Tumgik
#Hanno vita propria
harshugs · 10 months
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piccola soddisfazione della vita: twerkare e sentire gente che commenta “oddio ma si muove da solo”😮‍💨😮‍💨
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libero-de-mente · 3 months
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Dopo aver postato i miei addii alla chihuahua Minù e al gatto Alvin, scomparsi davvero troppo presto e a distanza di trentasei ore tra di loro, ho potuto constatare quanto la presunzione di superiorità dell'essere umano sia di quanto più lontano dall'essere davvero umani.
Semmai disumani.
Per molti lo strazio che alcuni esseri umani provano per la scomparsa di un animale domestico è una deriva.
Una preoccupante deriva, dove si pongono sullo stesso piano i nostri amici a quattro zampe con la vita di un altro essere umano.
Non credo che una persona psicologicamente equilibrata voglia mai paragonare la perdita di un cane o di un gatto con quella di un genitore, di un amico o un altro parente.
Ma resta sempre un dolore comunque, che può essere molto profondo se per la persona colpita dal lutto, l'animale, era tutta la sua famiglia. Nessun altro.
Un vuoto resta un vuoto.
A prescindere da tutto questo mio preambolo, per esperienza personale, posso dire che il vedere morire un essere umano e vedere morire un animale che ha condiviso la sua vita con te ha dei punti in comune.
Lo sguardo. Ti cercano come per avere la conferma che non saranno soli, in quel momento, che qualcuno a cui hanno voluto bene sia lì con loro.
Ho visto morire mio padre, mi ha guardato e poi con un sorriso ha guardato in alto ed è spirato.
La mattina che Alvin è morto ero uscito per un appuntamento di lavoro, dovevo portarlo al mio rientro dal veterinario eppure prima di uscire, mentre mi ero chinato su di lui per confortarlo, mi ha guardato e con la zampa mi tratteneva il braccio. Usando gli artigli.
Ho interpretato dopo, quando rientrando di corsa l'ho trovato riverso a terra, che probabilmente mi stava chiedendo di non andarmene. Di restare lì con lui.
Ho letto un post recente dove un veterinario affermava che 9 su 10 i proprietari di cani o gatti non vogliono assistere al trapasso dell'animale.
Che questi prima di essere sedati per il trapasso cercano con lo sguardo colui, o colei, per cui è valsa la pena vivere scodinzolando o facendo le fusa.
Molti credono che gli animali non abbiano un'anima, eppure animale è una parola che viene dal latino "animalis" che vuol dire "animato" o qualcosa che crea la vita. Affine al greco "anemos" (vento, soffio) e al sanscrito "atman", di uguale significato.
Anche mio padre cercò qualcuno e c'ero solo io. Altri erano usciti dalla stanza. Qualcuno addirittura se n'era andato, con una scusa.
Eppure l'essenza della riconoscenza verso un'anima sta proprio nello stargli vicino, quando quell'anima lascerà il suo corpo terreno.
Non si dovrebbe privare nessuno di questo riconoscimento, a meno che la morte non giunga inaspettata e all'improvviso sia chiaro.
Nel corso della propria esistenza le persone hanno svariati interessi e priorità. Ma per gli animali, quello che noi definiamo il loro padrone, è la cosa più importante di tutto. Di tutti.
Lo sguardo degli umani, durante l'esistenza, cambia a seconda dei sentimenti. Che sia amore o rabbia, a volte anche odio.
Ma nel momento in cui una persona capisce che è giunta la sua ora cerca il perdono, oppure di perdonare.
Un cane o un gatto non si devono far perdonare nulla da chi li ha amati. Ti guarderanno con lo stesso sguardo del primo giorno che li avrete visti. Con amore incondizionato.
Perché nell'attimo in cui se ne vanno, inizia il ricordo e l'amore si consolida nel cuore. Per alcuni umani invece rimane anche una parte di rabbia e di cose incompiute.
E nell’attimo in cui tutto finisce, niente finisce
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falcemartello · 4 days
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Era evidente che si sarebbe andati a parare qui.
La convergenza tra ecologismo e scientismo crea un mostro estinzionista.
L'ecologismo è molto cambiato rispetto alle sue origini,fatte di battaglie locali in difesa della biodiversità e dell'estensione boschiva.
Ora venera una divinità matematica globale composta di grafici, statistiche, modelli proiettivi.
Questa traiettoria andrebbe studiata meglio.
L'ecologismo storico predicava e difendeva sul campo la sacralità della vita, estesa a tutte le sue forme. L'ecologismo scientista difende il "Dio Pianeta", fatto di dati e proiezioni, dalla vita stessa, desacralizzata e, nella sua materiale concretezza, contrapposta all'astratto.
L'astratto matematico prende il posto dell'astratto spirituale e, come esso, genera un dio composto della propria materia. E tende quasi naturalmente a vedere la carnalità della vita come il suo principale nemico.
Secoli a frenare queste derive, ora la giostra riparte daccapo.
In conclusione...
Se provi ad analizzare criticamente qualcosa che sta avvenendo ti prendi del negazionista.
Se provi a farlo di qualcosa che si è già compiuto ti prendi dello sciacallo.
Certe persone non solo sono incapaci di pensiero autonomo, ma hanno persino dato valenza morale al conformismo.
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eleonorasimoncini · 4 months
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Sono la tua P
Sono una puttana perché mi piace
Sono una puttana perché ho amato senza riserve
Sono una puttana perché ho disobbedito senza riserve
Sono una puttana perché non confondo più sesso, sex work e amore
Sono una puttana perché come puttana posso ridere senza motivo e anche a sproposito
Dico sono una puttana e non faccio la puttana perché quando lo faccio lo sono anche intimamente
Sono una puttana perché il lavoro che avevo prima non sapevo più farlo
Sono una puttana per essere la figlia che i miei non avrebbero voluto mai e non vogliono adesso
Sono una puttana perché non sono il figlio maschio che i miei avrebbero voluto
Sono una puttana per capire chi mi vuole veramente bene e mi accetta anche se sono una puttana
Sono una puttana perché non sopporto i tacchi a spillo e voglio indossarli il meno possibile per camminare a piedi scalzi
Sono una puttana perché non sopporto il perbenismo
Sono una puttana perché il mio lavoro mi ha impoverito
Sono una puttana perché gli uomini che rispondono agli annunci erotici te la chiedono gratis senza dire né buongiorno né buonasera e dando per scontato che sei una puttana gratuita
Sono una puttana perché dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fiori
Sono una puttana perché gli uomini vogliono fare con me cose che non hanno il coraggio di chiedere alle mogli e alle fidanzate (incluso il mio compagno)
Sono una puttana perché mio marito confonde la donna per bene che ha sposato con la propria madre e qualche volta anche con sua figlia
Sono una puttana perché gli uomini per bene vogliono sposare una donna per bene ma per fare sesso preferiscono una puttana
Sono una puttana perché il sesso ognuno lo fa come vuole anche a pagamento se ritiene opportuno
Sono una puttana perché qualcuno mi ha detto ti vesti come una puttana, ti trucchi come una puttana, fai sesso come una puttana
Sono una puttana per sapere cosa provano in strada le donne sfruttate, mie sorelle
Sono una puttana perché il lavoro a 4 euro l’ora è schiavitù per uomini e donne e io voglio vivere
Sono una puttana perché ho bisogno di leggere e avere tanti libri
Sono una puttana perché il lavoro intellettuale e il lavoro artistico sono sottopagati sfruttati e offesi
Sono una puttana perché l’Italia ha rinunciato ai suoi artisti
Sono una puttana perché l’Italia ha affamato i suoi artisti
Sono una puttana per poter restare in Italia e fare arte
Sono una puttana perché i miei amici artisti sono quasi tutti andati via, attori, registi, produttori più o meno indipendenti, musicisti, ballerini, mimi, pittori, performer, artisti visivi, designer, architetti e folli innamorati della vita
Sono una puttana perché le mie amichette studentesse universitarie per pagarsi una camera tugurio in affitto a Roma devono fare le puttane (i maschi per lo stesso motivo spacciano o battono anche loro)
Sono una puttana perché amo la mia vagina e non la disprezzo
Sono una puttana perché certe volte quando ho fatto l’amore mi sono sentita stuprata
Sono una puttana perché la famiglia in questo momento storico è il luogo più violento che c’è
Sono una puttana perché sono stata una bambina assillata
Sono una puttana per tutte le donne che sono morte a causa del loro essere donne, madri, lavoratrici, figlie incomprese, mogli sole, puttane sole, amanti nascoste, fidanzate uccise perché un uomo insicuro le perseguitava
Sono una puttana perché il sesso a pagamento è un lavoro e ha dignità
Sono una puttana perché la puttana è genere sessuale diverso e un piacere diverso per tutti coloro che lo praticano
Sono una puttana perché il sesso è sacro e sacro a questo mondo vuol dire monetizzato. Ché tutti sappiano cos’é il loro senso del sacro
Sono una puttana perché ogni gesto è puro incluso il più riprovevole se lo fai con l’istinto di un animale e non di un uomo
Sono una puttana perché i miei alunni consideravano Pasolini un frocio marchettaro
Sono una puttana perché sono femmina e femminista
Sono una puttana perché per una donna fare sesso libero in molti posti è ancora un reato
Sono una puttana, una strega, una mistica, una madre, una santa perché posso contenere il mondo, tenendomi in equilibrio
Sono una puttana perché il mio pensiero potrebbe dare fastidio
Sono una puttana perché hanno uccisa Ipazia dandole della puttana
Sono una puttana perché non è solo il mestiere delle donne ma da che mondo è mondo è il lavoro degli uomini
Sono una puttana perché ho abolito il senso di colpa dei genitali
Sono una puttana perché il mio cuore è puro e non ha doppio fondo
Sono una puttana perché rigetto il potere
Sono una puttana perché voglio riprendermi il desiderio di essere donna come dico io e non come dice un uomo
Sono una puttana perché questo è un mestiere inventato da un uomo per dividere le donne in belle e brutte buone e cattive e io me lo riprendo
Sono una puttana perché voglio stabilire il prezzo che gli uomini mi hanno dato e mi hanno tolto
Sono una puttana perché questo è un lavoro nobile e antico rovinato dalla politica come dice Pia Covre
Sono una puttana perché tutte le donne per bene e per male sono sorelle
Sono una puttana perché una moglie per bene può essere più in vendita di una puttana
Sono una puttana perché non voglio la protezione di un uomo
Sono una puttana perché questa parola si usa a sproposito
Sono una puttana perché mio padre aveva paura che diventassi una puttana
Sono una puttana perché voglio che noi donne riprendiamo a vederci e a ridere delle nostre imperfezioni fisiche e della nostra vecchiaia
Sono una puttana contro una società che trasforma le nostre bambine, le nostre figlie in tutto il mondo in puttane
Sono una puttana perché di dieci uomini politici che ho conosciuto a nessuno darò mai il mio voto solo perché è mio cliente
Sono una puttana perché meglio freddare i bollenti spiriti con una puttana che fare violenza alle proprie donne
Sono una puttana perché gli uomini non sanno gestire come uomini la propria sessualità
Sono una puttana perché la civiltà di un paese si misura da come tratta le proprie donne
Sono una puttana perché amo la democrazia e odio la dittatura della maggioranza
Sono una puttana perché da un uomo di potere non ho mai accettato mai niente tranne il mio cachet e da mangiare. Da mio padre
Sono una puttana perché finalmente mi amo e mi accudisco come merito
Sono una puttana perché ho bisogno di una stanza tutta per me
Sono una puttana perché voglio capire che c’è di tanto strano in questo mestiere
Sono una puttana perché le donne devono stare tutte insieme puttane e donne per bene e mettere insieme le loro vite
Sono una puttana perché ancora oggi una donna non prende valore di per sé ma ancora come secoli addietro per il matrimonio che ha fatto al massimo per gli studi che ha fatto o i figli che ha avuto
Sono una puttana perché voglio sapere perché le donne hanno paura di essere definite puttane
Sono una puttana per sapere perché questa società ingiuria le puttane, le occulta, le biasima, le disprezza ma dietro le porte delle puttane c’è sempre la fila
Sono una puttana colta perché la gente dice che se fai la puttana è perché non hai altre possibilità
Sono una puttana perché vorrei che tutte le donne dicessero anch’io sono una puttana come te e non mi vergogno di dirlo perché anch’io…
Sono una puttana
Cit.
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kon-igi · 8 months
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A COSA FA MALE IL PORNO
Il titolo è fuorviante ma siccome cerco di tenerli corti per il colpo d'occhio incuriosente (non è proprio clickbait ma quasi), in realtà l'argomento è estremamente serio e si riaggancia al mio precedente post sul patriarcato dei 'cari amici uomini'.
Il porno, così come lo si (dovrebbe) intende(re), è la rappresentazione visiva di una manifestazione fisica, nello specifico della sessualità e in genere dell'affettività: ci si sofferma in modo evidente sull'atto del copulare o su pratiche che orbitano comunque intorno alla sfera genitale o paragenitale.
Premettendo che LA CONSENSUALITA' sta alla base di qualsiasi pratica - anche la più estrema - e che questo mio ragionamento ha pure valore indicativo di una mia intuizione senza alcun giudizio (TL;DR fate tutto quello che volete con il/la vostro/a partner se maggiorenne e capace di decidere per sé) ho notato che il porno mainstream offre TANTISSIMO MATERIALE su pratiche sessuali in cui la donna, per quanto immagino e spero consensuale, viene degradata e umiliata dalla controparte maschile, con tanto di mascara colato per lacrime e secrezioni varie, difficoltà respiratorie per dita strette attorno alla gola oppure oggetti e parti di corpo infilati a lungo in gola e posizioni un po' troppo costrette.
Per carità, io lo so che chi mi legge lo fa come gioco di ruolo in cui la propria partner è consenziente e consapevole di recitare un ruolo limitato nel tempo e che poi la vita prosegue nel rispetto reciproco
MA
vista L'ENORME QUANTITA' di materiale video con tali modalità che, senza scomodare canali specifici, sembrano comunque essere la norma, non vi sembra che il ruolo dell'attrice, dell'esordiente o della semplice persona che fa il video amatoriale sia quello DI SODDISFARE IL DESIDERIO DELLO SPETTATORE MASCHILE DI AVERE UNA DONNA SOTTOMESSA A TUTTE LE PROPRIE FANTASIE DI CONTROLLO E DI DOMINIO?
Lo dico perché io ho ricevuto questa impressione e anche se non mi addentrerò mai nel ginepraio del vietato (lol) ai minori di 18 anni, mi chiedo come una persona giovane possa codificare per sé una sessualità rispettosa del consenso se praticamente non esiste il concetto di educazione sessuale/affettiva e questi è demandato a contenitori di porno dove un 80% di video dipinge il ruola della donna in questo modo.
Nessuna soluzione diretta e/o immediata, per carità, e soprattutto nessuna censura o proibizione, però se esistono video che provengono da un sito (forse ora chiuso) che si chiama ex-gf e che alcune donne hanno sentito il bisogno di inaugurare un genere che si chiama 'porn for ladies', forse un problema di percezione e di educazione a monte esiste.
Grazie degli eventuali contributi ben ragionati ma tenete i coltelli nei foderi perché io comunque sarò sempre più veloce a estrarre e a rovesciarvi le budella sulle scarpe <3
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scogito · 7 months
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Il primo errore che le donne commettono con gli uomini è quello di volere delle conferme da parte loro.
Non importa di che tipo. Si passa da quelle più infantili (sono bella? Sono in gamba?), a quelle più impegnative (sono la donna che vuoi sposare? Vuoi una relazione seria?).
Ciò denota solo un'insicurezza di fondo, nonché l'incapacità di gestire la propria vita a prescindere da chi hai accanto.
Questi aspetti seducono gli immaturi, i problematici e i bisognosi come te. Cioè sono il lasciapassare per ulteriori disastri emotivi e legami disfunzionali.
Cerca di capire che gli uomini non sono creati per rassicurare la tua emotività frantumata, anche perché spesso ne hanno una a pezzi pure loro.
Se vuoi instaurare rapporti di crescita, non crearti relazioni con le aspettative del pronto soccorso.
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astra-zioni · 2 months
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Non capisco perché un video di una persona che mostra ciò che mangia dovrebbe essere più pericoloso di una persona che mostra i suoi obiettivi professionali, che condivide i suoi traguardi e via dicendo. Il fatto è che tutto può essere potenzialmente un trigger in una persona con disturbi mentali, che la soluzione non può essere la rimozione coatta di un contenuto se è la base del social stessa a essere pericolosa, portandoti a mostrare una vita apparentemente perfetta, in tutte le sue declinazioni (anche il cibo) e, in generale, mostrare la propria vita quotidiana. Nel caso si dovrebbe mettere in discussione il rapporto con i social in generale e indagare perché sentiamo la necessità di esporre, in maniera seppure minima, la nostra quotidianità, così come la mia necessità di scrivere questo post qui sopra. In fondo, quel che mi fa incazzare, è che esistono disturbi mentali più (ri)conosciuti e pop e appetibili degli altri. Il disturbo alimentare è molto trattato su Instagram, riscuote molte reazioni perché purtroppo il rapporto col cibo è un terreno insidioso per molti, anche per le persone tutto sommato “normali”. Nessuno parla invece dell’impatto che hanno reiterate foto di una persona che si laurea, foto di una madre con un bambino, la foto di una semplice giornata al mare, tutte situazioni che, viste dal punto di vista di un depresso cronico, spezzano letteralmente in due. Eppure, nessuno riuscirebbe a fare a meno di mostrare i piccoli e grandi traguardi della propria vita in mondovisione. Su questo social dimenticando da Dio vedo continuamente spiattellare tutti i risvolti della propria vita, spesso lusinghieri. È questo, che secondo non funziona. Che va calibrato. Va interrogato. Il fatto che mostri ciò che mangio è una conseguenza nevrotica di questo mondo che esiste solo se lo si mostra.
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viendiletto · 2 months
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Nel ricordo di Marinella… Una scelta di volontariato
“Mi aggiravo tra la folla, attratta da quella moltitudine vociante, dalle bandiere e dai labari delle nostre città istriane, fiumane e dalmate. Era il 1997, si ricordavano nella piazza principale di Trieste i 50 anni dall’esodo, anche i miei cinquant’anni essendo nata nel 1947. Ma il mio pensiero era fisso su mio padre. Vedi – gli dicevo col cuore gonfio – finalmente parlano di noi. Ma lui era mancato qualche tempo prima senza smettere di sentirsi fuori dal coro, un alieno…” 
Fu così che, durante quell’esperienza pubblica, Fioretta Filippaz, nata a Cuberton, esule a Trieste dal 1956, si rese conto di sapere ben poco della propria storia e del destino di tanta gente che come lei era stata costretta all’esodo dall’Istria.
Decise così di fare la volontaria?
“Quel ’97 fu per me uno spartiacque importante, i miei genitori non c’erano più ma le domande che avrei voluto rivolgere a loro, erano veramente tante. Allora presi informazioni e mi ritrovai all’IRCI che allora aveva sede in P.zza Ponterosso, nell’ufficio di Arturo Vigini, con lui c’era anche la figlia Chiara. Mi presentai e dissi che avrei voluto rendermi utile, partecipare dopo tanto silenzio. Non cercavo un lavoro di concetto, mi bastava anche semplicemente imbustare e affrancare gli inviti per le numerose iniziative dell’ente o per spedire la rivista Tempi&Cultura. Così ho cominciato”.
Una “volontaria”, oggi una del gruppo che segue l’attività dell’IRCI in via Torino, accoglie i visitatori delle mostre che si succedono numerose durante l’anno a cura di Piero Delbello e con il supporto del presidente Franco Degrassi, raccontando un esodo per immagini, attraverso i suoi personaggi, a volte famosi, a volte sconosciuti…
“Viene sempre tanta gente, chiede informazioni, racconta la propria storia, queste sale diventano un contenitore di tante vicende mai emerse, di tante storie familiari mai portate alla luce. Molti arrivano con fotografie, locandine, documenti per il museo. Per noi volontari è una responsabilità, ma anche un profondo desiderio di condivisione. Vede, questo documento alle mie spalle nell’ambito della mostra ‘Come ravamo’ è quello della mia famiglia, è lo storico dell’anagrafe dal quale hanno cancellato Marinella…”.
Chi è Marinella? È una delle storie emblematiche dell’esodo, quella di una bambina che non ce l’ha fatta, in quell’inverno polare del ’56. Aveva appena un anno e una polmonite se la portò via, “morta di freddo” sentenziarono i medici dell’ospedale che non furono in grado di salvarla.
“Ero già grandicella e Marinella me la portavo in braccio, le davo il biberon, la cambiavo, me ne occupavo per alleviare il lavoro di mia madre che doveva pensare a tutta la famiglia, al marito e ai cinque figli. I suoi occhi erano per me, con i sorrisi e i primi borbottii, una gioia infinita: non sono mai riuscita a dimenticarla, a farmene una ragione”.
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Per quanti anni siete vissuti in quella baracca?
“I miei genitori dodici anni, finché io e mio fratello non siamo riusciti a terminare le scuole nel collegio dove eravamo stati trasferiti per poter avere un’istruzione e migliori condizioni di vita”.
Vita?
“Quando la famiglia vive separata tutto è molto duro. Mio padre a Cuberton era un bravo contadino, da esule poté fare il manovale, la qualifica di profugo non era servita a nulla. Aveva sperato di entrare in fabbrica, ma nessuno ci aiutò. Ricordo che spesso diceva con convinzione, non sembrava neanche un lamento ma una semplice constatazione: ‘noi ne vol, proprio noi ne vol’ e così continuò per anni sentendosi fuori luogo, forse sconfitto. Quando ebbi diciannove anni, ci diedero una casa comunale, una sessantina di metri per la nostra famiglia numerosa, ma era comunque un miglioramento. Andai a lavorare alla Modiano”.
In che veste?
“Alle macchine per la stampa, ci ho lavorato fino alla pensione. All’inizio vista con sospetto, la nostra presenza di esuli a Trieste veniva ancora considerata un peso, ma noi istriani siamo lavoratori, disciplinati, vivaci, con il tempo mi sono conquistata le simpatie delle persone che hanno saputo apprezzare il mio impegno”.
E la famiglia?
“Mi sono sposata a 25 anni, per qualcuno era quasi tardi, per me anche troppo presto, vista la tragedia che avevamo vissuto in famiglia, non mi sentivo pronta”.
Non era solo per Marinella?
“Soprattutto per lei il cui sguardo non ho mai smesso di cercare, ma anche per tutto ciò che avevo visto al campo di Padriciano: la gente si lasciava morire, di disperazione, per mancanza di qualsiasi prospettiva, in quelle baracche dove non si poteva accendere un fuoco per scaldarsi. La mia casa era rimasta a Cuberton. Ci sono tornata per andare al cimitero. L’ho vista da lontano, diroccata, non ho avuto il coraggio di avvicinarmi”.
Nessuna assistenza psicologica in tutti questi anni?
“Nessuna. E ce ne sarebbe stato bisogno”.
Che cosa ha rappresentato il Giorno del ricordo?
“La possibilità di parlare, andando nelle scuole, fornendo testimonianza sui giornali, le televisioni. Gli italiani hanno iniziato a conoscere squarci della nostra vicenda. Ogni anno mi invitano a Cremona, in Umbria, nel Veneto, con le docenti è scattata un’amicizia importante. Dopo che Simone Cristicchi ha raccontato di Marinella nel suo spettacolo Magazzino 18, l’interesse è diventato maggiore, mi chiedono di raccontare. Lo faccio per i miei genitori, per restituire dignità a tanta gente, per rivivere il ricordo di Marinella, doloroso, ma necessario. I ragazzi delle scuole mi hanno omaggiato dei loro lavori di gruppo che custodisco gelosamente. È incredibile con quanta pietas abbiano saputo raccontare le nostre vicende, anche quelle più difficili. Mi fanno tante domande”.
E Padriciano?
“Ho accolto le scolaresche per tanti anni insieme a Romano Manzutto, finché l’associazionismo ha deciso di formare dei giovani perché raccontassero la nostra storia”.
In maniera più asettica?
“Certo hanno avuto modo di studiare, approfondire, possono rispondere a tante domande, non certo a quelle sull’esperienza diretta che rimane di chi l’ha vissuta veramente, ormai non siamo tantissimi, il tempo decide per noi”.
Dal campo di Padriciano molti partirono per gli altri continenti…
“Avevamo considerato anche questa ipotesi, ma cinque figli piccoli a carico erano una condizione che non favoriva il giudizio dell’emigrazione. Mio padre era una persona di grande cuore, certo avrebbe fatto fortuna, ma era convinto che nessuno avesse compreso che non eravamo venuti via se non perché fosse impossibile rimanere. Questa sensazione non lo abbandonava mai e forse gli toglieva la forza di tentare altre strade. Non ne abbiamo mai parlato successivamente. Ma mi accorsi del suo dolore quando giunti al cimitero di Cuberton, al momento di decidere di andare a mangiare qualcosa insieme, mi pregò di riportarlo velocemente oltre confine. La paura non li aveva ancora abbandonati e non l’avrebbe mai fatto fino alla fine”.
Di cosa avevano paura?
“Di restare e di tornare. In Istria tutto era cambiato e quindi non ritrovavano più la loro dimensione, c’era stata la dittatura che aveva spaventato tutti. In Italia avevano dovuto imparare a vivere il quotidiano, in Istria pagavano le tasse e basta, non erano abituati ad andare per uffici, fare domande, ottenere il riconoscimento dei propri diritti. Quando Marinella morì nessuno venne a manifestare la propria solidarietà, non fecero che cancellare il suo nome dal nostro stato di famiglia”.
Quale spiegazione riesce a darsi oggi?
“Lo dico spesso e l’ho anche scritto: fummo accolti con fastidio e indifferenza, eravamo un corpo estraneo che tentava di inserirsi in un tessuto sociale che non voleva intrusioni”. Dire che la storia si ripete è anche troppo ovvio.
Intervista di Rosanna Turcinovich Giuricin a Fioretta Filippaz per La Voce del Popolo, 5 gennaio 2020
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vengosicuro · 3 months
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C’è una vita a tutti visibile, e ce n’è un’altra che appartiene solo a noi, di cui nessuno sa nulla. Ognuno di noi ha la propria “no man’s land” in cui è totale padrone di se stesso. Ciò non significa affatto che, dal punto di vista dell’etica, una sia morale e l’altra immorale; l’una sia lecita l’altra illecita. Semplicemente l’uomo di tanto in tanto sfugge a qualsiasi controllo, vive nella libertà e nel mistero, da solo o in compagnia di qualcuno, anche soltanto un'ora al giorno, o una sera alla settimana, un giorno al mese: vive di questa sua vita libera e segreta da una sera o da un giorno all'altro e queste ore hanno una loro continuità. Queste ore possono aggiungere qualcosa alla vita visibile dell'uomo oppure avere un loro significato del tutto autonomo, possono essere felicità, necessità, abitudine, ma sono comunque sempre indispensabili per raddrizzare la linea generale dell'esistenza. Se un uomo non usufruisce di questo suo diritto o ne viene privato da circostanze esterne, un bel giorno scoprirà con stupore che nella vita non s'è mai incontrato con se stesso, e c’è qualcosa di malinconico in questo pensiero.
Nina Nikolaevna Berberova - Il giunco mormorante
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kill--me-please · 1 month
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Alcune persone non ti contatteranno più, né ti parleranno mai più perché non hanno la maturità sufficiente per affrontare il fatto che ti hanno fatto del male, e non te lo meritavi.
E nella loro mancanza di responsabilità e consapevolezza di sé, creeranno anche una falsa narrativa su di te, in modo che possano andare avanti con la propria vita e non sentirsi male con se stessi...
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falcemartello · 5 months
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+++Breaking DIgital Identidy News+++
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L’accordo tra il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea sul portafoglio di identità digitale dell’UE è soggetto ad abusi e dà a Bruxelles la capacità di negare i diritti delle persone e di controllarli.
Secondo la nuova normativa europea, i portafogli, che per ora saranno volontari, conterranno le versioni digitali di tutte le carte d'identità, patenti di guida, certificati di laurea e documentazione medica. la mossa minaccia di fatto i valori europei, come sostenuto da 504 accademici ed esperti di 39 paesi che hanno firmato una lettera aperta che mette in guardia sui pericoli per la sicurezza e la libertà online delle persone.
Avere tutti i documenti in un unico posto significa che possono essere confiscati con un clic. Ciò è stato fatto dall’amministrazione Trudeau in Canada quando, durante il Covid, ha negato l’accesso ai propri conti a coloro che rifiutavano il vaccino e in seguito ha rimosso i diritti assicurativi agli automobilisti che partecipavano al blocco di protesta della capitale Ottawa. Significa anche che gli Stati membri iniziano a perdere il diritto esclusivo di revocare la documentazione rilasciata. Anche Bruxelles potrà farlo. Bruxelles e il commissario Breton vogliono andare ancora oltre introducendo la valuta digitale dell’euro. ( Breton è il commissario che cerca di censurare i social media).
Se le questioni finanziarie finiscono in questo portafoglio, sarà facilitato un maggiore controllo sulla vita delle persone con la possibilità di introdurre un sistema di crediti sociali o di sanzioni elettroniche per coloro che partecipano alle proteste.
Un sistema di questo tipo consentirà inoltre alle autorità di controllare il modo in cui le persone spendono i propri soldi , come è accaduto in Canada e Brasile. La valuta digitale semplifica gli affari, ma è anche uno strumento per eliminare i nostri diritti alla privacy.
La completa centralizzazione digitale delle transazioni rimuove il diritto all'anonimato. Quest’ultima mossa dell’UE è anche legata alle proposte di modifica del trattato, che includono l’eliminazione graduale di tutte le valute nazionali a favore dell’euro.
Non ci sono dubbi sul fatto che gli eurocrati vogliano creare un regime liberale in cui i cittadini siano sempre più controllati dalle autorità con sede a Bruxelles.
Tutto quello che puoi fare può esserti impedito con un click. Può essere visto, analizzato, usato. Mai dimenticarlo
Uso pratico Con questi portafogli i cittadini potranno dimostrare, in tutta l'UE, la propria identità quando necessario per accedere a servizi online, condividere documenti digitali o semplicemente dimostrare un attributo personale specifico, come ad esempio l'età.
Essere utilizzata in molti casi diversi, ad esempio per: -usufruire di servizi pubblici, come richiedere un certificato di nascita o certificati medici oppure segnalare un cambio di indirizzo - aprire un conto in banca -presentare la dichiarazione dei redditi -iscriversi a un'università, nel proprio paese o in un altro Stato membro - conservare una ricetta medica utilizzabile ovunque in Europa - dimostrare la propria età noleggiare un'automobile usando una patente di guida digitale - fare il check-in in albergo.
Usare l'identità digitale dell'UE per chiedere un prestito bancario Il portafoglio europeo d’identità digitale è un progetto che potrebbe arrivare già nella prima metà del 2024 e metterà a disposizione dei cittadini uno spazio accessibile da qualunque dispositivo, dallo smartphone al pc, rendendo ancora più facile l’interazione con le Pubbliche Amministrazioni, locali o nazionali.
Sarà possibile continuare ad accedere all’App IO sia tramite identità digitale SPID sia tramite CIE, cioè la carta d’identità digitale. All’interno dell’applicazione si potrà poi accedere all’IT Wallet cioè il portafoglio digitale che conterrà i documenti già citati e altri che saranno aggiunti negli stadi successivi del processo, tra cui, ad esempio, la Carta europea della disabilità e attestati come il titolo di studio.
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ilblogdellestorie · 5 months
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Il 25 novembre tre bambine di dodici, dieci e otto anni hanno preso il telefono, chiamato la polizia, scritto “help” sopra un foglio bianco e con il cartello in mano si sono messe sul balcone a urlare: «Venite qui, venite qui». Il 25 novembre, a Reggio Calabria, lontane dalle manifestazioni, tre bambine di dodici, dieci e otto anni hanno salvato la vita della loro mamma, ma, soprattutto, si sono salvate da sole. Il marito della donna e padre delle bambine, in stato di alterazione psicofisica, stava massacrando la moglie a pugni in testa perché pare che lei non avesse pulito la cenere che lui aveva volutamente buttato a terra. […] Mentre la madre raccontava le violenze agli agenti le bambine facevano ai poliziotti il “signal for help”: mano aperta, poi pollice chiuso, poi mano chiusa.
A cosa servono i giornali, i social, la televisione, la scuola? A questo. I giornali, i social, la televisione, la scuola esistono affinché delle bambine imparino a fare il signal for help e possano salvarsi la vita. Il corso della propria storia si può cambiare, si può non essere condannate a sopravvivere alla propria infelicità pregando di essere ancora vive domani.
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kon-igi · 8 months
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DIVIETO DI CERVO
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Attenzione, questo post parlerà di responsabilità genitoriale ma in un modo leggero e, soprattutto, coinvolgente anche chi genitore non è.
Non che ci fosse bisogno di specificarlo ma io sono tendenzialmente una persona scherzosa che trova motivo per sorridere di tutto ciò che ha attorno.
Esiste, però, un vulnus profondo che il genitore non si rende conto di infliggere alla propria prole, la quale si porterà dentro cicatrici profonde per il resto della propria vita... e per vulnus intendo le cazzate raccontate ai propri figli spacciandole per vere.
Il fatto è che il genitore cazzone (me compreso) sottovaluta la capacità di dirimere la veridicità dei propri racconti da parte dei figli, i quali, giocoforza, ripongono un'incrollabile fiducia epistemica nei pilastri che li hanno messi al mondo.
Per esempio, quando da giovane mi allenavo con la katana o a lanciare coltelli e shuriken, alla domanda delle mie figlie sul perché fossi così bravo, io rispondevo sempre - Perché da bambino i nonni mi hanno mandato al Tempio del Dragone Dorato per l'addestramento da monaco Shaolin.
Idem quando insegnavo loro a sbucciare l'arancia con il Qiúrén Jiǔ Rèn (囚人九刃) cioè la Sacra Tecnica delle Nove Lame del Recluso.
Tutto bene, finché alla mensa della materna figlia piccola non ha comiciato a urlare che voleva un coltello per insegnare questa tecnica ai suoi amici e quando le maestre l'hanno sgridata, figlia grande (la mensa era unica per materna ed elementari) si è alzata e ha detto che era una cosa che il loro papà aveva imparato in un monastero di monaci guerrieri shaolin.
Non capisco perché una volta cresciute non siano venute a pugnalarmi nel sonno.
Comunque io sono sicuro che ognun* di voi abbia una balla traumatica conficcata nel proprio cuore da raccontare qua su tumblr e per quanto possa valere, io ho passato i mesi antecedenti all'esame di teoria per la patente a ripetere ogni giorno alle mie figlie -
Vi prego! Quel cartello non vuole dire che è vietato fare il verso del cervo! Dimenticate quello che vi ho detto, VI PREGO!
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blogitalianissimo · 2 months
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mahmood aveva proprio detto in un'intervista, chiaramente riferita a marco carta, che dichiarare "sono gay" dalla d'urso "ci fa tornare indietro di 50 anni" io purtroppo proprio non reggo quando le celebrità eludono il coming out con le tipiche risposte "ma ormai nella mia generazione non si fanno più differenze, siamo tutti più aperti" che fanno tanto iper progressismo ma in realtà sono scuse vecchie come il mondo, e fanno veramente tornare indietro (hanno fatto dichiarazioni di questo tipo mengoni, mahmood, michele bravi) ora: -è ovvio che le domande dei media sulla vita privata siano fastidiose, ma quanto sarebbe più facile stroncare le speculazioni rispondendo in modo onesto e secco? -inoltre l'idea che nelle nuove generazioni siano tutti più aperti è falsa, l'omofobia nei ragazzini è ancora presente e vivendo in provincia vedo quanta gente anche giovane è ancora non dichiarata, far finta che ormai siano tutti più aperti non aiuta -mahmood e mengoni sono ovviamente out nella loro vita personale, il parziale riserbo lo mantengono solo come personaggi pubblici, per quanto fuori luogo l'outing non può avere chissà quali ripercussioni negative su di loro -in generale sono d'accordo che aver menzionato aneddoti strettamente personali in quel programma fosse fuori luogo, anche dire che sono gay dichiarati è tecnicamente sbagliato visto che non si sono mai dichiarati come personaggi pubblici, MA, mi ha colpito molto vedere sotto al video moltissimi commenti indignati di fan 30-40enni di mengoni, che dicono proprio "lui non ha mai dichiarato niente di tutto ciò!! sono fatti suoi", è molto palese come abbiano percepito il dire che mengoni è gay come un'accusa infamante, mentre è stato riportato come un dato di fatto assolutamente neutro. Cos'è che ci riporta davvero indietro allora? poi negli anni entrambi si sono di fatto esposti in modo indiretto, tra supporto alla comunità, temi lgbt nei video musicali, mengoni è stato paparazzato più volte con uomini, penso proprio il giorno stesso di quel programma è uscita una campagna pubblicitaria esplicitamente gay con mahmood quindi, se la loro idea è che non bisogna fare dichiarazioni apposite, ma solo vivere apertamente, allora menzionare quello che già si sà non lo vedo come un outing grave il modo in cui ne è stato parlato in quel programma è criticabile, ma anche l'ambiguità tenuta da loro dovrebbe esserlo, allora perdona il rant non richiesto, sono solo i miei 2 cent sulla questione
Guarda hai esposto dei punti molto validi e sinceramente non è che io possa controbattere, perché sì, ci son cose che hai scritto che condivido anche io.
L'unica cosa che posso dire è che è una scelta, fa parte della sua sfera personale, e non si può obbligare nessuno a fare coming out, o perché no, a condividere dettagli della propria vita privata se non vuole. Perciò io capisco che ci si possa rimanere male davanti a questa scelta, però è anche vero che noi non siamo nessuno per dirgli "Mahmood devi ufficializzarlo pubblicamente".
E ripeto, molte delle cose che hai scritto le capisco, ma allo stesso tempo non possiamo manco mettere bocca sulle decisioni altrui.
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Se capita una volta, è un mostro.
Se capita mille volte è un problema più grande.
È difficile scrivere qualcosa oggi. Non so neanche se sia giusto. Però il 50% della mia bolla è muto. Ed è un silenzio insopportabile.
Non credo sia una mera questione di menefreghismo. È che ignorare è più facile. È che c'è questa cosa che è li, e di cui non parliamo mai.
C'è che nella cultura dello st*pro siamo cresciuti tutti. E quando leggiamo una notizia del genere, non riusciamo a sentirci "puliti".
Certo, non avremmo mai fatto niente del genere. Però anche noi certi paradigmi abbiamo imparato a contestarli tardi, lentamente, da soli. E prima? Prima ne eravamo parte. E un po' ti rimangono addosso, nonostante tutto. Attaccate alla radice più profonda dei pensieri.
C'è che non abbiamo il vocabolario per parlare di queste cose, perché non lo abbiamo mai fatto. Eppure sarebbe così importante cominciare a farlo.
Da uomo a uomo.
Mi torna in mente un ricordo di quand'ero adolescente. Litigavo con la mia ragazza dell'epoca, in mezzo alla strada. Avevamo la voce alta, le lacrime agli occhi, eravamo visibilmente scossi.
Un signore, vedendoci, si mise in mezzo a noi. Provai a spiegargli che ci stavamo confrontando soltanto a parole, ma mi interruppe. Disse: "Qualsiasi cosa sia successa, non ne vale la pena. È un attimo che si rovinano due vite: la sua e la tua."
Quel ricordo mi provoca ancora sensazioni contrastanti.
Da un lato, chiunque sia cresciuto socializzato come uomo, sa quanto sia odioso essere visti come aggressori fino a prova contraria.
È una cosa che ti insegnano fin dalla scuola, appena la tua voce diventa più forte e più grave di quella delle ragazze. E i richiami aumentano e i voti di condotta scendono. E se la persona che ti schernisce è una ragazza, verrai richiamato comunque tu più spesso, perché le tue reazioni sono più scomposte, il tuo corpo è una presenza più ingombrante nel mondo.
Ed è una cosa che ti ricordi quando cresci. Quando camminando per strada, cambi marciapiede o acceleri il passo per superare la ragazza che sta camminando da sola, per non darle l'impressione di starla seguendo.
Dall'altro lato, provai un senso di gratitudine.
Quell'uomo aveva fatto ciò che io vorrei aver sempre avuto il coraggio di fare negli anni seguenti. Intervenire, prima che una situazione di pericolo potenziale potesse farsi pericolosa davvero.
Non conosceva né me, né lei, né il contesto. Aveva visto due ragazzini urlarsi contro e uno dei due aveva un corpo che cresceva di due centimetri al mese e presumibilmente quasi nessuna idea su come gestire quella forza, quegli ormoni, quelle emozioni.
Quante volte ho avuto modo di parlare di questa storia? Quasi nessuna.
Con le mie migliori amiche mi confido, ma ci sono certe esperienze, certe sensazioni che loro non hanno mai provato sulla pelle. Come io non ho provato le loro. Uomini e donne vivono gran parte della propria vita in mondi completamente diversi. E spesso è impossibile raccontarseli del tutto.
Neanche tra di noi. Coi miei amici maschi sappiamo di avere un bagaglio di esperienze comuni. Ma ne abbiamo iniziato a parlare poco, timidamente, recentemente.
Quando cresci maschio, ti insegnano che le emozioni ti rendono debole. Che l'unico modo accettabile di tirarle fuori è la violenza.
Lo insegnano a tutti. E ti insegnano anche che se hai paura, se ti senti rifiutato, non devi chiedere aiuto, non devi dirlo ad alta voce, non devi lamentarti. Chi si aiuta, chi si confida, lo fa in segreto.
Se dovessi descrivere in una parola l'esperienza collettiva di essere un uomo, credo che quella parola sarebbe solitudine.
Io non so cosa significhi essere donna. Non conosco la paura che si vive ogni giorno e quell'ansia terribile e collettiva che hanno vissuto in questi giorni. Per capirla, leggo quello che scrivono loro.
Però so cosa significa essere un uomo. E sono cresciuto anch'io in quella società che rende tanti uomini come me carnefici.
Abbiamo un dovere enorme. Nei confronti delle nostre sorelle. E anche nei confronti dei nostri fratelli, dei nostri figli, dei nostri nipoti.
Di interrompere la catena della violenza, la catena dell'orrore. Di chiedere scusa, per quello che abbiamo fatto e per quello che ci hanno fatto fare. Di dare un esempio diverso.
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ma-pi-ma · 10 months
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Non fatevi ingannare, adesso, dall’unanimità, con qualche puntino sulle i, del cordoglio.
Persino il modo in cui se ne è andato, con gran dignità, è stato un atto di orgoglio e di coraggio, di tenacia, di grinta, di passione. Anche negli ultimi giorni della sua vita l’agenda era sempre piena, appuntamenti disattesi solo all’ultimo per non rinviabili problemi di salute.
Non fatevi ingannare, adesso, dai vari slogan che leggeremo bipartisan: “un grande politico, un grande imprenditore, un uomo intelligentissimo”. Vacui tentativi di ristabilire i migliaia di torti rivoltogli in vita.
Non fatevi ingannare, adesso, dai toni docili e compassionevoli da chi, fino a pochi anni fa, urlava al dittatore fondando la propria carriera e gloria di periferia sull’antiberlusconismo.
Non fatevi ingannare, insomma, dalla solita ipocrisia tutta italiana, che col morto seppella cattiverie gratuite rese per rimpiazzarle da elogi falsi e, tutto sommato, vigliacchi.
Se ne va un uomo di successo e di fortuna, un uomo intelligente, furbo, scaltro. Un imprenditore capace, il Re Mida italiano che ha trasformato in oro qualsiasi impresa al solo tatto.
Se ne va un uomo di libertà. Libertà pagata a caro prezzo, perché in una democrazia tutti possono tutto, tranne se ad esercitare la libertà era Silvio Berlusconi. L’uomo più invidiato d’Italia, ma di un invidia che ha distrutto e umiliato solo gli invidiosi, mai l’invidiato. Se ne va un uomo di pace.
Se ne va un uomo che ha amato l’Italia, Paese che non ha mai abbandonato.
Se ne va un uomo generosissimo. Un uomo che ha sempre fatto beneficienza senza darla in pasto ai giornali, ma con riserbo e umanità. La stessa umanità esercitata quando fu condannato ai servizi sociali presso una casa di riposo, dove li parlava con le anziane, ascoltava le loro vite, raccontava i suoi migliaia di aneddoti, portava doni e allegria.
Se ne va un grande comunicatore, il più amato ed il più odiato di sempre: in entrambi i casi tutti gli hanno dedicato un sentimento. Si chiude un capitolo di Storia ed oggi è impossibile non essere tristi.
Mario Improta
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