
È stato molto stimolante lavorare allo Spazio Rizzato, con Gabriele Cavedon e Alice Traforti abbiamo trovato insieme una sinergia che ha dato vita non a una mostra statica, ma a una straordinaria esperienza.
Fabio Refosco nello studio – Tappeto, 2013
La prossima tappa di Suitcase Project sarà questo sabato 19 gennaio alle 18.00 in quel di Venezia!
Qui tutte le info: evento Facebook
Fabio Refosco tra gesto controllato e incontrollabile certezza Ecco il primo articolo del 2019, sempre all'insegna dell'arte contemporanea nel territorio vicentino! Vi ricordate Fabio Refosco…
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alessiacamera · 5 years
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Invito al viaggio: Suitcase Project va in scena da Spazio Rizzato
Invito al viaggio: Suitcase Project va in scena da Spazio Rizzato
Questo articolo è per tutti coloro che, per mille motivi diversi, non sono riusciti ad assistere alla presentazione di Suitcase Project da Spazio Rizzato.
Ci avete chiesto foto, video, dettagli… ed ecco un resoconto di quello che è successo per voi, e per i tanti che hanno partecipato!  (more…)
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alessiacamera · 5 years
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Suitcase Project: una mostra itinerante da Spazio Rizzato
Suitcase Project: una mostra itinerante da Spazio Rizzato
Cari amici dell’arte, eccoci! Siamo tornati con un invito a un nuovo evento.
Non ce ne siamo mai andati, in verità. Siamo rimasti immersi nelle nostre attività, reduci da qualche mostra e dal Be_Art Festival che ha invaso la città di Vicenza a metà ottobre. Più semplicemente, come disse Patty Pravo a Pippo Baudo: “Sono stata dal parrucchiere”.
https://tenor.com/view/pattypravo-gif-11014406
  Ma…
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alessiacamera · 6 years
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Tutti pronti per l’ultima tappa esplosiva di It Is Too Late. It Is Happening. It Is Performance Art?
Dopo essere stati spettatori di teatro contemporaneo e protagonisti di azioni performative, saremo insieme co-autori e utilizzeremo la tecnologia digitale.
Se ve li siete persi, potete rivedere il percorso e la presentazione della rassegna dedicata alle arti performative, ma non riviverne le tappe perché le performance sono eventi unici e irripetibili in quanto tali.
Oggi vi presento la performer Paola Michela Mineo, protagonista dell’ultimo appuntamento che si svolgerà questo sabato 23 giugno, sempre da Spazio Rizzato a Marano Vicentino.
Vi aspetto tutti lì!
Paola Michela Mineo
Paola Michela Mineo vive e lavora tra Milano e Pietrasanta.
Laureata in Architettura tra il Politecnico di Milano e quello di Atene, reinterpreta il concetto di calco dal vero, trasformandolo da semplice strumento di copia anatomica a vero e proprio ritratto di identità personali e relazionali.
Il tema del frammento archeologico si radica negli anni greci, rimanendo fino ad oggi caposaldo di un linguaggio interdisciplinare che spazia dalla performance art alla fotografia, dalla pura scultura alle installazioni.
Interagendo fisicamente col pubblico coinvolto in micro-azioni, compie un ulteriore passaggio relazionale in cui il soggetto/oggetto ritratto, anziché essere un mero manufatto estetico, diviene un vero e proprio dispositivo empatico per una storia di identità.
Paola Michela Mineo estrae la bellezza anche dove sembra non esserci.
sito web dell’artista: www.paolamichelamineo.com
Ritratto di Paola Michela Mineo
Intervista all’artista
1. Alice Traforti: La tua ricerca artistica è fondata sul ritratto attraverso la scultura. Crei calchi in gesso della figura umana, andando a individuare la parte più rappresentativa e intimamente connessa a ciascun soggetto che rappresenti, o che si autorappresenta sotto la tua guida. Perchè allora la performance?
Paola Michela Mineo: Non ho mai trattato il calco dal vero in maniera ordinaria, e cioè come tecnica di riproduzione finalizzata alla copia dal suo negativo.
Fin dal primo calco, nel 1998, mi sono resa conto che l’azione che compivo col mio corpo sul corpo dell’altra persona mi permetteva di “sondare i meandri relazionali”, come diceva Marco Testa del mio lavoro; mi dava l’occasione di uscire dall’ordinaria comunicazione tra ritrattista e ritratto.
E quindi che cos’è l’intento di un’artista, in uno spazio e in un tempo definito, con almeno due corpi che si relazionano senza un copione predefinito? Una performance.
È il linguaggio che ancora oggi è indispensabile al mio lavoro, soprattutto quando ritraggo realtà complesse; la fotografia, l’audio, il video, le installazioni arrivano quando ho molto da dire e sono emerse solo 7/8 anni fa rispetto alla mia ricerca.
L’intenzione e l’azione, i corpi e la relazione che si genera sono indispensabili e tutti diversi: per questo anche la liturgia che applico durante la performance è un punto fermo che crea il “campo” adatto all’empatia.
2. AT: Nel dicembre 2016 hai fondato insieme a Francesca Fini una social TV fruibile esclusivamente attraverso le dirette facebook. Vuoi parlarci di Performance Art TV e dei presupposti su cui si fonda?
PMM: Stavamo facendo un lavoro insieme: con Francesca Fini c’è un feeling particolare, lo definirei filosoficamente efficiente… ci piace pensare ma di più “fare”. È un po’ utopico fare tutto quello che ci salta in mente, ma PERFORMANCE ART TV è tra le cose davvero ben riuscite.
Stavamo riflettendo sul cambiamento sociale rispetto al web e i social network e abbiamo scoperto di aver pensato entrambe a cosa sarebbe successo se il pubblico, parte integrante dell’azione (dell’opera) nella performance art, fosse stato digitale.
Era tardissimo. Avevamo finito di girare un lavoro ed eravamo esauste: ci siamo guardate e ci siamo dette “lo facciamo?” “Andata” “Buonanotte”… e la mattina abbiamo creato il logo e cominciato il primo brainstorming, che per altro è stato pubblicato qualche mese dopo, quando abbiamo aperto il canale. Ci sembrava giusto mandare in diretta le nostre intenzioni, sempre live, senza censure e senza troppe manie di perfezione: sperimentare vuol dire provare… e molto spesso oggi manca proprio la perfezione di quell’avanguardia che “prova a fare”.
Ascoltateci qui: https://www.facebook.com/performancearttv/videos/436826433336820/
3. AT: In occasione della rassegna “It Is Performance Art” curata da Spazio Rizzato a Marano Vicentino, proporrai la rivisitazione di “Sudario”, performance che hai eseguito per la prima volta nel 2012. Qual è il valore aggiunto nella proposta del 2018?
PMM: La video performance è stata rivisitata nell’ottica di un pubblico che potrà interagire esprimendo le sensazioni che le immagini dell’azione evocheranno.
Spazio Rizzato, che in maniera molto innovativa si sta impegnando per diffondere il significato della performing art, mi ha spinto oltre: avremo il pubblico mischiato. Reale e virtuale.
In galleria verrà trasmessa la diretta della performance, e le persone fisiche potranno scrivere i loro pensieri che verranno poi digitati sulla diretta facebook.
Gli audaci tecnologici potranno guardarla dai propri smartphone e commentare direttamente, come fará il pubblico digitale.
Una voce, senza censura, mi leggerà i commenti mentre performo … e sarà interessante vedere anche le mie reazioni… o non reazioni. Sarà potente. Non vedo l’ora.
Evento finale: Spazio Rizzato, Marano Vicentino
sabato 23 giugno alle ore 18:30 SUDARIO, di e con Paola Michela Mineo in collaborazione con Performance Art TV – http://www.performancearttv.com
La performance verrà trasmessa online in diretta allo Spazio Rizzato di fronte ad un pubblico reale: lo spettatore, nella sua duplice natura reale/virtuale, sarà invitato a partecipare esprimendo i pensieri che verranno sollecitati dalla visione della performance. I commenti liberamente scritti verranno letti in diretta, creando una sorta di “reading digitale” di emozioni suscitate dall’azione performativa, in grado di ribaltare poeticamente il senso stesso dell’uso dei dispositivi digitali come filtro attraverso cui osserviamo la realtà.
Visualizza il comunicato stampa: Its too late. It is happening. It is Performance Art.
Dove: Spazio Rizzato, piazza Silva 65, 36035 Marano Vicentino (VI) – con accesso dall’ingresso principale di Ottica Rizzato Contatti: 0445 623323 – [email protected] sito web: www.otticarizzato.com/it-is-too-late-it-is-happening-it-is-performance-art
Con il patrocinio del Comune di Marano Vicentino – http://www.comune.marano.vi.it
Siateci! Alice
Paola Michela Mineo: performance come identità Tutti pronti per l'ultima tappa esplosiva di It Is Too Late. It Is Happening. It Is Performance Art…
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alessiacamera · 6 years
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I primi due appuntamenti di Its too late. It is happening. It is Performance Art.  – la rassegna dedicata a esplorare le arti performative presso Spazio Rizzato a Marano Vicentino (VI) – sono andati!
  In “Non è più tempo per le Barbie” l’attrice Giovanna Bartolotta, accompagnata live dal musicista Michele Iuso, ha presentato un intenso monologo danzato e cantato, rivelando tutte le sue voci interiori trascurate nel tempo.
Qui il pubblico, astante e attento, si è connesso intimamente alle esperienze universali messe in scena all’interno di un unico spazio condiviso tra attori e spettatori, senza la separazione tra palco e platea, tipica del teatro.
  Anche durante l’evento “Insieme: costruire comunità” non c’è stata distinzione tra attore e pubblico.
Una proposta di azione collettiva ha messo tutti i partecipanti sullo stesso piano, ciascuno con un piccolo, ma importante, ruolo di protagonista teso a creare un legame fra le persone.
  Oggi vorrei parlarvi ancora di Performance Art.
Non sono una storica specializzata in materia, ma posso fornire un contesto e qualche mia riflessione.
  Cos’è la Performance Art
Marina Abramovic è attiva dagli anni ’60 e si autodefinisce come “nonna della Performance Art”. Per lei la performance è un evento artistico: una costruzione mentale e fisica che l’artista realizza in un tempo e in uno spazio specifico di fronte a un pubblico. Favorendo il dialogo con l’energia che si crea, il pubblico e l’interprete realizzano la performance insieme.
La performance dunque è l’azione di un corpo posto in relazione, è l’artista che si proietta verso un pubblico.
Tale evento può essere dettato da improvvisazione oppure svolgersi secondo un rituale con diversi gradi di programmazione e di co-partecipazione.
Il pubblico può partecipare in maniera più o meno consapevole ed essere coinvolto più o meno attivamente.
Durante una performance, non assistiamo a un monologo senza possibilità di comunicazione reale con il creatore dell’opera, ma piuttosto a un dialogo focalizzato proprio sull’interazione che pone artista e pubblico sullo stesso piano, mescolando a volte i confini dell’uno e dell’altro ruolo.
Anche i linguaggi sono mescolati.
In un unico flusso creativo possiamo incontrare teatro, danza, musica, poesia… che implicano ogni volta un approccio diverso nei confronti del pubblico.
Insomma, c’è davvero ampio margine per tutto.
L’unico limite che vedo io è quello che viene continuamente superato, esplorato ancora un po’ più in là.
Hic et nunc
La performance viene definita come un evento di natura effimera, “hic et nunc”, che dura nel tempo di un qui e adesso, non del tutto prevedibile e perciò irripetibile nella sua unicità.
A mio avviso, invece, ha anche degli effetti concreti che si materializzano nelle conseguenze che ogni persona sa trarre, applicando nel proprio vissuto quotidiano la traccia che l’esperienza relazionale ha inciso in ciascun partecipante.
Tutta l’arte contemporanea produce cambiamenti nella vita delle persone.
Nomi e momenti della Performance Art
Niente lezioni di storia, solo qualche link.
Per partire da un’idea chiara e supportata da esempi: https://lezionidartecontemporanea.wordpress.com/2016/01/10/cosa-e-la-performance/
Qui trovi riferimenti storiografici su nascita e sviluppo: https://www.damianofina.it/breve-storia-della-performance-nel-xx-secolo/
Infine, un approccio critico che ho apprezzato molto: http://www.artribune.com/arti-performative/2017/11/performance-arte-contemporanea/
  Prossimi eventi: Spazio Rizzato, Marano Vicentino
sabato 16 giugno alle ore 18:30 ESPERIMENTO DI CONTATTO VISIVO
in collaborazione con Ottica Rizzato – http://www.otticarizzato.com
I partecipanti condivideranno un piccolo minuto delle proprie vite in un dialogo fatto di sguardi silenziosi, concentrandosi sul libero fluire delle emozioni che ne derivano. L’esperienza non è fine a se stessa, ma vuole essere uno stimolo affinché ognuno possa integrare il prossimo nella propria vita, attraverso una comunicazione non verbale che si fa portatrice di un messaggio di pace verso il mondo.
sabato 23 giugno alle ore 18:30 SUDARIO
di e con Paola Michela Mineo in collaborazione con Performance Art TV – http://www.performancearttv.com
La performance verrà trasmessa online in diretta allo Spazio Rizzato di fronte ad un pubblico reale: lo spettatore, nella sua duplice natura reale/virtuale, sarà invitato a partecipare esprimendo i pensieri che verranno sollecitati dalla visione della performance. I commenti liberamente scritti verranno letti in diretta, creando una sorta di “reading digitale” di emozioni suscitate dall’azione performativa, in grado di ribaltare poeticamente il senso stesso dell’uso dei dispositivi digitali come filtro attraverso cui osserviamo la realtà.
Informazioni
Dove: Spazio Rizzato, piazza Silva 65, 36035 Marano Vicentino (VI) – con accesso dall’ingresso principale di Ottica Rizzato Contatti: 0445 623323 – [email protected] sito web: www.otticarizzato.com/it-is-too-late-it-is-happening-it-is-performance-art
Con il patrocinio del Comune di Marano Vicentino – http://www.comune.marano.vi.it
Visualizza il comunicato stampa: Its too late. It is happening. It is Performance Art.
Che cos’è la Performance Art? I primi due appuntamenti di Its too late. It is happening. It is Performance Art.  - la rassegna dedicata a esplorare le arti performative presso Spazio Rizzato a Marano Vicentino (VI) - sono andati!
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alessiacamera · 6 years
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It is Performance Art: 4 appuntamenti da Spazio Rizzato
It is Performance Art: 4 appuntamenti da Spazio Rizzato
Cari amici dell’arte, sono di nuovo qui con voi con un progetto super interessante!
Vado dritta al dunque: voi, artisti e non artisti, che rapporto avete con la Performance Art?
Se vi piace, ma anche se non la capite sempre (come succede a me), abbiamo l’evento che fa per voi.
IT IS TOO LATE. IT IS HAPPENING. IT IS PERFORMANCE ART. ATTENZIONE: prenderai parte all’evento; simultaneamente sarai una…
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alessiacamera · 6 years
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Cari amici, senza tanti giri di parole, oggi vi presento l’artista Joseph Rossi.
Correte a vedere le sue opere esposte per Lato B | un altro genere di storia, in mostra ogni giorno fino al 30 dicembre da Spazio Rizzato a Marano Vicentino.
La settimana scorsa vi ho parlato di Elisabetta Roncoroni, ora conosciamo insieme Joseph Rossi in questa intervista.
Tutti pronti?
  Joseph Rossi: Lato B ed essenza
1. Alice Traforti: Sei un artista poliedrico. Qui in mostra vediamo scritte al neon e pannelli metallici, ma hai lavorato anche con video-frame, fotografia, sculture di tutti i materiali. Come avviene la scelta della tecnica con cui poi vai ad esprimere un concetto?
Joseph Rossi: La tecnica è il mezzo attraverso cui l’idea si realizza. È il linguaggio grazie al quale la comunicazione diventa possibile, permettendo la condivisione dell’idea. Messaggi diversi mi inducono a considerare tecniche espressive diverse. La tecnica è indissolubilmente legata all’idea che voglio esprimere.
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2. AT: In molte tue opere troviamo la presenza di parole significanti, ma anche di lettere come segni, come una specie di lettura di simboli essenziali. Spesso c’è dell’ironia che accompagna queste lettere, quasi fossero spunti di riflessione, messaggi da decodificare attraverso un proprio vocabolario interiore che attinge da uno più universalmente riconosciuto. Qual è il trait d’union?
JR: È la ricerca dell’essenza il denominatore comune a molti miei lavori.
Lavoro sul simbolo, nel senso più ampio del termine, perché trovo che tutto sia simbolo di qualcos’altro. Ci sono simboli oramai decodificati e, proprio per questo, privi della loro forza evocativa. Il simbolo non ha valore informativo quanto piuttosto evocativo.
È proprio del simbolo apparire criptico, a volte difficilmente interpretabile, altre impenetrabile, appunto perché è esso l’anello di congiunzione tra il mondo sensibile e quello sovrasensibile. “Al di là del reale c’è il meglio”. Si presenta come linguaggio iniziatico e a poco serve la razionalità poiché è proprio questa a limitarne la comprensione.
A volte al simbolo preferisco l’allegoria perché questa, invece, richiede una razionalizzazione per essere interpretata, perciò di più comune accesso.
Simbolo e allegoria vengono rappresentati attraverso alcune delle infinite possibilità espressive. Qui i materiali, i colori o la luce entrano in gioco con la loro forza espressiva rendendo curiosi, seduttivi, esteticamente gradevoli o desiderabili i pezzi realizzati. Questo, a volte, permette un reale avvicinamento tra opere e visitatori, nonostante la forza o la violenza celata nei messaggi che esse portano.
Affronto spesso tematiche forti per penetrare forme di autismo intellettuale molto diffuse. Stempero e addolcisco tutto questo attraverso rappresentazioni a volte ironiche per renderle accessibili anche ad una interpretazione superficiale.
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3. AT: In Lato B | un altro genere di storia presenti due installazioni di luce e colore. In ciascuna di esse vengono raffigurate la vita e la morte insieme, in un ciclo continuo, dove però la morte rappresentata non è il naturale corso della vita, bensì un accadimento forzato. Come sono nate queste riflessioni?
JR: L’uomo comune contempla il mondo in modo duale.
Vita e morte sono le due facce della stessa medaglia. Una non esiste senza l’altra. La nostra esistenza è lo spazio che separa le due.
“Supercelestial” è una raccolta di dittici (qui in mostra c’è B. Bhutto, ma la serie è molto articolata). Il primo pezzo rappresenta la nascita, dove il colore è rappresentazione della scintilla divina che ha illuminato la straordinaria vita dei personaggi ritratti. Vite brevi, degne di essere vissute. Il secondo pannello rappresenta l’altro limite: la morte. Si tratta quasi sempre di assassinii. Una morte inflitta violentemente che, ponendo fine alla loro esistenza, li consacra al mito rendendoli immortali. Gli eroi muoiono sempre giovani.
I pezzi della serie “neON neOFF” sono anch’essi delle lapidi commemorative poste a memoria delle troppe donne vittime della violenza.
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4. AT: Con il Pantone di B. Bhutto si sovrappone un ulteriore livello di lettura che sfocia nella sfera politica e pubblica. L’opera appartiene infatti a un ciclo dedicato a personalità leader dell’era contemporanea cui viene associato un linguaggio universalmente riconosciuto, quello del colore. Stiamo sempre parlando di simboli e di essenziale?
JR: In questo caso è il colore stesso che diventa simbolo. Dopo averne preso visione, la percezione dei colori sarà cambiata: quando si guarderà un rosa non sarà più il colore di un fiore, ma sarà il rosa Bhutto e così per gli altri colori, il bianco sarà bianco Gandhi e così via.
Ghandi 1869_1948
Malcom X 1925_1965
5. AT: Sei grafico di professione. Quanto influisce il tuo lavoro con la tua ricerca artistica?
JR: Non c’è distinzione. Una parte nutre l’altra, e viceversa. Diverse sono le tematiche e le finalità, ma il processo creativo è comune. A volte il mio lavoro artistico nasce come pensiero laterale, o censurato, nelle ricerche per il mio lavoro professionale.
6. AT: Infine, hai qualche nuovo progetto che vuoi condividere con noi?
JR: Nel prossimo progetto avvicinerò un tema a me caro: l’infanzia. L’infanzia vera, dei bambini, ma anche l’infanzia rubata.
Identikit dell’artista
Joseph Rossi, 1959 – Thiene (VI)
artista e grafico
Joseph Rossi: Lato B e ricerca dell’essenza Cari amici, senza tanti giri di parole, oggi vi presento l'artista Joseph Rossi. Correte a vedere le sue opere esposte per…
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alessiacamera · 6 years
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Vi ricordate della mostra Lato B | un altro genere di storia ?
Si tratta di un progetto espositivo nato per sensibilizzare sul tema della violenza sulle donne attraverso le opere di due artisti del posto, un uomo e una donna, diversi per mezzi espressivi, età, poetica e ricerca.
Se ve lo siete perso potete recuperarne un pezzo nell’ultimo articolo, dove vi ho raccontato la genesi del concept espositivo: Lato B | un altro genere di storia: una mostra allo Spazio Rizzato.
Ecco qui il comunicato stampa, completo di link di approfondimento alle foto della mostra e al catalogo digitale.
Ovviamente potete (dovete!) andare a vedere la mostra di persona:
fino al 30 dicembre 2017 da Spazio Rizzato (Marano Vicentino – VI)
E ora veniamo a noi: vi avevo promesso fior fiore di interviste con gli artisti, e io mantengo sempre le promesse.
Oggi vi presento Elisabetta Roncoroni, il Lato B della fotografia.
  Elisabetta Roncoroni: il Lato B della fotografia
1. Alice Traforti: Ti sei avvicinata alla fotografia fin da piccola, prima paesaggi e architetture, poi ritratti. Come è avvenuta questa svolta nei soggetti delle tue inquadrature?
Elisabetta Roncoroni: Ho sempre sfogliato riviste di moda come Vogue, Elle e libri di grandi fotografi con invidia. Sognavo anch’io di essere in grado di ritrarre una persona e di immortalarla per sempre con un click, proprio come sapevano fare quei grandi fotografi tipo Herbert List, Richard Avedon… Parallelamente, vista la mia grande passione per la storia dell’arte, ho sempre avuto un occhio di riguardo anche per i dipinti preraffaelliti o del secessionismo viennese, che racchiudono qualcosa di speciale dietro ogni volto o corpo femminile.
Poi ho avuto la fortuna di incontrare Nicola (il fotografo Nicola Giovanni Ciscato – ndr) che, a differenza di tanti che si sforzavano a dirmi un “bello” poco sincero, ha creduto in me sin dal principio. Lui mi ha incoraggiata suggerendomi di provare a cambiare i soggetti della mia fotografia, di “buttarmi” su qualche ritratto, senza aver paura di sbagliare.
Così, nel settembre del 2015, ho fotografato per la prima volta una mia carissima amica e da lì tutto è iniziato come un vortice e, una foto dopo l’altra, ho imparato e “aggiustato il tiro” da me, da autodidatta.
  2. AT: La tua è una tecnica in controtendenza: nell’era del digitale, tu scatti in modalità analogica. Quali sono le differenze a livello di preparazione dello scatto e di resa finale, ma anche in fase di approccio? Io credo che ci sia anche un grado di coinvolgimento diverso, non solo tecnico, ma fisico e psicologico.
ER: La fase di approccio è sempre tragica. Bisogna decidere con che rullino scattare. Scaduto o no? Se è scaduto, sarà stato conservato bene o sarà virato verso qualche colore in particolare? Adoro andare a caccia di rullini scaduti nei vari mercatini e vedere che cosa ne verrà fuori. Dedico molto tempo anche alla ricerca online di qualsiasi informazione utile a capire cosa hanno ottenuto altri fotografi con i diversi tipi di pellicola.
Il coinvolgimento è completamente diverso. In primis: si sarà agganciato il rullino? Ho buttato via diversi rullini e diversi progetti sono stati rimandati per questo motivo… Foto completamente bruciate o nere? È successo anche questo.
Per diverso tempo ho utilizzato una Ricoh 35 zf del 1976 con l’esposimetro rotto, quindi impostavo la macchina in maniera casuale, ma ragionando secondo il mio intuito, oserei dire in modo sperimentale. La soddisfazione di vedere che le foto venivano comunque come me le ero immaginate, era davvero immensa.
Lo stress in realtà è tangibile quando scatto in analogico. Non voglio lasciare nulla al caso. Io so che per un progetto ho un rullino (raramente due) da 36 pose. Gli scatti vengono pensati al momento, come le pose. Ho la fortuna di aver sempre collaborato con persone con cui ero molto in sintonia e con cui si è subito creato un legame che fa sì che in quell’ora di shooting tutto sia molto naturale e rilassato. Odio le pose predefinite. Non amo che la modella guardi in camera, anzi, ogni tanto vorrei che si potesse dimenticare della mia presenza e che interpretasse la sua parte (come quando da bambine si giocava allo specchio, per intenderci). Amo le cose fatte razionalmente, ma comunque di getto. Sono più spontanee e naturali ed è esattamente ciò che cerco per le mie foto.
Oggi i fotografi utilizzano fin troppo gli apparecchi digitali e possono scattare migliaia di foto, scegliendone magari solo un paio, le più azzeccate. Per me, la magia della fotografia analogica sta proprio in questo allontanarsi dalla facilità del digitale e nel non utilizzare programmi come Photoshop (che io detesto) per modificare la foto o, peggio, la persona che è stata ritratta.
Ecco perché la fotografia analogica, con le sue imperfezioni, la sua polvere e la ricerca del rullino perfetto, è ciò che davvero mi rappresenta.
3. AT: Parliamo ora del progetto inedito Peaux, presentato per la prima volta nella mostra Lato B | un altro genere di storia, presso Spazio Rizzato. Nasce da un episodio particolare, una violenza subita come violazione della libertà di espressione: una censura sui social. Da lì ha preso avvio tutto un processo di consapevolezza, che probabilmente giaceva da tempo latente. Vuoi raccontarci tutto per bene?
ER: Lo scorso aprile 2017 ho avuto la possibilità di fare le mie prime foto di nudo integrale. Non ne avevo mai fatte prima. È stato tutto molto naturale, come doveva essere, e io ho candidamente pubblicato online una foto con un seno scoperto, dal momento che non c’era il viso della ragazza ritratta e la posa era molto naturale non mi sono posta alcun problema. Il capezzolo scoperto, a quanto pare, viola le linee guida di utilizzo di social network come Facebook o Instagram. Così è iniziata così la mia “battaglia” – un po’ alla Don Chisciotte, temo. Vedo ogni giorno servizi fotografici di dubbia qualità in cui le ragazze si fanno ritrarre mostrandosi, seppur coperte da micro indumenti, in atteggiamenti davvero poco equivocabili. Senza contare che ormai la pornografia è alla portata di chiunque abbia un qualsiasi device. Perché, a questo punto, vengono censurati siti, come Flickr o Instagram, nati appositamente per la fotografia?
Cosa c’è di sbagliato o scandaloso in un corpo femminile nudo? Ho sempre guardato con ammirazione i corpi dei dipinti del passato: la Venere di Urbino di Tiziano, le odalische di Ingres, le donne di Lautrec, le polinesiane di Gauguin. Una volta era normale ritrarre le donne in quella maniera. Ho avuto la fortuna di avere una mamma che si mostrava in casa senza problemi, senza nascondersi e senza nascondere le sue imperfezioni, e ho sempre creduto che è anche grazie a lei se ho portato a termine questo progetto.
  Non c’è nessun tabù in un seno nudo o in un gluteo, nemmeno nei fianchi di una donna. Se tutti riuscissero a vedere che le cose stanno effettivamente così, probabilmente tutta questa violenza sul corpo femminile non ci sarebbe, perché qualcuno si farebbe qualche scrupolo prima di massacrare e deturpare un corpo delicato e pieno di vita come quello femminile.
Ed ecco che è nato il progetto del 25 novembre, proprio contro la violenza sulle donne. Mostrare dei corpi scoperti per far vedere quanto il corpo femminile sia diverso e meraviglioso, nonostante le tante imperfezioni, che in realtà imperfezioni non sono, ma rappresentano proprio ciò che ci rende uniche rispetto alle altre.
E qui torna il discorso della fotografia analogica, che nelle sue imperfezioni rispecchia esattamente il messaggio che vorrei trasmettere.
4. AT: La fotografia è lo specchio dell’anima. In alcune leggende lontane, la fotografia è in grado persino di rubare l’anima dei soggetti che cattura. Questo è un po’ quello che hai fatto con le 14 donne che hai fotografato per Lato B. Sono molto curiosa riguardo al processo di messa a nudo di ciascuna personalità che hai incontrato. Vuoi parlarci un po’ di queste donne che ci hai fatto incontrare attraverso le immagini delle loro cicatrici, dei loro problemi, dei loro difetti?
ER: La prima cosa che faccio, quando si tratta di progetti collettivi, è chiedere alle mie amiche di posare per me. Nessuna di loro è perfetta, non sono alte 1.80 e nemmeno portano una 38. Nessuna di loro vuole fare la modella professionista. Solitamente evito di cercare persone che lo fanno di lavoro perché vorrei mostrare corpi di tutti i tipi: chi più alta, chi più bassa, chi più morbida… Solo alcune di loro avevano già posato per me, ma mai nude. Più di qualcuna mi aveva già detto in passato “io non mi spoglierò mai davanti alla macchina fotografica!” Ma, quando ho spiegato loro il progetto che avevo in mente, tutte si sono “spogliate” con una facilità disarmante. Mostrandomi le loro imperfezioni, le loro paure, le loro cicatrici e i loro tatuaggi: quei segni di momenti particolari che attraversiamo e superiamo nella nostra vita, decidendo di imprimerli per sempre nella nostra pelle.
  Malgrado all’inizio fossero titubanti, alla fine non hanno avuto problemi a mettersi a nudo davanti a me, anche se ad alcune il proprio corpo non piace, anche se alcuni dettagli fisici le fanno sentire “non belle” rispetto agli standard propinati ogni giorno dai mass media. Di questo sono stata davvero molto orgogliosa perché ho capito due cose: che le persone credono davvero nel mio lavoro e che ho la capacità di farle sentire belle. In giro si vedono fotografi che cercano modelle sempre più magre e sempre più uniformate. Chi penserebbe mai di mostrare una cicatrice di un fibroma rimosso, o una banale cicatrice sul braccio, o un seno non simmetrico e non pieno, per non parlare di smagliature o, più in generale, di un corpo che non è mai piaciuto a chi lo indossa ogni giorno? Per me è stato un onore immenso poterle ritrarre così, senza filtri e senza paure. Riguardando le foto tutte insieme, mi sento pienamente soddisfatta.
5. AT: In generale, quanto c’è della tua vita privata nei tuoi scatti?
ER: Questa domanda non è facile. Nessuno me l’aveva mai posta prima, nemmeno io ci avevo mai pensato. Non saprei esattamente come rispondere, quindi lo farò di getto e senza rileggere la risposta, probabilmente.
Non so bene cosa metto della mia vita privata nei miei scatti. Forse la curiosità e la necessità di conoscere la verità, andando sempre più a fondo rispetto alla semplice superficie.
Mi piace moltissimo osservare le persone, cercare le loro peculiarità e immaginarmi che storia potrebbero raccontare per me, attraverso le foto che ho intenzione di fare e la “parte” che interpreteranno quando poseranno per me. Qualcuno mi ha detto che la macchina fotografica è la mia “arma” perché dietro di essa mi sento al sicuro e dimostro sicurezza in ciò che sto facendo, visto che nella mia vita non è quasi mai stato così. Mille dubbi mi hanno sempre gravitato intorno, partendo dall’incertezza del mio corpo e arrivando a cose ben più semplici, sempre preoccupandomi fin troppo del giudizio altrui. Con la fotografia sto abbandonando, almeno un po’, questo aspetto di me. Non tanto perché molte persone che incontro sembrano apprezzare i miei scatti, quanto perché io apprezzo il mio lavoro. Malgrado ci sia ancora moltissimo da imparare, continuo a migliorare ad ogni sbaglio commesso, ad ogni mio errore…
Forse è proprio questo che metto nei miei scatti: la mia voglia di rivalsa e la necessità di mostrarci così come siamo, senza stereotipi e tabù.
6. AT: Infine, hai qualche nuovo progetto che vuoi condividere con noi?
ER: A breve avrò la possibilità di ritrarre alcune donne che partecipano ad un corso di italiano per donne straniere presso il Comune di Sarcedo. Poi ci sarà una mostra, ma non posso svelare di più. Ovviamente continuerò a ritrarre le donne nella loro bellezza e nelle loro imperfezioni… e poi chi lo sa?
Ritratto di Elisabetta Roncoroni
Identikit dell’artista
Elisabetta Roncoroni, 1994 Thiene (VI), fotografa
Visita il sito web dell’artista.
Elisabetta Roncoroni, il Lato B della fotografia: scatto perfetto e imperfezione analogica Vi ricordate della mostra Lato B | un altro genere di storia ? Si tratta di un progetto espositivo nato per sensibilizzare sul tema della violenza sulle donne attraverso le opere di due artisti del posto, un uomo e una donna, diversi per mezzi espressivi, età, poetica e ricerca.
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alessiacamera · 6 years
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Cari amici di Questa Non è Arte, sono tornata alla carica con una nuova mostra!
Lato B | un altro genere di storia con fotografie di Elisabetta Roncoroni e installazioni di Joseph Rossi
fino al 30 dicembre 2017 presso Spazio Rizzato in collaborazione con il Comune di Marano Vicentino
Immagino già che cosa starete pensando a proposito di lato b, ma non è affatto come sembra, anzi!
Si tratta di una mostra inaugurata il 25 novembre, proprio in occasione della giornata internazionale per fermare la violenza contro le donne, quindi non ha assolutamente niente a che vedere con quell’allusione comune a cui forse avete pensato.
Al contrario, in questo contesto Lato B non è solo una provocazione, ma è soprattutto un invito a non dare nulla per scontato, nemmeno le persone, di qualsiasi genere esse siano.
A me piace parlare tutto l’anno di dignità, uguaglianza e parità di diritti, non solo in un’unica giornata…
… così oggi ho deciso di raccontarvi tutto, a partire dal giorno in cui ho incontrato gli artisti per la prima volta, nell’ampio salone di Spazio Rizzato, che attendeva silenzioso di riempirsi delle loro opere.
da sinistra: l’artista Joseph Rossi, il curatore Alice Traforti, il sindaco di Marano Vicentino Marco Guzzonato, l’artista Elisabetta Roncoroni, il titolare di Spazio Rizzato Gabriele Cavedon
Abbiamo parlato molto, ci siamo conosciuti e ho visto le loro ricerche: opposte, antitetiche, non compatibili, eppure legate… ma da cosa? Mi sono fatta raccontare tutti i retroscena e li ho bombardati di domande su ogni minimo dettaglio e poi, mentre guidavo sulla via del ritorno, ho capito. La connessione era assai semplice e così lampante che non ero riuscita a coglierla immediatamente.
Tutte le opere esposte raccontano una e tante storie, a cui non serve aggiungere proprio niente, basta solo ascoltarle.
Sono storie diversissime e banali, storie di gioia e di sofferenza, storie di vite vissute di uomini e di donne.
Elisabetta Roncoroni ci mostra foto e dettagli di un’esistenza quotidiana, Joseph Rossi presenta le luci e i colori della vita e della sua negazione.
Sono storie del Lato B, quelle che dobbiamo imparare ad ascoltare senza dare per scontato il finale, perché l’uguaglianza inizia nell’ascolto dell’altro.
  Veduta della mostra Lato B | un altro genere di storia
Veduta della mostra Lato B | un altro genere di storia
Fotografie di Elisabetta Roncoroni
Opere di Joseph Rossi
  Fino al 30 dicembre 2017 potrete ascoltare tutte le storie del Lato B, accolti all’interno di Spazio Rizzato in quel di Marano Vicentino.
Ecco il link al comunicato stampa che contiene tutte le informazioni e un mio breve (e bellissimo!) testo di approfondimento.
Presto arriveranno anche le interviste agli artisti, perciò stay tuned.
Intanto buona visione!
  Lato B | un altro genere di storia: una mostra allo Spazio Rizzato Cari amici di Questa Non è Arte, sono tornata alla carica con una nuova mostra! Lato B | un altro genere di storia…
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alessiacamera · 7 years
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Interactive Art Festival - Liminal Boundaries
Interactive Art Festival – Liminal Boundaries
This is Not Art is proud to introduce the first Interactive Art Festival in London! Yes, you heard it, in LONDON!
LIMINAL BOUNDARIES is a one-day Interactive Art Festival in the heart of the arty South-East London hub. After many successful events in Italy, This is Not Art has landed in the UK, with the same concept and intention; the interaction with Art. The location is a massive and beautiful…
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alessiacamera · 7 years
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Giovanna Bartolotta - Non è più tempo per le Barbie
Giovanna Bartolotta – Non è più tempo per le Barbie
La mostra di Personal Relations si è conclusa ormai da qualche mese, ma vogliamo lasciarvi ancora qualche ricordo, e per questo motivo abbiamo intervistato un artista coinvolta in uno degli eventi che abbiamo organizzato in Italia, e in particolare stiamo parlando della performer Giovanna Bartolotta.
  1) Secondo te, cos’è una performance e cosa invece un “pezzo” di danza contemporanea? Pensi ci…
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alessiacamera · 7 years
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Jared Xin - Hamlet
Jared Xin – Hamlet
If you’re a Shakespeare’s purist, maybe this will shock you a bit, but classical’s theatre lovers’ will really appreciate this version of Hamlet, a melting pot of Chinese and European culture.
The show embraces the sophisticated and delicate art in the Chinese style, thanks to the origin of the actor, Jared Xin (Chengjian Xin), with the word and the fierce of the North European theatre,…
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alessiacamera · 7 years
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This is Not Art Festival 2017 in London - Call for artists
This is Not Art Festival in London!
We’re extremely excited ’cause finally, after 4 years we’ve moved to London we’re finally organising a This is Not Art Festival in London! Artists, musicians, performers..where are you? We’re looking for you! What do we have in mind? In this article you’ll find all the info you’re looking for.
This is Not Art Festival 2017: what?
If you check in our website in…
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alessiacamera · 7 years
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Freddy Chalk – Un Mucchio di Gessetti Consumati Un Mucchio Di Gessetti Consumati from Thisis Notart on Vimeo. Sono un artista di strada ed il pavimento è generalmente la mia tela.
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