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#La Città del mio cuore
kafkasdiariies · 2 years
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Cattedrale di Santa Maria del Fiore, Firenze, Italia | Gianluca Fazio
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mirmidones · 1 year
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thinking about Her (Roma)
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viendiletto · 2 months
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Nel ricordo di Marinella… Una scelta di volontariato
“Mi aggiravo tra la folla, attratta da quella moltitudine vociante, dalle bandiere e dai labari delle nostre città istriane, fiumane e dalmate. Era il 1997, si ricordavano nella piazza principale di Trieste i 50 anni dall’esodo, anche i miei cinquant’anni essendo nata nel 1947. Ma il mio pensiero era fisso su mio padre. Vedi – gli dicevo col cuore gonfio – finalmente parlano di noi. Ma lui era mancato qualche tempo prima senza smettere di sentirsi fuori dal coro, un alieno…” 
Fu così che, durante quell’esperienza pubblica, Fioretta Filippaz, nata a Cuberton, esule a Trieste dal 1956, si rese conto di sapere ben poco della propria storia e del destino di tanta gente che come lei era stata costretta all’esodo dall’Istria.
Decise così di fare la volontaria?
“Quel ’97 fu per me uno spartiacque importante, i miei genitori non c’erano più ma le domande che avrei voluto rivolgere a loro, erano veramente tante. Allora presi informazioni e mi ritrovai all’IRCI che allora aveva sede in P.zza Ponterosso, nell’ufficio di Arturo Vigini, con lui c’era anche la figlia Chiara. Mi presentai e dissi che avrei voluto rendermi utile, partecipare dopo tanto silenzio. Non cercavo un lavoro di concetto, mi bastava anche semplicemente imbustare e affrancare gli inviti per le numerose iniziative dell’ente o per spedire la rivista Tempi&Cultura. Così ho cominciato”.
Una “volontaria”, oggi una del gruppo che segue l’attività dell’IRCI in via Torino, accoglie i visitatori delle mostre che si succedono numerose durante l’anno a cura di Piero Delbello e con il supporto del presidente Franco Degrassi, raccontando un esodo per immagini, attraverso i suoi personaggi, a volte famosi, a volte sconosciuti…
“Viene sempre tanta gente, chiede informazioni, racconta la propria storia, queste sale diventano un contenitore di tante vicende mai emerse, di tante storie familiari mai portate alla luce. Molti arrivano con fotografie, locandine, documenti per il museo. Per noi volontari è una responsabilità, ma anche un profondo desiderio di condivisione. Vede, questo documento alle mie spalle nell’ambito della mostra ‘Come ravamo’ è quello della mia famiglia, è lo storico dell’anagrafe dal quale hanno cancellato Marinella…”.
Chi è Marinella? È una delle storie emblematiche dell’esodo, quella di una bambina che non ce l’ha fatta, in quell’inverno polare del ’56. Aveva appena un anno e una polmonite se la portò via, “morta di freddo” sentenziarono i medici dell’ospedale che non furono in grado di salvarla.
“Ero già grandicella e Marinella me la portavo in braccio, le davo il biberon, la cambiavo, me ne occupavo per alleviare il lavoro di mia madre che doveva pensare a tutta la famiglia, al marito e ai cinque figli. I suoi occhi erano per me, con i sorrisi e i primi borbottii, una gioia infinita: non sono mai riuscita a dimenticarla, a farmene una ragione”.
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Per quanti anni siete vissuti in quella baracca?
“I miei genitori dodici anni, finché io e mio fratello non siamo riusciti a terminare le scuole nel collegio dove eravamo stati trasferiti per poter avere un’istruzione e migliori condizioni di vita”.
Vita?
“Quando la famiglia vive separata tutto è molto duro. Mio padre a Cuberton era un bravo contadino, da esule poté fare il manovale, la qualifica di profugo non era servita a nulla. Aveva sperato di entrare in fabbrica, ma nessuno ci aiutò. Ricordo che spesso diceva con convinzione, non sembrava neanche un lamento ma una semplice constatazione: ‘noi ne vol, proprio noi ne vol’ e così continuò per anni sentendosi fuori luogo, forse sconfitto. Quando ebbi diciannove anni, ci diedero una casa comunale, una sessantina di metri per la nostra famiglia numerosa, ma era comunque un miglioramento. Andai a lavorare alla Modiano”.
In che veste?
“Alle macchine per la stampa, ci ho lavorato fino alla pensione. All’inizio vista con sospetto, la nostra presenza di esuli a Trieste veniva ancora considerata un peso, ma noi istriani siamo lavoratori, disciplinati, vivaci, con il tempo mi sono conquistata le simpatie delle persone che hanno saputo apprezzare il mio impegno”.
E la famiglia?
“Mi sono sposata a 25 anni, per qualcuno era quasi tardi, per me anche troppo presto, vista la tragedia che avevamo vissuto in famiglia, non mi sentivo pronta”.
Non era solo per Marinella?
“Soprattutto per lei il cui sguardo non ho mai smesso di cercare, ma anche per tutto ciò che avevo visto al campo di Padriciano: la gente si lasciava morire, di disperazione, per mancanza di qualsiasi prospettiva, in quelle baracche dove non si poteva accendere un fuoco per scaldarsi. La mia casa era rimasta a Cuberton. Ci sono tornata per andare al cimitero. L’ho vista da lontano, diroccata, non ho avuto il coraggio di avvicinarmi”.
Nessuna assistenza psicologica in tutti questi anni?
“Nessuna. E ce ne sarebbe stato bisogno”.
Che cosa ha rappresentato il Giorno del ricordo?
“La possibilità di parlare, andando nelle scuole, fornendo testimonianza sui giornali, le televisioni. Gli italiani hanno iniziato a conoscere squarci della nostra vicenda. Ogni anno mi invitano a Cremona, in Umbria, nel Veneto, con le docenti è scattata un’amicizia importante. Dopo che Simone Cristicchi ha raccontato di Marinella nel suo spettacolo Magazzino 18, l’interesse è diventato maggiore, mi chiedono di raccontare. Lo faccio per i miei genitori, per restituire dignità a tanta gente, per rivivere il ricordo di Marinella, doloroso, ma necessario. I ragazzi delle scuole mi hanno omaggiato dei loro lavori di gruppo che custodisco gelosamente. È incredibile con quanta pietas abbiano saputo raccontare le nostre vicende, anche quelle più difficili. Mi fanno tante domande”.
E Padriciano?
“Ho accolto le scolaresche per tanti anni insieme a Romano Manzutto, finché l’associazionismo ha deciso di formare dei giovani perché raccontassero la nostra storia”.
In maniera più asettica?
“Certo hanno avuto modo di studiare, approfondire, possono rispondere a tante domande, non certo a quelle sull’esperienza diretta che rimane di chi l’ha vissuta veramente, ormai non siamo tantissimi, il tempo decide per noi”.
Dal campo di Padriciano molti partirono per gli altri continenti…
“Avevamo considerato anche questa ipotesi, ma cinque figli piccoli a carico erano una condizione che non favoriva il giudizio dell’emigrazione. Mio padre era una persona di grande cuore, certo avrebbe fatto fortuna, ma era convinto che nessuno avesse compreso che non eravamo venuti via se non perché fosse impossibile rimanere. Questa sensazione non lo abbandonava mai e forse gli toglieva la forza di tentare altre strade. Non ne abbiamo mai parlato successivamente. Ma mi accorsi del suo dolore quando giunti al cimitero di Cuberton, al momento di decidere di andare a mangiare qualcosa insieme, mi pregò di riportarlo velocemente oltre confine. La paura non li aveva ancora abbandonati e non l’avrebbe mai fatto fino alla fine”.
Di cosa avevano paura?
“Di restare e di tornare. In Istria tutto era cambiato e quindi non ritrovavano più la loro dimensione, c’era stata la dittatura che aveva spaventato tutti. In Italia avevano dovuto imparare a vivere il quotidiano, in Istria pagavano le tasse e basta, non erano abituati ad andare per uffici, fare domande, ottenere il riconoscimento dei propri diritti. Quando Marinella morì nessuno venne a manifestare la propria solidarietà, non fecero che cancellare il suo nome dal nostro stato di famiglia”.
Quale spiegazione riesce a darsi oggi?
“Lo dico spesso e l’ho anche scritto: fummo accolti con fastidio e indifferenza, eravamo un corpo estraneo che tentava di inserirsi in un tessuto sociale che non voleva intrusioni”. Dire che la storia si ripete è anche troppo ovvio.
Intervista di Rosanna Turcinovich Giuricin a Fioretta Filippaz per La Voce del Popolo, 5 gennaio 2020
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stephpanda · 1 month
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Oggi è il mio compleanno.
25 anni. Non me li sento addosso (ma a quanto pare è sentimento comune arrivati a questo "traguardo").
Ma, a prescindere da questo, fino a ieri temevo che non sarebbe stato un bel giorno, perché qui, non ho ancora qualcuno che posso definire amico stretto (calcolando che sono una che AMA festeggiare il proprio compleanno), però mi sono ricreduta (per fortuna).
Sono tornata a casa con il sorriso.
Le mie persone del cuore (che ahimè sono a km di distanza, nella mia madre patria pugliese), mi hanno riempito comunque d'amore, ragazzi di un gruppo telegram che conosco da solo un mese, mi hanno fatto sentire importante e apprezzara, allo stesso tempo ho sentito l'amore anche da parte delle mie colleghe universitarie, che appena lo hanno scoperto (io non lo avevo detto), mi hanno SUBITO proposto di andare a fare aperitivo tutte insieme domani dopo lezione.
Alcune persone del residence mi hanno fatto gli auguri ed uno dei responsabili mi ha pure "rimproverato" perché non gliel'ho detto, perché avrebbero sicuramente trovato il modo di offrirmi qualcosa.
Insomma.. Se la Stefania di ieri (che era sull'orlo di una crisi di pianto presa dalla nostalgia e dallo sconforto), avesse saputo quello che la Stefania di ora sa, non ci avrebbe creduto.. Avrebbe pensato che era uno dei suoi soliti scenari immaginari.
Ho appena compiuto 25 anni, in una delle città più belle d'Italia, lontana da tutti gli affetti stabili (ne sento ovviamente la mancanza), con la paura ad inizio giornata di sentirmi sola e dimenticata, ed invece, nonostante il mio "festeggiare" diversamente da quello che di solito mi piace fare, sono soddisfatta ma, soprattutto, felice.🥰
Ora vado a modificare la bio di Tumblr
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scorcidipoesia · 2 months
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Sei come una macchia di olio benedetto che si espande in me .. dal cuore arrivi in ogni cellula e la mia mente si culla perduta in te, verso di te.
Chi sei , cosa hai fatto, da dove arrivi, chi ti ha creato, di cosa sai, come respiri, dove abiti, cosa ti attraversa la mente, cosa sogni?
Qual è il tuo profumo ?
Il mio solo desiderio è poter appoggiare il volto accanto al tuo, sapere di cosa sai, come è la tua pelle ,se hai rughe profonde o si distendono quando chiudi gli occhi.
No, non ho pensieri di sesso sfrenato, non mi interessa il tuo corpo , sapere se sei uno dei tanti adoni ( e il cellulare ha scritto asini perché scrivo di getto), non voglio piaceri fisici. Non è importante, conta più come mi sento.. Il tempo mi ha mitigata, ho capito che il sentimento raggiunge apici che il piacere sbiadisce, so quello che non voglio e non posso ma so chi desidero da dentro.
È una perfetta congiunzione, un fare l’amore così : mente nella mente, anche se non lo sai. Perché certamente ti perderei, ti spaventerei perché le donne profonde fanno paura agli uomini e perché gli uomini che mi rapiscono non mi vedono. So diventare invisibile e sparire, so ormai comandare i miei comportamenti ma non quello che mi fa vibrare come una nota forse stonata ma forte, vibrante : mi senti ?
Non vorrei sporcare questo regalo, ora che il mio cuore si è ricomposto dalle delusioni della vita e dai miei fallimenti vorrei diventare quella bambina che sapeva sognare e non è mai invecchiata nell’anima. Ora che il mio volto non è più il bocciolo fresco di un fiore a primavera vorrei poter sorridere a te, guardare come sei e parlarti, dirti senza parole di questa marea che mi porta su e giù nei meandri infiniti dei miei pensieri che non conosci, delle poesie mai scritte, dei doni mai offerti.
Ora che il tempo si è accorciato vorrei poterti aprire le mani e mostrarti i palmi e le righe del destino che ti vede comunque come un miracolo che mi stritola la gola proprio quando credevo che non avrei più sentito, sorriso o pianto, perché anche di emozione si piange .
… credevo che il disincanto e la delusione avessero portato via il mio fulcro emotivo, le mie fragilità così forti e potenti che con te tornano a bussare, a togliermi il sonno e a dipingermi un sorriso sciocco e anche tremare di paura.
Ora che la notte è vicina e la pioggia bagnerà le strade della città io vorrei poter ascoltare il silenzio finalmente e assaporarlo con te, e mettere a tacere il rombo incessante dei miei pensieri che prendono destinazioni sconosciute ma arrivano sempre a te, da te.
Ascolta la notte e sentimi. Non conosco il suono della tua voce ma intravedo nella mia miopia la bellezza del tuo cuore e questo mi basta per scrivere una lettera al vento e farla volare via.
In alto, dove i miei angeli si sono raccolti in preghiera per salvarmi e salvandomi hanno aperto ancora il mio cuore che credevo finito e morto, come un organo inutile che invece batte, palpita e vive e adesso vuole solo te.
Chiudi gli occhi e se mi sentissi arrivare non mandarmi via.
Sono un essere che non ti ferirà mai, una battito di ali che non potrà posarsi su di te, un testo che non leggerai o abbandonerai perché io sono così diversa e lontana dalla normalità che forse ti farei ridere ma non è importante per me.
Quel che conta è questo: un bisogno immediato di fermarmi e indirizzarti la mia lettera, posala sul tuo comodino, lasciala aperta alla riga che preferisci ma non chiudere gli occhi, guardala, scoprila, cerca la mia calligrafia. La punteggiatura è il mio respiro e se smetti un secondo di correre mi trovi , mi senti e forse sorridi .
Solo questo vorrei da te: essere nel tuo sorriso e tra le tue braccia aperte.
Per me
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criptochecca · 1 month
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An attempt at making a playlist of an italian song for every year 1960-2024 (with some holes that maybe ill fill in the future)
list under cut
1960: il cielo in una stanza
1961: la ballata dell'eroe
1962:
1963: sapore di sale
1964: la canzone di marinella
1965: il mondo
1966: mi sei scoppiato dentro al cuore
1967: ciao amore ciao
1968: Contessa
1969: che freddo fa
1970: se bruciasse la città
1971: io vivrò senza di te
1972: impressioni di settembre
1973: il bombarolo
1974: rumore
1975: stalingrado
1976: mio fratello è figlio unico
1977: il gatto e la volpe
1978: bomba o non bomba
1979: la mia banda suona il rock
1980: cervo a primavera
1981: maledetta primavera
1982: quante volte
1983: il mare d’inverno
1984: siberia
1985: ti sento
1986:
1987: nessun dolore
1988: quello che le donne non dicono
1989: almeno tu nell'universo
1990:
1991:
1992: cumm'è
1993:
1994: in un giorno di pioggia
1995: mockba 993
1996:
1996: la cura
1997:
1998: acida
1999: qualcosa di grande
2000: vento in faccia
2001: luce (tramonti a est)
2002: nuova ossessione
2003: non in mio nome
2004: damigella della notte
2005: mentre tutto scorre
2006: ritmo di contrabbando
2007:
2008: che rumore fa la felicità
2009:
2010:
2011: spugne
2012: la rivolta
2013:
2014: avrai ragione tu
2015: io ti aspetto
2016: vanchiglia
2017: gli occhi
2018: intostreet
2019: domenica
2020: diana
2021: moda italiana
2022: la strega del frutteto
2023: tanto piove
2024: casa mia
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donaruz · 17 days
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BILLIE HOLIDAY: LA REGINA DI UN REAME DI STRACCI
Ne**a? Non si vede?
Cantante? Ascoltami e vedrai
Puttana? Sì, ho fatto anche quello
E bevo anche come quattro uomini
Non mi fai paura, ho suonato in posti peggiori di questo
In bar di cow boys nel sud dove mi sputavano addosso
In una città dove il giorno stesso avevano linciato un nero
A New Orleans dove un diavolo alla moda
Ogni sera mi regalava fiori di droga
E a Chicago mi innamorai di un trombettista sifilitico
E all’uscita del night mi hanno spaccato la bocca
Sotto la pioggia da una stazione all’altra
Lady sings the blues
Ne**a? Sì, ma ci sono abituata
Cantante? Canto come una gabbia di uccelli
Note gravi e alte, e tutto il repertorio
Posso svolazzare come quelle belle cantanti dei film
E poi posso piantarti una ballata nel cuore
Vuoi strange fruit? Vuoi midnight train?
Posso cantartela anche da ubriaca
O con un coltello nella schiena
O piena di whisky e altro, perché sono una santa
E il mio altare è nel fumo di questo palco
Dove Lady sings the blues
Ne**a? Ne**a e bellissima, amico
Cantante? Non so fare altro
Puttana? Beh sì ho fatto anche quello
E bevo come quattro uomini
Non toccarmi o ti graffio quella bella bianca faccia
Posate il bicchiere, aprite quel poco che avete di cuore
State zitti e ascoltate io canto
Come se fosse l’ultima volta
Fate silenzio, bastardi e inchinatevi
Lady sings the blues
E quando tornerete a casa dite
Ho sentito cantare un angelo
Con le ali di marmo e raso
Puzzava di whisky era ne**a puttana e malata
Dite il mio nome a tutti, non mi dimenticate
Sono la regina di un reame di stracci
Sono la voce del sole sui campi di cotone
Sono la voce nera piena di luce
Sono la lady che canta il blues
Ah, dimenticavo... e mi chiamo Billie
Billie Holiday
[Stefano Benni]
Atlantide
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io-rimango · 4 months
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Stasera appena staccato dal lavoro decido di non tornare a casa e passare per la libreria della mia città, ho bisogno di un po’ di leggerezza dopo una giornata decisamente pesante come questa. Entro in negozio e mi fiondo sulla sezione “romanzi rosa” tentando di cercare un libro che non avessi già letto (visto che li ho praticamente divorati quasi tutti).
Mentre sono accovacciata, intenta a leggere la trama di un libro, fanno capolino accanto a me un paio di stivali neri, sono di una ragazza che spulcia lo scaffale: ha i piedi puntati verso l’interno, le mani in tasca e il suo sguardo curioso tradisce la sua apparente timidezza.
Io passo un po’ di tempo a sfogliare i vari libri e noto che lei torna spesso a curiosare tra gli stessi romanzi che sfoglio io, finché non prende in mano un libro: “Magnolia Parks”. Incuriosita, decido di prenderlo anch’io e di capire cosa l’abbia colpita di quel romanzo tanto da tenerselo subito stretto al petto.
Le dico che ha colpito anche me il libro che ha preso e che ho tutta l’intenzione di leggerlo anch’io, lei mi guarda e mi sorride e mi dice che le piacciono le storie che sanno toccare il cuore e da lì mi racconta dei suoi romanzi preferiti, del suo fidanzato (anche lui appassionato di letture rosa), del suo lavoro stressante e di come le piaccia leggere sul treno.
Dopo un po’ mi chiede che lavoro faccio, io le dico che sono una psicologa e lei subito sgrana gli occhi dicendomi che era da tempo che pensava di andare in terapia e che le farebbe piacere iniziare con me. Ci scambiamo i contatti e lei tutta contenta mi dice che non si aspettava di trovare una sorpresa come me in questa serata di dicembre, io le rispondo che sono dell’idea che nulla accada per caso e che forse, semplicemente, questo era il momento giusto. Lei mi stringe la mano, non fa che sorridere e il mio cuore ancora una volta si meraviglia di quanto la vita, a volte, possa essere sorprendente.
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papesatan · 7 months
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strade chilometri mignotte
Paolo, il padre di Rosemary, è stato il mio primo cliente, il primo a darmi fiducia un anno fa e l’unico a pagare sempre puntuale al primo del mese. Col tempo il nostro rapporto s’è stretto al punto da farci quasi amici, sento chiaramente il suo bene e gli voglio bene anch’io. Qualche giorno fa mi ferma in chiusura, esclamando: “Per sabato non prendere impegni, eh. Ti porto a cena fuori e poi ce ne andiamo a divertirci”. Ho accettato volentieri, nonostante l’ultima frase mi lasciasse un po’ interdetto. Che intenderà per “divertirci”? Alcol? Night club? Prostitute? Magari solo un giro. Così ieri sera m’ha raccontato un po’ della sua storia: Paolo è un camionista, marinaio dell’asfalto, un ferino divorzio alle spalle e un unico mantra nella vita: strade, chilometri e mignotte. Un acre bisogno d’infinito amore che ne martella il cuore, spingendolo a cercar muto affetto fra le cosce a pagamento. Dopo cena mi dice che vorrebbe andare a Bari e io gli faccio eco, entusiasta, credendo nella birra. Noto però che avvicinandoci, la città s’allontana sempre più e anziché entrare, Paolo gira largo fra le stazioni di servizio in periferia, sulla statale. Non voglio pensarlo, ma lo penso, e comincio a sentirmi male. “Sei serio?” gli chiedo, ma lui quasi non risponde, fisso ormai in un’ossessione. Quando, superata la prima, non si ferma, mi dico allora che forse sta scherzando, non lo farà davvero. Giriamo così per mezz’ora, ogni svolta mi fa credere a un ritorno, per poi ritrovarci in mezzo a discariche abusive e casolari abbandonati, in una notte d’apparente sciopero. Quando penso ormai che sia finita, ecco che troviamo l’ultima combattente ancora in piedi, una ragazza sudamericana svogliatamente poggiata contro una stazione di benzina. Paolo accosta e m’implode il cuore. “Ciao bella, sei in servizio?” la ragazza ci guarda malissimo ed emette un vago: “Sì…?” poco convinto. “Non è che per caso hai un’amica per lui?” “Sì… mo’ torna” a quel punto m’intrometto a cuore duro e sputo d’angoscia: “No no no, guarda, io passo. Non sono molto nel mood”, con lo schifo addosso di sentirmi trattare come se stessi dicendo no a una birra o a un pacchetto di patatine. Paolo si volta un po’ risentito e dice: “Ok, allora ripassiamo tra dieci minuti”. Ribadisco le mie intenzioni, ma lui insiste, quasi si sentisse in dovere d’offrirmi una scopata. Cerco d’esser calmo, nonostante non lo sia, e mi rendo conto che Paolo sembra averne assolutamente bisogno, come se non potesse chiudere la notte altrimenti. Se a lui serve, mi dico, non posso certo impedirglielo. Ma nessuno potrà forzarmi a fare ciò che non voglio. Non so se le due “amiche” ci stessero aspettando, non credo, fatto sta che non siamo più tornati e la serata è finita così, in una nube di schifo, tristezza e profondo squallore.   
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tulipanico · 1 year
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Poco meno di un anno fa entravo per la prima volta in Aula Biancalana, di quel giorno ricordo solamente lo scricchiolio del legno vecchio, sedendomi, ed il senso di smarrimento. Ora, l’odore delle pareti è lo stesso di quel giorno, ma su quelle panche mi pare di saper stare seduta più composta. E’ stato un anno così denso che fatico quasi nel cercare di metterlo a fuoco con poche e semplici parole. Ogni volta che mi trovo alla fine di qualcosa, non posso fare a meno di sentirmi profondamente grata e fortunata, e allora mi voglio impegnare a fissare questo bene incredibile che mi circonda. Sono sempre ferma nell’idea di non essere una persona facile. Mi è difficile far tacere la parte di me che vive dentro alla mia testa, focalizzare l’attenzione su una singola cosa. Penso, rimugino costantemente, immagino, desidero mille cose, le voglio subito; poi rimango ferma, immobile, impantanata nelle sabbie mobili dei condizionali. Mi sento una persona non semplice, ma nonostante ciò sempre avvolta dalle braccia calde dell’amore, sola per nessun istante. Credo che la fortuna più grande sia, in un mondo avvezzo al giudizio, circondarsi di persone capaci di essere genuinamente felici nei giorni dei nostri successi, per i nostri traguardi, senza che quel sentimento sia contaminato da nulla. Ed io mi sento circondata da luce, come quella del sole la mattina, che scalda e rende rosse le guance. E allora grazie ad ogni singola persona abbia lasciato anche solo una piccola pennellata sulla tela di questo percorso, per l’effetto che possono avere delle parole gentili su di un cuore.
Ho pianto, e questo non ci stupisce, a più riprese. Sull'otto, mentre portavo mamma in uno dei posti del mio cuore, vedendole l'amore negli occhi. E poi più tardi, dopo aver salutato Manuela in stazione. Ho mangiato, ingorda, di nuovo tutta la città con gli occhi, li ho riempiti di quei tetti e della magia. Ci sono posti che ti accolgono e ti stupiscono senza fare nulla di eclatante. Torino mi ha rapita dal primo istante, quando piena di paura sono scesa dal primo treno. Dolcemente mi ha svelato la sua bellezza, con il sole lieve del tramonto, mi ha presa per mano e rassicurata. Mi ha detto: 'c'è bellezza qui'. Non mentiva.
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nusta · 3 months
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Oggi sono stata al cinema con una mia amica, abbiamo visto il nuovo film di Miyazaki, "Il ragazzo e l'airone", che nella versione originale si chiama "How do you live?" e forse il titolo così è più appropriato al film. È stato strano, perché è stato lento più di quanto siano già solitamente lenti alcuni film dello studio ghibli, ma è stato anche uno dei primi film che non mi hanno commosso come invece spesso mi succede, e nonostante la trama sia una di quelle che si presterebbero molto alla commozione, dato che parla di lutto e sofferenza e rinascita. Forse è anche perché non sono più abituata a vedere film al cinema e l'atmosfera è diversa, o forse era l'abbiocco post pranzo o forse semplicemente il ritmo di questo film è tale che una seconda visione è più godibile di una prima, quando ancora non sai cosa aspettarti e pensi che sta passando un sacco di tempo e ancora non è successo niente di particolarmente strano. Mi ha ricordato in molti momenti degli altri film di Miyazaki, il viaggio onirico de La città incantata, le porte su altri mondi de Il castello errante di Owl, la malattia e la fuga/smarrimento della famiglia de Il mio vicino Totoro, la distruzione della guerra di Si alza il vento. Ci sono anche  le vecchine e le creaturine e la natura che ci sono in tantissimi altri film di Miyazaki, sembrava proprio una citazione continua, ma forse è semplicemente il suo universo che è popolato di questi elementi e, una volta che li conosci, li riconosci inevitabilmente in ogni film.
Tornata a casa, dopo averne parlato un po' con la mia amica per condividere impressione e frustrazione, perché anche per lei a livello emotivo non ha avuto l'impatto che ci aspettavamo, ho cercato un po' di opinioni online e ho salvato qualche post di tumblr. A quanto pare, oltre alla lettura più immediata dell'elaborazione del lutto e della condizione di malattia, c'è una metafora generazionale e anche una estremamente personale di Miyazaki rispetto al suo mestiere e alla sua storia con il suo mentore. Alcuni la leggono anche verso l'altra direzione, con suo figlio. In ogni caso sono ancora più convinta che a una seconda visione piacerà di più anche a me. Commuovermi però non lo so, vedremo quando sarà il caso, credo sia proprio una questione di ritmi e di investimento emotivo nei personaggi, non so se questi sono riusciti ad entrarmi nel cuore con la stessa immediatezza degli altri che di solito sono raccontati nei suoi film e in generale nei film dello studio ghibli.
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belladecasa · 1 year
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Gentili Signori Baustelle,
La decennale dedizione che lega a voi tutta la mia adolescenza, i primi claudicanti passi di giovane adulta, il mio Erasmus, i miei primissimi e ultimissimi amori dolorosi, mi legittima all'espressione, con la presente, di un umile e ingenuo interrogativo di ragazza di campagna quale sempre rimarrò purtroppo o per fortuna: avete per caso abusato di sostanze stupefacenti in concomitanza con la registrazione del recente pezzo che allego? Lungi da me qualsiasi bigottismo, ma mi sembra che ci sia una falla ideologica abbastanza ampia nel momento in cui cantate: Milano è la metafora dell'amore. Ipotizzo che voleste scrivere: Milano è la metafora del pensiero neoliberista più grossolano? Poi, procedendo di qualche verso, leggo: da sola contro il mondo di fascismo e di squallore sta. Deduco, dunque, che vi trovaste a Bologna ma il vostro vizietto di ricoprirvi di stoffe firmate Gucci vi abbia indotto questo lapsus.
Attendo fiduciosa e sempre fedele un gentile chiarimento da parte vostra. Nel frattempo trovo empatia e consolazione nei versi che seguono:
Io sono un disperato, ho massacrato il mio cuore
Spacciato dalla nascita, ma questa città
Ti uccide e ti resuscita, si nasce e si muore
Qui resta bellissimo perdersi, verificare l'effetto che fa
Amandovi ma odiandovi - parafrasando un vostro vecchio testo - vi porgo i miei cordiali saluti.
Sofi
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mccek · 10 months
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Raige ft. Anda - Via da qua
Amore mio lascio Black City e la sua gente
qua in città apparte te il rap e pochi simili
niente mi appartiene veramente
Viaggio controcorrente a noi
vivo dei risultati possibili
e non possiamo viverli possibilmente
Qua si sente il freddo, si muore
e ho spesso gridato al sole
che volevo più calore, più calore
Le parole sono l'amore per chi lo conquista
e infatti muoiono in gola se le si viola, come ametista
e ti hanno vista sola, ma con la sola vista
e fortunatamente tu sei più potente di chi ti depista
Ed è per fissazione,
se ti dico sta scelta è fatta col cuore
poi è la disperazione a volerla, merda
il mio animo diserata
e Dio nel panico dimentica di darmi una conferma
lascio questa terra devo andarmene
lo faccio presto perchè se perdo me stesso
non ho niente per combattere
L’abc del rap italiano pt.60
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volevoimparareavolare · 9 months
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Perché questa città deve sempre essere così dura col mio cuore?
Ogni volta é una lezione che mi apre la pelle e mi incide sulle ossa gli errori da non ripetere.
Quante lacrime ancora dovranno assorbire queste piastrelle sporche? Quante colonne dovranno sostenere il peso del mio corpo, quando non riesco nemmeno a reggermi in piedi per i tremori?
La mia voce si spezza appena salgo sul treno, e i frammenti mi graffiano la gola e mi bruciano gli occhi appena scendo in stazione.
Questi portici all’improvviso diventano stretti e le piazze troppo piccole e il rumore si assottiglia finché l’unica cosa che mi urla nelle orecchie sono le grida dei miei pensieri.
Bologna tu mi hai sempre vista nei miei momenti peggiori. Perché solo quando vengo da te i miei scudi si sbriciolano e le mie maschere cadono.
E tutti i miei tagli ritornano a sanguinare, e tu sei talmente brutale che é impossibile uscirne indenni.
Come si può provare così tanto dolore e continuare a respirare? Come si può odiarsi al punto da voler morire ma in qualche modo continuare a vivere?
Dante Petrarca e Boccaccio sono passati da te. Mi hai sempre affascinato per questo. Tu crei scrittori.
E come un vento gelido tu mi hai piegato. Mi hai fatto cadere in ginocchio. Mi hai stretto i polsi e strappato dalle mani i coltelli che continuavo a stringere fra le dita. Mi hai preso a schiaffi sotto la pioggia e tenuta sveglia la notte a combattere mostri anche quando volevo solo voltarmi e scappare.
Mi hai fatto tornare a scrivere in un momento della mi vita dove pensavo non sarei riuscita a scrivere mai più.
Una volta lo facevo per dare conforto e speranza a chi mi lèggeva. Ma ora non piu. Ora scrivo sperando di non essere la sola al mondo da sentire così tanto. Così intensamente. Così immensamente. Per avere la conferma che qualcuno possa capirmi e ritrovarsi, anche se io per prima non mi capisco e non mi ritrovo.
Una volta piangevo per gli altri. Dopo te, non piango più per loro. Non piango più nemmeno per lui.
Piango per me stessa.
Per le cose che faccio,
e che mi lascio fare.
-pensieri delle 22.13
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c3ss4 · 4 months
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almeno una volta al giorno penso alle mie passate frequentazioni e al fatto che abbiano fatto di tutto pur di impressionarmi. per farvi qualche esempio, manuèl in meno di un paio di mesi mi aveva regalato un diamante e una volta ricordo mi avesse portato in uno di quei ristoranti in cui i camerieri ti chiedono il nome “per rendere l’ esperienza più personale”. mi portava spesso al mare e non mi faceva mai alzare un dito. poi c’è stato luigi. una sera aveva ricreato la mia scena preferita del mio film preferito. mi aveva portato sul porto, aveva preso due pizze, un binocolo e ce ne stiamo stati lì, in silenzio, ad osservare le luci della città. mi comprava sempre il mio lambrusco preferito e cucinava per me. lorenzo non mi conosceva da nemmeno una settimana e si è fatto chilometri e chilometri solo per vedermi. ma nulla di tutto questo mi ha mai fatto scattare qualcosa. certo, ero lusingata. a volte intenerita. eppure sentivo che mancava qualcosa. a dire il vero mancava tutto. con pietro invece è venuto da sè. senza sforzi. passeggiavamo in tondo per ore e ore, parlando del nulla e ridendo per tutto. ci sedevamo su una panchina a fumare, oppure ci sdraiavamo sul prato e ci fissavamo in silenzio. avevo sempre una sensazione di svenimento quasi, una sorta di formicolio al petto che mi faceva sudare le mani e mi arrossiva le guance. una felicità contagiosa, che mi contorceva un po’ le budella e mi stringeva il cuore fino a farmi credere di non respirare. abbiamo aspettato sei uscite prima di poterci sfiorare. temevo che se mi avesse baciato sarebbe tutto finito. avevo paura che si tirasse indietro. non lo fece. continuava ad avvicinarsi ed io a nascondermi. entrambi ridevamo forte. “dove scappi?” mi diceva. e poi mi baciò, e facemmo l’amore sul prato bagnato. ero sporca di terra e si congelava, ma non potevo essere più felice.
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scorcidipoesia · 2 months
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Dopo di te, dopo questo volo leggero e invisibile, nascosto ad ogni sguardo e anche a me stessa.. dopo questo scorcio di poesia, di speranza taciuta , di abbracci mai avuti, di musiche nelle quali mi sono cullata per spendere il mio tempo peggiore .. dopo questo sguardo sull’infinito, tra piogge sfociate nel grigio che abbraccia la città ma anche il colore dei tuoi occhi, dopo la visione del tuo cuore, le tue movenze e fragilità che sono la tua forza, dopo tutto quello che non ho avuto e non avrò, dopo il sentore candido della tua anima, il tuo tendere all ‘infinito cercando i ricordi, dopo gli abbracci del tuo passato, del mio, nel mescolare insieme di fallimenti e persone lontane, svanite .. dopo averti visto, intuito, sentito, immaginato, disegnato , compreso. Dopo un vivere romantico in cui io mi nascondo e tu non sai, dove c’è posto solo per il rispetto e la gentilezza , dove posso solo sbirciare come sono le tue mani o la dispettosa rosa nei tuoi capelli , dopo tutto quello che ho osservato non vista, espresso non ascoltata nemmeno da me stessa.. puoi esistere solo tu, il ticchettio di rari messaggi e il cuore che ride quando so che sei poco distante e io ti penso , e sempre ti ringrazierò per aver tenuto in volo il mio cuore e per il valore che mi hai dato, e che io sempre darò a te
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