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#dramma elettorale
molecoledigiorni · 2 years
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Purtroppo il popolo italiano, se deve scegliere tra il dovere e il tornaconto, pur conoscendo quale sarebbe il suo dovere, sceglie sempre il tornaconto.
- Elsa Morante
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crossroad1960 · 1 year
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Per quel poco che conta, essendo bergamasco ho vissuto da vicino il dramma del primo impatto della pandemia in quel febbraio 2020. Ricordo ancora perfettamente l’ignobile farsa del rimpallo di responsabilità sulla zona rossa, con la Regione di Fontana che scaricava la decisione sul Governo, nonostante l’esempio delle scelte compiute dal Veneto. L’ignavia, l’inerte codardia, il qualunquismo e il cinico sciacallaggio politico sono costate molto alla gente delle mie valli, inutile oggi arrampicarsi sugli specchi e tentare per l’ennesima volta di sottrarsi alle proprie gravi responsabilità. I fatti dimostrano che chi aveva e ha tutt’oggi il dovere di governare la sanità territoriale è la Regione, in corresponsabilità con il Governo. Non è campagna elettorale, è solo giustizia nei confronti di migliaia di morti.
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telodogratis · 2 years
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Ismaele La Vardera vola a Londra, “Ascoltiamo il dramma dei giovani che hanno lasciato la Sicilia”
Ismaele La Vardera vola a Londra, “Ascoltiamo il dramma dei giovani che hanno lasciato la Sicilia”
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corallorosso · 3 years
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Il golpe dei sauditi contro Zinga. Ora il Pd li metta alla porta Di Luca Telese Forse tra qualche che anno questo dramma politico sarà raccontato come le più classiche barzellette tipizzate: “La sai quella del segretario del Pd che viaggia in aereo con un ex deputato del Pli, un ex Andreottiano e un inquisito?”. No, non la sa nessuno. Perché è difficile raccontare anche per noi, che in trent’anni di cronache ne abbiamo viste tante. Sarà difficile spiegare ai lettori di domani che quelli che hanno fatto la guerriglia giorno e notte a Nicola Zingaretti (fino a spingerlo alle dimissioni, ieri) sono uno che a vent’anni votava il pentapartito (Andrea Marcucci), un altro che alla stessa età sognava di essere un nuovo Giulio Andreotti (Lorenzo Guerini) e un terzo che ha fatto carriera perché il padre lo ha caldeggiato come portaborse a Matteo Renzi (Luca Lotti). Ci sarebbe da non crederci, con rispetto parlando per gli individui che non sono mai angeli o demoni, ma anche con la giusta attenzione ai mediocri che operano potentemente nel determinare i destini degli altri. E pare davvero incredibile, se si guardano le cose con il senso della storia, che due famiglie politiche cresciute politicamente con Enrico Berlinguer e Aldo Moro, si ritrovino oggi in un partito che ha come opposizione interna una corrente fatta con gli scarti delle anime più minoritarie del pentapartito, con dei piccoli strateghi di provincia, in una parola, con “la corrente Saudita” del Pd. Ovvero con quelli che mentre il paese si trovava precipitato in una crisi politica in piena pandemia (scatenata da Riad dal loro ex dante causa), non dicevano una parola sul loro ex guru (ovviamente) e giocavano a sparare sul quartiere generale, andando a caccia di poltrone per sé e per i propri famigli (questo lo dice Nicola Zingaretti aggiungendo: “Mi vergogno”). Attenzione. Il seguito dei sauditi nel popolo di sinistra è vicino allo zero virgola. Ma il loro peso in parlamento è ancora considerevole e spropositato, non per qualche strano caso della vita. Ma perché i gruppi di Camera e Senato del Pd quando Renzi era ancora leader sono stati costituiti – non va mai dimenticato – in un golpe notturno sulle liste che trasformò in deputati e senatori una banda di zucche cammellate. Tutto grazie allo schifo del Rosatellum (altro regalino di Renzi) e alle sue liste bloccate che sottraggono la sovranità agli elettori. E non va mai dimenticato che l’inventore di questo scempio elettorale -Ettore Rosato – ebbe l’onore di essere trombato con la legge elettorale che lui stesso aveva scritto (un genio) e che poi è stato recuperato grazie al paracadute che lui stesso aveva inventato è inserito nel testo (tu guarda). Alla faccia del consenso. Mentre l’altra eroina del renzismo – Maria Elena Boschi – giudicata “incandidabile” in Toscana dai suoi stessi protettori, si era fatta cammellare dalla Svp, come una paracadutata in Alto Adige, all’insegna di un’indimenticabile intervista al Corriere: “Imparerò il tedesco”. Un’altra reginetta del consenso. Adesso metà di questi campioni delle liste bloccate e degli accordicchi salvapoltrona, si ritrovano in un partito che boccheggia al 2,8 per cento, e l’altra metà sono come parcheggiatori abusivi in un altro partito. In cui non li rivoterebbe nessuno. Ma ovviamente entrambi vogliono dettare la linea al Pd, in cui sono minoranza. Ecco perché i “sauditi” hanno operato dentro e fuori il partito, negli ultimi mesi, con una coordinazione da acrobati circensi che si sorreggono l’uno all’altro in volo. Ogni volta che si era a punto di svolta, c’erano un Marcucci, un Guerini o un Lotti (costretto a parlare di meno, per ovvi motivi) pronti a a sparare sul quartier generale o a chiedere una poltrona, a porre un veto. Il punto più alto di questa guerriglia è stato il capolavoro del governo Draghi, con i capi corrente che hanno sacrificato le donne per salvare il proprio posto. (...) Solo in un mondo al contrario, tre ex minoritari di destra possono salire in cattedra. Ma questo è esattamente quello che è accaduto ieri: – La sai quella del segretario del Pd che viaggia in aereo con un ex deputato del Pli, un ex Andreottiano e un inquisito? -No, cosa fanno tre tipi così, con un segretario? -Un golpe.
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falcemartello · 4 years
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Stasera il Presidente Mattarella sarà a Bergamo per commemorare tutti i morti del Covid-19 che così tragicamente ha colpito il nostro territorio.
Ricordo che la Messa da Requiem di Gaetano Donizetti è prima di tutto una preghiera e tale mi piacerebbe rimanesse, pur in una scenografia commovente ed elegante. Avrei preferito vedere seduti in quel luogo stasera coloro che per questa pandemia hanno perso persone care, coloro che si sono spesi senza sosta sul campo (medici, infermieri, soccorritori, volontari che hanno realizzato l’ospedale da campo). Ma comprendo che sarebbe stato difficile garantire il distanziamento sociale. Dal mio punto di vista, sarebbe valsa la pena di bloccare a tale scopo anche le
Vie limitrofe, pur di avere la loro silenziosa, distanziata, significativa presenza.
Da nessun politico sinora abbiamo sentito una frase che abbia un cuore come “ci spiace di non essere stati in grado di riuscire a proteggere tutti i nostri cittadini da questo dramma”, tutti troppi impegnati a cercare chi ha commesso negligenze, a scaricarsi addosso colpe, a fare anche (purtroppo) campagna elettorale sulla pelle di chi non ce l’ha fatta, di chi soffre e di chi adesso ha difficoltà a volte sottovalutate.
Ci saranno i Sindaci a rappresentare noi tutti, vi saranno i politici che - in democrazia - piaccia o no, sono i nostri rappresentanti istituzionali.
Mi auguro che questo abbraccio virtuale di cordoglio a Bergamo martoriata dal Covid-19 non si traduca in una passerella mediatica (verrà trasmessa in TV) per i soliti più o meno noti e rampanti politici.
Bergamo nel ❤️... per non dimenticare, per ripartire con la forza che solo un grande dolore può far rinascere!
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zeropregi · 6 years
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Contro Roma
Da inizio anno a Roma sono andati in fiamme diversi autobus, almeno una decina. Il fatto che ieri sia accaduto in centro, oltretutto nei pressi delle redazioni di alcuni quotidiani romani, ha reso questa notizia, normale per ogni cittadino della capitale, il dramma da prima pagina. Tra autisti eroi, esplosioni che non ci sono state, le migliori penne del paese si sono scatenate su Roma con brillanti articoli di opinione dalla vena comica.
Facciamo un passo indietro. Roma è una città amministrata malissimo. Non da ieri ma da anni. Manca qualsiasi forma di progetto pubblico per la città (del resto non è che l’Italia se la passi meglio eh) e l’ultimo che c’è stato è stato il “Modello Roma” di Veltroni basato su una crescita legata agli introiti immobiliari: quello che nel 2008 ha regalato ai palazzinari l’edificabilità di oltre 2mila ettari di terreno, non esattamente un modello encomiabile insomma. L’amministrazione di Roma sembra inseguire le emergenze: la pioggia, la neve, le buche, i rami che cadono, l’allerta terrorismo, la sicurezza, gli immigrati. Del resto  è in default da quasi una decina d’anni, soffre la trasformazione in atto e sta letteralmente implodendo: la premiata ditta Tronca prima e Raggi poi, le stanno dando il colpo di grazia. Se prima eravamo in agonia ora siamo un cadavere che puzza. Ma più di tutte una cosa puzza, terribilmente, il racconto della città e la retorica che ci gira intorno.
Roma è una città senza una vera opposizione sociale. I tentativi di opposizione dal basso finiscono in sgomberi e arresti da un po’ di tempo a questa parte. C’è tutto un popolo di poveracci, lavoratori/trici precari, che vive ai margini della città che ha capito che è meglio nascondersi che provare a prendere parola. Come biasimarli? Accanto a tutto questo Roma viene descritta, da chi dovrebbe fare informazione oppure opinione con la stessa retorica di un blog anti-degrado. Tanto che anche Roma Fa Schifo, blog di riferimento della stampa romana, ormai ha perso quella visibilità che lo portò solo 2 anni fa a incontrare insieme ai candidati sindaci. Il perché è facile, le pagine delle cronache romane ne hanno sussunto la retorica e il linguaggio, basti pensare all’ossessione con cui nelle ultime settimane larepubblicaroma si è concentrata sulle erbe alte a Roma.
Il giorno dopo l’ennesimo incendio di un autobus (il decimo da inizio anno) su Repubblica in prima pagina si legge Mr AntiCasta Sergio Rizzo fare un minestrone politico che parte dall’assenteismo in Atac (che con la disastrosa condizione dei mezzi pubblici non c’entra niente) passando per i Casamonica, la Romanina, arrivando fino alle buche. Buche che oltretutto nonostante il lancio di 2 mesi fa di Virginia Raggi che prometteva di chiudere «50 mila buche in un mese» (sarebbe curioso capire come le han calcolate) sono ancora quasi tutte sulle nostre strade. Ma non se ne parla, l’indignazione oggi si sposta su altro.
Del M5S sul blog ne abbiamo già parlato. Il bluff su beni comuni e partito con istanze di sinistra è durato il tempo per crearsi un alibi per votarli. Loro del resto stanno al benecomune come facebook sta alla trasparenza: tutto deve essere messo a profitto, come dimostra la recente presa di posizione delle consigliere 5s sulla Casa internazionale delle donne. Fatto sta che Raggi non ha opposizione in città se non dal basso. Media e politica istituzionale, esclusa la faccenda olimpiadi a Roma, muovono le sue critiche da destra. La città che hanno in mente i 5S non è diversa da quella che hanno in mente i vari partiti. Una città divisa in 2 che tende a escludere chi non ha abbastanza reddito per viverci. E non parliamo del centro ormai, come in altre città d’Europa, regalato al business del turismo, come evidenziato pure di recente da Antonello Sotgia e Rossella Marchini in La conquista del West.
Ad esempio qualsiasi persona di buonsenso di fronte alla comunicazione di Raggi sul «regolamento sulla Città Storica» (le maiuscole sono nel comunicato) dovrebbe far accapponare la pelle: un provvedimento necessario, a tutela di residenti, esercenti e cittadini. Stop a minimarket, friggitorie, negozi-suk (ma loro non sono comunque esercenti? ndz) e merce di cattivo gusto nel centro di Roma. Restituiamo legalità e decoro al cuore di Roma, alle sue attività storiche, alle sue tradizioni e alle sue aree di pregio. 
Merce di cattivo gusto sarebbe? Perché no i mini-market, visto che sono indispensabili per i turisti per acquistare merce a un prezzo sostenibile? Ma quali sarebbero le attività storiche? Nel frattempo l’assessore Meloni parlava di rilancio del “Made in Rome” che onestamente farebbe pensare più alla pajata o all’abbacchio allo scottadito che ad altro ma attendiamo delucidazioni.
Nel blog di Grillo, dove la Raggi fa anche comunicazione, spiega che «vogliamo riportare nelle vie centrali l’atmosfera unica dei laboratori artigiani, delle erboristerie, delle botteghe antiquarie […] fiore all’occhiello del Made in Italy. Un cambio di passo epocale che restituisce decoro alle zone più frequentate dai turisti». 
Ovviamente nessuno è sbottato a ridere di fronte a una roba del genere. Nessuno ha chiesto, tra chi fa informazione, a chi dovrebbero vendere i propri prodotti un’erboristeria o le librerie antiche (ma in che senso antica? boh), come se negli ultimi 20 anni il centro non si fosse trasformato in un enorme turistificio, con affitti alle stelle che hanno cacciato i pochi artigiani rimasti in zona insieme alla mancanza di residenti a cui riferirsi. Non ci vuole un economista. Tanto quanto non bisogna essere urbanisti per porre domande del genere. Nel regolamento della Raggi ovviamente ci sta anche il divieto di apertura per i compro-oro. Del resto loro devono continuare ad aprire nelle periferie cittadine, insieme a decine di agenzie di scommesse (gli uni accanto alle altre), perché in qualche modo bisogna pur andare in contro alla disperazione delle persone, no? Oltre al fatto che ci sembra giusto dare opportunità alle varie mafie di riciclare soldi. È economia anch’essa.
Fatto sta che la narrazione su Roma è sempre quella del “centro degradato” e mai della periferia abbandonata. Ricordate che dopo gli assalti al Cara di Tor Sapienza l’allora sindaco Marino insieme al gotha del PD si prese il preciso impegno di «riportare la cultura in periferia»? Ecco, in periferia non sono mai arrivati, escluso qualche settimana fa per la campagna elettorale: e manco la cultura ci è arrivata, visto per dire i crescenti tagli a istituzioni come quelle delle biblioteche comunali. Giornalisti, scrittori, intellettuali, coloro che fino a 20-30 anni fa ci raccontavano gli esclusi, hanno smesso di farlo: al limite preferiscono addentrarsi in grottesche rappresentazioni di quella che considerano l’annosa contrapposizione Roma nord vs Roma sud. Del resto non è manco così comodo o semplice arrivare a Torre Maura da Monti. Ci mancherebbe. Ma soprattutto quando quelle poche volte lo fanno, usano la retorica di cui si parlava poc’anzi, quella del «signora mia degrado decoro immigrazione e Atac non funziona perché ci stanno gli scioperi». E infatti leggendo l’ultima operazione editoriale di autori vari Contro Roma, da poco uscito per Laterza, abbiamo la conferma di quel che abbiamo appena sostenuto.
L’operazione si rifà chiaramente all’omonimo volume del 1975, in cui a prendere parola erano intellettuali come Alberto Moravia e Dario Bellezza, di cui vengono riprese le riflessioni. Il bello è che la rappresentazione di Roma che ne esce è esattamente la stessa, come se non fossero cambiate tanto la società italiana quanto Roma stessa: quella della città in rovina che è inadatta al ruolo di capitale o che, dopo 150 anni, rimane una “capitale incompiuta”. Una «grande bruttezza» determinata da puzza, degrado e rumore contrapposta alla «grande bellezza» (il film sul Roma più citato da chi fa opinione, insieme a Jeeg Robot).
Del resto, scrivere «contro Roma» utilizzando tali paradigmi è un genere letterario più che un’analisi politica o sociale: si può scrivere Contro Roma, ma se qualcuno scrivesse un Contro Napoli con le stesse semplificazioni sarebbe giustamente accusato di pregiudizi e antimeridionalismo.
Invece viene ritenuto pienamente legittimo ingaggiare alcuni (in molti casi quasi autonominati) intellettuali di oggi per scrivere contro Roma: e contro i romani, al solito cinici e cazzari (che magari lo siamo pure eh, ma più o meno di altri chissà). Salvo un paio di eccezioni (Christian Raimo, per dire, che infatti scrive un buon pezzo), parliamo di persone che vivono tra il centro (un centro compreso tra il Ghetto e il Pantheon) e Monteverde, irritati da quella che in nome del politicamente corretto rifiutano di definire esplicitamente «Roma plebea»: una prospettiva deformata e deformante, che quindi non può che fare appello alla retorica antidegrado. Poi negli ultimi anni eccezioni ci sono state, sia chiaro: Walter Siti è uno che le periferie le sa raccontare e infatti fa dire a uno dei suoi personaggi che «so' tanti che vengono a fa ricerche sulle borgate, e io je dico sempre famo a cambio ... si volete capì qualcosa delle borgate, ce venite a sta' du' anni e io me trasferisco a casa vostra». In Contro Roma, invece, non va così.
Abbiamo Nicola Lagioia – che pure in Esquilino. Tre riconognizioni (edizioni dell’Asino) sembrava aver preso atto dei limiti del discorso pubblico, che «a chi è fuori dal sistema non interessa affatto» – che ci parla di una Roma «fogna a cielo aperto» e «Mumbai d’Occidente» (che gli ha fatto Mumbai? Boh, ma è esattamente lo stesso paragone e la stessa retorica usata da Romafaschifo), da cui «qualcuno mi ha visto allontanarmi su una scialuppa mentre la nave affondava». Lagioia descrive poi i romani (ma poi chi sono i romani? Quanti romani da più di una generazione ci sono a Roma?) come orgogliosi del proprio «cinismo» conquistato attraverso i vari secoli: i romani sono cinici, quindi, alla Montesquieu, in virtù del clima che determina il carattere dei popoli. Magari più di cinismo si dovrebbe parlare di resilenza, ma è meglio continuare con le antiche narrazioni che non necessitano di dimostrazioni. Oppure meglio continuare a descrivere la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma come se fosse la stessa decadente e appiccicaticcia di vent’anni fa, senza tener conto del suo nuovo allestimento (2016): tanto a Roma non cambia mai niente, no?
Abbiamo Teresa Ciabatti che ci parla dell’aristocrazia romana (??). C’è Valerio Magrelli che ci dice di quanto siano offesi i cinque sensi di chi vive a Roma (lui vive al Ghetto, deduciamo dalla targa sulla mondezza che cita), nell’ordine da: mancanza di strisce pedonali (vista); dehors che levano spazio ai pedoni (tatto); puzza/gestione Ama (olfatto); la «distruzione cui sono andati incontro negli anni antichi ristoranti, pasticcerie, caffè» (gusto!!!); le molestie acustiche dovute all’uso di altoparlanti in strada per gli artisti di strada (udito). 
Ma visto che al grottesco non c’è limite, nel raccontino successivo Antonio Pascale ci racconta quanto lo irritino le continue manifestazioni nel centro di Roma (per fortuna che ormai sia sempre più difficile manifestare, eh!) e il traffico dovuto agli scioperi dei mezzi. Ma visto che lui è uno bravo bravo, è andato a visitare pure la periferia, lungo la Prenestina, dove quelli in motorino che «entravano nel proprio quartiere si toglievano il casco», e pure Tor Sapienza, dove «l’aria è mesta, lo si vede dai vestiti non di marca, dalle scarpe alla buona. […] E ci sono gli immigrati. Tanti, secondo alcuni, oltre ai campi rom. I cittadini se ne lamentano, spesso gli immigrati sono ubriachi e molesti, anche perché non sanno come passare la giornata, si buttano nei giardinetti». 
Giuseppe Culicchia identifica il problema di Roma nei «romani che sono diventati quelli dei film di Verdone», accompagnando a ciò l’annoso dibattito sull’uso dell’espressione «sti cazzi». E poi, ci dice Igiaba Scego in un pezzo tra il feticismo e lo splatter, non ci dimentichiamo della puzza sull’autobus affollato (che infatti a Londra e a Parigi, invece, odorano di violetta): non solo di alito e di ascelle, ma persino di sangue mestruale! Perché a Roma le mestruazioni vengono con «scoppi» più improvvisi che altrove, si vede.
Ecco, la scelta di parlare «contro Roma» in questi termini e di far propria la retorica anti-degrado è una scelta politica: parlare della puzza sull’81 (linea tra l’altro in dismissione) o del traffico per lo sciopero dei mezzi ma non della dismissione dei contratti per la manutenzione dei mezzi Atac o degli stipendi non pagati degli autisti Tpl è una scelta politica. È una scelta politica parlare dei dehors in centro e non dei fenomeni di gentrificazione e speculazione come quelli di cui è pioniera l’ex Dogana a San Lorenzo. È una scelta politica quella di parlare di chi abita in periferia e si toglie il casco appena entrato nel quartiere e non del fatto che Roma è una città in cui si contano 7mila persone in povertà estrema, 15mila persone senza fissa dimora, 50mila famiglie in emergenza abitativa (a fronte di 150mila case ufficialmente sfitte), uno sfratto per morosità ogni 279 abitanti (la media nazionale è di uno ogni 419) e 3.215 famiglie sfrattate dalla polizia nel 2016, un tasso di disoccupazione giovanile che supera il 40% e uno di disoccupazione generale che sfiora il 10%. Altro che le «scarpe alla buona» notate da Pascale a Tor Sapienza.
Del resto, dietro la «lotta al degrado» c’è in realtà la «guerra ai poveri». Non alla povertà, proprio ai poveri, quelli dall’aria mesta che sono gli oggetti delle uniche politiche che sembrano funzionare in città: quelle dell’esclusione, delle barriere a Termini (non contro il terrorismo, ma contro chi ci dorme), dello sgombero quotidiano del mercatino delle carabattole dei poveri a Porta Maggiore, delle retate contro i venditori di borse contraffatte. I neo-“intellettuali”, i giornalisti, gli opinionisti rafforzano proprio la retorica che dà corpo a tali politiche di esclusione e “invisibilizzazione” del disagio economico: in effetti parlare del supposto cinismo dei romani recuperando qualche vecchio luogo comune, della puzza e dei dehors richiede meno impegno e meno fatica che dare voce a chi – magari – il degrado, la scarsezza dei mezzi pubblici e il traffico li vive davvero, abitando a 5-10-15-20 km dal centro vetrina di Roma.
Quindi amici e amiche che avete deciso di lasciare Roma, la fogna a cielo aperto, fate pure, non saremo noi a fermarvi né a venirvi a cercare in centro città. Come recita un murales nel quartiere di Rebibbia: Qui ci manca tutto, non ci serve niente. Soprattutto quello che avete da offrirci.  [Scritto a 4 mani con autrice che vuol rimanere anonima]
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Accoglienza e media
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Accoglienza e media
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Dietro la chiusura del Cara di Castelnuovo, la protesta di chi perde il lavoro”. – “Conte rivela a Merkel: M5S giù nei sondaggi e preoccupati, Salvini al 35%”. Questi sono i titoli di due articoli apparsi su “La Stampa.it” di venerdì 25 gennaio scorso. In Italia l’attacco dei mezzi d’informazione al Governo in carica si è fatto esasperante e sputtanante per loro medesimi. Il primo dei due titoli introduce alla protesta di un centinaio di lavoratori di una cooperativa che perderebbero il lavoro se il Cara della cittadina laziale dovesse chiudere i battenti. Il secondo è tratto dalla nuova incursione spionistica di un inviato del programma televisivo “Piazza pulita” (la settimana precedente l’inviato si era introdotto tra i tavoli di un banchetto di vip, Matteo Salvini in testa, organizzato su una terrazza romana). Che il canale televisivo LaSette dell’editore Cairo voglia fare anch’esso “piazza pulita” del Governo Lega-Cinque stelle non desta meraviglia, né stupore, ma c’è modo e modo, e quello adoperato per carpire il contenuto di un dialogo tra Angela Merkel e Giuseppe Conte è davvero miserrimo. E’ stato contrabbandato come fuori onda una interpretazione labiale, con presunte garanzie scientifiche, di ciò che si sarebbero detti, in perfetto inglese, i due leader di governo. E dunque siamo arrivati alla spy-story; alla fantascienza oppure alle scuse del lupo per mangiarsi comunque la pecora, nonostante quella non abbia arrecato danno alcuno alla famelica creatura. Mettere pubblicamente zizzania è un altro dei maldestri tentativi dei media allo scopo di sovvertire le conseguenze della rivoluzione politica in atto in Italia. Sicché il Presidente del Consiglio italiano avrebbe rivelato le paure ed i timori nutriti dai Pentastellati nei confronti della Lega di Matteo Salvini per un clamoroso sorpasso nel consenso elettorale. Ma litigano, non vanno d’accordo (a dire della stampa asservita) e cadranno presto i “gialli” ed i “verdi” ; un noto quotidiano nazionale lo va dicendo tutti i giorni, e lo giura sul proprio onore (oramai perduto per sempre). E torniamo al primo dei due titoli, laddove si cela l’essenza del “furore buonista” che si ammanta e si fa scudo del dramma dei migranti proprio quando il numero degli arrivi è vistosamente in calo. La protesta di chi ha trovato impiego e lavoro sulla tragedia dell’esodo con i suoi annessi e connessi (Sprar, Cara ecc.) sarebbe giustificata come quella dei monatti laddove il contagio della peste va affievolendosi. Perché la loro, quella delle cooperative, delle onlus e delle ong, è una filiera produttiva che è destinata a esaurirsi quando l’Africa sarà stata travasata tutta in Italia oppure quando in quel continente il popolo avrà finalmente raggiunto il benessere che tutti gli auguriamo. Dunque, la “fabbrica del cioccolato” rischia di chiudere, con grave nocumento per tutti i tagliagole, caporali e sfruttatori che hanno costruito le proprie fortune “commercializzando” quel prodotto, stoccato nei Cara e negli altri centri di accoglienza gestiti da cooperative e affini. Davanti al dilemma se trovare e mantenere un lavoro stabile occupandosi di migranti, oppure auspicarsi che non via siano più anime vaganti per i mari alla ricerca di un futuro, la scelta che appare privilegiata è senz’altro la prima. Da qui gli scioperi, le proteste e le invettive contro un governo che ha inteso porre un argine al fenomeno migratorio senza sbocchi e che comporta un esborso divenuto oramai insopportabile per la collettività, laddove occorrono non meno di cinque miliardi all’anno per farvi fronte. Tutto ciò al netto delle umiliazioni, dello sfruttamento e delle angherie che i fratelli venuti dal mare, scampati alla guerra, fuggiti dalla miseria subiscono quotidianamente innanzitutto per la mancanza di un progetto vero di accoglienza che li accompagni sino all’inserimento lavorativo. Ma è che in Italia “manca l’articolo” cioè il lavoro, e se il lavoro che si trova è quello di mediatore culturale, di operatore sociale e dell’accoglienza, il timore di perderlo è priorità assoluta. Il destino dei migranti viene dopo, quindi il “buonismo” mostra clamorosamente il fianco allorché intervengono degli interessi personali, di gruppi o di organizzazioni che, minacciati, danno luogo a proteste, scioperi, rimostranze e invettive. Purtroppo è quanto accaduto a Castelnuovo con la paventata chiusura del Cara. Forse quando in Italia si dice che gli immigrati sono una risorsa, il concetto è da intendersi cinicamente nell’ottica descritta. Anzi, il forse è di troppo.
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gaiaitaliacom · 3 years
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E a Virginia Raggi salta in aria la maggioranza (proprio mentre Grillo torna allo spettacolino da filodrammatica)
E a Virginia Raggi salta in aria la maggioranza (proprio mentre Grillo torna allo spettacolino da filodrammatica)
di Giovanna Di Rosa #Politica Sono uno “spettacolo”, è il caso di dirlo. Dopo il clamoroso ritorno di Beppe Grillo allo spettacolino da filodrammatica, con dramma finale tutto sulle spalle dell’Italia e senza streaming, da Roma regno incontrastato della Sindaca del Pannolino Lavabile (come da proposta elettorale indimenticabile) autocandidatasi contro tutto e tutti, dopo avere governato contro…
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carmenvicinanza · 3 years
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Lupita Vasquez Luna attivista indigena messicana
https://www.unadonnalgiorno.it/lupita-vasquez-luna-coraggiosa-attivista-indigena-messicana/
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Lupita Vasquez Luna è una giovane e coraggiosa donna Tzotzil-Maya in prima linea in un movimento indigeno messicano.
Sopravvissuta al massacro di Acteal, è la prima donna a ricevere il bastone di comando di Las Abejas de Acteal.
Nella notte tra il 22 e il 23 dicembre 1997 un gruppo di paramilitari fece fuoco contro la chiesetta del villaggio di Acteal, nei pressi di Oventic, nella regione de Los Altos del Chiapas, dove la comunità era radunata in preghiera prima di Natale. Vennero uccise 45 persone tra cui quattro donne incinte. Lupita, che allora aveva dieci anni, perse entrambi i genitori, cinque fratelli, la nonna e lo zio.
Superato il dramma e le conseguenze, Lupita è tornata a scuola per imparare lo spagnolo e ha studiato diritto. Tutto questo mentre si occupava delle sorelle più piccole e lavorava in una bottega artigianale.
Oltre vent’anni dopo, è diventata la portavoce del suo popolo e di una nuova generazione di attivisti Maya. Compie sforzi ad alto rischio per rieducare e ripristinare la giustizia nel mondo.
Quando il CNI (Congresso Nazionale Indigeno) ha accolto la proposta di correre per le elezioni presidenziali messicane del 2018 con una candidatura indipendente, Lupita Vasquez Luna è stata scelta come consigliera del CIG per la zona de Los Altos. Ha girato in lungo e in largo il Messico per mesi, incontrando tantissime organizzazioni. Ha avuto modo di stare a contatto con gli zapatisti, visitato i caracoles e appreso molto dalle loro lotte. Quando la corsa elettorale si è conclusa, ha continuato a rafforzare i legami, a organizzarsi dal basso e aiutare nei conflitti causati dalle privatizzazioni e l’esproprio della terra.
In questi anni di militanza, ha visto coinvolte molte donne che faticano ancora tanto a esercitare i propri diritti all’interno di comunità fortemente patriarcali.
In un paese dove i nativi vengono perseguitati e cacciati dalle loro terre, Lupita Vasquez Luna, è una leader in prima linea nella resistenza dei popoli indigeni messicani.
La comunità di Acteal continua a tenere cerimonie per ricordare le 45 vittime del massacro ogni mese e sta ancora lottando per ottenere giustizia sulla strage, i cui mandanti non sono stati ancora processati. Il governo messicano ha recentemente offerto una soluzione amichevole, una sorta di risarcimento al gruppo di sopravvissuti. Ma il gruppo Abejas de Acteal, continua a chiedere un rapporto alla Commissione interamericana per i diritti umani e non si fermerà finché giustizia non sarà fatta.
Lupita Vasquez Luna è da poco partita con una delegazione zapatista alla volta dell’Europa, arriveranno a metà giugno e faranno tappa anche in Italia, facendo a ritroso il viaggio compiuto dai conquistatori spagnoli cinquecento anni fa.
La regista Monica Wise ha realizzato un documentario sulla resistenza indigena messicana che vede Lupita come protagonista.  
La bambina che ha visto massacrare la sua famiglia davanti ai suoi occhi è cresciuta, ha studiato, si è formata e continua a combattere per la verità e per la dignità delle popolazioni native. E noi la aspettiamo a braccia aperte!
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giancarlonicoli · 3 years
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9 feb 2021 10:39
“MARINI? CHI È MARINI? IO CONOSCO MARTINI, MARINI NON SO CHI SIA…” – QUANDO PAPA WOJTYLA LIQUIDO’ "IL LUPO MARSICANO" PER DIMOSTRARE CHE IL PPI, PARTITO EREDE DELLA DC NON CONTAVA NULLA E, DI CONSEGUENZA, ANCHE IL SUO SEGRETARIO – LA DEFINIZIONE DI DONAT CATTIN (“L’UOMO CHE UCCIDE COL SILENZIATORE”), GLI ATTACCHI DI CIRIACO DE MITA, LO SGAMBETTO A PRODI (CON LA PROMESSA DEL QUIRINALE) E IL TRAPPOLONE DI D’ALEMA (“MASSIMO M’HA FREGATO). POI NEL 2013 LA CORSA ALLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA. ERA IL CANDIDATO DI BERSANI E BERLUSCONI MA FU SILURATO DA…
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Francesco Curridori per ilgiornale.it
Segretario della Cisl, ministro e presidente del Senato. Franco Marini verrà ricordato come il 'lupo marsicano' del sindacalismo cattolico e della Democrazia Cristiana che si rifaceva alla corrente di Carlo Donat-Cattin.
A inizio 2021 era stato ricoverato in condizioni serie per Covid, ma era stato dimesso il 27 gennaio "con completa guarigione del quadro respiratorio e discrete condizioni generali".
Franco Marini, dall'Abruzzo alla segreteria della Cisl
Franco nasce in Abruzzo, a San Pio delle Camere nel ’33, in una famiglia di umili origini che ben presto si trasferisce a Rieti dove il padre lavora come operaio tessile. La madre, una sarta, muore quando lui ha appena 11 anni. Lui è il primo di 4 figli ma la famiglia si allarga a 7 quando il padre si risposa. I soldi sono pochi e la possibilità di studiare pure ma “un giorno la professoressa di lettere delle medie si presentò a casa e disse: ‘No, questo ragazzo deve andare al liceo’. Mio padre ebbe l’intelligenza di darle retta”, racconterà, poi, Marini che finisce col laurearsi in giurisprudenza. Iscritto alla Dc sin dal 1950, lavora fin da subito dentro la Cisl e nel ’64 lavora per il suo mentore, Giulio Pastore, fondatore della Cisl e all’epoca ministro per il Mezzogiorno. L’anno successivo sposa il medico Luisa D’Orazi con cui era fidanzato da 4 anni e da cui avrà un figlio.
“L’avevo già notata quando lei era al ginnasio e io al liceo, ma era una ragazzina. Poi, qualche anno più tardi,- rivelerà - in una di quelle festicciole che si facevano in provincia, i ragazzi di qua e le ragazze di là, mi sono interessato a lei. Ero in licenza. Facevo l’alpino a Bressanone”. Marini, negli anni ’70, diventa vicesegretario del sindacato fino a prenderne la guida nel 1985.
In questi anni la Cisl assume un ruolo sempre più importante nel panorama politico-sindacale, rappresentando soprattutto la categoria del pubblico impiego. Nel corso del Congresso del 1984, l’allora segretario Ciriaco De Mita attacca duramente Marini: “Devo dirti che se continui così, caro Marini, non interesserai più nemmeno i democratici cristiani”, e subito dopo “seguono nove minuti di botte selvagge, gente che grida, gente che piange, un operatore tivù malmenato (…)”, ricorda Marco Da Milano nel suo libro Democristiani immaginari.
Gli anni'90, Marini dal sindacato alla guida del Ppi
Le linee guida seguite sono sempre quelle espresse dalla corrente della Dc più vicina al sindacalismo cattolico, chiamata Forze Nuove. Corrente fondata da Carlo Donat-Cattin che, nel ’91, la affida proprio a Marini, da lui soprannominato come “l’uomo che uccide col silenziatore” per il suo essere schivo ma spietato. In quello stesso anno il sindacalista abruzzese diventa ministro del lavoro e della previdenza sociale del VII Governo Andreotti, mentre nel ’92 viene candidato per la prima volta per le Politiche e alla Camera ottiene più di 100mila preferenze. Risultato più che discreto per un ‘debuttante’ e, così, Mino Martinazzoli, all'epoca segretario del Ppi, lo sceglie quale responsabile organizzativo del partito che, nel frattempo, viene travolto dall’inchiesta Tangentopoli. Nel 1997, invece, Marini arriva alla guida del Ppi, partito sorto dalle ceneri della Dc e collocato nel centrosinistra.
“Marini? Chi è Marini? Io conosco Martini, il cardinale di Milano, Marini non so chi sia…”, dirà in quel periodo l’allora Papa Wojtyla, a dimostrazione del fatto che il partito erede della Dc non contava nulla e, di conseguenza, anche il suo segretario. In realtà, il Ppi, contribuirà alla vittoria di Romano Prodi alle Politiche del ’96. Nel 1998 Marini è ritenuto responsabile della caduta del primo governo Prodi.
È noto che i rapporti tra l’ex segretario della Cisl e il ‘Professore’ siano sempre stati tesi e che Massimo D’Alema avesse promesso a Marini il Quirinale pur di far cadere l’esecutivo. Poi, però, Carlo Azeglio Ciampi viene preferito a Marini il quale, nel ’99, abbandona la segreteria del Ppi e viene eletto come eurodeputato. “Non sono arrabbiato con D’Alema sono furibondo. Io mi sono fidato di lui, e lui mi ha fregato”, dirà Marini del 'lìder Maximo' della sinistra italiana.
Dalla presidenza del Senato alla mancata elezione al Colle
Il Ppi sparisce con la nascita della Margherita che darà vita, insieme ai Ds, al Partito Democratico tra le cui file Marini si candiderà nel 2006 per un posto a Palazzo Madama. Una volta eletto, l’ex segretario della Cisl viene eletto Presidente del Senato, al terzo scrutinio, dopo una votazione al cardiopalma.
Con 165 voti Marini batte il senatore a vita Giulio Andreotti che poteva contare sull’appoggio del centrodestra. Dopo le dimissioni di Romano Prodi, nel 2008, il presidente Giorgio Napolitano gli affida un incarico esplorativo per verificare la possibilità che nasca un governo che modifichi la legge elettorale ma il tentativo di Marini fallisce e si torna alle urne.
Nel 2013 Marini si trova di nuovo in corsa per il ruolo di presidente della Repubblica. Bersani, poco dopo le Politiche, si accorda con Berlusconi per eleggerlo fin dal primo scrutinio. Ma qualcosa va storto. Matteo Renzi, all’epoca ancora semplice sindaco di Firenze uscito sconfitto dalle primarie per la leadership dell’anno precedente, si mette di traverso considerando Marini emblema di quella ‘kasta’ tanto vituperata.
Nel libro di Mario Giordano, Tutti a casa, uscito sempre nel 2013, si scopre che Marini e sua moglie erano proprietari di un loft di circa 300mq ai Parioli che, secondo l’Espresso, sarebbe stato pagato poco meno di un milione di euro. Marini, quindi, non riesce ad essere eletto, sebbene abbia ottenuto 521 su 672. Nei giorni precedenti il voto, a far discutere, è soprattutto una lettera di Matteo Renzi, pubblicata su Repubblica, in cui il primo cittadino di Firenze aveva ricordato che Marini era stato candidato in deroga alle regole del suo partito ma non era stato eletto e, quindi, era ingiustificabile questa sorta di “ripescaggio di lusso”.
Non solo. Renzi ricorda anche che Marini era già stato ‘trombato’ 15 anni prima e smonta persino il ‘teorema’ secondo cui occorreva eleggere un ‘presidente cattolico’. “Mi sembra invece gravissimo e strumentale il desiderio di poggiare sulla fede religiosa le ragioni di una candidatura a custode della Costituzione e rappresentante del Paese”, scrive il sindaco di Firenze. “Con la sua lettera invece è proprio Renzi che ha commesso il grave errore che mi addebita: usare la religione a fini politici.
Cosa assolutamente inaccettabile”, sarà l’immediata e piccata replica di Marini. Qualche giorno dopo, invece, dirà:“Il dramma non è nato quando io ho avuto 521 voti, ma quando Bersani, per questo ‘non governo’ del partito, ha deciso di cambiare strategia e ha chiamato Prodi dall’Africa e lui è stato bruciato”. Concluderà la sua vita pubblica come presidente del comitato storico-scientifico per gli anniversari di interesse nazionale.
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uldericodl · 3 years
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Crisi di governo, Rampelli (VPC-FDI): non vanno d’accordo neppure per dichiarare l’ora esatta
Crisi di governo, Rampelli (VPC-FDI): non vanno d’accordo neppure per dichiarare l’ora esatta
“Alla ricerca di responsabili? Anche noi siamo alla ricerca di responsabili, non della propria poltrona ma dei destini dell’Italia. La responsabilità passa per la capacità di avere coraggio e andare alle elezioni, per dare al dramma che attraversiamo come risposta la forza della democrazia. Occorre capire che l’esperienza nata nel 2018 – con una legge elettorale scritta per imbrogliare i…
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nannicrivello · 3 years
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Difesa Legge Regionale n. 9/2016 "Norme per la prevenzione e il contrasto alla diffusione del gioco d'azzardo patologico" Mozione proposta al Consiglio Comunale del 20 ottobre 2020
Al Sindaco del Comune di Poirino
Poirino, 8 ottobre 2020
Mozione ai sensi dell'art. 60 del regolamento del Consiglio Comunale
Oggetto: Difesa Legge Regionale n. 9/2016 "Norme per la prevenzione e il contrasto alla diffusione del gioco d'azzardo patologico"
IL CONSIGLIO COMUNALE
Premesso che
                         Il gioco d'azzardo patologico (GAP) rappresenta un vero e proprio dramma socio-sanitario, che colpisce principalmente le fasce più deboli della popolazione. Dal punto di vista sanitario si tratta di una patologia che il Ministero della Salute ha deciso di inserire nei LEA (livelli essenziali di assistenza) a partire dal 2017, facendosi carico delle persone che cadono in una situazione di dipendenza a causa della diffusione incontrollata di tale fenomeno. Da un punto di vista sociale aumentano i casi di crisi familiari scaturite da situazioni di dipendenza da GAP e di forte indebitamento da parte dei soggetti coinvolti;
ln questi anni abbiamo assistito a una crescita costante del dato relativo alla quantità di denaro utilizzato dai cittadini per il gioco d'azzardo. Si è passati dal 47 miliardi del 2008 a 105 miliardi raccolti nel 2018. Si tratta di un dato che porta l'Italia in vetta alla classifica delle nazioni in cui si gioca e si perde di più: la quarta al mondo dopo USA, Cina e Giappone. Molto di più che in Gran Bretagna, Australia, Francia e Germania.
Una domanda di gioco che è cresciuta a causa di un eccesso di offerta che, da quando lo Stato ha deciso di "fare cassa" con il gioco d'azzardo, è aumentata e ha raggiunto ogni luogo e spazio di vita dei cittadini;
Di fronte a questa situazione, il Consiglio Regionale del Piemonte, nell'aprile del 2016, ha approvato all'unanimità la Legge Regionale "Norme per la prevenzione e il contrasto alla diffusione del gioco d'azzardo patologico" (n. 9/2016).
La legge prevede un piano di prevenzione e contrasto al GAP, il divieto di installare apparecchi da gioco vicino ai cosiddetti "luoghi sensibili" (scuole, ospedali, case di cura, impianti sportivi, luoghi di culto) e la possibilità per i sindaci di regolamentare gli orari di apertura.
Ritenuto che
La crescita della domanda sia fortemente collegata al potenziamento dell'offerta, che negli ultimi decenni è diventata pervasiva raggiungendo i luoghi della vita quotidiana in maniera crescente.
Considerato che ln data 10 ottobre 2019 IRES Piemonte, nel corso dell'audizione della III e IV commissioni regionali riunite, anticipando i risultati della ricerca elaborata sulla base della clausola valutativa, ha confermato che la legge Legge Regionale "Norme per la prevenzione e il contrasto alla diffusione del gioco d'azzardo patologico", approvata il 26 aprile 2016, sta portando significativi risultati;
ln tale sede IRES ha evidenziato che nel 2018, rispetto ai dati del 2016:
-                     mentre il gioco fisico è cresciuto a livello nazionale (+1 ,6%) in Piemonte assistiamo a una diminuzione del gioco fisico (-9,7%, pari a 497 milioni di euro);
-                     si è verificata una diminuzione delle perdite, -17,8% in Piemonte contro il -2,9% in Italia;
Il CNR ha confermato che nei Comuni dove sono stati applicati orari più restrittivi e distanziometri dai luoghi sensibili (scuole, ospedali, case di cura, impianti sportivi, luoghi di culto) si sono ridotti i volumi di gioco;
ln Piemonte si stimano circa 50.000 giocatori problematici e si spendono annualmente 6,5 miliardi in gioco d'azzardo; nel 2018 poco più di 4,5 miliardi per il gioco in contesti fisici e quasi 2 miliardi per quello online (dati Gambling Adult Population Survey, febbraio 2019);
L'Osservatorio sull'usura e il gioco d'azzardo evidenzia che 38.000 famiglie piemontesi sono a rischio e 1 1 mila ricorrono al Monte dei pegni, nel solo Piemonte a causa del gioco d'azzardo, ancorché legale, e della ludopatia (statistiche aggiornate a maggio 2019);
Nei primi 2 anni di applicazione la Legge regionale piemontese ha determinato una forte contrazione del gioco con apparecchi automatici di gioco, cui non è corrisposto un analogo investimento su piattaforme digitali: la crescita del gioco online in Piemonte è inferiore a quella del resto del Paese dove non vige la regola del distanziometro (+45% in Piemonte contro +48% in Italia - fonte IRES);
Il denaro investito dai piemontesi nell'azzardo si è ridotto, in soli due anni, di circa 500milioni di euro e le perdite diminuite di oltre 200 milioni (dati Società Italiana Tossicodipendenze Piemonte e Valle d'Aosta);
Anche la Società Italiana Tossicodipendenze Sezione Piemonte e Valle d'Aosta ha assunto una posizione molto netta precisando che un ritorno alla situazione ante legem avrebbe un "impatto DISASTROSO sulla prevalenza del gioco con apparecchi e provocherebbe una nuova impennata di gioco problematico e patologico".
Ritenuto altresì che
La legge regionale sia stata concepita a tutela della salute pubblica, per prevenire e contrastare un fenomeno, la ludopatia, che oltre ad avere costi sociali e sanitari molto alti (12.000 persone in cura, oltre 700.000 a rischio in Italia) colpisce in particolare le persone più fragili tra cui anziani e giovani - il 7% dei ragazzi tra 15 e 19 anni il Italia ha un profilo problematico (fonti Consumi D'azzardo - CNR).
Appreso che
L' 1 novembre 2019 è stata presentata la pdl n. 56 (Ulteriori modifiche alla legge regionale 2 maggio 2016, n. 9 'Norme per la prevenzione e il contrasto alla diffusione del gioco d'azzardo patologico'), che prevede una moratoria per tutti gli esercizi presso cui alla data di entrata in vigore della legge 9/2016 erano collocati apparecchi da gioco;
Appreso che l'attuale maggioranza in Consiglio Regionale, in linea con quanto dichiarato durante la campagna elettorale, è intenzionata ad approvare la proposta di legge n. 56.
IMPEGNA IL SINDACO E LA GIUNTA
Ad attivarsi nei confronti del Presidente della Giunta Regionale del Piemonte e del Consiglio Regionale affinché la Legge "Norme per la prevenzione e il contrasto alla diffusione del gioco d'azzardo patologico" non venga modificata in nessuno dei suoi articoli al fine di non interrompere e prolungare i positivi effetti della stessa sul territorio per il bene della salute dei cittadini piemontesi.
Federico Basso Silvia Avataneo Giovanni Crivello
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enzopizzolo · 4 years
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GIORGIONE: ASSISTITI, LAVORATORI E IMPRENDITORI DELLA SANITA’ PRIVATA … ASCOLTIAMOLI!
 
 
Foggia, 28 ago. – Durante questa anomala campagna elettorale, Giorgione sta seguendo con molta attenzione tutte le dichiarazioni e che si stanno susseguendo a difesa dei “sacrosanti diritti” o “diritti incontestabili” delle strutture sanitarie private e, ovviamente, degli assistiti che ricevono le loro cure e dei lavoratori che prestano servizio alle dipendenze delle stesse. Osserva, con meravigliato stupore, anche la posizione interessata di chi già ci ha rappresentato in Consiglio, sia di maggioranza che di opposizione che, a margine della consueta passerella pre-elettorale o visita istituzionale rilascia l’immancabile dichiarazione stampa che dovrebbe sintetizzare il “malessere” del comparto, di questo delicato settore.
Giorgione è un tecnico prestato alla politica. Crede che sia giunto il tempo di spiegare tecnicamente i gravi problemi che il settore si porta dietro da tempi antichi, quello che si è fatto, quanto ancora c’è da fare e quanto lui potrà fare se i cittadini porranno la loro fiducia sulla sua coalizione.
 
 
In oltre 25 anni di attività sindacale in veste di Segretario Generale della FPL – UIL, l’incessante lavoro d’ascolto di Luigi Giorgione gli ha trasferito tutte le difficoltà che incontra l’imprenditore della sanità privata nella gestione delle attività e che si ripercuotono sugli incolpevoli lavoratori il cui malessere organizzativo finisce per riflettersi inevitabilmente sulla qualità di assistenza. E questo è un dramma nel dramma.
 
“Per anni, ho ascoltato i datori di lavoro, gli imprenditori, ma mi sono soffermato maggiormente con i dirigenti, con coloro che hanno la responsabilità organizzativa e gestionale delle strutture sanitarie che governano, con coloro che “vivono le corsie”. Ho dedicato molto tempo all’ascolto dei lavoratori, medici, professioni sanitarie e di supporto. Ho voluto sentire anche e soprattutto gli assistiti che, quando l’imprenditore è costretto a ritardare l’erogazione dello stipendio, come drammaticamente è avvenuto in questi ultimi mesi oppure non crea un contesto lavorativo disteso, vive lo stress con lo stessa intensità del dipendente e ne risente l’esito della cura. DRG, tariffe di remunerazione inadeguate, spesso ferme ad oltre 10 anni fa o che non considerano i costi reali di produzione, distribuzione dei budget sullo storico da parte delle ASL e non su indicatori di qualità di miglior assistenza erogata (quando invece, su questo aspetto, la normativa regionale è molto chiara). Una “giungla inesplorabile” di normative in continua evoluzione e che dovrebbero essere raccolte in un testo unico regionale, semplificate e rese chiare e trasparenti. Molto è stato fatto, ma molto ancora c’è da fare. Ho speso gran parte della mia vita e del mio tempo a cercare di rendere fruibile alla politica tutto il disagio gestionale delle strutture sanitarie pubbliche, ma soprattutto private: la sofferenza di migliaia di lavoratori che sono stati in cassa integrazione e hanno visto solo qualche giorno fa il suo accredito, che hanno rischiato anche in prima linea, ma non hanno ricevuto alcun premio, anzi quello previsto dal contratto collettivo nazionale a luglio, paradossalmente e tristemente, gli è stato tolto per le assenze dovute all’ammortizzatore sociale. Lavoratori che non vedono adeguare le proprie retribuzioni da 14 o 8 anni in base al contratto applicato, professionisti sanitari umiliati da retribuzioni non proporzionate alla quantità e qualità del loro lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla loro famiglia un'esistenza libera e dignitosa come recita bene l’art. 36 della Costituzione italiana.
E mi sono chiesto, ma è mai possibile che persone con lo stesso livello culturale, lo stesso percorso universitario o di formazione e che eroga le medesime prestazioni con le stesse responsabilità, possa essere trattato in differenti modi in base al contratto di lavoro applicato in azienda?
 
Sono tante e molteplici le problematiche che attanagliano la sanità privata, in Italia e in Puglia.
 
In questa breve campagna elettorale voglio affrontarli, sviscerali, ascoltarli con ulteriore attenzione e voglio raccontarli. Se i cittadini vorranno, mi impegnerò a risolverli con una coalizione che in tutti questi anni, certamente non è rimasta impassibile al grido di allarme, ma che sicuramente vuole fare da apripista in Italia a un modo diverso di concepire la sanità privata: non sostituiva, ma integrativa del pubblico, ma con pari dignità per chi investe, per chi ci lavora e, soprattutto, per chi con essa si cura.  
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paoloxl · 6 years
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L’episodio accaduto ieri a Macerata con la sparatoria attuata da un dichiarato razzista che ha messo a ferro e fuoco il centro della cittadina marchigiana colpendo alcuni immigrati di colore, ha portato alla ribalta il clima d’odio che sta esacerbando questa bruttissima campagna elettorale, tutta incentrata sul personalismo e della concezione assoluta del potere.  Si è ceduto troppo, nel corso degli anni, allo smarrimento di una cultura politica fondata sui valori dell’antifascismo, della convivenza civile, della costituzione repubblicana.  Si è ceduto oltre misura all’idea del “né di destra, né di sinistra”, alla presunta obsolescenza dei valori della Resistenza, all’indifferenza, alla concessione dell’equidistanza tra i partigiani e i “ragazzi di Salò”.  Si è sdoganato tutto in fretta e soprattutto, con la proposta di deforma costituzionale per fortuna respinta il 4 dicembre 2016, si è aperta la strada all’idea della possibilità di modificare la Carta Costituzionale, quasi come se si trattasse di un fatto politico tra i tanti, una delle tante “modernizzazioni”.  Si è dimenticato il periodo delle stragi fasciste, da piazza della Fontana a quella della Loggia, e si è dimenticato quando i fascisti sparavano dal palco dei loro comizi.  Colgo l’occasione allora, allo scopo di rinfrescare la memoria di tutti, per ricordare ancora una volta un episodio del 1976, a testimonianza di un clima di violenza fisica e morale che non può essere dimenticata per allora e che deve indurci, ancor oggi, al massimo di vigilanza democratica.  Non possiamo e non dobbiamo allentare la guardia, mollare la presa. Ieri la grande manifestazione di Genova lo ha dimostrato: mai come in questo momento l’antifascismo militante è fattore decisivo e dirimente per una possibile ripresa democratica.  Ecco il ricordo di quell’episodio, in apparenza lontano nel tempo, ma nella realtà molto vicino al dramma della nostra epoca (ogni accenno all’attualità sul piano della presenza di agenti del servizi intenti alla provocazione fascista è puramente casuale…):  “Il 28 maggio del 1976, a Sezze Romano, cittadina in provincia di Latina, è previsto il comizio di Sandro Saccucci, importante esponente del Movimento Sociale Italiano. Ex paracadutista e sospettato di aver partecipato al tentato golpe orchestrato nel dicembre del 1970 dal principe Junio Valerio Borghese con l’aiuto di settori «deviati» di istituzioni e servizi segreti, il Saccucci giunge nel centro pontino con un manipolo di fedelissimi. La scelta della città è quanto mai provocatoria: Sezze è un centro tradizionalmente antifascista.  Intorno alle 19,30 un corteo di otto automobili entra in paese e si dirige verso piazza IV Novembre, dove è previsto il comizio. A bordo degli automezzi, tra gli altri, vi sono fascisti di dichiarata fede come Pietro Allatta, Angelo Pistolesi, Gabriele Pirone, Miro Renzaglia e Franco Anselmi. A rendere ancora più ambigua la comparsata neofascista è il curriculum politico di Saccucci: ex paracadutista e membro dell' ufficio informazioni del corpo dei paracadutisti nell'ambito del tentato golpe organizzato nel dicembre 1970 ad opera del principe Junio Valerio Borghese.  Ad attendere Saccucci c'è una piazza gremita di antifascisti, dal movimento studentesco a Lotta Continua, fino ad arrivare alla Fgci. Il palco è presidiato da camerati armati di bastoni e pistole, mentre le forze dell'ordine, disinteressate da quanto sta accadendo, rimangono isolate ai lati della piazza. Non appena Saccucci accenna a parlare viene ricoperto da fischi e insulti, e quando tenta di ricondurre le stragi neofasciste di Stato alla sinistra extraparlamentare viene raggiunto dal lancio di bastoni, pietre e bottiglie.  «Non volete sentirmi con le buone, mi sentirete con questa»  Dopo aver pronunciato queste parole, l'ex parà estrae di tasca una pistola e comincia a sparare sulla folla. Seguono attimi di caos, mentre Saccucci ripara in auto e fugge via a tutta velocità per sottrarsi alla rabbia degli antifascisti; i manifestanti tentano di bloccare le vie d'uscita alle automobili, e per tutta risposta vengono esplosi tre colpi di pistola dall'auto di Saccucci. Antonio Spirito, studente-lavoratore militante di Lotta Continua viene colpito alla gamba sinistra, mentre Luigi Di Rosa, 21 anni, iscritto alla Fgci, viene colpito prima alla mano e poi al ventre, rimanendo ucciso.  Pochi giorni dopo vengono emanate le autorizzazioni a procedere per l'arresto di Pietro Allatta e Sandro Saccucci, "tempestivamente" espulsi dall'Msi del repubblichino Almirante soltanto due settimane dopo i fatti di Sezze Romano.  Il 13 giugno 1976 Saccucci viene arrestato a Londra e accompagnato alla frontiera francese per l'estradizione; la scarcerazione però, si legge in una rogatoria, avviene in tempi brevissimi e grazie agli interventi di don Sixto di Borbone, del prefetto di Parigi e di un tale Jacques Susini, amico di Stefano Delle Chiaie, altro personaggio controverso già coinvolto nella stage di Piazza Fontana e «collega» ai tempi del golpe Borghese. Saccucci troverà riparo in America latina, specialmente in Argentina, dove potrà contare su protezioni e aiuti anche a livello "pubblico", e in Cile, dove alcune voci lo vogliono coinvolto nella gestione del regime fascista del generale Pinochet.  Pietro Allatta è stato riconosciuto colpevole di aver impugnato l'arma che ha colpito prima Spirito e poi Di Rosa, anche se le prove balistiche hanno dimostrato che Luigi ha ricevuto due colpi di calibro diverso, avvalorando la tesi secondo cui Saccucci sarebbe uno degli autori materiali dell'omicidio. Le indagini non hanno mai chiarito inoltre la presenza a Sezze di un ex maresciallo dei Carabinieri e agente del Sid, Francesco Troccia, indicato come colui che guidò i missini fuori dal paese, evitando che fossero bloccati dalla popolazione.  La memoria di Luigi Di Rosa negli anni non è mai venuta meno, nonostante le assoluzioni e i depistaggi di Stato nei confronti degli autori della strage e i ripetuti attentati al monumento posto, ad un anno dal suo omicidio, in ricordo di tutte le vittime dell'antifascismo e culminato con la spregevole profanazione della sua tomba avvenuta nel 1978”. Franco Astengo
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corallorosso · 6 years
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“Chiedono di essere trattati come umani. Dove sono i politici? Qui non c’è nessuno” “Questi ragazzi stanno facendo quello che dovrebbero fare tutte le persone civili: protestare per ottenere un trattamento da esseri umani. Qui dovrebbero venire i partiti, il vescovo di Padova, la Charitas, tutte le persone civili. Invece non c’è nessuno, nessuno denuncia quello che sta accadendo, ovvero che gli extracomunitari vengono trattati in modo non degno per un Paese che si dichiara civile. E la nostra comunità sta subendo una violenza dallo Stato. Lo Stato ha scelto di trattare il problema degli extracomunitari con la stessa logica che applica per le discariche, i rifiuti vengono mandati lontano dal centro delle città, in campagna, dove il danno elettorale per il potere è minimo”. E’ un fiume in piena Alberto Panfilo, il sindaco di Cona, eletto nel 2014 con una lista civica vicina al centrodestra. E’ da anni che la sua voce (assieme a quella del sindaco di Bagnoli, Roberto Milan) si leva nel deserto dell’indifferenza. E adesso che circa 200 extracomunitari stanno marciando su Venezia racconta un dramma che nessuno sembra avere intenzione di affrontare. Le proteste si ripetono ciclicamente da mesi. Perché? Nel tempo le cose non sono cambiate, 1500-1600 persone continuano a vivere in una tendopoli. Possono dire che qui c’era una base missilistica, ma la realtà è che questa gente viene costretta a vivere dentro le tende. Quando si riempiono, la comunità che ha in gestione l’accoglienza pianta un’altra tenda. E tutto questo avviene nell’oblio più completo. Di chi? Della Chiesa, della politica, della comunità civile. I prefetti si limitano a utilizzare un pallottoliere, con i numeri degli arrivi e delle partenze. La protesta è giusta? Sacrosanta, perché gli extracomunitari sono stati lasciati soli. Gli unici che li stanno seguendo in questo momento sono gli attivisti del sindacato di base. (...) All’improvviso qualcuno ha pronunciato la parola ‘Venezia’. E hanno deciso che dovevano andare a Venezia per dire di persona al prefetto quello che ripetono da mesi. Vogliono condizioni più umane di vita. E così si sono messi in cammino… Di forze di polizia ce ne sono state sempre a iosa, per controllarli. Mentre un gruppo si è messo in cammino lungo una strada che costeggia un argine, altri hanno bloccato la base. E martedì sera c’è stato il morto perché la strada è stretta. Un ragazzo che stava andando in bicicletta è stato investito da un’auto. Sono anni che diciamo che bisogna dare giubbotti catarifrangenti agli extracomunitari. Perché su queste strade di morti ce ne possono essere tre ogni sera. Ma la cooperativa se ne frega. E così quando escono in bicicletta rischiano ogni volta la vita. Poi sono arrivati a Codevigo, dove il parroco ha aperto la chiesa. La prima notte hanno dormito per terra. All’aperto. Solo la seconda notte, mercoledì, il parroco li ha fatti entrare. Questa mattina hanno ripulito tutto e sono ripartiti. Questa sera si fermeranno a Mira. Ribadisco che siccome nessuno sta facendo nulla per loro, fanno l’unica cosa che possono fare: protestare. La tendopoli è una specie di magazzino dove centinaia e centinaia di persone vengono ammassate. Non c’è un progetto, non c’è un programma. E’ una violenza continua contro di loro e contro la nostra piccola comunità nella campagna”. In una parola, esseri umani trattati come rifiuti. di Giuseppe Pietrobelli
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