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#land rover resto
diabolus1exmachina · 1 year
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Range Rover Goodwood (tailor-made by Wood & Pickett). 
While the Range Rover has always been the 4x4 of choice for royals and industrials alike, sun-loving jetsetters were missing an open-top version for their tropical hideaways. Luckily, London-based coachbuilders Wood & Pickett solved that problem in bespoke quality and style. Luxury SUVs are common as muck these days, but if we were able to engage reverse gear and back-up 40-odd years there was really only one to choose from – the legendary original Range Rover now known as the ‘Classic’, and they don’t come much more ‘Classic’ – or rare – than this superbly restored and thoughtfully resto-modded convertible that, for our money, effortlessly outclasses anything similar being made today.It’s true that Mercedes-Benz had its G-Wagen and Jeep its Wagoneer back in the ‘80s, but the former was more utilitarian than the Range Rover and the latter simply far less chic. But while the Rangie might already have been widely regarded as truly ‘the best four by four by four by far’ there were plenty of people who wanted one that was more than a bit different from the regular production model.Solihull’s bosses discovered this for themselves in 1980, when a one-off prototype designed to test the viability of an ‘ultra luxe’ Range Rover was loaned to Vogue magazine as a prop for a Biarritz fashion shoot. When the images were published, as many enquiries were received about the car as about the Jaeger clothes and Lancome perfume that the shoot was intended to promote – and so an initial run of 1,000 ‘In Vogue’ special editions was produced.The prototype had been created by London’s Wood & Pickett which was established 20 years earlier by former Hooper coachworks craftsmen Bill Wood and Les Pickett. The firm initially made a name for itself by adding luxurious and expensive upgrades to Minis, work that initially attracted the attention of celebrities such as Rolling Stone Mick Jagger and later that of the Middle East’s super-wealthy oil sheiks. To them, however, small was not always beautiful. More often, they wanted large, and the larger and more expensive the better. So in their eyes,  the names ‘Wood & Pickett’ and ‘Range Rover’ went together like a horse and carriage.
Soon, W & P (along with similar outfits such as Vantagefield, Glenfrome, Monteverdi and Rapport) was doing a roaring trade in Range Rover upgrades, making the most of the cars’ boxy shape and separate chassis to create everything from stretched limousines to Rangies designed for going on shoots and safaris and  for carrying polo kit and elaborate picnic sets.The Wood and Pickett cars were among the most accomplished, and the firm’s managing director Eddie Collins (formerly the marketing boss of rival Mini customiser Radford) was a smooth talker who could probably sell sand to the Arabs. But instead he sold them convertible Range Rovers – capitalising nicely on the fact that cash-strapped British Leyland (the then owner of Land Rover) couldn’t afford to design and make a soft-top of its own. Most of the history of this Wood & Pickett Range Rover convertible has been lost in the mists of time, but if its early years were spent travelling through the desert in style it must have taken a wrong turn along the way – because it ended-up on a run-down housing estate in Poland where it was discovered by the current owner around a decade ago.Although still in its original coat of Range Rover ‘Masai Red’ , the car was in a decidedly sorry state. Its electric roof, torn and holed, had allowed rainwater to soak the interior, ruining everything from the plush velour seats to the once-gleaming wooden trim. Its original 3.5 litre, carburettor-fed engine had been replaced with a fuel injected lump that was running rough, and the prospect of the car ever taking to the road again seemed slim.Once acquired, the car was shipped to Germany where it was stripped to its bare bones in order for a ground-up restoration to commence – a project that turned out to be a considerably larger task than expected. In fact, it took more than eight years – plus the purchase of an additional, four-door donor car -  to transform the original, badly neglected relic into what you see here: a classic  Range Rover convertible like no other.
Although still instantly recognisable as one of Wood & Pickett’s two-door ‘Goodwood’ conversions, it has been given something of a safari look thanks to its immaculate coat of Rolls-Royce ‘Fenland Sedge’ paint, colour-coded Vogue wheels and the perfectly tailored fawn convertible roof (that once again retracts effortlessly at the touch of a button). All-new interior trim in biscuit leather continues the safari/desert theme, while freshly burnished woodwork and a Moto-Lita steering wheel enhance the overall feeling of quality.
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sciatu · 4 years
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IL MARESCIALLO MUSCARA’ e il caso RIDI PAGLIACCIO
Il Maresciallo Muscarà chiuse spingendolo lo sportello della sua panda e si specchiò nel lucido color blu della macchina.  Osservò il suo pantalone di lino color avana con ancora la riga perfetta di quando sua moglie l’aveva comprato per una crociera che non avevano mai fatto a causa della sua malattia che subentrò poco dopo. Anche la sua maglietta era nuovissima malgrado il suo collega Petyx gliela avesse regalata due anni prima per il compleanno. Si guardò schifato. Da quando sua moglie era morta aveva indossato solo la sua divisa ed ora, a vedersi “in borghese” si sentiva un cretino. “Meglio così – pensò – nessuno sospetterà” chiusa la porta si girò dirigendosi verso la locanda bianca dalle finestre azzurre che si trovava vicino alla fine della spiaggia fuori di Sciacca. Qualche anno prima vi aveva trovato l’ing. Rachele Valsecchi, scomparsa misteriosamente a Palermo qualche giorno prima. L’ingegnere era in compagnia di Mancino, una vecchia conoscenza del Maresciallo e che aveva passato buona parte dei suoi anni in carcere perché mentre era in cella per vari reati contro il patrimonio, aveva strozzato un energumeno con la sola mano sinistra. Benché originari di due culture e città diverse, vinti o forse traditi dalla solitudine in cui vivevano, Mancino e l’ingegnere si erano messi insieme e vivevano il loro amore come marinai che tornavano al porto e all’amore, poche settimane l’anno vivendolo però in modo assoluto e totale. Sebbene l’ingegnere lavorasse in una fonderia di Brembana di Sopra, provincia di Bergamo, si vedevano regolarmente appena lei aveva una settimana di ferie; allora, la prima cosa che l’ingegnere Valsecchi faceva una volta tornata in Sicilia, era invitare il Maresciallo a cena, cosa che lui accettava volentieri, perché in carcere Mancino aveva avuto modo di sviluppare il suo talento culinario. Uno scampanellio festoso lo annunciò appena varcò la locanda. Il ristorante era pienissimo ed i camerieri si muovevano velocemente dalla cucina ai tavoli. Dalle grandi vetrate che davano sulla spiaggia si vedeva la lunga distesa di sabbia bordata dalla striscia azzurra del mare. Nella spiaggia svettava, come il trono di una regina, il gazebo di canne e tronchi in cui quando arrivava, si riposava l’ing Valsecchi, sorseggiando vino bianco freddissimo e organizzando viaggi in altri continenti in cui trascinava Mancino a scoprire cibi e popoli mai conosciuti. “Mi dispiace ma non c’è posto…. Dovrebbe tornare fra un’oretta” Fece costernato un cameriere con le braccia colme di piatti sporchi. “ Dica al padrone che è arrivato….” “Marescialluuuuu” Gridò un vocione forte e baritonale. Apparve d’improvviso un omone alto quasi due metri con due braccia grandi e muscolose che allargate erano pronte, malgrado la separazione sociale dell’era Covid, ad abbracciarlo e a stringerlo contro il petto grande quanto un armadio. Era Mancino! “Ma che fai qua Maresciallo, Rachele viene tra due settimane, te lo sei dimenticato?” “No, me lo ricordo, è che ….. ti dovevo parlare” Mancino lo guardò stupito. In passato era stato lui a chiedere consiglio al Maresciallo e la cosa gli apparve strana, ma si riprese subito “S’assittasse davia al posto di Rachele, la servo subito, Cosimooo – gridò verso un cameriere - porta al tavolo della signora Rachele acqua naturale e il bianco del Baglio del Cristo” Al Maresciallo si aprì il cuore: il bianco del Baglio era il vino preferito dell’ing. Valsecchi, vino che nasceva in una terra gessosa simile a quella dello Champagne francese, Mancino ne era gelosissimo e offrirglielo dimostrava quanto fosse contento di vederlo. Si andò al sedere al tavolo riservato all’ing Rachele dove Mancino non faceva mai sedere nessuno e che era sempre apparecchiato con nel mezzo un piccolo vaso di cristallo che conteneva una rosa rossa colta al mattino. Arrivarono con calma dei gamberi crudi marinati nell’olio di Castelvetrano, poi dei tagliolini con la polpa di riccio che diedero al vino in gusto aromatico ed intenso, infine un branzino all’acqua di mare con capperi e olive verdi addolcito da delle patate al forno. Quando Cosimo levò il piatto ed ormai nel ristorante c’era solo il Maresciallo, apparve Mancino, con una bottiglia di limoncello che preparava lui personalmente e un piatto generoso di paste di mandorle. “Allora Maresciallo che è successo? Non è che ti hanno mandato in pensione perché rompi sempre i coglioni? “Chi? io? Ma se sono un pezzo di pane “ Rispose ridendo il Maresciallo alzando il bicchiere colmo di limoncello freddo a toccando quello di Mancino. Bevvero in silenzio due o tre sorsi di limoncello e quando finirono misero giù i bicchieri leccandosi le labbra di quello che sulla bottiglia, un etichetta scritta a mano, identificava come “Il bacio di Rachele” “ devo chiederti un consiglio! – esordì il Maresciallo – sia chiaro, non c’è nessuna inchiesta, sono tutte congetture mie, sono qui in visita privata solo  per sentire della prossima visita di Rachele e …..  ho lasciato il cellulare in ufficio” Mancino approvò alzando il mento e riempì ancora i bicchieri. “ Si tratta di pensieri miei, niente di ufficiale! “ “Dimmi…” Fece Mancino leccandosi ancora una volta le labbra. Il Maresciallo prese un pasticcino e lo mise davanti a Mancino “lunedì scorso ero sulla strada che sale verso la Contrada Croce, al paese dove c’è la mia caserma. La contrada è una valle  ircondata da colline ed ha la forma di un ferro di cavallo con le più alte cime nella parte curva, monti rocciosi desolati e pieni di miniere. Io ero sul lato destro del ferro di cavallo lungo una strada che dal paese sale con una forte pendenza fino alle miniere per poi ridiscendere verso la parte opposta colma di vigneti, uliveti e case coloniche. La domenica, dopo la messa, i contadini e pastori mi avevano parlato di strani movimenti dove vi erano le miniere. Ero a metà della salita dove c’era uno spiazzo da dove osservavo con il binocolo il resto della valle, quando sentii l’appuntato Cacace commentare “Vadda a chistu….” Mi giro e vedo una grossa macchina, uno di quelle Land Rover grossissime che scendeva a velocità folle. Quando ci passa davanti suona disperatamente ed io sento distintamente un grido terribile :”Aiuto”!! Io e Cacace saltiamo in macchina e seguiamo ad alta velocità il macchinone. Lui però è troppo veloce e ci distanzia facilmente. Alla fine arriva dove la strada fa una curva a gomito urta il muretto sul bordo della strada e lo sfonda facendo un salto di cinquanta metri e schiantandosi nella fiumara esplodendo. Quando io e Cacace raggiungiamo il mezzo in fiamme, dell’uomo restano poche cose ma appare chiaro che l’uomo era ammanettato al volante che, a seguito degli accertamenti tecnici successivi, era apparso manomesso, come freni e motore.” “non deve essere stata una bella morte; ha avuto tutto il tempo di vederla arrivare. E chi era al volante?” “Sabino Calabrò, nipote preferito di don Nino Calabrò, il capo della cosca locale” “Però  - fece mancino con una smorfia – era uno rampante. Avrebbe preso il posto di suo nonno di sicuro. E’ la nuova generazione, quella che non ha mai toccato una lupara ma che muove soldi da destra a sinistra per pulirli e farli crescere. Generalmente gente così non fa la fine che ha fatto lui a meno che non abbia fatto qualche sgarro particolare. Dubito però. La sua parentela è importante e il suo rango era alto, non avrebbero fatto tutto questo casino per farlo fuori a meno che non volessero mandare un messaggio a tutta la cosca.” Il Maresciallo annui e prese un altro pasticcino mettendolo accanto al primo “La sera di Mercoledì scorso, Tommaso Rizzo, capobastone di uno delle cosche più importanti di Palagonia e mano destra del capo indiscusso Vito Solucci, entra nell’ascensore di un grande albergo di Zurigo. Sono lui con due guardaspalle armati fino ai denti. Quando arriva al tredicesimo piano la porta si apre e qualcuno dal corridoio con un lanciafiamme, inonda l’ascensore di fuoco. I tre non hanno modo di reagire e bruciano in pochi minuti” “A lui lo conoscevo personalmente – fece serio Mancino - un grande figlio di buttana, un boia, godeva a uccidere e torturare: ha fatto la fine che meritava!!” Ancora una volta il Maresciallo prese un pasticcino mettendolo accanto agli altri due. “Giovedì la serva del dottor Bastiano Cannata è entrata a casa del dottore per le solite pulizie. Arrivata nel corridoio sente qualcosa di umidiccio sotto i piedi. Accende la luce e vede che è sangue. Urlando esce di casa e un vicino, richiamato dalle urla, chiama i carabinieri. Quando arrivano i carabinieri trovano il suddetto dottor Cannata nel salotto di casa, tutto nudo e appeso dai piedi al lampadario. Il dottore era stato squartato e aveva tutte le interiore che pendevano gocciolando sul pavimento. Il dottore era il ragioniere di un’altra cosca di Castellamare, dicevano che muoveva più soldi lui che il Banco di Sicilia. Era esperto nel dare i soldi ad usura e nello spingere al suicidio, dopo avergli preso tutti i beni, chi non poteva pagare. In molti hanno detto che la fine del porco ammazzato era quella che si meritava” Mancino si fece serio. Aprì la bottiglia e si versò una dose abbondante di limoncello bevendolo tutto di un fiato restando muto come se non volesse commentare. Il Maresciallo capì che il modo come il dottore era stato ucciso aveva colpito Mancino non impressionandolo per la crudeltà della scena, ma per qualche altro motivo. Continuò prendendo due paste e mettendole un po' da parte vicino alle altre. “Giovedì mattino, qualcuno entra nel negozio di Antonino Russo, un vecchio settantenne che ancora faceva il barbiere alla Kalsa a Palermo. Sono in tre come diranno i testimoni e sparano al Russo almeno dieci colpi ciascuno.” Mancino scosse la testa. “Povero Nino – fece sconcertato Mancino - Lui era una persona perbene. Sono stati pazzi a ucciderlo così” “Lo stesso giorno, nel pomeriggio, sempre alla Kalsa, vicino al negozio di barbiere di Russo, esplode una casa. Era una casa ristrutturata e agibile, quindi appare strana una fuga di gas. L’inquilino, un uomo di colore che vi viveva gratuitamente con la famiglia, muore insieme alla moglie e a una figlia. Nessuno sa perché hanno fatto esplodere quella casa per uccidere l’uomo che lavorava in un negozio vicino. A dire di tutti era una persona gentilissima.” Questa volta Mancino alzò il bicchiere per bere l’ultima goccia di limoncello ed evitare lo sguardo del Maresciallo. Un altro pasticcino fu preso e messo vicino ai primi tre. “Venerdì, in piena mattinata va a fuoco un negozio di computer sempre alla Kalsa. I pompieri faticano a domare l’incendio e quando entrano vedono che lo scantinato era pieno di computer rovinati con nel mezzo, legato ad una sedia con fili di computer il padrone del negozio, il quasi trentenne Giuseppe Sutera. E’ stato ucciso con un colpo in fronte e qualcuno gli ha messo in bocca un mouse di computer prima di dargli fuoco: un altro messaggio per chi doveva capire. A tutti i computer  del negozio, era stato levato il disco fisso” Mancino fece una faccia come a dire che la cosa non gli diceva niente. Il Maresciallo verso nel suo bicchiere e in quello di Mancino una dose abbondante di limoncello finendo la bottiglia. Bevve un sorso e continuò. “Ora, se io non fossi stato coinvolto nel primo omicidio, tutti questi avvenimenti, sarebbero stati per me una normale serie di omicidi siciliani, di quelli che avvengono normalmente nella nostra isola dove violenza e follia vanno di pari passo. Ma essendo stato coinvolto nel primo omicidio ho pensato che fosse stato mio dovere cercare di risolverlo, ma il Procuratore, che ha avocato a sé e agli uomini dell’antimafia il diritto di investigare sul caso, mi ha detto di mettermi da parte pensando ai furti di capre del mio paese…” “Il solito cornuto e coglione che è dove è perché ha dato il culo a qualcuno” “Non lo so, ma non mi è piaciuto come me l’ha detto, per cui mi sono messo a pensare, a ragionare a fare qualche verifica e sono arrivato ad una conclusione per cui ho bisogno del tuo aiuto.” “Del mio aiuto Maresciallo, io come posso sapere qualcosa di tutti questi morti se non mi sono mai mosso da qui a duecento chilometri di distanza?” fece scandalizzato Mancino” “Io non lo so se sai qualcosa, ma mi puoi aiutare a capire” “In che senso?” “Tu sei della Kalsa, conoscevi il Russo, forse sai a chi apparteneva la casa che è esplosa e chi vi ha abitato prima di chi vi è morto o chi vi è nato. Ho bisogno da te di una conferma” “Da me? ma Maresciallo, tutti alla Kalsa conoscevano Nino, ma del resto che le devo dire?” “Ecco Mancino, ti spiego – il Maresciallo spinse verso Mancino i primi tre pasticcini -  che cosa hanno in comune i primi tre morti?” Mancino allargò gli occhi come a confermare che non ne aveva idea “Il Calabrò aveva nella macchina, lo vidi bene mentre lo inseguivamo, uno di quegli adesivi con le sigle degli stati. Riportava UEA. Il Rizzo ha postato su facebook delle belle foto di un ricchissimo resort dove era stato con delle belle signorine, un albergo meraviglioso a Dubai. Il dottor Cannata era appena rientrato da un viaggio in Thailandia e per volare aveva fatto scalo anche lui a Dubai. Tutti e tre insomma erano stati negli Emirati, dove puoi aprire conti correnti anonimi confidando nella confidenzialità assoluta delle locali banche. Da li puoi muovere capitali immensi via internet usando i codici che danno all’apertura del conto. Le tre cosche a cui i tre appartenevano avranno portato laggiù immensi capitali pronti a fare affari con qualche oligarca russo o mafioso cinese. Nessuno dei tre ha lasciato dietro di se telefoni o computer per poter sapere i codici dei conti. Chi li ha uccisi ha provveduto a recuperare il cellulare del Calabrò, il computer del Rizzo e del dottor Cannata: le cosche sanno che qualcuno gli ha rubato un immenso tesoro” “E la morte di Nino? e la casa fatta saltare?” “E’ qui che ho avuto l’intuizione finale. Perché ucciderli? La risposta è duplice. La prima è che le cosche hanno voluto vendicarsi uccidendo qualcuno di importante per il loro avversario e probabilmente la casa era il rifugio segreto di questo qualcuno o era della sua famiglia. La seconda risposta è che Le cosche confidavano che il Sutera, esperto in computer e che probabilmente gestiva i loro server, fosse in grado di risalire ai codici e hanno deciso di sfidare chi ha ucciso i loro tesorieri. Ma questo qualcuno che ha i loro soldi, ha levato loro ogni speranza, come a dire: se volete i soldi dovete parlare con me” il Maresciallo bevve un sorso di limoncello “E’ questo quello che voglio sapere da te, se c’è effettivamente qualcuno che può combattere contro tre potenti cosche? Che ne può uccidere i capi in modo scenografico restandone impunito. Ti ripeto, non voglio arrestarlo, ma voglio parlargli!” “Maresciallo che dice: parlargli? ma si rende conto che se questa persona esiste la può uccidere con un semplice schiocco di dita? si figuri poi se vorrà parlargli con tre cosche che lo stanno cercando per mare e per terra: Maresciallo divintasti pacciu!!!” “Devi capire: perché questo qualcuno ha fatto fuori il Sutera? Perché i soldi non li ha neanche toccati né li ha trasferiti come avrebbe potuto fare un istante dopo aver ucciso i tre delle cosche. Perché non vuole che le cosche li recuperino se lui non li tocca? La risposta è una sola: gli sta proponendo uno scambio perché ha qualcosa che loro vogliono e loro, a loro volta, hanno qualcosa che lui vuole!” “e che cosa hanno da dargli?” “Sicuramente non soldi. Lui ne ha moltissimi in questo momento, quelli chiusi nelle banche degli emirati. Loro però hanno qualcosa che non vogliono o non possono dare e che per questo qualcuno è più importante del tesoro che ha.” “Maresciallo, a maggior ragione: lassa stare questa cosa, non sai quanto è pericolosa!! Le cosche uccideranno tutti quelli che penseranno vicino a questo qualcuno che gli ha rubato i soldi!!” Il Maresciallo sorrise. “Tu sai chi è, non è vero? Se è così devi dirgli che io ho capito, so cosa cerca e soprattutto, so dov’è” La faccia di Mancino mostrò una sorpresa mista a diffidenza come se il Maresciallo stesse dicendo qualcosa di assurdo. Per qualche secondo cercò di rispondere ma alla fine si alzò e prese la bottiglia vuota i bicchieri e si diresse verso la cucina. Si girò a metà strada. “Lascia stare, vattene e dimentica tutto, Ci penseranno quelli dell’antimafia….. fai fare a loro gli eroi. Tu sei troppo piccolo per questa storia” Entrato in cucina, il Maresciallo lo sentì borbottare ad alta voce “E’ pacciu, pacciu…” Con calma il Maresciallo, sorridendo, addentò una pasta di mandorla.
Disceso dalla Panda il Maresciallo si toccò la pancia. Da Mancino aveva mangiato ma soprattutto bevuto troppo. Si sarebbe fatto dell’acqua e limone per permettere al suo stomaco di sopravvivere. Si incamminò verso il cancello del giardino di casa sua ed arrivato lo aprì e si diresse verso la porta d’ingresso. Fece pochi passi ma si fermò. Anche se stordito dalle bevute e stanco per le quasi due ore di macchina, il suo istinto da sbirro aveva mandato un segnale d’allarme. Torno indietro e aprì di nuovo il cancello e poi lo spinse con un dito per chiuderlo. Il cancello si chiuse silenziosamente senza quell’odioso stridio che aveva sempre fatto da quando abitava in quella casa. Qualcuno lo aveva zittito. Guardò in giardino alla ricerca del suo cane Carlo Alberto che svolgeva con coraggio e determinazione, le funzioni di guardiano della casa. Guardò tra i cespugli di fiori e lo vide sdraiato pancia all’aria sotto il grande cespuglio di gardenia dove controllava il suo territorio. Dormiva profondamente, tanto da non sentirlo, proprio lui che quando la  macchina del Maresciallo imboccava l’ultima curva ad un chilometro di distanza da casa correva ad aspettarlo seduto di fronte al cancello con il suo cipiglio burbero di ex cane della finanza. Vide accanto al cespuglio una ciotola vuota. Qualcuno aveva sedato Carlo Alberto. Il Maresciallo si diresse verso casa deciso e pronto a tutto. Arrivato alla porta cercò la chiave ma la porta corazzata era già aperta; lui la spinse leggermente e lei si aprì.
Sentì una voce
Eppur, e d'uopo sforzati! Bah sei tu forse un uom? Ah! ah! ah! Tu se' Pagliaccio! Vesti la giubba e la faccia infarina.
Riconobbe immediatamente il disco. Era il vinile dei Pagliacci, che sua moglie sentiva ogni sera durante la malattia. Quando lei se ne era andata lui l’aveva lasciato sul giradischi come se da un momento all’altro lei dovesse tornare a sentirlo ancora. Il fatto che qualcuno lo stesse ascoltando gli fece stringere i pugni dalla rabbia. Il corridoio era buio e solo in fondo, dove c’era il piccolo studio con il pianoforte che sua moglie usava per le lezioni di musica, c’era una debole luce. Si avvicinò lentamente e quando fu alla porta dello studio che era semichiusa la spinse lentamente. Sulla poltrona su cui sua moglie sentiva la musica c’era seduto un uomo. Era alto e vestito con un paio di jeans aderente e un giubbotto nero. Aveva gli occhi chiusi, una mascherina da chirurgo sulla bocca e dei guanti azzurri che coprivano le mani con dita grosse come quelle di chi praticava arti marziali. Accanto a lui, sul bracciolo della poltrona, vi era uno smartphone che sembrava spento. Il Maresciallo stava per dire qualcosa ma l’uomo, sempre ad occhi chiusi, portò un dito alla bocca invitandolo al silenzio
La gente paga e rider vuole qua. E se Arlecchin t'invola Colombina, ridi, Pagliaccio e ognun applaudirà! Tramuta in lazzi lo spasmo ed il pianto; in una smorfia il singhiozzo e 'l dolor. Ah! Ridi Pagliaccio, sul tuo amore infranto! Ridi del duol che t'avvelena il cor
Appena il tenore finì di cantare l’uomo aprì gli occhi e spense il vecchio giradischi. “Mi scusi Maresciallo se ne ho approfittato. Sua moglie aveva un buon gusto in fatto di musica” Il Maresciallo capì che lo sconosciuto sapeva di lui molte cose e non si sorprese. “Era una brava pianista ma si ammalò molto presto e non poté sviluppare il suo talento: questo la faceva soffrire più della sua malattia” “Succede a molti di vedere la vita cancellare ad uno ad uno tutti i propri sogni. È in quel momento che capiamo chi siamo e per che cosa vale la pena vivere o morire “ Vi fu qualche secondo di silenzio come se quanto detto avesse per chi aveva parlato un valore troppo importante e attuale per lasciarlo cadere velocemente nel nulla. Il Maresciallo ne approfittò “Lei è….” “Quello che le ha detto Mancino” “Se lei conosce Mancino sa bene che lui non direbbe a uno sbirro neanche che ora è” Senti sorridere l’uomo dietro la maschera “In effetti è così.” Il Maresciallo si sistemò nella sedia accanto al pianoforte come faceva quando sua moglie era seduta in poltrona. “Ho intuito che mancino la conosceva bene, e questo devo ammettere che era più di quanto sperassi. Ma ritengo che vi unisca un’amicizia tale, che pur essendo mio amico dichiarato e pronto ad aiutarmi, Mancino non ha detto nulla di importante. Quello che so l’ho capito perché sono uno sbirro e da chi mi stà davanti riesco a capire molto ma non tutto” “e di me cosa sta capendo?” “Che qui si sente al sicuro, che è certo che i suoi nemici non verranno e ha capito che io non sono a mia volta un suo nemico” “È così, Mancino mi ha parlato molto bene di lei e mi ha convinto ad ascoltarla perché pensa che sa dove è quello che cerco” “Per quanto ho capito e per quello che ho assunto penso di si e non ho problemi a dirglielo” L’uomo restò in silenzio e non si capiva se rideva o pensava “.. e cosa vuole in cambio per dirmelo” Il Maresciallo sorrise “che non vi siano più morti; poi mi basta il piacere, solo narcisistico, di aver compreso tutta la storia” L’uomo restò qualche secondo in silenzio poi esordi “Le prometto che se le sue informazioni sono corrette, una volta trovato quanto cerco, non vi saranno più morti per mia mano. Ma mi tolga una curiosità: e i suoi superiori? Non ne tiene conto?” “ho chiesto al Procuratore degli appuntamenti per dirgli la mia tesi e non mi ha mai risposto. Nel frattempo sono morte altre tre persone che probabilmente non c’entravano nulla. La giustizia è raffigurata con una spada e una bilancia, ma dovrebbe avere anche un orologio: fare giustizia venti anni dopo vuol dire far subire venti volte la stessa ingiustizia. Per questo le volevo parlare, per fermare la carneficina che lei e i suoi nemici state preparando” “ non sono miei nemici, ma clienti; ho lavorato per loro e contro di loro anche in passato. Ora però il gioco è molto diverso da quello che fino ad ora eravamo soliti giocare” “per i soldi negli emirati?” “Anche per quelli. Sabino e Cannata avevano pensato un business multimilionario. Avrebbero messo le mani su una miniera di diamanti in Russia utilissimi per i loro affari in sud America e in medio oriente. Avrebbero avuto i diamanti a 80 e con essi avrebbero comprato droga vendendoli a 200 perché i diamanti  sono il bene rifugio più prezioso per chi ha problemi con la giustizia o per chi deve essere corrotto. Mi avevano assunto per questo, per evitare che qualche mafioso russo si mettesse di mezzo. Lo sa come mi chiamano quelli per cui lavoro? Settoru, il sette di denari perché, come quando si gioca a scopa, chi mi ha tra le sue file ha già un punto in mano: dovevo semplificare i rapporti con chi non voleva finalizzare il business o creava problemi…” “e quelli che non sono suoi amici? Come la chiamano” Gli occhi si strinsero in un sorriso “Quelli mi chiamano u Ghiancheri…” “Il macellaio…?” “Si e non solo per il mio lavoro. Mio padre aveva una Ghianca, una macelleria alla Kalsa dove faceva la salsiccia più buona di Palermo!  Chieda a Mancino. Un giorno un uomo di niente gli disse che doveva comprare carne delle macellerie clandestine, animali uccisi perché rubati o ammalati. Mio padre rispose di no. Quello lo insultò pensandosi un mamma santissima. Lui lo caccio a calci fuori del negozio. Tre giorni dopo, uscendo dal retro del negozio venne assalito da tre energumeni con bastoni in mano. Lui si difese ma gli venne un infarto e mori. Io, che andavo a prenderlo e lo aiutavo in negozio perché era ammalato, vidi i tre uomini scappare. Andai dalla polizia a denunciarli. Ma dopo un mese nessuno era stato arrestato. Mia madre morì di crepacuore: uccisa dal troppo amore che la legava a mio padre. Al funerale di mia madre vidi uno dei tre e corsi dalla polizia dicendogli di andare ad arrestarlo. Mi dissero che non ne valeva la pena: era forse già fuggito ed in ogni caso il suo avvocato lo avrebbe fatto uscire dopo due giorni. Allora capii che questa che chiamano “la legge” non esiste. I furbi, i maligni, i ladri, gli arrivisti, gli infami: sono i topi di un enorme immondezzaio che chiamano società: sono loro che fanno le leggi, quelle di ogni giorno, non quelle dei libri. Come i topi si nutrono rubandolo tutto quello che gli piace seguendo i loro bisogni. Gli altri credono in una legge che è solo l’apparenza che copre l’immondezzaio come i cartelloni pubblicitari raffiguranti l’ordine e la bellezza di quanto chiamano società che coprono le discariche per nasconderle.  Ma non è così. Chi comanda in questo immondezzaio è chi non ha paura ad uccidere o rubare, chi non ha paura a fare del male gratuitamente, a ridurre gli altri a cose, ad animali con la droga e la violenza.  Ed è a questi che tutti obbediscono o a cui tutti si appellano per risolvere i loro affari, come facevano anche i principi di una volta con la mafia, perché è nel DNA della nostra storia questo ubbidire solo ai violenti senza mai ribellarci pensando che non ci riguardi chi sono o cosa fanno; perciò, mi sono detto che se esisteva  solo la legge di chi poteva sovrastare con la forza gli altri, io avrei fatto la mia giustizia con la stessa legge. I tre vigliacchi che uccisero mio padre scomparvero nel nulla; i loro corpi li buttai in una porcilaia a ingrassare i loro simili. Chi aveva ordinato a mio padre di ubbidirgli, lo trovarono appeso per i piedi e squartato come un maiale, così come hanno trovato Cannata. Io non uccido, li faccio impazzire dal dolore e dalla paura, lentamente, finchè loro stessi non invochino la morte come un sollievo. È questo che mi ha reso U Ghiancheri, qualcuno che anche gli assassini temono e che nessuno vorrebbe mai incontrare.  Il capocosca, di quei quattro maiali che avevano ucciso mio padre, invece di arrabbiarsi mi propose un lavoro. Gli avevo levato davanti quattro coglioni in un modo pulito e silenzioso, mi chiese se ero interessato ad avere un lavoro ben pagato visto che alcuni membri di una cosca avversaria alzavano troppo la cresta. Poiché ormai vivevo in una condizione in cui per sopravvivere occorrevano molti soldi, mi creai la regola che non avrei mai ucciso altri che uomini d’onore, sarei stato il loro giudice e boia restando sempre al di sopra di loro: io non uccido persone indifese ma chi della violenza e della morte ha fatto la sua vita perciò affronto i miei “clienti” alla pari.” Il Maresciallo lo guardò in silenzio “Perché mi sta dicendo tutte queste cose?” “Perché tutte e due crediamo nella giustizia e l’applichiamo, anche se da lati opposti, non per fini diversi: la giustizia, l’equità, quella vera ed assoluta” “E non ha paura che io usi le sue informazioni contro di lei?” “No, Mancino si fida di lei. Il suo telefono poi è sotto controllo: di ogni numero che chiama o da cui è chiamato, viene informato il procuratore. Lui pensa che lei si prenda troppa iniziativa, troppo libertà nel risolvere i casi. Dice che usa troppo la fantasia senza attenersi ai fatti. Ha un fascicolo su di lei pieno di considerazioni e dicerie: gli mancano però i fatti per incriminarla. Un segno che l’immondezzaio ha paura di lei, della sua intelligenza che è un’arma da cui nessuno può proteggersi. Lei è più simile a Mancino che al suo capo: crede nell’amicizia più di quanto i suoi colleghi credano in lei, è uno di quelli per cui esiste una società e dei doveri nei confronti degli altri, quegli altri che pensano solo ai loro diritti, alla loro voracità, come fanno i topi nell’immondezzaio.” Il Maresciallo restò ancora in silenzio. “un’ultima cosa, prima di arrivare al punto: perché lei si fida di Mancino? E perché Mancino ha tanto rispetto per lei da non dirmi niente?” “Una volta qualcuno gli disse che lo stavo cercando per ucciderlo. Lui non capiva perché, quindi andò da Nino, l’uomo che hanno ucciso e che era il mio contatto verso il mondo esterno e gli chiese di incontrarmi. Quando mi vide mi chiese perché volevo ucciderlo visto che lui non aveva mai fatto del male a nessuno; mi disse che a cinque anni aveva perso il padre, a sette scaricava cassette di frutta per aiutare la madre, a nove aveva rubato un pane per fame e da li aveva continuato: non era un santo ma non era un assassino, un ruffiano o un paraculo: poteva guardare chiunque dritto negli occhi senza vergognarsi. Gli risposi che qualcuno mi aveva detto che lui era stato pagato per uccidermi. Anche a lui la stessa persona aveva detto la stessa cosa. Ovviamente chi ci aveva detto così sperava che ci uccidessimo a vicenda. Gli dissi di non preoccuparsi e di sparire per un paio di settimane che mi sarei preso cura di quella persona. Lui però fu arrestato ed in carcere qualcuno lo prese di mira. Fu così che diventò Mancino e si fece vent’anni perché nel difendersi aveva ucciso un altro topo che voleva rodergli l’anima. Io avevo lasciato Palermo. Mi diedero dei lavori in America e poi in sud America per convincere qualche capo in testa locale a vendere coca al prezzo che le cosche dicevano. Quando lui uscì dal carcere era solo ed io lo andai a trovare. Gli chiesi cosa volesse fare e lui rispose che dopo tanti anni al chiuso voleva vivere in una spiaggia all’aperto. Lo portai dove ora ha la locanda e gli diedi i soldi per comprarla: gli ho regalato un sogno, per questo farebbe di tutto per proteggermi. È un amico, uno dei pochi che ho.” “Strano a dirsi anche per me è ormai un amico. Comunque veniamo al sodo” “Lei sa cosa cerco?” “Certo, quello che cercano tutti: la persona che ama” Gli occhi del Ghiancheri si strinsero come se stessero sorridendo “E sa anche dove è?” “Certo, dove la stava cercando: nella contrada della Croce, solo che lei la stava cercando nel posto sbagliato” U Ghiancheri lo fissava con attenzione senza perdere il minimo gesto. “vede, mentre scrivevo verbali e relazioni su come era morto Calabrò, ebbi la sensazione che quella sua macchina io l’avessi già vista più volte. Pensai per qualche giorno poi capii. Nel paese c’è una sola strada che sale dalla provinciale, fino al paese e poi alla Contrada della Croce. La nostra caserma è a lato di questa strada e le telecamere di sicurezza della caserma inquadrano sempre la strada. Andai a vedermi i vecchi filmati e scoprii che il Calabro era salito diverse volte e sempre da solo. Una volta però era salito preceduto da una di quelle grosse moto che usano i killer per sparare per strada. La sua macchina era seguita da un'altra con quattro ceffi stipati dentro.” “Una scorta…” “Esatto. Ingrandii più che potevo le immagini della macchina di Calabrò, scoprendo che di dietro, seduta tra due uomini c’era una donna. Guardai il filmato di quando le macchine e la moto discesero dalla valle ma la donna non c’era” L’uomo restò zitto come aspettando qualche altra informazione “Chiesi ai miei informatori (se il barbiere del paese si può definire tale) se c’era qualcosa di strano nella famiglia Calabrò. Sono venuto a sapere che una diecina di giorni prima, alla cresima della figlia di Sabino Calabrò mancava sua cognata Gaetana Ruffo-Ruffo, moglie del cugino Miuccio, quest’ultimo presente alla festa ed esageratamente euforico, tanto che a pranzo, Sabino riprese suo cugino per quanto beveva. Il cugino mi è stato descritto come persona, irascibile e arrogante, dall’ira e la pistola facile, ben diverso dalla moglie Ruffo-Ruffo che tra i suoi avi annovera un siniscalco di Federico II” “È cosi – aggiunse improvvisamente l’uomo – Gaetana è una donna sensibile e di una personalità superiore a questi Calabrò che sono ricchi solo dei soldi che fanno con il dolore degli altri. Suo marito se l’è comprata pagando i debiti di suo padre. Quando mi arruolarono per aiutarli nell’impresa, Sabino chiese a Gaetana di fare gli onori di casa. Ero un personaggio importante e la Famiglia voleva ospitarmi nel modo migliore. Gaetana era l’unica incensurata che potesse ospitarmi e occuparsi degnamente di me. All’inizio ci evitavamo, poi per caso incominciammo a parlare e qualcosa di inatteso e non voluto accadde tra noi” L’uomo abbassò gli occhi quasi a ragionare per se stesso “Io non ho mai pensato alla mia vita come una vita normale ma come qualcosa che da un momento all’altro doveva finire bruscamente ed il cui unico fine era uccidere quanto più possibile chi era uguale a chi aveva ucciso mio padre. Lei invece rese reale e possibile una vita normale, quella di cui mio padre e mia madre avevano vissuto semplicemente ma intensamente. Questa romanza – l’uomo indicò con il mento il disco – Gaetana la suonava sempre. Anche lei si sentiva qualcuno che doveva indossare con la morte nel cuore, il suo vestito da Pagliaccio per dare spettacolo e per essere mostrata come simbolo del successo del marito, dopo la Ferrari e prima dei purosangue arabi. Poi suo marito quando ha capito che ci amavamo ha trattato Gaetana in un modo indefinibile. Un mafioso non è più considerato tale se anche la moglie lo tradisce. In più avrebbero dovuto uccidermi per aver violato la loro casa. Ma cosa avrebbero dovuto dire alle altre cosche? Io ero un elemento importante dell’investimento che stavano facendo perché i russi obbediscono solo a chi li uccide. Gli altri si sarebbero tirati indietro, per questo, per punirla e per ricattarmi l’hanno nascosta così che continuassi a servirli: con lei prigioniera potevano farci fuori quando l’affare era finito. Gaetana è una donna che prima di incontrarmi non aveva mai sorriso, era un cigno in uno stormo di corvi. Come me ha dovuto adattarsi ad una realtà disgustosa perché non poteva averne altre. È difficile credere che due infelicità assolute possano far nascere una felicità totale: ma a noi è successo. Lei mi ha donato il lato migliore della vita che non conoscevo: avere chi ti capisce, chi ti ascolta, chi cancella le nubi nei tuoi pensieri e ti spinge a credere in una realtà diversa. Migliore. Ha aperto la prigione in cui ero, ha stracciato le vesti da pagliaccio che ogni giorno indossavo per essere quello che quelli come suo marito mi avevano fatto diventare. Ha ragione a dire che se non la trovassi, i morti aumenterebbero: sono figlio di mio padre e nessuno può ricattarmi e ridurmi ad essere un servo, nessuno può maltrattare chi, dopo una vita di sangue, mi ha fatto trovare il senso della parola amare. Quell’amare che univa così indissolubilmente i miei genitori. Sterminerò tutta la Famiglia e i suoi affiliati se non me la ridaranno intatta! Lei, dopo tanti morti, mi ha riportato alla vita e a questa vita non ci rinuncerò” Fu il turno del commissario di restare qualche secondo in silenzio “È quello che ho pensato considerando l’odio che ha usato nell’uccidere. Ma torniamo al punto iniziale dov’è Donna Gaetana? Quando ho tirato le somme di tutto mi ricordai di quando dallo spiazzo di fronte al vallone della Croce guardavo i monti prima che improvvisamente arrivasse la macchina di Calabrò. Nella parte dei monti, dove c’erano le miniere, vedevo di tratto in tratto diverse macchine: troppe. Se tu nascondi qualcuno non metti mille guardiani a dire dov’è.  Lì la montagna è un formicaio di tunnel e grotte, non hai bisogno di mettere mille guardiani.” “Infatti! ho girato quelle miniere per diversi giorni ma non era un posto dove tenere Gaetana. È meta di gite scolastiche e speleologiche. Per questo rapii Sabino, per farmi dire dov’era, ma lui si rifiutò di dirmi cosa” “Allora, vedendo quelle macchine fuoristrada sparse qua e là, mi sembrava quasi che aspettassero qualcuno. Ora capisco che era una trappola per lei, per attirarlo fin lassù e farle fare quello che volevano. Poi ho incominciato ad osservare il resto del vallone e le colline dove, finite le miniere incominciano le distese di olivi e viti. Guardai negli uliveti ed in un Baglio nel mezzo delle colline vi notai qualcosa che mi colpì: ad una finestra della vecchia casa colonica in cui le olive sono raccolte, c’era un filo sottile e ad esso vi erano attaccati dei vestiti da donna. Cose intime e piccole, come mutandine e reggiseni. Erano solo un paio, nascoste dai rami di ulivo, ma erano troppo piccole per appartenere alla moglie del proprietario del fondo e troppo eleganti per appartenere a qualche ragazza del paese. Mi chiesi allora chi poteva lasciare in quel luogo disabitato quelle cose così intime. La finestra in cui erano, dava su un dirupo, nessuno degli altri abitanti della casa avrebbe potuto vederle. Forse era un segnale, forse solo della biancheria stesa ad asciugare.” L’uomo penso qualche secondo. “Era un segnale: Gaetana mi voleva dire dove era. Io cercavo in alto, tra le miniere, perché li era facile nasconderla. Troppo facile. Sabino aveva architettato una trappola per fermarmi circondando la zona con i suoi uomini e saliva e scendeva da lassù per richiamare la mia attenzione e attirarmi tra i suoi uomini. Io conoscevo quella zona da tempo perché li ho concluso molti dei miei lavori, ed ho evitato facilmente le sue trappole.” Il cellulare che l’uomo teneva sul bracciolo della poltrona si illumino. Apparve come una mappa con delle linee e un puntino rosso in movimento. “Qualcuno sta venendo a trovarla. Tenga – gli disse allungando la Beretta di ordinanza del Maresciallo – è meglio che vada vedere chi è”. Il Maresciallo prese la pistola e si chiese come U Ghiancheri avesse fatto a trovarla nella cassaforte nascosta nell’armadio della stanza da letto. Mise l’automatica tra la cintura dei pantaloni e la schiena coprendola con la maglietta. Tornò indietro nel corridoio fino alla porta di ingresso e dalla telecamera del citofono osservò la strada.
Una macchina spuntò dalla destra e lentamente si fermò all’altezza del cancello. Ne scese l’agente Caccamo che avvicinandosi al citofono suonò. Il Maresciallo aspettò qualche secondo e poi rispose “Chi è?” “Maresciallo sono Caccamo, tutto bene?” “Caccamo, si tutto bene perché è successo qualcosa” “No Maresciallo, Petyx mi ha detto che lo aveva chiamato più volte al cellulare perché voleva venire a trovarlo con la moglie e il bambino, e non gli rispondeva e si era preoccupato, così mi ha chiesto di passare a vedere” “Sono andato a Sciacca dai miei amici e ho lasciato il cellulare nella scrivania in ufficio, sono appena tornato” Poi aprì la porta e andò a salutare Caccamo di persona. “Caccamo tutto bene ora chiamo Petyx e glielo dico” “Va bene Maresciallo, meglio così, ci eravamo preoccupati” “Non ti preoccupare ci vediamo domani, ora torna in caserma” Caccamo lo salutò e tornò in macchina; il Maresciallo aspettò che si allontanasse e tornò di corsa in casa e percorrendo velocemente il corridoio arrivò allo studio. “Tutto a posto, era…..” La poltrona era vuota.
Il Maresciallo guardò il rapporto che aveva scritto ancora indeciso se spedirlo o meno. Fece mente locale ed incominciò a rivedere gli avvenimenti accaduti tre giorni prima, il giorno dopo il suo incontro con U Ghiancheri. “ Alle ore 05:15 del mattino è suonato il telefono d’ordinanza e l’appuntato Cacace mi ha informato che stava venendo a prendermi con il fuoristrada perché in contrada Croce era scoppiato un incendio in una casa abbandonata dentro un uliveto. Poiché c’era una macchina vicino nell’Uliveto i forestali pensavano che qualcuno fosse dentro la casa. Dell’orario sono certo perché ho visto l’ora sul telefonino! Alle 05:45 è arrivato Cacace e siamo andati verso Contrada Croce passando dalla mulattiera che attraversava il torrente e saliva verso la parte coltivata della valle. La strada era più veloce anche se si poteva fare solo con un fuoristrada o un mulo.” Il Maresciallo controllò l’orario riportato nel documento, quindi continuò il suo riepilogo interno “ Appena attraversato il fiume ed iniziata la ripida salita verso i boschi di ulivi e le vigne abbiamo sentito una forte esplosione in direzione del baglio verso cui stavamo andando.” Il Maresciallo pensò un minuto poi prese il documento e aggiunse “L’esplosione era molto forte tanto che ci caddero addosso dei detriti di mattoni e di legno. Notammo lo sviluppo di una colonna di fumo nero” Il Maresciallo pensò alla faccia bianca e sorpresa di Cacace che lo osservava spaventato. “Dopo forse mezzo minuto, mentre proseguivamo la nostra marcia, il Maresciallo Biondo mi ha chiamato per informarmi che mentre con i suoi forestali stavano arrivando in zona, all’interno del baglio c’era stata una forte esplosione che dalla distanza da cui lui osservava, sembrava avesse distrutto buona parte dell’edificio. Gli chiesi di delimitare la zona e di evitare che il fuoco si propagasse nell’uliveto ma di mantenere i suoi uomini a distanza di sicurezza dal Baglio senza avvicinarsi. Arrivato constatavo che del Baglio erano rimaste in piedi sono le pareti frontali dell’edificio, mentre la parte posteriore, situata su un dirupo era precipitata nel dirupo stesso, facendo sfogare l’esplosione principalmente in quella direzione.” Si fermo ad osservare lo scritto. “Richiesto l’intervento degli artificieri dell’esercito, nei ruderi del Baglio sono state trovate quanto restava di alcune casse di legno con scritte cirilliche dentro cui vi erano gli avanzi risparmiati dal fuoco di fucili d’assalto AK-47 e altre attrezzature militari. Da alcuni pezzi di legno recuperati, sembra che l’esplosione sia stata dovuta ad una cassa di tritolo per costruzione che è stata innescata probabilmente per l’incendio di una stufetta elettrica dimenticata accesa. Stufe simili sono state trovate in diversi punti del Baglio. La macchina risultava rubata un mese prima a Cefalù” Il Maresciallo si grattò la testa e continuò a leggere “Si suppone al momento che il Baglio sia stato un deposito della cosca Calabrò, vera proprietaria dell’uliveto, dove veniva occultato materiale che probabilmente doveva servire per qualche rapina di furgoni postali o banche. Al momento non si ha un collegamento tra il deposito e la morte di Calabrò Sabino avvenuta circa una settimana prima, ma i suoi continui viaggi nella contrada portano a pensare che sicuramente il Calabrò ne fosse a conoscenza” Il Maresciallo guardò scettico il documento “U Ghiancheri deve aver fatto fuori i secondini di donna Gaetana e li ha portati via, poi ha fatto saltare il baglio per cancellare le prove della presenza della donna. Tutta la storia si riassumeva in una base della cosca abbandonata dopo la morte di Sabino, e in un incidente casuale.” Per l’ennesima volta il Maresciallo appoggiò il documento sulla scrivania incerto se potesse considerarlo realistico e quindi finito. “Al procuratore il report piacerà, vi sono i fatti e non c’è nulla della mia fantasia” E si mise a ridere. “Maresciallo mi scusi – fece Caccamo apparendo sulla porta del suo ufficio – c’è un signore che vorrebbe salutarla….” “Eh chi è ?” fece sorpreso “Marescialluuuuu” fece improvvisa la figura di Mancino la cui sagoma occupò tutta la porta tanto che Caccamo scomparve dietro di lui “ come stai Maresciallo? sto andando a prendere Rachele a Palermo e sono passato a portare due gamberi freschi freschi, un totano che è uno zucchero e una spigola che se quando la mangerà la farà andare in paradiso” l’omone riuscì a superare la piccola porta e tra le mani gli apparvero una enorme borsa frigo che doveva contenere il tesoro che aveva descritto e un'altra borsa piena di bottiglie di vino “Il totano è da fare subito, lo pulisci e lo metti in padella con l’accia, due olive verdi, i capperi e lo fa rosolare poi con il pomodoro…” “Mancino grazie …. - rispose il Maresciallo ancora sorpreso e travolto dalla loquacità dell’amico. - … Caccamo per favore prendi e metti tutto in frigo che a mezzogiorno cuciniamo tutto” Mancino diede con delicatezza la borsa all’appuntato “Mi raccomando i gamberi ….. – fece severo verso Caccamo - .. crudi! con un filino d’olio e poco limone: sono una delizia…” “Questa è una bella sorpresa – fece il Maresciallo – non ti aspettavo…” “E’ che Rachele, la conosci, ha insistito che passassi a ricordarti che sabato sei a pranzo da noi… Per favore non dirmi di no che se noi lei è capace che ti viene a prendere: lo sai è bergamasca, ha la testa più dura di una palermitana” “Questo è tutto da dimostrare ma ti credo! ti posso offrire almeno un caffè ?” “Ma quale caffè sarebbe il quinto questa mattina, sono andato alle cinque al mercato del pesce a prendere il meglio per Rachele…. ora però devo andare che devo attraversare Palermo con il traffico” “Aspetta che ti accompagno alla macchina” Il Maresciallo prese il cappello ma, come ultimamente gli capitava, si dimentico il cellulare sulla scrivania. “Allora tutto bene?” chiese Mancino appena usciti dalla caserma “Tutto bene… penso che ogni cosa sia andata a posto” “Si, è tutto a posto. Ho saputo che c’è stato un po' di fuoco…” “Un deposito di armi dei Calabrò…” “A niente di particolare. Ah proposito lo sai che Miuccio Calabrò è morto” Il Maresciallo si fermò sorpreso “Morto? e come fu” “Il giornale dice che lo hanno trovato a casa sua in vestaglia strangolato sulla sua poltrona” “Strangolato? e cosa vuol dire?” “Che non volevano versare il suo sangue.  Un morto strangolato non chiama vendetta” “Ho capito, ma che senso aveva farlo fuori adesso?” “Non lo so, forse è una morte di scambio” “Eh cioè?” “Tu hai qualcosa che interessa a me, io ho qualcosa che interessa a te. Ora io riesco a rubarti quello che mi interessa e tu ti incazzi ancora di più. Allora io ti dico: ti posso rendere quello che vuoi. Magari me ne tengo poco poco e il resto te lo restituisco se tu uccidi una certa persona” Il Maresciallo si fermò interdetto “Lo hanno ucciso i suoi?” “Lui doveva uccidere sia la moglie che U Ghiancheri quando li aveva scoperti. Invece è andato a piangere da suo cugino Sabino scatenando il casino che ne è venuto fuori. Orami era cornuto e coglione. Se non l’avessero ucciso loro lo avrebbero fatto le altre cosche e non si sarebbero limitate a far fuori solo Miuccio” “Pensavo che non ci sarebbero stati altri morti” “Non per mano sua! e questo lo ha mantenuto….” Fece serio Mancino di fronte alla macchina. Si girò ed entrò in machina sedendosi, poi, con una certa difficoltà, tirò fuori dalla tasca un pezzo di carta “Questo è per tè - Il Maresciallo lo guardò severamente - Lo so che tu sei uno sbirro che non accetta soldi, ma la compagna del mio amico vuole dirti personalmente grazie e nel foglio c’è il posto e l’ora dove ti aspettano per dirtelo. Pensa che sia un suo dovere e una forma di rispetto ringraziarti personalmente.” Il Maresciallo prese il foglio di carta e salutò mancino “Salutami l’ing. Rachele..” fece mentre Mancino partiva sgommando “Ricordati sabato…” fece Mancino agitando la mano dal finestrino Il Maresciallo l’osservò scomparire e poi si voltò per tornare in caserma. Mentre andava apri il foglietto ed osservandolo si fermò per la sorpresa. Era un biglietto per assistere ad un’opera presso il teatro Greco di Taormina: “I Pagliacci”
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sucede-es · 3 years
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Colección Bowler Land Rover Defender
Los Land Rover Defenders de Drew Bowler son simplemente los mejores Defenders modificados en el mercado que puedes comprar. El trabajo de Bowler es tan bueno que en 2019, Jaguar Land Rover compró la empresa y la puso bajo el ala de Operaciones de vehículos especiales.
Construidos para carreras todoterreno y de rally raid, los Bowler Defenders son extremadamente raros, y ahora siete de ellos saldrán a subasta. De la colección del director de Bowler Motors, Richard Hayward, lo más destacado del grupo es una recreación exacta del Spectre Defender de la película de Bond. También es notable un prototipo de camioneta Defender con motor V6 y un Defender 90 TD Challenge de techo rígido. El Spectre Defender tiene un valor de hasta $ 250,000, y el resto de los lotes entre $ 75,000 y $ 125,000.
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chez-mimich · 5 years
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LUCY
Il 24 novembre del 1974, il paleontologo Donald Johnson a bordo della sua Land Rover, ad Hadar in Etiopia, scoprì quasi per caso dei resti ossei, per essere precisi il resto di un'ulna, probabilmente di una scimmia. Proseguendo nella sua escursione, poco più avanti si imbatté nelle ossa di una gamba e poi in alcune ossa toraciche. Johnson faceva parte di una spedizione alla ricerca delle tracce dei primitivi insediamenti umani nel continente africano. Fu una scoperta importante poiché da quelle ossa dedusse che quella scimmia in realtà aveva qualcosa di diverso, ossia la posizione eretta: da qui anche la teoria che la tipologia locomozione possa essere stata uno dei principali motivi della evoluzione umana. L'animale entrò nella categoria denominata "Australopithecus Africanus" e fu anche prima evidenza scientifica che dimostrava che l'evoluzione umana poteva aver avuto origine in Africa (con buona pace dei razzisti contemporanei). Al ritorno al campo base, Donald Johnson festeggiò la scoperta con una bicchierata in compagnia dei suoi collaboratori. Donald, aprì anche il portellone della sua Land Rover ed infilò una cassetta nel mangianastri dell'auto; era una cassetta dei Beatles, dagli altoparlanti uscirono le note di "Lucy in the Sky with Diamond". Da quel 24 novembre del 1974, la nostra scimmia ominide e progenitrice fu battezzata Lucy. Ho appena terminato la lettura di questa strana "graphic novel" pubblicata da "Comicon Edizioni" nel 2017 e dedicata proprio a lei, alla nostra antenata scimmietta. "Lucy, la speranza" è stata disegnata da Tanino Liberatore, uno dei più grandi fumettisti italiani di tutti i tempi e sceneggiata, con qualche "scientismo" di troppo, da Patrick Norbert. Un fumetto decisamente diverso dal consueto, sia per la tematica che per l'utilizzo di una grafica elettronica di grande impatto. La vicenda semplice e lineare ci racconta della maternità di Lucy, del suo innamoramento per uno scimpanzé e della sua decisione di non seguirlo per restare con il gruppo e difendere la specie, anziché affidarsi alla sua cura. Una maternità autocosciente e indipendente che sembra preludere alle rivendicazioni femministe. Tavole di non facile lettura vista la complessità analitica del segno grafico, la compulsiva dinamicità delle figure, l'apparente uniformità dello "story board", ma i realtà un grande prodotto grafico ed un progetto complessivo di grande raffinatezza. Un'altra indovinata lettura per l'estate (ma anche per l'inverno).
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herman-unterwegs · 4 years
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Defender 110 Restauration - 2 Laien restaurieren alten Land Rover besser...
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smoothshift · 5 years
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Universal heater vent select manifold? via /r/cars
Universal heater vent select manifold?
I'm nearly 3 years into a land rover resto mod. Turning it from 1985 spec to 2015!
This is the 1st issue I've come across I cant solve! Basically I'm using the defenders original heater blower box and matrix, which has simple flaps for hot and cold and external air on off.
My 2015 dashboard is your usual affair with heater controls, and vent selectors for windcreen, face and centre only. Its heaterbox fouled my gear stick so couldn't be used. Now I'm trying to find a simple duct manifold that actuates by wire, that will split 1 input to 3 outputs. Allowing me to have vent selection and not all the air out of all of them.
any advice would be great. I know perfect doesnt exist and in more than happy to modify/fabricate to make something works.
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israescking · 5 years
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Traducción del artículo:  The Fake Heiress “AS AN ADDED BONUS, SHE PAID FOR EVERYTHING”: MY BRIGHT-LIGHTS MISADVENTURE WITH A MAGICIAN OF MANHATTAN de Rachel Deloache Williams en Vanity Fair
https://www.vanityfair.com/news/2018/04/my-misadventure-with-the-magician-of-manhattan
“Y COMO UN BONO EXTRA, ELLA PAGABA POR TODO”: MI DESLUMBRANTE DESVENTURA CON UNA MAGA DE MANHATTAN Entró en mi vida en sandalias Gucci y gafas Céline, mostrándome un mundo glamuroso y sin restricciones, de vivir en hoteles, cenas en Le Coucou, saunas infrarrojos y vacaciones en Marruecos. Y entonces hizo desaparecer mis $62,000 dólares.   
Según mis amigos más cercanos y varias fuentes sospechosas de internet, cumplir 29 años el 29 de enero de 2017 marcó mi cumpleaños dorado. En esos momentos no sabía lo que eso significaba, pero tenía un buen presentimiento sobre mi cumpleaños 30: iba a ser especial; iba a ser bueno.  
Fue un desastre total.
Comenzó con Anna. En su característico estilo deportivo negro y sus gafas oversize de Céline, se sentó junto a mi en la S.U.V., hablando en su teléfono. Al parecer todas sus cosas ya se encontraban en las maletas Rimowa que se encontraban en el maletero justo detrás de nosotros. Íbamos tarde. Anna siempre llegaba tarde. Nuestra S.U.V. giraba sobre los adoquines de Crosby Street, mientras conducimos desde el 11 Howard, el hotel al que Anna llamaba hogar desde hacía tres meses, hasta el Mercer, el hotel al que Anna planeaba mudarse una vez volviéramos de nuestro viaje.     
Los botones del Mercer nos ayudaron a descargar sus maletas (todas menos una), e hicieron el registro para esperar el regreso de Anna. Una vez completada nuestra tarea, volvimos al auto y partimos hacia el J.F.K. dos horas antes de nuestro vuelo: nos íbamos a Marrakech.
Conocí a Anna un año antes, a principios de 2016, en Happy Ending, un restaurante-lounge en Broome Street con un bistró en la planta baja, y un popular club nocturno escaleras más abajo. Estaba con unos amigos en la planta baja. Era un grupo al cual veía exclusivamente en salidas nocturnas, amantes de la moda, a los que conocí cuando me mude a la ciudad en 2010. Entramos cuando empezaba todo, no vacío pero sin mucha gente. Hombres y mujeres jóvenes daban vueltas en la niebla artificial, buscando acción y un lugar para establecerse, mientras bebían su soda de vodka con pajitas de plástico negro. Nos dirigimos hacia la derecha y hasta atrás, donde la niebla y la gente eran más densas y la música más alta.
No recuerdo quien llego primero: el esperado balde de hielos con los vasos, o “Anna Delvey”—pero sí recuerdo que cuando llegó también vino el servicio de botellas. Era una extraña para mi, y sin embargo la conocía. La había visto en Instagram, sonriendo en algunos eventos, bebiendo en fiestas, muchas veces junto a mis amigos y conocidos. Había visto que @annadelvey (desde que cambio @annadlvv) tenía 40k seguidores.
La recién llegada, con un vestido negro entallado y unas sandalias Gucci, se deslizó en el asiento. Tenía una cara angelical con ojos azules de gran tamaño y labios carnosos. Sus rasgos y proporciones eran clásicos, casi anacrónicos, con una redondez que recordaba a la de Dominique Ingres o John Currin. Me saludó y su voz con acento ambiguo fue inesperadamente aguda.
Después de algunos cumplidos, llegamos a la plática de cómo Anna había entrado por primera vez a nuestro grupo. Dijo que había hecho una pasantía en la revista Purple, en París (yo la había visto en fotos con el editor en jefe), y, evidentemente, se movía en los mismos círculos. Fue la conversación por excelencia para conocerte en Nueva York: saludos, intercambios de bromas, ¿Cómo conoces a X?, ¿en qué trabajas?
“Trabajo en Vanity Fair,” le dije. El diálogo habitual continuo: “en el departamento de fotografía,” continúe explicando. “Si, me encanta. Llevo allí seis años.” Anna estaba muy atenta, ordenó otra botella de vodka y pagó la cuenta.
No mucho después de nuestro primer encuentro, fui invitada a unirme con Anna y una amiga para cenar en Harry’s, un restaurante de carnes en el centro, no lejos de mi oficina. El ambiente en el Harry’s era claramente masculino, quisquilloso pero no adornado, con asientos de cuero y paredes con paneles de madera. Anna ya estaba cuando llegue y nuestra amiga llegó minutos después. Nos llevaron a nuestra mesa,  y mi compañia ordenó ostras y una orden de espresso martinis. La conversación fluyó, al igual que los cócteles. Nunca había probado un espresso martini, pero todo estuvo bien.
Anna nos dijo, muy malhumorada, que debía pasar el día en reuniones con sus abogados. “¿Porque?” le pregunté. Se emocionó. Estaba trabajando arduamente en su Fundación de arte un “centro dinámico de artes visuales dedicado al arte contemporáneo”, nos explicó, contándonos vagamente sobre el fideicomiso de su familia. Planeaba rentar la histórica “Church Missions House”, un edificio en Park Avenue South y 22nd Street, para albergar un club nocturno, bar, galerías de arte, un espacio tipo estudio, y un club “solo para miembros”. En mi línea de trabajo, a menudo me encontraba con personas acomodadas y ambiciosas, por lo que, a pesar de que su empresa sonaba a gran escala y en teoría era prometedora, mi entusiasmo sincero apenas superó un escepticismo medido.
En el resto de 2016, vi a Anna algunos fines de semana. Como ciudadana alemana de visita, me explicó que no contaba con una residencia de tiempo completo. Vivía en el Standard, High Line, no lejos de mi pequeño apartamento en el West Village de Manhattan. Anna me intrigaba, parecía ansiosa por hacer amigos. Era muy halagador. La veía sobre todo en salidas nocturnas llenas de aventura, para ir por tragos o para cenar, generalmente en grupo, pero ocasionalmente sólo las dos. En otoño de ese año, Anna me dijo que tenía que regresar a Colonia, de donde decía venir, antes de que su visa expirará.
Casi medio año después, volvió.
El sábado 13 de mayo de 2017, aterrizamos en Marrakech. Nuestro hotel mandó servicio V.I.P. para recibirnos en el aeropuerto. Nos escoltaron a través de la Aduana y nos llevaron a las dos Land Rovers que nos esperaban. Después de un viaje de 10 minutos, llegamos a una especie de palacio y entramos por sus puertas. En la entrada de la puerta, fuimos recibidas por varios hombres que usaban sombreros fez y vestimenta tradicional marroquí. Habíamos llegado a nuestro opulento destino. La señorita Delvey, nuestra anfitriona, optó por un recorrido por las cercanías para ella y sus invitadas. Procedimos directamente, sin necesidad de llaves o un proceso de registro tradicional, ya que nuestra villa contaba con un mayordomo de tiempo completo y, según nuestra anfitriona, todas las facturas se habían arreglado por adelantado.
Las vacaciones fueron idea de Anna. Tenía que volver a dejar el país para restablecer su visa ESTA, nos dijo. En lugar de regresar a su casa en Alemania, sugirió que hiciéramos un viaje a algún lugar cálido. Había pasado mucho desde mis últimas vacaciones. Estuve de acuerdo en que debíamos explorar opciones, pensando que encontraríamos tarifas fuera de temporada a República Dominicana o a las Islas Turcas y Caicos. Anna sugirió Marrakech; siempre había querido ir. Ella escogió La Mamounia, un resort de lujo cinco estrellas clasificado entre los mejores del mundo, y sabiendo que su selección tenía un costo prohibido para mi presupuesto, se ofreció, con indiferencia, a cubrir mis vuelos, el hotel y los gastos. Reservó un riad privado a $7,000 dólares la noche, una villa tradicional marroquí con un patio interior, tres recamaras y una piscina, y me mando la confirmación por correo electrónico. Debido a un error, aparentemente menor, cargó los boletos a mi tarjeta American Express, con su promesa de reembolsarme lo más pronto posible. Dado que todo el tiempo estuve ocupada con el trabajo, no le tome tanta importancia.
Anna también invitó a su entrenadora personal, junto con un amigo mío, un fotógrafo, a quien, cenando la semana anterior a nuestro viaje, Anna había pedido que nos acompañará como documentalista, alguien que nos tomará vídeo. Estaba pensando en hacer un documental sobre la creación de su fundación artística, y quería experimentar cómo se sentía tener a alguien con una cámara. Además, sería divertido tener un vídeo del viaje, dijo. Pensé que esto era un poco ridículo, pero también entretenido, y ¿por qué no?. Los cuatro nos quedamos en la villa privada juntos. Anna y yo compartimos la habitación más grande.
Pasamos el primer día y medio explorando todo lo que La Mamounia tenía para ofrecernos. Estuvimos paseando en los jardines, relajándonos en las hamacas, nadando en la piscina privada de nuestra villa, hicimos un recorrido en la bodega de vinos, y cenamos con los embriagadores ritmos de la música marroquí en vivo, antes de terminar nuestra noche con cócteles en el elegante bar Churchill. En la mañana, Anna organizó una lección de tenis privada. Después nos reunimos con ella para desayunar en el buffet de la piscina. Entre aventuras, nuestro mayordomo apareció, como por arte de magia, con sandía fresca y botellas de rosé frías.
Anna no era ajena a la decadencia. Cuando regresó a Nueva York a principios de 2017, después de unos meses, se hospedó en el 11 Howard, un moderno hotel en SoHo. Le Coucou, ganador del premio James Beard al mejor restaurante nuevo del año, que se encontraba en la planta baja del hotel, se volvió su lugar habitual para cenar. Anguila de Montauk frita para comenzar y después el bourride: su plato favorito. Se hizo amiga del personal, e incluso del chef, Daniel Rose, quien, a petición suya, hizo amablemente el bouillabaisse, que estaba fuera del menú, sólo para ella. Las cenas siempre iban acompañadas de abundante vino blanco.
Se pasaba los días en reuniones y llamadas, siempre en su hotel. Acudía regularmente a Christian Zamora por extensiones de pestañas de $400 dólares, o retoques aquí y allá de $140 dólares. Iba al Marie Robinson Salon a teñirse, y a Sally Hershberger por cortes de pelo. Recorrió apartamentos de varios millones de dólares con agentes inmobiliarios ansiosos y contrató un avión privado para un viaje de fin de semana a la reunión anual de accionistas de Berkshire Hathaway en Omaha. Siempre hacía las cosas en exceso: compraba, comía y bebía. Por lo general, llevaba una sudadera de la marca Supreme, pantalones de entrenamiento y zapatillas deportivas, encarnaba un tipo de lujo perezoso.
Anna se registró en el 11 Howard un domingo de febrero y ese mismo día me invitó a almorzar. Mientras estaba afuera, ocasionalmente, me mandaba mensajes de texto, emocionada por regresar y ansiosa por ponernos al día. Me pregunté si se había  mantenido en contacto con otros amigos de esa manera. Tenía una franqueza que podía ser desagradable y un exceso de confianza que me parecía aborrecible y divertido a partes iguales. Era aislada, y me sentí privilegiada de ser una de las pocas personas a las que apreciaba y en la que confiaba. A través de experiencias pasadas, tanto personales como profesionales, estaba acostumbrada al estilo de vida y las peculiaridades de las personas adineradas, aunque no tenía fondos fiduciarios ni ahorros propios. Su mundo no me era extraño, me sentía cómoda en él, y me complacía que ella pudiera decir que me aceptaba como alguien que "lo entendía".
La conocí mejor en el Mamo, en West Broadway. Anna estaba sentada en el sillón en L del lado más cercano a la puerta. Sobre ella colgaba una gran ilustración de Lino Ventura y Jean-Paul Belmondo, ambos sostenían pistolas, flotando sobre un oscuro paisaje urbano, se leía en italiano “ASFALTO CHE SCOTTA,” todo en mayúsculas. Había venido directo de la Apple Store, donde se había comprado una nueva laptop y dos iPhones, uno para su número internacional y el otro para un nuevo número local, me dijo. Ordenó un Bellini, y yo seguí su ejemplo.
Cuando por fin me fui, eran  casi las cinco de la tarde. Caminamos hacía el hotel de Anna donde me invitó a tomar algo. Pasamos por el moderno lobby del 11 Howard, dirigiéndonos hacia la escalera en espiral de acero a la izquierda, que se inclinaba dos veces alrededor de una columna gruesa, elevándose hasta el piso de arriba. En el segundo nivel entramos a una gran sala llamada la Biblioteca.
El diseño de la habitación tenía claras connotaciones escandinavas. Mis ojos exploraron el lugar y se detuvieron en una fotografía que colgaba de un marco frente al escritorio del conserje, una imagen en blanco y negro de un cine vacío, parte de la colección del fotógrafo japonés Hiroshi Sugimoto. La luz emanaba de una pantalla aparentemente en blanco, emitiendo su brillo desde el centro de la composición al escenario vacío, los asientos y el cine. Sugimoto usó una cámara de gran formato y configuró su exposición para que durara toda la película, con la esperanza de capturar los miles de fotogramas de una película en una sola imagen. El resultado fue de otro mundo. Mirar su trabajo siempre me recordó a Shakespeare, una obra dentro de una obra. Capturó energía cinética, portentosa y viva con emoción y luz. La experiencia visual fue invertida: yo era el público, mirando un teatro vacío, debajo de una pantalla en blanco. Cualquier cosa podía pasar, o tal vez ya había sucedido. Tal vez ya estaba todo allí.
Después de ese día de febrero, Anna y yo nos volvimos rápidamente amigas. El mundo parecía encantado cuando ella estaba cerca, las reglas normales no parecían aplicarse. Su estilo de vida estaba lleno de conveniencia, y su materialismo fácil era seductor. Empezó a ver a una entrenadora personal y me invitó a unirme. Los entrenamientos los pagaba ella, ya que insistió, generosamente, que hacer ejercicio era más divertido con un amigo. Íbamos tres o cuatro veces a la semana, y terminando nuestro entrenamiento visitábamos el sauna infrarrojo.
Vi a Anna más mañanas. Durante el día me escribía frecuentemente. Después del trabajo, hacia una parada en el 11 Howard en mi camino a casa. Regularmente íbamos a la Biblioteca por vino antes de bajar a Le Coucou a cenar.
Anna era la que más hablaba. La buscaban mucho ya que había hecho amistad con todo el personal del hotel. Me contaba de sus reuniones con restauradores, administradores de fondos de cobertura, abogados y banqueros, y su frustración por las demoras en la firma del contrato de arrendamiento (ya que quería la Church Missions House). Meditaba sobre los chefs que le gustaría contratar, los artistas que le gustaban, las exposiciones que abriría. Era inteligente. Sentí una mezcla de pena y admiración por Anna. No tenía muchos amigos y no estaba muy cerca de su familia. Me había dicho que su relación con sus padres se sentía basada más en los negocios que en el cariño. Pero era fuerte. Su impulsividad y una especie de falta de tacto habían provocado una ruptura entre Anna y los amigos a través de los cuales la había conocido, pero sentí que la entendía y estaría allí para ella cuando los demás no lo hicieran.
Anna era todo un personaje. Su personalidad era altiva, pero no se tomaba demasiado en serio. Era inusual y errática. Actuaba con el derecho y la impulsividad de una niña malcriada, rara vez disciplinada, compensado por una tendencia a entablar amistad con los trabajadores del hotel en lugar de con la gerencia, y nunca dejaba pasar un comentario ocasional que sugiere empatía (“Es una gran responsabilidad tener personas que trabajen para ti; la gente tiene familias que alimentar. No es un chiste.”).En el mundo de los negocios, dominado por los hombres, no se disculpaba por ser ambiciosa, y eso me gustaba de ella.
Ella era audaz cuando yo era reservada, e irreverente cuando yo era educada. Nos balanceábamos una a la otra: Yo normalizaba su comportamiento excéntrico, mientras ella desafiaba mi sentido de pertenencia y me retaba a divertirme. Y como un bono extra, ella pagaba por todo.
El lunes en la tarde, después de pasar dos días enteros en el palacio amurallado de Le Mamounia. Era tiempo de aventurarnos. Anna buscaba dos cosas: montones de especias dignas de una foto de Instagram y un lugar para comprar algunos caftanes marroquíes. El conserje de La Mamounia organizó todo: en minutos teníamos un guía de turistas un auto y un conductor. Nuestra van se detuvo y fuimos bajando una por una, frescas de nuestra resguardada vida en el resort, al caluroso y polvoriento laberinto de la medina.
“¿Puedes hacer este vestido, pero con lino negro?” Anna le preguntó a la mujer de la Maison Du Kaftan. Antes de que la mujer contestara, Anna continuó, “Quiero uno en lino negro y otro en lino blanco y, Rachel, me encantaría uno para ti también.” Eche un vistazo a los estantes de la tienda mientras Anna se probaba un jumpsuit rojo y varios vestidos transparentes. Me probé algunas cosas, pero, desconfiando del material y los altos precios, pronto me uní al camarógrafo y a la entrenadora en el área de espera de la tienda para servirme té de menta. Anna fue a pagar. Su tarjeta de débito fue rechazada.
“¿Le dijiste a tus bancos que estabas viajando?” Pregunte. “No” fue su respuesta. En ese momento no me sorprendí que la rechazaran. Anna me pidió prestado el dinero, prometiendo reembolsarme la próxima semana. Acepté, con cuidado de no perder el recibo. Deambulamos por la medina hasta el atardecer. De vuelta a la van, nos dirigimos directo a La Sultana para cenar. También pagué por eso, agregandolo a “mi cuenta”.
El martes, estabamos caminando por el vestíbulo de La Mamounia, saliendo para visitar el Jardín Majorelle, cuando un empleado del hotel hizo una seña a Anna para que se detuviera. “Señorita Delvey, ¿podemos hablar con usted?” dijo, mientras la hacía a un lado. “¿Todo está bien?” Le pregunté cuando volvió al grupo. “Si” me tranquilizó. “Sólo necesito llamar a mi banco.”
La siguiente mañana, a mi tambien me detuvieron cuando iba por el vestíbulo: “Señorita Williams, ha visto a la Señorita Delvey?” Mandé a Anna con el conserje. Estaba nerviosa por los inconvenientes. Siempre podías saber cuando Anna estaba nerviosa: hacía ruidos casi cómicos (“uh¡¡¡, ¿por qué?”) y tecleaba furiosa en su teléfono. Dejó la villa y regresó poco después, aparentemente aliviada de que la situación se estaba resolviendo.
Salimos a un viaje de un día a la cordillera del Atlas y regresamos a Marrakech después de cenar esa misma noche, volviendo a entrar en La Mamounia a través del vestíbulo principal. Dos hombres se adelantaron cuando Anna se acercó. La hicieron a un lado y ella se sentó para hacer una llamada, mientras el camarógrafo y yo nos quedamos torpemente a un lado. (La entrenadora estaba enferma en la cama por segundo día consecutivo). Mientras esperábamos, un empleado mencionó que alguien había sido despedido debido a los problemas con el pago de nuestra villa. Una tarjeta de crédito en funcionamiento debería haber estado en el expediente antes de que llegáramos, explicó.
Los hombres nos siguieron de vuelta a nuestra villa, mientras Anna hablaba en su teléfono. Se pararon siniestramente en la entrada de nuestra sala de estar. Les ofrecí sillas, pero se negaron. Les ofrecí agua, sonriendo, tratando de disipar la tensión. Se negaron. Anna estaba frente a ellos, demasiado concentrada. Me disculpé y salí, sintiendo la vergüenza de la situación y pensando que era mejor darle algo de privacidad a Anna, ya que no había nada que pudiera hacer para ayudarla.
En la mañana, desperté con un mensaje de texto de la entrenadora. Aun sintiéndose enferma, quería volver a casa y necesitaba ayuda para hacer los arreglos. Me dio su tarjeta de crédito y reserve un vuelo. Mientras empacaba, llamé al conserje para pedir un auto que la llevara al aeropuerto.
En lugar del auto, cinco minutos después, los dos hombres de la noche anterior reaparecieron en la villa. Deje a la entrenadora y fui a despertar a Anna. Indignada fue a la sala de estar con su celular de vuelta a su oído. Volví a llamar al conserje. “Hola, ¿pueden enviar el auto, por favor?. No, no nos vamos todos; tenemos una compañera enferma y necesita tomar su vuelo. Los demás nos quedamos.” Un auto vino y la entrenadora se fue. El resto de nosotros estábamos estancados.
Anna dejó de hacer llamadas. Estaba sentada sin saber qué hacer. Los hombres insistieron que necesitaban una tarjeta que funcionara para poder hacer el bloqueo de efectivo para la reserva, no para hacer el cobra final, que este podría ser liquidado después. Primero Anna y luego los dos hombres, me presionaron para poner mi tarjeta de crédito para que se realizará el bloqueo mientras Anna resolvía la situación con su banco. Estaba atrapada. Tenía exactamente $410.03 dolares en mi cuenta de cheques. No tenía un transporte alterno desde el hotel, quería ir a casa, y lo más importante, me dijeron que no se haría ningún cargo a mi tarjeta.
Más tarde ese día, cuando American Express marcó mi cuenta por actividad irregular en mis gastos, fui a la recepción para ver porque el “bloqueo” se había registrado como cargos reales. Me dijeron que los cr��ditos para cubrir el total aparecía en mi cuenta. He estado en muchos hoteles y estaba familiarizada con ese proceso: cuando te registras en algún lugar a veces tu tarjeta realiza un pre-cargo que después se acredita en tu cuenta. Pensé que esto era lo mismo. Al menos sabía que Anna era buena para el dinero, la había visto gastar mucho. Y aprendes mucho de alguien cuando viajan juntos.
Deje Marrakech al día siguiente, antes que Anna y el camarógrafo. Cuando llegue a mi destino, recibí un mensaje de texto de Anna prometiéndome que enviaría una confirmación del depósito por correo lo antes posible. Se marchó de La Mamounia y tomo un auto al Kasbah Tamadot de Sir Richard Branson, un hotel en las faldas del Alto Atlas de Marruecos. “Te depositare $70,000 dólares, con eso todo estará cubierto” dijo. De repente comprendí que tenía la intención de dejar los cargos del hotel en mi cuenta, para sumarlos al total de los gastos fuera del hotel. El saldo era mayor a mi ingreso anual. Se sentía como una conclusión inevitable.
Anna se mantuvo en contacto todos los días, pero en las siguientes semanas nunca recibí el depósito que había prometido. Atribuí el retraso a su desorganización e incapacidad de comprender la urgencia de mi situación. Estaba frustrada, pero no sorprendida por su ineptitud, y asumí que las transferencias internacionales se demoran más de lo normal.
Sus mensajes de texto se volvieron cada vez más kafkianos: garantías de reembolso a través de métodos de pago que nunca se materializaron. Creó una red de promesas que se hicieron cada vez más complejas y auto-referenciales. Pense que habia un problema con su fondo fiduciario, y me molestaba que no fuera sincera conmigo.
Cuando regresó a Nueva York, se registró en el Beekman (El Mercer estaba lleno, me dijo). Era reconfortante saber que estaba físicamente cerca, no tan lejos de mi oficina en el World Trade Center. Al menos sabía donde encontrarla. Desafortunadamente, me invitó a unirme a sus usuales visitas con la entrenadora personal. Me negué.
Buscar un reembolso por parte de Anna se convertía en un trabajo de tiempo completo. El estrés consumió mi sueño y alimentó mis días. Mis compañeros de trabajo me vieron consumida. Venía a la oficina con un aspecto pálido y demacrado.
Por fin, un mes después de que me hubiera marchado de Marrakech, Anna afirmó tener un cheque con el depósito. Había estado al norte del estado lidiando con una “emergencia laboral” pero, me dijo, buscaría un banco antes de la hora de cierre y depositaría el cheque en mi cuenta por la mañana. La noticia debería haberme dado un alivio, pero en cambio, me mantuve escéptica.
La mañana siguiente, me presenté sin avisar en el Beekman y llamé a Anna desde el mostrador del conserje. Cuando me respondió sonaba aturdida. “Hola, aquí estoy. ¿Cuál es el número de tu habitación?”, pregunté.
Su habitación estaba hecha un desastre. Los papeles estaban por todas partes. Sus maletas estaban abiertas y se desbordaba la ropa. Su vestido de lino negro de Marruecos estaba en una bolsa de la tintorería colgado en una puerta abierta del closet. “¿Dónde está el cheque?” le pregunté, tratando de simplificar la transacción. Empezó a revisar en las pilas de papeles, miró debajo de la ropa y tiró varias bolsas antes de decir que había dejado el cheque en el Tesla que había conducido desde el norte del estado. Por supuesto, no podía hacerlo fácil. Obviamente, había un problema.
Llamó a la concesionaria del Tesla y luego a la oficina de su abogado (“Él debe tenerlo” dijo). Me negué a irme. Anna dijo que le llevarían el cheque, así que esperé. Fuí con ella a Le Coucou, donde se reunió con un abogado diferente y un administrador de fondos privados. La seguí hasta el vestíbulo del Beekman, donde ordenó ostras y una botella de vino blanco. Me senté en silencio, enviando correos electrónicos del trabajo desde mi teléfono, ignorando en gran medida a Anna, pero observando atentamente y pidiendo actualizaciones periódicamente. Para probar un punto, me quedé hasta las 11 pm. Me fui muy enojada, diciendo que volvería a las 8 am para poder ir juntas al banco. Estuvo de acuerdo. “Espero que al menos te hayas divertido” me dijo con una sonrisa pícara. “No, no fue divertido. Esto no está bien.” balbuceé con incredulidad.
A la mañana siguiente, llegué al hotel a tiempo. Anna no estaba allí. Estaba furiosa. Su evasión manifiesta confirmó lo que más temía: Anna no era de confianza.
Finalmente (¿Por qué me tomó tanto tiempo?) comencé a investigar por mi cuenta. Me contacte con los amigos por los que conocí a Anna, y ellos me hablaron de un tipo que le había prestado dinero. Era alemán, como ella, y conocía a Anna desde que vivía en París. Me contó una historia que fue alarmante y tranquilizadora al mismo tiempo. Dijo que, después de semanas de insistir, recuperó su dinero con la amenaza de involucrar a las autoridades, ya que Anna siempre decía tener miedo a ser deportada. “Su papá es un multimillonario ruso”, dijo. “Exporta petróleo de Rusia a Alemania”. Obviamente, los detalles venían directo de Anna, pero no cuadraban, ella me había dicho que sus padres trabajaban en energía renovable. Dijo que Anna le había dicho que recibía alrededor de $30,000 dólares al comienzo de cada mes y que heredaría $10 millones en su cumpleaños 26, el pasado enero, pero como era un desastre, su padre había dispuesto que la herencia se retrasara hasta septiembre de ese año, pocos meses después.
Sabía que algo no estaba bien. Busque una manera de contactarme con sus padres, pero no encontré ninguna. En la semana del 4 de julio, mientras estaba en Carolina del Sur con mi familia (que no sabían nada de la situación), recibí un mensaje de la entrenadora. Me dijo que Anna estaba durmiendo en su sofá, ¿Que no tenía un lugar para quedarse?. Dos días después, Anna me escribió, me pregunto si podía quedarse en mi departamento. Le dije que no.
Al día siguiente, Anna me llamó llorando “No puedo estar sola en estos momentos” suplicaba. Le ofrecí verla en su hotel, “Tuve que irme, ¿puedo ir contigo?” preguntó. Dije que no y colgué. Entonces mi conciencia sacó lo mejor de mí, y le regrese la llamada: “Puedes venir, pero no te puedes quedar”. Llego a mi puerta pasada una hora. No tenía la energía para abordarla, así que dije muy poco. Mi pequeño departamento tenía un terrible desorden, la manifestación física de mi estado mental: pilas de papeles, cajas, ropa y varias cosas. Me disculpe por el desorden. “No necesitas disculparte conmigo” me dijo. Tenía razón. Tome la decisión consciente de poner la otra mejilla. Ordené dos ensaladas y puse el Diario de Bridget Jones. Cuando me preguntó si podía dormir en mi sofá, ni siquiera me sorprendí.
Incluso en esos momentos, trate de tener un punto de vista optimista de la situación: mi amiga se había topado con un inimaginable hechizo de mala suerte; y cualquier día podía resolverse. Este optimismo es una de mis características definidas, mi talón de Aquiles. Fue por lo que me hice amiga de Anna en primer lugar: una suspensión voluntaria de mi juicio, una falla que buscaba lo mejor en los demás y justificaba lo peor.
Anna sin duda podía ser lo peor. En una ocasión, antes del viaje a Marruecos, la gerencia del 11 Howard le preguntó a Anna si podía pagar sus reservaciones por adelantado. Ella se molesto por el trato tan irregular: “Nadie más tiene que hacerlo” protesto. Como venganza, tomó nota de los nombre de los gerentes generales. Una vez que se fue, me dijo, compró los dominios de internet correspondientes. Entonces les envió correos electrónicos mostrandoles lo que había hecho. “Los devolveré por un millón de dólares, cada uno” me dijo. Era un truco que había aprendido de Martin Shkreli (a quien admiraba, e incluso decía que lo había visto una o dos veces). Traté de racionalizar su afinidad con las “travesuras”, incluso si el estómago me daba vueltas. Me quedo con eso para lidiar con las consecuencias.
El primer día de Agosto, entre a una estación de policía en el barrio chino. Había tenido suficiente. Le conté mi historia a un teniente. Este se enfocó en el asunto de Marruecos y me dijo que había un problema jurisdiccional insuperable. “Pero con su cara”, dijo, “podría empezar una colecta en GoFundMe para recuperar su dinero”. Me sugirió probar en un tribunal civil. Cuando salí empecé a llorar.
Cuando pare de llorar, me fui directamente al tribunal civil más cercano. Encontre un centro de ayuda y hable con una mujer a través de una división de plexiglás antes de que un hombre con pantalones kaki me acompañara a su cubículo. Le conté mi triste historia. “Bueno, caray, estoy un poco celoso de que puedas ir a Marruecos” respondió. Trató de ayudar ofreciéndome folletos de abogados pro-bono y fundaciones de ayuda, ya que el dinero involucrado sobrepasaba el límite financiero tratado en un tribunal civil, dijo. Me fui sintiéndome muy angustiada.
Y luego llegó el momento decisivo: un episodio que se desarrollo como el clímax de un drama puesto en escena. Anna reapareció en el vestíbulo del departamento de la entrenadora, justo cuando salía del tribunal civil. La entrenadora me llamó inmediatamente y decidimos confrontar las dos a Anna. También invitó a una amiga suya (ya que pensó que sería útil), y las cuatro nos fuimos al Frying Pan, un bar en la autopista West Side. Anna estaba llorando detrás de sus gafas de sol, llevaba usando el mismo vestido durante semanas (un préstamo de su noche en el departamento de la entrenadora). “¿Han visto lo que dicen de mí?” se quejó. Aparentemente, la noche anterior, se publicó un artículo en el New York Post donde llamaban a Anna “aspirante a socialité”, ya que había “estafado” a la gerencia del Beekman durante su estancia, sus pertenencias habían sido detenidas. Estaba siendo acusada de varios delitos menores, incluyendo un vergonzoso incidente de cena y corre.
En una mesa en la terraza, rodeadas por jóvenes profesionales que disfrutaban de una bebida después del trabajo, nosotras cuatro estábamos en nuestro pequeño mundo. “Estamos aquí porque queremos ayudarte”, empezó la entrenadora. “Pero para hacer eso, necesitamos escuchar la verdad, Anna”. Era la misma canción de siempre: Anna se mantuvo fiel a su historia, afirmando que todo lo que había dicho era verdad; nada era su culpa. Anna se sentó frente a mí mientras las otras presionaban sin descanso por respuestas, por nombres, por una manera de encontrar a su familia. Dije muy poco, preferí mirar. Parecía estar flotando fuera de mi cuerpo, mientras las lágrimas corrían por mis mejillas. Contra los gritos y acusaciones, el rostro de Anna asumió un vacío inquietante, sus ojos estaban vacíos. De repente me di cuenta de que no la conocía en absoluto. Con esta epifanía surgió una especie de liberación y una extraña calma. Entendí la ira y la incredulidad de las otras; había tenido los mismos sentimientos durante meses. Pero había llegado al otro lado y sabía que solo había una respuesta.
Al día siguiente, mandé un correo electrónico a la Oficina del Fiscal de Distrito del Estado de Nueva York, enviando un link con el artículo sobre Anna: “Creo que esta chica es una estafadora”, escribí. Una hora después, mi celular sonó. El identificador de llamadas decía “Estados Unidos”. Tome la llamada mientras me alejaba de mi escritorio. “Creemos que tiene razón”, contestó una voz.
La asistente del fiscal de distrito me confirmó que Anna Sorokin (a.k.a. Anna Delvey) era objeto de una investigación criminal en curso.
El último miércoles de agosto, bajé torpemente mi bolso de mano al suelo, apoyándolo contra la pared, antes de darme la vuelta para enfrentarme a la sala de jurados de Manhattan, casi dos docenas de caras que me recordaban el aula de un colegio. Asumí el puesto de profesor, aunque casi no estaba en condiciones de enseñar al grupo: yo, la tonta, un caso lamentable. Y luego recordé una clase que podría estar calificada para enseñar, o al menos podría ser una profesora invitada, la única en la que había recibido un A + durante mi tiempo en Kenyon: "El juego de la confianza en Estados Unidos" un curso de inglés de nivel avanzado impartido por Lewis Hyde, quien escribió un libro sobre tramposos (Trickster Makes This World). Bueno, al menos la ironía fue gratificante.
Me paré detrás de una pequeña mesa de madera en el frente de la habitación. El taquígrafo de la corte se sentó a mi izquierda, y la asistente del fiscal de distrito estaba en un podio a mi derecha, junto a un proyector. La presidenta del jurado, una chica de mi edad, se sentó en el centro de la fila de atrás y preguntó desde arriba: "¿Juras decir la verdad, toda la verdad, y nada más que la verdad?" Lo hice.
Fuí víctima de un presunto gran robo en segundo grado (gran robo por engaño). “¿Cuánto gana en un año?” me pregunto la asistente del fiscal. Junto a ella, en la pared detrás de mi silla, había un pantalla, en la que se mostraba una hoja de cálculo de todos los cargos que había en mi cuenta relacionados con Marruecos. En la parte inferior de la pantalla, se leía el total: $62,109.29. “Habría ido a este viaje de saber que tendría que pagar todo?” continuo la asistente del fiscal. La idea era risible, inclusive mientras lloraba.
No fui la única que había creído en Anna. En la audiencia ante el gran jurado, Anna fue acusada de seis cargos de delito grave y un cargo de delito menor. Me di cuenta del alcance de su engaño cuando más tarde leí la acusación. Fue acusada de falsificar documentos de bancos internacionales que muestran cuentas en el extranjero con un saldo total de aproximadamente 60 millones de euros. Según un comunicado de prensa de la Fiscalía de Distrito del Condado de Nueva York, a fines de 2016, llevó estos documentos al City National Bank en un intento de obtener un préstamo de $ 22 millones para la creación de su fundación artística y su club privado. Cuando el City National Bank negó el préstamo, ella mostró los mismos documentos a Fortress Investment Group en Midtown. Fortress acordó considerar el préstamo si Anna proporcionaba $ 100,000 para cubrir los gastos legales y del proceso.
El 12 de enero de 2017, casi un mes antes de que regresara a Nueva York, Anna obtuvo un préstamo de $100,000 del City National Bank al convencer a un representante del banco para que le permitiera sobregirar su cuenta. Al parecer, le prometió al banco que enviaría los fondos en breve para cubrir el sobregiro (una melodía familiar). Y le dio el dinero del préstamo al Fortress.
En febrero, cuando Anna volvió a mi vida, Fortress uso aproximadamente $45,000 de los $100,000 de Anna y estaba tratando de verificar sus activos para completar el préstamo. Para este punto, Anna se retiró. Me dijo que su padre se había enterado del trato y que no le gustaban los términos. Se retiró y mantuvo los $ 55,000 restantes del préstamo del City National Bank, que Fortress había devuelto. Aparentemente, así es como ella pagó por su estilo de vida: el 11 Howard, las cenas, las sesiones de entrenamiento personal y las compras.
Entre el 7 y el 11 de abril, Anna, supuestamente, depósito $160,000 en cheques sin fondos en su cuenta de Citibank y transfirió $70,000 a otra cuenta antes de que los cheques rebotaran. Nunca pagó a Blade el avión privado de $35,000 que había alquilado para ir a Omaha en mayo. En agosto, abrió una cuenta de banco en Signature Bank y, de acuerdo con las declaraciones, depositó $15,000 en cheques sin fondos. Retiró aproximadamente $8,200 en efectivo antes de cerrar la cuenta. Ella era, supuestamente, una “estafadora de cheques”.
La realidad de los tratos tras bambalinas de Anna, sigue siendo vertiginosa hasta el día de hoy, supuestamente, estaba orquestando un sistema tan elaborado mientras mantenía una superficie creíble, manejando su tarjetas de débito para pagar las cenas, entrenamientos, productos de belleza y tratamientos de spa. Ella creó una ciudad reluciente y sin problemas: lo que sea que quisiera comprar lo compraba, a donde quisiera ir iba, ya fuera en taxi o en avión. La audacia de su actuación se vendió sola, hasta que colapsó por el peso de su ambición. Es una de las razones por las que le creí, y continué creyendo en ella: ¿quién pensaría inventar una historia tan elaborada y seguir así durante tanto tiempo? ¿Quién era ella? ¿Cómo sabes quien es quien dice ser realmente? El 9 de junio, Anna me envió $5,000 a través de PayPal. Pensé que me estaba evadiendo, pero este gesto me derrumbo. Sabiendo lo que sé ahora, ¿por qué siquiera me dio algo? Seguramente, me habría pagado la cantidad completa si pudiera, ¿verdad?
Se programó que Anna compareciera ante el tribunal el 5 de septiembre, por los delitos menores que salieron en las noticias, incluida su estancia supuestamente robada en Beekman, pero nunca apareció. Retome la comunicación con ella a través de un mensaje de texto, como si nada hubiera pasado. Había ido a la costa oeste y se internó en una clínica de rehabilitación en Malibú. A principios de octubre, cuando estaba en Beverly Hills para la cumbre anual del New Establishment de Vanity Fair, Anna y yo organizamos un almuerzo. Nunca llegó. Fue arrestada en Los Ángeles el 3 de octubre y procesada en un tribunal de Manhattan el 26 de octubre. Actualmente está detenida sin derecho a fianza en la isla Rikers.
Para este artículo, se contactó al abogado de Anna, Todd Spodek, quien tenía una visión mucho más “ligera” de los asuntos relacionados con Anna. "La carga recae directamente en un prestamista para llevar a cabo la debida diligencia apropiada antes de otorgar crédito de cualquier tipo", escribió, "y para documentar los términos del préstamo. Este es un asunto civil, y el recurso apropiado para la Sra. Williams es demandar a la Sra. Sorokin por incumplimiento de pago de un préstamo, no iniciar cargos penales”. Afirmó que “la Sra. Williams no tiene ni un ápice de pruebas para respaldar ningún acuerdo, de ningún tipo, en absoluto ".
Anna me dijo una vez que sus planes o funcionaban, o iban horriblemente mal. Ahora veo lo que quiso decir. Fue un truco de magia, me avergüenza decir que yo fui uno de los respaldos y también parte de la audiencia. Anna era un hermoso sueño de Nueva York, como una de esas noches que nunca parece terminar. Y luego llega la cuenta.
CORRECCIÓN: una versión anterior de esta historia identificó erróneamente la audiencia del gran jurado en la que se acusó a Anna Sorokin. Fue una audiencia, no un juicio.
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luisdemen · 3 years
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Introducing The Land Rover Defender 'Reformed'... I realise that I'm in danger of becoming a Land Rover appreciation page based on how often Solihull's finest (oxymoron?) have been appearing on my feed recently, but how could I not share this fabulous machine currently live on Collecting Cars..? There's not much not to like about this stunning 'resto-mod' Land Rover Ninety. From the choice of colour, to the soft top and the blend of old and new... And that interior, with a restored dashboard from a '58 Series IIa with restored Jaeger instruments and classic period toggle switches...! What a machine! This is clearly a very special vehicle indeed. Currently in Ireland, and available via Collecting Cars. Love it! - ☎️Enquirers: @collectingcars 📸Photos: Neil Kavanagh @neiljkavanagh 🚙Vehicle: @deanemotorsdublin 👁Follow: @IZZOLIauto #LandRoverDefenderReformed #LandRoverDefender #IZZOLIautomobilia https://www.instagram.com/p/CEbZbf-jALz/?igshid=22c1ir3cl2x9
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sucede-es · 4 years
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1984 Land Rover 110 Dormobile Overlander
La historia de este Land Rover Defender de 1984 es exactamente lo que Land Rover pretendía: una larga historia de aventuras offroad desde que el todoterreno salió de la fábrica en Inglaterra.
Originalmente vendido a un ciudadano francés y especificado con el paquete de aventura, este Defender fue comprado por una pareja en Alemania que actualizó el interior y lo envió de regreso a través del Canal para la conversión en Dormobile. Pasó los siguientes años aterrizando en el norte de Europa antes de ser comprado por un distribuidor estadounidense y vendido a su propietario actual. Allí, el diésel original fue reemplazado por modernos tanques de combustible de 300Tdi de rango extendido para 965 Km de alcance. Un panel solar y generador Goal Zero proporcionan energía fuera de la red, con un refrigerador / congelador y una combinación de calentador y estufa a diesel para mantenerlo en marcha mientras está lejos del resto de la civilización.
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presocrasis · 4 years
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Por eso todo sucedió en la noche
Octubre 2018
No fue en la noche, fue a la madrugada. Pero incluso antes que el atardecer perdiera sus últimos resplandores, débiles pálpitos lo habían hecho pensar en eso, en no terminar extraviado cuando diera el salto de un plano al otro, en estar atento para que la alternativa riqueza de las cosas no lo apartara de lo esencial y así poder situarse distanciada e incontrastablemente de cara a su objetivo, no al modo de los otros, que cuando conocieron su historia se vieron adentrados en la minuciosa vorágine de la desconcertante singularidad. Él no. Él esperaba algún signo revelador en cualquier momento, que la música del azar lo pusiera en contacto con alguna entidad profunda del otro lado, el suyo. Eso era realmente lo que esperaba y era la confianza a la que se atenía, la del sentido de una justicia bruscamente emergente, que irrumpiera repentina y violenta, que al punto cero, que al punto de inicio, por flojo y mediocre que fuera, por tambaleante que pudiera parecer, lo nutriera alguna afantasmada sustancia de rabia capaz de irradiar toda la atmósfera de significado y así cumplir el cometido. Quedaría agradecido con la orientación del instinto. Por eso todo sucedió esa noche, muda y torrencial, bajo un cielo negro que tempranamente empezó a estremecerse de relámpagos electrizantes. Tomó el tren que de Coimbra lo llevaría a Sagres. Y precisamente ahora que la máquina se había puesto en marcha tenía una imperceptible sensación de desánimo, como una desalentadora constatación de algo que definitivamente no se recupera, la socarrona burla del azar diciendo a mi maraña de confusión no la detiene es nada. Temió estar desorientado sin saberlo, que la multiplicidad de los instantes hubiese desdibujado lo esencial en su interior, la caída de la estantería, se dijo, y la angustiante posibilidad de haber perdido el hilo de las cosas lo atenazaba;  así, el salto a la hora próxima quedaba suspendido. En ese momento el futuro no era para él más que un punto borroso, el loco extravío de un eslabón en la interminable cadena llamada destino. 
Para empezar este frío aguacero que ahora fustigaba la ventana nada tenía que ver con la oleada de calor que venía agobiando a la ciudad desde la semana pasada
–qué cambio tan repentino del clima –dijo la mujer que venía en frente. 
La lamparita de mesa del vagón arrojaba una tenue luz que contrastaba con la oscuridad exterior. La mujer podía tener más o menos su misma edad. Pelo largo negro, dócil, que caía con sensual ondulación de su sombrero de ala estrecha; apenas maquillada; llevaba una blusa de manga larga de mezclilla con estampado florido, ni muy ajustada ni muy holgada. 
–nos está salpicando el huracán –respondió él, a quien le pareció sencilla pero evidente su belleza.
–imagínese –replicó amablemente la mujer– si así es tan lejos… ¡Pobre gente allá, al otro lado! –y ofreciendo su mano bajo una suave sonrisa dijo–: me llamo Julieta
–Encantado –respondió él– Antonio, Antonio González, para servirle
Las circunstancias se habían reunido como un mal presagio, debió haberlo previsto, como heraldos perniciosos de un porvenir malsano, en todo caso, no como llamados a la memoria de lo planeado. Lo que había sucedido era inapelable, al menos Antonio lo veía así, claramente una seguidilla de similitudes, algo menos simple que el azar, tres augurios que llamaban a su puerta inequívocamente. Había conocido Ishtar Bar la noche que lo citaron, en la noche también hizo suya a aquella mujer del tren. <<Y…>> se quedó buscando algo en la memoria con la mirada perdida en el vacío. <<y si el clima de estas últimas noches es tan raro, por algo será>> se dijo. ¡Cómo no atender aquella carambola de extrañeces nocturnas! Por eso se decía que todo había sucedido en la noche.
Por eso todo sucedió a esas apartadas horas, porque para empezar la noche en que lo citaron era fresca, con rumor de invierno, rara en comparación a las calurosas del resto del mes, impregnada de una temperatura menos húmeda de lo habitual, hasta misteriosa, pensó luego, a solas en su vagón, contemplando a través de la ventana el paisaje afantasmado de aquella noche. 
Para esa ocasión, cuyo recuerdo no lo quemaba como debía esperarse, había parado en una caseta a comprar cigarrillos. Colgaban a la venta algunas revistas y periódicos. Uno de los titulares anunciaba: Irma y Victor, tras Florence, con el mapa de meteorología de fondo, en el que supo leer los intrincados indicadores geológicos de las coordenadas, meridianos y paralelos que mostraba la infografía sobre la tormenta que se avecinaba. 
–Debe ser lo más pronto posible –le había dicho su contacto, Enrique.
La opacidad del lugar no impedía ver a este hombre curtido en los comercios de la vida, caradura de esquina, marginal con guantes de seda, mayor turbiedad creaba la música. Unos gruesos lentes lo hacían parecer un topo pero todos sabían que era zorro. Trabajaban juntos en el despacho de investigaciones, pero no era propiamente científico como Antonio. Era el empresario, el efectivo contante y sonante, la cara visible del respaldo: la costura de la Operación Coimbra.
–¿Está usted seguro que él tiene los bonos en su poder?
–Sí –le respondió el topo con determinación –por eso debe ser lo más pronto –y apartando el vaso con wisky puso sobre la barra la foto de un hombre blanco vestido de frac, barba tupida, cabello engominado y gafas estilo piloto.
–Lo más pronto posible – dijo martillando con su dedo la indeseable cara. Terminó su wisky de un trago largo. Concluyó:– no se preocupe, es un hombre de conductas inmodificables, sus costumbres son casi inalterables. Será presa fácil.
Antonio no habría caminado una cuadra cuando quiso comprar un cigarro. A la altura del parque se dio cuenta que había olvidado su encendedor, un Zippo cromado con una cachemira persa grabada a laser en la parte delantera. Su ex esposa se lo regaló para una navidad. Un grupo de personas que hacían yoga discutían si continuar o no. <<si el cielo está rojo es porque va a llover>> dijo alguien. Al regresar sintió alivio al ver que el encendedor aún estaba allí, de modo que lo recogió y dio media vuelta, atrapado por el musical hechizo de un bolero que tocaba la orquesta. 
–hey, hey– le pareció escuchar que lo llamaban. 
<<Qué raro>> pensó Antonio, otro colega del Instituto de Hidrología y Meteorología. Desechó su alarma al comprobar que el tipo estaba medio borracho. 
–A fe mía –dijo el conocido, tambaleante y hablándole fastidiosamente casi en la cara –usted tendrá más estilo que muchos de ellos. ¡No se por qué piensan despedirlo!
–gracias, gracias –respondió un tímido y azorado Antonio –no se preocupe por eso
–¡Cretinos! –dijo el hombre, con el vaso en una mano y otra en el hombro de Antonio – ¡Cretinos! ¡Eso es lo que son! Hablaba yo con el viejo Keegan, el portero de la empresa. ¿Y qué tal el nuevo jefe, pa?, le dije. ¿No hay mucho movimiento ahora? ¡Movimiento!, me dijo, ¡es capaz de vivir del aire que le da un abanico! ¿Y entonces sabe que me dice?
 –¿Qué?
–<<¿Qué pensarías de Antonio, si te digo que viene en las noches con permiso del jefe?...>> Ayyy papá –exclamó el borracho– todo el mundo sabe que te echaron a la boca del lobo
Al salir, una ráfaga de viento frío golpeó su rostro. Para encender su cigarro tuvo que intentarlo de nuevo, esquiniado y haciendo una barrerita con la mano. Debo apresurarme, se dijo, alzando el cuello de su gabán, no sea que se suelte el aguacero y termine echándome para atrás. Sabía que tenía que ponerse en marcha o caería en un vacío fatal, se expondría a una inercia que marcaría el principio del fin. La decisión estaba tomada. De modo que cogió el teléfono.
-Aló –dijo Antonio –¿hablo con el doctor Enrique? ¿Enrique Lua?
–Sí, con él –dijo el otro con voz ronca– ¿Es usted? ¿Antonio?
–Sí, doctor. Viajaría ahora mismo si fuera posible
 Enrique en persona fue quien lo recogió. En la puerta de su casa, 402 calle terranova. Condujeron un buen tramo por la autopista nororiental, cruzaron la calle 15, doblaron por la avenida pasoancho y al llegar a la estación por una de las entradas laterales parquearon frente al edificio principal, un antiguo palacio barroco de piedra y mármol cuya exuberante torre de granito estaba coronada por un enorme reloj circular incrustado en el alto dosel. Los rodeaba el enorme parque central de los eucaliptos, flanqueado de verdes pinos que el ventarrón zarandeaba.
–El último tren saldrá en la madrugada –le dijo Enrique cuando volvió con los boletos en la mano y se los pasó a través de la ventana de su camioneta land rover color marrón. 
Antonio bajó y, tras abrir el paraguas, tomó su maleta de los asientos traseros. La luna estaba más alta. La tormenta estaba por desatarse. Antonio se puso los guantes y se frotó sus manos. Hacía frío.
–Para cuando todo esté terminado me das una llamada –y Enrique cara de topo le alcanzó una tarjeta, señalando con el dedo un número telefónico: –como te dije, en dos días parto a Lisboa. 
Estrecharon las manos. 
A mitad de trayecto la lluvia había arreciado y Antonio se apoltronó cómodamente en el vagón, echándose su chaqueta encima. Notó que su compañera leía una revista vanifarándula y pudo ver en la portada la foto de Helenita, estrella del éxito televisivo yo canto mejor. Envuelto en medio de la oscuridad rural, ese tren parecía una flecha de fuego atravesando la serpenteante colina.
–Seguro que no parará pronto de llover –fue entonces cuando dijo Julieta. 
Habían estado conversando, bebiendo una botella de vino que Antonio pidió cuando pasó el carrito de la cena. El calor del cavernet hizo su efecto y pronto estuvieron trabados en un tremendo beso tras las cortinas cerradas del vagón. Cuando llegaron a su parada él le dio una tarjeta
–Llámame –dijo Antonio, tomándola de la mano –creo que esta noche alcanzo a estar por aquí. 
La mujer se despidió desde el andén cuando el tren se puso en marcha. Antonio se quedó viéndola a través de la ventana, y habiéndose desplazado un tramo considerable se dio cuenta que de continuar lloviendo, sería lógico que Mr. Henchy no saldría en la mañana de su casa, impedido por la lluvia y en cambio sí lo haría en la noche, pues durante el resto de día los trámites personales lo tendrían ocupado. <<Es un hombre de conductas inmodificables>>. Si sus costumbres son casi inalterables como se me ha dicho, pensó, debe tratarse de un hombre al que rige la lógica, no la monotonía. Seguro lo guían el sentido del orden, la proporción y el límite, no un vulgar impulso de repetición. 
Y lo habría hecho esa noche si no hubiese contestado la llamada en la tarde. La lluvia había menguado pero el sol no se decidía a salir y el clima aún era frío. Los charcos sobre el pavimento replicaban el color grisáceo del cielo. Había quedado con Julieta, la mujer del tren, y al despertar al otro día en medio de las sábanas y ver que ella no estaba se maldijo por el tiempo perdido. Un día se había aplazado el plan. En la mesita junto a un vaso que contenía restos de vino estaba una nota: <<fue fantástico. No quise despertarte. Quizás podamos vernos más tarde>>. 
 Pero Antonio sabía que no había más tarde. En el camino decidió parar en una cafetería de la calle João Gonçalves “para pensarse las cosas un poco más detenidamente”. Pidió una aguapanela caliente, y la mezcló con el jugo de un limón exprimido. Sería esta noche. Fue por eso que ya no quiso contestar la llamada de la mujer, ni siquiera la de su hijo, que lo hizo recordar que aun no había comprado el regalo que le prometió al muchacho, el telescopio Vixen. 
 No dejaba de sorprenderle aquel chico, en plena rebeldía de la adolescencia. Cuando aún era niño, y Antonio lo llevaba de paseo se quedaba mirándolo y pensaba que su futuro carecería de los sobresaltos típicos del destino pueril y al menos que la catástrofe se cruzara en el camino, la vida de ese niño sería cumplidamente aburridora, dado su carácter solícito. Podía imaginárselo con perfecta nitidez afrontando la pubertad, la adolescencia e incluso la mayoría de edad, en fin, en su comercio con el loco mundo, obviando descaradamente las inciertas sendas por las que puede optar una vida, e independientemente de si lograba ser un profesional o no, lo proyectaba siempre tal cual como era ahora, obediente, acatando órdenes, callado y solícito. 
 Aducía en gran parte esa conducta a la crianza que le había dado su madre. Cuando ellos se separaron, y a despecho suyo le dio la custodia del niño a la exesposa, estaba convencido de que lo confinaba al estrecho mundo de una mujer vana y superficial, que vivía en función de frivolidades y sin ningún tipo de intereses trascendentales. Y de alguna manera era justificable aquella desazón porque desde que Antonio empezó a trabajar, primero en el Observatorio Municipal y luego en el Instituto de Hidrología y Meteorología, siempre quiso inculcarle el amor por el universo, abismarlo en los misterios planetarios y más allá de eso encender en su espíritu la curiosidad por el conocimiento. Pero nada de esto atrajo nunca a aquel retraído niño, siempre inclinado hacia el ala sobreprotectora de la mamá y atenazado por una pasividad sobrenatural. Por eso cuando fue a despedirse y le preguntó qué quería que le trajera de su viaje quedó sorprendió al escuchar la respuesta.
–Lo que tu quieras papá – había dicho el muchacho –y luego de pensárselo un poco, dijo:– 
pero lo que más me gustaría es un telescopio.
Antonio había pensado en un tipo preciso de aparato. En realidad, uno sencillo, sin exagerada tecnología, quería que fuera como los primeros que él probó cuando empezó en la dependencia nocturna como jefe director de Ciencias Planetarias, cargo que dicho sea de paso, consiguió por concurso y a decir verdad con honores. Y pensar que nada de esto había servido. Aquel borracho tenía razón, lo habían echado a la boca del lobo para luego dejarlo abandonado. Ninguno de sus méritos lo tuvo en cuenta el Comité y de repente había salido lo de este enjuiciamiento que lo tenía a puertas del despido. Además la Junta Directiva no veía con buenos ojos el hecho de que en los últimos años viniera amparando sus investigaciones científicas con citas tomadas de un corpus teórico perteneciente a la cosmología, a la astrología y al tarot.
–por ese tipo de artículos –dijo el Presidente –es que somos el hazmerreír de la Comisión de Física y Robótica
–Es cierto –dijo otro miembro sentado en aquella larga mesa –no se imaginan los rumores que corren por los pasillos 
–Sí, esto es bochornoso. La astronomía no es astrología –terció un hombre con cara de topo que se encontraba al lado del ventanal –además es una magnífica oportunidad de sumar nuevos talentos, cambiarlos por los empleados antiguos, necesitamos gente más capacitada en adelantos tecnológicos para levantar esta dependencia tan caída y venida a menos.
Por supuesto había hablado Enrique. Doctor Enrique Lua Nunes, el mismo que había citado a Antonio aquella noche en el bar Ishtar, el mismo que se encargó de sacar adelante el proyecto Coimbra, cuya primera movida fue trasladar a Antonio a la dependencia de Investigaciones Aurora, dependencia en la que, en últimas, lo que se hace es atender Quejas y Reclamos, ínfima tarea en comparación con el desarrollo investigativo que Antonio lideraba desde hacía una década. Era Enrique quien ahora ocupaba el cargo vacante que dejó Antonio tras su salida. Era Enrique quien le había filtrado lo dicho en aquel Comité. Y Era Enrique quien le había sugerido a quién eliminar, era él quien ahora precisamente le daba las coordenadas de un macabro plan diseñado para patear esa piedra en el camino, para que Antonio pudiera enderezar su rumbo.
Esa misma noche, después de hablar con Enrique en el bar, sonó el teléfono, justo al entrar a su casa 
–tres días para la fecha fijada
–aló –alcanzó a decir Antonio –¿Quién habla? –preguntó, pero colgaron del otro lado.  
Antonio se quedó escuchando el repiquetear continuo del timbre telefónico en su habitación. Rápidamente salió del pasmo y se propuso identificar la voz, asemejarla con alguna conocida, tenía la sensación que aquel tono había quedado atrapado en su mente como mariposa en red. A pesar de la rapidez, aquello no significaba que no hubiera alcanzado a tener una percepción más o menos confiable como para alcanzar a describirla. Era la voz de un octogenario, había hablado pausado, seguramente un perro viejo. <<¿Y si hubiese sido el borracho del bar?>> pensó, tal vez había estado actuando, cumpliendo un rol secundario, de escudero o algo así, y había estado siempre ahí para espiarlo y cuando lo vio regresar se sorprendió.
En fin, se dijo con preguntas algo más confusas que claras, cargado de paranoia, atenuada por la prevención, que para qué este método de…..¿Acaso era una suerte de intimidación? Descorrió las cortinas de su habitación y se asomó por la ventana. ¿Suponían que él se echaría para atrás? La calle estaba quieta y vacía. Solo un viejo Cadillac parqueado en la esquina. Sacó un revólver del cajón de su mesa de noche, lo cargó y terminó de empacar. Bueno, era normal si pasaba esto, es decir, si recibía llamadas o tenía gente tras de sí. Antonio ya no desandaría el camino. La muerte llegó en tren. Asesinado reconocido empresario: fue un tiro de gracia, titularon los periódicos de Coimbra al día siguiente. La noticia iba acompañada de la foto de un hombre con gafas abaleado adentro de un Land Rover color marrón en el parqueadero de la terminal de trenes. 
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ukclassiccars · 6 years
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eBay: Land Rover Series 2a 109" SW (Nut & bolt resto/ Galvanised Chassis /Bulkhead) http://rssdata.net/QKhdF1 #classiccars #cars
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brandonnatali · 4 years
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Ineos Grenadier: First Official Images, Details of New Defender-Homage Off-Roader
Ineos Grenadier: The Origins
When Land Rover ended production of the original Defender in 2016, more than two million of the rough-and-rugged utility vehicles had been sold, the majority of which continue to exist on roads today. Add to that the millions of Jeeps and other off-road ready vehicles sold through the decades, plus the recent resto-mod trend of restoring classic SUVs with modern mechanicals and you have to ask yourself: Does the world really need another go-anywhere, do-anything utility vehicle? Yes, it does, says Jim Ratcliffe, an English former chemical engineer who went on to found the U.K.-based petrochemical giant Ineos, becoming a business executive reported to be worth some $15 billion in the process.
Ratcliffe, no stranger to the charms of the original Land Rover Defender in his far-flung travels to locales such as Africa and Iceland, was so dismayed that production of the iconic off-roader was ending that he offered to buy the tooling from Jaguar Land Rover and build the darn thing himself. After being rebuffed by JLR, Ratcliffe did the next best thing. He assembled a team of designers and engineers to create something of a tribute to the Defender, an all-new vehicle called the Ineos Grenadier. The model name comes from The Grenadier, a posh London pub where Ratcliffe first envisioned the vehicle he’s hoping to have in customers’ hands in 2021.
Ineos Grenadier: Form over Function
The Ineos Grenadier is designed as a no-nonsense, get-it-done utility vehicle with a rugged steel ladder frame and beam axle suspension front and rear, just like the Defender which its design unapologetically apes. That boxy, upright profile, the twin circular headlights and front grille with vertical bars all scream “Defender!” loudly enough that JLR’s legal team tried to block the design from reaching production. That argument failed in an English court, and now the exterior design is finished, locked in, and has finally been shared with the world after months of leaked images of camouflaged development mules.
Despite the similarity in appearance, designer Toby Ecuyer says that the Grenadier’s various chassis and body parts share virtually no interchangeability with the Land Rover icon and, true enough, Ecuyer has added some nifty features. For example, no roof rack is needed to carry loads atop the Grenadier; standard integrated roof bars and load pads are secure enough to hold just about anything you can hoist up there. Asymmetrical rear doors, one larger and one smaller, allow quick access to items in the cargo area, while also giving a large enough aperture to load a pallet inside.
“The Grenadier is built on purpose,” says Ecuyer, “Function over form. If it hasn’t got a function, it shouldn’t be part of the form.” Ecuyer, who designed luxury yachts before embarking on the Grenadier project, studied the stark purposefulness of various off-road vehicles as inspiration when drafting his initial sketches. “You could stand back from a distance and see how they were built,” Ecuyer says, “how the structure was built, how the doors fitted on.”
Ineos Grenadier: Rugged Body with BMW Power
The Grenadier is said to be built as tough as it looks. The front fenders are strong enough to sit on, while a utility rail runs around the cabin’s perimeter to hang various accessories and knick-knacks from—or to lash gear to. Wiring for auxiliary lights and the like is pre-installed, with access points at the front and rear of the roof. The interior design is not yet finalized, but we’re told switchgear will be largely BMW parts-bin pieces, some modified specially for use in the Grenadier.
Moreover, Ineos supports a sort of “open source” design style with the Grenadier, meaning that while the automaker itself will offer accessories specifically made for its off-roader, it will also share vital specs with third parties to design their own lines of add-ons.
Ineos’ Grenadier gets its power from BMW’s 3.0-liter turbocharged inline-six, mated to a ZF eight-speed automatic transmission. No manual gearbox will be offered, at least initially, with Ineos deciding that most of its prospective customers will fare better with an automatic. A mechanical center differential is standard with locking functionality optional, while the axles are produced by a European tractor supplier for durability. Despite the premium powertrain, Ineos says the Grenadier won’t have a very premium price. Land Rover’s new Defender will start around $50,000 when it arrives in showrooms shortly, but the Grenadier is hoped to cost closer to the Jeep Wrangler’s roughly $30,000 base price when it arrives in 2021. Production will be near Ford’s soon-to-be-shuttered Bridgend engine plant in Wales.
Ineos Grenadier: Production and Future Plans
Ineos is intent on selling the Grenadier globally at volume of 25,000 per year, meaning that yes, if and when the final production vehicle arrives to market, there should be an option to buy one in the United States. Ineos is still exploring strategies for its sales and maintenance network, which will likely mirror Tesla’s direct-to-consumer model in those U.S. states that allow it. Ineos is looking at many possible target buyers for the Grenadier, including enthusiast end users, fleet sales as off-road rentals, and even farm work vehicles. While the Grenadier will launch in four-door SUV form, the company acknowledges that other variants—such as a four-door pickup truck version—will likely follow. Ineos points, in part, to a rising upscale four-door truck market in Europe as justification.
While the Ineos Grenadier is intended as a rugged, no-frills SUV, company reps do suggest that in the spirit of the original Land Rover Defender, the Grenadier is expected to be able to be used as a regular around-town vehicle, and will be comfortable and indulgent enough for that purpose. Magna Steyr has partnered with Ineos for assistance in vehicle development, and soon the Ineos team will begin putting some 1.1 million development miles on the Grenadier over the next 12 months. Without any low-volume exemptions for crash testing, the Grenadier will also have to pass safety standards before coming to market; that’s part of what spelled the original Defender’s demise.
But still, we’re faced with the ultimate question: Does the world need yet another go-anywhere, do-anything vehicle? Ineos is betting it does with its near-$1 billion venture to bring the Grenadier to market. Either way, we’re looking forward to seeing the Grenadier in its final production form.
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Ineos Grenadier: First Official Images, Details of New Defender-Homage Off-Roader published first on https://kwsseuren.tumblr.com/
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iamspeedrunner · 4 years
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Wild 1993 Land Rover Defender For Sale - Starting a complete restoration is nerve wracking. The issues of where to find NOS parts and the itch to resto-mod can and will complicate your build. That is why Osprey Custom Cars specializes in late-model Defenders. Taking them down to every nut and bolt allows each build to be better than new. Such is the case with this wild 1993 Land Rover Defender for sale. Once the body was off the frame was not worthy of modern performance. Therefore they start... by @iamspeedrunner. Also, check out https://www.iamspeedrunner.com
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italianaradio · 4 years
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Mercato auto: l’usato batte il nuovo, in calo il diesel e le ibride faticano a decollare
Nuovo post su italianaradio https://www.italianaradio.it/index.php/mercato-auto-lusato-batte-il-nuovo-in-calo-il-diesel-e-le-ibride-faticano-a-decollare/
Mercato auto: l’usato batte il nuovo, in calo il diesel e le ibride faticano a decollare
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Mercato auto: l’usato batte il nuovo, in calo il diesel e le ibride faticano a decollare
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L’ambiente è ormai una priorità globale e se non sono i cittadini a prendere iniziativa, ultimamente sono le istituzioni a dare le indicazioni da seguire contro l’inquinamento, a partire dal blocco delle auto. A farne le spese sono soprattutto i veicoli diesel.
Sebbene non ci siano studi che mettano tutti d’accordo sulla pericolosità inquinante del diesel, nel dubbio molte amministrazioni locali hanno emesso una vera e propria condanna politica sulle auto a gasolio, con un pesante contraccolpo sulle vendite.
A gennaio 2020 le auto usate restano la prima scelta degli italiani che vogliono cambiare veicolo. Nel confronto tra diesel e benzina, i veicoli a gasolio però sono in picchiata sia tra i privati che tra i professionisti. Ovviamente a fare la differenza è anche lo stato dell’auto e il tipo di manutenzione effettuata, scegliendo sempre ottimi pezzi di ricambio che si possono trovare ad esempio sul sito euautopezzi.it
La lettera ‘scarlatta’ con cui è stato bollato il diesel, si ripercuote ovviamente sulle vendite, in forte calo sia in Italia che nel resto d’Europa. Secondo i dati del Centro Studi di Autoscout24 e di Aci, lo scorso anno le vendite delle auto usate diesel ha toccato quota 51,1%, registrando una crescita del 3,3% rispetto al 2018. Paradossalmente tra le vetture nuove il diesel ha conosciuto una brusca frenata, con una contrazione del -22,2%. Nel 2019, in media, un veicolo usato è stato pagato 13.715 euro, l’età media di un’auto di seconda mano è di circa 8,2 anni.
Anche i modelli a benzina registrano buone performance, mentre sempre sul fronte dell’usato le ibride fanno fatica a decollare con una percentuale dell’1,1% .
Tra le ibride la più richiesta è la Toyota Auris, mentre tre le elettriche è la Tesla Models. Sempre secondo i dati registrati dal PRA ed elaborati da ACI, nel 2019 sono state vendute 159 vetture usate ogni 100 nuove. Si è arrivati al picco l’ultimo mese dell’anno, visto che a dicembre la quota ogni 100 auto nuove è salita a 169 veicoli.
Altroconsumo, assieme ad altre associazioni per i diritti dei consumatori in Francia, Belgio, Spagna e Portogallo ha invece stilato la classifica delle auto più affidabili del 2020. In Europa 43 mila consumatori hanno dato un punteggio sulla soddisfazione dell’auto, la manutenzione e riparazione dei guasti.
A brillare sono le giapponesi con la Toyota. Nelle ultime posizioni ci sono Tesla, afflitta da numerosi difetti anche negli USA, Fiat, Lancia e Land Rover, sebbene a distanza di pochi punti dalle Case auto migliori 2020.
I guasti più frequenti alle auto in Europa sono però di natura elettrica e riguardano l’impianto. Il problema meccanico più diffuso invece riguarda i freni. Le avarie elettroniche sul funzionamento del motore sono al terzo posto per frequenza.
L’ambiente è ormai una priorità globale e se non sono i cittadini a prendere iniziativa, ultimamente sono le istituzioni a dare le indicazioni da seguire contro l’inquinamento, a partire dal blocco delle auto. A farne le spese sono soprattutto i veicoli diesel. Sebbene non ci siano studi che m…
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Nadia Sessa
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