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#il primo commento di mia madre è stato 'mi ricorda qualcuno'
omarfor-orchestra · 7 months
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Comunque com'era prevedibile mio padre non ha detto mezza parola sul film anzi secondo me si è mezzo offeso
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paoloxl · 6 years
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Il 16 marzo 2003 nel quartiere Ticinese, zona sud di Milano, moriva sotto i colpi delle lame fasciste Davide Cesare, da tutti conosciuto con il soprannome di “Dax“. Venerdì prossimo, 16 marzo 2018, saranno passati esattamente 15 anni da quei tragici fatti. Dax cadde vittima di un aggressione di tre neofascisti, un padre e due figli: Giorgio, Federico e Mattia Morbi. I tre volevano vendicare una scazzottata che aveva visto coinvolto Federico Morbi una settimana prima. Dalla colluttazione il camerata ne uscì con danni minimi, guaribili in pochi giorni, ma ciò lo convinse di due cose: il fatto di farsi giustizia da solo e che il suo aggressore fosse sicuramente una “zecca” del posto. I tre nostalgici del ventennio aggredirono Dax, ed altri tre suoi amici, davanti al centro sociale autogestito O.R.So. (Officina di Resistenza Sociale) situato in via Brioschi. Due degli aggrediti la pagarono cara: Alex, un amico di Davide, venne colpito da numerose coltellate nelle parti vitali e dovette subire una complicata operazione chirurgica che durò tutta la notte; per Dax, invece, non ci fu nulla da fare ed arrivò all’ospedale San Paolo già cadavere. Nel frattempo i compagni, cui era giunta notizia dell’aggressione, si recarono numerosi presso la struttura ospedaliera milanese per accettarsi delle condizioni di salute dei loro amici. Una volta giunti sul posto, però, subirono ripetute cariche,da parte dei poliziotti presenti sul posto, nell’atrio dell’ospedale. Nessuno seppe mai giustificare il perchè di una decisione così violenta.Durante i disordini, come fatto venire a galla durante il processo che ne seguì, furono usate, da parte dei poliziotti, delle mazze da baseball per disperdere gli antifascisti. Per questi motivi i celerini vennero denunciati e le normali funzioni ospedaliere del San Paolo sospese per l’intera notte. Molti degli appartenenti alle forze dell’ordine che subirono un processo vennero scagionati o condannati a pene irrisorie: tali sentenze furono confermate dalla Corte di Cassazione nel 2009. Due compagni di Dax, invece, sono stati condannati ad una pena di un anno e otto mesi per ciò che avvenne all’ospedale San Paolo. Lo stesso spazio sociale davanti a cui è avvenuta l’aggressione è stato sgomberato nell’ottobre 2006. In questi anni Dax è stato ricordato da molti: tramite canzoni scritte per lui, ma anche attraverso opere di street art in varie città, non solo italiane. La stessa madre del giovane, Rosa Piro, non ha mai smesso di portare avanti la memoria del figlio in vari modi. Ad esempio è entrata in contatto con Stefania Zuccari, la madre di Renato Biagetti: un altro giovane ucciso dalle lame fasciste nell’estate del 2006, per testimoniare la storia di Dax all’interno del comitato di “Madri per Roma Città Aperta“. Alcuni giorni fa abbiamo avuto il piacere di intervistare la stessa signora Rosa per farci raccontare che persona era Dax. 1) Il prossimo 16 marzo saranno 15 anni dall’omicidio di suo figlio Davide. Come vive questo periodo signora Rosa? “A marzo arriva la primavere rinizia la vita nelle piante,le giornate si fanno più lunghe ed il sole inizia a scaldarci un pò.  Come lo vivo? Io vivo, e credo lo viviamo, unendomi a chi ha amato mio figlio, come un periodo che purtroppo arriva e mi ricorda ancora di più quello che ogni mattino è il primo pensiero: Davide non c’è più. Poi vedo la mia famiglia, i miei figli, mio marito, i miei nipoti, gli amici che in tutta Italia, e non solo, mi hanno fatto sentire la vicinanza e la solidarietà. Il periodo si affronta a testa alta con un peso sul cuore ma con la convinzione che bisogna affrontarlo con la massima determinazione per far sì che ciò che è successo a Davide non succeda più a nessun altro“. 2) Che persona era Dax? Quale era una sua qualità che ricorda in particolare? “Davide era un ragazzo con uno splendido sorriso, con una voglia incredibile di mettere la sua vita a disposizione delle lotte che gli riempivano il cuore. Credo che questo lo capivano in tanti vedendo quante persone, dopo il 16 marzo, ci hanno voluto bene“. 3) Quei neofascisti che le hanno ammazzato il figlio, in questi ultimi tempi di campagna elettorale, sono tornati prepotentemente alla ribalta a suon di coltellate e di aggressioni agli antifascisti. Pensa che sia cambiato qualcosa tra i camerati che ammazzarono Dax e quelli del giorno d’oggi? “Dal 2003 ad oggi ci sono stati altri morti: Renato a Roma, Abba a Milano, Niccolò a Verona e mi fermo qui perchè l’elenco sarebbe lungo ma soprattutto, purtroppo, incompleto perchè oramai si muore di fascismo nei posti di lavoro tra precarietà, sfruttamento e ricatti, nelle strade e soprattutto tali aggressioni iniziano ad avvenire anche nelle scuole: un luogo dal quale dovrebbe iniziare la formazione per il futuro dei nostri ragazzi. Si muore anche di polizia perchè è un’altra faccia del fascismo di stato. No, non è mai cambiato nulla, anzi, si è radicata la violenza nei linguaggi di certi esponenti politici che sono i mandanti morali di tali aggressioni. La loro coscienza è sporca e dovrebbero riflettere perchè ogni parola ha un suo peso. Non ultima la tentata strage di Macerata e l’omicidio di Firenze. Ti viene dello sgomento, ma l’importante è definirli camerati e fascisti e non pazzi come qualcuno prova a dipingerli“. 4) Le istituzioni politiche nazionali attuali, basti pensare a Marco Minniti e ad Attilio Fontana, portano avanti inquietanti argomenti che richiamano molto gli ideali del Ventennio. La cosa la preoccupa? “Preoccupata? Quando sei un partito che si definisce di sinistra e dai risposte a problemi con atti dichiaratamente di destra ottieni quello che ottieni. Chi è Minniti?Chi arriverà dopo di lui sarà peggio e credo che sia un riflessione che il PD deve fare sentendosi responsabile del futuro che ci aspetta“. 5) In un primo momento anche l’omicidio di Dax, come quello di Renato Biagetti, venne descritto non come un fatto politico ma come una bravata di alcuni ragazzi. Un suo commento al riguardo? “Come tutte le aggressioni fasciste degli ultimi anni mi viene da dire che solo il lavoro dei compagni a ridosso degli avvenimenti ha smascherato tutto. Ovviamente con un prezzo dato che tanti di loro hanno le vite rovinate da procedimenti penali ed amministrativi. Ma noi abbiamo l’arma della solidarietà e la usiamo“. 6) Le istituzioni locali, in questi 15 anni, le hanno mai offerto un qualche tipo di supporto? ” 15 anni fa le istituzioni locali, nel giorno dei funerali, hanno proclamato il lutto cittadino ed hanno sostenuto tutte le spese, ma allora c’era una giunta di sinistra. Rifondazione Comunista mi ha dato un supporto legale. I compagni di tutta Italia, e di altre parti d’Europa, hanno avviato una campagna di solidarietà a favore di Jessica per aiutarla a completare gli studi. Naturalmente il mio grazie va a tutti“. 7) Ogni 16 marzo migliaia di persone, in tutta Italia, ricordano suo figlio. La cosa la sorprende? Si aspettava questa forte solidarietà? ” La frase “Dax vive nella lotta” non so se me la aspettavo perchè non credo che una mamma imposti la sua vita pensando che possa succedere un fatto simile. Ti senti investita, ed anche se la perdita di un figlio crea un buco incolmabile, tale solidarietà, forse, ti dà una forza particolare in certi momenti difficili“. 8) Riuscirà mai a perdonare gli assassini di suo figlio? ” Il perdono è un sentimento molto difficile da esprimere. Nessuno mi ha chiesto il perdono da quella famiglia. Oltre a non perdonare, quindi, non dimentichiamo l’accaduto evitando di perdere il pensiero in tale sentimento. Preferisco unirmi ad altre mamme e papà che hanno vissuto il nostro dolore ed insieme ci prendiamo la responsabilità di lottare contro il fascismo sempre un passo avanti. Come faceva mio figlio“. In chiusura del pezzo ricordiamo che venerdì 16 marzo 2018 i compagni e le compagne di Dax hanno organizzato un corteo che sfilerà per le strade del capoluogo lombardo per commemorare questo giovane antifascista meneghino a 15 anni dalla scomparsa e per ricordare i fatti di quella che viene descritta come “la notte nera di Milano“. Il corteo ricorderà anche la figura di Rachel Corrie: ragazza americana di 23 anni morta nella città palestinese di Rafah, nelle stesse ore in cui spirava Dax, dopo essere stata travolta da un tank israeliano mentre stava lottando contro lo sgombero abitativo di alcuni palestinesi. L’intento, quest’anno, è di ricordarla e di attraversare i confini per condividere storie di donne. I volti di Dax e Rachel si affiancano a quelli di altre donne che nel mondo hanno lottato contro fascismo, patriarcato e capitalismo. Il concentramento del corteo è per le ore 19 a via Brioschi 32. La partenza fissata intorno alle 20:30. Roberto Consiglio da OltreMedia
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traceofaftersound · 6 years
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Cose che ho collezionato qua e là in Giappone
Ero al primo anno di liceo quando una compagna di classe mi ha fatto scoprire i Pizzicato Five, gruppo iconico dello Shibuya-kei e del revival anni sessanta nel pop anni novanta. L’album che precede il loro scioglimento è datato 2001 e si intitola “Ça et là du Japon”, decisamente non uno dei migliori, anzi, a tratti quasi troppo fastidioso persino per essere messo di sottofondo mentre si lavano i piatti, ma interessante perché si configura come un’ironica miscellanea di brani che citano vecchi successi o addirittura pezzi tradizionali giapponesi, o che ancora giocano sagacemente con gli stereotipi orientalisti e auto-orientalisti sul Giappone visto dai Paesi d’oltreoceano e viceversa. Ho deciso di citare quest’album perché è con lo stesso spirito che scrivo questo post dopo TANTISSIMO. In questi mesi il mio tempo libero è stato assorbito principalmente da un progetto di cui qualcuno sa già ma che prima di fare appelli alla nazione vorrei avere la certezza di vedere concretizzato (non vi preoccupate, se e quando lo sarà non mi esimerò dallo sbandierarlo a destra e a manca fino a venire eliminato da tutti i miei contatti per spam lol), quindi non sono materialmente riuscito ad aggiornare il blog, ma siccome mi è comunque capitato di andare qua e là, ho pensato che fosse arrivato il momento di raccogliere tutto in una sorta di zibaldone di esperienze anche non proprio freschissime che probabilmente risulterà poco brillante (meno del solito? challenge accepted lol) ma che non solo a rileggerlo un giorno ma addirittura soltanto a scriverlo mi farà pensare con nostalgia ad alcune cose.
💿 La Chinatown di Yokohama.
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「ヨコハマもいいね!」► スキヤキ・ソング
Mentre quella di Kōbe, sorta nel 1868, si chiama Nankinmachi (南京町, ‘la città di Nanchino’, nomenclatura che io pensavo si applicasse a tutte le Chinatown e che usavo indistintamente, fino a che non sono stato corretto con tanto di commento “si vede che sei stato in Kansai” lol), quella di Yokohama, di quasi una decina d’anni più antica, si chiama Chūkagai (中華街, ‘città cinese’), e mentre la prima è poco più di una stradina, la seconda è tipo un mega quartiere dove vendono di tutto, e dove ho lasciato del tè al lichi in foglie che tuttora mi pento di non aver comprato e che è il motivo principale per il quale ci tornerò lol.
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Degno di nota il Kanteibyō, vistoso tempio dedicato a Guāndì, generale cinese le cui gesta sono cantate nelle Cronache dei Tre Regni (in cui tra l’altro si narra che, giustiziato dopo essere caduto in trappola, sarebbe riuscito a eliminare il proprio nemico giurato Lǚ Méng addirittura da morto) e successivamente divinizzato come dio della guerra e delle arti marziali.
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“Se non posso uccidere Lǚ Méng da vivo, lo farò da morto!” Onestamente, non mi ricordo questa scena, di Red Cliff mi ricordo solo Takeshi Kaneshiro ehm cioè, Zhūgě Liàng lol
💿 Ho finalmente scoperto che pianta è il rampicante che ricopre casa mia, una delle cose che tra l’altro mi hanno affascinato di questo appartamento quando l’ho scelto. All’inizio credevo fosse edera, ma le foglie erano abbastanza diverse, e mi è stato suggerito che poteva essere forse vite, fintanto che quest’autunno non ha fatto i frutti e no, non era uva, ma degli strani pomodori spugnosi e oblunghi che ho scoperto chiamarsi karasu-uri in giapponese (烏瓜, “la cucurbitacea dei corvi”), nome scientifico Trichosanthes cucumeroides, quindi della famiglia delle zucche, dei meloni e delle zucchine, che in teoria dovrebbe essere anche commestibile seppur non particolarmente prelibata.
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Ho inoltre scoperto che c’è una canzone popolare dedicata a questo frutto, ambientata nientepopodimenoche ad Asagaya, a una fermata di treno da dove abito io. Coincidenze??? Non credo proprio.
💿 La galleria d’arte Dorado Gallery a Waseda.
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Ora, non vorrei dire, ma... non vi ricorda in maniera inquietante Casa Batlló di Gaudí a Barcellona? Uscito dalla stazione della metropolitana di Waseda stavo camminando verso la fermata del tram (il tram per davvero eh, non quello che io a Vicenza chiamo tram ma che in realtà è un autobus), che non sapevo neanche esistesse ancora a Tokyo e che al solo salirci mi ha ricatapultato in un passato che non ho mai vissuto, quando mi si para davanti questo inspiegabile edificio che, boh, non lo so, solo a me sembra meravigliosamente fuori posto e fuori contesto? Ma cosa ci fa qui? Ma cosa mi rappresenta?
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💿 Salendo sul tram al capolinea di Waseda si arriva in poche fermate a Kishibojinmae, nella zona di Zōshigaya, dove sorge un tempio dedicato a una divinità molto particolare.
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Kishibojin (o Kishimojin, 鬼子母神, i cui quattro caratteri significano rispettivamente ‘demone’, ‘figlio’, ‘madre’ e ‘divinità’) è il nome con cui in Giappone è nota Hārītī, divinità buddhista che nasce come demone femminile che rapiva i neonati per darli in pasto alla propria numerosissima prole, sino a quando Buddha non le sottrasse un piccolo per dimostrarle quanto dolore aveva inflitto alle madri a cui aveva sequestrato i figli. Pentitasi, Kishibojin si convertì e divenne la divinità protettrice dei bambini e delle madri a cui garantiva un parto indolore. Invece della carne dei neonati, cominciò a nutrirsi di melagrane, che con i loro semini simboleggiano innumerevoli figli, e che per questa ragione si dice portino fertilità alle donne e liberino dagli spiriti maligni i bambini che le mangiano. Non è quindi un caso che nel giardino del tempio di Zōshigaya siano piantati diversi melograni, alberi che non mi capita spessissimo di vedere a Tokyo e il cui frutto ho dovuto cercare in tre supermercati e due fruttivendoli diversi quella volta che mi è servito lol.
A parte il fatto che trovo assolutamente affascinante il parallelismo che si potrebbe fare con la mitologia greca, a partire dalla figura di Lamia (chi ti infamia) che, con un percorso opposto, vistasi uccidere i figli da Era che voleva punirla per essere stata l’amante di Zeus, si trasforma in una cannibale a caccia di bambini (al contrario della nostra fruttariana ante litteram lol), senza parlare poi della melagrana che nel mondo classico è il frutto infernale per eccellenza che Persefone mangia nell’Ade, un’altra cosa che mi ha intrigato è stato scoprire che il primo carattere di Kishibojin, quello di ‘demone’ 鬼 nel suo nome viene scritto senza il tratto in cima perché si tratterebbe della rappresentazione delle corna che ha perso dopo essersi convertita in una divinità.
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Ecco, così. Tra l’altro mi è tornato in mente che la variante senza corna l’avevamo già vista in tempi non sospetti quando siamo andati a vedere il kiraigō 鬼来迎 nel cartello che li indicava a Mushō.
💿 La tomba di Natsume Sōseki nel cimitero di Zōshigaya.
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「吾輩は猫である。」 “Io sono un gatto.”
Il cimitero di Zōshigaya ospita le tombe di diverse celebrità letterarie tra cui Nagai Kafū, Izumi Kyōka e appunto Natsume Sōseki, compianto autore di svariati romanzi tra cui “Kokoro” (“Il cuore delle cose”, edizioni Neri Pozza che mi sento in dovere di citare per orgoglio vicentino lol), in cui tra l’altro la tomba dell’amico del protagonista si trova proprio nel cimitero di Zōshigaya, in cui ora lo scrittore stesso riposa:
“[La moglie del maestro] Disse molto gentilmente che il marito era fuori. Aggiunse che ogni mese, proprio quel giorno, aveva l’abitudine di andare a portare i fiori a una tomba nel cimitero di Zōshigaya. «È uscito proprio adesso. Saranno dieci minuti!» disse la signora con aria dispiaciuta. Io salutai e me ne andai. Dopo un centinaio di metri in direzione della tumultuosa città, mi venne voglia di fare una passeggiata a Zōshigaya. Mi spinse anche la curiosità di vedere se avrei incontrato il maestro. E tornai sui miei passi.
Entrai dalla parte sinistra di un orto, passai quindi nel cimitero e camminai lungo un ampio viale ornato con alberi di acero. Proprio allora, da una casa da tè che si scorgeva sul fondo, uscì a un tratto una persona che assomigliava al maestro. Mi avvicinai fino al punto da vederne la montatura degli occhiali brillare al sole, e gridai di soprassalto: «Maestro!» Egli si fermò di colpo, e mi guardò. [...] Attraversammo il cimitero per raggiungere la strada. Accanto alla tomba di una certa Isabel e di un certo Rogin, credente cristiano, si ergeva un cippo su cui era scritto: «Tutti gli esseri viventi portano in sé l’essenza di Buddha». C’era anche la tomba di un ministro plenipotenziario. E ce n’era un’altra, molto piccola, su cui erano incisi gli ideogrammi Andorei: chiesi al maestro come si dovessero leggere. «Probabilmente Andrea», rispose con un sorriso amaro. […] Ad una estremità del cimitero, dove una grande pianta di ginkgo si ergeva quasi a nascondere il cielo, lui guardò in alto, verso la cima, ed esclamò: «Tra poco sarà bella! Diventa completamente gialla e la terra, sotto, si copre di foglie dorate!» Una volta al mese passava inevitabilmente in quel luogo. [...] Io non avevo una meta precisa, per cui seguii il maestro. Era più silenzioso del solito, eppure non mi sentivo troppo a disagio, e camminai lentamente con lui. «Ritorna subito a casa?» «Sì. Non devo andare da nessun’altra parte.» Scendemmo la collina in silenzio, verso sud. «Lassù c’è la tomba della sua famiglia?» chiesi di  nuovo. «No». «È sepolto lì qualche suo parente?» «No». Non aggiunse altro. Anch’io, a quel punto, troncai il discorso. Poi, dopo un po’, ritornò inaspettatamente sull'argomento. «C’è la tomba di un mio amico». «Tutti i mesi va a fargli visita?» «Sì». Quel giorno non disse altro.”
💿 Il quartiere di Sugamo, conosciuto come la Harajuku dei vecchi lol. Era dai tempi del mio stage alla Camera di Commercio Italiana, quando un mio collega (ciao Ale!) me ne aveva parlato definendolo esattamente come sopra, che pensavo di andarci per vedere se fosse effettivamente così, ma con i miei fenomenali tempi di reazione dal dire al fare sono passati tipo due anni 🙈 Se la strada principale di Harajuku è Takeshita-dōri, Sugamo (so che è stupidissimo, ma tutte le volte questo nome mi fa tornare in mente lo spot della De Longhi col gondoliere che urla “chi ga sugà el canal??”) si sviluppa lungo una via che si chiama Jizō-dōri. I negozi che si trovano lungo questa strada si rivolgono palesemente a un pubblico di terza età, fetta di mercato di cui d’altra parte non si sottovaluta alcun tipo di esigenza dato che vi sono anche diverse bancarelle che espongono con spregiudicatezza della provocante biancheria rossa, e non in occasione del Capodanno.
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A Sugamo si trova anche uno dei sei Jizō di Edo, sei statue assise di Jizō (bodhisattva dei viaggiatori e dei bambini, in particolare di quelli mai nati) che vennero commissionate nei primi anni del 1700 e posti in diversi templi della città. Oggi ne restano cinque, uno dei quali è appunto custodito nel tempio Shinshōji a Sugamo.
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💿 Il Kiyosumi-teien, giardino designato “sito di bellezza paesaggistica” dalla città di Tokyo nel 1979.
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Nel periodo Edo, in questa zona sorgeva la residenza di un ricco mercante, Kinokuniya Bunzaemon. Tra il 1716 e il 1735, divenne la seconda casa di Kuze Yamatonokami, un signore feudale dell’odierna prefettura di Chiba. Nel 1878, questo terreno fu acquistato da Iwasaki Yatarō, fondatore della Mitsubishi, che ne fece un giardino che fungesse da luogo ricreativo per i suoi impiegati e per accogliere gli ospiti - proprio per quest’ultimo scopo venne edificato il padiglione Ryotei, una sorta di palafitta che riprende lo stile delle case da tè. Dopo il Grande Terremoto del Kantō nel 1923 e durante i bombardamenti aerei del 1945, servì come rifugio per gli sfollati, e fu donato alla città e aperto al pubblico nel 1932. Il giardino è nello stile kaiyū 回遊, cioè a circuito, e il laghetto al centro originariamente era alimentato dal fiume Sumida, che era stato appositamente deviato, mentre attualmente viene abbeverato solo dall’acqua piovana. Le pietre disposte al suo interno, tra cui quelle che formano delle passerelle note come iso-watari (磯渡り, “attraversamento di sassi”) provengono da tutto il Giappone, ed è presente anche una stele di pietra dedicata al poeta Matsuo Bashō su cui è riportato il suo famoso haiku “Vecchio stagno / una rana ci salta dentro / rumore d’acqua”.
E a proposito di Bashō, poco distante dal Kiyosumi-teien si trova una statua del poeta seduto davanti a ciò che resta del Saito-an (採荼庵), residenza del suo discepolo Sugiyama Sanpū e punto di partenza del suo viaggio iniziato il 27 marzo 1689 e riportato nella raccolta poetica “Oku no Hosomichi” (奥の細道, “Lo stretto sentiero del nord”). Immediatamente nelle vicinanze si estende un lungofiume puntellato di targhette in legno su cui sono incisi alcuni haiku del maestro.
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Cercando di fare ‘la mossa’ in un fallimentare tentativo di approccio. Matsuo-sensei, straziami ma di Bashi saziami.
💿 Kawagoe, la “piccola Edo”. Situato ad appena mezz’oretta di treno da Tokyo, nella prefettura di Saitama, questo ridente borgo con le sue case simili a magazzini (蔵造り kurazukuri) dovrebbe mantenere almeno nell’architettura l’atmosfera del periodo Edo (1603-1867), quando ricopriva un importante ruolo politico e militare per la protezione che offriva alla città di Tokyo (al tempo Edo, appunto) da nord. Oggi l’unico ruolo che ricopre è quello di produttore di una birra alla patata dolce, praticamente la sola risorsa di Saitama lol, l’omonima birra Coedo. A dominare lo skyline di Kawagoe è la torre dell’orologio (時の鐘 Toki no Kane, ‘la campana del tempo’), il cui suono, udibile quattro volte al giorno (le 6 del mattino, mezzogiorno, le 3 del pomeriggio e le 6 della sera) è stato selezionato come uno dei 100 più rappresentativi del Giappone.
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A riprova del ruolo strategico di Kawagoe, anticamente era presente anche un castello dove risiedevano gli emissari dello shōgun mandati da Edo, ma fu smantellato nel 1870. Ne resta solo una porzione nota come Honmaru Goten, che giustamente era chiusa alle visite quando ci sono andato.
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Altro punto d’interesse della zona è il Kita-in, un tempio buddhista della setta Tendai fondato nell’830 da Ennin (quello dello Yamadera e dello Zuiganji, ma di preciso quanti templi ha fondato questo?). Inizialmente faceva parte di un complesso di tre templi (Kita-in, Naka-in e Minami-in, rispettivamente il tempio del nord, del centro e del sud), ma nel 1599 assunse il ruolo di centro principale e i caratteri del suo nome vennero modificati da 北院, ‘tempio del nord’, che aveva una connotazione sinistra, a 喜多院, ‘tempio delle molte gioie’. Tappa obbligatoria, dunque, per tutti coloro che fanno parte del team #maiunagioia.
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Proprio lì accanto, in un padiglione separato, si trovano anche i 500 Rakan, 540 statue scolpite tra il 1782 e il 1825 che rappresentano i discepoli di Buddha e sono una diversa dall’altra.
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La leggenda vuole che se si riesce a individuare durante la notte l’unica statua la cui pietra è calda, il giorno dopo se si ricorda la posizione in cui si trova si scoprirà che è quella più simile a sé. Avete capito cos’ho detto?
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Boh, ma d’altra parte pure i cartelli a Kawagoe danno delle indicazioni alquanto criptiche:
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...Okay.
Quello che vi posso dire è che tra i 500 Rakan se ne nascondono 12 che portano con sé gli animali dello zodiaco cinese, come una guida volontaria giapponese ha fortissimamente voluto comunicarmi in inglese nonostante a più riprese gli abbia risposto in giapponese, ma d’altra parte è colpa mia che dovrei imparare a stare al mio posto e a parlare la lingua che ci si aspetta da me.
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Sotto il segno della pecora! 🐑 Tra l’altro nello zodiaco occidentale sono Capricorno mentre in quello cinese pecora, in sostanza...
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Ciliegina sulla torta, ho tenuto da ultimo il monumento più rilevante e rappresentativo di Kawagoe, che sicuramente molti di voi conosceranno:
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Ma chi se l’è arrubbata?
Nonostante saccheggi i nostri monumenti più preziosi, devo dire che Kawagoe non mi è affatto dispiaciuta, anche se avrei voluto avere più tempo per girarla con più calma. Altro errore madornale è stato andarci d’inverno: conoscendomi, dovrei sapere ormai che se voglio fare del turismo devo aspettare la bella stagione perché camminare fuori al freddo mi indispone tantissimo. Mi sono quindi ripromesso di tornarci d’estate, quando avrà anche più senso fermarsi a bere una birra per rinfrescarsi.
💿 Approfittando del fatto che la tradizionale gara di sci intercamerale mi aveva riportato nella prefettura di Nagano, sono tornato a Matsumoto per vedere il museo civico che ospita alcune opere di Kusama Yayoi, originaria appunto della città. Devo dire che mi sono ritrovato a chiedermi come diamine sia riuscito l’anno scorso a vedere in una giornata sia Matsumoto che Nagano senza sbattermi particolarmente a pianificare cambi e coincidenze, visto che quest’anno a causa della penuria di treni ho perso ore ad aspettare nelle stazioni e non avevo ricordi di averci messo così tanto per gli spostamenti. A parte questo, comunque, Matsumoto si riconferma una cittadina molto graziosa, con il suo castello e le Alpi giapponesi ad abbracciarla. Questa volta sono riuscito anche a farmi una passeggiata lungo Daimyōchō-dōri, una via che avevo già adocchiato durante la mia prima visita ma che non avevo avuto tempo di esplorare. Piena di negozietti che si susseguono in piccoli chioschi di legno, è qui tra l’altro che si trova il santuario di Yohashira, dedicato alla dea del Sole Amaterasu e a tre divinità primigenie, Takami-musubi no Kami, Kami-musubi no Kami e Ame no Minaka-nushi no Kami. So che sembra una supercazzola, invece è tutto scritto e documentato nel Kojiki, il testo che racconta il mito fondativo del Giappone.
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Motivo pricipale del ritorno a Matsumoto come accennavo era il museo di Kusama Yayoi, inconfondibile fin dalla facciata esterna che già vi catapulta nel mondo a pois dell’artista.
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All’interno le opere esposte non sono tantissime devo ammettere, quindi non so se da solo varrebbe un viaggio fino a Matsumoto, ma se uno è in città indubbiamente vale la pena di farci un salto. Anche solo per vedere con che dedizione tutto è uniformato alla poetica di Kusama Yayoi, persino i distributori automatici lol.
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💿 A proposito di Kusama Yayoi, dato che evidentemente non ne avevo avuto abbastanza lol, meno di tre mesi dopo sono andato a visitare il museo di Tokyo a lei dedicato, aperto nel gennaio 2017 e dai racconti che avevo sentito all’epoca preso talmente d’assalto che per i primi mesi i biglietti erano già tutti esauriti. I quadri esposti occupano una stanza al secondo piano, e li conoscevo perché praticamente li avevano già esposti tutti alla mostra che avevano fatto su di lei al Centro di Arte Nazionale di Tokyo, mentre è stato decisamente molto interessante entrare nella stanza delle zucche dove finalmente ho visto con i miei occhi una riproduzione delle sue famose installazioni giocate sulla luce, sul buio e sulle immagini delle zucche riflesse allo specchio.
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💿 Il centro di cultura e turismo di Asakusa, e la vista del Sensōji che si può godere dalla terrazza all’ultimo piano.
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Left pic: © L.S.
Quest’edificio è firmato dal famoso architetto Kuma Kengo, che tra l’altro abbiamo avuto l’onore di avere come speaker a uno degli eventi della Camera Svizzera. Credo che non dimenticherò mai il giorno della presentazione in cui l’ho incontrato di persona e, dopo aver scambiato mail con il suo ufficio in giapponese ma ricordando loro a più riprese che l’evento sarebbe stato in inglese, mentre lo accompagnavo al podio mi fa con estrema nonchalance: “Ma posso parlare tutto il tempo in giapponese, vero?”, facendomi venire un colpo apoplettico. Comunque è bastato dirgli di no perché sfoggiasse un inglese molto navigato, che aplomb. MA ADESSO BASTA CON TUTTA QUESTA CULTURA e ricordiamoci del vero motivo per cui dovreste andare ad Asakusa, e cioè i taiyaki, dolcetti a forma di orata, che invece in un negozietto della zona abbiamo trovato a forma di MAGIKARP.
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「ラ・ラ・ラ 言えるかな? ポケモンの名前!」► ポケモン言えるかな?
�� Per concludere, vorrei che riflettessimo tutti un momento insieme sul fatto che io non avevo idea di che cosa fosse la pinsa romana (da bravo polentone del freddo nord-est) e che ne ho scoperto l’esistenza solo una volta trapiantato in Giappone, quando ho scoperto un negozio che la vendava ad Omotesandō.
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Credo fossero due anni che non mangiavo della mortadella, mi stavo per mettere a piangere. Senza contare che non credevo avrei mai visto della mortadella, dei pistacchi e del mascarpone tutti nello stesso piatto qui a Tokyo :Q_
Quindi la mia prima pinsa romana l’ho mangiata a Tokyo, ma vi sembra che abbia un senso questa cosa?
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Beh, come testimonia il fatto che è già il secondo weekend di fila che ci vado, una cosa che posso garantirvi è che di sicuro non sarà l’ultima.
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