Tumgik
#Potey
ostdrossel · 1 year
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Heated Bird bath review :)
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nbuflowersusa · 2 months
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Enhance Your Indoor Space with POTEY Pots for Your Beloved Indoor Plants
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Nothing goes together more nicely with your indoor gardening friends than POTEY pots. These finely made ceramic planters with bamboo saucers are more than simply useful containers; they're gorgeous pieces of art that enhance the atmosphere of any area.
Why POTEY Pots?
POTEY pots are made with love and attention to detail, providing both flair and practicality. Their 3.1-inch size makes them ideal for holding small indoor plants, such as cactus or succulents. By collecting extra water and avoiding spillage, the bamboo saucer not only gives a touch of rustic elegance to your plants, but it also keeps them healthy. Indoor Oasis With the POTEY pots, you can turn your living room, office, or any other interior area into a calm haven. Their simple appearance easily complements any type of décor, whether it be traditional, boho, or modern. Arrange them on windowsills, desks, or shelves to infuse your surroundings with a revitalizing green vibe.
Durability Meets Style POTEY pots are made of premium ceramic and are long-lasting. The hardy substance gives your indoor environment an elegant beauty while guaranteeing stability for your plants. Every pot is meticulously coated to produce a shiny, smooth surface that accentuates the vivid colors of your plants.
FAQs:
Q: Are these pots suitable for indoor use only? Ans: Yes, POTEY pots are specifically designed for indoor use, making them ideal for homes, offices, or any indoor setting.
Q: What plants are suitable for these pots? Ans: These pots are perfect for small indoor plants such as succulents, cacti, herbs, or miniature houseplants.
Q: Can I use these pots for outdoor gardening? Ans: While these pots are primarily designed for indoor use, they can be used outdoors in covered areas such as balconies or patios.
Elevate your indoor gardening experience with POTEY pots and watch your plants thrive in style and sophistication.
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kon-igi · 3 months
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UNA VOLTA HO SCRITTO DUE COSE
Non importa quali e dove.
La prima la scrissi tanti anni fa - tredici - e a mia discolpa posso dire che ero un individuo profondamente diverso, più rabbioso e ipergiudicante, ma di fatto questa cosa scatenò tutta una serie di reazioni nei confronti di una persona che fu costretta a sparire per il pubblico lubidrio.
Io ero già 'famoso' - le virgolette vi dicono quanta compassione mi faccio solo a usarlo, questo aggettivo - e questa persona una perfetta sconosciuta che, non si era forse comportata in modo simpatico ma lo squilibrio tra la mia capacità di insultarla - e soprattutto farla insultare - e la sua capacità di difendersi era ENORME.
Tre anni fa, quasi quattro, invece, in pieno Covid decisi di affrontare l'argomento pandemia e vaccino su una pagina FB creata all'uopo e lì potei toccare con mano lo squilibrio tra me e loro... nel senso che di sicuro io ero più competente ma loro erano di più e quindi mi ritrovai, fisicamente, a non riuscire più nemmeno a rispondere o interagire perché gli insulti, le accuse e gli auguri di morte erano così variegati e numerosi che cominciai a provare sconforto e, a tratti, amarezza.
Sia 13 anni fa come 3 anni fa l'errore fu tutto mio, nel senso che mi illusi di avere una verità più vera di quella di altri e che alla fine questa verità avrebbe prevalso.
Verità...
La stessa parola che hanno usato Selvaggia Lucarelli e Lorenzo Biagiarelli, per amor di ricerca della quale hanno massacrato mediaticamente una poveraccia che voleva fare pubblicità al suo locale con una recensione gay friendly farlocca e che poi s'è ammazzata per la disperazione.
Una cosa la voglio dire, a voi tutti, me 'famoso' compreso...
Non siamo così importanti.
Io sono un cinquantenne sovrappeso che guadagna 1300 euro al mese e si sveglia urlando nel mezzo della notte. Nei prossimi vent'anni probabilmente mi verrà un tumore o un accidente cerebrovascolare e prego già da ora Crom di farmi schiattare alla svelta per non diventare un doloroso peso per le persone che amo. Magari un giorno vi chiederete perché non posto più e qualcuno vi dirà che sono morto dilaniato tra le lamiere della mia macchina dopo esser volato giù da un monte.
Dove sarà tutta la mia 'importanza' e a che cosa sarà servita?
Quindi, per cortesia, non parlatemi di 'ricerca della verità' quando non siete altro che dei miserevoli strisciaschermo con due o tremila follower che usano il pollice opponibile giusto per afferrarsi le caccole in fondo al naso.
Giornalismo di inchiesta e ricerca della verità... Mauro de Mauro e Heidegger si stanno rigirando così tanto nella tomba da aver perforato la crosta terrestre e io a quegli ignobili individui vorrei dire una cosa, consapevole che lo squilibrio di potere tra me e loro è così grande da non temere che abbiano a soffrirne.
Il giornalismo di inchiesta e la ricerca della verità si fanno per denunciare grandi ingiustizie e schierarsi dalla parte delle vittime, mentre voi siete solo frignanti individui meschini che neghereste di aver rubato la marmellata pure se vi colasse dalle orecchie.
Se per le masse siete quel tipo di eroi, allora ricordate di tenere sempre il passo e di non cedere mai perché la vostra gente ha coltelli, forchette e tanta fame... ed è un attimo che il prossimo pasto diventiate voi.
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femmenoir-red · 9 months
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Non posso esistere senza di te.
Mi dimentico di tutto tranne che di rivederti:
La mia vita sembra che si arresti lì,
Non vedo più avanti.
Mi hai assorbito.
In questo momento ho la sensazione
Come di dissolvermi:
Sarei estremamente triste
Senza la speranza di rivederti presto.
Avrei paura a staccarmi da te.
Mi hai rapito via l’anima con un potere
Cui non posso resistere;
Eppure potei resistere finché non ti vidi;
E anche dopo averti veduto
Mi sforzai spesso di ragionare
Contro le ragioni del mio amore.
Ora non ne sono più capace.
Sarebbe una pena troppo grande.
Il mio amore è egoista.
Non posso respirare senza te ..❤️
@femmenoir-red
-emozioninoired
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perpassareiltempo · 1 month
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E so che oggi non posso, come non potei ieri e non potrò domani, fare nient’altro che pensare a te e amarti.
Nazim Hikmet
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vedova-nera · 3 months
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"Cosa ti fa credere che io voglia essere la tua Padrona?", domandò, volgendomi un sorriso beffardo.
Il tono della voce mi parve decisamente troppo alto per pronunciare quelle parole. Sembrava volesse intimorirmi o forse mettermi alla prova, attirando su di noi l'attenzione dei casuali spettatori che ci circondavano in quel momento.
Per un attimo esitai e desiderai una via di fuga, ponendo fine a quel colloquio appena iniziato, ma poi tornai a guardare i suoi occhi, l'espressione altera e imperiosa del suo volto, quel sorriso appena accennato con cui pareva deridermi. Ciò che stava avvenendo mi apparve necessario, ineluttabile e decisi di non opporre più resistenza.
"Il modo in cui mi guardi.", le risposi, sommessamente.
"E sentiamo, in che modo ti guardo?", chiese ancora, con maggior prepotenza e arroganza.
"Come se fossi fragile e inerme, disteso sotto di te, con il tuo piede premuto sul mio volto."
"È ciò che ti piace? Quello che vorresti?", mi incalzò, senza preoccuparsi di nascondere il divertimento che le procurava ascoltare le mie parole, né la volontà di avvalersi del potere che le conferiva quella mia confessione.
"No, è semplicemente ciò che sento, quel che sono.", sospirai, eccitato e avvilito da questa verità.
"Il mio schiavo, dunque?", domandò e mi sembrò che il tono della voce fosse volutamente più alto, come per costringermi a una resa che doveva essere necessariamente assoluta e incondizionata.
"Sì, il tuo schiavo.", ammisi, con il capo chino, senza osare sollevare lo sguardo.
"Il mio schiavo si adopererebbe affinché le mie scarpe siano sempre pulite, ma al momento non mi pare che siano molto lucide."
"Vuoi?"
"Voglio vederle brillare e voglio vedere quanto sai renderti utile.", comandò.
La sua voce divenne ancor più superba e spoglia di qualsivoglia attenzione o premura. Avevo appena dichiarato di essere suo schiavo, rivelando le ragioni del mio fare mite e cortese. Per quanto fosse folle, mi sentii talmente soggiogato da lei che non potei fare altro che obbedire ai suoi ordini. Senza preoccuparmi o forse ignaro di chi potesse vedermi, mi inginocchiai dinanzi a lei.
Ero il suo schiavo, sentivo di doverla servire, di obbedire ad ogni suo comando, di sacrificare la mia dignità sul suo altare. Lo sentivo e malgrado la vergogna e la dolorosa angoscia per quella umiliazione, io stesso desideravo compiere quell'atto e dar prova della sincerità e irrevocabilità della mia sottomissione.
Mi abbassai sempre di più, fino a trovarmi con il volto sotto la suola della sua scarpa. La mia Padrona mi osservava con un sorriso divertito e soddisfatto. Io ero il suo nulla, il suo vuoto da riempire e da quel momento no avrei potuto far altro che lasciarmi plasmare da lei. Accettando di leccarle la scarpa, di raccogliere e ingoiare quel sudiciume per cui non riuscivo a provar disgusto, le avrei consegnato per sempre la mia vita.
Forse mi sarei dovuto fermare, attendere, riflettere, ma non c'era più tempo, ero come vittima di un sortilegio e continuavo a precipitare in quel baratro come se agissi al di la della mia volontà.
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dolcementefemmia · 3 months
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JOHN KEATS - Senza di te
 
Non posso esistere senza di te. 
Mi dimentico di tutto tranne che di rivederti: 
la mia vita sembra che si arresti lì, 
non vedo più avanti. 
Mi hai assorbito. 
In questo momento ho la sensazione 
come di dissolvermi:
sarei estremamente triste 
senza la speranza di rivederti presto. 
Avrei paura a staccarmi da te. 
Mi hai rapito via l'anima con un potere 
cui non posso resistere;
eppure potei resistere finché non ti vidi; 
e anche dopo averti veduta 
mi sforzai spesso di ragionare 
contro le ragioni del mio amore. 
Ora non ne sono più capace. 
Sarebbe una pena troppo grande.
Il mio amore è egoista. 
Non posso respirare senza di te.
Contro ogni ragione
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canesenzafissadimora · 7 months
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Quella mattina a scuola c’era il compito in classe di italiano. Il titolo del tema era
“La persona più speciale per me”.
Umberto scrisse tutto d’un fiato, come se le parole si scrivessero da sole.
“Mio fratello si chiama Bruno.
Sono sicuro che mi vuole un mondo di bene, come io ne voglio a lui, anche se non me l’ha mai detto. Lui le cose le dimostra, non si perde in inutili parole.
Quando è entrato nella nostra famiglia, era già grande, i miei l’hanno adottato un giorno di quattro anni fa. E dal primo momento in cui ci siamo guardati, è come se fossimo stati sempre fratelli.
Mio padre dice che l’amore, in qualunque sua forma, è proprio questo: due anime che si riconoscono, tra miliardi di anime.
Non so nulla della sua storia prima che entrasse in casa nostra, ma mi piacerebbe sapere se era amato quanto lo amiamo noi.
E perché si sia ritrovato solo.
So che un giorno lo scoprirò, e che quel segreto mi farà piangere. Perché allora capirò quei momenti di malinconia in cui ogni tanto lo trovo perso.
Ma anche se non conosco la sua storia, sento che il suo mondo è così simile al mio, da potercelo scambiare.
Noi abbiamo diviso tutto, fin dal primo momento: i giochi, il letto, i genitori. Le bravate. Lui è un complice perfetto, non fa mai la spia e mi dà fiducia assoluta.
Ogni volta che gli propongo qualcosa, è sempre pronto a seguirmi. Come se non avesse mai di meglio da fare che stare con me, come se fossi io il suo meglio.
E questo mi fa sentire la persona più importante al mondo.
Una delle sue passioni più grandi è il cibo, ad ogni pasto mangerebbe fino a scoppiare, come se non si saziasse mai. Ma nonostante questa sua debolezza, non è grasso, e si mantiene in forma perché è un tipo sportivo.
Corre tutti i giorni e nuota appena ne ha la possibilità.
Quando vede una qualunque distesa d’acqua, che sia il mare, un lago o un fiumiciattolo, lui si butta e comincia a nuotare, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
La scorsa estate al mare ha salvato anche un paio di bambini che stavano per essere trascinati via dalla corrente.
Lui li ha visti per primo, e si è buttato in mare senza nessuna esitazione, senza nessuna paura, riportandoli a riva sani e salvi, tra gli applausi commossi e increduli di tutti i bagnanti.
Quando sono in ospedale, è lui che mi manca più di ogni altra cosa al mondo. La sua contagiosa allegria. Le risate che mi fa fare. Quel suo modo speciale di essermi vicino, sempre.
So che quando sto male, lui non soffre per me, ma con me, e allora il dolore si divide, ed è come se facesse meno male.
E quando sono felice, lui non è felice per me, ma è felice con me, e allora qualunque felicità si moltiplica e diventa ancora più grande.
Pochi al mondo sanno esserci, come lui.
Un giorno, dopo un’anestesia, lo vidi stare male, trascinarsi a terra stremato, guardarmi con gli occhi sbarrati, tremare e cercare con tutte le forze il mio aiuto.
Io non potevo fare nulla per salvarlo, allora mi feci mettere a terra vicino a lui e l’abbracciai più forte che potei, finché non riprese le forze.
Lo aspettai.
Mi ha insegnato lui a farlo.
Guardandolo, ogni giorno imparo qualcosa...
La dignità, la lealtà, il coraggio, il rispetto, la riconoscenza, il perdono. L’amore.
Ah, dimenticavo… lui non è una persona,
è un cane, anzi un labrador,
ma per me non fa nessuna differenza.
E’ il fratello migliore che potessi avere.
I fratelli non si scelgono, ma se si potessero scegliere, pure in altre mille vite,
io sceglierei lui.
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pioggiadifarfalle · 1 year
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Chiusi il mio cuore, lo strinsi più che potei e mi dissi che niente, niente doveva più toccarmi in profondità da quel giorno in poi
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la-novellista · 6 months
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E so che oggi non posso come non potei ieri e non potrò domani, fare nient'altro… che pensare a te e amarti…
Nazim Hikmet
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jackpanforte · 7 months
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Ci fu un momento in cui scoprii
Per la prima eccitante volta
Il metodo preciso per fermare
Questa giostra adulta chiamata
Pensiero
Ci fu un momento in cui
Smisi di sentirmi così tanto
E ci fu talmente silenzio
Che potei sentire il vento
Che importa se muoio?
Pensai
Almeno muoio
Incosciente nel vento
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gregor-samsung · 7 months
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“ Un giorno cominciò a circolare la notizia che le forze di occupazione americane avrebbero requisito la scuola per gli armeni. Si spandevano pure delle voci secondo le quali sarebbe venuto anche il nostro turno, ma ciò che sarebbe successo di noi nessuno lo sapeva, e presumibilmente a nessuno importava. All'incirca nello stesso periodo avvertimmo anche il primo pallido incanto del nome di Kemal Atatürk, che stava raccogliendo un esercito nella remota Anatolia, e che aveva già costituito un governo nazionalista ad Ankara. La notizia che riguardava gli americani e gli armeni si dimostrò vera, e un giorno vedemmo dal nostro giardino i ragazzi più anziani di Kuleli portare letti, materassi e banchi nei giardini della scuola. Stava iniziando la loro evacuazione. L'odio tra turchi e armeni è noto, ma quel giorno, nella nostra scuola grigia sulla collina, quell'odio fu ancora più intenso. Gli armeni erano fuori di sé, tanto erano orgogliosi di ricevere un riconoscimento dagli americani. Facevano gli spacconi e si pavoneggiavano, e le offese si facevano più frequenti che mai. Quando un mattino sventolò su Kuleli la bandiera americana, gli armeni impazzirono di gioia, e i curdi si scatenarono violentemente. Ne risultò un discreto numero di teste rotte, e il bastone del capitano dovette fare gli straordinari. Poi venne il nostro turno. Un mattino dovemmo radunarci all'ingresso principale, i prefetti più anziani che cercavano di mantenere legge e ordine, e che si rifiutavano di rispondere a tutte le nostre domande. Dovevamo apparire un gruppo burrascoso, là in piedi nelle nostre uniformi malmesse, con le teste rapate e le facce smunte per la cattiva nutrizione. Dal cancello principale entrarono degli ufficiali americani, e con loro un prete armeno e un'americana alta, dal seno piatto e dai severi occhiali dalla montatura di corno. Mi intimidì molto più lei degli ufficiali. Era una vera virago che sembrava sapere sempre quello che fosse meglio per tutti. La osservammo con apprensione. Dapprima si occuparono dei ragazzi più grandi, facendone uscire alcuni dai ranghi; noi, a disagio, ci chiedemmo a cosa preludesse quella separazione. Arrivarono presto a noi, e un interprete gridò: «Tutti gli armeni da questa parte!».
Molti ragazzi fecero un passo avanti, incluso il nostro sergente. Il prete, che sembrava assai spaventoso con la sua barba nera, cominciò a farci delle domande, e la donna prese in mano la situazione, avendo apparentemente deciso che non ci sarebbe stato niente di male se anche lei avesse fatto un po’ di separazione. Ci guardò tutti freddamente come se fossimo tutti così stupidi da non sapere a quale nazionalità appartenessimo. Osservò scrupolosamente le nostre facce, poi spinse altri ragazzi nella parte degli armeni. Quelli che aveva selezionato erano curdi, e non potei fare a meno di domandarmi con curiosità come potesse vedere in loro la nazionalità armena. Guardò anche me con attenzione, ma mi lasciò nella mia fila. La selezione fu completata in fretta, e gli armeni furono messi in una grande sala al di là dell'ingresso. Noi fummo allontanati. .. perché nessuno aveva più bisogno di noi. Corremmo ansiosi in giardino per guardare dalle finestre della stanza nella quale stavano gli armeni. Felici, ci facevano dei gesti con le braccia beffeggiandoci e gridandoci offese. Noi, per non essere da meno, rispondevamo per le rime. Minacciavamo di romper loro la faccia, e il prefetto anziano ci implorò più e più volte di far meno rumore. All'improvviso, al di sopra di tutto quel vocio, sentii chiamare il mio nome, e riconobbi la voce di mio fratello; ma benché lo cercassi dappertutto con lo sguardo, non riuscii a vederlo. La sua voce lamentosa continuava a chiamarmi; mi saltò addosso la paura, e mi feci strada fino alla prima fila dell'assembramento, dicendogli quasi in lacrime che stavo arrivando. Lo vidi a una delle finestre della stanza dov'erano tutti gli armeni, e corsi verso di lui sporgendomi e afferrandogli le piccole mani. Disse con voce isterica: «Mi hanno messo tra gli armeni!». “
Irfan Orga, Una famiglia turca, postfazione di Ateş Orga, traduzione di Luca Merlini, Passigli Editori (collana Narrativa), Firenze, 2007; pp. 239-241.
[ Edizione originale: Portrait of a Turkish Family, Victor Gollancz Ltd., London 1950 ]
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undiariodibordo · 9 months
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Non posso esistere senza di te.
Mi dimentico di tutto tranne che di rivederti:
la mia vita sembra che si arresti lì,
non vedo più avanti.
Mi hai assorbito.
In questo momento ho la sensazione
come di dissolvermi:
sarei estremamente triste
senza la speranza di rivederti presto.
Avrei paura a staccarmi da te.
Mi hai rapito via l’anima con un potere
cui non posso resistere;
eppure potei resistere finché non ti vidi;
e anche dopo averti veduta
mi sforzai spesso di ragionare
contro le ragioni del mio amore.
Ora non ne sono più capace.
Sarebbe una pena troppo grande.
Il mio amore è egoista.
Non posso respirare senza di te.
John Keats
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femmenoir-red · 1 year
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Non posso esistere senza di te.
Mi dimentico di tutto tranne che di rivederti:
la mia vita sembra che si arresti lì,
non vedo più avanti.
Mi hai assorbito.
In questo momento ho la sensazione
come di dissolvermi:
sarei estremamente triste
senza la speranza di rivederti presto.
Avrei paura a staccarmi da te.
Mi hai rapito via l’anima con un potere
cui non posso resistere;
eppure potei resistere finché non ti vidi;
e anche dopo averti veduto
mi sforzai spesso di ragionare
contro le ragioni del mio amore.
Ora non ne sono più capace.
Sarebbe una pena troppo grande.
Il mio amore è egoista.
Non posso respirare senza di te.
John Keats
@femmenoir-red
-emozioni 14*03*23
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directedby-siria · 8 months
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FRANCIS TURNER
Da ragazzo
non potevo correre né giocare.
Da uomo potei solo sorseggiare dalla coppa, non bere - perché dopo la scarlattina m’era rimasto il cuore malato.
Eppure riposo qui consolato da un segreto
che solo Mary conosce:
c’è un giardino di acacie,
di catalpe e di pergole dolci di viti - là,
quel pomeriggio di giugno
a fianco di Mary -
mentre la baciavo con l’anima sulle labbra
l’anima d’un tratto volò via.
-Antologia di Spoon River
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yukari-hayasaka · 22 days
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Veniva istintivo parlare di lui come di una vittima spirituale, di un'«anima perduta»: era possibile che fosse stato realmente «de-animato» da una malattia? «Pensate che ce l'abbia, un'anima?» chiesi una volta alle infermiere. La domanda le indignò, ma ne capirono la ragione. «Osservi Jimmie nella cappella» dissero «e giudichi lei stesso».
Lo feci, e fui commosso, profondamente commosso e colpito, perché vidi un'attenzione, una concentrazione così intense e salde come mai avevo visto prima in lui e delle quali non lo ritenevo capace. Lo osservai inginocchiarsi e ricevere l'ostia consacrata, e non potei dubitare della pienezza e della totalità della Comunione, della perfetta sintonia del suo spirito con lo spirito della messa. [...] In quel momento non c'era smemoratezza, non c'era sindrome di Korsakov, né la loro esistenza pareva possibile o immaginabile; perché egli non era più alla mercé di un meccanismo difettoso e fallibile, ma era assorbito in un atto, un atto del suo intero essere, che conteneva sentimento e significato in una continuità e unità organiche così perfette da non ammettere interruzione di sorta.
[...] Le infermiere avevano ragione: lì egli trovava la sua anima. [...] La memoria, l'attività mentale, la sola mente non erano in grado di trattenerlo; ma l'attenzione e l'azione morale ci riuscivano in pieno.
Oliver Sacks, L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello
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