Tumgik
#15 novembre 1869
La Regia Marina e Assab
Non è qui il caso di ricordare ancora una volta, se non per sommi capi, la storia della baia di Assab e del suo acquisto da parte della società Rubattino il 15 novembre 1869. L’idea di un insediamento in Africa Orientale non maturò all’improvviso perché, ancora ai tempi del Regno di Sardegna, era stato sollecitato dal missionario ed esploratore Giuseppe Sapeto che ne scrisse al Cavour e…
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lamilanomagazine · 2 years
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Lecco, lo Stadio “Rigamonti-Ceppi” compie 100 anni
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Lecco, lo Stadio “Rigamonti-Ceppi” compie 100 anni. L’Amministrazione Comunale di Lecco, in collaborazione con la Calcio Lecco 1912 e il Panathlon Club Lecco, ricorderà l’anniversario dei “Cento anni” dello stadio comunale già “Canterelli” ed oggi “Mario Rigamonti e Mario Ceppi” con una serie di iniziative da ottobre a fine anno. La prima è in programma sabato 15 ottobre, giorno che coincide con quello della inaugurazione, il 15 ottobre 1922, alle ore 17 all’esterno dello stadio di Via Don Pozzi. Non lontano dall’ingresso della segreteria e spogliatoi verrà infatti collocata una targa che ricorderà proprio i primi cento anni dello stadio. Tuttavia, questa non sarà l’unica iniziativa perché è intenzione dell’Amministrazione Comunale di Lecco, ed in particolare dell’assessore all’Educazione e Sport Emanuele Torri, con il coinvolgimento della Calcio Lecco con la proprietà della famiglia Di Nunno, proporre una o più amichevoli di spessore nei prossimi mesi con squadre di categoria superiore rispetto al Lecco. In merito sono già in corso trattative e fare nomi ora è prematuro creando aspettative che poi potrebbero essere vanificate da decisioni dell’ultimo momento. Una cosa è certa: l’impegno comune per offrire uno spettacolo degno della ricorrenza. Inoltre, anche con il contributo del Panathlon Club Lecco e del suo presidente Andrea Mauri, si sta programmando una serata nel mese di novembre dedicata proprio ai colori blu e celeste della Calcio Lecco con alcuni dei giocatori protagonisti sul glorioso rettangolo dello stadio “Rigamonti-Ceppi”. Tornando alla ricorrenza del 15 ottobre di cento anni fa non si può non ricordare (attingendo al prezioso archivio di Aloisio Bonfanti) l’inaugurazione dell’allora nuovo campo sportivo “Cantarelli”, in territorio comunale di Castello, allora ancora autonomo Comune, prima di essere assorbito il 1° marzo 1924 dalla “Grande Lecco”. La cerimonia avvenne alla presenza delle maggiori autorità, con i sindaci di Lecco e di Castello Giovanni Gilardi e Giovanni Battista Sala. Madrina Carla Ceppi, ventenne figlia di Eugenio Ceppi e sorella maggiore di Mario, che nel 1936 si unirà in matrimonio con Giuseppe Rizza. Intervennero anche le maestranze dell’impresa del capomastro Martino Todeschini, che avevano eseguito i lavori sul terreno di proprietà della famiglia Ceppi. La sezione Calcio della Canottieri Lecco (costituita ufficialmente con assemblea straordinaria il 22 dicembre 1913, aderendo ad una proposta del socio Vico Signorelli) aveva come responsabile Eugenio Ceppi, nato a Milano il 28 novembre 1869 e venuto a Lecco definitivamente nella primavera del 1912. Il 15 agosto 1904 nasceva, a Castello di Lecco, Mario Ceppi, figlio di Eugenio e di Ebe Prina, coniugati a Milano il 25 maggio 1889. All’inaugurazione venne disputata l’amichevole di calcio Canottieri Lecco-Ginnastica Gallaratese. Vinsero i blucelesti per 5 reti a 2. Il nuovo impianto sportivo, ampio e moderno, sostituiva l’angusto rettangolo detto della Primavera, dalla trattoria che spalancava i battenti davanti alla caserma Sirtori di via Leonardo da Vinci (attuale sede di uffici della Questura), nell’area retrostante, con ingresso dall’attuale civico 3 di via Leonardo da Vinci (allora via Amilcare Ponchielli), dove c’era un grande portone, vi era un ampio cortile che nei giorni di mercato diveniva deposito di corrieri con carri e cavalli. Nell’area relativa era stato sagomato, con muro confinante il corso del Caldone ancora scoperto in piazza Mazzini, il primo campo di calcio dei blucelesti della Canottieri nel marzo 1914. I terreni messi a disposizione in Comune di Castello da Eugenio Ceppi per il nuovo campo sportivo si allungavano nella vasta proprietà agricola che fronteggiava la villa residenziale dei Ceppi, tuttora esistente. La denominazione “Cantarelli” si deve alla località del tumulo con i morti della peste manzoniana, fra i quali vi sarebbe stato l’avvocato Azzeccagarbugli, legale al quale si rivolge Renzo dopo la vicenda di don Rodrigo. La sepoltura sarebbe oggi da indicare nella zona della rotonda stradale fra via Balicco, via XI Febbraio, via Cantarelli, dove si trova anche l’uscita dell’attraversamento viabilistico di Lecco, dal tunnel in direzione nord. La denominazione “Cantarelli” rimarrà sino al 1950, quando, nel maggio dello stesso anno, un anno dopo la tragedia aerea del grande Torino, a Superga, che porta alla scomparsa dell’intera compagine granata pluriscudettata del Torino, il campo venne dedicato a Mario Rigamonti. Il 20 giugno 1993, dieci anni dopo la morte del grande presidente Mario Ceppi che portò per ben due volte il Lecco in serie A, lo stadio venne poi intitolato anche al “presidentissimo” in aggiunta a Mario Rigamonti. Infine, oltre alla parentesi calcistica lo stadio comunale ospitò molti altri eventi di natura sportiva, mondana e musicale. Ma soprattutto uno in particolare va ricordato e che riempie ancora oggi d’orgoglio l’intera città: la cerimonia di consegna della medaglia d’argento al valor militare per la Liberazione conferita alla città di Lecco. Era il 14 marzo 1976 e a consegnala in uno stadio gremitissimo l’allora presidente della Camera dei Deputati Sandro Pertini che poi sarebbe diventato uno dei presidenti della Repubblica più amati dagli italiani. Prima di lui presero la parola il sindaco di Lecco Rodolfo Tirinzoni, il ministro Tommaso Morlino e il consigliere comunale Piero Losi per l’Anpi.... Read the full article
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hodjalab · 5 years
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Cheikh Chamil, "l'Aigle du Caucase", mort il y a 148 ans
Chamil, figure de la résistance contre les Russes, sera influent dans tout le Caucase grâce à son art oratoire, sa grande détermination, son génie militaire et politique. Il est perçu comme une autorité religieuse et politique.
Il y a 148 ans aujourd’hui décédait Cheik Chamil (ou Imam Chamil), connu en Turquie sous le nom d’Aigle du Caucase, pour son combat pour la liberté du Caucase contre la Russie des Tsars.
Chamil est l’une des figure politique et religieuse des populations du Caucase.
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Il est né en 1797 et portait alors le prénom de son grand-père Ali.
Mais comme le demande la tradition dans la région, quand un nouveau-né est trop souvent malade, il faut changer son prénom : c’est ainsi qu’il fut renommé Chamil.
Pour s’instruire, Chamil et ses amis se sont rendus en Irak, où ils ont étudié au sein du groupe "Mevlana Halid-i Bagdadi".
A la fin de son enseignement, Cheikh Chamil fut renvoyé dans le Caucase avec pour titre celui de Calife.
Face à la volonté des Russes de faire des Musulmans du Caucase leurs esclaves, Chamil rejoint alors les rangs de ceux qui combattent.
Le mouvement des Musulmans du Nord-Caucase à la fin du 18ème siècle, appelé « Muridisme » par les Russes, mais « Gazavat » par les Musulmans eux-mêmes, n’a pas trouvé de leader pendant de longues années après la mort de leur chef Imam Mansour.
En 1829, l’ami de Chamil, le Mollah Muhammed (aussi appelé Mollah Ghazi), est élu nouveau leader du mouvement Gazavat. Chamil sera l’un de ses plus précieux adjoints.
Mollah Ghazi sera tué le 20 novembre 1832 alors qu’il combattait les Russes. Chamil sera grièvement blessé lors de la même guerre.
Après cela, alors que les Russes pensaient que le mouvement de résistance dans le Daghestan allait prendre fin, la lutte des Musulmans, portée par le nouveau chef, Hamza Bek, se poursuivi.
Hamza Bek décédera le 19 septembre 1834, assassiné. C’est alors que Cheikh Chamil est nommé Imam du Gazavat.
Chamil sera à la tête de la résistance pendant 25 ans, de 1834 à 1859. Il assurera la création d’une armée régulière. Malgré la puissance militaire des Russes, il marquera l’histoire du Caucase par sa bravoure. Son combat aura duré 35 ans, 10 ans avec les précédents chefs et 25 ans sous son mandat.
L’Aigle du Caucase aura, pendant cette période, imposé de lourdes pertes aux forces russes.
Dans le même temps, il assoira sa puissance dans le Daghestan et la région en signant un accord avec deux chefs de Tchétchénie, Hadji Tashov et Kibid (Kebed) Muhammed.
En 1842, Cheikh Chamil était le seul maître de la Tchétchénie et du Daghestan.
Le 30 décembre 1843, le Tsar Nikola 1er ordonne au Général Neidhardt de s’assurer le soutien de certaines personnalités dans le Caucase afin de disperser toutes les armées de Chamil ; pour cela il lui envoya 45 mille roubles.
Mais cette initiative fut un échec et le Général Neidhardt sera démis de ses fonctions. Il sera remplacé par le Prince Vorontsov, commandant des armées du Caucase et Gouverneur général du Caucase.
En s’alliant en avril 1846 avec les Circassiens de l’ouest de Kabartay, Cheikh Chamil fera un grand pas vers l’unité du Caucase, ce qui assurera une certaine sérénité dans la région jusqu’en octobre 1853, date à laquelle la guerre de Crimée éclata.
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Portrait d'après nature de Chamil, dessiné le 6 octobre 1859 par Vassili Timm.
L’appel au Sultan Abdulmajid pour combattre ensemble :
En mars 1853, Cheikh Chamil écrit au Sultan ottoman Abdulmajid pour l’informer de la situation. Pourtant, alors que la guerre n’avait pas encore officiellement débuté, il prend des mesures pour empêcher le positionnement des troupes russes dans le Caucase. Chamil voulait au plus vite rejoindre Tbilissi et se préparer avant une probable guerre Empire Ottoman-Russie dans le sud-Caucase.
Le gouvernement ottoman ordonne, en août 1853, au Maréchal Abdulkerim Pasha de mandater une personne auprès de Cheikh Chamil pour que celui-ci soutienne les Ottomans lors de l’éventuelle guerre contre les Russes.
L’éclatement de la guerre de Crimée le 4 octobre 1853 forcera l’Empire Ottoman à s’intéresser de plus près au Caucase.
Le 9 octobre 1853, le Sultan Abdulmajid écrit une lettre au Cheikh Chamil l’appelant au djihad contre les Russes.
Dans sa réponse du 13 décembre 1853, Chamil assure qu’en cas d’attaque des Russes sur Tbilissi, il obligera les Russes à quitter le Caucase. Mais l’administration ottomane n’acceptera pas cette proposition. En mai 1854, l’Empire Ottoman octroi à Cheikh Chamil le statut de Serdar-i Ekrem du Daghestan. Mais Chamil voulait absolument lancée une attaque sur Tbilissi, pour cela il entra dans la région de Kaheti en Géorgie en juillet 1854. Mais l’armée ottomane ne se dirigera pas vers Tbilissi.
L’action de Chamil dans le sud-Caucase empêchera l’arrivée en masse de soldats russes dans la région. Grâce à cela, dans les conflits qui éclatèrent, les Russes devaient se limiter à défendre.
Un gradé anglais mandaté dans l’armée ottomane, l’Amiral Adulphus Slade, avait indiqué dans un de ses rapports que pour obliger les Russes à la paix, il faut s’emparer du Caucase et coopérer avec les Circassiens et Cheikh Chamil. Mais la position de Chamil dans le Caucase, et la position ottomane, n’auront pas rendu cela possible, et ainsi, une occasion historique fut manquée.
Une résistance n’ayant abouti à la victoire :
Avec l’Accord de Paris signé le 30 mars 1856, le Prince russe Baryatinsky est nommé une nouvelle fois commandant des armées et Gouverneur général du Caucase. Ce sera l’acte qui déterminera l’avenir de Cheikh Chamil.
Le Prince Baryatinsky divisera son armée du Caucase en 5 et nommera à la tête de chaque groupe un nouveau commandant. Les Russes lanceront l’offensive en juin 1857, et malgré une certaine résistance, Cheikh Chamil devra se rendre le 6 septembre 1859.
Cheikh Chamil sera d’abord transféré à Temirhanshura, puis St-Petersburg et enfin à Kaluga.
Ses jours à Istanbul :
Conformément à sa volonté, Chamil sera envoyé à Kiev en 1869. Il demandera à pouvoir effectuer son pèlerinage à la Mecque, ce que les Russes lui accordent. Il arrive le 31 mai 1869 à Istanbul. Le même jour il rencontrera le premier ministre, le chef religieux musulman et le ministre de l’intérieur ottomans.
Le 15 août 1869, il sera reçu par le Sultan Abdulaziz au Palais de Dolmabahçe. Il vivra 7 mois dans une villa qui lui sera allouée. L’état ottoman versera à Chamil et sa famille une pension.
Le 15 janvier 1870 il rendra visite d’aurevoir au Sultan Abdulaziz avant de prendre la route pour la Mecque. Il quittera Istanbul le 25 janvier. Le 4 février 1871, après son pèlerinage, il décèdera à Médine, où il sera enterré.
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Chamil à la fin de sa vie. Photo d'Alexandre Roinachvili.
Cheikh Chamil : influent dans tout le Caucase
Chiekh de la confrérie soufie Naqshibandiyya, Chamil, qui sera élu Imam (leader), sera influent dans tout le Caucase grâce à son art oratoire, sa grande détermination, son génie militaire et politique. Il est perçu comme une autorité religieuse et politique.
Il demeure une des figures principales de la lutte contre les armées russes et l’invasion russe du Caucase.
Cheikh Chamil s’est marié 5 fois et a eu 11 enfants. L’un de ses fils, Ghazi Mohammed, servira l’Empire Ottoman et combattra les Russes lors de la guerre de 1893. Son autre fils, Mohammed Chafi servira l’armée russe où il obtiendra le grade de général de brigade.
                            Source:Emin İleri,Tuncay Çakmak le 04.02.2019 pour  Agence Anadolu.                                                                                                    https://www.aa.com.tr/fr/politique/cheikh-chamil-laigle-du-caucase-mort-il-y-a-148-ans/1383290.
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carmenvicinanza · 3 years
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Susan Anthony
https://www.unadonnalgiorno.it/susan-anthony/
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Susan Brownell Anthony, suffragista, antischiavista, considerata la madre delle femministe, è colei che ha portato le donne al voto.
Purtroppo non ha vissuto abbastanza per vedere attuare l’emendamento alla Costituzione che porta il suo nome.
Scrittrice, attivista e pioniera dei diritti civili, ha svolto un ruolo cruciale nel movimento per l’emancipazione femminile nel XIX secolo, lottando strenuamente per assicurare il diritto di suffragio alle donne negli Stati Uniti.
Nacque a Adams, Massachusetts, il 15 febbraio 1820, in una numerosa famiglia quacchera, da genitori di mentalità progressista che puntarono molto sulla sua educazione. All’epoca, per le bambine si usavano programmi diversi, molto più scarsi rispetto a quelli dei maschi.
A causa della grave crisi finanziaria del 1837, la famiglia si ritrovò in grandi difficoltà economiche e Susan lasciò la casa per andare a insegnare e contribuire a pagare i debiti di suo padre. Fu anche Preside della sezione femminile di una scuola e in quell’ambito iniziò a lottare per salari equivalenti a quelli degli insegnanti maschi; gli uomini guadagnavano quattro volte più delle donne per le stesse mansioni.
Pur essendo una giovane donna insicura del suo aspetto fisico e delle sue capacità oratorie, l’impegno per la causa femminile le fece vincere egregiamente le paure e la sua resistenza iniziale a parlare in pubblico. Svolse un’intensa attività di propaganda e sensibilizzazione, diventando una delle più importanti leader del movimento delle donne, per 45 anni ha viaggiato senza sosta, tenendo dai 75 ai 100 discorsi all’anno.
Nell’agosto 1848, partecipò alla convenzione dei diritti delle donne e firmò la Dichiarazione dei Sentimenti della convenzione di Rochester.
Abbandonato l’insegnamento, a 29 anni divenne segretaria del gruppo Figlie della Temperanza, per combattere la correlazione tra alcol e violenza domestica, la sua prima importante ribalta pubblica.
Si allontanò dai Quaccheri, che considerava ipocriti e, col passare del tempo, sempre di più dalla religione in generale, attirandosi la condanna di vari gruppi cristiani per i suoi atteggiamenti irreligiosi.
Impegnata per la protezione degli animali, era vegetariana. Assunse anche un ruolo di spicco nel movimento anti-schiavista.
Nel 1851, con Elizabeth Cady Stanton, organizzò la prima società femminile statale per la temperanza negli Stati Uniti, dopo che lo stesso anno, le era stata rifiutata l’ammissione a una precedente convenzione perché era una donna. Insieme attraversarono gli Stati Uniti tenendo discorsi e tentando di persuadere il governo che uomini e donne dovevano essere trattati in modo uguale nella società.
Partecipò alla convenzione di Syracuse, nel 1852, dove  ottenne notorietà come potente sostenitrice pubblica dei diritti delle donne e voce attiva per il cambiamento.
Nel 1856, Susan B. Anthony tentò di unificare il movimento per i diritti delle persone afroamericane con quello per i diritti delle donne, unendosi alla Società antischiavista americana di William Lloyd Garrison.
Alla Nona Convenzione dei diritti delle donne, il 21 maggio 1859, chiese:
“Dove, in base alla nostra Dichiarazione d’indipendenza, l’uomo sassone trae il suo potere di privare tutte le donne e i negri dei loro inalienabili diritti?”.
Nel 1869 entrò in conflitto con il suo vecchio amico Frederick Douglass, per la posizione assunta dall’Associazione per gli uguali diritti che votò a favore del Quindicesimo Emendamento alla Costituzione, che concedeva il diritto di voto ai neri ma non alle donne. Da quel momento in poi si dedicò essenzialmente alla lotta a favore dei diritti delle donne.
È stata fondatrice del settimanale The Revolution, nato per promuovere il diritto al suffragio delle donne e degli afroamericani, che si occupava anche di temi sociali come il diritto a un salario equo, leggi più liberali per il divorzio e la posizione della Chiesa sulle questioni femminili.
Sempre con Elizabeth Cady Stanton, ha fondato l’Associazione Nazionale per il Suffragio delle Donne (National Women’s Suffrage Association), di cui è stata vicepresidente e poi presidente. Nonostante i suoi grandi sforzi, non riuscì mai a conquistare il favore delle donne del movimento operaio alla causa suffragista, vista come un interesse del ceto medio.
La sua scelta di perseguire alleanze con i suffragisti moderati e conservatori creò a lungo tensioni anche con la sua socia di sempre. Convinta che un approccio moderato nella causa per i diritti delle donne fosse più realistico e più proficuo, tese a  unire il movimento per il voto ogni volta che fu possibile, anche a costo di rinviare altri sforzi collegati ai diritti delle donne, quali la schiavitù religiosa e sociale, cosa che procurò l’allontanamento di Elizabeth Stanton.
Il 15 novembre del 1872 si recò alle urne per votare alle elezioni presidenziali. Per questo suo gesto venne condannata al pagamento di una multa di 100 dollari. Al giudice che la accusava di aver violato la legge rispose: “Sì, vostro onore, ma sono leggi fatte dagli uomini, interpretate da uomini e amministrate da uomini in favore degli uomini e contro le donne. Io non pagherò nemmeno un dollaro per la vostra ingiusta condanna”, e così fece.
Nel 1898, organizzò una raccolta fondi per promuovere l’accesso delle donne all’Università di Rochester, obiettivo che venne raggiunto nel 1900.
In collaborazione con altre femministe pubblicò La storia del suffragio femminile in quattro volumi.
È morta a Rochester il 13 marzo 1906.
Solo nel 1920, 14 anni dopo la sua scomparsa, un emendamento alla Costituzione statunitense, chiamato Anthony in suo onore, ha concesso il voto alle donne.
Nel 1921 le è stata eretta una statua al Campidoglio di Washington. La sua effigie venne riprodotta sulle monete statunitensi, chiamate il “dollaro di Susan B. Anthony“.
Le case in cui è nata e cresciuta sono diventate monumenti e musei.
Grazie alla sua incessante attività, vissuta come una missione talmente grande da travalicare altre importanti istanze, Susan B. Anthony è riuscita a portare le donne alle urne consegnando nelle loro mani un fondamentale diritto civile.
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antikorg · 4 years
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29 juillet 1900 : un ouvrier anarchiste tue le roi d'Italie
29 juillet 1900 : un ouvrier anarchiste tue le roi d’Italie
[ad_1] 2020-07-29 13:12:00 Source
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Gaetano Bresci est né le 10 novembre 1869, à Coiano di Prato en Toscane (Italie) dans une famille de petits paysans. Il travaille très jeune dans une filature et devient rapidement ouvrier qualifié. Dès l’âge de 15 ans, il fréquente le cercle anarchiste de Prato. Il est condamné une première fois en 1892, à 15 jours de prison pour « outrage et refus…
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pangeanews · 4 years
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“Ma lei, signor Higginson, sarà il mio Maestro?”. L’incontro che cambiò la vita di Emily Dickinson
La vide, si scrivevano da otto anni, era lei, naturalmente, con la grazia di una donnola, ad averlo preteso. Thomas Wentworth Higginson aveva 47 anni, i baffi ampi e la fronte onesta. Pastore unionista, si era fatto la guerra civile come colonnello del 1st Regiment South Carolina Volunteer Infantry, dal 1862 al ’64, in testa al primo corpo di guerra composto da afroamericani. Secondo i dettami di stato, i reggimenti ‘neri’ dovevano subire il comando dai ‘bianchi’. Higginson, testa fina, idee volitive, la pensava al contrario: “Noi ufficiali non siamo andati lì per insegnare, ma per apprendere. Quegli uomini scampati alla schiavitù avevano incontrato e superato più pericoli di quanti ne fossero capitati in tutta la loro vita ai miei giovani capitani bianchi”. Su quell’esperienza scrisse un libro, Army Life in a Black Regiment, uscito proprio nell’anno in cui Higginson, fiero rappresentante delle sorti progressive dell’uomo, impeccabile ottimista, sostava davanti al cancello di casa Dickinson, Amherst. Tentennò, come se quella stanza, di cui sapeva, fosse una giungla. Era il 16 agosto del 1870, 150 anni fa, si può supporre il verde, fragoroso, e gli alberi simili ad apostoli.
*
Naturalmente, T.W. Higginson, degno pupillo della Harvard Divinity School, praticava la letteratura: senza patimenti, per carità, come una delle arti che nobilitano le virtù dell’uomo. Apprezzava i Trascendentalisti, la moglie, Mary Channing, sposata nel 1847, era la sorella del migliore amico di Thoreau, William Ellert Channing, per qualche anno vicino di casa di Nathaniel Hawthorne. Insomma, si conoscevano tutti. Anni dopo, Higginson avrebbe dedicato un saggio, pieno di giudizio, a Longfellow, il sommo poeta americano, il traduttore della Divina Commedia negli States. Dal 1859 dava sapienza di sé sulle colonne dell’“Atlantic Monthly”, dove, tre anni dopo, colmo di fervore americano, scrisse un lungo articolo, Letter to a Young Contributor, chiamando a sé “nuovi autori” consapevoli del “mistero [o ministero, ndr] della parola”. Voleva dedicarsi alla scoperta e all’educazione di talenti. Emily Dickinson, che aveva pubblicato sparute poesie – manomesse dai redattori e senza firma – sullo “Springfield Daily Republican”, si eccitò e gli scrisse, era il 15 aprile 1862, “Signor Higginson, è troppo impegnato per potermi dire se la mia Poesia è viva?”. La lettera custodiva una speranza ed era sigillata da un monito (“Lei non mi tradirà – è inutile che glielo chieda – perché l’Onore è pegno a sé di se stesso”). Fu l’inizio di un rapporto epistolare, che durò fino alla morte di Emily, nel maggio del 1886, entusiasmante.
*
La Dickinson ha 31 anni e una spasmodica urgenza la spinge a spiegarsi, a dirsi. Higginson, figlio del proprio tempo, pur di vaste vedute – cultore dell’omeopatia, fu acceso sostenitore dei diritti per le donne, a partire da quello al voto e alla concreta presenza femminile in politica –, non poteva capire la Dickinson. Lei afferrò il primo che le era capitato per i capelli: incontrò uno che aveva voglia di ascoltarla, che la vedeva come lei voleva farsi vedere, una bestia strana, ipnotica, un po’ santa un po’ cobra. Dieci giorni dopo la prima lettera, il 25 aprile del 1862, si svela: “Mi sa dire lei come si fa a crescere – o è un qualcosa che non può essere trasmesso – come la Melodia – o la Stregoneria?… Non saprei pesarmi – da Sola. Le mie dimensioni mi paiono limitate”. Emily denuncia i suoi maestri (“I miei poeti sono – Keats – e i Browning. I miei prosatori – Ruskin – Sir Thomas Browne – e l’Apocalisse”), cala il calco della solitudine, “per parecchi anni il Vocabolario – è stato il mio unico compagno”. Higginson ammira la sua stravaganza, la straordinarietà di quella poesia che arriva cruda come una meteora, ardua come una pittura primordiale. La pensa impossibile. “Higginson commette uno dei più stravaganti errori della storia dell’editoria, classificando subito le poesie di Emily tra le ‘fortunatamente impubblicabili’”, lo rimprovera Marisa Bulgheroni (nel ‘Meridiano’ Mondadori che raccoglie Tutte le poesie della Dickinson). Altri sono più indulgenti: Higginson riconobbe il genio scontroso di Emily, dando nuova forza ai suoi versi, galvanizzandola al modo di chi, dal gorgo della clausura, riemerga con un interlocutore, un lettore a cui dedicarsi (così, ad esempio, Brenda Wineapple in White Heat. The Friendship of Emily Dickinson and Thomas W. Higginson, 2008). La poesia della Dickinson alterava le certezze di Higginson in un mondo armonico, le sue poesie sono il marchio di una sovversione dei sensi, dei tempi. Eppure, il 12 novembre del 1890 Higginson accetta di curare la primissima raccolta delle poesie della Dickinson, raccolte con profetica dedizione da Mabel Loomis Todd – sono solo 115, in un volume impeccabile; le poesie, rimaneggiate e corrette per facilitarne la comprensione, l’anno dopo giungono alla sesta edizione, è questo il primo imperfetto ma notevole evento che porta alla luce la tesoreria dei versi di Emily.
*
Nelle lettere a Higginson, la Dickinson si firma, a volte, “La sua Allieva”, “Il suo Gnomo”; gli dedica frasi miracolose. “Sorrido quando lei suggerisce che aspetti a ‘pubblicare’ – dal momento che la cosa è così aliena dalla mia mente, come il Firmamento a una Pinna – Se la fama mi appartenesse, non riuscirei a sfuggirle – in caso contrario il giorno più lungo mi sorpasserebbe mentre ne vado a caccia – e l’approvazione del mio Cane mi abbandonerebbe – dunque – preferisco la mia Condizione Scalza”. La Dickinson vuole un maestro (“Ma lei, signor Higginson, sarà il mio Maestro?”), è lui davvero il devoto – ma come chiedere alla santità di esporsi?
*
Sembra chiaro che un talento imperioso possa essere balbettato solo da chi gli è insufficiente, da chi non comprende, perché questa incomprensione è la sala da pranzo dove noi, decenni e secoli dopo, ci ritroviamo, in agio. A volte non occorre comprendere: è bene apparecchiare. Tutti intorno a Emily sembravano animali in paglia, rapaci, volpi, fagiani; si limitò a compatirne la staticità, lei.
*
Lui la invita a Boston, il 10 giugno 1869 – lei declina, “io non oltrepasso mai i confini del giardino di mio padre”. Higginson, allora, l’anno dopo, si presenta ad Amherst. Dopo aver incontrato Emily, la notte di quell’uomo che ha avuto il privilegio di tastare l’invisibile prende forma di falò: non riesce a dormire. Scrive alla moglie. “Il passo come quello di un bimbo ed eccola, una donna minuta, bruttina, con due bande di capelli lisci e rossicci ai lati della faccia… una camicetta bianca di picchè, impeccabile, uno scialle di lana blu, traforato. Mi venne incontro con due gigli, come fanno i bambini, me li mise in mano e disse: ‘Questo è il mio biglietto da visita’, con una vocina tutta spaventata, infantile, ansimante”. Il fato ha prediletto quest’uomo per consegnarci il dagherrotipo scritto di Emily (Martha Ackmann racconta questo incontro in These Fevered Days: Ten Pivotal Moments in the Making of Emily Dickinson, che potete leggere qui). La Dickinson conosce il verbo dei fiori – le sue poesie, d’altronde, turbano per intensità d’odore, come ciò che è troppo maturo per mormorare la morte. “Cara amica, le mando un fiore del mio giardino – anche se morrà nel momento in cui arriverà a lei, lei saprà che viveva quando lasciò la mia mano – Amleto ha esitato per tutti noi”, scrive a Mary Elizabeth, sette anni dopo aver visto il marito, in estate.
*
L’anno in cui Emily invia fiori a Mary, imbustati, quasi una premonizione, è il 1877, lei, la moglie di Higginson, muore. Vedovo e senza figli, il letterato si risposa due anni dopo con Mary Potter Thacher, che gli dà due eredi. Higginson, uomo d’azione, di ‘società’, è eletto tra i membri dell’American Antiquarian Society, è tra i fondatori della Society of American Friends of Russian Freedom, che ha lo scopo di aiutare i russi vessati dall’autoritarismo zarista (vi farà parte anche Mark Twain), nel 1905 lavora con Jack London e Upton Sinclair alla fondazione dell’Intercollegiate Socialist Society, passa ad altra vita – caso mai – nel 1911. La lapide è ampia, spaziosa, come la vita di colui di cui dice la morte, ai piedi sorgono fiori bianchi, sarebbero piaciuti a Emily: Higginson è sepolto a Cambridge, Massachussets, sotto il suo nome c’è scritto Colonel.  Naturalmente, in quel giorno del 1886 era lì, da Emily. Descrisse il suo funerale, perché il destino l’aveva reso il San Paolo di quella cosa santa: “La campagna era fulgida, la giornata perfetta… in ogni angolo della casa e del giardino regnava un’atmosfera singolare, strana e suggestiva – quasi una Casa Usher più nobile e pia… Sul volto di Emily Dickinson un prodigioso ritorno di giovinezza… Non un capello bianco, non una ruga, una pace assoluta sulla bella fronte… Ho recitato alcuni versi di Emily Brontë”. Era stata una spina, uno spigolo, nella sua vita, Emily, gli si era incisa come una frase verticale, in fronte. Poi, tutto tornò monotono, noto. (d.b.)
L'articolo “Ma lei, signor Higginson, sarà il mio Maestro?”. L’incontro che cambiò la vita di Emily Dickinson proviene da Pangea.
from pangea.news https://ift.tt/3i5PLHz
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marianotomatis · 5 years
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Anna Bonazinga in D’Amico (15.5.1830 - 31.10.1906)
Anna Bonazinga (1830 - 1906), è considerata tra le più grandi sensitive del XIX secolo, ed insieme al marito Pietro D'Amico furono celebri cultori del mesmerismo. Nel 1860 si trasferiscono a Bologna, aprendo un 'gabinetto' in via Solferino 15. Come recita una delle numerosissime pubblicità comparse sui giornali italiani, per ogni consulto la 'Sonnambula' avrebbe 'confortato con schiarimenti e consigli necessari, e rimanendo il tutto nella massima segretezza, sicchè ogni persona potrà lealmente darsene e sperare di ottenere un felice risultato'.
Prima del 'gabinetto medico-magnetico' di Bologna, Pietro D’Amico aveva fondato una Società Magnetica d’Italia, che gli valse riconoscimenti e onorificenze internazionali. Il mesmerismo per tutto l'ottocento era considerata una vera e propria scienza, e Pietro fu chiamato fin negli Stati Uniti per esporre le sue teorie. Riportiamo ancora un testo pubblicato in una sua rèclame tra '800 e '900: “AVVISO INTERESSANTISSIMO. Per consultazioni su qualunque malattia. La sonnambula signora ANNA D’AMICO essendo una delle più rinomate e conosciute in Italia ed all’estero per le tante guarigioni operate insieme al suo consorte, si fa un dovere di avvisare che inviandole una lettera con due capelli, e i sintomi della persona ammalata, ed un vaglia di L. 3,20 nel riscontro riceveranno il consulto della malattia e le loro cure. Le lettere devono dirigersi al professore PIETRO D’AMICO, magnetizzatore in Bologna. In mancanza di vaglia postale Italia e dell’Estero spediranno L. 4 in francobolli.” In altre pubblicità la coppia ci tiene a segnalare il numero davvero alto di consulti effettuati, ben 22.544 al 21 novembre 1867 e 24.784 al 7 aprile 1869.
Sulla rivista 'Il libero pensiero', nel n. 7 del 1870 e in quello successivo, le teorie e le pratiche di marito e moglie erano già contestate, in quanto eseguite 'in nome di principii contrari a quelli che si professano, e spesso ancora assai poco onesti', riuscendo a coinvolgere esponenti politici e pesonaggi noti quali 'i Michelet, i Victor Hugo, e tant'altri uomini così detti seri' che 'facilmente morsero all'amo della pubblicità magnetica', fino ad 'accettare la nomina loro offerta di membri onorari della Società magnetica d'Italia'. La contestazione era cominciata dal 1867, quando venne resa noto uno degli 'schiarimenti' della Bonazinga, che aveva rilevato problemi all'utero e dato la cura, non rilevando che però si trattava di un uomo anzichè di una donna. L'articolo cita anche il consulto dato ad una nobildonna ravennate gelosa del marito, che impazzì quando ottene conferma del tradimento del coniuge, il quale trovando il documento del consulto non potè fare altro che rivolgersi alla magistratura.
Periodicamente nella residenza di città dei due coniugi si tenevano delle partecipatissime serate 'magnetiche' dove, dopo abbondanti libagioni e balli, la 'sonnambula' si esibiva nelle sue trance. Alessandro Cervellati in 'Bologna Frivola' (Tamari, Bologna, 1963), segnala a sua volta un articolo di Franco Mistrali del 1869 in cui descrive gli esperimenti della 'sibilla': prestò alla parte più controversa offerendo un saggio di chiaroveggenza, e fu curioso indovinare la persona di Gioacchino Pepoli, ambasciatore a Vienna, pensato appunto da chi scrive. Il buon marchese fu descritto appuntino con la sua adiposa figura di eccellente borghese, provocando l'ilarità dell'uditorio, che tosto riconobbe il ritratto fedelissimo. Nell'estasi musicale la signora Anna ci mostrò il mito di Orfeo nella sua plastica espressione. (...) Le danze animate, vivacissime, allegre si protrassero fino quasi all'albeggiare, alternate con geniali ragionamenti, e ben anco da qualche pellegrinaggio verso un certo appartato gabinetto, dove invece di orcioli e di lambicchi erano preparati fiaschi di eccellente lico, succo puro e legittimo di tralcio italiano. A Bologna erano già attivi altri 'magnetizzatori', ma è indubbio che la coppia fece scuola, tanto che comparvero anche persone che imitarono la Bonazinga, come testimoniano alcune rèclame di una certa 'Matilde d'Amico' con 'gabinetto' a Milano in via san Pietro all'orto 17, comparse nella rivista 'Emporio pittoresco' del 1899.
Muore il 31 ottobre 1906 e gli venne celebrato un solenne funerale nella Chiesa di san Procolo. Anna Bonazinga d’Amico è l’unica bolognese presente nel cimitero della Certosa con due monumenti. La memoria collocata nel Chiostro VIII è opera di Pasquale Rizzoli, il più importante scultore bolognese dell'epoca. Al centro spicca il ritratto di Giuseppina Gargano (1853-1939), celebrata cantante lirica, mentre ai lati sono posti i busti dei due coniugi. Osservando le pupille di Pietro e Giuseppina si può constatare che Anna ha le orbite vuote, testimonianza della sua capacità di guardare oltre il mondo dei vivi. La seconda memoria si trova nel Chiostro Annesso al Maggiore, portico est. Qui viene ritratta più giovane e la simbologia rimanda alla sua fama ed alle onorificenze ricevute.
Articolo di Roberto Martorelli
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tisax-blog · 6 years
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Baille
Le Quartier Baille est un quartier du 5e arrondissement de Marseille.
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Il est essentiellement fréquenté par les étudiants en médecine, odontologie ou pharmacie du fait de la proximité des facultés. Cela explique la multitude de boutiques de reprographie installées dans ce quartier, offrant leurs services aux étudiants, de nombreux petits restaurants dans lesquels on peut manger pour pas cher ainsi que des activités du style « escape game ». Il est de plus possible de croiser à certaines heures de la nuit en milieu de semaine toute une foule d’étudiants sortant des fameuses soirées étudiantes, ce qui confère une certaine animation au quartier.
Le boulevard Baille
Le quartier Baille prend son nom de l’artère principale qui le traverse : le Boulevard Baille. Celui-ci relie le secteur Timone (Hôpital et Facultés) à la place Castellane.
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C’était à l’origine un boulevard fermé à chacune de ses extrémités, une sorte de cul-de-sac à deux côtés créé par des spéculateurs sur la propriété de monsieur Baille. En 1857, puis en 1861, la ville acheta des terrains pour lui donner ouverture à l’ouest, sur la place Castellane, à l’est, vers le ruisseau du Jarret, créant ainsi une voie longue de 1300 mètres.
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On y trouve beaucoup de restaurants, vous pourrez y trouver une liste des meilleurs à la fin de l’article.
La Timone
Bizarrement, le secteur de la Timone comprenant les hôpitaux et les facultés fait partie du quartier Baille et non de celui de la Timone.
La Bastide Timon-David
Achetée en 1654 par Louis David, chargé d’affaires de France à Gênes, cette propriété de 4 hectares, plantée de vignes et d’oliviers, est donnée en cadeau de mariage à Jean Timon, neveu des David, à condition que lui-même et sa descendance portent les armes des David et juxtapose le nom des David à celui des Timon.
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Jean Timon-David fait construire en 1765 la bastide de la Timone, un nom qui lui restera malgré plusieurs changements de propriétaires. En 1869, la Timone, achetée par la Ville, permet d’agrandir la propriété voisine des Roux-Labaume où la municipalité a déjà installé depuis plusieurs dizaines d’années son asile d’aliénés ou « hôpital des insensés ». Prendre le tramway 54, terminus « la Timone », sera pendant longtemps une source de plaisanteries entre Marseillais.
La bastide accueille aujourd’hui des services administratifs de l’hôpital.
L’Hôpital de la Timone
C’est le plus grand hôpital de Marseille. L’hôpital appartient à l’AP-HM (Assistance publique – Hôpitaux de Marseille). Il est aussi le siège du Samu et du 15 de Marseille. L’hôpital de la Timone comporte deux bâtiments : l’un pour les enfants et l’autre pour les adultes.
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De grands travaux sont lancés en 1970 sous l’impulsion de Gaston Defferre afin de faire de la Timone le plus grand hôpital de la ville. Ils prennent fin dans le courant de l’été 1973 et donnent naissance aux bâtiments existants inaugurés l’année suivante. Dès 2007, l’assistance publique-hôpitaux de Marseille a lancé un important programme de travaux à la Timone. Ils ont pris fin en 2012 avec la naissance de « Timone 2 », ce qui a permis une réorganisation plus efficace et rationnelle des soins. La Timone 1 et 2 ont le plus grand service d’urgence de France.
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Chose insolite, le 13e étage de l’hôpital est en fait … un restaurant, où l’on peut aller manger sans être obligatoirement un patient. Plus d’informations à la fin de cet article.
La Faculté de médecine
Les facultés de médecine et de pharmacie sont construites de 1955 à 1958. Jusqu’alors installée au palais du Pharo, la faculté de médecine de Marseille le quitte alors pour la Timone, le but étant de réunir en un même lieu les soins, l’enseignement et la recherche en médecine. Alors unifiée, la faculté de médecine se divise avec l’apparition d’une faculté de pharmacie puis d’odontologie dans les années 1970, elles aussi basées à la Timone. Le bâtiment centrel de la faculté de médecine conçu par René Egger est fortement influencé par l’architecture du Corbusier avec ses pare-soleils verticaux et son esthétique particulière.
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A l’entrée de la faculté on trouve un bâtiment administratif qui a beaucoup fait parler de lui à cause de sa couleur jaune très reconnaissable.
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Les « Escape Games »
Un quartier étudiant comme Baille se devait d’avoir ses « escape games », ces jeux qui consistent la plupart du temps à parvenir à s’échapper d’une pièce dans une durée limitée (généralement une heure) et se pratiquent principalement en groupe de plusieurs personnes. Par groupe de deux à dix participants, les joueurs doivent chercher des indices disséminés dans une pièce, puis les combiner entre eux pour pouvoir avancer dans l’énigme et sortir de la pièce. Certains jeux d’évasion sont construits autour d’une histoire, tandis que d’autres proposent une succession de jeux de logique déconnectés les uns des autres.
Locked Time
Nouveau venu fin 2016 dans l’univers des Escape Game marseillais, jeu d’évasion grandeur nature, Locked Time s’est installé au 3ème étage d’un immeuble tout près de la Timone avec sa toute première salle de jeux,  L’Héritage de l’Oncle Aldo. En 2017 un parcours spécial enfant pour les 6-12 ans a été mis en place ainsi qu’en novembre une deuxième salle Le Grimoire de l’Oncle Adlo sur le thème de la magie.
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Locked Time est ouvert du mardi au dimanche, à partir de 10h jusqu’à 22h. Au menu, pour 60 minutes de jeu, deux tarifications, à savoir 19€ par personne en « heures creuses » et 23€ en « heures pleines » les soirées, week-ends et fériés. 15 € par enfants (6-12 ans) quelque soit l’horaire ou le parcours choisi (Parcours Enfant ou Standard).
SENSAS
Dans un temps limité et en équipe de 4 à 20 personnes, traversez 6 ateliers sensoriels et 3 SAS en relevant des défis surprenants pour la plupart dans l’obscurité totale ! Vous pouvez tester votre goût, votre toucher, votre ouïe, votre odorat, et votre vue au travers d’ateliers ludiques et insolites.
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SENSAS est ouvert tous les jours de 9h à 23h. L’expérience SENSAS dure 2h réparties de la façon suivante: 1h30 / 1h40 de parcours SENSAS + 20 / 30 min de présentation, débriefing et prise de photos souvenirs. Le tarif est de 28€/adulte et de 24€/enfant de -12 ans.
Où manger ?
TA&Co
Les tacos 100% mexicains et 100% frais, c’est ici. Pour les amateurs de burritos, chilangas, guacamole, chili et autres douceurs, ce restaurant très bien décoré va vous dépayser. Compter 10€ pour 3 tacos.
12h – 15h du lundi au vendredi 198 Boulevard Baille, 13005 Marseille, France 09 86 20 68 68 https://www.taandco.net/
La Cave de Baille
De bons petits plats à déguster le midi mais surtout un excellent choix de vins. Les propriétaires passionnés se font poètes en vous en parlant. La cave propose des soirées « bar à vins » le jeudi soir.
10h – 20h mardi, mercredi et vendredi 10h – 2h jeudi 16h – 20h samedi 133 boulevard Baille, 13005 Marseille, France 04 96 12 05 68 https://lacavedebaille.com/
Où boire un café ?
Coogee
Incontestablement le meilleur café de Marseille. On vous accueille dans une déco vintage assez surprenante avec une musique de choix. On pourra même attendre son cappuccino en jouant à des jeux retro sur NES. On peut se poser dans son fauteuil en cuir et déguster les délicieux muffins faits maison qui accompagneront un smoothie également fait maison. Un vrai coup de cœur !
8h – 18h du mardi au vendredi 10h – 17h le samedi 100 boulevard Baille, 13005 Marseille, France 06 86 57 52 22 https://www.facebook.com/coogee.co
Accès en transports en commun
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unarbreenflandres · 6 years
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Partage des biens d’Alexis DEQUIDT et de Reine AMMEUX, le 18 novembre 1886, entre leurs dix enfants
Mon cousin Bertrand COLPAERT a eu l’amabilité de me communiquer un acte de partage des biens de nos arrière-arrière-grands-parents, Alexis DEQUIDT et Reine AMMEUX, entre leurs dix enfants. Cet acte, rédigé le 18 novembre 1886 par Maître Aimé Constant MOENECLAEY, notaire à Cassel, était destiné à Marie DEQUIDT, l’arrière-grand-mère de mon cousin Bertrand.
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A cette date du 18 novembre 1886, Alexis DEQUIDT et Reine AMMEUX sont fraîchement décédés ; le 15 février 1885 à Cassel pour Alexis et le 14 mai 1886, à Cassel également, pour Reine.
En ce qui concerne les parents d’Alexis, Jean François DEQUIDT et Marie Jeanne TRASSAERT, ils avaient eu neuf enfants dont trois sont morts dans l’adolescence. Une autre fille, Jeanne Thérèse DEQUIDT est morte le 1° mai 1855, du vivant de sa mère avec qui elle demeurait à Cassel, rue de Lille. Elle était laitière tout comme son frère Martin DEQUIDT qui habitait également à la même adresse. Marie Jeanne TRASSAERT décédait deux ans plus tard, le 26 juillet 1857.
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Deux autres enfants célibataires sont morts respectivement en 1864 et 1868 : d’abord Martin DEQUIDT, le 12 juillet 1864 à Cassel puis Bénédicte (appelée Benoîte dans l’acte notarié) le 15 avril 1868, également à Cassel. Son acte de décès précise qu’elle habitait rue de Saint-Omer, à Cassel, avec Louis Henri VERHILLE, marchand de draps et sa famille. Celui-ci s’était marié le 6 novembre 1865 à Zuytpeene à Delphine DEQUIDT qui était une nièce de Bénédicte. Il était veuf et avait quarante-sept ans à son mariage tandis que sa jeune épouse n’en avait que vingt-deux. Ils ont eu deux enfants : Pauline et Aimé, nés en 1866 et 1867 mais Henri VERHILLE est décédé prématurément le 30 mars 1869.
Alexis DEQUIDT étant décédé en 1885, comme nous l’avons vu, il ne restait plus que deux de ses frères en vie : François DEQUIDT, né le 24 novembre 1803 à Cassel, cultivateur à Winnezeele et Joseph Evrard, né le 17 avril 1812 à Cassel, cultivateur à Zuytpeene, père de la jeune Delphine évoquée plus haut.
Il était bon de se remémorer la fratrie d’Alexis car les successions de Martin et Benoîte vont entrer en ligne de compte mais aussi les deux frères non décédés : François et Joseph Evrard.
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déclaration de succession de Martin Dequidt (source Archives Départementales du Nord, table des successions Cassel 1863-1871 ref 3Q-171/11, ligne 167, p 40/182)
La succession de Martin DEQUIDT a été déclarée le 12 janvier 1865, soit six mois après son décès. Ses héritiers sont ses frères et sœurs, à savoir : Alexis, Bénédicte, François et Joseph Evrard. La valeur de ses biens liquides (mobilier, argent, rentes et créances) est évaluée à 1765 francs et les revenus de ses immeubles (terres et bâtiments) à 934 francs. Ceux-ci se répartissent sur les communes de Cassel et d’Oxelaëre.
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déclaration de succession de Bénédicte Dequidt (source Archives Départementales du Nord, table des successions Cassel 1863-1871 ref 3Q-171/11, ligne 608, p 59/182)
La succession de Benoîte DEQUIDT a été déclarée le 12 octobre 1868. Son héritier est son frère François, demeurant à Winnezeele. La valeur de ses biens liquides (mobilier, argent, rentes et créances) est évaluée à 622,75 francs et les revenus de ses immeubles à 357 francs. Ils sont situés sur la commune de Cassel.
 Revenons maintenant aux héritiers d’Alexis DEQUIDT et de Reine AMMEUX. Ils sont au nombre de dix :
Alexis DEQUIDT, cultivateur à Oudezeele, 45 ans en 1886
Aimé DEQUIDT, cultivateur à Estrée-Blanche, 43 ans en 1886
Jules DEQUIDT, cultivateur à Cassel, 42 ans en 1886
Marie DEQUIDT, épouse de François COLPAERT, cultivateur à Cassel, 40 ans en 1886
Louis DEQUIDT, cultivateur à Terdeghem, 38 ans en 1886
Léonie DEQUIDT, rentière à Cassel, 37 ans en 1886
Emile DEQUIDT, cultivateur à Winnezeele, mon arrière-grand-père, 35 ans en 1886
Henri DEQUIDT, cultivateur à Sainte-Marie-Cappel, 32 ans en 1856
Charles DEQUIDT, cultivateur à Wormhout, 30 ans en 1886
Eugène DEQUIDT, sans profession demeurant à Cassel, 27 ans en 1886
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 Seule Lucie Dequidt, devenue trappistine, ne figure pas sur cette photo extraite de mon ouvrage sur les descendants d’Alexis Dequidt et de Reine Ammeux
La masse des biens à partager se compose de :
Articles un à sept et articles neuf et dix: plusieurs biens situés sur les communes de Cassel, Terdeghem et Saint Sylvestre-Cappel faisant l’objet des articles un à sept et neuf et dix dont je n’ai malheureusement pas le détail car ils ne concernent pas directement Marie DEQUIDT épouse COLPAERT, dont la valeur est estimée à :                                                                  
                                                    62 099,00 francs
 Article huit : jardin avec maison  et pâture d’une superficie totale de 1 hectare 97 ares 10 centiares, situé à l’angle des routes Temple Straete et Standaert Straete, référencé au cadastre napoléonien de 1833, dans la section A (Quaestraete) sous les numéros : 921 et 926, 927, 928 et 929 d’une valeur estimée à :                                                                    
                                                     11 000,00 francs
bien acquis le 1° août 1872 par Alexis DEQUIDT et Reine AMMEUX venant de Madame Guillemette de BAILLARDEL de LAREINTY (1851- 1920), épouse de Monsieur Gabriel de PARIS, comte de Pontceaux. Ce bien lui avait été donné en dot, le 26 avril 1871, par sa mère Madame Marie Julie de CHASTENET de PUYSÉGUR (1830- 1913), épouse de Monsieur le baron Clément de BAILLARDEL de LAREINTY (1824- 1901).
Il est précisé que Jules DEQUIDT, un des frères, occupe la pâture jusqu’au 1° décembre 1886 et les bâtiments et le jardin jusqu’au 15 mars 1887.
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 La pâture, la maison et le jardin se situent à l’angle des routes Temple Straete et Standaert Straete. source: Archives Départementales du Nord, cadastre napoléonien Cassel ref 1833 (P31/024), section A dite Quaestraete, 2° feuille.
Article onze : une soulte de 382 francs due par Marie-Thérèse DEQUIDT, veuve BÉCUWE, fille de François DEQUIDT, un des deux frères d’Alexis DEQUIDT encore en vie, suite à un partage d’immeubles provenant de la succession de Martin et Benoîte DEQUIDT. Cette soulte est exigible, sans intérêts, au décès du dernier vivant d’entre François et Joseph Evrard DEQUIDT.
                                                       382,00 francs
 Article douze : estimation donnée par les parties des meubles meublants et objets mobiliers dépendant de la succession DEQUIDT- AMMEUX : 
                                                                     1 044,00 francs                                                                          
Article treize : la somme de 76 901, 00 francs en deniers comptants.   
                                                                   76 901,00 francs                                                                                                                                                   
     Total :                                                 151 426,00 francs                                                                                                                                                                             
Marie DEQUIDT épouse COLPAERT reçoit et accepte comme de bien entendu, sous l’autorisation de son mari, les terres énoncées à l’article huit pour un montant de 11 000,00 francs ainsi que 38 francs de la soulte (1/10°), 104 francs à prendre sur le mobilier (1/10°) et 4000 francs à prendre sur les deniers comptants, soit un total de 15 142,00 francs.
Les autres enfants auront un partage équivalent composé de terres, de soulte, de mobilier et de deniers comptants qui joue comme une variable d’ajustement en fonction de l’estimation des terres reçues.
Toutefois, bien qu’étant propriétaires des biens partagés, les enfants d’Alexis DEQUIDT et de Reine AMMEUX n’auront la jouissance divise qu’à partir du jour du décès du dernier vivant d’entre François et Joseph Evrard DEQUIDT, sauf pour le mobilier. J’avoue que cette clause m’échappe et me semble infondée.
Ainsi, tous les revenus, intérêts, fermages des biens seront centralisés annuellement, chaque premier janvier, entre les mains de Jules DEQUIDT qui les redistribuera à ses frères et sœurs par dixième. Les revenus des deniers comptant produiront des intérêts à 3,25%.
Parmi les deux frères d’Alexis DEQUIDT, François est décédé à peine un mois après la rédaction de l’acte, par contre Joseph Evrard a vécu pratiquement encore dix ans, il s’est éteint le 8 juin 1896 à Cassel.
Si des cousins possèdent d’autres actes de partage rédigés par Maître MOENECLAEY, en 1886, au nom d’un autre enfant DEQUIDT, il serait intéressant de savoir en quoi consistait sa part, surtout au niveau des terres.
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 Outre quelques hectares dont ils étaient propriétaires comme les biens de l’article, les COLPAERT- DEQUIDT louaient le plus gros de leurs terres. C’est ainsi que la ferme qu’ils occupaient a été mise en vente le 2 avril 1895 par Maître POLLET, notaire à Nieppe. L’annonce de mise en vente, parue dans le journal « Les Petites Affiches Roubaisiennes » précise que la ferme est occupée par Monsieur François COLPAERT- DEQUIDT au fermage annuel de 2000,00 francs. Je suppose que les occupants étaient protégés tant que durait leur bail mais ensuite le propriétaire devait pouvoir les faire partir s’il avait quelqu’un d’autre à placer.
 Glossaire :
Deniers comptants : argent liquide
Soulte : désigne une somme d’argent dont doit s’acquitter une personne qui a reçu des biens d’une valeur supérieure à ce qu’elle aurait normalement dû recevoir. Elle vise à compenser le préjudice subi par les autres parties concernées par le partage.
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bitcointunisie · 7 years
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Les 5 crashs du Bitcoin et ce qu’on peut en apprendre
Le prix du Bitcoin s’est approché des 5000$ le 2 septembre 2017 avant de tomber à un niveau avoisinant les 3200$. Il récupère ensuite une partie des pertes pour s’échange aujourd’hui à 3600$.
Quoi que l’on dise, la crypto-monnaie phare reste avec un niveau de volatilité assez fort, et ce n‘est pas la première fois que le Bitcoin subit une chute remarquable. Des chutes de 10, 20 ou 40% de sa valeur ne sont pas peu commun.
En effet, il y a eu plusieurs crashs majeurs du Bitcoin depuis son lancement. Il faut néanmoins en noter plusieurs leçons à retenir.
10 Avril 2013: Le Bitcoin coule de 70%
Dans l’une des premières chutes majeures, le prix du Bitcoin est passé de 233$ à 67$ en une seule nuit causant des pertes de 71%. Il aura fallu 7 mois pour retrouver le même prix d’échange.
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Cette chute est attribué à la première sortie du Bitcoin au grand public. En effet, la crypto-monnaie digitale n’a jamais dépassé 15$ avant 2013. Toutefois, un flux intense de couverture médiatique a aidé à emporte son prix au-delà des 200$. La montée en flèche en si peu de temps a laissé place à une correction drastique et plutôt violente (notez que le prix au sommum de 260$ étant une blague par rapport au niveau d’aujourd’hui, 3500$).  D’autre part, le problème survenu sur la plateforme d’échange basée à Tokyo Mt. Gox (aujourd’hui dissoute) a eu un effet catalyseur.
La chute de décembre 2013
Après avril 2013, le Bitcoin a oscillé autour d’une moyenne de 120$ jusqu’à la fin de l’année quand les prix montent en flèche à un sommet à 1150$ fin novembre. Toutefois, vers mi-décembre, le prix a encore chuté de près de la moitié. Il aura fallu 4 ans pour que Le Bitcoin franchisse encore une fois la barre des 1000$.
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Le crash de fin 2013 avait tous les signes d'une bulle. Des plateformes d'échange qui ont dramatiquement faciliter le processus d'achat ont vu le jour, par exemple Coinbase. Des investisseurs amateurs se sont rués vers la monnaie digitale parallèlement aux régulateurs qui ont pris une position plutôt positive par rapport au Bitcoin.
Le malheur de la plateforme Mt. Gox
Rajouté au long chemin de rétablissement, la catastrophe de la plateforme d'échange Mt. Gox a presque fait couler le bateau du Bitcoin. En effet, pendant janvier et février le prix montait lentement mais sûrement avant de tomber tout d'un coût de 867$ à 439$, soit 50%.
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La cause ? Mt. Gox a subit une attaque informatique majeure. Le 7 février, la plateforme a suspendu les retraits, puis a révélé que 850.000 bitcoins (oui vous avez bien lu, 850 milles) ont été dérobés. Cela constitue un équivalent de 3,5 milliards de dollars aujourd'hui.
La vente massive de 2017
Au début de janvier 2017, le prix du Bitcoin franchit une nouvelle fois la barre des 1000$ ce qui a brisé le plafond de verre et a déclenché une montée des prix jusqu'à 3000$ en juin. Un mois après, mi-juillet exactement, le prix a encore chuté de 36% à 1869$.
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Cela est causé par une véritable guerre civile qui a éclaté entre les développeurs de Bitcoin. En effet, les développeurs ne sont pas d'accord sur la manière par laquelle le problème de la taille du block doit être traité. Un hardfork, et donc une nouvelle monnaie, appelée Bitcoin Cash (BCH) et prenant effet le 1er août menace de détrôner la monnaie principale. L'échéance du 1er août avançait à grands pas et des préparatifs d'avant la tempête se mettent en place. Tous les utilisateurs Bitcoin ont retiré leur cash des plateformes d'échanges. Une vague de vente massive a provoqué une chute du cours à 1869$. L'économie du Bitcoin devient un véritable désert où toutes les activités sont suspendus en attendant le passage de la tempête hardfork. Ironiquement, le prix s'est rapidement rétabli avant même le 1er août. Au final le Bitcoin Cash est né mais ne semble pas avoir un quelconque effet de nuisance sur le Bitcoin. Le Bitcoin Cash n'est finalement qu'une altcoin comme Ethereum ou Dash et n'aura qu'un succès très limité.
L'intervention des autorités chinoises
Le specte du hardfork maintenant lointain et la paix restaurée entre les différentes parties, le Bitcoin a chuté encore une fois. Il frôle les 5000$ le 2 septembre avant de plonger lentement de 37% jusqu'au 15 septembre. Cette chute a dévoré 30 milliards de dollar de la capitalisation totale du Bitcoin.
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Tout le monde pointe du doigt un seul accusé, c'est la Chine. Le pays communiste a pris position contre les ICOs (Initial Coin Offering) puis a chassé les plateformes d'échange des crypto-monnaies. La Chine vient d'exprimer haut et fort ses sentiments envers la rupture technologique que propose ce nouveau système monétaire.
Les leçons
Le Bitcoin est encore volatile, il a subi, subit et subira des montées et des chutes rapides. Mais, le Bitcoin a prouvé qu'il est toujours capable de rebondir et de se surpasser pour atteindre des paliers encore plus haut. Il renaît toujours de ses cendres.Les tous derniers crashs ont été d'ampleurs beaucoup plus moindres ainsi que moins susceptibles. Le retour au normal est devenu plus rapide et résilient. Aujourd'hui, le marché du Bitcoin est plus grand et a prouvé sa souplesse et flexibilité.
Source : CoinTelegraph
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15 novembre 1869 viene acquistata la baia di Assab, quella che diverrà poi la prima colonia italiana
15 novembre 1869 viene acquistata la baia di Assab, quella che diverrà poi la prima colonia italiana
Il 15 novembre 1869 l’esploratore Giuseppe Sapeto firmò per conto della società di navigazione genovese Rubattino un contratto per l’acquisto di un’area della baia di Assab, nell’odierna Eritrea. Lo scopo era quello di creare un porto di servizio e un deposito di carbone per le navi italiane affinchè non dovessero dipendere dagli inglesi ad Aden. La proprietà dell’area passò ufficialmente allo…
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