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#Paolo Sala
random-brushstrokes · 4 months
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Paolo Sala (Italian, 1859 - 1924) - The Anichkov Bridge on Nevsky Prospekt at Dusk, St. Petersburg
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marcogiovenale · 2 months
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oggi, 26 febbraio, a milano: pasolini + callas @ ferrobedò _ con silvia de laude e giuseppe garrera
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iannozzigiuseppe · 7 months
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COMPIE 18 ANNI LA CASA EDITRICE PER RAGAZZI BIANCOENERO, PRIMA IN ITALIA A PROPORRE LIBRI PER CHI HA DIFFICOLTA’ DI LETTURA, DISLESSICI COMPRESI
COMPIE 18 ANNI LA CASA EDITRICE PER RAGAZZI BIANCOENERO, PRIMA IN ITALIA A PROPORRE LIBRI PER CHI HA DIFFICOLTA’ DI LETTURA, DISLESSICI COMPRESI Al Palazzo Reale di Napoli, in occasione del Campania Libri Festival, incontro con il Premio Andersen Antonio Ferrara, autore di un libro che ha coinvolto le scuole di undici località della regione Diventa “maggiorenne” la casa editrice per ragazzi…
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Vitale Sala - Dante meets Paolo and Francesca, 1823.
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joseandrestabarnia · 2 months
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TÍTULO: Hombre de la maza AUTOR: Donato Bramante (Donato di Pascuccio) FECHA: 1486 aproximadamente MATERIAL Y TÉCNICA: Fresco separado transportado sobre lienzo DIMENSIONES: 300x127cm INVENTARIO: 1238
La obra forma parte del famoso ciclo de Hombres de armas de Bramante, compuesto por siete figuras de mayor tamaño que el natural, en parte fragmentarias -sólo en dos de los frescos arrancados se conserva la efigie completa del "barón" armado-, mientras que una octava figura de pie fue descartada en el momento del descartadamiento porque se consideró añadido en el siglo XIX para completar la decoración. El palacio contiguo a Sant'Ambrogio, donde vivió Gaspare Ambrogio Visconti, que acogió durante mucho tiempo al propio Bramante, fue decorado por los Urbino a finales del siglo XV con ciclos de frescos que seguramente surgieron de las conversaciones eruditas y jocosas entre los dos. protagonistas. Además de una sala decorada con árboles y otras decoradas con animales, había una sala "de los barones" y un patio con figuras ilusionistas. A principios del siglo XX, los pocos fragmentos que quedaban de esta empresa fueron adquiridos por Brera, gracias a la intervención directa de Corrado Ricci: los filósofos de la corte y algunos de los maestros de armas, los "barones". No héroes, sino famosos espadachines y fuertes gigantes contemporáneos, cuyos nombres debieron estar inscritos en la decoración si las fuentes más antiguas los hubieran transmitido, como indica Giovan Paolo Lomazzo a finales del siglo XVI. Algunos de ellos están vestidos con armaduras antiguas como las que Mantegna e incluso Amadeo usaron en los mismos años y como Fra Carnevale (¿o el propio Bramante?) había pintado en Urbino. A pesar del disfraz, los gruñidos de algunos, la apariencia juvenil y bondadosa de otros poco tienen en común con los rostros que atribuiríamos a los severos césares antiguos y esto sugiere que el tema está tratado de manera conscientemente paródica. El efecto teatral producido por los Hombres de armas debió verse incrementado, por el contrario, por el complejo aparato arquitectónico ilusorio, que evocaba un suntuoso ambiente clásico marcado por el orden y revisado a través del filtro de las obras de construcción contemporáneas de Bramante. Información e imagen de la web de la Pinacoteca de Brera.
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wutternach · 7 days
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Ricevo e volentieri ri-pubblico.
Non è una domanda la mia, ma è solo un pensiero di un signore per bene, che prende il the con i pasticcini, da solo o talvolta con la famiglia.
La cittadina di provincia limitrofa a quella dove abito ha una serie di negozi che frequentiamo, centri commerciali, piccoli negozi, servizi utili, ristoranti piacevoli. Tra questi c'è una deliziosa pasticceria, gestita da una coppia, moglie e marito. Una pasticceria dove, oltre ai dolci molto buoni, fanno caffetteria, sala da the, eventi, corsi di pasticceria per tutti, insomma un vero e proprio laboratorio artigianale raffinato. Lui lavora in un'agenzia di viaggi in realtà, ma è molto presente e segue tutta la parte amministrativa e gestionale dell'attività, curandone anche gli aspetti estetici e di accoglienza. Ha un'aria sempre molto cordiale e interessata al cliente, ancora non ho capito bene se fintamente cordiale o meno. Con alcuni aspetti, confesso, che mi stanno un po' sul cazzo, due tatuaggi piccolini stile fighetto finto giovane, un taglio di capelli e barba troppo studiato e delineato ma insomma, particolari estetici, nulla di più. Pare un bravo cristiano, come dicono i coatti romani con aria un po' compassionevole. Lei invece è la mente e il braccio del locale: è la pasticciera, inventa e realizza dolci di gran classe, progetta eventi, attività coinvolgenti e divertenti. Una bellissima donna, capelli corti probabilmente tinti senza darlo a vedere, viso sempre curato, trucco mai esagerato, gonnelline colorate, vestiti eleganti e scarpe di gran classe, sempre in ordine, stile un po' anni venti molto chic, un nome anch'esso molto chic, Carolina. Ascolta spesso Paolo Conte. Molto chic, sì, quasi snob che ti fa venire i nervi.
"Ciao carissimo Alessandro, come stai?" Tanti sguardi e tanti sorrisi.
"Salutami Francesca!" e ancora sguardi e tanti sorrisi cordiali.
"Buon weekend, anche ai ragazzi." Sguardi, sorrisi, sempre tanti.
Gentilezze.
Un gran rapporto cordiale.
Ecco, io, in tutta sincerità, l'elegante Carolina, la scoperei senza nessuna esitazione e tutto sommato con poca cordialità, con gli occhiali rossi da presbite che indossa sempre tenuti al collo con la cordicella raffinata; Ie alzerei le gonnelline fantasia anni venti per scoparla davanti e per scoparla dietro, sul bancone delle preparazioni e farciture; le farei tenere parte dei suoi vestiti eleganti addosso, mentre le lecco la fica nel laboratorio; la riempirei di parole forti, ma da apprezzare per sincerità, mentre mi prende il cazzo nella sua bocca perfetta, elegante, signorile.
Io, Carolina, la voglio sentire che mi chiede di schiaffeggiarle il culo, mentre mi prega cortesemente di venirle sulle tette esibite. La voglio percepire trasformata, mentre gode, quando il suo charme diventa solo un ricordo lontano ma che mi fa venire il cazzo ancora più duro.
Perché no, Carolina, a me Paolo Conte proprio non piace.
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susieporta · 3 months
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"La seduzione è come il ragù. Ha la sua lentezza, ma poi devi operare con rapidità, altrimenti il sugo si brucia.
L'indomani, Paride ha l'accortezza di scomparire. Si barrica nella stanza e chiude le imposte. Sa bene che la signora Martin, fingendo tranquillità e distrazione, in realtà lo cerca con occhio vivido lungo i meandri dell'hotel. Lancia occhiate di speranza nella sala colazioni, nelle terme, in piscina, nel giardino. Niente. Paride non c'è. La signora Martin è delusa.
"Perché cosa partorisce la delusione? La speranza e una nuova attesa" dice sempre Paride Bussotti. In fin dei conti cosa fa un seduttore? Tutto il contrario di quello che fa un uomo eccitato. L'uomo eccitato si sarebbe catapultato sin dalle otto del mattino in giro per l'albergo alla ricerca del profumo della signora Martin. Il seduttore, invece, si assenta. Il seduttore è un costruttore di misteri.
"Cerchiamo Dio nella stessa misura in cui cerchiamo il contatto umano perché entrambi sono misteri supremi", altra perlina di Paride Bussotti.
Paolo Sorrentino
#PaoloSorrentino#FanPaoloSorrentino#GliAspettilrrilevanti
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fashionbooksmilano · 1 year
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Venini  La magia del vetro
a cura di Federica Sala, prefazione di Peter Marino, con i contributi di James Bradburne, Anna Carnick, Wava Carpenter, Michela Cattai, Alberto Cavalli, Domitilla Dardi, Rainald Franz, Elisabetta Longari, Ivan Mietton e Federica Sala.
Rizzoli, Milano 2023, 256 pagine, Rilegato, 24,5 x 33 cm, ISBN  9788891835550
euro 90,00
email if you want to buy :[email protected]
In occasione dei 100 anni, Venini si racconta con un libro che celebra il design e l'arte vetraria. "Venini. La magia del vetro" è un viaggio nell'universo creativo e artistico dell'azienda di Venezia, punta di diamante del Made in Italy nel mondo. Fondata nel 1921 a Murano da Paolo Venini e Giacomo Cappellin, Venini coniuga sapientemente la millenaria arte vetraria dell'isola con l'innovazione, da sempre al servizio delle più moderne e immaginifiche menti del design e dell'architettura italiana e internazionale, tra le quali Carlo Scarpa, Gio Ponti, Ettore Sottsass, Alessandro Mendini, Tadao Ando, Ron Arad, Peter Marino, che firma la prefazione del libro. La struttura del libro è organizzata per temi e associazioni progettuali. 10 capitoli, da «Senza Tempo» a «Il Colore», da «Pieni e Vuoti» e «Collezionismo», per vivere le icone dei grandi maestri, le trasparenze, le lavorazioni a caldo e a freddo, i filoni creativi come l'Erbario e il Bestiario, le declinazioni dei vetri per la tavola, la luce e i pezzi unici da collezione. Il libro è uno spettacolo visivo, tra 150 immagini, fotografie d'archivio, disegni originali e un servizio fotografico inedito di Lucrezia Roda, che mette in scena i capolavori Venini nella fornace, cuore pulsante dell'attività, dove i maestri vetrai si tramandano un sapere antico, perfezionando sempre di più le proprie tecniche, tra le quali spicca la palette cromatica di 125 colori, unica al mondo. 
21/03/23
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Nel 1801 il professor Francesco Boi, docente di anatomia umana nelle Facoltà di Medicina e di Chirurgia (all'epoca ancora divise in due corsi) dell'ateneo cagliaritano, chiese e ottenne dal viceré di Sardegna Carlo Felice di Savoia, il permesso di recarsi in viaggio di studio per approfondire e affinare le sue conoscenze.
Si recò dunque nelle città italiane sedi delle più prestigiose facoltà di medicina, tra le quali Pavia e Pisa. A Firenze ebbe modo di frequentare il Gabinetto Anatomico dell'arcispedale di Santa Maria Nuova, diretto dal professor Paolo Mascagni, illustre anatomista dell'epoca. Dall'esperienza fiorentina nacquero le famose cere anatomiche, che l'artista Clemente Susini tra il 1803 e il 1805, nel laboratorio di ceroplastica del Museo della Specola, modellò sulla base delle dissezioni su cadaveri praticate dal Boi.
Nel 1805 le cere arrivarono a Cagliari, acquistate da Carlo Felice per il suo museo di antichità e storia naturale, ospitato nel Palazzo Reale.[2]
Entrate in possesso dell'università, le cere anatomiche vennero trasferite nel 1858 a Palazzo Belgrano, sede dell'ateneo, e affidate in custodia al docente di anatomia[3]. Nel 1923 sono nuovamente spostate, questa volta all'interno del nuovo Istituto di Anatomia, in via Porcell.
La raccolta delle cere del Susini negli anni '60 fu riparata personalmente dal direttore dell'istituto di Anatomia umana Luigi Cattaneo e riportate all'antico splendore [4]. Nel 1964, prima di lasciare Cagliari per Bologna, Cattaneo curò la preparazione della prima edizione del catalogo delle cere anatomiche cagliaritane, poi pubblicato nel 1970 dall'Editore Sansoni.[5]
Nel 1991 per l'interessamento del curatore della collezione, il professor Alessandro Lodovico Riva e del rettore dell'Università, il professor Duilio Casula, le cere del Susini vengono collocate in esposizione permanente nella "Sala pentagonale" della Cittadella dei musei, in piazza Arsenale.
Nel 2010 alcune fotografie delle cere cagliaritane sono state scelte per un atlante di anatomia umana russo[6].
Parte della collezione di cere compare nel film del regista Enrico Pau L'Accabadora, del 2015.[7]
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gogmstuff · 2 years
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1900s fashions (from top to bottom) -
Le Parasol by Paul César Helleu (Sotheby's - 22May14 auction Lot 49) 2880X3528 @72 2.4Mj. There is a trace of pouter pigeon visible.
1909 Princess Victoria by ?. From tumblr.com/blog/view/royaland1427X2000 @72 621kj.
About Town by Paolo Sala (Sotheby's - 22May14 auction Lot 44) 2880X4035 @72 4.3Mj.The year 1910 saw tailored dresses without distinct waistlines like this one in a transition from pouter pigeon to blouson waistlines.
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random-brushstrokes · 4 months
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Paolo Sala - First snow (1908)
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willianghostwriter · 1 year
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O Despertar do Elio
 Será que eu superaria? Será que eu conseguiria seguir em frente? 
 
 Depois daquela ligação, eu sentia tudo ao mesmo tempo, como se um filme de seis semanas passasse pela minha cabeça. Eu não estava triste, mas também não estava feliz, porém me sentia vivo, cheio e um pouco atordoado.  
 Meus pais estavam arrumando a mesa para o jantar e eu não queria falar nada, não conseguiria.  
 Brinquei com uma moeda na mesa, pensando: ele ainda me ama... cara... sim... coroa... não... deu cara... rá... Que diferença fazia a final. Ele não estava mais ali, eu não sabia quando ou se voltaria a ver ele novamente.  
 Me agachei em frente a lareira para me aquecer do frio melancólico que eu sentia. Eu só conseguia pensar nele. Elio, Elio, Elio... Oliver, Oliver, Oliver.  
 Minha mãe me chamou para ir a mesa. Eu acordei do transe em que estava. 
 — Como está o Oliver, mon amour? — perguntou minha mãe em um tom educado. 
 — Bem! Vocês sabiam que ele vai se casar na próxima primavera? — eu não consegui esconder a amargura na minha voz. 
 — Sim. E ele parecia estar feliz com isso. — disse meu pai em um tom duro, como se colocando um ponto final no assunto. 
 Ainda estávamos nos servindo. 
 Minha mãe olhou de relance para o meu pai querendo dizer: “Não seja tão duro com ele”. 
 Ele olhou de volta com um olhar mais brando. 
 — Está ansioso pela volta às aulas? — Minha mãe perguntou, sendo corriqueira. 
 — Tanto faz. O que me importa agora é ir para a NYU. 
 — Ficamos muito felizes com a sua carta. — Meu pai disse em um tom satisfeito, se esticando para alcançar a minha mão e afagá-la. Ele me olhou com orgulho. 
  
 As férias de inverno do contrário das de verão, passaram lentamente, como se eu conseguisse sentir cada dia passando, cada hora. Sempre pensando nele, em seu olhar inteligente, porém jovial, seu cabelo loiro impecável penteado para o lado direito, seus traços belamente desenhados, finos e clássicos, no modo como ele usava a camisa com dois ou três botões soltos deixando seu peito magro, porém definido a mostra para completar o visual “movie star” que fisgava qualquer um que estivesse no mesmo ambiente que ele. Todos só esperando pelo o seu “later” quando saísse. 
 Passei boa parte do tempo tocando e transcrevendo música, fazendo a única coisa que me distraia de pensar no Oliver. A cada nota que eu tocava em meu piano, eu me aprofundava mais nos meus sonhos.  
 Eu tentava pensar em NYU e como seria incrível dividir minhas experiências com outros colegas que talvez pudessem ser melhores do que eu, sendo assim, eu poderia melhorar as minhas composições. Como eu passaria noites em claro vivendo a vida como um calouro descobrindo os prazeres da faculdade. 
  
 As aulas voltaram e eu me sentia apático. Eu queria que aquilo acabasse logo, então eu poderia sair da li. Parecia que cada canto daquela cidade onde eu olhasse ou passasse, me lembrava dele. 
 Apesar disso, meus amigos eram legais. Era engraçado como cada um trazia algo diferente para o grupo: Francesco era o mais engraçado, ele poderia parecer estupido as vezes, porém sabia escrever como ninguém da nossa sala; Paolo era o mais carismático entre nós, sempre sabia o que falar e era o melhor nos esportes; Luisa tinha um estilo único para se vestir, mas tinha um gosto refinado em moda, apesar de parecer fria, ela era a que sempre sentia que algo estava errado com alguém; Luigi e eu éramos os mais próximos um do outro, ele sempre estava junto comigo em tudo o que eu fazia. Ele não tinha uma personalidade muito forte, sempre tentando me alcançar no piano, ouvindo o que eu recomendava, lendo o que eu estava lendo, porém ele era um bom amigo com um coração de ouro.  
 Ninguém poderia imaginar o que eu vivi no verão, pois passamos todos separados, e depois que voltamos das férias eu não falava muito sobre.  
 Eles não se importaram muito no começo, mas ficaram desconfiados. De vez em quando eles me perguntavam alguma coisa, mas eu sempre me esquivava, mudando de assunto. 
 Eles começaram a parecer preocupados e curiosos com o que aconteceu no verão.  
 No inverno nós conseguimos apenas conversar por telefone, mas eles não conseguiram arrancar muito de mim. Quando eles perguntavam como tinha sido o verão, eu apenas respondia: 
 — Foi bom. — Tentando ser curto nas respostas. 
 — O hóspede da vez? hum, o de sempre. — Escondendo as verdadeiras palavras que eu usaria para descrever o Oliver. 
 — Se eu estive com alguém? — Sim, com a pessoa que eu mais amei na minha vida. — Somente com a Marzia, a Chiara, os meus primos e amigos que vieram nos visitar. 
 Eu não sabia se eles entenderiam tudo o que aconteceu comigo naquele verão. O desejo, a vergonha, a dúvida, a descoberta... 
 Aquele foi um verão especial, um verão em que eu senti coisas que eu nunca havia sentido antes. Talvez eu ainda não tivesse as palavras certas para descrevê-lo. Talvez eu ainda não tivesse a coragem de compartilhar com todos o que aconteceu naquele verão. O meu pai e a minha mãe sabiam o que viram de perto, mas eu só consegui compartilhar uma fração do que eu senti, com o meu pai. Eu ainda não conseguia falar sobre o que eu senti e ainda estou sentindo depois daquilo tudo. 
 
 Já estávamos entrando na segunda semana de aulas e eu mais observava e ouvia do que falava e sempre era carregado para todo canto da escola pelos meus amigos.  
 Eu sentia no olhar astuto de Luisa que ela estava prestes a me derrubar e me obrigar a dizer o que estava acontecendo dentro da minha cabeça. Eu sempre fui modesto com as palavras, mas também sempre tinha algo a dizer quando era o momento certo.  
 Luisa nunca precisou me questionar sobre o que eu estava sentindo porque eu sempre sabia qual era o momento certo de contar a ela. Mas naquele momento eu queria ficar sozinho, isolado, pensando, lembrando dos momentos com o Oliver, somente para não ter que confessar que eu estava sofrendo, que minha cabeça sempre dava voltas e mais voltas e sempre pousava no mesmo lugar. 
 — Você vai me dizer ou eu vou ter que começar a te interrogar? — Luisa me pegou sozinho depois da aula enquanto eu ia em direção a gelateria mais próxima. 
 —  Eu não sei do que você está falando. — Tentei me manter firme, fingir que não fui pego de guarda baixa por alguém que consegue ler emoções através das esculturas de Praxiteles.  
 — Você anda calado, apático desde o último verão. — Ela me olhou com pena. Obviamente ela não poderia saber o que aconteceu comigo no último verão, mas ela sabia que eu não estava bem. 
 — Impressão sua. — Eu tentei dar um meio sorriso para parecer que estava tudo bem. 
 — Luigi não quer falar nada, mas é aparente que ele sente a sua falta. Você não? — Aquilo me doía, mas Luigi era a pessoa que eu menos precisava no momento. Então fiquei em silêncio, apenas continuei andando. 
 — Por que você não quer contar? — Ela perguntou como se soubesse de tudo. 
 — Eu não tenho nada a dizer. — O que era verdade, apesar de ser a maior mentira que eu já havia contado para a Luisa. 
 — Aconteceu alguma coisa naquele verão, Elio. Eu ainda vou descobrir o que foi, você querendo ou não. — E assim ela foi embora com as mãos nos bolsos do seu sobre tudo, com passos leves e ligeiros e seu ar frio, com um visual impecável. 
 Naquela semana parecia que meus amigos haviam se cansado de mim, da minha apatia, do tortuoso silêncio. Eles não disseram nada, apenas se afastaram. Me olhavam desconfiados e aborrecidos. Talvez esperando que assim, eu fosse me aproximar deles novamente, contar tudo o que havia acontecido comigo e voltar a ser eu mesmo novamente.  
 Eu não me importei. Nada mais me abatia. Eu pensava: “Logo isso tudo acaba. Nós não vamos mais nos ver e tudo seria diferente.” 
  
Na sexta-feira entrou um menino novo na nossa turma. Eu olhei para ele de relance, mas ele parecia comum.  
 “Con il respiro di um drago” a professora mandou o menino novo se sentar ao meu lado. 
 Ele veio andando com uma postura impecável. Ele usava o cabelo bagunçado, mas de um jeito que parecia descolado, usava jeans claro, um suéter fino preto com um sobre tudo xadrez verde jogado por cima e carregando a sua bolsa na mão.  
 — Piacere di conoscerti, mi chiamo Viktor. — Ele esticou a mão para um aperto. 
 — Le plaisir est pour moi. — Eu respondi revirando os olhos e virando a cara. 
 Quando eu olhei de volta, o Viktor estava sorrindo e com um olhar interessado. 
 — Algo de errado? — Eu perguntei na defensiva. 
 — Rien. — Ele respondeu com um sorriso de canto de boca e com um olhar misterioso e satisfeito, pendurando o sobre tudo no encosto da cadeira e arrumando o seu material sobre a mesa. 
 Algo naquele olhar me deixou intrigado.  
 Enquanto eu ia embora naquele dia, Luigi me alcançou.  
 — Você já tem um par para o trabalho de francês? — Ele perguntou casualmente, como se a gente não se falasse há duas semanas. 
 — Sim. — Eu não queria soar tão seco, mas eu queria acabar logo com aquela conversa. 
 — Quem? — Ele perguntou imediatamente. Ficando corado ao mesmo tempo. 
 — Viktor, o garoto novo. — Eu respondi sem olhar para ele. 
 — Hum... Ele parece ser legal. 
 — Eu não sei... tem algo nele...  
 — Você não gostou dele? 
 — Gostei... ã... — Eu não sei porque eu me engasguei para responder — Não sei ainda. 
 — Bom, você vai ter dois meses para descobrir isso. O trabalho vai levar o bimestre todo. — Eu não sabia disso. Ainda estava com a vontade de ficar sozinho, somente com os meus pensamentos. Eu não estava prestando atenção nas aulas. 
 — Que ótimo. — Eu disse com um tom de ironia, mas tentando dar um ponto final naquela conversa. 
 Luigi me encarou por alguns instantes, parecendo querer dizer alguma coisa. 
 — Então a gente se vê na escola. — Eu falei tentando sorrir um pouco para parecer que tudo estava bem e não parecer tão rude. 
 — A gente se vê. — Luigi deu um aceno tímido, ficou parado por uns dois minutos, me encarando, até voltar a si e seguir o seu caminho de casa. 
 
 Na próxima sexta-feira, na aula de francês, enquanto todos entravam eu fui me sentar perto da janela mais ao fundo da sala. Meus amigos geralmente sentavam nas primeiras cadeiras das duas primeiras fileiras. Eles me olharam lá da frente enquanto conversavam entre si, provavelmente se perguntando se havia algo de errado.  
 Paolo veio em minha direção. 
 — O que está acontecendo, Elio? — Ele perguntou, tentando me encurralar. Ele parecia um pouco aborrecido. 
 — Me diz você. Não foi eu quem se afastou e está agindo feito uma criança de dez anos. — Eu disse em um tom sarcástico, mas com uma cara séria, desafiando o tom dele. 
 Ele me encarou, olhou nos meus olhos e disse: 
 — Você não está bem. Nós somos amigos há o quê? A vida inteira? Nós não somos os mais próximos um do outro, mas eu te conheço. Você está diferente. Você mudou desde que conheceu alguém no último verão. 
  Como eu poderia contar que havia me apaixonado por um homem. Um homem que eu desejei mais do que qualquer pessoa que eu já havia desejado na minha vida, um desejo que faria gelo queimar no fogo. Não era uma coisa normal para um adolescente. Eu não poderia contar. Eu preferia me afastar de vez dos meus amigos e não deixar um clima mais estranho do que já estava rolando entre nós. Eu não sabia como dizer a verdade para todos. Então eu só disse: 
 — Eu só quero ficar sozinho. Só isso. — O clima gelou como o inverno que pairava sobre o continente. 
 — Bene allora! — Ele disse com dureza, como se dissesse adeus. 
  No mesmo momento, Viktor chegou preparando-se para se sentar ao meu lado. Ele olhou para o Paolo pedindo licença e lançou um olhar para mim como se perguntasse: “qual é a do garoto?”. Paolo olhou rapidamente para o Viktor e depois para mim, como se chegando a uma conclusão.  
 — Muito sozinho. — Ele disse para mim, com um olhar desapontado, se virando e retornando em direção aos nossos amigos. 
 — Está tudo bem? — Perguntou Viktor, preocupado. 
 — Sim, está. Apenas houve um mal-entendido. — Eu respondi sem olhar para ele. 
 — Bene! Eu percebi que você é muito bom em francês. Você já morou lá? — Ele olhou para mim com um olhar interessado, mas casual. 
 — Oui, J'ai de la famille en France et je veux y vivre un jour. — Eu não sabia se ele havia entendido, mas queria impressioná-lo. 
 — Não precisa se gabar. — Ele disse com um olhar Jocoso e um sorriso na boca. — Eu falo um pouco também. Talvez viver por lá um dia, quem sabe? — Será que eu havia o humilhado? 
 — Você conseguiu acompanhar? 
 — Eu entendi tudo o que você disse, só não sou fluente. — Ele disse tentando não parecer tão humilde. 
 — Eu posso deixar você fazer todo o trabalho de francês, então? — Falei para ele, tentando melhorar a situação. 
 Ele sorriu e pareceu se divertir. 
 — Somente se você me prometer a me apresentar a cidade. — Ele estava flertando? 
 — Avec plaisir. — Eu estava respondendo ao flerte? 
 Passamos o intervalo inteiro conversando.  
 — Você é de onde? — Eu perguntei, reparando em seu rosto. Ele tinha traços finos como os do Oliver. Os olhos azuis. Os lábios finos. Talvez se ele penteasse o cabelo para o lado, ele poderia ficar decente. 
 — Eu sou daqui. Quer dizer, de Milão. Mas eu me mudei para a Rússia com dez anos. Moscou, a terceira Roma. A minha família é de lá. — O garoto russo. Ele não era bem articulado, não como o Oliver era, mas ele era perspicaz. 
 — E você? É daqui também? — Ele colocou as mãos no bolso do seu sobre tudo quando fez esta pergunta. O garoto tímido. 
 — Eu nasci em Cambridge, Massachussetts, perto de Boston. Meu pai fez faculdade e trabalhou por lá um tempo. Meus avós maternos são italianos e tenho tios e primos franceses. Uma atípica combinação. — Eu sorri. Foi o que eu disse para o Oliver na nossa primeira conversa. Mas eu e o garoto tímido tínhamos algo em comum: Ambos nascemos e fomos criados em diferentes lugares. 
 — O que você gosta de fazer por aqui? — Ele me perguntou. Eu estava começando a gostar deste garoto. 
 — No inverno não se tem muita coisa para se fazer, mas eu tenho um interesse em música. Então eu passo a maior parte do meu tempo tocando, transcrevendo música, lendo livros e indo ao único cinema nas redondezas, em Pandino, com os meus amigos. Quando está passando algo que preste, pelo menos. — Eu sorri me lembrando dos momentos felizes de diversão em grupo antes do último verão. Eu dei uma rápida olhada para os meus amigos que estavam reunidos conversando e “vadiando” como a gente sempre costumava fazer nos intervalos. — Eu posso te apresentar qualquer dia desses. 
 — Seria legal. — Ele de repente se aproximou e arrumou a gola da minha camisa. 
 — Você é bem estiloso para um russo. Aonde aprendeu a se vestir? — Dando uma segunda olhada, ele realmente parecia estiloso e muito bonito. 
 — Ah, Moscou é uma cidade enorme, então eu conheci muita gente com interesses diversos. Mas eu não ligava muito para moda até conhecer Maxim. Ele é a pessoa mais genial que eu já conheci na vida. Ele me apresentou aos maiores estilistas do mundo e como moda pode ser um modo de expressão e arte. — Ele parecia sonhador enquanto falava. — Mas as minhas referências geralmente vêm das revistas de moda. Principalmente as francesas. E eu também... 
 — Eles estão nos encarando agora. — Eu peguei no braço do Viktor e nos virei de costas. 
 — Quem? — Ele olhou nos meus olhos e depois para a minha mão no seu braço. Eu soltei imediatamente. 
 — Paolo, Luisa, Francesco e Luigi estavam nos encarando. Eu acho melhor a gente ir por aqui. — E fomos andando devagar, casualmente, como se não estivéssemos sendo observados, em direção ao ginásio. 
 — Qual é a melhor atividade pra se fazer por aqui? — Viktor perguntou de repente. 
 — Eu participo do clube de artes. Mas eles não são muita coisa. É meio decadente para ser sincero. — Viktor ficou procurando uma atividade na lista do quadro. 
 — Hum... bem que eles podiam ter um clube de moda. Eu acho que seria o único garoto do grupo. — Nós nos olhamos e rimos. — O clube de artes não. O que você sugere então? — Ele olhou para mim, procurando ajuda. 
 Eu não estava prestando muita atenção. Na verdade, eu estava observando os garotos no ginásio jogando uma partida de vôlei. Eu me lembrei do Oliver e dos seus ombros largos e pelados, suados do sol, ágeis na quadra de vôlei nos fundos da velha casa de campo da minha família. Naquela época eu ainda estava em negação sobre qualquer sentimento positivo sobre ele. Estava meio aborrecido pela forma que logo na primeira semana ele cativou a todos, quando na verdade, no fundo estava começando a brotar um desejo.  
 — Que tal, o clube de esportes? — Eu disse desviando o olhar da quadra e mirando os olhos grandes e azuis do Viktor, com um largo sorriso na boca. 
 — Tem certeza? Esportes não são bem o meu forte. — Ele ficou pensativo por um segundo, considerando a opção. 
 — Bem, você tem o porte físico para isso. — Ele era alto e esbelto e tinha mesmo um bom físico. — E é sempre bom combinar uma atividade física para ajudar a fortalecer outras habilidades cognitivas. — Não seria nada mal ver aquele garoto, sem camisa, suado e se exibindo para todos. 
 — É, talvez você tenha razão. Eu costumava praticar futebol quando ainda morava em Milão. Está decidido, então! — Ele abriu um sorriso contagiante que me lembrou o Oliver e colocou o seu nome na lista. 
 — Você pratica algum esporte? — Ele me perguntou enquanto eu estava admirando os seus lábios finos e rosados. 
 — Quê? Ã?... Ah... não, regularmente. Na verdade, tenho passado mais tempo tocando o meu piano do que jogando qualquer coisa. Mas gosto muito de nadar e aproveitar a água no verão. — Eu fiquei um pouco envergonhado, torcendo para que ele não tivesse notado que eu o estava encarando. 
 — Você deveria se inscrever também. Assim poderíamos sair juntos depois para conhecer a cidade. — Ele deu um sorriso de canto de boca, colocando suas mãos nos bolsos do sobre tudo, tentando esconder a timidez. — Afinal, é sempre bom combinar uma atividade física para ajudar a fortalecer outras habilidades cognitivas. — Nós nos olhamos e rimos. Percebendo que eu estava meio relutante em colocar o meu nome na lista, logo depois ele pegou na minha mão bem gentilmente, posicionou e escreveu meu nome no quadro. 
 Eu corei, mas sorri. Trocamos um olhar significativo por um breve momento. 
 — Está assinado, então! — Depois que ele tirou a sua mão decima da minha, eu levei meus dedos até a sua boca e passei entre os seus lábios. Eu não sabia o que eu estava fazendo. Tentei disfarçar e fazer parecer que eu estava limpando a sua boca. Uma sorte que ninguém tenha visto. Mas ele pareceu ter gostado. 
 O sinal tocou. 
 — Eu vou te levar no meu lugar secreto depois da aula. — Eu não havia ido a Fontanile desde aquele dia com o Oliver. 
 O tempo estava agradável para o inverno, então eu achei que seria uma boa ideia irmos de bicicleta. Nós fomos para o apartamento da minha família, os meus pais não estavam em casa, então eu fui direto para o porão pegar a minha bicicleta e a bicicleta velha do meu pai. 
 — Fica fora da cidade? — Ele estava empolgado. 
 — Uma hora de bicicleta. — Eu olhei para ele pra ver a reação dele. — Mas vale muito a pena, pode ter certeza. — Ele estava estonteante com um sorriso largo na boca. 
 Eu já havia tirado a minha bicicleta do fundo do porão, porque é a que eu mais uso, mas a bicicleta do meu pai estava emperrada em algumas ferramentas antigas do Anchise. O Viktor veio tentar me ajudar, puxando junto comigo a bicicleta para soltá-la e quando ela se soltou, eu acabei caindo encima dele, não cheguei a derrubá-lo, mas fiquei de cara a cara com ele. Olhamos um no olho do outro por um momento e um impulso de beijá-lo ali, apareceu. Eu me segurei por um segundo, me esquivando no mesmo instante que eu senti que ele iria avançar para um beijo. Eu fiquei envergonhado, mas aquilo só me deu mais vontade de voltar a Fontanile. 
 Quando chegamos lá, nada parecia ter mudado. Eu fiquei admirando por alguns minutos todo o lugar, a árvore no monte de Monet onde eu e o Oliver demos nosso primeiro beijo, o rio com a água congelante (de acordo com o Oliver).  
 Apesar de terem sobrado poucas folhas nos galhos da velha árvore e o rio raso estar com uma água realmente congelante, eu ainda conseguia me sentir como naquele dia de verão. Eu fechei os olhos e consegui sentir o cheiro doce das plantas, o cantar dos grilos e o desejo de estar perto dele. Eu acho que devo ter ficado bobo, parado com os olhos fechados por tanto tempo que o Viktor falou: 
 — Deve fazer uma eternidade que você não vem aqui. — Eu acordei das minhas lembranças e olhei para ele. Ele estava com a barra da calça dobrada até quase alcançar o joelho, o seu sobre tudo dobrado cuidadosamente em cima de sua mochila, e ele parecia estar feliz ali, me encarando com um olhar de desejo e gratidão ao mesmo tempo. Ele iria fazer o inimaginável. Ele iria entrar na água. 
 — Faz quase seis meses que eu não venho aqui, realmente. Mas eu sinto como se fosse ontem a última vez que eu vim aqui. — Eu estava me aproximando de onde o Viktor estava, na escada de terra que levava ao rio, para tentar impedir que ele entrasse. — E talvez a água esteja muito gelada para entrar nela. Você não acha? — Eu cheguei do lado dele e tentei parecer que sabia do que eu estava falando. 
 — Bem, talvez possa estar, mas só iremos descobrir se eu entrar na água. — E falando isso ele deu um pulo para dentro do rio, com um largo sorriso no rosto e segurando a barra dobrada da calça. No momento em que seus pés afundaram na água, ele foi dando pulos alternando entre uma perna e outra e gritando baixo, até chegar na beira da escada.  
 — Ai, ai, ai, ai, ai, ai... 
 Eu estava rindo, não, gargalhando, com tanta força que por um momento eu me esqueci de onde eu estava. Ele parou na minha frente com uma cara maliciosa. De repente, ele começa a jogar a água do rio em mim. Sim, realmente estava congelante. 
 — Ok, ok... Eu não estou mais rindo. Mas você tem que assumir que a água está realmente congelante. — Ele parou, do nada, descansou as suas feições e fez o imprevisível: Ele se deixou cair na água, o corpo inteiro. Eu fiquei sem reação, porém impressionado. Mas por um segundo, eu tive o impulso de pular naquele rio junto com ele. 
 Ele saiu da água tremendo muito. 
 — Eu disse que a água estava muito gelada. Não diga que eu não avisei. — Eu estava ajudando-o a sair do rio. Mas o Viktor estava com uma cara satisfeita. 
 — Melhor experiência que há, meu homem. — Nós trocamos um olhar com um meio sorriso na boca. Ele saiu do rio, mas continuava a se tremer. Os seus lábios estavam roxos. Eu peguei o sobre tudo dele e levei ele para o mais longe do rio, com medo que ele pudesse tentar outro mergulho. 
 — Você me disse que tinha vindo da Rússia e não de uma casa de loucos. — Nós nos sentamos mais acima, próximos da árvore no monte. Eu havia colocado o sobre tudo por cima dele para tentar esquentá-lo e esfregando as suas mãos, mas todo o esforço parecia em vão. 
 — Eu estou congelado até a alma, mas não me arrependo. — Realmente, ele parecia satisfeito com aquela experiência. — Na Rússia quando estamos acampando em uma noite de inverno muito fria, nós tiramos nossas roupas e nos aquecemos com o calor do corpo um do outro. — Ele disse aquilo sem olhar para mim. Eu simplesmente comecei a tirar a minha roupa. Ele me olhou e ficou surpreso com aquilo, mas logo começou a tirar as suas roupas também. Quando ficamos os dois completamente nus, um na frente do outro, eu só o abracei. 
Ficamos os dois abraçados. Parecia um abraço rápido que você dá em alguém que acabou de conhecer. E o clima começou a ficar estranho. 
 — Seria uma péssima hora para se ter uma ereção, agora. — Ele disse, depois de um tempo. Eu ri. 
 — Ou talvez não. A gente poderia se esquentar ainda mais. — Eu disse de volta. Eu o senti ruborizar, mas depois ele riu. 
 Aquela interação pareceu ter quebrado o gelo entre nós. E o abraço começou a ficar mais forte. Eu tentei não encostar a minha perna no pênis dele, mas nós estávamos tão colados um no outro que foi inevitável. O calor começou a subir. Ele tinha os ombros largos e magros, como os do Oliver. 
 Ele me fazer lembrar do Oliver quando estávamos naquela posição, estava me deixando excitado. Eu fechei os olhos e eu me lembrei do calor das pernas do Oliver nas minhas, o modo como eu agarrava as costas dele durante o sexo, o jeito que eu o sentia dentro... 
 — Ã... eu acho que eu já estou bem aquecido. — Ele me soltou. E eu voltei para a realidade. Eu não estava totalmente duro, mas meu pau estava dando sinal de vida. Viktor não parecia constrangido, apesar disso. 
 — Me desculpe. — Eu estava envergonhado e comecei a me vestir rapidamente. 
 — Está tudo bem. Sério. Essas coisas acontecem. — Ele estava sendo generoso. 
 Nós voltamos para a cidade e quando chegamos na minha casa, eu ainda estava um pouco envergonhado.  
 — Você não precisa ficar assim, Elio. Eu acho que seria impossível não ter uma meia ereção naquela situação. Eu acho que isso acontece com todos os russos, mas eles guardam isso em segredo. Os russos são bons em guardar segredo. — Ele realmente parecia à vontade. Então eu consegui relaxar mais. 
 — Nós ainda precisamos começar a fazer o trabalho de francês. — Eu tentei direcionar a conversa para outro assunto. Mas a gente precisava mesmo começar a escrever a redação de francês. Já tínhamos perdido uma semana. 
 — Verdade! Qual era o tema, mesmo? — Já estávamos conversando um com o outro como se nada tivesse acontecido. 
 — L’Avenir! Eu vou ser o velho rabugento e você vai ser o velho louco. — Eu disse sério, como um médico que dá um diagnóstico de vida ou morte. Ele riu. 
 — Um velho louco que gosta de nadar em águas congelantes e um velho rabugento que tenta esquentá-lo, de todas as formas possíveis. — Nós nos olhamos por um segundo e trocamos um olhar como se guardássemos um segredo só nosso. 
 — Na minha casa amanhã, então? — Eu queria apresentar ele para os meus pais. 
 — Eu não posso. Amanhã eu vou ter um compromisso. Na verdade, eu estou ocupado a semana inteira. Mas nos outros sábados eu sou todo seu. Se a gente puder fazer o trabalho somente na minha casa, seria melhor para mim. — Eu fiquei surpreso por ele ser tão ocupado morando em Crema, mas concordei em nos ver somente aos sábados na casa dele. 
 
 A única aula que eu e o Viktor tínhamos em comum era francês, que era nas sextas-feiras, mas sempre nos víamos nos intervalos. Nós sempre passávamos a maior parte do tempo de baixo da escada que dava acesso para as salas de aulas no segundo andar.  
 Ele falava de como era sua vida na Rússia, um pouco da sua relação com os seus pais, sem dar muitos detalhes e a vontade dele ir morar na França.  
 Eu me identificava muito com ele e seu desejo de ir embora para o mais longe possível.  
 O Viktor falava sobre a sua vida como se ele estivesse contando tudo, mas ainda parecia que ele guardava algum segredo. As vezes quando ele falava da Rússia, parecia que ele tentava fugir de alguns detalhes da sua vida por lá.  
  No nosso primeiro encontro para escrever a redação de francês, o Viktor me recebeu bem discretamente. 
 — Ciao. — Disse ele, atendendo a porta. Ele parecia sorrateiro, quase como se eu estivesse entrando escondido na sua casa. 
 — Ciao. — Eu disse, tentando soar o mais baixo possível. Ele havia dito que sua mãe ficava em casa o tempo todo, pois estava em uma gravidez de risco. Então imaginei que este poderia ser o motivo de toda a discrição. 
 — Vamos até lá em cima, no meu quarto. — Ele falou e já foi indicando o caminho. 
 Quando chegamos lá, era um quarto bem grande, quase parecia um outro apartamento ali. Havia uma cama de casal em um canto, em outro havia um piano de calda e um violoncelo apoiado em uma cadeira. 
 — Você não me disse que também tocava. — Eu olhei meio surpreso, mas impressionado, para ele. 
 — Pois é, este é um dos motivos do porque eu sou tão ocupado a semana inteira. — Ele estava com um olhar triste quando eu olhei para ele. 
 Nos sentamos e arrumamos nossos materiais em uma mesa redonda que havia no meio do quarto, com duas cadeiras. 
 O trabalho de francês era uma redação com o tema “futuro”. A professora deixou que nós escrevêssemos sobre qualquer coisa, desde que tivesse relação com a palavra futuro.  
 — O que você quer ser no futuro? — Eu perguntei despretensiosamente para o Viktor. 
 — O meu sonho é ir para Esmond, na França, cursar moda. Eu gostaria muito de me tornar um estilista. Lançar os meus próprios designs. Vê-los a mostra em uma passarela. — Parecia que eu estava olhando para um espelho ao ver o brilho no rosto do Viktor, a emoção de como ele falava era a mesma que eu sentia quando falava dos meus sonhos.  
 — Nós devíamos escrever como imaginamos nós mesmos daqui há dez anos. Realizando todos os nossos sonhos e sendo quem nós sonhamos ser. — Eu estava empolgado com a ideia. 
 O Viktor concordou, mas estava meio cabisbaixo. 
 — Você não gostou da ideia? — Eu coloquei a minha mão em cima da dele para demonstrar que eu estava preocupado. 
 — Gostei! Gostei, sim! — Ele abriu um sorriso, tirou a sua mão debaixo da minha, colocando a por cima, dando uma leve pressionada e dando uns tapinhas carinhosos.  
 E assim nós nos encontrávamos todos os sábados na casa dele para discutir sobre a redação. 
  
 O Viktor era incrível. Nós tínhamos muito em comum, mas todo o momento em que eu o via na quadra de esportes ou quando estávamos juntos no intervalo, eu só conseguia pensar no Oliver. Por algum tempo eu não estava mais pensando nele, mas quanto mais eu me aproximava do Viktor, mais eu lembrava dele. O Viktor era diferente do Oliver, mas ao mesmo tempo tinham muitas coisas em comum. Eles tinham algumas características físicas parecidas, como os olhos, a altura e os traços do rosto. O Viktor é tímido e introspectivo. O Oliver podia parecer tímido, mas ele só esperava o momento certo de agir. O Viktor era espirituoso como ele. O Oliver era uma pessoa noturna, porém o Viktor não era uma criatura da noite. O Viktor era alguém que me lembrava do Oliver, mas ele nunca poderia ser ele. O que era uma pena.  
 Em uma noite de segunda, eu recebo uma ligação do Viktor: 
 — Alô? 
 — Oi. Sou eu. — Ele estava sussurrando. Ele não precisava mais se apresentar para mim. Eu já o reconhecia só pela voz. 
 — Mon russe préféré! Em que devo a honra? — O Viktor podia ser tão introspectivo que ele poderia me esquecer por dias, sem nenhuma ligação ou uma visita. Ele conseguia ser um pior amigo do que eu, às vezes.  
 — Ah! Eu queria sair hoje à noite. Você ficou de me mostrar a cidade, lembra? — Ele já estava falando em um tom normal agora. Eu havia esquecido.  
 — Tudo bem! Nós podemos ir no cinema, em Pandino. Fica perto... — Do memorial da batalha de Piave. Onde eu confessei o que eu sentia pelo Oliver.  
 — Bene! Nós vamos de bicicleta? — Eu não queria ir. Mas eu não tinha muitas escolhas de lugares para leva-lo. E eu já havia sugerido o cinema. Gênio! 
 Nós fomos de bicicleta e quando chegamos no centro da cidade, eu parei bem em frente ao monumento da batalhe de Piave. O ar estava fresco, a noite agradável, eu fechei meus olhos e me transportei para aquele dia de verão junto com o Oliver.  
 — Você sabe os filmes que estão em exibição? — O Viktor parou do meu lado. Eu abri os olhos e olhei para ele, meio confuso e abafando um riso. 
 — Filmes? — Eu perguntei pare ele retoricamente. Ele me olhou confuso. 
 Eu encostei a minha bicicleta na grade que protegia o monumento e fui andando em direção a única sala de cinema da cidade e fiz sinal com a cabeça para ele me seguir. O Viktor era ingênuo. Diferente do Oliver que era maduro e conhecia bem a realidade do mundo. Eu acho que eu poderia ensinar uma coisa ou outra ao garoto ingênuo. 
 Depois do filme, nós fomos em um bar comprar um refresco e nós nos apoiamos na grade do monumento. 
 — Eu gostava muito de ir ao cinema em Moscou, eu e meus amigos. — Viktor estava olhando vidrado para a frente, segurando a sua garrafa.  
 — Os filmes na Rússia devem ser chatos, não? — Pelo o que eu sabia, o cinema russo era puramente propaganda política. 
 — Sim, são. Mas nós íamos nos cinemas proibidos. Onde exibiam os filmes americanos, e até alguns filmes italianos também. Eu tinha um grande grupo de amigos por lá. Quase como o seu. — Ele olhou para mim com um meio sorriso na boca e um olhar saudoso. 
 — Eu também sinto saudades dos meus amigos. — Era a primeira vez que eu assumia isso para outra pessoa. 
 — O que aconteceu com vocês? Eu percebi que estava acontecendo algo estranho entre vocês quando eu cheguei. Não foi minha culpa, foi? — O jeito carinhoso e sensível que ele demonstrava se importar, me cativava. Isso me lembrava o Oliver. 
 — Não! De forma alguma. As coisas já estavam estranhas bem antes de você chegar. É difícil de explicar. Eu não tenho as palavras certas para isso agora, como eu não tive as palavras certas para falar com eles. — Mesmo naquele momento, eu ainda tinha receio de contar qualquer coisa.  
 — Você não precisa explicar nada. Nem para mim, nem para eles. Seja lá o que for, se você não se senti a vontade de falar sobre, é uma escolha sua. — Ele falava quase como se ele soubesse e entendesse o que eu vivo e como eu estava me sentindo. 
 Eu apoiei a minha cabeça em seu ombro, fechei os meus olhos e me lembrei do modo como eu me sentia seguro e compreendido nos abraços e nos ombros do Oliver.  
 Ficamos ali parados pelo o que pareceu ter sido horas. 
 — Elio, está ficando tarde, melhor irmos embora. — Ele colocou uma mão na minha cabeça, me afagando. Eu olhei para cima e vi os olhos marejados do Viktor. 
 — Sabe, tem coisas sobre mim que eu também não consigo falar com qualquer um. Coisas que são difíceis de explicar. Mas eu tinha um amigo que me entendia, porque ele era igual a mim. — Eu não estava entendendo o que ele queria dizer com aquilo. — Talvez, você devesse achar alguém que seja igual a você. Assim você poderia se sentir compreendido, assim como eu fui por este amigo. — Eu olhei para ele confuso. Eu não estava entendendo o que ele queria dizer com “achar alguém que seja igual a você”.  
 — Sabe, eu tive alguém que me entendia. Alguém que se sentia como eu me sinto. — Eu queria falar tudo para ele. Falar sobre o Oliver, do meu amor e de tudo o que eu vivi com ele. — Você não gosta da nossa amizade? — Eu segurei o braço dele, como se eu estivesse tentando não deixar ele escapar. 
 — Eu gosto, Elio. Mas eu não sei o que você quer de mim. — Eu fiquei confuso. Eu não havia percebido o tanto que eu havia me aproximado dele neste tempo todo.  
 — Você quer algo a mais do que amizade, Viktor? — Eu olhei nos olhos dele. Eu precisava saber. 
 Ele me encarou. Parecia que ele estava se contendo para dizer alguma coisa. 
 — Eu te amo, Elio. Eu te amo como amigo. Mas eu não sei se esse amor pode virar algo a mais. — Ele soltou o seu braço da minha mão. Ele fez um movimento como se ele estivesse indo embora. 
 Eu gostava do Viktor, mas não da mesma forma que ele parecia gostar de mim. Eu o queria por perto porque ele me lembrava do Oliver. Eu precisava dele por perto. 
 — Espera! — Eu segurei o braço dele novamente. — Eu quero ser mais do que amigos. É isso então? Você gosta de garotos? Eu também. Nós podemos dar certo. — Ele se virou e me encarou. Então ele se aproximou de mim, devagar, encostou uma mão no meu rosto e me beijou. 
 
 O inverno terminou e junto com ele o nosso trabalho de francês. Apesar de eu não me ver com o Viktor no futuro, o Viktor havia ficado bem empolgado com os nossos encontros. Ele queria, apesar da minha forte relutância, colocar na redação, nós dois vivendo juntos como “amigos”, em Paris, cada um correndo atrás do seu sonho. Eu como um regente de sucesso, apresentando as minhas composições nos maiores teatros de Paris e ele como um estilista de sucesso, trabalhando para alguma grife famosa como Chanel. Como eu queria agradá-lo, eu aceitei. Com a condição de colocar como eu imaginava a minha vida na universidade em Nova Iorque. Porque este era meu grande sonho, que se tornaria realidade dali há alguns meses, mas ainda assim eu não conseguia parar de pensar sobre. 
 A nossa relação após aquela noite em Pandino havia mornado. Eu não queria me relacionar com o Viktor da mesma forma que ele queria comigo. Ele parecia apaixonado e sempre fazia coisas românticas para mim, como: escrever bilhetes com recados carinhosos e cartas de amor se declarando para mim. Eu só continuava com essa relação porque toda vez que eu fechava os meus olhos enquanto eu o beijava, eu pensava no Oliver. Todo o momento em que eu estava deitado com a cabeça apoiada no colo do Viktor, enquanto estávamos em Fontanile, eu fechava os olhos e pensava no Oliver. Toda e qualquer afeição que eu sentia pelo Viktor era porque eu imaginava o Oliver no lugar dele. Por um tempo isto parecia funcionar, mas em vésperas de maio nós tivemos uma conversa: 
 — Elio, eu vou para a França. — Nós estávamos em Fontanile, com a minha cabeça apoiada no seu colo. 
 — Sim, eu sei, é o seu sonho. — Eu estava com os olhos fechados tentando mentalizar o Oliver. Eu não sabia por que ele estava falando sobre aquilo naquele momento. 
 — Sim, é o meu sonho. Mas meus pais querem que eu faça um intercâmbio rápido por lá. Quer dizer, pelo menos eu consegui convencer eles a isso. — Eu abri os meus olhos. Aquilo me pegou de surpresa. 
 — Tudo bem... ã... você pode ir... — Eu não sabia o que falar. 
 — Eu sei que você quer que eu vá. E eu vou de qualquer maneira. Mas eu vou voltar somente na última semana das férias de verão. — Ele terminou de falar aquilo como se eu tivesse que deduzir alguma coisa. — E nós não fizemos sexo ainda. — Há! Eu sabia que devia deduzir alguma coisa. — E eu queria muito ir para a França tendo já perdido a minha virgindade. — Eu me sentei e olhei para ele com uma cara confusa. — E eu queria muito que fosse com você. 
 Eu não teria problema nenhum em foder o Viktor, quer dizer, ele era bem atraente. Nós já havíamos nos masturbados juntos antes (eu estava pensando no Oliver o tempo todo, mas eu acho que ainda valia, não?) e nós quase transamos uma vez, bem aqui, em Fontanile. O fato era que eu havia transado somente com duas pessoas na minha vida até ali: A Marzia e o Oliver. Com a Marzia, havia sido um desejo de me aliviar e explorar o corpo feminino. Com o Oliver, havia sido sincero. Havia sido com um desejo além da curiosidade, era algo passional que eu achava que nunca sentiria algo assim por ninguém, e realmente não havia sentido a mesma coisa outra vez. O que eu teria para oferecer ao Viktor? Seria justo com o pobre garoto apaixonado, transar sem sentir a mesma coisa de volta?  
 — E se esperássemos você voltar? — Eu estava um pouco nervoso. Eu estava usando o Viktor como um boneco voo doo do Oliver este tempo todo. Mas ele queria algo que fizesse sentido, que marcasse a vida dele. Eu não sabia se era justo. 
 — Nós não teríamos tempo. Seria a nossa última semana juntos. Você não quer? — Ele ficou com uma expressão confusa no rosto. O ar apaixonado que ele estava conversando comigo estava se esvaindo e um ar de insegurança estava surgindo. — Eu fiz alguma coisa errada? Eu posso fazer qualquer coisa que você queira. Eu não tenho muita experiência, mas você pode me guiar. Eu... — Eu precisava dar um fim a aquela angustia. Eu precisava fazer o certo. 
 — Calma! Está tudo bem. É claro que eu quero! Quer dizer, se é importante para você a gente transar antes de você ir para a França... Mon amour, je vais te donner la meilleure nuit de ta vie! 
 No caminho para casa, eu fui pensando se eu havia feito a coisa certa, realmente. Eu decidi fazer sexo com o Viktor porque eu queria agradar a ele, e de certa forma retribuir por todos os momentos que ele me fez eu me sentir estar ao lado do verdadeiro amor da minha vida.  
 Eu sentia tesão pelo Viktor. Sempre que estávamos nos beijando mais intensamente, eu sempre ficava duro, e eu gostava desses momentos com ele. Mas eu ainda amava o Oliver. Eu queria estar beijando o Oliver quando beijava o Viktor. Eu queria estar pegando no pau do Oliver quando eu colocava a minha mão dentro da calça do Viktor. Não! Eu daria a noite que o Viktor tanto queria comigo e logo mais quando ele voltasse da França, nós diríamos Adeus um ao outro e cada um seguiria o seu caminho na vida. 
 Quando eu entrei em casa, eu deixei a minha bicicleta no hall de entrada. Quando eu ia em direção as escadas, subir para o meu quarto, o meu pai estava sentado no sofá na sala, lendo um livro. 
 — Elio! Você parece ansioso. Aconteceu alguma coisa? — O meu pai olhou para mim. Ele sabia me ler melhor do que qualquer pessoa na face desta terra. Nada parecia escapar o seu olhar esperto. 
 — Não. Eu só estava com um amigo, conversando. — Eu não soei convencido. 
 — Talvez, você não estivesse pensando no Oliver? — Ele realmente sabia me ler. 
 — Não. Por que estaria? — Eu disse um pouco desaforado. — Ele deve estar se casando neste momento com... alguém. Eu não tenho nada a ver com isto.  
 — Sim. Falando nisso, ele já está casado, na verdade. — Eu olhei confuso para ele. — Ele nos enviou um convite do seu casamento. Aconteceu no dia vinte e três de abril, há três semanas.  
 Ele estava com aquele olhar de sabedoria superior, como se ele soubesse o que estava fazendo.  
 Eu fiquei confuso com aquela revelação. 
 — E por que você não me cont... não fomos? — Eu estava com um nó na garganta. Eu não costumava ter raiva das coisas ou das pessoas. Eu achava que tudo fazia parte da vida e de um aprendizado, mas naquele momento subiu uma fúria e uma vontade selvagem de atacar o meu pai naquele momento. 
 — Você parece abatido. — Eu já não conseguia mais esconder. As lágrimas estavam correndo pelo meu rosto e a minha raiva devia estar transparecendo na minha cara. — Eu não falei nada porque eu não queria que você sofresse. Eu sei que você teria gostado de ir, ter visto o Oliver. Talvez mais uma despedida. Mas isto só teria te amarrado com o passado que você tem com ele.  
 — Eu já estou amarrado a ele. O que nós vivemos juntos foi forte o suficiente para nos amarrar para a vida inteira. — Eu limpei as lágrimas. Dizer aquilo me ajudou a esvaziar um pouco da raiva que eu sentia. — Eu penso nele o tempo todo, em todo o lugar que eu vou nesta cidade, quando estou com qualquer pessoa que seja apenas uma sombra da lembrança dele.  
 — É isto que você está fazendo com este pobre menino? — Ele sabia do Viktor. — Você quer tanto estar ao lado do Oliver que está enganando amar um menino que te faz lembrar dele? Você acha isto justo? — Ele me perguntou aquilo como se ele não carregasse uma culpa. 
 — Você também tem culpa de não ter me contado do casamento. De não ter me mostrado o convite. De não ter me dado o que poderia ter sido minha última chance de me despedir dele da forma que nós merecíamos. Você não tem o direito de questionar a minha moral. — Eu já havia descontado a minha raiva. Ele não devia mais nada a mim. 
 — Ele não iria querer isto. Você sabe disso. Ele mesmo ligou para contar sobre o casamento, nas suas férias de inverno. Ele mandou o convite no meu nome e no nome da sua mãe. Ele não queria você lá. — Eu já havia me virado, triunfante, em direção as escadas, quando aquilo me atingiu como um soco no estomago. — Se você quer permanecer dormindo para poder sonhar com o Oliver toda vez que você está com aquele menino, tudo bem. A moral é sua, a vida é sua. Mas quando você perceber que passou a sua vida inteira sonhando e esqueceu de viver, talvez seja tarde demais. 
 — Tanto faz. — Aquilo me sufocou. Saber que o Oliver não me queria por perto no que poderia ter sido nossa última despedida, definitiva. Saber que eu estava me enganando com o Viktor, e enganando o pobre garoto também. Saber que eu estava pensando no Oliver este tempo todo, quando ele devia estar ocupado demais com a sua vida acadêmica e com os preparativos do seu casamento. 
 Eu subi para o meu quarto. Eu estava triste. Eu finalmente estava sentindo algo real. 
  
 Elio, Elio, Elio. Eu acordei naquela manhã com os meus sussurros chamando pelo Oliver, na maneira que nós fazíamos na cama. Era dia dezoito de junho, um sábado. Neste dia eu iria fazer sexo com o Oliver, pela última vez.  
 Desde aquela discussão com o meu pai em que eu descobri que o Oliver não me desejava por perto mais, a minha cabeça ficava vagando entre me imaginar nos corredores da NYU e pelas linhas do corpo do Oliver. Quando eu estava junto com o Viktor, eu já não via mais ele. Eu só via o Oliver. Eu queria o Oliver ali. Quando a minha mão passava pelo seu peito nu, eu sentia a pele do Oliver. A minha pele contra a pele do Viktor, era a minha pela contra a pele do Oliver. Eu queria o Oliver ali.  
 Eu levantei da cama, até um pouco mais animado do que do costume das últimas quatro semanas. Fui até o banheiro e lavei o meu rosto. 
 Quando eu olhei o meu reflexo no espelho, eu percebi que eu precisava fazer o meu bigode.  
 Eu desci as escadas até a sala de estar e os meus pais já estavam na cozinha tomando o café da manhã.  
 — Bom dia, mon amour! — Disse minha mãe, carinhosa como sempre. — Eu separei um par de tiras de bacon com ovos para você. — Era quase como se ela soubesse que eu iria precisar de uma força extra hoje. 
 — Bom dia, Elio! — Meu pai estava estranho desde aquela discussão. Ele não fazia o tipo passivo-agressivo, mas sempre que a gente se cruzava, ele me dava um olhar de desaprovação. Nós não conversamos mais sobre o ultimo assunto e tudo continuou normal, apesar disso. 
 — Bom dia a todos! — Eu fui até a pia pegar o prato que a minha mãe havia reservado para mim. E meu humor estava melhorando gradativamente. Receber o olhar de desaprovação do meu pai dia após dia, estava me deixando deprimido, mas naquela manhã, sabendo o que eu iria fazer a noite, fez eu me deliciar em rebeldia naquele olhar. 
 Eu passei a manhã transcrevendo música. O que me mantinha focado e não me fazia pensar naquela noite, mais tarde.  
 A tarde eu me encontrei com o Viktor na Piazza. Tomamos um gelato e jogamos conversa fora. Eu falava com ele como se genuinamente eu estivesse prestando atenção ao que ele estava dizendo, quando na verdade eu estava pensando no Oliver. Aquela noite para o Viktor, significava a perda da inocência. O selo de um amante com o outro. Para mim, aquela noite iria representar a minha última despedida com o Oliver. A que foi tirada de mim. A que o próprio Oliver, aparentemente, não queria que acontecesse.  
 A noite chegou. Nós marcamos de transar em Fontadine, pois ali era o lugar que nós sempre nos encontrávamos aos sábados para flertar, conversar e as vezes nos masturbar juntos. Este era o nosso ritual de namoro.  
 Antes de sair de casa, eu fui até ao meu armário e peguei a camisa azul que o Oliver havia deixado para mim. Eu pressionei a camisa contra o meu rosto, o meu pescoço, fechei os meus olhos e comecei a evocar a lembrança do toque da pele dele na minha, o calor, os pelos, a força das mãos dele me segurando. Aquilo me deixou muito duro. 
 Agora sim, eu estava pronto para ter a minha noite. 
 Eu saí bem sorrateiramente para não acordar ninguém. Quando eu cheguei lá, ele já estava me esperando.  
 — Uau! Você está com tanto tesão que dá até para perceber através da sua calça. Ah, ah, ah... — Ele estava de olho no que realmente interessava naquela noite. 
 Eu fui até ele, me agachei e comecei a beijá-lo. Ele desceu a mão até a minha ereção e esfregou o meu pau gentilmente por cima da minha calça. Eu comecei a desabotoar a camisa que ele estava vestindo, beijando o seu pescoço e descendo para o seu peito. 
 — Eu estava com tanta saudade. — Eu queria que ele soubesse que se o meu pau estava tão duro daquele jeito, era por ele. 
 — Nós nos vimos hoje a... — Eu beijei a sua boca. Esta noite ele era meu. 
 Conforme eu fui descendo os meus beijos, eu fui sentindo uma pressão aumentando no meio da perna dele. Ele estava ficando duro também. Ele era meu.  
 Eu desabotoei a calça dele e coloquei o pau dele na minha boca. O gosto era o mesmo de sempre. Que saudades eu estava daquele gosto. Eu chupava aquele pau, enquanto ele gemia de prazer. Eu queria que ele sentisse tanto tesão naquela noite que ele me chamasse pelo seu nome. Eu queria que ele sentisse todo o meu amor naquela noite. 
 Eu tirei toda a minha roupa, ele já estava completamente nu. Eu me sentei no colo dele, olhei nos olhos azuis dele e coloquei o pau dele dentro de mim. Eu comecei a fazer um movimento devagar, subindo e descendo, enquanto nós nos beijávamos. Continuei assim até o grande ápice. Eu estava no pico do meu prazer. Eu estava gozando. E neste momento eu olhei no olho dele e não consegui mais ver o Oliver. 
 — Oliver? Oliver? Oliver? — Eu chamei por ele, segurando o rosto dele. 
 O Viktor me empurrou para o lado. 
 — Oliver? Quem é Oliver, Elio? — Ele parecia que havia sido violado por um estranho.  
 Eu deitei na grama, relaxando, exasperado e satisfeito. Eu olhei para o Viktor e ele estava em posição fetal, sem entender nada. Eu não queria ter assustado ele. Eu só queria ter usado ele. 
 — Olha, me desculpe. Você sabe aquela outra pessoa que eu disse que sabia como eu me sentia. Essa pessoa se chama Oliver. Eu descobri até a pouco tempo que ele havia se casado com outra pessoa, convidou os meus pais, mas não queria que eu fosse. Eu só queria uma última noite com ele. Uma despedida. — Havia rancor no olhar do Viktor. A dor de ter sido usado este tempo todo. O jeito frágil que ele parecia acuado, como uma criança. Aquilo estava me fazendo eu me sentir sujo.  
 Nós ficamos alguns minutos ali, absorvendo o que havia acontecido, até que ele recuperou as suas forças, levantou depressa, se vestiu e foi embora, sem falar nada.  
 O Viktor foi embora para a França no dia seguinte. Eu tentei ligar para ele para tentar me despedir sem ter que olhar nos seus olhos, mas ele desligava sempre que ouvia a minha voz. Parecia que todo o peso dos olhares de desaprovação que o meu pai havia me dado naquele último mês estavam começando a fazer efeito. Eu me sentia doente. 
 
 As férias de verão vieram e pensar no Oliver já não era mais uma coisa prazerosa ou nostálgica. Pensar nele era lembrar do quanto eu estava doente. Eu me afastei dos meus amigos porque eu não conseguia compartilhar a minha “amizade” que eu tive com o Oliver. Eu tinha medo de não ser aceito. Mas eles mereciam a verdade. Eu conheci um garoto tão legal quanto o próprio Oliver, mas nunca tive a chance de o conhecer melhor porque eu estava preocupado o tempo todo em comparar ele com o Oliver.  
 Eu finalmente havia encontrado alguém que gostava de garotos, assim como eu, mas não consegui ter nenhuma conversa sincera sobre isto porque eu só conseguia pensar no Oliver. 
 Nós fomos para a casa de campo da nossa família e era doloroso entrar no meu quarto pela primeira vez desde o último verão, quando foi ocupado pelo Oliver. Eu estava triste e angustiado. 
 — Mon amour, porque você não convida alguns dos seus amigos para nos visitar? Isto poderia te animar um pouco! — Minha mãe veio por trás, encostando suas mãos em meus ombros enquanto eu estava sentado no jardim à frente da casa. Se o meu pai sabia me ler como ninguém. A minha mãe era como a natureza em volta. Sempre sabia do que eu estava precisando. 
 — Sim. Seria bom! — Eu me levantei e fui até o telefone da casa. 
 Eu tentei reunir toda a minha dignidade para ligar para o Luigi, a Luisa, o Francesco e o Paolo, e convidá-los para virem até aqui. Eu havia os afastados de mim no começo do ano, e depois que comecei a minha amizade com o Viktor eu simplesmente ignorei a existência deles. 
 — Está tudo bem, Elio? — Luigi foi a primeira pessoa para quem eu liguei. Talvez por causa da nossa proximidade, ele não estivesse guardando tanto rancor de mim. 
 — Sim, está. Eu só queria te ver... 
 — Mas é claro! Qualquer hora, amigo. — Ele parecia aliviado no telefone. 
 — Tem uma coisa que eu preciso contar para você. Para todos os nossos amigos, na verdade. — Eu pausei por um segundo. Um nó na minha garganta estava se formando. — Eu preciso explicar o porquê eu andei estranho desde o último verão. 
 — Claro, amigo. Eu tenho certeza que você vai conseguir ser o mais estranho possível sobre isso. O Elio sendo o Elio. — Ele riu do outro lado. Eu ri também. 
 Eu desliguei o telefone. Disquei novamente. 
 — Alô? — A voz da Luisa nunca havia parecido tão dura. 
 — Alô! Sou eu. — Eu tentei soar engraçado, mas talvez tenha soado estranho. Talvez o Luigi estivesse certo. 
 — Elio? Mio Dio! Há quanto tempo! Quer dizer... como você some e reaparece assim do nada, como se nada houvesse acontecido? Eu... — A Luisa podia ser dura, mas era a mãe do grupo. 
 — Eu sei! Eu sei! Me perdoe! Eu não queria que as coisas fossem do jeito que foram. Por isso eu quero ver você e todo mundo junto, hoje, para eu me explicar. Eu preciso contar o motivo de estar estranho desde o último verão. 
 — Bene, amore! — Ela parecia em paz do outro lado. 
 Desliguei o telefone e disquei novamente. 
 — Elio? Saudades de ti, amigo! — O Francesco foi o que pareceu mais feliz com a minha ligação.  
 — A gente pode se ver hoje? Tem algo que eu preciso falar para todos. — Com o Francesco não parecia ter ficado nenhum ressentimento. 
 Eu desliguei o telefone e agora só faltava discar para só mais um número.  
 Paolo foi o que ficou mais ressentido comigo depois que eu me separei do nosso grupo. O jeito que ele me olhava quando nos cruzávamos na escola, beirava a insignificância.  
 — Alô? — Ele me atendeu com todo o carisma que ele sempre colocava em tudo o que fazia. 
 — Alô? Paolo? — Eu reuni toda a minha dignidade para dizer aquele “alô”. 
 — Como você tem a cara de pau de me ligar? — Ele parecia furioso agora. 
 — Eu sei! Eu sei! Me desculpe! Eu preciso falar... — Ele havia desligado o telefone. Talvez eu não fosse conseguir contar e me explicar para todos os meus amigos naquele dia. Eu só esperava que eu não tivesse perdido o Paolo de vez. 
 Conforme eles foram chegando, eu fui acomodando todos na sala.  
 Todos estavam em pé, cada um em um canto da sala, formando um círculo. Todos me encarando. 
 — Bem. Eu chamei todos vocês aqui para contar o que aconteceu no verão passado. — Estava me custando muito dizer todas aquelas palavras. Às vezes eu conseguia ser somente monossilábico em conversas. Mas eu tinha que colocar tudo para fora. — Eu me apaixonei... 
 — Sim, por um homem. — Disse o Luigi. Eu olhei para ele como se ele tivesse revelado algo horrível do meu passado. 
 — Deixe o Elio contar, Luigi! — A Luisa disse, com compreensão.  
 — Sim, foi por um homem. 
 — Nós sabemos, Elio. — Disse o Francesco, como se ele tivesse acabado de revelar todo um plano que os quatro, quer dizer, três, haviam tramado. 
 — Mas não foi só isso. — Eu queria contar de todo o meu desejo pelo Oliver, explicar como nós nos conhecemos, tudo o que eu senti e descobri com ele. 
 — Elio, está tudo bem! — A Luisa veio em minha direção e me abraçou de lado. — Você não precisa dar detalhes de algo que pertence somente a você. Nós só queríamos que você assumisse que você gosta de garotos. Só isso. — Eu estava um pouco confuso agora. Eles sabiam de tudo? Como? 
 — Como vocês sabiam? — Eu fiquei com um pouco de medo de fazer esta pergunta. Talvez eu não estivesse preparado para a resposta. 
 — Elio, o seu primo Mathéo me contou há uns dois anos atrás que viu você beijando um garoto enquanto a sua família estava de visita. A gente já suspeitava disso porque, quer dizer, você é todo sensível e muito bom nas coisas. Nós não achamos nada demais, mas queríamos que você mesmo contasse para nós. Porque é uma coisa sua. Principalmente quando você foi ficando cada vez mais estranho. — O Luigi revelou. Eu fiquei sem reação. Eu não sabia o que pensar, mas um peso saiu das minhas costas. Era quase como se eu estivesse nu ali, na frente de todos, mas sem sentir a vergonha ou humilhação. Eu estava confortável em estar nu na frente dos meus amigos. — E nós sabíamos que você devia ter se envolvido com um homem no verão. Os seus pais falaram da sua amizade com o último hóspede. Então foi somar dois mais dois. Nós não queríamos detalhes desta relação. Nós queríamos que você se sentisse à vontade para falar qualquer coisa que quisesse sobre isso. 
 Nós nos reunimos e demos um abraço em grupo.  
 — Toma, Elio. Eu escrevi esta pra você. — O Francesco me entregou um pedaço de papel. Eu olhei e continha um poema nele: 
 
 O garoto das músicas. 
 O garoto dos livros. 
 O garoto inteligente. 
 O garoto sensível. 
 Quando você acha que nada deixa nos passar batido, 
 Com o seu jeito próprio de dizer as coisas, o seu jeito misterioso. 
 Ele está sempre do seu lado. 
 Não importa a estação ou a temperatura. 
 Frio ou quente 
 Ele sempre vai estar lá 
 Fazendo-lhe se sentir querido 
 Mesmo distante, em sonhos 
 Você sempre vai estar pensando nele 
 Pensando no seu jeito único de estar, 
 Ele sempre vai estar lá. 
 
 Eu li e percebi que eu não precisava encontrar as palavras certas para dizer qualquer coisa para eles. Eu só precisava estar presente e ser quem eu era. 
 — Vocês estão bravos comigo? — Era uma pergunta ingênua. 
 — Claro que não! — Todos disseram em coro. 
 — Por favor, digam para o Paolo que eu sinto muito. Eu não queria que as coisas chegassem aquele ponto. — Eu olhei para a Luisa que estava do meu lado. Ela acenou com a cabeça com os olhos marejados.  
  
 Um mês havia passado desde aquela noite em que eu transei com o Viktor. Eu só conseguia pensar nisso desde a minha conversa com os meus amigos. Eu não sabia como me desculpar com ele por tê-lo usado da forma que eu fiz. Eu tentei escrever uma carta, mas a pilha de papéis do lado da minha escrivaninha mostrava que eu não estava conseguindo escrever nada bom o suficiente ou sincero o suficiente para me desculpar. Eu teria que olhar nos olhos dele. 
 Eu resolvi que chamaria o Viktor para conversar aqui na casa de campo da minha família, assim como foi com os meus amigos. Até lá eu estava aproveitando bem o verão com os meus amigos e primos. Infelizmente, a Marzia não pode vir nos visitar este ano, mas eu estava criando uma amizade nova com a hóspede da vez, Jennifer. Ela era engraçada, muito espirituosa e bonita, mas eu não sentia nada por ela. Eu não gostava de usar a palavra gay, mas talvez eu fosse gay. 
 Em um dia bem quente, estávamos todos reunidos ao redor da piscina. 
 — Elio, você foi em nossa formatura? — Perguntou a Luisa. Ela estava sentada em uma espreguiçadeira de pano, tomando sol usando os seus óculos escuros. 
 — Não! Nós tivemos formatura? — Eu estava tão obcecado no Oliver na nossa última semana de aula que eu não estava nem me importando mais em comparecer na escola. — Foi legal? 
 — Foi bom. O Paolo foi o nosso orador. Ele fez um bom discurso.  
 Eu fiquei meio sem jeito, então comecei a nadar de um lado para o outro. 
 Eu estava começando a me esquecer sobre o Oliver e só conseguia pensar no Viktor. Tanto, que eu me surpreendi com uma ligação.  
 — Alô! — Eu estava animado. Havia acabado de ganhar uma partida de vôlei. 
 — Alô, Elio? — Era o Viktor. Toda a culpa e remorso voltou a pesar na minha cabeça. 
 — Viktor? — Ficou um silencio incomodo por alguns segundos. — Você está bem? Como está aí em Paris? — Eu queria soar casual. 
 — Na verdade, eu não estou mais na França, Elio. Eu fiquei doente e tive que voltar para casa. — Eu achei estranho. Devia ser algo sério para ele não conseguir tratamento em Paris. 
 — Nós precisamos conversar. — Nós dois falamos ao mesmo tempo. 
 Eu ainda não havia tocado nada no piano que ficava na sala da nossa casa. E mesmo com os meus amigos de escola ali, os nossos amigos da França e os nossos familiares chegando, a casa parecia silenciosa. 
 O Viktor havia insistido em nos falarmos amanhã na casa dele. 
  Eu me encarava no espelho e tentava ensaiar uma conversa com o Viktor: 
 — Eu sinto muito por tudo! 
 — Eu estava doente. Vivendo sonhando com um passado que não iria voltar. 
 — O Oliver foi a primeira pessoa que eu me apaixonei na minha vida, e o romance que nós vivemos foi algo que ficou marcado dentro de mim. Eu sei, eu sei. Isso não é desculpa para usar alguém da forma como eu usei você, mas eu estou reconhecendo o meu erro. Eu só quero que você entenda que foi algo impulsivo. Eu só estava agindo pelo o meu desejo. 
 Será que essas palavras seriam o suficiente? 
 Eu saí para o lado de fora, no jardim, e senti o calor do sol queimar no meu rosto. Eu olhei ao redor e vi minha mãe em seu pomar, o meu pai sentado à mesa tomando um “espresso”, algumas pessoas nadando e aproveitando a água na piscina mais ao longe. Tudo parecia calmo e em paz. Eu estava pronto para conversar com o Viktor. 
 No dia seguinte, eu tomei o meu café da manhã com os meus pais. 
 — Buongiorno a tutti! — Eu os cumprimentei. 
 — Bom dia, mon amour! Eu pedi a Mafalda que separasse aquela sua camisa azul para você usar hoje. Você fica tão bem nela. — Eu olhei para ela meio confuso, mas logo entendi qual era a camisa. 
 — Eu acho que vou vestir algo diferente hoje, na verdade. — Eu me aninhei ao lado dela. Eu sabia que ela só estava com uma boa intenção, mas eu achava que aquele não era o momento de usar aquela camisa. 
 — Eu estou sentindo um pouco de leveza em você hoje? — Perguntou meu pai. Retoricamente, obviamente.  
 — Eu vou falar com o Viktor, hoje.  
 — Quem é Viktor, mon amour? — Minha mãe perguntou. Eu troquei um olhar com o meu pai. Ele talvez soubesse da existência do Viktor, mas eles nunca foram propriamente apresentados. 
 — Um amigo. — Eu respondi, com as palavras saindo um pouco mais pesadas do que eu pretendia. 
 — Eu espero que se divirtam. — Minha mãe sabia trazer leveza a qualquer momento. 
 Eu cheguei de bicicleta em frente ao apartamento do Viktor na cidade. Deixei-a escorada na parede ao lado da porta de entrada, fui até a porta e bati. 
 Uma mulher alta, com os cabelos pretos e longos, presos em um coque desajeitado, com uma barriga de gestante enorme, me atendeu na porta. Ela parecia um pouco abatida. 
 — Oi, eu sou o Elio! Um amigo do Viktor. Ele está? — Eu tentei parecer o mais carismático possível. Eu não sabia se o Viktor havia falado de mim para os seus pais. 
 — Oi, Elio. Muito prazer, meu nome é Berenice. O Viktor está sim, mas ele está muito doente no momento, eu não sei é uma boa hora para visitas. — Ela parecia um pouco impaciente e já estava fechando a porta, até o Viktor aparecer. 
 — Vic, você deveria estar de repouso. — Ela se virou para ele. Ela colocou uma mão na barriga de gestante enquanto parecia preocupada com o filho. 
 — Eu estou bem, mammina! Hoje eu acordei melhor disposto. Não se preocupe! — Ele deu um beijo na testa de sua mãe e ela se retirou. 
 — Tudo bem, Elio? — Ele havia perdido peso, estava pálido e parecia muito doente, mas mesmo assim ele parecia estar com uma boa energia naquele dia. 
 — Comigo, está sim. Mas devo confessar que já te vi melhor. — Eu sorri condescendente para ele. 
 Ele só abriu o caminho para eu passar. Eu já não precisava ser guiado até o seu quarto, quando eu já havia estado ali inúmeras vezes. 
 — Você nunca me apresentou aos seus pais antes. — Eu disse um pouco irreverente. 
 — Você também nunca me apresentou aos seus. — Ele retrucou. 
 — Quites. — Eu não queria discutir ou argumentar amarguras pequenas naquele momento. Haviam coisas maiores para lidar. 
 — Elio, tem uma coisa que eu preciso te dizer. — Ele começou a falar, mas eu que deveria falar. 
 — Não! Eu quem devo falar. Eu... — Ele fez sinal com a mão para eu me calar. Ele parecia cansado. 
 — Eu estou doente, Elio. No momento eu estou com pneumonia, mas tudo começou com uma tosse seca. — Eu não sabia porque aquilo era relevante para a nossa conversa, para a nossa história. Ele era jovem. Ele com certeza iria superar aquilo. — O médico disse que pode passar daqui alguns dias, se eu continuar com o tratamento certo e tudo o mais. Mas eu também tenho sentido dores no abdômen e outros sintomas estranhos. 
 — Deve ser só a infecção! Eu tenho certeza de que vai passar logo. Olha, eu realmente acho que nós deveríamos estar conversando sobre outra coisa. — Ele fez novamente o sinal com a mão.  
 — Eu tenho lido algumas notícias sobre um certo vírus que está se alastrando pelos Estados Unidos. E alguns dos sintomas são parecidos com o que eu estou tendo. — Vírus? Que vírus?  
 — Do que você está falando? — Eu olhei confuso para ele, mas eu havia lembrado de uma notícia que eu tinha lido de um jornal americano que o meu pai havia trazido para casa, sobre um vírus que só afetava homens gays e que não havia cura. 
 Ele compreendeu quando eu tinha acabado de perceber sobre o que ele estava falando. Talvez porque o horror tomou conta das minhas feições. 
 — Como? Você só fez sexo comigo! — Eu estava desesperado. Eu não podia estar com o vírus. Se eu estivesse com o vírus, talvez o Oliver também estivesse. 
 — Não. Eu não fiz sexo só com você, Elio. — Ele estava com um semblante triste, arrependido e com uma postura de desanimo. — Alguns dias depois que eu cheguei em Paris, eu fui em um bar gay e conheci um homem. Ele era alguns anos mais velho do que eu. Bonito, charmoso, inteligente e francês. Ele era perfeito. Uma das melhores noites da minha vida. Eu nem estava mais pensando em você. Quase dois meses já haviam se passado que eu estava em Paris quando este homem veio me procurar. Ele estava com uma aparência muito doente, com erupções na pele. E ele veio me dizer que havia testado positivo para AIDS. — Ele desabou na cadeira mais próxima. Eu não sabia o que fazer, se eu saia correndo da li ou se eu o abraçava e tentava o consolar. 
 — Você precisa de ar fresco. Isso! Vem até a minha casa. Vai fazer bem pra você. — Eu não sabia o que eu estava falando, mas eu sentia que ele precisava de mais pessoas cuidando dele. — Luisa, Francesco e Luigi estão lá. A gente pode ajudar a cuidar de você.  
 — Não! Ninguém pode saber disso, Elio. Por favor, me prometa que você não vai contar para ninguém! — Ele parecia tão desesperado que parecia que a vida dele dependesse disso. — Existe um motivo para eu chamar você aqui na minha casa somente aos sábados. Porque aos sábados o meu pai não está em casa. Ele sabe que eu sou gay. O meu pai me proibiu de trazer qualquer homem para dentro de casa, mesmo um amigo. Se o meu pai descobrir que eu tenho HIV... eu não sei do que ele é capaz. 
 Agora eu entendia. Mas agora fazia muito mais sentido ele passar o restante das férias na minha casa. 
 — Viktor, eu imagino o peso que você deve estar carregando neste momento, mas eu acho que não há lugar melhor para você estar senão do que na minha casa. Eu não vou contar para ninguém. Os meus amigos já sabem sobre mim e eu tenho certeza que eles vão te aceitar com o coração aberto. Você já tem algum plano? — Eu estava decidido que eu iria cuidar dele. Era o mínimo que eu poderia fazer. 
 — Eu consegui convencer o meu pai de me deixar ir para ESMOND. Então depois das férias eu vou morar em Paris. — Ele parecia ter se recomposto. — Eu acho que eu posso ir para a sua casa, Elio.  
 Era de manhã no domingo quando o Viktor chegou de carro com o meu pai. Eu havia conversado com o meu pai sobre a situação do Viktor, esclareci tudo e ele prometeu que não iria contar nada para ninguém e disse que ele poderia passar esta última semana de férias em nossa casa no campo, desde que ele recebesse tratamento médico.  
 Eu ajudei a descarregar as malas e ajustei o meu quarto para que ele se acomodasse. Nós teríamos que dividir o meu quarto, enquanto a Jennifer teria que ficar no quarto ao lado. Eu conversei com ela e expliquei que iria receber um amigo que estava muito doente. Ela não fez objeção alguma e cedeu o quarto para nós. Meu pai não fez objeção sobre isso, tão pouco. Ele confiava em mim, mesmo entendendo que o vírus só poderia ser passado pelo sexo. 
 Depois de tudo arrumado eu desci com o Viktor para pegarmos um pouco de sol e tomar um banho na piscina. 
 — É muito pacífico aqui. — Ele estava deitado na beirada da piscina, com o corpo molhado e usando óculos de sol. — É quase como se estivéssemos em um oásis. Um descanso do mundo real. Cof, cof, cof... — Ele ainda não havia melhorado totalmente da pneumonia e receberia a visita de um médico hoje, no final da tarde. 
 — Eu acho melhor a gente se secar e entrar. Está passando uma corrente de ar que não deve ser muito boa para você. — Eu queria cuidar dele. Eu queria conversar mais com ele. Prestar atenção no que ele tinha a dizer, pelo menos uma vez. 
 Nós entramos e fomos para a sala. Ele vestiu uma camiseta velha minha dos Talking Head, uma das minhas favoritas. Eu sentei no sofá e ele deitou, apoiando a cabeça no meu colo. 
 Ficamos ali por alguns minutos em silêncio. Eu estava pensando em cada momento de interação que eu havia perdido, quando eu estava com o Oliver na cabeça, em vez de estar prestando atenção no Viktor. 
 — Você toca tão bem quanto parece? — Ele perguntou de repente. 
 — Praticamente Bach reencarnado. — Nós dois rimos. — E você toca o que exatamente? 
 — Eu toco Violino, Viola, Violoncelo e um pouco de piano. — Eu fiquei impressionado. — Mas eu não gosto de nada do que eu toco. — Deve ser uma vida triste passar a semana inteira treinando instrumentos tão belos e não se encantar com nenhuma nota que ressoa deles. 
 — Eu sei que você gosta de moda. Do que mais você gosta? — Eu queria saber quem era o Viktor. 
 — Eu gosto de desenhar. E não apenas designs de roupas, mas também gosto de desenhar pessoas e animais. O meu desenho favorito é um que eu fiz quando eu tinha dez anos. Faltavam alguns dias para irmos para Moscou e eu estava triste por ter que abandonar os meus amigos e a minha cidade natal. Eu e meus amigos tínhamos o costume de caçar animais silvestres. Então nesse dia, eu estava sozinho, e encontrei um coelho-selvagem. O que é um pouco raro, já que eles se escondem em tocas, durante o dia. Ele parecia perdido e com medo. Eu fiquei o observando até que ele fugisse da li. Depois eu fui até o meu quarto e comecei a desenhar. Eu me lembrava de cada detalhe do coelho. — Eu fiquei imaginando toda a cena enquanto ele me contava a história. Eu imaginei um Viktor de dez anos triste.  
 — Deve ser um desenho bem realista. — Eu fiquei imaginando cada traço do desenho. 
 — Mais ou menos, na verdade. Eu tentei capturar o medo que o coelho estava sentindo naquele momento. Porque era quase como o medo que eu estava sentindo em ter que ir para um território desconhecido. — Eu não sabia que ele podia ser tão profundo. 
 — Existe algum momento feliz na sua vida? Per l'amor di Dio! — Nós dois rimos. 
 — Eu tive alguns momentos felizes junto com os meus amigos em Moscou! O que você quer saber? — Eu queria saber dos amores dele. 
 — Você já se apaixonou? — Eu perguntei, enquanto eu afagava o seu cabelo. 
 — Sim. Ele era da minha turma. Mas não tivemos um final feliz. — Ele parecia estar bem resolvido com isso. — Na verdade, existe uma música que eu gosto de tocar. — Ele se desvencilhou das minhas mãos e se levantou, indo em direção ao piano. 
 O Viktor senta ao piano, respira fundo, endireita a sua postura e começa a tocar Album for the Young (mamma) de Tchaikovsky.  
 Eu olhei para ele tocando de costas, e parecia que eu estava olhando para mim mesmo de costas. O tempo todo eu estava procurando o Oliver no Viktor, quando era eu mesmo que deveria estar procurando nele. Um novo eu, um novo amor. 
 O verão acabou. Eu fui para Nova York, o Viktor foi para a França, mas mantivemos contato através de cartas. Ele continuou a adoecer, mas também continuou a lutar bravamente pela sua vida. Estava tudo resolvido entre a gente. Nós tivemos uma conversa sincera antes de cada um ir embora em busca do seu sonho: 
 — Você tinha dito que precisava falar alguma coisa para mim, naquele dia na minha casa. — O Viktor sentou do meu lado no sofá. 
 — Sim. — Eu me ajeitei no sofá e comecei a falar sem olhar pra ele. — Viktor, eu gosto de você. Muito. Mas infelizmente todos os momentos em que nós passamos juntos, eu estava pensando em outra pessoa. Uma pessoa que eu amo muito. E que eu não havia conseguido superar, até agora. — Eu olhei para ele. — Depois da nossa transa, de ter feito tudo aquilo pensando nele, eu me senti doente e talvez eu estivesse doente. Mas eu percebi que eu não posso passar a minha vida sonhando para ter momentos junto com ele, quando eu estou esquecendo de viver o aqui e o agora. — Eu peguei na mão dele. — Eu vejo você como você é. Eu quero ouvir todas as suas histórias com os seus amigos, em Moscou. Eu quero ouvir você reclamando do seu pai. Eu quero poder conversar com você sobre o que nós dois sentimos por homens. Eu quero ser o seu amigo e quem sabe um dia, algo mais. 
 Ele colocou a outra mão dele em baixo da minha que estava segurando a dele e levou até a sua boca, beijo-a e disse: 
 — Eu também te vejo, Elio.  
 Eu levei as nossas mãos até a minha boca e dei um beijo. 
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marcogiovenale · 2 months
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milano, 26 febbraio: pasolini + callas @ ferrobedò _ con silvia de laude e giuseppe garrera
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unfilodaria · 9 months
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Nulla contro i pensionati per anziani o le cosiddette RSA. Se ci andrà quasi di culo, viste le profonde modifiche degli assetti familiari in Italia, sono posti in cui prima o poi finiremo tutti (ma io confido sempre in una cohousing tra amici).
Detto ciò, Booking mi ha prenotato un posto che è inequivocabilmente un pensionato per anziani i cui ultimi due piani sono stati riconvertiti a B&B. E i gestori non hanno fatto nulla affinché tale aspetto non venisse tradito. Dagli arredi, ai colori alla mancanza di determinati add-on (un frigo in camera ormai non lo si nega a nessuno) tutto parla di pensionato (non vi dico che cos’è la sala colazione… mi sarei aspettato di vedere in giro qualche girello o carrozzina).
Ma Santa polenta almeno una rinfrescata con colori giovanili e soprattutto un uso massiccio di essenze aromatiche, proprio no?. Perché la cosa a cui non puoi sfuggire è l’odore, l’odore caratteristico di casa da anziani. Quel misto di odore di disinfettante, farmaci e altro che non so dire, che mi prendeva alle narici ogni volta che andavo a trovare mia nonna. Le pareti ne sono intrise.
É un odore a cui sicuramente in tarda età dovrò abituarmi (anche se ho invidiato la verve e la freschezza di Paolo Conte, ieri sera, che alla fantastica età di 86 anni, dico 86, ci ha inchiodato tutti per più di un’ora e mezza). Ma questo odore, ora da turista, avrei voluto non sentirlo. Nulla contro i poveri anziani o quel che noi saremo, ma ora proprio no. Dopo un viaggio lungo e accaldato non me lo meritavo.
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spettriedemoni · 2 years
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Non esiste nessun "piano"
Sapete quante partite ha perso il Brasile dell'82 con Waldir Peres in porta?
Una.
Sapete quanti rigori aveva sbagliato nella sua nazionale Paul Breitner prima dell'81?
Zero.
Poi ne sbaglia due di seguito nella stessa partita contro il Brasile in un'amichevole.
Se ve lo state chiedendo: sì c'era sempre Waldir Peres in porta per il Brasile. L'arbitro concede un rigore ai tedeschi e Breitner lo tira. Un po' debole per la verità e il portiere para. L'arbitro lo fa ripetere e Waldir Perez para pure il secondo. Se non ci credete guardate voi stessi:
youtube
Eppure Waldir Peres passa per essere un brocco o un "frangueiro" un pollo cioè, tradotto dal portoghese. Chissà come sarebbero andate le cose se non avesse incontrato Paolo Rossi e l'Italia in quel mondiale. Chissà come sarebbero andate le cose se invece di Serginho non ci fosse stato Careca al centro dell'attacco del Brasile. Purtroppo Careca si fece male poco prima del Mundial e il gigante Serginho sarà il titolare di quella squadra. Forse Careca avrebbe fatto un gol in più per il Brasile, forse no perché Collovati è Bergomi lo avrebbero marcato comunque bene. Non lo sapremo mai. Quello è l'imponderabile, l'evento che non puoi prevedere.
Cerchiamo sempre di pianificare le cose ma poi arriva sempre l'imponderabile, l'imprevisto e a un bivio giri a destra anziché a sinistra (o viceversa) e cambia tutto.
Mi sono trovato anche io in queste situazioni, dove non potevo scegliere ma solo subire gli eventi o adattarmi se possibile. Per esempio quando lavoravo in una sala Bingo ebbi modo di conoscere il titolare di una tipografia che ogni sera veniva a rilassarsi (così diceva lui) e giocava per un paio di ore. Grazie a quella conoscenza poi andai a fare il grafico da lui per un po', dapprima come part time sdoppiandomi tra bingo e tipografia, poi a tempo pieno finché non trovai lavoro in un'azienda editoriale.
La mia storia è cambiata per una conoscenza fatta in una sala bingo. A pensarci mi viene da sorridere. Chissà se mai sarei riuscito a fare il grafico, mestiere per cui avevo studiato parecchio, se non avessi conosciuto quel cavaliere del lavoro e simpatico titolare di quella tipografia.
Lo ricordo con tanto affetto e spero che se la passi bene.
A volte la nostra vita subisce degli scossoni imprevisti e imprevedibili come quando conobbi mia moglie a una festa alla quale né io né lei eravamo invitati.
A volte mi rendo conto di come la più attenta pianificazione va in malora per un semplice dettaglio.
A volte è un problema, come quando ho scoperto di essere malato e di dovermi operare due volte.
A volte invece le cose vanno semplicemente in modo diverso, non meglio forse ma neppure necessariamente peggio.
Ti adatti, prendi ciò che viene e pensi che per fortuna, tanto male non è.
E a te che stai leggendo, quante volte le cose non sono andate nella direzione in cui avevi pianificato? Quante volte è andata meglio così?
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