Tumgik
eddy77x · 3 years
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 Krissy ed i suoi sogni
  Aveva sempre avuto un unico, secondo lei, bellissimo sogno; quello di sgambettare in televisione. Quello di mostrare il culo alle telecamere, di farsi vedere abbracciata al calciatore, al ricco imprenditore o al manager di successo. Non aveva studiato, non è che fosse particolarmente vispa né intelligente. Era ambiziosa, questo glielo riconosco. Un’oca giuliva fuori e una ragazzina piena di debolezze, frustrazioni e dubbi dentro. Questa era Cristina, quando la conobbi. A sapere che sarebbe finita così male sarei stato meno gentile con lei. Ma lasciatemi raccontare di come andarono le cose.
Atto I: una maialina sulle scale
Piangeva. La prima volta che la vidi piangeva. Era seduta sulla gradinata del palazzo in cui lavoravo ed era vestita come…come…si può essere schietti e sinceri, vero? Mica vi scandalizzate? Ecco, allora, era vestita come una buona mignotta. Minigonna, calze a rete, giacchino strizzato in vita come un tubetto di dentifricio quasi finito, capelli pettinati all’ultima moda (ultima, penultima o terzultima per me fa lo stesso…non seguo le mode) e trucco gradevole ma tutt’altro che leggero. Lì per lì ho pensato di avere a che fare con una troietta come tante. Beh, a conti fatti la prima impressione era quella giusta. Ma non a tutte le troiette mi affeziono, sapete? Per questo ripensare a quel momento mi fa un po’ male.
“Ciao. Qualcosa non va?” le chiesi, pensando fra me e me a quanto dovesse sembrare stupida quella domanda. Se uno piange, per forza c’è qualcosa che non va. O no?
“No” mi fa lei “Tutto a posto”
“Perché piangi, allora?”
“Ma nulla…mi hanno solo scartata”
“Ah” esclamai. In quel palazzo si tenevano le prove per un programma televisivo che sarebbe andato in onda da lì a due mesi. Lo sapevo da qualche giorno. Il genere del programma ve lo potete immaginare. Quando si fanno le selezioni per scegliere una quarantina di volenterose ragazzine con poco cervellino e gambe lunghe, c’è un unico genere di programma che si può mettere in piedi. Un programma da cerebrolesi.
“Ti è andata male, eh?” chiesi.
“Sì, come sempre”
“Beh, avrai la tua occasione”
“Sul serio?”
“Sì, sei una bella ragazza”
“Sì, sono una bella ragazza di ventiquattro anni!”
Disse quel numero come se confessasse un crimine dei più atroci. Ventiquattro anni. Io ne ho trentuno e mi sento ancora un ragazzino, lei ne aveva quasi dieci meno di me e si comportava come se la sua vita dovesse terminare entro l’anno. In effetti quante veline, letterine e stupidine varie vi sono, di più di ventiquattro anni? A quell’età sei già una pera marcia pronta a cadere dall’albero. Così ti fa credere il dorato mondo della TV. E chi siamo noi, comuni mortali, per obbiettare di fronte a ciò che ci viene proposto dalla Dea TV? Cristina, a ventiquattro anni, si sentiva vecchia e pronta ad essere messa in disparte.
“Dai, ti offro un caffè” le ho detto.
“No, devo andare” mi ha risposto con un po’ di arroganza. Sembrava non vedesse l’ora di togliersi dai piedi questo coglione invadente. Comprensibile, le uniche persone con cui valga la pena mostrare un briciolo di gentilezza sono quelle che ti possono portare in alto. Ma lei non mi conosceva.
“Insisto. Ci sediamo al tavolo di un bar e mi racconti tutta la storia. Magari ti posso aiutare a realizzare il tuo sogno”
Cristina mi guarda in obliquo.
“Davvero?”
“Sì”
“Chi sei?”
Le dico il mio nome (a voi no, accontentatevi di Tom).
“Lavori in televisione?”
“Beh, in un certo senso è così. Sono uno scrittore. Di recente mi hanno chiesto di fare il consulente per una serie di documentari in prima serata. Forse ne avrai sentito parlare”
Cristina s’illumina. Per un attimo resto stupito anch’io. E’ bellissima. Come avranno fatto quei froci del casting a scartarla?
Indago e vengo subito a capo della questione.
“Senti, tu conosci qualcuno nell’ambiente?” domando.
“No, nessuno”
“Capisco” le dico “In questo caso è naturale che non ti abbiano presa in considerazione”
“Davvero?”
“Tutte le ragazze che vanno in televisione hanno…diciamo, qualche aiutino da dietro” Raccomandazione. Una brutta parola.
Raggiungiamo il più vicino bar e ci prendiamo qualcosa da bene.
Cristina passa subito alle domande che contano.
“Tu puoi aiutarmi a farmi conoscere?”
“Può darsi. Come ti ho detto conosco parecchia gente”
“E….”
“Sì, è gente assai influente”
Sorride.
“Parlami di te. Chi sei, da dove vieni” chiedo.
“Mi chiamo Cristina. Vengo da Napoli”
“Tutto qui?”
“Tutto qui”
“Sei diplomata?”
“No”
“Ah”
“E’ un male?”
“No…no…”
“A che serve il diploma, sul palco?”
“Certo, certo…a che serve?” “Lavori?”
“Qualche volta. Ho fatto la hostess. Ma così, una volta e via…lavori fissi non se ne trovano”
“E che lavoro cerchi?”
“E’ ovvio! Lavorare in televisione!”
“Un lavoro…che so, da impiegata…qualcosa di normale?”
Non vi dico che faccia fa Cristina a queste parole. Sembra che le abbia proposto di scopare un vecchio bavoso con l’HIV. No, il lavoro normale non le piace proprio. A che serve, il lavoro normale, quando si hanno delle belle cosce lunghe e disponibilità d’alloggio per una fava o due lì nel mezzo?
E d’improvviso sento nascere una cordiale antipatia per questa ragazzetta pretenziosa e senza qualità. Andate via le lacrime resta solo una gran voglia di arrivare alla vetta senza faticare. Senza quel suo visino disfatto dal pianto che ispira tenerezza, Cristina appare per quel che è; una piccola mignottella annebbiata dalle facili promesse del successo.
A questo punto, però, ho promesso di aiutarla e lo farò. Non è nelle mie abitudini, disattendere una promessa. Però la ricompensa è un altro discorso.
“Senti, Cristina…e se io ti aiutassi ad arrivare dove vuoi tu che cosa saresti disposta a fare, per me? Sei bella. Mi piacerebbe conoscerti…diciamo, più approfonditamente”
La ragazza non si scompone più di tanto. Non è granché intelligente, ma sa che in questo mondo, per arrivare, qualche letto lo devi conoscere.
“Io divido l’appartamento con un’altra ragazza” risponde subito.
“Non c’è problema. Verrai da me. Ma ti avverto che io ho gusti un po’ particolari. Mi piace sottomettere le mie amanti”
Cristina alza le spalle.
“Va bene”
Come sarebbe a dire “va bene”? Che gran troia ho trovata!
“E mi piace anche veder sottomessa una ragazza da un’altra ragazza”
“Certo. Io quale sarei? Quella che sottomette o che viene sottomessa?”
“Quella che viene sottomessa” rispondo bruscamente.
“In che modo, dovrei essere sottomessa? Corde, falli di gomma…”
“No, più semplice. Lingua. La tua. Sul corpo del padrone e della padrona. Dappertutto”
“Hummm…beh, come si dice…non si fa niente per niente. Vogliamo andare?”
Ci resto un po’ male. Non ha fatto una piega di fronte ad una proposta che altri giudicherebbero indecente. Mi domando quante, fra le aspiranti telemignotte televisive, siano disposte a tutto come questa qui. Poi non ho il tempo di fare altri ragionamenti.
“Allora” mi fa Cristina “Vogliamo andare?”
“Sì, piccola. Arrivo subito”
Il conto del bar è sulle cinque euro. Ne lascio cadere dieci sul tavolo e me ne vado. Oggi ho idea che prenderò un giorno di riposo.
Atto II: com’è bello pisciare in gola a Cristina…
L’aspirante valletta fa onore ai propri propositi. Pompa che è una favola e lecca con una lingua che non ha paragoni di sorta. Posso affermare di non aver mai conosciuta una schiava, prima di Cristina. E schiava lo è davvero, perché questa, al contrario di tante pseudo-serve da inserzione su internet, non ama ricevere ed obbedire agli ordini. Non vuole un padrone. Le fa ribrezzo prendermelo in bocca, farsi trapanare fino alle tonsille, sentire la cappella che s’insinua nell’esofago in cerca di un giaciglio tiepido dove vomitare tutta la sbroda che ha in corpo…non le piace neppure farsi dare gli schiaffoni in faccia, farsi sputare in bocca o farsi schizzare la sborra in un occhio neppure fosse collirio. Oppure quello che le sto facendo adesso, lei a quattro zampe e io che la cavalco come una bestia senza cervello a furia di manate sul culo e colpi di tallone delle cosce.
Mi obbedisce, ma solo perché si ritiene in trappola. Nei goffi sforzi che compie per accontentarmi e nell’avvilita repulsione che dimostra nei confronti dei miei ordini, ricorda un po’ una schiava d’altri tempi, di quelle che venivano fatte prigioniere da qualche esercito straniero in un paese sottosviluppato e venduta per due soldi ad un ricco proprietario terriero o ad una nobile signora di altolocato lignaggio. Un tempo le costrizioni delle schiave si chiamavano catene, oggi sono l’ambizione.
E l’ambizione è una catena potente. Me ne rendo conto mentre ordino alla vacca di mettersi in ginocchio e di spalancare…
“…quel cesso di bocca che ti ritrovi. a****le, apri di più che sennò sbaglio mira!” Aspetto che Cristina obbedisca, quindi mi volto e le piazzo il culo in faccia. La prendo per i capelli e le spingo la testa nel solco fra le natiche, pigiandocela finché non sento i lobi delle sue orecchie che sbattono contro le mie chiappe.
Cristina geme ma mantiene la bocca aperta. Ed io le scurreggio in bocca. Il bello sta nell’eco portentosa che si sviluppa quando il geyser d’aria mefitica sciaborda fra le pareti della bocca della ragazza. Da un prep…poco convinto si trasforma in un pramm!! con tanto di due punti esclamativi. Cristina indietreggia lontano dal mio sedere incurante del fatto che per farlo deve strapparsi i capelli ben stretti fra le mie mani.
Mi volto.
“Cagna! Che fai? Ti allontani senza permesso?”
E le assesto un ceffone che la faccio girare tutta come una trottola.
“Ma questo fa schifo!” protesta lei.
Non ci vedo più.
“Maiala! Tu fai schifo! Ti sei venduta per un posto in televisione dove ti chiederanno di mostrarti ancora più troia di quanto non sei con me!” grido mentre le schiaccio la testa sul pavimento con un piede.
Cristina emette un suono dalla bocca che è un misto fra un miagolio ed un bambino che ciangotta. “Ora alzati, che mi scappa da pisciare!”
“Ma…”
“Sì, hai capito bene” le rispondo “Ti piscio nella gola, fogna umana che non sei altro. E poi mi faccio fare un altro pompino, che vedo ci sei tagliata, per questo. Chi ti ha insegnato a prenderlo in bocca, eh? Non dirmi che è la prima volta che lo fai! Hai già lavorato in televisione, non è vero?” “N…no….” “No? Allora dove hai imparato a succhiare la cappella degli uomini a questa maniera?” domando ad una Cristina frignante ai miei piedi “Vuoi dirmi che ci riesci di natura? Allora sei una vera troia, altro che volenterosa ragazza. Sei biologicamente una maiala ciucciacazzi!” “Basta…”
“Ma non penserai mica che io ti lasci a secco, vero?”
“Basta, non…”
“Ti darò tanto di quel cazzo che ti basterà per tutta la vita. Te lo infilerò in tutti i buchi del tuo corpo, anche in quelli dove solitamente non è concepito d’inserire alcunché…e sborrerò in ogni cavità corporea che ti ha dato madre natura. Che tanto, a parte prendere cazzi, non sei buona far nulla”
“No…”
“Sei una buona a nulla! Non hai studiato! Cagna ignorante! Non sai fare di conto, non sai scrivere, non conosci la storia e la geografia! Che cosa vuoi fare nella vita se non prenderlo in bocca e bere sbroda da tutti? Eh? EH?? Rispondi, puttanaccia! Quanto credi di valere rispetto ad una ragazza che studia e s’impegna? Te lo dico io! Vali meno di zero! Dovresti leccare le suole fangose alle ragazze che si applicano ogni giorno della loro vita per raggiungere un traguardo. Ma tu sei di un’altra pasta, lurida mignotta in calore. Pensi che allargando le cosce si aprano tutte le porte, invece…puttana! Ribadisco, sei una puttana!”
“Basta! Smettila! Non è vero! Non sono una puttana! Io…io sogno di…”
Come pronuncia la parola sogno mi fermo. Eh già. Il sogno. Il maledetto sogno che i media istigano nelle menti deboli e che le menti deboli perseverano come una missione di vita.
Così mi rendo conto di essere andato forse un po’ oltre. Di aver esagerato. Non meritava di essere offesa così. Cristina è una ragazza illusa. Non è cattiva. Ma a parte questo ho iniziato facendo il dominatore e non mi posso sottrarre da ciò che sono. Non posso certo accucciarmi accanto a lei, adesso e consolarla come un affettuoso fratello maggiore. No, posso solo smorzare i toni e sperare che questo basti a farla calmare.
“Dai, Cristina. Ricomponiti” le dico.
Sembra fare effetto. Forse udire il suo nome sulle mie labbra le ha fatto supporre che la considero ancora un essere umano.
“Asciugati quelle lacrime”
Si passa due dita sotto gli occhi e si asciuga le lacrime, per quanto possibile.
Un po’ di quella porcheria che le donne si mettono sulle guance per sembrare più belle le scivola via con le lacrime. Sembra moccio spalmato ben bene sulla pelle. Forse sui politici fa più figura, ma su una ragazza giovane e carina sembra in qualche modo innaturale. Quasi una maschera di falsità, più che una maschera di bellezza. Le ragazze sono belle così come sono.
Ma se anche questo è uno degli insegnamenti del tubo catodico va bene così. Trucco a più non posso!
Mi rimetto i pantaloni e le scarpe, ma lascio aperta la patta. Il nobile pirata è sempre pronto per tornare all’arrembaggio. Non appena Cristina riassume una parvenza di normalità lo sento spronarmi allo speronamento delle dolci labbra della vacchetta.
“Vabbè, dai…non farla lunga che non ti ho fatto ancora nulla” dico.
Cristina mi rivolge uno sguardo duro.
“Sono cose che nell’eccitamento si possono dire. Fa parte del gioco”
“Mi hai fatto male”
“E’ per una buona causa”
“Una buona causa?”
“Certo. Credi che l’ingresso in questo mondo che ti piace tanto sia gratuito?”
“No, ma…”
“Allora coraggio, stai al gioco e fa la tua parte”
“La mia parte?”
“La sottomessa”
“Già, certo…”
“Ma cerca di farla come si deve”
“Come intendi?”
“Beh, prima mi hai guardato come se fossi l’orco cattivo. E’ solo un giochino. Come adesso che ti chiederò di aprire la bocca per pisciarci dentro”
“Vuoi pisciarmi in bocca?!”
“E tu la dovrai bere tutta”
“Ma è schifosissimo!”
“No, te l’ho detto. E’ un gioco. E tu devi stare al gioco. Ricordi per quale motivo sei venuta qui?”
“Sì”
“Ne sei ancora convinta?”
“…”
“Altrimenti te ne torni a piangere sulla scalinata dell’ufficio casting. Pensa, ti passeranno accanto le ragazze che avranno scelto per il programma. Quelle che andranno a mostrare le cosce in televisione. Quelle sì, che sono fortunate! Ti passeranno accanto, ti guarderanno dall’alto in basso e immagineranno che tu sia una di quelle che non ce l’hanno fatta. Avranno ragione”
“Va bene. Che devo fare?”
“Nulla d’impegnativo” ho detto “Apri la bocca. Il resto lo fa il cazzo. Un’unica raccomandazione. Quando senti il piscio che ti scorre in gola, cerca di non apprezzarne il sapore, sennò mi vomiti sui pantaloni nuovi”
Atto III: convivenza con la scrofa
Il curioso rapporto che aveva unito me e Cristina si protrasse per qualche tempo. Avevo naturalmente parlato di lei al produttore, un maiale perverso col cervello di un pisello e la cultura di un sasso. Il porco aveva detto che per lui, una troia o l’altra era uguale. Tanto le ragazze scelte non avrebbero dovuto fare altro che mostrare il culo e le tette e starsene belle zitte. Il solito repertorio, insomma. Forse qualche stacchetto di ballo. Pochi passi e molto semplici. E anche quelli, se fossero venuti male…beh, nessuno se ne sarebbe preoccupato troppo. Fra stacchi e inquadrature si sarebbe visto solo qualche rotondità.
Il patto era stretto, ma con Cristina continuavo a tirare la corda, tenendola sulle spine, promettendole sviluppi futuri e facendole promesse. Fino a quel punto mi ero comportato onestamente, con lei. Ma poi, ammorbidito dalla prestanza fisica della maialetta, ero venuto a patti col mio animo onesto e nobile. Insomma, la chiamavo a casa mia un giorno sì e l’altro pure (io vivo solo) e lì ne approfittavo per sbatterla come un tappeto persiano. Di solito la mia mossa preferita era quella del pompino profondo; l’uccello volava nel nido e ci vomitava dopo essersi spupazzato la laringe per bene. E che uccello! Cristina aveva imparato ad adorarlo come un’estimatrice. Lo accarezzava, lo puliva, lo leccava, lo baciava, ci faceva l’amore e lo consolava quando la cappella era un po’ arrossata. Un’ornitologa.
Avevo anche insegnato alla ragazza a farsi scurreggiare in gola a bocca spalancata. Dopo le prime volte sembrò che la pratica le riuscisse talmente bene da farle quasi piacere. Dovetti inventarmi qualcosa di ancora più impegnativo. Non mi va che le mie studentesse si adagino sugli allori. Debbono sempre migliorare le loro prestazioni. Andare sul sessuale era troppo facile; Cristina, come tutte le ragazzine inutili ma consce della loro bellezza, non la dava mai a nessuno. Avrà fatto sesso sì e no un paio di volte, prima di fare la mia conoscenza. Le insegnai che le ragazzine che credono di averla d’oro, sotto sotto, sono ancora più cagnotte delle altre. La presi in tutte le posizioni. Riscrissi il kamasutra e lo aggiornai al ventunesimo secolo. Il bello era fottere quella sgualdrina in qualche posizione umiliante e lasciarla poi agonizzante sul pavimento. Da sopra, prendevo la fava fra le mani, la indirizzavo verso la sua faccia e facevo scaricare l’intrepido falcone direttamente su di lei. Le andava sui capelli, in faccia, negli occhi, nelle orecchie…
Il suo lamento preferito era “Nooo…negli occhi mi brucia!”
E io allora mi mettevo a ridere.
Perché mi faceva ridere per davvero, questo esserino rantolante che si sorbiva tutta la pisciazza sulla faccia per non scomodare il suo procacciatore di lavoro.
“Cristina, ma porca di quella…lo sai che la devi bere! Ora non te lo dico più! Forza, mi hai fatto sporcare tutto per terra col piscio. Tira fuori la lingua e leccaci”
“Ma mi fa effetto!”
“Oh, poverina! Non se ne giova, lei!”
La presi per i capelli dietro la nuca e la ribaltai sul materasso. Era nuda, come me. Glielo infilai nel culo a velocità supersonica, tanto che lo spostamento d’aria gli tornò a gola e per poco non vomitò. La sfondai come una maiala di strada, con l’unica differenza che Cristina era gratis, e le sborrai nel culo.
Lei si mise a piangere.
“Dai, non fare così. Non ricordi? E’ un giochino”
“Ma mi fai male!”
“E’ così che deve essere. Fa parte del piacere”
Sì, il mio.
“Via, Cristina, allarga le gambe che te lo metto dentro”
“Ma come…così, senza preservativo?”
“E cosa vuoi che sia?”
“E se rimango incinta?”
“Ma no! Vedi come sono tranquillo io? Non ho mica paura di rimanere incinto! Dai, l’uccello ha bisogno del suo becchime”
“Ma sei violento, tu!”
“E che cazzo! Quando ti faccio male, quando sono violento, hai paura di restare incinta…ma lo sai che sei piena di complessi?! Ma come pensi di andare avanti, in questo delicato mondo dello spettacolo, se ti fai tutti questi problemi? Via, più disinibita, devi essere!”
Più disinibita di così si muore.
“E poi sempre a piangere per nulla!”
“Ma me l’hai buttato nel culo!”
E io giù uno schiaffone.
“Volgare! Non si dice culo. Si dice sedere. Hai capito, brutta puttanona di merda cacata a forza? Ora girati che te lo sbatto nella sorca, maiala!”
E, insomma, non ve la faccio troppo lunga e particolareggiata. Sappiate che la mignottella acconsentì a farsela trapanare come la galleria del monte Bianco e che andò dal ginecologo a farsi dare la pillola anticoncezionale.
In questa maniera avvenivano gli incontri fra me e Cristina. A volte si lamentava di meno e a volte le dovevo dare qualche sonoro ceffone per farla stare buona e calma. A volte tentava di sottrarsi a qualche nuova mossa sessual-marziale e a volte perdeva un po’ di piscia dalle labbra andandomi a sporcare il pavimento (atto per il quale era subito, severamente redarguita a suon di cinghiate finché non aveva pulito tutto a lingua).
Una volta le infilai un vibratore nella canala e le ordinai di contare quanti orgasmi avrebbe avuto. Era uno di quegli aggeggi di nuova concezione, che puoi comandare col telecomando aumentando o diminuendo a piacimento la velocità della vibrazione. Mi piaceva vederla durante i cambiamenti di ritmo. Credevo che una volta o l’altra le sarebbe preso un colpetto. Nel frattempo, mentre gli orgasmi si succedevano senza sosta, Cristina era accucciata a quattro zampe davanti al divano e mi faceva da poggiapiedi.
Ogni tanto le rifilavo un calcio in testa per vedere se era ancora sveglia e le chiedevo “Godi?”
“Sì”
“Tanto?”
“Sì”
“Ma tanto quanto?”
“Sono arrivata a otto”
“Beh, sei una maiala col pedigree. Via, facciamo altri due e conto pari, poi t’inculo”
Un’altra volta le ho insegnato a mangiare direttamente dal pavimento. Mi sono sprecato; Cristina è abituata a leccare il piscio, dal pavimento, sai che cosa può farle magiare qualche biscotto e qualche penna al pomodoro da sotto le mie scarpe?
Le torture ed i giochini si susseguivano giorno dopo giorno fra una trovata e l’altra. Ma le novità iniziavano a scarseggiare. Farsi leccare il culo diventava monotono. L’uccello non rispondeva più al mio controllo. Quando vedeva la bocca di Cristina volava in ampi cerchi, planando sulla preda come un’aquila sazia di cibarsi sempre della stessa carne.
Avevo pensato di lasciare Cristina al suo destino. La parte l’aveva avuta. Il programma sarebbe iniziato da lì a qualche settimana. L’avevano già chiamata per le prove.
Invece, inaspettato come tutti gli eventi che rendono interessante la vita, fu l’arrivo di Claudia.
Atto IV: Claudia fa la conoscenza di Cristina
Claudia era una mia amica di corso all’Università. Non si sarebbe detto. Era bella di viso e ben fatta di corpo. Dimostrava assai meno dei suoi trent’anni. Capelli castani lunghi fino alle spalle, vestiti sempre molto curati, non costosi ma abbastanza eleganti. La sua forza era un delizioso mix di cultura scientifica ed umanistica che la rendeva un’adorabile conversatrice e una fine parlatrice. Come quando le presentai Cristina. Claudia era venuta a trovarmi a casa per portarmi alcuni ricercati testi che avrei dovuto leggere in previsione del mio lavoro da consulente. Le mostrai quella maiala insaziabile di Cristina e le spiegai come mai avevo una ragazza seminuda che mi seguiva per casa a quattro zampe chiamandomi “Mio signore e Padrone”.
Claudia si dimostrò molto comprensiva, nei confronti della troietta, forse per un fatto di solidarietà femminile. Infatti, quando la invitai a servirsi della derelitta, ella disse “Lurida leccapiedi, vieni immediatamente qui e leccami le scarpe!”
Calzava dei delicati sandali aperti in punta che lasciavano scoperte le dita dei piedi perfettamente smaltate di un rosso acceso. Cristina si prostrò al suo cospetto e baciò le calzature. “Fallo per bene, zoccolaccia!” ho detto “Le scarpe della mia amica Claudia valgono più di te”
La mia amica, sensibile ai bisogni di un’altra donna come una sorella, ha sollevato un piede e l’ha calato con forza sulla testa di Cristina, intimando alla schiava “Hai sentito quel che ha detto il padrone? Lecca bene. Lecca, che da questo momento in poi, di padroni ne avrai due”
Cristina era lieta della notizia. Tanto era contenta che non la smetteva più di piangere. Mugugnava cose come “Oh, no. Anche questo no, per favore”
Io e Claudia ci mettemmo a ridere.
Cristina leccava le scarpe della mia amica come una troia esperta. Passò la lingua anche sulla suola sporca di terra e succhiò i tacchi affilati. Poi Claudia si tolse i sandali sbattendoli in faccia a Cristina.
“E ora i piedi. Oh, sono un po’ sudati…ma a te non dispiace mica, vero?”
“Macchè, Cristina è lieta di poter dare sollievo alle tue estremità. Su, serva di merda, vuoi che il sudore si asciughi sulla delicata pelle di Claudia? Eh? Che non è neppure igienico”
“No, lecco…lecco…” disse Cristina.
“Mamma mia, quanto entusiasmo!” esclamò Claudia, facendomi rimanere male. La schiava stava dando una pessima prova di se stessa.
“Dai, puttana. Sorridi. Hai l’onore di leccare i piedi di una Dea che vale infinite volte più di te” “Cagna bastarda. Hai sentito? Valgo più di te, quindi è naturale che tu mi lecchi i piedi”
Cristina ci si mise d’impegno. Glielo riconosco. Leccò via il sudore dalle delicate piante di Claudia con quella maestria che aveva appreso spompinandomi l’uccello infinite volte nei giorni precedenti. Passò la lingua fra dito e dito e asportò ogni traccia di polvere e sporcizia anche dal tallone e dal dorso dei piedi della mia bella amica. Claudia poi si fece leccare le gambe, comodamente distese sul divano, fino ad arrivare alla zona bacino, che denudò dalla gonna corta e dalle mutandine di pizzo.
“Puttana, leccami la sorca” disse la mia colta ex compagna di corso “E ringrazia che non ti caco in bocca, brutta latrina di quarta categoria…cagna, lecca per bene la fregna della tua padrona. Sono la tua Dea, sono il tuo universo…sgualdrina, vedi cosa fa il potere dell’aver studiato all’università? Che io sono una persona fine e gradevole e te sei una merda pestata sul marciapiede….lecca, zoccolaccia schifosa, lecca come se dovesse essere l’ultima volta che lecchi qualcosa”
Di fronte al dialogo intellettualmente stimolante e grammaticalmente corretto di Claudia, mi sono eccitato, mi sono calato le braghe e l’ho messo nel culo a Cristina. Lei lì per lì non se l’aspettava. Ha mugugnato qualcosa mentre la sua lingua era dentro le grandi labbra di Claudia, che le spingeva verso di sé la testa con una mano.
“Che fai?” ho chiesto “Ti sottrai al tuo sacro dovere?”
“See…ora si scansa! Gli piace il cazzo, a questa qui” ha detto Claudia.
Quando entrambi abbiamo goduto, lei nella bocca di Cristina ed io nel culo della medesima, Claudia si è alzata e si è spogliata quasi del tutto. Restava il reggipetto, che a stento conteneva tutto il ben di Dio che la natura aveva fornito alla mia amica.
“Cagna, stenditi sul pavimento” ha ordinato Claudia.
“Che cosa intendi farle?” ho chiesto, mentre Cristina si disponeva ai piedi della padrona.
“La pesto come l’uva”
“Grandioso”
“No…”
“Hai squittito qualcosa, lurida mignotta?” si è informata la dolce ospite. Cristina, con le lacrime agli occhi, ha negato ogni cosa.
“Meglio per te” ha detto la padrona, ribadendo il concetto con due schiaffoni a piene mani. Ha sputato in bocca a Cristina “A questo ti serve la bocca. Non per parlare. Per ingoiare i nostri sputi e leccare i nostri piedi”
Volevo dire che le serviva anche per leccarmi la fava, ma poi ho desistito.
Claudia è letteralmente saltata sul torace di Cristina comprimendo i seni di quest’ultima fino al punto di rottura. Ad un certo punto ho temuto che sotto i piedi della dominatrice le tette della schiava esplodessero come due palloncini. Invece non è successo nulla. Incredibile cosa può sopportare un corpo umano! La lezione di calpestamento è andata avanti per qualche decina di minuti. Era molto eccitante. Claudia camminava sul corpo della sottomessa come su una tavola da surf, ondeggiando e bilanciando le proprie gambe con perfetto dinamismo. Cristina soffriva molto, gemeva e piangeva anche quando Claudia le piantava un piede sulla faccia ordinandole di leccarlo dalla sua dolorosa posizione sdraiata.
A metà del trattamento ho anche preso il cellulare ed ho s**ttato qualche foto. Non contento, dopo le foto, ho anche realizzato qualche filmatino. Durano sui due minuti ciascuno e sono venuti molto bene, credo. Li tengo nella mia collezione privata, nella mia villa di montagna.
Claudia ha proseguito poi con una galoppata sul dorso della serva che si è conclusa dove era partita, cioè in salotto. Cristina era sfinita, dolorante e piangente.
La mandammo nell’altra stanza a rimettersi in sesto per quanto possibile. Da parte mia cercai anche di incoraggiarla “Fai ribrezzo. Copriti quella faccia da maiala disfatta che ti ritrovi col trucco. Che tanto vai sempre a giro con un maschera di cerone sul viso”
“Ora dimmi te se una puttana che non vale un cazzo può starsene in televisione a prendersi le lodi di tutti ed io, che mi sono fatta un mazzo tanto all’università, sbarco il lunario con novecento euro al mese!” ha protestato Claudia.
“Stai tranquilla, Claudietta” ho mormorato alla padrona, non udito da Cristina “Di solito queste maiale stanno a galla qualche anno, poi scompaiono. Sfortunatamente ve ne sono molte altre pronte a prendere il loro posto. Questa qui non durerà a lungo. Ha già ventiquattro anni. Ai produttori piace la carne fresca, la giovincella appena maggiorenne, non quelle in età da marito”
“Cagna!” ha esclamato Claudia “Disprezzo lei e tutte quelle come lei”
“Su, cara, non fare così”
“Se potessi la calpesterei fino a ridurla in briciole!”
“Puoi farlo un’altra volta. Domani ha le prove in studio e deve essere presentabile, ma quando non avranno più bisogno di lei…”
“Bastarda!”
“Puoi pisciarle in bocca, se ti può far stare meglio”
“Pisciarle in gola?”
“Sì, io lo faccio sempre”
“Anche cagarle in bocca?”
“No, quello non l’ho mai fatto”
“Lo farò io, allora”
“Ora?”
“Domani. Stasera vado a cena da Gigi il loioso e mi faccio servire la fagiolata. Vedrai domani!” “Buon appetito, in questo caso. E a presto!”
Atto V: Claudia fa la cacca in bocca a Cristina
Claudia tornò il giorno dopo. Non si era dimenticata della promessa che aveva fatto a me e a Cristina e non avrebbe potuto, visto che se non avesse accennato alla simpatica tortura che mise in atto quel giorno lo avrei fatto io. Aveva con sé uno di quei cessi da viaggio in plastica, lo portò in casa mia e lo appoggiò sul pavimento. Alla base del cesso era stato praticato un foro semicircolare grande quanto un mezzo melone maturo e le pareti del wc erano trasparenti.
“Lo facciamo qui, che dici?” chiese la padrona.
“Mah, non so. Si farà sudicio in giro?” ho domandato.
“Eh, probabilmente sì. Che vuoi…è merda. Di esseri superiori, ma pur sempre merda”
“Già, vedo. Allora no, guarda, si fa in cantina, che lì tanto non ci vado mai. Dopo la faccio ripulire dalla zoccolaccia (lì presente ed in ginocchio ad ascoltare ogni nostra parola) e ci faccio dare un po’ d’aria”
“Come preferisci”
Andammo in cantina.
Cristina portò per noi il cesso da viaggio e lo depose accanto alla parete.
Claudia le disse di mettere la testa sotto il cesso e di rivolgere lo sguardo verso tutto ciò che le sarebbe precipitato in faccia dal momento dell’inizio della tortura.
“Vediamo che sensazione dà cacare in bocca ad una star dello spettacolo” disse Claudia con odio. Lei odiava Cristina e ciò non faceva che aumentare il mio godimento. Davvero non avrebbe risparmiato nulla alla maialetta di cui sopra.
Si sedette sul cesso e disse “Cagna, guarda che splendido culo che hai sopra di te. Non ti andrebbe di baciarlo?”
Cristina non rispose.
Claudia, allora, per tutta replica le piantò un tacco fra le costole ruotando il piede fino quasi a bucarle la pelle. Portava dei sandali neri col tacco alto che lasciavano scoperto quasi tutto il piede. Erano molto sensuali.
“Cagna, la padrona ha fatto una domanda!” ha detto Claudia.
“Sì, padrona. Lei ha un culo meraviglioso”
“Culo? CULO? Niente volgarità in presenza della tua Dea!Miserabile. La padrona non ha il culo! Ha il sedere! Il culo ce l’hanno le merdone figlie di troia come te!”
E giù un altro affondo di tacco nello stomaco della derelitta.
Pensavo che questa volta Cristina ne sarebbe uscita con una costola o due rotte. E la cosa, a dire il vero, mi creava una certa eccitazione al pacco mutanda. Per quella volta decisi che avrei fatto da semplice spettatore.
Claudia si tolse la gonna, facendosela scendere lungo le bellissime gambe fasciate in calze nere e sensualissime. Si sedette sul pratico wc portatile e sganciò una di quelle bombarde da serata post-fagiolata da Gigi il loioso che echeggiò per tutta la cantina. Vidi le braccia e le gambe di Cristina che si tendevano. Claudia appoggiò i piedi, questa volta scalzi, sulla pancia e sul petto della schifosa usando quest’ultima come pratico poggiapiedi.
“Adesso farò la cacca” annunciò Claudia “Ti gusta l’idea?”
“Sei una grande, Claudia” ho detto.
“Guarda che non dicevo mica a te”
“A no?”
“No, parlavo col il cesso per avvertirlo di tenersi pronto”
“Ah, ho capito”
“E’ un cesso particolare, questo” spiegò Claudia “In quelli tradizionali gli escrementi ristagnano sul sacchettino sul fondo e questo va svuotato, prima o poi, sennò il cesso scoppia. Sai che bella, la bomba merda? Invece questo no. Ci puoi pisciare e cacare tutte le volte che vuoi, tanto si pulisce da solo”
“Ma va’?”
“E’ sì. Il merito è del pratico sacchettino “Cristina”, che messo al posto di quello tradizionale, ingurgita e ricicla ogni sorta di rifiuto corporeo solido o liquido”
“Non ci credo!” ho detto “Dimostrazione. Ci vuole una bella dimostrazione”
Detto fatto, Claudia ha fatto partire un bel fiotto di piscia sulla faccia della stronza che si è ritrovata con la sua lurida bocca aperta pronta a ricevere la pioggia dorata. Io non so per quale motivo la chiamino pioggia. La pioggia sono tante goccioline messe assieme. La pisciata di Claudia somigliava più al flusso della sistola con cui annaffio il giardino. Una getto unico, a pressione e tanto, tanto abbonante. Cristina, da brava star della televisione, ha bevuto tutto senza esitare. Si è anche leccata le labbra. Incredibile cosa potevo vedere attraverso le pareti di plastica trasparente del wc portatile.
“Claudia, tesoro…pare che al nostro cesso la tua urina non sia particolarmente gradita” ho detto.
“Sul serio?”
“No, dovresti vedere che faccia che ha fatto”
“Cagna!” ha gridato Claudia rifilando un bel pestone a due piedi sull’addome della zoccoletta da avanspettacolo.
“Lo sapevo che non eri in grado di apprezzare l’onore che ti facevo donandoti la mia pipì. Ma dovevo aspettarmelo da una come lei. Non ha studiato. Lei ci deve obbedire e adorare come è nel suo status biologico fare! Come osa mostrare disgusto per i nostri sacri escrementi?”
“Forse un buon pasto saporito le insegnerà cosa vuol dire essere al cospetto di un essere superiore” ho suggerito.
“Ottima idea” ha detto Claudia. Prima ancora che terminasse di parlare due scorreggioni da portuale hanno centrato Cristina fieramente a bocca spalancata. L’aria dell’intestino di Claudia è entrata nell’esofago dell’inferiore ed è scesa nello stomaco fino a prendere posto in un nuovo intestino. Poi è partita la cacchina profumata della padrona.
Da prima uno stronzetto marroncino ha fatto capolino dal buchino dei miei sogni, infine, con un gemito da parte della padrona ed una lacrimuccia da parte della schiava, il cilindretto è precipitato sulla faccia di Cristina.
“Oh, bella! Merda grossa a pezzettoni!” ho esclamato.
“Sììììì! Ingoia, lurida cagna! Mangiala tutta! Non ne deve restare neppure una briciola!” ha ringhiato la mia dolce amica.
Cristina si è ritrovata con un salsicciotto di merda fra le labbra senza neppure capire da che parte fosse venuto fuori. Un altro le è caduto sull’occhio destro coprendoglielo completamente. Ha tentato di sputare ed il primo stronzoletto le si è spezzato fra i denti, rimanendo metà in bocca e metà sulla faccia.
“Che fa? Sputa?” ho detto.
“Sputa? Bastarda ingrata!” ha urlato Claudia “Questo è per i suoi spettacolini tutti cosce e culi che non spiegano una sega!”
Le ha dato un calcio col tallone sullo stomaco, spezzandole il fiato, poi ha iniziato a tempestare di pestoni il petto e la pancia di Cristina. Lo faceva con rabbia, con violenza esasperata. Vedevo la testa della schiava che andava su e giù a ritmo con il martellamento della padrona e ad un certo punto ho fermato le gambe (bellissime) di Claudia, per evitare che la maialetta subisse danni permanenti.
“Se poi ci rimane qualche livido magari faranno un’indagine e verranno da noi”
“Hai ragione” ha detto la dominatrice “E’ meglio fermarsi qui. E poi mi diverto abbastanza a vederla affogare nella mia merda”
“Se ti piace questo allora posso contribuire anch’io, per quanto possibile” ho detto.
“Lo faresti?”
“Per te questo ed altro”
Claudia si è alzata dal cesso, ha preso il rotolo di carta igienica che avevo fatto portare previdentemente dalla serva giù in cantina e si è pulita. Nel frattempo io, il padrone, mi sono tirato fuori il possente rapace dalla patta dei pantaloni e ho pisciato nel wc portatile.
Non prendetemi per crudele, non era mia intenzione far soffrire o umiliare ancor di più la maiala stretta in fondo al cesso. Infatti, come ho spiegato dopo la fase di sgrollo della cappella… “…così la cacchina della padrona si ammorbidisce un po’ e la puoi ingoiare più facilmente. La sciolta è meglio, perché non c’è bisogno di masticare”
“A te non scappa?” ha chiesto Claudia.
“No, l’ho fatta stamani”
“Peccato” ha replicato lei, gettando con un incuranza lo strappo di carta igienica nel fondo della buca e sulla faccia di Cristina. La serva piangeva (come sempre, sembra Lucia dei Promessi Sposi) e noi ci gustavamo la sua disperazione.
“Non fare così, Cristina” ho detto “Ricorda che non ti faremo uscire fino a che non avrai spazzolato ogni traccia di merda e piscio dal fondo della latrina”
“Bene, diglielo, a quella cagna!” ha esclamato Claudia. Ha infilato di nuovo il tacco di uno dei suoi pericolosi sandali nella carne di Cristina, dicendo “E se affoghi, tanto peggio per te”
“Affogare negli escrementi?” ho chiesto “Sarebbe una fine di merda!”
E noi due giù a ridere. Anche le situazioni più insolite sono foriere di momenti di sana ironia.
Atto VI: che goduria farsi fare un pompino da una valletta
Il primo giorno di riprese fu molto impegnativo, per la sguattera. Finalmente era arrivata a destinazione, atterrata in quel deserto di sentimenti e valori che è il mondo dello spettacolo. Ma lei si sentiva bene, circondata di lustrini e sguardi falsi. Era quello che voleva e quello che aveva infine ottenuto. Nessuno sapeva quanto le era costato quel traguardo. O meglio, tutti sapevano che ero stato io a raccomandarla e che a me aveva pagato il tributo per essere salita su quel podio ambito da milioni di ragazzine sceme. Ma nessuno sapeva come mi ero fatto pagare, benché molti, conoscendomi, ne avessero un’idea abbastanza precisa.
Quella sera stessa, al termine delle riprese del programma, lo staff fu invitato al completo ad un banchetto negli uffici della emittente. Tutto molto bello, la musica, il buffet, donne eleganti, uomini sorridenti…scrofe, maiali…
Ad un certo punto incontro Cristina. E’ molto bella, nel suo abito da sera nero. Ha una gonna lunga che le arriva fino alle caviglie ed una vistosa scollatura davanti.
“Ciao, piccola” dico “Come va?”
Lei abbassa lo sguardo.
“Ti piace lavorare in televisione?”
“Sì”
Maiala.
“Come ti sei trovata?”
“Bene”
“Ne sono lieto. Hai da fare?”
“No…io…”
“Perfetto. Ti rubo solo un momento. Vieni con me nell’altra stanza”
La prendo per mano e l’accompagno in una stanzina buia, distaccata rispetto alla sala della festa. Da lì giungono i rumori del party, ma siamo abbastanza in disparte da poter parlare senza che nessuno ci senta.
“Inginocchiati” le dico.
“Ma…”
“Niente ma. Il patto è ancora valido. Io sono sempre il tuo padrone. O pensavi che una volta accese le telecamere tu mi potessi dire tanti saluti e arrivederci? Lo sai quante vallette puttenelle vengono sostituite a metà di una trasmissione? E quante non vengono riconfermate?”
“….”
“Ora prendimelo in bocca”
Lo tiro fuori e la proboscide si srotola fin quasi al pavimento. Ragazzi, ho una fava da recordman! La mignotta se la infila in bocca e comincia a degustare la pietanza. Erano due giorni che non glielo sbattevo in gola, e anche Cristina, suppongo, iniziava a sentirne la mancanza.
“Pompa, pompa, mignottaccia…questo i ragazzini che da domani sbaveranno per te non lo sapranno mai, ci pensi?”
“…”
Cristina non rispose.
“E muovi quella lingua, maiala! Su e giù, su e giù come ti ho insegnato! Lecca tutta l’asta fino alle palle. Ecco, ciucciami i coglioni. Poverini, guarda come sono gonfi. Non me li hai munti per due giorni e ora sono pieni di sborra. Ma ora ci pensi tu, non è vero? Me li svuoti nella tua bocca. Che tanto spumantini e analcolici non fanno per te, scrofa. A te piace la sbroda del padrone e la pisciazza caldina della padrona”
Cristina mugola qualcosa e continua a pompare la mia stecca dura come l’acciaio. Devo dire che fa tutto un altro effetto farsi fare una pompa da una ragazza truccata come una star televisiva e vestita da stilisti importanti. Cristina sembra un’altra persona, rispetto a quella che mi serviva fino a due giorni prima.
“E ricordati, quando mi avrai svuotato i serbatoi del cazzo dovrai rimetterti il rossetto. Me lo stai spalmando tutto sull’asta, fra un po’ non te ne rimarrà punto sulle labbra”
“Sì, padrone”
Le vengo in gola come mio solito, spingendo la cappella nella sua cavità orale fino all’attaccatura coi coglioni e fottendomene dei suoi singulti strozzati. Devo riconoscere che vederla sottomessa con quell’abbigliamento dà ancora più significato al pompino. Vorrei ve ne fossero altri mille così. “Bevi maiala, bevi”
“…”
Cristina stasera è stranamente silenziosa.
All’improvviso sento aprirsi la porta alle nostre spalle. L’istinto è quello di allontanarmi dalla zoccola e rimettere il cazzo nell’astuccio delle mutande, poi mi accorgo che si tratta di Monica, un’altra maiala che per diventare valletta ha ingoiato tanti cazzi quanti quelli di Cristina.
“Oh, sei tu, Monica” saluto.
“Ah, signore!” la sua voce è calma e tranquilla. Ma non appena i suoi occhi scendono alle mie gambe la sua faccia si contorce in una smorfia.
“Ah, quella nuova…” dice.
“Già. L’ho proposta io. Che volevi, che non accettassi qualche regalino?”
“No, certo. Qui si fa così…”
“Diglielo, Monica cara. Anche tu, ai tuoi tempi…”
“Anche io, quando non ero nessuno…quanti coglioni che ho svuotato!”
Cristina sta per rimettersi di nuovo a piangere.
“Vieni, piccola. Ti serviranno i consigli di qualcuna più esperta di te, per muoverti in questo mondo” dice Monica.
“Consigli?” chiede Cristina.
“Sì. Pulisciti le labbra dalla sborra e datti il rossetto, ti porto in un posto e ti presento delle persone” Cristina annuisce.
“Che persone?” chiedo, rimettendo il fiero falcone nella gabbia al termine del suo volo maestoso.
“Amici” risponde Monica “E amici di amici”
La cosa mi puzza. Mi puzza molto più della merda della mia amata Claudia.
“Non sarà roba di droga, vero?” domando.
“Te non ti preoccupare. Cristina, cara, ti aspetto alla festa” risponde Monica, ed esce.
Aspetto di essere solo con la maialetta. Provo quasi tenerezza per lei. Tenerezza e comprensione. E’ una ragazza ingenua. Ignorante ed illusa, ma non cattiva.
Non si merita di finire in un gorgo che la distrugga. Insomma, dai miei cosiddetti soprusi si riprende alla grande non appena i giochi si concludono, ma la droga…la prostituzione…quella è un altro affare.
“Piccola, forse è meglio che non vai” dico.
“Perché?”
“Non mi piace, quella lì. Qualche anno fa è rimasta coinvolta in un brutto giro. Non vorrei che volesse sfrutt..”
Sfruttarti? Ma in fondo non è la stessa cosa che ho fatto io? Sì, ma i miei erano solo giochino innocenti, come ho detto. Non droga.
Eppure le labbra si fermano prima di terminare il discorso.
“Stai attenta. Promettimi solo che starai alla larga da polverine bianche e porcherie varie” le dico.
Cristina annuisce e si aggiusta.
“Io vado a casa” dico “Mi chiami domani?”
“Sì”
“Bene. Ci conto. E mi raccomando, ricorda quel che ti ho detto”
“Sì”
Esco. Mentre me ne vado non rivedo né Monica né il maiale schifoso che dirige il programma per il quale Cristina mostra il culo.
Vado a casa, faccio l’amore con Claudia e aspetto la telefonata.
Epilogo: Cristina ottiene quel che vuole.
Non mi chiamò. Né il girono dopo, e neppure quello dopo ancora. Non la sentii se non dopo sei mesi dopo la fine del programma. Programma che, per inciso, venne chiuso con la seconda puntata. Strano, di solito sono i programmi peggiori a fare audience. Quella volta, un caso su un milione, il buon gusto trionfò ed il programma fu interrotto a beneficio di una serie di documentari sull’alterazione climatica dovuta all’industrializzazione.
Cristina scomparve. Due articoli su qualche rotocalco, un servizio su un giornaletto scandalistico, poi il silenzio.
Mesi e mesi di silenzio.
La rividi quando ormai non ci speravo più. Fu Claudia ad avvertirmi.
“Te la ricordi quella cagna che beveva il nostro piscio qualche tempo fa?”
“Chi? Cristina?”
“Già, proprio lei. Dice che è stata ricoverata in clinica”
“Quale clinica?”
“Una per tossicodipendenti. E’ in città”
“Tossicodipendenti?”
“Dice sia finita in un brutto affare. Cocaina, puttane. Hanno fatto una retata e c’era anche lei nel mezzo. Lei e una nostra vecchia conoscenza”
“Fammi indovinare”
“Sentiamo”
“Monica”
“Proprio lei”
“Carogna” ho mormorato.
“Che hai?”
“Nulla…nulla”
“Ti spiace per quella mignotta che mangiava la mia merda?”
Sì, un po’. Ma non posso dirlo.
“Ma che vai a pensare. Quelle lì esistono giusto nutrirsi dei tuoi escrementi, tesoro”
“Dici bene. Ci vediamo stasera, allora?”
“No, stasera no. Ho un impegno in ufficio”
“Capisco. Ci risentiamo”
“Certo. Stammi bene”
Non sono mai andato in quella clinica. Che cosa avrei potuto fare, in fondo? Il mio errore era stato quello di spingere una ragazza in un mondo di menzogne e illusioni, non quello di averle fatto mangiare merda.
Lo sbaglio lo avevo commesso offrendole quel caffè, quando la incontrai piangente sulla scalinata. Non facendomi svuotare i coglioni un giorno sì e l’altro pure.
Ormai quel che potevo fare era fatto. Basta. Non avrei più cercato di rivedere Cristina.
La vita, in fin dei conti, va avanti.
    "Sfida a mezzanotte"
 Quella sera soffiava un vento gelido che spingeva i pochi paesani riluttanti verso le proprie abitazioni alla ricerca di un ambiente caldo, dove consumare con i familiari una cena riparatrice del fuggevole pasto di mezzogiorno e dei disagi imputabili ad un inverno che proprio quell’anno si era particolarmente accanito con acqua, bufere di neve, temperature gelide e tramontana, sul tranquillo paesino dell’Italia centrale.
Raramente al paese avevano avuto inverni così duri.
Quello “mitico” del ‘29 era materia inesauribile dei racconti degli anziani al bar che facevano a gara per aumentare i metri di neve caduta in quell’anno.
Lo pensava proprio quella sera Aldo, il gestore del “Bar Commercio”, che nonostante l’ora canonica del pasto serale sostava ancora nel locale, bestemmiando per il ritardo della moglie con la quale si davano i “cambi”.
Proprio un tempaccio.
La cosa non gli dispiaceva, il suo locale era adeguatamente riscaldato e attirava più gente degli altri bar. Oltre che dotato di una bella stufa e rilevanti canalizzazioni che mantenevano costante la temperatura, c’era il modo singolare del barista di gestire il rapporto con i clienti.
Del resto non era un caso se anche d’estate poteva vantare il maggior numero d’ombrelloni aperti sulla piazza principale, a far da cappello a giocatori di carte, calciofili, filosofi dell’ovvio, giovani perditempo dai discorsi monotematici sulle ragazze.
Da “quelli” della politica che si miscelavano con “quelli” del calcio che a loro volta intrecciavano discussioni con “quelli del ciclismo”, tutti insieme a spettegolare di corna altrui con molti presenti, più o meno inconsapevoli, soggetti delle storie narrate.
Al solito tavolo il temuto e rispettato Giovanni, “gigante” irsuto delle granaglie, che unico si permetteva gli ordini “alla voce” tuonando l’inconfondibile: “Aldo!!!!!……un Chivas”, intendendo la marca più costosa di whisky. A fargli compagnia, mal sopportato, ma come tutti i ruffiani, indispensabile per tessere la rete boccaccesca che poi il nostro possente Casanova avrebbe raccolto con la preda dentro, il barbiere Belindo.
L’ingresso del bar era sulla piazza, ma c’era una porticina nella sala biliardo che, oltre a comunicare con i vicoli retrostanti, era utilizzata come via di fuga per avventori in incognito nel caso di visite inaspettate o inopportune.
Il signor Aldo era un uomo tarchiato, di forma a “barilote”, coi pochi capelli sempre spettinati a formare due teorici “cornetti” luciferini e l’immancabile “sinalone” legato in vita alla maniera dei croupier, ma con l’aggiunta di alcune macchie leopardate multicolori di varia estrazione e provenienza.
Il “Bar Commercio”, era punto di riferimento e ritrovo dei paesani, anche se il carattere del proprietario non era dei migliori, ma proprio le sue sfuriate, i litigi, il suo partecipare attivamente a tutte le chiacchiere anche quando il suo “ruolo” ne avrebbe sconsigliato l’intervento, rendeva il luogo “unico” e irrinunciabile.
D’altra parte dove potevano passare il tempo i giovani e gli anziani delle famiglie del paese? Certamente non al paludato bar del “Circolo Culturale”.
Maggior concorrente del sor Aldo e con vista a fronte il Circolo che situato in cima alla via che portava in piazza, godeva di maggior altezza, nel senso della struttura dello stabile e del “censo” sociale dei suoi iscritti.
Nelle ampie e ben arredate sale si pavoneggiavano i figli, i padri e gli zii, con rispettive signore, di quella borghesia di paese, umoristicamente eccessiva e pomposamente fuori del tempo.
Il presidente era il signor Battista, un gemello del Vittorio de Sica gloria del cinema nazionale, al quale somigliava in maniera impressionante.
Sempre elegante, con la “farfalla” a pois e l’incedere aristocratico, con unico neo lo scricchiolare delle scarpe ad ogni passo; il suo passato era abbastanza misterioso, ma con un’elezione tutta da raccontare.
Quella sera nella sala centrale del circolo la lotta, all’ultimo voto, era fra il Generale in pensione e il Presidente della locale squadra di calcio.
Nella sala, percorsa in modo febbrile dai supporter dell’uno o dell’altro aspirante, l’unico quieto era un personaggio fin allora sconosciuto: un signore di grand’eleganza e distinzione, compostamente seduto, silente ed attento all’ennesima, inutile operazione di scrutinio dei voti.
La presenza del quale fu notata da uno dei tanti “infiltrati” del Bar Commercio, presenti in sala per seminare zizzania. Il ragazzo, Alberto il suo nome, non era nuovo a burle e scherzi poi assurti all’onore delle cronache paesane.
L’idea che gli balenò nel cervello fu la seguente: come nel calcio paesano, un giocatore proveniente “da fuori”, al di là delle qualità, otteneva immediatamente il posto da titolare in squadra, così lo “straniero” in sala, col suo fascino misterioso, poteva influenzare quel branco di pecoroni costituenti l’Assemblea e fungere da terzo incomodo nella lotta, determinando una situazione inattesa con esito imprevedibile.
Il passa parola e soprattutto il passa bigliettini di voto, ottennero un risultato clamoroso, non solo si creò “casino”, che era lo scopo reale dell’operazione, ma addirittura il sig. Battista, sconosciuto a tutti, stravinse alla grande al primo ballottaggio, e fu eletto nuovo Presidente del Circolo Culturale con grande scorno per i titolati pretendenti e tutte le conseguenze festose al Bar Commercio, nel quale si fece l’alba per il ridere ed il bere che un raggiante sor Aldo erogò con abbondanza.
Basterebbe soltanto quest’aneddoto per comprendere, senza alcuno sforzo, che l’inimicizia era nella pelle. Nulla accomunava i due ritrovi e i suoi frequentatori, se non una: la passione per il gioco del biliardo.
Un tappeto verde univa il popolo del paese: quello del calcio domenicale.
Un tappeto verde lo divideva: quello della “stecca”.
Nei due luoghi antagonisti ci si preparava tutto l’anno per le due sfide, una da giocare in casa, l’altra in trasferta, in giugno e in gennaio, al meglio delle tre partite a “48” punti.
Con la fronte imperlata di sudore o con le dita intorpidite dal freddo, i due campioni designati dalle rispettive “colonie”, si sfidavano all’ultimo birillo.
Nei mesi successivi era sollazzo e prese in giro da parte dei vincenti, fino alla successiva sfida dove i perdenti cercavano di rivalersi sull’avversario.
La partita era vissuta in modo diverso dai due ambienti.
Al Circolo della Cultura, la maggior parte dei signori non più giovani riponeva l’interesse in cose più “nobili”, come giocare il cospicuo pokerino notturno, causa di tante fortune dilapidate e brillanti carriere bruscamente stroncate.
Al Bar del Commercio, oltre la briscola ed il tressette “da consumazione” non si andava e tutti seguivano la preparazione al biliardo.
Meno uno.
Il sor Giovanni, commerciante in granaglie in Italia e udite, udite, anche all’estero!
Questo particolare cliente, quando gli impegni di lavoro non lo portavano nell’Est Europa, era presente tutti i giorni ai tavoli del bar, per raccontare con l’immancabile bicchiere di Chivas in mano, avvolto dal fumo dell’eterna sigaretta, circondato da ammiratori in silenziosa adorazione, le sue avventure amorose con le belle straniere e le spionistiche avventure oltre cortina.
Per lui, oltre il lavoro, le donne e il Chivas non s’andava; del biliardo e del Circolo, non gliene poteva fregare di meno.
Quella sera, della quale narravamo in inizio di racconto, il barista Aldo aspettava con impazienza il “cambio” da parte della moglie, per ritornare rapidamente, dopo aver consumato una cena frugale, al bar Commercio ed organizzare la sala per la riunione che avrebbe avuto come ”ordine del giorno” la disfida di sabato 23 gennaio.
Soltanto tre giorni per sapere…
A giugno, purtroppo, il campione dei “peones” era stato battuto “in casa” dall’avversario, soprattutto per un incidente verificatosi durante lo svolgimento della gara nella quale era in vantaggio.
Era successo in un’uggiosa serata di giugno.
La sala, nel seminterrato del Bar Commercio, era gravida di popolo tifoso grondante sudore, avvelenato dalla spessa cortina fumosa, che seguiva in silenzio le carambole delle palle sul panno verde nel folle balletto dei piroli.
Bisogna premettere che all’ingresso della sala, sulla destra, era posta una panca per quattro/cinque persone, solitamente usata per lo scherzo dello “straniero” che consisteva nel lasciare libero il primo posto ed occupati gli altri. Quando un nuovo frequentatore si sedeva sull’unico posto libero, gli altri quattro si levavano contemporaneamente in piedi facendo volare per forza d’inerzia il malcapitato in aria, accompagnato dai sollazzi dei frequentatori abituali.
Orbene, nel momento in cui il campione del Circolo Broccolino tentava un tiro “di calcio” a palla coperta, difficoltà massima e l’attenzione nella sala era lancinante, il campione di casa, il sor Penni, decideva improvvidamente di sedersi sul posto dell’impiccato; quelli della panca, fosse la tensione o la disattenzione, abituati a quel movimento, meccanicamente s’erano alzati, determinando l’immancabile capitombolo del “nostro”.
Le conseguenze furono pesanti.
A partita iniziata le sostituzioni non erano ammesse e il sor Penni pur continuando con orgoglio ed abnegazione per la causa, perdette in malo modo.
La sconfitta angosciò il sor Aldo che, dato il carattere nervoso, si rifece coi quattro panchinari duramente malmenati e cacciati a tempo indeterminato dal bar.
Tutta l’estate fu un tormento, non fosse altro per il modo nel quale era maturata la sconfitta.
Dal terrazzo del Circolo, lassù in alto, gli scherni e i sollazzi erano quotidiani e non bastavano certo le mani alzate a mo’ di corna, per sollevare dubbi sull’onorabilità delle Signore, a chetare i vincitori, cornuti ma contenti.
S’attendeva il “ritorno” da giocare fuori casa, ma da vincere con tutti i mezzi: leciti ed anche, perché no, illeciti.
Nella riunione della serata bisognava decidere il sostituto del signor Penni.
S’era fatto di tutto per rimetterlo in sesto e lui stesso aveva provato e riprovato, ma lo spostamento di due costole abbisognava di ben altri tempi per recuperare e a malincuore avevano dovuto alzare bandiera bianca.
Il sor Penni era un giocatore sopraffino, della scuola sudamericana, dalla quale aveva mutuato lo stile perfetto col quale interpretava il tango “figurato” nei veglioni di carnevale.
Longilineo, coi capelli tirati a brillantina e divisi lateralmente da una riga geometrica, eleganza all’inglese mai vistosa fatte salve le scarpe bicolori, foulard al collo e sigaretta montata su bocchino d’ambra: era il cuore delle donne che lo mangiavano con gli occhi, ma i suoi interessi erano altri.
Se un ipotetico forgiatore d’uomini avesse dovuto costruire un modello opposto al suddetto, non poteva far di meglio che aver creato il signor Broccolino, l’avversario di sempre.
Questi era un commerciante di pellami che dell’olezzo relativo non riusciva mai a liberarsi.
Nonostante ciò era considerato un gran cacciatore di donne o almeno per tale si accreditava, con qualche perplessità degli auditori soprattutto perché considerato di “bocca buona” contentandosi di qualunque soggetto respirasse.
Il suo era un non stile: uomo grossolano, gran lavoratore, si era arricchito e negli affari andava per le spicce adoperando spesso le maniere forti, avendo in gioventù tirato di boxe.
Al biliardo però era un satanasso, non aveva certo lo stile del Penni, ma era concreto ed efficace.
Avversario mai domo e duro da battere per chiunque, non disdegnava trucchetti che mai avrebbe adottato l’avversario.
Ora per sfidare questo maglio si doveva trovare, rapidamente, un fuoriclasse all’altezza del compito e soprattutto con la certezza che lo battesse.
Dopo tre ore di dibattito litigioso, dove si era rischiata la rissa quando il Bellini per l’ennesima offesa rivoltagli di eccedere nel bere, era uscito, rientrando dopo pochi minuti mulinando la pala da muratore bloccata dal pronto intervento del sor Aldo, si arrivò all’ovvia ed unica conclusione: al paese il “campione” non c’era.
Dovendo comunque designare l’uomo della “sfida di mezzanotte”, si procedette per votazioni successive arrivando più volte allo scontro fisico, con lancio di cestini, cappotti, berretti ed anche dell’ultima “pasta” rimasta sul bancone che guarda caso è chiamata “bomba”.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso: il sor Aldo con passo svelto aprì la porta principale del bar e in un baleno spalancò quella secondaria.
La forza della natura che premeva da giorni per entrare nel locale e n’era stata respinta, si prese la sua rivincita. Un turbine di vento gelido fece volare tutto quanto riuscì a sollevare: cappelli, giornali, ombrelli, un vecchio quadro raffigurante figura di donna discinta ed il telo verde del biliardo che provetto aquilone veleggiò sulle teste degli astanti.
Tutti cercarono di difendersi come potevano e in questo sforzo sbollirono i loro spiriti.
Qualcuno tentò vane proteste che il ghigno del gestore scoraggiarono dal proseguire.
In poco tempo si stabilì che, per quanto ancora giovane, Giorgio Mondroni era il più dotato ed avrebbe rappresentato un’indubbia sorpresa nel campo nemico: fu votato all’unanimità, complice la solita “truffa Alberto” suo intimo amico.
Mentre si ultimavano le ultime operazioni di conta, Aldo, seppur soddisfatto per la sua opera unificatrice, non lo era affatto per la scelta, seppur inevitabile.
Qualcun altro, all’esterno, sorrideva soddisfatto, ma per le ragioni opposte a quelle del barista.
All’angolo della casa dei Rossi, il “colonnello”, appoggiato al suo scopone, il corpo deforme ed inerte, simile al monumento che in mezzo alla piazza celebrava l’eroina del paese, aveva spiato per il Circolo e questo nessuno poteva immaginarlo.
Il povero ragazzo, nato gobbo e per questo oltremodo dileggiato dagli assidui clienti del Bar Commercio, era figlio d’una famiglia umile.
Il soprannome di “colonnello” gli derivava da quest’episodio: gettatosi dal secondo piano della povera abitazione ed essendo atterrato senza gravi conseguenze, ai primi soccorritori che chiedevano increduli come si fosse salvato, il ragazzo farfugliò con voce nasale: “coll’ombello!”, ed, in effetti, lì nei pressi un povero ombrello giaceva, fiero del salvataggio.
Da quel “coll’ombello” a “Colonnello” ci volle poco, in quel paese dove anche le mosche avevano il soprannome.
Il “colonnello” era per la sua povera natura fatto bersaglio d’ogni genere di scherzi volgari e pesanti e per reazione alle umiliazioni quotidiane era diventato la perfida “quinta colonna” del signor Maurizio, suo capo al dipartimento della nettezza urbana e soprattutto facente funzioni di consigliere al Circolo della Cultura.
Quando il nostro Giuda, con passo sbilenco, entrò sogghignante nel salone al primo piano del Circolo, trovò Maurizio al tavolo del poker; bastò uno sguardo e i due s’appartarono nella saletta della segreteria.
Maurizio teneva giustamente nascosto il loro vero rapporto, altrimenti il suo informatore sarebbe stato bruciato in tutti e due i sensi: metaforico e reale.
Gli iscritti del Circolo, vedendoli insieme, pensavano che il capo dipartimento stesse comandando il lavoro per il giorno dopo.
Quando la notizia passò dalle labbra del “colonnello” all’orecchio di Maurizio, la certezza e la gioia di festeggiare un carnevale “brasilero” pervase il consigliere che, liquidato il suo “agente” lasciandogli per l’indomani giornata libera, radunò con discrezione il gran consiglio.
Erano presenti, il presidente signor Battista, il vicepresidente dr. Pecchio, il segretario Mario Cingoletti, uno dei probiviri il maresciallo Chieti, il Broccolino, il miglior esperto di biliardo e suo compagno di allenamento il Sor Cesare e Maurizio che comunicò loro la notizia.
Sorrisetti mal celati, toccatine benauguranti, richiami alla discrezione ed al silenzio e soprattutto: “calma e gessetto”.
Furono messi a punto gli ultimi particolari per l’organizzazione della serata che avrebbe visto l’arrivo degli odiati rivali; fu incaricato il Cingoletti dell’approvvigionamento di una partita di bottiglie di “schiumante” di marca per i festeggiamenti.
Ormai la domenica era vicina, il tempo stringeva, soprattutto per gli avversari.
Al Bar Commercio, nei due giorni successivi fu come alla vigilia dei grandi match di pugilato, tutti intorno al biliardo, silenzio in sala e allenamento continuo del giovane Mondrioni sotto gli occhi esperti del Penni.
Questi, seduto dolente sul ballatoio, impartiva direttive come l’ammiraglio Nelson dalla tolda del suo “Victory” a Trafalgar prima della vittoria, con l’unica differenza che neanche il più inguaribile degli ottimisti avrebbe scommesso una lira su quel pivello.
Era talmente alta la tensione per gli allenamenti, che il popolino del Bar trascurava i maneggi giornalieri della bella pizzicagnola che solitamente faceva girare le teste, secondo i suoi spostamenti all’interno del negozio, alternativamente a destra e sinistra, come avviene nelle partite di tennis.
Ciò provocava la felicità di Alfonsino, un rosso dai piedi piatti di mezz’età, che mentre aiutava nei lavori della salumeria, gustava in esclusiva, ogni mossa, della Venere, pur consapevole che quel bocconcino e quelle forme, erano destinate al “tocco” del Sor Giovanni Tettavalle.
Il ruvido dongiovanni, dall’interno del poderoso Mercedes parcheggiato di fronte al negozio, inviava l’ambasciatore Belindo a perfezionare gli ultimi particolari per l’incandescente serata.
Al mattino della domenica il vento di tramontana, che aveva imperversato per giorni interi, era all’improvviso caduto, lasciando il campo al silenzio inquietante che precede la tempesta, ma al momento il cielo era terso e la giornata festiva stupenda per colori e nitidezza di paesaggio.
Alle undici ci fu il rituale della chiacchiera in piazza, l’uscita della messa, lo “struscio” dei ragazzi con le ragazze, il pranzo, il derby calcistico del pomeriggio col paese vicino. Le scazzottate con gli avversari e il classico inseguimento dell’arbitro, reo di aver concesso un rigore inesistente che aveva determinato la sconfitta dei “nostri”.
Fin li tutti i paesani, signori e plebei, s’unirono nei rituali suddetti.
Ma a partire dalle sei del pomeriggio il gelo scese sul proscenio della sfida serale.
La bomba esplose, inattesa, alle 11 di quella sera, all’arrivo della delegazione del Bar Commercio nella sala da biliardo del Circolo della Cultura, gremita di tifosi assetati di sangue per la sfida di mezzanotte.
Da detonatore fece l’arrivo inatteso, nella mattinata, di Aurelio, nipote del Sor Quintino, macellaio del paese e padre del giovane Alberto.
Aurelio era il figlio di sua sorella Elvira residente a Lecco.
Ora, cosa c’entri tutto questo con le vicende fin qui narrate sarebbe difficile da spiegare, se non per un particolare per nulla trascurabile: Aurelio era campione regionale di biliardo della Lombardia, ma nessuno ne sapeva nulla.
Lo scoprì per caso, parlando con lui a tavola, Alberto che da quel momento non riuscì ad ingoiare nemmeno un bicchier d’acqua.
Il suo pensiero, lungi dal farsi corrompere da altri ragionamenti, correva alla partita di biliardo, alla più che probabile sconfitta ed al miracolo manifestatosi coll’apparizione di suo cugino Aurelio che, cinta l’aureola, avrebbe guidato alla vittoria il suo bar.
Come il Sor Quintino si assentò per imprescindibili necessità fisiologiche, Alberto mise in atto una rapida fuga da casa che, pur non essendo una novità assoluta, (per solito avveniva per i tetti, essendogli preclusa la porta dalla figura minacciosa del babbo), lasciò i commensali di stucco.
Col cuore in gola, risalì ansimante il vicolo, entrò nel Bar dalla porta sul retro, scese le scalette che immettevano nella sala del biliardo e crollò sulla brandina che era usata dal sor Aldo per il notturno.
Nella saletta era presente il team al gran completo: Giorgio Mondrioni alla stecca con il sor Penni alla “consolle”, il sor Aldo dall’alto del vano bar con cipiglio imbronciato all’indirizzo degli avventori che avessero tentato l’ordinazione. Gli altri silenti e preoccupati seguivano le evoluzioni delle palle e dei piroli che, in realtà erano involuzioni in quanto il Giorgio, emozionandosi per l’avvicinarsi dell’ora fatidica, peggiorava le proprie prestazioni.
Quando i presenti videro Alberto in quelle condizioni, pensarono che a differenza di altre volte, fosse stato raggiunto dal sor Quintino e giustiziato. Con l’aiuto di un cognacchino decifrarono da quelle frasi sconnesse la grandiosità del messaggio e nella sala calò un silenzio irreale.
Il sor Aldo, come sempre, ebbe la reazione più rapida: cacciò in malo modo i pensionati già nel mirino per il nulla consumare, corse ad abbassare la serranda di accesso al bar collocandoci la scritta “chiuso per la partita di calcio”.
La discussione iniziò non appena Alberto si fu ripreso e vertette non tanto sul tentativo d’ingaggio immediato e segreto del campionissimo, ma su come affrontare la cosa col sor Quintino.
Qualcuno sorriderà, ma per l’incoscienza o la non conoscenza del soggetto che andiamo a trattare.
Il sor Quintino, uomo dal cuore d’oro che sfamava gratuitamente tutte le famiglie bisognose dei vicoli, era però un iroso “bastian contrario”, allergico ad ogni forma di autorità, nemico giurato del potere in qual si voglia sua forma si configurasse: sindaco, prete, farmacista, direttore della locale banca e via dicendo.
Il tutto non per un motivo specifico ma solo perché agli occhi dei compaesani rappresentavano qualcosa d’importante e lui l’importanza la riconosceva soltanto alla bella carne, alla “coppa”, alle salsicce e soprattutto alla caccia, sua unica passione assoluta e totale.
Al minimo sgarbo su queste materie s**ttava la terribile reazione.
Il figlio Alberto ne sapeva qualcosa, le rincorse sui tetti da parte del babbo, erano ormai proverbiali.
Ora affrontare in una siesta domenicale il sor Quintino, con in casa quattro o cinque fucili carichi a portata di mano, non era cosa da ridere.
L’idea vincente non poteva venire da altri che non fosse il figliol prodigo, che suggerì il coinvolgimento del compare Zerbino, grande amico di famiglia, compagno di cacciate appassionanti del nostro macellaio.
Sulla “millecinque” Fiat, messa a disposizione e guidata da Terzilio il noleggiatore, presero posto con gran difficoltà: Alberto, il barbiere Piedipiatti, Rossi (famoso antiquario di mobili antichi religiosi, di dubbia provenienza), Bruno Fretti, supertifoso della Juventus e Ginetto il fruttarolo.
Il sor Aldo col Penni continuarono l’allenamento del Mondrioni, nel caso in cui il tuonare del fucile avesse messo fine al bel sogno finora soltanto accarezzato.
La banda fece tappa al macello del sor Quintino dove, con la doppia chiave, Alberto trafugò vari “tagli” di prima scelta da usare come viatico col compare.
La regalia e la promessa dell’uso della bicicletta da corsa nuova fiammante di Alberto fecero breccia nel buon cuore di Zerbino che, comunque aveva già deciso autonomamente, ma si guardò bene dal dirlo, di andare a trovare il compare per proporre una battuta di caccia per quella nottata.
Così ci guadagnarono tutti, meno Quintino che alla riapertura del negozio, scoperto l’ammanco, avrebbe cercato di saldare i conti con chi sapete voi, naturalmente senza riuscirvi, come sempre.
Il compar Zerbino salì le scale di casa, con Alberto ben allineato e coperto dietro di lui e trovò la Sora Lella che giocava a briscola col nipote Aurelio e sul comodo divano l’organo a settantacinque canne di Quintino in piena funzione, talmente impegnato in quel roboante concerto che soltanto l’uso dei richiami da caccia riuscì nell’opra di risvegliarlo.
Non appena l’ingannevole squittire del tordo giunse all’orecchio del sor Quintino, l’aprire gli occhi e imbracciare la doppietta in posizione di sparo fu un tutt’uno e soltanto la visione del compare, a braccia in alto, in segno di resa, non fece s**ttare i due cani del fucile.
Tutto sommato non fu così difficile ottenere il benestare all’utilizzo del nipote, bastò scambiarlo con la promessa di un nugolo di storni e beccacce, avvistati nella campagna e pronti per finire sul bancone della macelleria: per il primato cittadino del Sor Quintino, miglior cacciatore al cospetto dei tanti invidiosi pretendenti.
Aurelio, accettò con entusiasmo, felice di sfuggire alle grinfie dell’invadente zia e alla briscola, in favore di un sicuro divertimento ai danni di quei poveri provinciali.
L’affare era fatto.
La brigata s’incamminò festante per il vicolo con destinazione Bar Commercio, pregustando una serata da non dimenticare.
Il Sor Quintino e il compare Zerbino, pregustando un cannoneggiamento nella campagna di Ospedaletto.
Alle 11 precise, la delegazione del Bar Commercio fece il suo ingresso solenne nella sala da biliardo del Circolo della Cultura gremita di tifosi starnazzanti per…… la sfida di mezzanotte.
Quando l’Aurelio, accompagnato dal Sor Penni, dopo aver salutato il pubblico con un aristocratico inchino, si diresse alla rastrelliera delle “stecche” per la scelta dello “strumento”, dal proscenio si levò un “ooohhhh!” di stupore.
Broccolino, che si stava scaldando da oltre mezz’ora, provando stecca personale e tiro sul campo di gara, quando si vide porgere la mano dall’emerito sconosciuto e capì che sarebbe stato il suo sfidante, cercò con lo sguardo, in mezzo al pubblico, il sor Cesare.
Ma il sor Cesare, già all’ingresso della delegazione in campo, vedendo quel volto non conosciuto ed avendo frequentato le più titolate sale da biliardo della Capitale, aveva avvertito un disagio crescente, intuendo che qualcosa non andava, e mentre lo sguardo del Broccolino monitorava la sala alla sua ricerca, egli era già arrivato, col suo incedere sincopato alla porta della Presidenza, aveva bussato ed era entrato, carico di dubbi e foschi presagi.
All’interno trovò un Signor Battista piuttosto agitato, intento a riempire una valigetta con documenti ed effetti personali. Messo al corrente della situazione imprevista, non mostrò grande interesse.
La cosa non sorprese il sor Cesare, che aveva già notato altre volte la stranezza del personaggio e la poca partecipazione alle vicende del Circolo, ma in quella circostanza la cosa lo preoccupò particolarmente e con maniere energiche e parole spicce lo convinse a recarsi nella sala del biliardo.
Quando entrarono nell’arena strepitante, i due contendenti stavano “arrotando” le stecche col “gessetto”, le due palle parallele, pronte per l’accostaggio che avrebbe determinato il diritto al primo tiro.
Il presidente del Circolo Culturale, riavutosi dal suo torpore, afferrò energico il microfono e col suo stile forbito richiese ed ottenne il silenzio assoluto ed attaccò:
“Questa straordinaria disfida è stata sempre disputata da concorrenti locali, poiché mi sembra di capire che il signor…?”
Qualcuno dal pubblico mormorò: “Aurelio” ed il sor Battista, “che il signor Aurelio, non fa parte del consesso paesano, senza alcun’offesa per lei, evero, ritengo che soltanto il benestare del nostro caro Broccolino possa autorizzare l’avvio di questa nobile tenzone.
Diversamente ci vedremmo costretti ad annullare la gara.”
Il suo parlare magniloquente e la velata minaccia di una serata tanto bramata mandata in fumo, colpì la platea che, insolitamente silenziosa, rivolse la sua attenzione al campione del Circolo.
Il Broccolino non conosceva la paura anche se le viscere consigliavano, col loro sommovimento pericoloso, una certa cautela.
Guardò il tavolo della giuria e finalmente incrociò gli occhi del sor Cesare che inviò il messaggio tramite lo scuotimento orizzontale della testa: “NOOO!”.
L’allievo, nel silenzio più assoluto, vide in quell’interminabile attimo sfumare la possibilità di passare alla storia delle sfide cittadine come colui che aveva respinto l’assalto straniero alle mura del suo “Circolo”. Così, forte della propria sbruffoneria, tuonò il fatidico: “SI !!”.
La sala scoppiò in un irrefrenabile giubilo, alimentato soprattutto dai “nostri” conosciuti furbacchioni che unici in quel consesso si potevano leccare i baffi, davanti ad un bel Broccolino cucinato arrosto con patate.
Ad un imperioso gesto del temuto probiviro Chieti la sala zittì.
Il sor Cesare inquieto fumava nervosamente l’ennesima “muratti”.
Col classico scorrimento delle stecche sul pollice e l’indice della mano sinistra formanti una forcina, il tocco impercettibile del puntale sulla palla, s’iniziò il match.
Era l’accostaggio per stabilire chi, dei due contendenti, dovesse tirare per primo.
Il dolce ruotare delle sfere verso la sponda di partenza. Il silenzio. Gli ultimi impercettibili giri delle palle.
Quella del Broccolino ferma ad un centimetro dalla verde proda, l’altra a baciare.
Un vulcano eruttò nella sala, scaricando tutta la tensione accumulatasi nelle ultime giornate, ore, minuti e furono rombi, lava, cenere e lapilli.
Finalmente si giocava.
Al primo tiro, del primo “quarantotto”, Aurelio mandò con tocco perfetto la palla avversaria sui piroli che crollarono tutti sul panno e poi come telecomandata terminò la corsa nelle fauci della buca.
“Due.. quattro.. sei.. otto…e quattro fanno dodici, più due della buca: quattordici!!!” compitò il “Barone” Armando addetto alle “palline” colorate che segnavano i punti dei due contendenti.
I supporter del Bar esultarono a lungo, il Broccolino guardò sconcertato verso il posto occupato in precedenza dal sor Cesare, ma lo trovò vuoto come il suo stomaco secernente acidi gastrici letali.
Il presidente col Cesare ed il segretario Cingoletti erano chiusi nel salottino attiguo.
Dopo un breve parlottare decisero che il Cingoletti Mario, centralinista del Posto Telefonico pubblico, avrebbe raggiunto la sua postazione giornaliera e preso contatto coll’Associazione nazionale biliardo per scoprire qualche cosa sul conto del misterioso straniero.
Già al primo colpo il Sor Cesare aveva capito con chi avevano a che fare.
Al “Commercio”, Aldo sostava dietro la vetrina del suo bar vuoto e si godeva in pace l’ennesima “esportazione” senza filtro, guardando, in lontananza, le finestre illuminate del Circolo e prestando orecchio ai rimbombi che da esso giungevano.
Era certo del risultato finale della gara e comunque mai era andato in campo avverso, i suoi piedi si sarebbero rifiutati di varcare l’odiata soglia.
Nella piazza vuota, illuminata fiocamente dai lampioni, comparve all’improvviso, strisciando rasente i muri, una figura sghemba, con le lunghe gambe magre che aravano rapidamente l’asfalto.
Quando fu di fronte alle vetrate del Bar Commercio, istintivamente gettò uno sguardo sfuggente all’interno, ma fosse per i pensieri che gli correvano in testa o per la miopia cronica, non vide nemmeno lo sgradito spettatore di quella sua cavalcata notturna e proseguì “stortignaccolo” verso il posto telefonico pubblico, laggiù in fondo alla piazza.
Il sor Aldo invece lo aveva riconosciuto subito e cominciò a preoccuparsi: “Il Cingoletti, durante la gara che va al lavoro? Non può essere…a meno che…”.
Nella sala fumosa, la partita si stava trasformando da tragedia in farsa.
All’inizio il pubblico seguiva con partecipazione rumorosa la sfida ed era attento e nervoso, ma coll’andare delle carambole, dei colpi più spettacolari dell’Aurelio e di contro coll’affannarsi di Broccolino che oltre a non raccogliere un punto, non riusciva nemmeno a colpire la palla avversaria, cominciò a rumoreggiare all’unisono.
In aria già volavano cartocci di vecchi giornali e la situazione rischiava di degenerare.
Alla caserma dei carabinieri il maresciallo Casella si apprestava a salire sulla camionetta con due militi, il suo volto inespressivo nascondeva un gran turbamento, la destinazione era il Circolo Culturale.
Il centralinista Cingoletti dopo aver armeggiato nervosamente con gli spinotti, ottenne la comunicazione desiderata. Dopo le prime risposte alle sue domande, il suo volto scheletrico da cinereo divenne nero di rabbia, le spesse lenti da miope volarono in aria.
Lasciata la comunicazione aperta e il posto incustodito, si precipitò di gran carriera, per quanto consentitogli da quella struttura dinoccolata, nella direzione del Circolo.
Il sor Aldo che non s’era spostato d’un centimetro dal primo passaggio, assistette al secondo con turbamento misto a disperazione: era del tutto evidente che la “partita” si metteva male ed allora spense le luci, serrate le porte, prese cappello e data la buonanotte ai “suonatori”, si recò da Venanzia, eterna consolatrice delle anime in pena.
Mentre la camionetta dei carabinieri parcheggiava davanti al cinema, locale attiguo al Circolo, ed il segretario Cingoletti imboccava di gran carriera la rampa delle scale del medesimo, una lussuosa Lancia “Ardea” arrivava da Perugia con all’interno tre signori di gran classe, vestiti con abiti scuri e garofano all’occhiello, accompagnati da altrettante signore emananti grande charme.
Nella sala biliardo del Circolo la partita era giunta all’ultimo atto.
Dopo il primo “48” a zero punti, anche il secondo stava terminando nella stessa maniera.
Il Cingoletti irruppe concitato in sala, si precipitò al tavolo del presidente e, dopo un breve conciliabolo col sor Cesare, afferrò il microfono, accese l’amplificatore e chiese con voce tremolante il silenzio.
L’Aurelio, con la stecca in mano, non riuscì a tirare un “rinquarto” finale che avrebbe sancito la fine delle ostilità.
Il signor Battista, presidente del Circolo della Cultura, prese la parola con aria solenne:
“l’incontro ha da considerarsi nullo, lo sfidante sig. Aurelio Fanti è un professionista, campione della Lombardia, pertanto la vittoria va a tavolino al signor Broccolino, campione del nostro Circolo, ora ci attendiamo pubblicamente le scuse da parte dei rappresentanti del bar Commercio.”
Dopo pochi attimi di sbalordito silenzio, la sala esplose in un boato di proteste, accuse, invettive e contraccuse.
I più facinorosi dei campi avversi cercarono di passare alle vie di fatto, ma non vi riuscirono perché irruppe nella sala, con tutta l’autorità conferitagli dalla divisa e dal categorico cipiglio, il maresciallo Casella coi due carabinieri: le parole che pronunciò dal microfono fecero il resto.
“Signor Battista, la prego di seguirci in caserma: la dichiaro in arresto per falsa identità, truffa aggravata, appropriazione indebita, falso in bilancio, peculato ed abbandono del tetto coniugale.”
A questa terribile sentenza il falso signor Battista divenne paonazzo e svenne.
Soltanto in seguito si seppe che don Ciccillo Chiuccio, noto truffatore di Aversa, discendente da una nobile famiglia del posto, aveva sin da giovane dissipato la sua esistenza con ogni sorta di mal comportamenti, girovagando per l’Italia, inseguito da mandati di cattura fino ad allora andati a vuoto ed approdato per l’ennesimo raggiro al paese che ben conosciamo.
Ma torniamo sulla scena del “delitto”.
Nell’accumularsi di tutti quegli avvenimenti, nessuno aveva notato l’arrivo in sala dei tre signori in redingote e delle signore in abito lungo, ma dopo che il Chiuccio ripresosi dal malore era stato trasferito nella locale galera, lo sbalordimento di tutte e due le compagini lasciò il campo alla curiosità per quell’insolita compagnia.
E come nella vita ogni dolore è mitigato dalla ricerca di una consolazione che aiuti a tirare avanti così in quell’amara circostanza il dottor Pecchio, facente funzione di Presidente pro-tempore, presentò con il microfono i fratelli Angeletti: il cavalier Virgilio e il professor Gianni, con le rispettive consorti, benemeriti del paese e ben introdotti nei migliori circoli del capoluogo.
Essi stessi presentarono il terzo Signore: il Campione del Mondo in carica Pablo Suarez, a Perugia per un’esibizione al famoso Circolo dei Filandoni e grazie a loro qui in sala per una pubblica dimostrazione individuale.
A questo stupefacente annuncio fece seguito un uragano di applausi, urla, grida e fischi alla pecorara (Alberto, Mondrioni e soci).
Altrettanta gioia non poteva provare il povero Ciccillo Chiuccio che dalle sbarre della piccola cella, privato delle stringhe delle scarpe e del suo papillon, meditava amaramente sulla sua vita scellerata e contemplando il cielo stellato ricordava le parole di suo padre: “Attento Franciè, le palle male adoperate giocano sempre brutti scherzi!”.
Sotto quello stesso cielo, ma in tutt’altra posizione, nella campagna silenziosa, una macchina di grossa cilindrata col motore spento era comunque scossa da convulsi fremiti.
All’interno, Giovanni Tettavalle stava raggiungendo l’estasi per merito dei pregevoli servigi orali dell’avvenente salumaia.
Al chiarore della luna, qualche chilometro più in là, il Sor Quintino ed il compar Zerbino, fregandosene di tutte quelle stronzate paesane, attendevano fiduciosi l’arrivo di uno stormo di pasciute beccacce.
  Sesso in confessionale
 Erano le cinque di pomeriggio, Gianni stava giocando con i suoi amici al pallone, lui era il portiere. L’attaccante della squadra avversaria scarta l’ultimo difensore, è di fronte all’ultimo difensore, Gianni doveva fare subito qualcosa, di scatto corse verso di lui, ma l’attaccante lo scartò con disinvoltura e a porta sguarnita era pronto per il goal che avrebbe di sicuro cambiato l’esito della partita. Gianni non si perse d’animo e tentò l’impossibile per togliergli la palla che stava calciando, Si buttò su di lui come solo i giocatori di rugby sanno fare ma invece di puntare alla palla afferrò i pantaloncini dell’attaccante e quasi glieli strappò, cadendo tutti e due a terra. Come si rialzarono tra i fischi ed i sorrisi dei giocatori e le urla dei tifosi Gianni notò in sé un qualcosa che mai prima d’allora aveva notato, non solo l’imbarazzo per la scena ma la nudità del giocatore che lo attirava. L’attaccante insozzato per il goal mancato, forse non si era reso conto che aveva i pantaloncini abbassati, alzò lo sguardo in alto stringendo i pugni sulla testa... Cercò di correre verso il palo della porta e irrimediabilmente cadde come un pesce lesso. Ma la cosa strana e che Gianni non distoglieva lo sguardo dalle rotondità del calciatore. Il calciatore si rialzò di scatto e come si alzò i pantaloncini andò verso Gianni con uno sguardo inferocito, per fortuna intervenne l’arbitro che ammonì il portiere e concesse il rigore alla squadra avversaria, che inesorabilmente l’attaccante sbaglio mandandola fuori. Quella noiosa partita di calcio movimentata solo dal piccolo incidente finì 0-0. Quando tutti andarono negli spogliatoi Gianni fu preso di mira e più di uno fece delle allusioni alquanto imbarazzanti, e lui rispose che si era trattato di un incidente involontario, anche perché spiegare l’accaduto lo rendeva stranamente nervoso.
 Nella notte Gianni non riuscì a dormire dentro di sé qualcosa stava cambiando, ma avrebbe preferito che ciò non succedesse. A 18 anni non si possono capire delle verità che ti possono sconvolgere la vita.
 Ma cosa era poi quella strana attrazione ?...... se la spiegò così, probabilmente era da molto che non vedeva la sua ragazza, a volte il desiderio gioca veramente dei bruttissimi scherzi. Il giorno dopo andò agli allenamenti un po’ frastornato sperando che nessuno gli ricordasse l’avvenimento di domenica pomeriggio. Irrimediabilmente il suo miglior amico lo stuzzicò, e Gianni reagì dandogli un cazzotto, si azzuffarono per bene e dovette intervenire l’allenatore a separarli Gianni andò via col labbro rotto e con dentro una rabbia indescrivibile. Non andò agli allenamenti per un bel po’ a chi lo incontrava per strada assicurava che era rimasto indietro con gli studi, se non si metteva sotto rischiava di perdere l’anno; anche se studiava molto, quel pensiero non voleva andarsene dalla mente, era diventato il suo incubo. Nel fine settimana la sua ragazza ritornava in città era stata per un mese col padre separato dalla moglie. Quando la rivide l’abbraccio così forte come un naufrago che si aggrappa al salvagente la invitò a casa sua per il sabato sera, i suoi erano andati ad una festa e sarebbero rincasati molto tardi, quale migliore occasione per avere delle conferme. Faceva un freddo quella sera si raggomitolarono sul divano col camino acceso sotto una bella coperta, e iniziò a baciarla in maniera quasi ossessiva, tanto che la ragazza lo frenò per un attimo, chiedendogli come mai tutto quell’impeto. Lui rispose affermandogli che gli era mancata veramente tanto e che aveva un gran voglia di sentirla sua. Iniziarono a spogliarsi spargendo gli indumenti attorno al divano, lui aveva una gran voglia, almeno così credeva, ma sul più bello rivide la scena successa in campo ed immaginò che la posto della ragazza ci fosse il giocatore purtroppo si bloccò e non riuscì ad andare avanti.
 La ragazza che ormai era al massimo dell’eccitazione non capì quel suo frenarsi.... Non non capendo più niente gli chiese soltanto se per caso avesse conosciuto qualcun’altra e questo avrebbe spiegato quel suo abbraccio così focoso quando la rivide, e il blocco in quel momento. Lui non sapeva cosa dire, si sentiva come il peggior verme della terra. Si trincerò nel suo silenzio con tanti se e neanche una conferma. La ragazza alquanto indispettita gli tirò uno schiaffo e gli chiese se per caso avesse conosciuto un’altra era meglio che lo sapesse da lui e non dagli altri altrimenti sarebbero stati guai. Lui si giustificò sostenendo che forse era dovuto alla pressione dello studio e il non seguire più gli allenamenti. Lei non volle credergli e si rivesti velocemente e se n’andò senza neanche salutandolo. Gianni non dormì nella notte, perché proprio a lui.... che male aveva fatto per soffrire a quel modo, ma non capiva che era giunto il momento che si rivelasse la sua vera natura.
 Il giorno dopo non andò a scuola voleva sfogarsi con qualcuno, capire cosa gli stesse succedendo. Decise che sarebbe andato in chiesa a parlare col parroco tanto in confessione non avrebbe riferito ad anima viva quello che avrebbe raccontato……… Dopo la messa dei vespri andò dal parroco che tra una cerimonia e l’altra, confessava. Andò con aria molto dimessa in chiesa non c’era nessuno pensò meglio così la vergogna sarebbe stata alleviata. Arrivò il suo turno s’inginocchiò sullo sgabello e il prete iniziò la preghiera rituale. E gli chiese che peccati avesse commesso, ma Piero non rispose si vergognava troppo per dirlo. Allora il prete decise di elencargli i dieci comandamenti ed anche se non voleva dire quel che aveva commesso, con un sì avrebbe capito di che si trattava. Arrivò agli atti impuri e lì Gianni scoppiò in lacrime. Il parroco a questa reazione si stupì ed uscì dal sagrato.
 Chiese a Gianni il motivo delle sue lacrime e gli domandò se avesse ingravidato la sua ragazza. Gianni rispose: ”Peggio molto peggio”.
 Il prete rimase allibito, lo invitò in sacrestia e gli diede un bicchiere d’acqua per calmarlo, lo avvicinò a se solo come un padre sa fare con suo figlio. A quel contatto umano Gianni si calmò e affermò che gli avrebbe spiegato tutto. Si sedette al suo fianco e gli raccontò tutto quello che gli stava accadendo, e gli specificò che stava provando attrazione fisica per individui dello stesso sesso. Il prete sorrise al suono di quelle parole, con una strana tenerezza e con un po’ d’amarezza gli accarezzò il viso e disse: ”Non preoccuparti Gianni è naturale quello che tu provi. Io per sfuggire a queste voglie mi sono rifugiato nel monachesimo; ma non è servito a nulla; sono parte di te non puoi dominarle, sono come il tuo carattere col tempo smorzi gli spigoli ma il nucleo rimane quello.
 Se ti va di amare un uomo amalo non avere paura , è naturale purché tu sia cosciente di quello che fai” Nel sentire quelle parole Gianni si sentì sollevato, poteva finalmente condividere questo segreto con qualcuno che lo capiva fino in fondo. Per cinque minuti non si dissero nulla si stavano conoscendo con lo sguardo perché volevano entrambi la stessa cosa. Il parroco gli mise la mano sulla coscia si dettero un bacio molto passionale, Gianni iniziò a toccarlo ovunque e come lo baciava con quelle labbra carnose.
 Il parroco chiuse la sacrestia si tolse la tunica e sotto mostrava un fisico asciutto ma per niente sfatto, e avanti aveva un piccolo gioiello. Gianni iniziò col baciarlo ed iniziò a fargli un pompino, mentre il parroco lo stava spogliando, gli fece i complimenti per il suo fisico atletico. Iniziò a massaggiargli il sedere lo voleva penetrare; in un primo momento Gianni tentennò ma poi con le rassicurazioni del prete si convinse. Un piccolo sibilo ruppe il silenzio della sacrestia e dei movimenti ritmici e scanditi, il prete stava sfogando gli anni d’astinenza, erano sempre più forti. Gianni dovette mettere la mano sulla bocca per non far sentire quanto stava godendo. Era la prima volta per lui, si era sentito veramente appagato, si era diventato un uomo. Mentre il prete stava per venire lo baciò bramosamente sul pene eretto di Gianni. Come venne il parroco poi fu la volta di Gianni, gli fece un pompino da favola quasi se lo divorava. Il parroco si fece venire in bocca e poi col caldo sperma baciò sulle labbra Gianni; si rivestirono frettolosamente e Gianni lo lasciò con una promessa che avrebbe mantenuto il loro piccolo segreto. Da quel giorno in paese molti si accorsero di quanto era cambiato Gianni e di quanto era diventato “religioso”.
 Un papà violento
 “Sei una vergogna!” l’urlo di suo padre riusuonava per il corridoio. Suo padre la picchiava sempre, per ogni cavolata gli venisse in mente.
“Hai lasciato lo spazzolino sul bordo del lavandino! Non hai neanche avuto la voglia di metterlo nella tazza!”
“Hai scheggiato un piatto!”
“Non hai ancora fatto il tuo letto”
“Cos’è questo votaccio?”
E partiva lo schiaffo.
“Mi fai schifo!”
“Dove vai conciata così?”
“Non portare i capelli sciolti, sennò ti stuprano!”
“Passi il tempo a disegnare scarabocchi e non ti impegni mai seriamente per lo studio!”
E partivano i pugni.
“Hai iniziato anche a fumare! Sei proprio una puttanella…”
“Struccati, che non è carnevale! Sgualdrina!”
“Perché sei così tornata a casa così tardi? Non me ne frega un cazzo delle tue scuse, Puttana!”
E via con i calci. Il la che porta al tango di sofferenze e lividi. Suo padre la picchiava e questo poteva almeno sembrarle normale: un po’ di terrore psicologico per farla crescere, almeno fino ai quattordici anni. Suo padre, dopo la classica botta, le palpò il culo. Ed Erika sentì un’orribile schifo dentro, che cresceva violento in una morsa inconfondibile. Lo sentiva come un conato di vomito. La sua innocenza spazzata via. La purezza che scivolava via come un fiume in piena. Nulla aveva più senso, nemmeno lo schifo imperturbabile del suo sentirsi in reggiseno e mutandine tra le lenzuola del letto matrimoniale. Aveva un freddo che le mangiava le sinapsi.
Sì. Quel giorno, Erika decise che non avrebbe più sofferto. E si tagliò il clitoride, con un paio di forbici da cucina. Scappò, in fretta e furia, con una valigia. Scappò da un suo amico di ventotto anni che abitava a Milano, in un appartamento in Piazzale Loreto, con pochi vestiti, pochi spiccioli, una matita, un blocco da disegno, il lettore cd, il primo album dei Doors e le sigarette rimaste. Indossava un vestito corto, di seta nera sotto un lungo cappotto scuro e un paio di all stars sgualcite. I capelli lunghi che le svolazzavano ovunque.
Erika non avrebbe mai fatto più sesso. Avrebbe rinunciato a ciò che gli adolescenti cercano di ottenere prima della loro laurea. Mai più. nessuno l’avrebbe più penetrata, neanche con il dito, neanche in sogno. Lei esisteva solo per dominare. Per questo è diventata una mistress. Ma Erika deve anche punirsi. Ogni volta che picchia un uomo o una donna che la paga, lei deve sentirsi picchiata. Non può trasformarsi in suo padre. Non può. Vuole sentire gli schiaffi su di se, rivivere ancora una volta quel terrore e sentirsi quotidianamente chiamare “Puttana!”.
Erika è lesbica, ma ha un ragazzo. Lui si chiama Samuele, ed è gay. Sta con lei perché è un master e soddisfa le sue richieste di violenza. Si tradiscono vicendevolmente e fingono di amarsi, perché se Samuele racconta le sue esperienze omosessuali mentre picchia Erika, l’esorcismo funziona meglio.
Samuele è magro come un chiodo ed ha le guancia scavate. I suoi occhi grandi entrano in contrasto con il volto bislungo e il fisico acerbo. Ha la pelle un po’ rovinata, perché fuma troppo e delle occhiaie lunghe come scivoli. Non si direbbe, dal fisico gracile che ha, che abbia dei pugni forti. Ma credetemi, è proprio così. Lui ti sputa rabbia addosso come un viscido serpente e vuole vedervi soffrire, senza pietà.  Una volta, Erika si è lasciata picchiare dal sottoscritto. Samuele non era a casa, era in gita con un suo frequentante, ad Ibiza. Era in preda alle lacrime e il suo viso sembrava essere stato stracciato da un demonio inferocito. Venne a trovarmi con il cuore in mano, mentre lentamente le toglievo il vestito rosso vino che indossava. Lei mi raccontava ogni punto dell’incontro giornaliero e le abbassavo le spalline del reggiseno nero: “Il tipo di oggi si è lasciato violentare parecchio. Era molto misogino ,sai e, fargli del male è stato piacevole. Vedendo che lui era molto magro, gli ho detto che ci saremmo scambiati i vestiti. Lui si è messo questo vestito rosso e io il suo abito nero, con camicia bianca e cravatta di seta. Mi andava un po’ largo e sentivo il suo odore forte di Malboro rosse. L’ho fatto inginocchiare…”  Le sfilavo le mutandine.
“…e le ho messo in bocca le mie mutandine di pizzo.” Le stesse che le stavo sfilando. “Gli ho detto ‘mastica!’ e lui ha iniziato a masticare…sempre più forte. Allora gli ho detto ‘Sei una puttana dalla fica bagnata!’ e lui è scoppiato a piangere…che schifo!”
“Cosa vuoi che ti faccia?”
“Devi rimproverarmi, se vuoi che funzioni.” Non volevo ferire quel corpo così bello, non mi sembrava per niente giusto. Lei non era uno di quei maiali obesi con gli occhiali e la moglie che li aspetta a casa, con il polpettone fumante in mano. “Poi voglio che mi picchi, anche se ti pregherò di fermarti. La parola di sicurezza, quando vorrò smettere, sarà ‘malinconia’, hai capito?”
Annuii.
“E ti chiamerò papà. Pensi di farcela?”
Annuii un’altra volta.
Cercavo di scaldarmi, ma non funzionava. La picchiavo senza farle troppo male. Non riuscivo a sfogare la mia violenza.
E quella parola, malinconia, non arrivava mai. Mai. E io che volevo solo salutarla con un bacio, trovai impossibile persino chiamarla per nome.
“Papà! Ti prego! Ti prego, papà!Non fottermi! Ti prego!” gridava Erika stentando le lacrime, mentre mi scambiava per suo padre. E io le sedevo sopra, cercando di simularne l’orrendo incesto. Fu quando la sfiorai nell’interno coscia che lei sbottò: “Malinconia! Malinconia! Malinconia”, gridava come nessuno avevo mai sentito gridare. Mi disse che non voleva essere toccata lì.
“Perché?” sussurrai.
“Mio padre si è preso la mia verginità” disse tra le lacrime. “Quel fottuto uomo di merda, quel porco bastardo si è portato l’unica cosa che dà dignità ad una ragazza in questo mondo di merda!”
“Ma devi reagire, Erika…Non puoi vivere con questo pensiero. Tuo padre…”
“Io sto reagendo. Mio padre è morto. L’ho ucciso io!”
“Sul serio?”
“è difficile da spiegare. Un giorno ho pensato ‘lui deve morire’ ed è morto sul serio, attacco di cuore. mi sono tagliata il clitoride, per colpa sua. E non me ne frega un cazzo. Spero solo che l’apocalisse arrivi al più presto e che spazzi via tutta questa gente schifosa.”
“Perché? Perché l’hai fatto? È come se gliel’avessi data vinta!”
‎"Credi che questo sia il gesto di una donna debole? Questo è il mio potente, potentissimo vaffanculo a tutto il sesso maschile. Che possiate morire tutti, pezzi di merda. Salverei solo te, Thomas e Samuele. Solo voi tre."
“Perché proprio noi?”
“Perché siete gli unici a darmi quello che voglio. Espiazione. Solo voi riuscite a darmi la felicità che cerco e persino la tristezza per cui agonizzo, il mio obiettivo. Voi non mi avete mai spiato dentro la camicetta, non mi avete mai guardato il culo con lo sguardo assorto. Con voi sono una donna, una persona… non sono più lo schifo di questo mondo, la sua spazzatura.” E le lacrime riprendevano.
“Ti capisco…” E lei mi bloccò, nonostante avessi una frase pronta per essere espulsa.
“Il mio problema…” sbottò, tra le lacrime amare, come rivoli di sangue da una tempia annullata da uno sparo “è che voglio distruggere tutto. Ma non funziona come in quei film di Hollywood dove il cattivo distrugge tutto con la solita risata diabolica… io voglio anche essere distrutta, voglio anche essere combattuta, sconfitta. Voglio sentirmi usata, ma usare e depravare allo stesso tempo. Ed è questo che più odio di me. Perché quelli come me, così indecisi, non hanno futuro. Non c’è futuro per chi è grigio. Bisogna essere o bianchi, o neri. Nessuna scusa.”
“In questa società non c’è redenzione. Non c’è futuro per nessuno. Anche coloro che pensano di essere al loro posto, loro sono solo la merda di quelli che sono venuti prima. E la cosa brutta è che loro sono ignoranti di questo, ma sono molto più felici di me, che lo so e non ho ancora un posto nella società”
“Noi facciamo questo lavoro illudendoci che possa portarci da qualche parte, in realtà stiamo solo ricostruendo il passato, mentre il futuro ci vomita addosso il nulla. Tra vent’anni ne usciremo distrutti”
“Tanto voglio morire giovane.”
“A me non importa, se giovane o vecchia, voglio morire insieme ad una persona che mi dica ‘Ti amo’, senza dovermi cercare le labbra tra le gambe. Voglio qualcuno che tenga a me, senza sentire il bisogno di toccarmi i seni. Voglio affetto, non voglio un sessuologo. Voglio essere chiamata ‘tesoro’, e non ‘troia’ o ‘vacca’. Sai, cosa, non mi dispiacerebbe morire insieme a te.”
 Mia moglie con il nero
 A me e mia moglie Laura è sempre piaciuto parlare e sognare durante le nostre scopate, quando io le chiedevo al colmo dell’eccitazione che uomo le sarebbe piaciuta scoparsi, lei rispondeva sempre “ho voglia di fottermi un nero”, io la incitavo a cercarselo ma poi questo rimaneva nei sogni.
In aiuto di me e Laura venne l’invito a una cena di gala presso un’ambasciata, a questa cena erano presenti funzionari delle varia ambasciate accreditate in Italia, tra questi vi era “Josef”, gran bel ragazzo afro americano, questi la corteggiò dall’inizio alla fine del ricevimento, la invitò a ballare e durante uno dei balli Josef le passò un biglietto da visita con i suoi numeri di telefono, aggiungendo che gli sarebbe piaciuto invitarla un giorno a pranzo..
Mentre eravamo di ritorno a casa mia moglie mi raccontò tutto, mentre lo faceva la sentivo eccitata, raggiunsi la sua fica ed era un vero lago, a casa trombammo come fosse stata la prima volta. Nei giorni seguenti invitai più volte Laura a chiamarlo, lei non voleva farlo per paura che poi tra noi qualcosa si guastasse, infine le mie insistenze la convinsero a mandargli un messaggio, dove spiegava, che pur ritenendosi lusingata del suo invito a pranzo non poteva accettare per il fatto di essere sposata, poi seguirono i saluti.
Josef rispose immediatamente, con un ringraziamento per essersi fatta viva e chiese se poteva chiamarla per scambiare due parole, mia moglie rispose di si, indicandogli l’ora in modo che io fossi presente.
La sera all’ora stabilita Josef chiamò, parlarono per un po’, poi lui le chiese se almeno era possibile prendere un caffè con lei.
Laura accettò e si diedero appuntamento per il giorno dopo in bar del centro, quando si incontrarono lui aveva in mano una rosa rossa e un pacchetto di cioccolatini francesi dei quali le fece dono.
Dopo aver parlato per circa un’ora seduti al bar, dove Josef tra le tante chiacchiere, le disse che da lì a sei mesi avrebbe lasciato l’Italia, in quanto il suo mandato stava per scadere, poi la invitò a casa sua, ovviamente Laura rifiutò l’invito, intanto lui continuava a farle complimenti a non finire, si stavano salutando quando lui le chiese se almeno sarebbe stato possibile prendere un caffè a casa nostra, Laura rispose che avrebbe dovuto pensarci su e che gli avrebbe fatto sapere.
La sera mi raccontò il tutto, mi disse che mentre parlava con lui, sentiva l’eccitazione salire fino a sentirsi bagnata, mi confessò che avrebbe voluto scoparselo subito e che comunque notò il rigonfiamento dei suoi pantaloni di lino bianchi aumentare di volume all’altezza del cazzo.
Scopammo ancora una volta da matti, l’eccitazione ci travolse, poi decidemmo che l’invito doveva essere per il sabato mattina successivo dal momento che anche io ero libero, intanto loro due continuarono a sentirsi nei giorni seguenti anche un paio di volte al giorno, finché Laura gli disse che per lei era possibile invitarlo per il sabato mattina dal momento che io ero fuori per lavoro e non sarei rientrato che in tarda serata.
Non puoi capire la nostra eccitazione al solo pensiero del sabato, sembravamo presi da raptus sessuali, eravamo letteralmente persi, tanto io che Laura, la notte ci svegliavamo scopando di nuovo.
Venne finalmente il sabato, mia moglie lo aspettò in accappatoio bianco cortissimo, il suo corpo ben abbronzato risaltava in modo fantastico sotto l’indumento, ovviamente sotto non indossava nulla e i peli folti ma ben curati della fica tracimavano fuori dall’indumento.
Josef arrivò all’ora stabilita, io rimasi al piano superiore, da dove potevo vedere il salotto e loro due senza essere visto, quando lo accolse lui rimase di sasso, era perso, non sapeva dove guardare, ma Laura lo tolse subito dall’impaccio, lo circondò con le braccia e lo baciò in bocca, io ebbi subito una scarica di adrenalina, intanto lui le mise una mano sotto l’accappatoio e prese ad accarezzarle un seno, poi si abbassò e iniziò a succhiarle il capezzolo, pochi istanti dopo vidi la mano di Laura indugiare sulla sua lampo del pantalone, mi resi conto che era assatanata e che non vedeva l’ora di avere il cazzo a sua disposizione.
Erano ancora in piedi davanti al divano, quando i pantaloni di lui calarono a terra, Laura si girò leggermente per far in modo che io vedessi l’arnese di lui, poi esclamò “no non è possibile, non può essere”, in effetti aveva ragione, il cazzo di Josef era spropositato, anche se io non posso lamentarmi, poi tirandosi indietro si inginocchiò e prese a leccarlo dalle palle tenendo l’asta in mano, io non vedevo l’ora di vederlo sparire dentro la sua bocca, mentre lo leccava con l’altra mano prese a slacciargli le scarpe, lo fece sedere e gli tolse il pantalone, lui si era nel frattempo tolto la giacca e la camicia, il suo corpo perfetto e ben armonizzato era in tutta evidenza, intanto Laura aveva ripreso da dove aveva lasciato, ora la vista per me era migliore, lei era sempre in ginocchio sul pavimento, quando gli prese il cazzo in bocca e se lo sprofondò in gola rimasi allibito, per oltre quattro dita rimaneva fuori, eppure conoscendo Laura, sapevo che lei riesce a farsi trapassare le tonsille.
Il pompino non durò molto, infatti Laura dopo poco si mise cavalcioni sopra di lui, prese la pertica e la indirizzò verso la sua magnifica fichetta, la vidi pian piano abbassare il bacino fin quando il cazzo scomparì per tre quarti dentro di lei, intanto io sudavo freddo, avevo il cazzo in mano e dovevo trattenermi per non godere subito, mi dissi che sarebbe stato un peccato, non volevo rompere l’incantesimo, perciò smisi di segarmi, mi imposi di guardare soltanto, ora vedevo mia moglie roteare il bacino sopra il cazzo di lui, era fantastico vedere il culetto di lei, che se pur abbronzato contrastava con il colore della pelle di Josef, incominciai a sentire mia moglie affannata, i suoi miagolii si fecero più intensi fin quando un urlo bestiale le schizzò fuori dall’ugola, poi ancora un altro e un altro ancora, so bene che quando Laura è arrapatissima gode a ripetizione.
Josef la prese per il bacino e la tirò in su, si tolse da sotto, la fece distendere sul divano, prese una sua gamba e la poggiò sopra la spalliera del divano, ora Laura aveva la fica a portata della lingua di Josef che prese a leccarla, vedevo la sua lingua scomparire dentro di lei, lo vedevo spingersi in dentro, intanto con un dito masturbava il grilletto, mi era possibile vedere la sua asta dritta come un fuso, ogni tanto la vedevo sbattere sul suo ventre, Laura era completamente persa, si tirava i capelli, poi le sue dita finivano sulla fica per allargarla tirando le labbra all’infuori, Josef decise che era giunto il momento di godere, la fece mettere in ginocchio sul divano e la impalò da dietro, ora le urla di mia moglie erano si di goduria ma anche di dolore, infatti gli chiese di non sprofondare completamente dentro di lei, a quella richiesta Josef aumentò la velocità della scopata, capii che stava per godere, non mi sbagliavo dopo un attimo lo vidi tirarsi indietro e segandosi leggermente schizzò una mare di sborra sopra la schiena e le natiche di Laura.
Caro lettore non ci crederai ma fino a quel momento Laura e Josef non si erano detti nulla, se non “buongiorno” quando lui è entrato in casa nostra, questo la dice lunga su quanta voglia aveva mia moglie di scoparselo, dalle loro bocche uscirono solo parole intrise di sesso durante la scopata, intanto lei si fece detergere la sborra con il suo accappatoio, poi lei ripulì la cappella di lui con succhiando il nettare rimasto.
Josef le chiese di andare in bagno e Laura gli indicò quello della sala, intanto disse a Josef che lei sarebbe salita a farsi una doccia, quando salì, mi trovò con il cazzo in piena erezione, volli scoparla subito, per prima cosa la leccai per benino, il sapere che era stata profanata da quel cazzo nero mi eccitava da morire, la succhiai come una caramella, il sapore della sua goduria era come al solito meraviglioso, poi la scopai, godetti in pochi secondi dentro di lei.
Chiesi a Laura se intendeva scoparlo ancora quella mattina, lei rispose che le sarebbe piaciuto, ma non sapeva se lui era della stessa intenzione, comunque chiesi a lei di non lavarsi la fica dentro, mi sarebbe piaciuto che nel caso avessero scopato di nuovo, lui succhiasse la mia sborra, poi aggiunsi che se voleva poteva farsi trapanare il culetto, lei rimase allibita, mi guardò e disse; “ma davvero credi che quella pertica entrerà nel mio culetto?”, risposi di provarci perché mi sarebbe piaciuto da morire.
Quando Laura ridiscese trovò ancora lui nudo seduto sul divano, ebbi la conferma che Josef non voleva terminare con una sola scopata, poi sentii lei che diceva a Josef “ora ci facciamo un bel caffè”, i due si trasferirono in cucina, li sentivo parlottare ma non capivo cosa si dicessero.
Trascorsero circa venti minuti prima di sentirli salire in sala, io non stavo più nella pelle, non vedevo l’ora di vederli di nuovo all’opera.
Finalmente i due ricomparvero, lui si tolse il pantalone, il cazzo era mostruoso anche in fase di riposo, scendeva penzoloni tra le sue cosce e solo in quel momento mi resi conto che era circonciso.
Si distesero sul divano, lui sotto e Laura sopra, presero a baciarsi, lui aveva le sue lunghe dita sopra le natiche di lei, ed essendo almeno 20 cm più alto di lei, riusciva a toccarle la fica con le dita, lo vedevo manovrare dentro la fica con le dita della mano sinistra, e con le dita destre le sfiorava l’ano, poi lo vidi prendere della saliva e bagnare il buchino, ora un solo dito massaggiava l’ano, non mi era possibile vedere il suo cazzo perchè coperto dal corpo di lei.
Poi sentii Laura dire “si ti voglio, prendimi, ho voglia di sentirti dentro di me”, lei si tolse e si mise sotto di lui, certo il divano non era il massimo della comodità, ora il cazzo di Josef era di nuovo in piena erezione, credevo che la scopasse da subito, ma lui prese di nuovo a leccarle la fica, ebbi subito un’erezione violenta, il sapere che lui stava succhiando la mia sborra mi fece impazzire di goduria, presi a masturbarmi, nel mentre vedevo la bocca di lui immersa tra i peli della fica di lei, lo sentivo succhiare, Laura si dimenava dalla goduria, poi lui si portò sopra di lei e prese a scoparla, ora vedevo benissimo il suo cazzo entrare e uscire, poi si fermò un attimo, spinse dentro piano, capii che era sua intenzione capire fin quanto poteva spingersi dentro senza farle male, infatti in quella posizione lui entrò completamente dentro, riprese a pomparla più velocemente, ora entrava tutto senza che lei provasse dolore, intanto la sua mano stringeva un seno, portò le sue labbra sul capezzolo e prese a succhiarlo, sentivo Laura miagolare come un gatto, sapevo che da lì a poco avrebbe goduto e fu così, subito dopo si mise alla pecorina, lui si eresse in piedi e prese a pomparla da dietro, intanto lo vidi far scendere la saliva tra le natiche di lei, la sputava direttamente senza prenderla prima nelle dita, poi vidi il suo dito profanare lo sfintere di lei, immaginavo già cosa sarebbe accaduto da lì a poco, infatti lui si sfilò da dentro, prese l’asta e poggio il glande sul buchetto, spinse diverse volte, ma le urla di lei lo fece desistere, Laura non era della stessa idea, si tolse e disse a Josef di attendere un attimo e senza spiegarsi oltre salì in camera, mi baciò e mi disse, ora prendo la cremina, si dissi brava fatti sfondare tutta, però mettiti in una posizione che io possa vederti, così come eri ero io non posso vedere.
Quando ridiscese prese a spompinare Josef, era terribilmente eccitante vederla succhiarsi quel palo, la sentii un paio di volte avere un rigurgito trattenuto a mala pena, poi tolse il tappo al tubetto della crema, ne prese abbastanza e si umettò il culetto, ne prese ancora e la spalmò sulla cappella, si mise inginocchiata di traverso sul divano, Josef con una gamba fuori e una ripiegata sul divano, prese a spingere un dito dentro, ci lavorò per qualche secondo, il suo dito entrava e usciva, cercava di allargare il foro, poi prese l’asta e spinse dentro, dopo diverse spinte finalmente entrò dentro di lei, dapprima Laura chiese di fare piano, lui ubbidì, si fermò, spinse piano, spinse ancora e ancora fin quando entrò completamente dentro di lei, ora lui si muoveva cautamente senza esagerare, continuò cos’ per un paio di minuti, quando capì che la strada era fatta, prese a cavalcarla con foga, vedevo il suo cazzo entrare e uscire come un pistone nel cilindro, Laura prese a invocare, si sfondami, aprimi come una mela, spaccami tutta, impalami, poi le urla di goduria la travolsero, lui continuò a sfondarla, ora i colpi erano veloci, sentivo il suo ventre sbattere sulle chiappe di lei con una violenza inaudita, era circa un quarto d’ora che lui la scopava nel culo, quando sentii lei dire “dai godiamo insieme io sto per venire di nuovo”, Josef rispose “posso venirti dentro?” no ti prego questo no, sborrami sul seno, questo mi fa impazzire, capii che era soltanto un modo per non farsi venire dentro, dopo poco lei prese a miagolare, eccomi, eccomi vengoo, hooooo, lui si sfilò da dentro, Laura si girò verso il suo cazzo, lo prese tra la sua mano e tre secondi dopo ricevette una pioggia di sborra che le colò tra il seno, uno schizzo la colpì in pieno viso.
 Una mamma lesbica e incestuosa
 Mia madre non voleva che la chiamassi "Mamma", specie alla presenza di estranei, preferiva che mi rivolgessi a lei attribuendole il nome di battesimo: Dorothy. Sosteneva che dovevamo mantenere un contegno amichevole, mostrandoci agli altri come fossimo due amici anziché madre e figlio, forse è questa la ragione che ci ha spinto a diventare compagni di letto, oppure è stato il destino a decidere per noi.
 Gli anni della mia adolescenza sono state stagioni bollenti, specie se raffrontati a quelli dei miei coetanei. Sino all’età di vent’anni sono rimasto legato all'ombelico di mia madre, prigioniero di un rapporto incestuoso, ma compiaciuto dall'appagamento che sapeva offrirmi il suo incantevole corpo.
 Di diverso rispetto agli altri ragazzi avevo che ero stato educato da una infinità di padri anche se avrei desiderato possederne uno solo, il mio. Con mia madre avevamo abitato a lungo a Los Angeles, poi c’eravamo trasferiti a Santa Monica in una villa con piscina nella Hollywood Hills, località prediletta dalla comunità di artisti che operano nell'ambiente del cinema.
 Mia madre, prima d'intraprendere la carriera di attrice, aveva preso parte a numerosi concorsi bellezza. Nel 1985 si era persino aggiudicata la fascia di Miss California. Come attrice non era granché, tuttavia era fornita di belle tette e di un corpo da fare impazzire gli uomini.
 Come molte attrici del suo stampo intratteneva amicizie con produttori, registi e attori in grado di farle ottenere parti, seppure di poco conto, in qualche sit-comedy e in film di bassa qualità creati per la televisione. In cambio di questi favori mia madre andava a letto con ognuno di loro, e non era per niente angosciata dal farlo perchè riconoscente per il lavoro che gli procuravano.
 Negli Studios c’era chi la considerava una ninfomane, ma non lo è mai stata, e non lo è ora, ma ha sempre avuto un dannato bisogno di fare sesso, un bisogno che l'ha spinta a darsi indifferentemente a uomini e donne. E' questa la ragione per cui non so chi sia mio padre, probabilmente nemmeno lei sa di chi sono figlio, credo. Le rare volte che gliel'ho chiesto mi ha raccontato che sono frutto di una lunga storia d'amore finita male. Ho sempre fatto finta di crederle anche se so che non è la verità.
 La storia d'incesto di cui mia madre ed io siamo stati a lungo protagonisti ha avuto inizio quando avevo l’età di sedici anni. Tutto ebbe inizio la mattina in cui si sviluppò un incendio nei locali adibiti a laboratori della scuola che frequentavo. Il preside, preso atto dell’incendio, comandò l'immediata evacuazione dell'edificio scolastico. Quel giorno, dopo che i vigili del fuoco, sopraggiunti a sirene spiegate con un grande dispiegamento di uomini e autopompe estinsero le fiamme, tornai a casa in anticipo rispetto al solito.
 Districandomi nel traffico cittadino, in sella alla mountain bike, mi precipitai verso casa infilandomi fra un'automobile e l'altra. Risalii i cordoli dei marciapiedi, eludendo buche e avvallamenti, impaziente di raggiungere casa e raccontare a mia madre dell’incendio scoppiato a scuola.
 La giornata era umida, l'aria irrespirabile, il caldo soffocate. Quando raggiunsi la nostra abitazione avevo la camicia imbrattata di sudore. Abbandonai la mountain bike sul terreno erboso davanti casa e mi precipitai oltre la porta d'ingresso. Gridai più volte il nome di mia madre per attirare la sua attenzione, ma di Dorothy non c'era traccia in nessuna delle stanze.
 Quando la intravidi se ne stava in giardino in compagnia di Brenda.
 Nuda e con le gambe divaricate, era seduta su una delle poltrone gonfiabili al margine della piscina. La sua migliore amica, Brenda stava inginocchiata davanti e affondava le guance fra le cosce di mia madre.
 Entrambe parevano nutrire piacere da quella posa, ma nella mia beata ingenuità non riuscivo a comprendere come Brenda potessero godere nel prendere in bocca il sesso di un'alta donna o farselo leccare come stava succedendo a mia madre.
 Il culo di Brenda era fantastico. Non indossava reggiseno, calzava un paio di zoccoli di legno con tacchi alti e un tanga sottile nero che naufragava nei glutei rendendo le parti sporgenti particolarmente seducenti, perlomeno ai miei occhi, lasciandomi senza fiato.
 Mia madre e la sua amica non si accorsero della mia presenza, ed io feci di tutto per non farmi scorgere interessato com’ero alla loro rappresentazione.
 A quell'età, al pari dei miei coetanei, avevo già conosciuto il piacere originato dal toccarmi il cazzo. Nella solitudine della stanza da letto avevo preso l'abitudine di spararmi delle seghe, una dietro l’altra, ma sapevo ben poco del sesso, di quello vero intendo. Guardando Brenda e mia madre fare l'amore mi ritrovai con il cazzo duro che spingeva verso la patta dei pantaloni.
 Non era la prima volta che scorgevo mia madre nuda, anzi, era sua abitudine abbronzarsi al sole senza nessun indumento addosso, ma vederla mugolare di piacere in quel modo, sollecitata dai colpi di lingua di Brenda, mi diede l'impressione d'essere una donna molto diversa da come l'avevo vista con i miei occhi da adolescente.
 La donna che mi stava di fronte, non era mamma, bensì Dorothy, la mia amica Dorothy: una donna dal corpo particolarmente seducente.
 Tutt'a un tratto, in preda ad una ventata di piacere, mia madre prese a ruotare il capo da un lato all'atro della poltrona gonfiabile, fintanto che si accorse della mia presenza. Arrestò il movimento del capo e si mise a mugolare con maggiore intensità mantenendo lo sguardo fisso su di me in maniera oscenamente impudica.
 Imbarazzato dall'espressione del suo volto abbandonai la mia postazione e mi diedi alla fuga. Trovai rifugio nella stanza da letto di mia madre, al primo piano della villa, dirimpetto alla piscina. Da lì continuai ad osservare le effusioni che si scambiavano le due donne.
 Nascosto alla loro vista dalla tenda posta davanti alla finestra presi in mano il cazzo e cominciai a masturbarmi. Sborrai quasi subito imbrattando le dita di sperma. Mia madre raggiunse più di un orgasmo stimolata nel clitoride dalle labbra di Brenda. Anch'io mi masturbai una seconda volta pulendomi il cazzo con la stoffa della tenda.
 Quella sera stessa mia madre mi accompagnò al McDonald's, sulla Hollywood West, distante un paio di isolati dalla nostra villa. Succedeva raramente che mi conducesse lì, a lei non piaceva cenare in quel posto, ma quella sera aveva qualcosa da farsi perdonare e ci abbuffammo di Big Mac, patatine e Coca-Cola.
 - Stamani sei tornato a casa prima del solito stamani, come mai? - chiese mentre ci dirigevamo verso casa.
 - C'è stato un incendio a scuola.
 - Accidenti!
 - La scuola è stata invasa dal fumo di un incendio scoppiato nei laboratori. Sono accorsi i vigili del fuoco e abbandonato le aule.
 - E me lo dici solo ora?
 - Ero tornato a casa per dirtelo, ma tu eri troppo occupata con Brenda.
 - Ehm... sì... in effetti, ero occupata. - disse lasciandosi sfuggite un sorriso.
 - L'evacuazione della scuola è avvenuta in maniera ordinata, non si è fatto male nessuno. In passato avevamo fatto più di una esercitazione antincendio. Abbiamo messo in pratica quanto ci hanno insegnato.
 - Ah! bene, sono contenta.
 - Sì, lo so.
 Quella sera, contrariamente al solito, mi ritirai nella mia camera di buon ora senza trattenermi da guardare la tivù insieme a mia madre come ero solito fare tutte le sere. Stavo levandomi i jeans di dosso quando Doroty venne a farmi visita.
 - Beh, vai a letto così presto? - disse quando si affacciò alla porta.
 - Gli occhi mi si chiudono, ho sonno...
 - Non me la conti giusta... posso sapere che c' hai?
 - Niente.
 - E' da stamani che fai lo scontroso. Ti ha dato fastidio vedermi con Brenda?
 - No, che dici... - dissi abbassando il capo per la vergogna.
 - E' quello eh?
 - Ma...
 Mi attirò a sé cingendomi il costato con le braccia. Per la prima volta sentii addosso tutto il calore del suo corpo. Prima di allora non avevo fatto caso allo spessore dei capezzoli che aderivano sulla mia pelle quando mi abbracciava.
 - Ehi, Cucciolo non sarai mica geloso, eh? - disse sfiorandomi con le labbra il collo e le guance senza mai smettere di carezzarmi la schiena con il palmo delle mani.
 - No, è che...
 - Non dire niente, non occorre. - disse con la sua calda voce.
 Avevo il cazzo duro che puntava dritto contro di lei. Mia madre se ne accorse, lasciò cadere una mano addosso alle mie mutande saggiando con le dita la consistenza del rotolo di carne. Lasciai che mi toccasse eccitato dal contatto della sua mano allo stesso modo in cui mi ero eccitato quando mi ero masturbato mentre scopava con Brenda.
 Trattenendomi stretto a sé fece scivolare la mano sotto l'elastico delle mutande, afferrò il cazzo nella mano come se quel gesto fosse il più naturale di questo mondo, poi cominciò a masturbarmi. Iniziò a toccarmi movendo la mano sulla cappella scappucciata molto lentamente, con estrema delicatezza eccitandomi non poco.
 Prigioniero del suo abbraccio non opposi alcuna resistenza godendo del piacere che sapeva donarmi la sua mano. Stordito dall'impudenza del suo gesto rimasi stupito dal modo in cui prese ad ansare mentre accompagnava il gesto della mano sul mio cazzo. Lasciai che mi calasse del tutto le mie mutande facendole precipitare sul pavimento. S'inginocchiò ai miei piedi, piegò le labbra sui denti e mi fece un pompino.
 Le sere successive m'impose il medesimo trattamento e lo stesso accadde per molti anni ancora, omaggiandomi ogni volta della sua bocca. Veniva a trovarmi prima di andare a letto augurandomi la buona notte in quel modo. Ormai venivo più velocemente fra le sue labbra che sparandomi una sega.
 La fica di mamma si dimostrò tutt'altro che inespugnabile, infatti, col passare del tempo incominciammo a trascorrere molte notti nel medesimo letto. Succhiarmi il cazzo non le bastò, pretese sempre di più, molto di più da me, ed io glielo diedi leccandola e scopandola nel buco da cui sono nato.
 Tagliare il cordone ombelicale, diventare autonomo a tutti gli effetti come gli uomini della mia età non è stato facile, ma ci sono riuscito. Mi ha aiutato una ragazza che ho incontrato all'università e con cui convivo da un paio di anni. Dopo il successo editoriale di "Cuore di mamma", libro in cui racconto il mio rapporto con mia madre a lungo ai primi posti nelle classifiche di vendita con due milioni di copie esaurite in soli tre mesi dall'uscita nelle librerie, la gente ed i miei amici mi guardano con sospetto senza avere il coraggio di chiedermi se quanto è riportato nel libro è solo frutto di fantasia oppure corrisponde a verità. La medesima domanda me l'hanno fatta i giornalisti quando mi hanno intervistato, ma a nessuno ho voluto dare risposta. Dorothy, alias mia madre, continua a fare delle comparsate nel cinema. Alla sua età, quarantacinque anni, mantiene ancora un bell'aspetto e continua ad avere più di uno spasimante pronto a fare pazzie per lei. Negli ultimi tempi sta insieme a un commerciante di autovetture. Dopo la pubblicazione del libro "una mamma speciale" ci vediamo raramente. Ancora non mi ha perdonato di averlo scritto.
  Uno scherzo ben riuscito
Tutto era cominciato quasi per caso, la mattina che la nonna era andata a prendere la pensione. Giorgia era nella vasca, stava finendo di fare il bagno e Renè entrò. La prendeva in giro ma lei si accorse che la guardava in modo curioso; poi il ragazzo, tra una battuta e l’altra, minacciò di fare pipì nella vasca.
La sorella aveva intravisto altre volte il coso del fratello, ma mai così da vicino: duro e stizzito, come fosse un ramo lievemente storto.
Quell’arnese aveva attirato il suo sguardo in maniera ipnotica e il ragazzo ne aveva approfittato.
-Vuoi vedere una cosa segreta? - disse cercando di conquistare la sua curiosità. Teneva il membro all'altezza del suo viso e Giorgia faceva del suo meglio per non guardare, ma era impossibile.
Guardando senza formarsi un’idea precisa, si rendeva conto che quello che stavano facendo era proibito ma, presa così alla sprovvista, non fu in grado di porre un freno alla tresca.
Era eccitante e poi aveva sete di conoscere certi segreti, l’avrebbero messa in posizione privilegiata con le amiche.
Naturalmente, seduta nella vasca, teneva una mano proprio tra le cosce e, spontaneamente, si carezzava il clitoride gonfio.
Renè continuò rapidamente, tenendo le gambe ritte e strette, per spingere il cazzo più in fuori possibile.
- Togli la mano e fammi vedere le tette! - lei non voleva ma lui insistette e minacciò di andarsene senza farle vedere più niente. Giorgia l’accontentò. Tante volte l'aveva spiata, adesso i seni prorompenti della sorella erano tutti per lui, li toccò con le dita, carezzandoli, morboso.
- Vieni più vicino, adesso - comandò Renè e la ragazza non si volle opporre all'ordine del fratello, si vedeva che lo voleva troppo! A pochi centimetri dal pene, lo vide fermarsi.
- Eccolo, sto cacciando... - disse lui per pura libidine. Grosse gocce lattiginose schizzarono sui seni e sul viso di Giorgia, le prime erano piccolissime ma dopo arrivarono quelle più corpose e cocenti: lei voleva svenire per il piacere. Era tutto così nuovo, così bello. Giorgia cominciò a farlo venire con le seghe, per ritrovare il profumo di quello sperma che tanto l’aveva eccitata. Poi si fece coraggio: ed iniziò a prenderlo in bocca. Qualche giorno dopo, imparò a bere la sborra calda.
Impararono insieme a leccare e succhiare; il fratello ricambiava, toccava e suggeva bene fino a farla venire con le labbra e la lingua.
Renè era troppo giovane per crearsi problemi di erezione e così tenne una media di circa sei eiaculazioni, tra il giorno e la notte, che cercavano di passare sempre insieme.
Ogni occasione era buona, le sporcava le mani, la bocca, ogni parte del corpo.
Dopo i primi giorni di giochi, una notte la raggiunse nel suo letto: però quella volta voleva di più.
Giorgia sapeva benissimo cos'era la verginità e ne temeva le conseguenze.
- Non ci pensare nemmeno – disse – dentro non te lo faccio mettere … -
- Allora te lo metto nel buco di dietro! - disse il ragazzo.
- Sei matto? – replicò la sorella sospettosa – mica si mette, lì?
- Sì che si mette, scema! Tutti i ragazzi cominciano così … - e si perse nel vago.
- Cosa vuoi dire? Anche tu lo fai? –
- Noi ragazzi, quando siamo da soli ci giochiamo… ci poggiamo il coso dietro e spingiamo; l'ho fatto con Francesco, io. –
Mentre parlava, il maledetto si era già infilato sotto le lenzuola e le pressava il pene sui reni, per farle sentire quant'era duro.
Con perspicacia, Renè abbassò il viso fino al culo di lei: liberata dalle mutandine, iniziò a leccarla. Giorgia, s’inarcò, per farsi lavorare anche in figa. Renè era bravissimo e iniziò a dedicarsi al buchetto e con la lingua ne apprezzò il sapore e l’odore aspro. Giorgia era sconvolta da quel piacere che non avrebbe immaginato di poter provare.
Si sentiva aperta, profanata e disponibile; lei stessa cominciò a desiderare ardentemente di provare cosa si sentiva durante la penetrazione, ma tacque.
Il fratello non era mai stato con un’altra. Da una parte ardeva per farsela, dall'altra non sapeva bene cosa lo aspettasse. Ma il desiderio non ascoltava ragioni, a un certo punto, la fece stendere supina e le salì addosso, cercando di non pesarle troppo. Fecero una serie di tentativi approssimativi, un paio di volte rischiò di scivolarle nella figa e per lei era difficile res****re alla tentazione. Poi riuscì a puntare l’ano, aiutandosi con le dita. Però diede un paio di spinte in modo sbagliato, procurandole una fitta e tanto spavento. Il cazzo era troppo duro e grosso per essere adoperato con leggerezza.
Finalmente le mise il glande nella fessura e la allargò in maniera repentina. Giorgia urlò e se lo tolse di sopra con uno spintone.
- Sei pazzo? Mi hai fatto male! - si voltò sul fianco, offesa e dolorante. Renè, mortificato, si rassegnò e si stese sul letto, sperando almeno in una sega liberatoria, ma poi si addormentarono, sopraffatti dalla stanchezza.
Qualche ora dopo, il ragazzo si svegliò, ancora duro. Al suo fianco, Giorgia dormiva, iniziò a carezzarla tutta, approfittando che era già nuda.
Non rinunciò e, lubrificandola a forza di saliva, le puntò di nuovo il sedere.
Il buco, rilassato, era cedevole e comunque aveva risentito della botta della sera prima. Lui pian piano fece scorrere il glande attraverso il suo prepuzio e le invase il culo.
Il giorno scoprirono che c’era del sangue sul lenzuolo e che era di Renè.
La domenica successiva la nonna andò a messa e poi a pranzo dalla sorella. I ragazzi non riuscirono a res****re, ora che avevano rapporti completi, giocarono a “marito e moglie”. Giravano nudi per casa, spadellando, guardando la tele ma, soprattutto facendo sesso, continuamente, in ogni posto della casa e in ogni posizione.
Non si contarono le volte che vennero: insieme, o separatamente.
Passarono un’altra settimana di passione.
L’uso continuo rese il culetto di Giorgia completamente disponibile, morbido e arrendevole come una vagina. Il fratello poteva incularsela in qualsiasi momento della giornata, anche nel sonno qualche volta. Si passava un po’ di saliva sul glande e la montava immediatamente: lei per facilitarlo, girava sempre per casa senza mutandine. Le piaceva essere presa, anche controvoglia. Quasi incurante, della penetrazione anale, godeva a fare l’oggetto degli orgasmi di lui.
Qualche volta, Renè le arrivava alle spalle, magari in cucina, che già si stava masturbando, perso nei suoi pensieri proibiti.
Giorgia già sapeva cosa fare: si alzava la gonna e si chinava di quel poco che avrebbe reso scorrevole la penetrazione.
Se ne stava lì tranquilla, anche vari minuti a volte, finché dai movimenti del fratello e dal respiro, capiva che era quasi all'acme, allora si allargava le natiche con le dita in modo che il suo buco sfiancato fosse facilmente rintracciabile dal fratello, che entrava subito.
Entrava nella sorella all'ultimo momento, spesso non la inculava neppure una volta: entrava, come un treno in galleria, ed emetteva tutto il liquido, depositandolo nelle budella di Giorgia e lasciandola piena.
 - Ti ho detto di no! –
Erano nel letto e lui le era già sopra
- Mi fa male il culo, lo capisci? - Forse per le sollecitazioni eccessive, una pallina si era formata sullo sfintere e il loro ultimo rapporto aveva rotto l’emorroide.
- Allora lo metto davanti! - disse Renè, incapace di rinunciare. Non riusciva a rassegnarsi che tutto stava per finire.
Giorgia era pur sempre una donna e comunque si eccitava. Renè era in vantaggio, già tra le sue gambe aperte, col cazzo che voleva entrare.
I suoi 'No' divenivano sempre più fievoli, finché con un colpo solo, inarrestabile, il fratello la deflorò.
Il dolore durò un attimo, lancinante ma svanì presto.
Il piacere in vagina annientò la ragazza con un’onda elettrica: le bloccava il respiro.
Il fratello viaggiava deliziosamente su e giù e le allargava il nido; lei si avvinghiava alle sue reni con le gambe alzate, per non perdere quel contatto lussurioso. La chiavata durò tanto, con languida e cadenzata monotonia.
Entrambi i giovani avrebbero ricordato quel piacere per sempre.
Senza bisogno delle dita, la vagina trasmise l’orgasmo a tutto il corpo.
Venne a lungo, orgasmi ripetuti, irrefrenabili e perse ogni contatto con la realtà. Renè, più preso di lei, a furia di colpi, si lasciò andare e sborrò nei meandri più profondi della sorella, con lunghe pompate.
La frittata era fatta!
Quando Renè lo tirò fuori, floscio, Giorgia corse al cesso per lavarsi e irrigarsi la figa, terrorizzata al solo pensiero delle possibili conseguenze di quel gesto irresponsabile.
11/7/2021                      andrea farnese
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eddy77x · 3 years
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Sono la cagna di mio padre
 Mi padre stava intrattenendosi con un collega, i loro sguardi erano rivolti a me, appena avvicinata riuscii ad ascoltare le ultima frasi, beato te ad avere..." Eccomi a Torino ad accompagnare mio padre per un convegno, ufficialmente sono al sua nuova segretaria.
Arrivati in albergo ci sistemiamo nella camera; letti separati, una veloce doccia e trovandomi lui nudo davanti avrei voluto qual cos’altro, ma non vi era tempo ci attendevano per il ricevimento, indossa un intimo color carne, perizoma sottilissimo e minuscolo reggiseno a balconcino, calze autoreggenti un vestito corto abbastanza scollato sul dietro capelli raccolti, scarpine nere tacco undici. Ben truccata ma non pesantemente, ero pronta non sto a dire quanti complimenti ricevetti dal mio uomo padre, prendemmo il taxi e ci portò a destinazione, appena entrati non vi dico i complimenti che si sprecavano su di me, molti si complimentavano con mio padre, dove hai trovata una segretaria come questa, beato te e altro ancora.
Durante il ricevimento dovetti recarmi in bagno, una signora segretaria di un collega di mio padre si offrì di accompagnarmi dicendomi, vorrei farmi una sigaretta, appena entrate tentai di chiudere la porta, ma, disse, non chiudere, la volta scorsa una collega è rimasta bloccata dentro, mi alzo il vestito, sfilo il perizoma e cerco di fare pipì vedo aprirsi la porta, è lei, dicendomi scusami, ho visto la vigilanza se mi vedono che fumo sono cazzi amari, il suo sguardo si posa sulla mia fica depilata, che bella fica che hai e, senza attendere risposta, prese della carta igienica, chinatasi, iniziò ad asciugarmela io immobile non sapevo che dire, né che fare, lei vedendo il mio stato, disse rilassati ora ti faccio sentire una cosa che non avrai mai provato, inizio a leccarmi la fica, in effetti, sapeva il fatto suo, era un’abile leccatrice, sapeva dove insistere, poco dopo estrasse dalla borsetta un piccolo vibro, mi disse, sai lo porto sempre con me, è abbastanza utile durante il viaggio, me lo fece leccare e subito dopo me lo trovai infilato nella fica, leccava e mi scopava iniziai godere, prese a leccarmi e succhiarmi il clito facendomi impazzire raggiunsi un orgasmo fenomenale mi disse se ti va potresti ricambiare il favore, accettai e alzatasi il vestito, si mise a pecorina appoggiando le mani sul water, da dietro iniziai a leccarle la fica e il buchetto del culo, rimase meravigliata da come leccavo, si voltò e mi disse: “allora non sei una santarellina sei una bella troietta bisex, ti piace vero?”
 “certo.....”, risposi e ripresi il mio lavoro, con il vibratore in mano, iniziai a farmi strada nel suo culetto, vidi che la cosa era di suo gradimento, iniziai a incularla e contemporaneamente leccavo la sua fica, venne inondandomi la faccia con i suoi umori, ci baciammo, rimettemmo a posto il trucco e ritornammo al ricevimento.
 Ritornando da mio padre, mi disse: “tutto a posto”, “sì certo” rispose lei, la sua segretaria aveva avuto un leggero mancamento, ma ora era tutto apposto, il ricevimento continuò per diverso tempo, la signora spesso restava ad osservarmi e nel momento di incrociare i nostri sguardi mi sorrideva passandosi la lingua sulle labbra. Finito il tutto chiesi a mio padre che volevo essere accompagnata in albergo, mi chiese che problema avessi, risposi; “nulla e che voglio stare un po’ con te sai ho fame”
 “se è fame di lui - rispose indicandomi il pacco - ti accontento subito, chiamo un taxi e partiamo”
Arrivati in camera, mi spogliai subito restando in intimo, lui disse: “dammi il tempo di una rinfrescata e arrivo subito.”
Lui è dentro la doccia, tolgo l’intimo ed entro anch’io nella doccia, inizio a lavargli le spalle, gli dico: “dai la mamma te lo fa sempre, visto che ora ci sono io te lo posso fare”, inizio a insaponare la schiena, e non solo la schiena, quando arrivo ai suoi glutei gli dico “hai un bel culetto papi, e inizio a insaponare quel bellissimo pezzo di carne.
Anche lui insapona me, parte dalle spalle soffermandosi ai miei seni e poi arriva direttamente alla mia fica, siamo pieni di schiuma, con una sciacquata, inginocchiandomi, gli do un antipasto, prendo a succhiargli il cazzo, lui posa le mani sulla mia testa bloccandomela e inizia scoparmi in bocca. Io nel frattempo mi sparo un ditalino, mentre lui mi scopa in bocca porto una mano al suo sedere, inizio a massaggiare le palle e intrufolando le dita nel solco delle chiappe arrivo al suo buchetto soffermandomi all’ingresso, non so che mi prese, ma iniziai a spingere quel dito nel suo culetto e,con mio stupore, notai che la cosa era di suo gradimento.
Mi chiese di continuare, lui scopava me in bocca, io inculavo lui con il dito, e con l’altra mano mi sditalinavo, venne riempiendomi la bocca di sperma, il mio orgasmo non ci mise molto ad arrivare, ingoiai tutto lo sperma che tenevo in bocca, stremata mi sedetti nel piatto doccia, lui mi baciò in bocca dicendomi “sei stata formidabile, ma questo è solo l’antipasto sapessi, dopo cena ti farò toccare il cielo.”
Tornati in camera, indossai un pantalone a vita bassa color bianco una maglietta corta che lasciava libero l’ombelico, avevo indossato un perizoma rosa, che traspariva abbastanza dal pantalone, uscimmo e ci recammo al ristorante, i camerieri molto gentili ci fecero accomodare, portarono acqua e del vino bianco la cena si svolse tutta a base di pesce, feci una scorpacciata di ostriche, mi disse: sai che stiamo consumando una cena molto afrodisiaca e io di risposta mi tolsi una scarpina e allungai il piede andato a toccare il suo pacco, lui sorrise e mi accarezzò il piede tenendoselo sul pacco che si andava gonfiando. Dovemmo smettere, potevano scoprirci, la cena si protrasse a lungo, la mia eccitazione era alle stelle, sentivo il perizoma inzuppato di umori, alzandomi dissi a papi che avevo necessità di andare in bagno, appena entrata sfilai pantalone e perizoma e iniziai a torturarmi il clito: dovevo godere non ce la facevo più, avevo nella borsetta una bottiglietta di profumo, la presi, la leccai per bene, passandomela tra le tette e subito dopo la infilai dentro la fica, piena di umori, l’accolse tutta , con una mano mi scopava e con l’altra alternavo a toccarmi i capezzoli e il clitoride, dopo un po’ la volli provare anche dietro, mi chinai leggermente in avanti sporgendo il culetto e messa abbastanza saliva iniziai a spingerla dentro il mio forellino. La bottiglietta entrò in un baleno, l’orgasmo stava crescendo, ero quasi all’apice del piacere la bottiglietta stava dando i suoi frutti, alternavo tra il culetto e la conchiglietta, venni esplodendo un orgasmo formidabile, mi girava la testa, per la forte goduta, mi diedi una rimessa appunto e ritornai in sala.
Mio padre stava intrattenendosi con un collega, i loro sguardi erano rivolti a me, appena avvicinata riuscii ad ascoltare le ultime frasi, “beato te ad avere una segretaria come quella, appena mi congiunsi a loro, lui mi disse porgendomi il suo biglietto da visita: signorina se decidi di mollare il tuo datore di lavoro non perdere tempo, telefonami un posto per te lo trovo immediatamente”, accennai ad un piccolo sorriso, avrei voluto buttare le braccia al collo di mio padre baciarlo promettendogli che non sarebbe mai successa una cosa del genere , ma dovevo contenermi, altrimenti scopriva la magagna, erano guai, tornammo a sederci, eravamo solo noi lui mi disse: “ehi porcellina... ti vedo un po’ pallidina sono sicuro che in bagno non hai fatto solo pipì, vero? Dimmi la verità ormai ti conosco troppo bene dal lato sessuale, ti sei masturbata.” Annuii con la testa, “brava qui ne abbiamo ancora per un po’, ma, credo che tra un’oretta sarà tutto finito, poi ci pensa papi a farti un bel regalino, ridemmo e continuammo la cena con tutto il solito tran tran. Finito il tutto e salutati i commensali rientrammo in albergo, giunti in camera mi buttai sotto la doccia, io iniziai a prepararmi, indossai un completino intimo rosso comprendente un perizoma a fiorellini ricamato, un reggiseno a balconcino sempre rosso smerlettato, calze a rete autoreggenti nere con bordo rosso, per l’occasione mi ero portata un paio di sandali tacco nove, sempre rossi, infilai un vestito elasticizzato nero cortissimo arrivava appena sotto i glutei, mi truccai abbastanza pesante,mettendo fard e un rossetto rosso fuoco, una bella pettinata raccogliendo i capelli con delle forcinelle guardandomi allo specchio ero una troia di alta classe, appena apparve alla porta con addosso l’accappatoio aperto, il mio sguardo andò al suo pezzo forte, in un baleno gli venne duro, senza bisogno di toccarlo.
Mi disse “amore mio mi stupisci sempre di più, sei una Venere, vuoi farmi morire, vero? - ed io - “sì amore mio voglio farti morire di piacere” e mi buttò le braccia al collo baciandomi e sfregandomi la lingua in bocca, mi disse: vorresti farmi uno spogliarello?
Dopo aver cercato sul satellite un canale musicale, iniziai a ballare, lui seduto sul letto appoggiato di schiena al muro si gustava il mio gioco, ogni tanto toccava le sue parti intime, mentre stavo sfilandomi l’abito mi disse “aspetta, balla ancora un po’ senza togliertelo di dosso sei troppo bella” , dopo poco si alzò con il suo bel cosone durissimo si avvicinò baciandomi di nuovo, prese a palpare il seno, lentamente fece scendere il vestito liberandomi il seno che subito fu preda della sua bocca, una mano la portò sotto il vestito in cerca della mia nocciolina che trovò allagata di umori, mi prese in braccio e mi posò sul letto, mi allargò le gambe, sfilandomi il perizoma e la sua lingua prese a titillarmi il più bel posto . Lui con la lingua è un maestro sa dove leccarmi, alternava clito interno, fica e culetto, ogni volta che si posava sul mio culetto i brividi di piacere mi arrivavano al cervello e poi, quando cercava di forzarlo infilandomela dentro, allora mi rilassavo e non capivo più nulla, venne sopra di me mettendoci alla classica posizione del 69, presi in bocca il suo membro durissimo, con il movimento del bacino prese a scoparmi in bocca, lavoravo solo con la lingua al resto pensava lui.
La mia dolce albicocca stava scoppiando, voleva essere penetrata: gli dissi “papi ti voglio dentro non resisto più”, scese dal letto, ed io, “papi fai di me quello che vuoi.”
Prese le mie gambe se le poggiò sulle spalle, e presosi il pezzo in mano iniziò a passarmelo sulla passerina soffermandosi sul clito, diedi un urlo dicendogli mettimelo dentro non resisto e subito dopo iniziò a farsi strada dentro di me, mi sentivo aprire nonostante ormai fossi abituata a prenderlo, mi pareva sempre la prima volta, un leggero dolorino, ma subito passò e iniziai a sentire il cielo, mi stava scopando in un modo fantastico, a volte veloce e poi subito rallentava, con le mani mi strapazzava i capezzoli, dopo quasi quindici minuti di scopata nella classica posizione mi disse “cambiamo posizione…., voglio fotterti dappertutto e farta latrare com una vecchia cagna.”
Così presi in mano il suo cazzo guidandomelo dentro e me lo infilai in un sol colpo tutto dentro.Non avrei mai pensato di poter essere così troia.
Era fantastico, salivo e scendevo dal quel palo, ogni volta che scendevo pareva che se ne infilasse sempre di più, con le gambe indolenzite continuai a cavalcare, dovetti arrendermi, mi alzai e senza dire nulla mi misi a pecorina sul letto, lui venne dietro di me e riprese a scoparmi, dopo un po’ sentii i suoi pollici farsi strada nel mio sfintere, era giunto il momento del buchetto.
Dopo averlo allenato preparandolo con le dita, sfilò il cazzo dalla fica e prese lentamente a incularmi, non ci volle molto, infatti, lentamente me lo infilò tutto dentro accusando pochissimo dolore, mi diede delle sensazioni formidabili ogni volta il mio papino mi faceva toccare il cielo. Cambiammo posizione perché le gambe non mi reggevano più.
Ritornammo alla classica posizione del missionario, con le gambe poggiate sulle spalle, riprese ad incularmi, ormai non reagivo più, erano trascorse quasi due ore, le volte che ero venuta non le ricordavo più, e lui sempre duro usciva dal mio culetto ed entrava nella fica, questo per parecchie volte.
Quando ormai anche lui era giunto a capolinea mi disse “dove vuoi essere riempita” - ed io - “su tutto il corpo” così, sfilato il cazzo dal culetto, si posizionò in ginocchio di fronte alla fica e iniziò a masturbarsi e subito mi scaricò addosso ad una marea di sperma, i primi schizzi mi arrivarono in faccia subito tirai fuori la lingua cercando di leccarli, mi trovai tutto il corpo impiastricciato della sua roba, mi venne vicino, con la punta del suo cazzo mi spalmò tutto il suo nettare che avevo sul corpo soffermandosi sui capezzoli, poi con il cazzo in bocca, cercai di raccogliere le ultime gocce di sperma rimaste, quando il cazzo era ormai tornato a riposo, lui mi baciò e senza darmi una ripulita mi addormentai.
 Cugini
 Erano gli anni d’oro di Baglioni e dei Pooh, finita la scuola io e la frotta di cugini ci godevamo l’estate nella bassa Mantovano tra bagni nel Mincio e serate di gruppo ballando alla musica di quegli sgangherati mangiadischi.
Una sera di fine Luglio stavamo divertendoci nel ex fienile della cascina, indossavo dei bermuda molto in voga quell’anno, in oltre facendo nuoto liscio e depilato.
La cuginetta, sguardo acuto, e spirito da diavolo, frizzante ed eccitata venne vicino :
“Hei ma che belle gambe lisce che hai, saresti perfetto, perché non ti fai truccare, mi piacerebbe tanto, non ho mai truccato un maschio, dai qualcosa di diverso dal solito”
Lo sapevano tutti che se c’era da fare una follia io ero sempre in prima linea per tenere su la compagnia mi davo da far. in quel momento ero sinceramente combattuto, al concepimento siamo tutti femmine poi col proseguire ecco la trasmutazione e la parte femminile che ristagnava in me quasi quasi si sentiva gratificata da quei complimenti, comunque cercai di rifiutare: “ Ma sei matta e poi cosa penseranno?”
La mia cuginetta non sentiva ragioni e guardandomi con occhi da cerbiatta continuò ad ins****re: “ Dai .. daiiiii fallo per me… è solo per questa volta ti prego daiiii ”.
a darle manforte anche il fratello: “ Dai fai uno sforzo, ci facciamo quattro risate”
Insistettero tanto che cedetti : ”Mi domando perché devo sempre fare io la cavia, comunque sia facciamo anche questa follia, basta che poi non me la meniate per tutta l’estate” tanto dovevo rientrare a metà agosto e cosa peggiore avevo in mano la cartolina per la visita di leva”.
Nonostante fosse stata lei a dare il via alla questione, rimase un tantino dal fatto che avessi accettato.
“Davvero posso, che bello “ e così aiutata dalla cugina liliana iniziarono l’opera di restyling, pensavo si sarebbero limitate al trucco, mi sbagliavo, provvidero a fornirmi anche di gonna,mutande con pizzo, canottiera.
Speravo di averla scampata con le scarpe, io ho la taglia 41 mentre le ragazze al massimo avevano la quaranta, ma per mia sfortuna la cugina Liliana volle a tutti i costi farmi provare un paio i suoi sandali taglia quaranta e purtroppo riuscii a indossarli, così furono obbligate a terminare l’opera colorandomi le unghie dei piedi con un bel rosso.
L’effetto gonna era insolito, mi faceva sentire una strana frescura, le scarpe alte erano terribili, non perché scomode anzi, lo furono primi passi, mi muovevo come Frankestein inelegante e scoordinato, meno male che quelle zeppe in sughero mi davano un pochino di stabilità, furono prodighe di consigli e su come muovermi e in una decina di minuti ci riuscii ma sculettavo più delle ragazze.
Il momento più imbarazzante fu quando mi ripresentai alla combriccola, dopo un attimo di perplessità ci fu un applauso e degli ululati, tanto eravamo in piena campagna e quel sabato sera a parte noi ragazzi, tutto il parentado era riunito per una delle loro noiosissime cene del buon ricordo oltre Mantova e non sarebbero arrivati se non a ore tardissime.
ormai ero in confidenza con le scarpe, mi dimenavo e saltellavo in mezzo a tutti gli altri al ritmo regolare della musica anni 80/90, non esitai a fare il buffone ballando in maniera equivoca sul tavolone, le cugine invece avevano preso confidenza con quello stano travestito e mentre circolavo tra loro ne approfittavano per alzarmi il corto gonnellino, aggiungendo sempre commenti più spudorati sulle belle mutande di pizzo, prese sempre più dall’euforia della serata passarono ad azioni più incisive, con gesto rapido afferravano l’elastico delle mutande e abbassavano le mutande, non appena scoperta una parte di chiappa ecco che l’altra mi mollava una sculacciata.
Più che stare al gioco devo dire che davo corda io protendevo il sedere e ad ogni schiaffetto rispondevo mandando baci, perché rovinare la bella serata con assurde recriminazioni, in fondo mi ci ero infilato io nella situazione e conoscendo le cugine.
La cosa prese a precipitare ormai ero la vittima di quella serata, iniziarono a partecipare alla battaglia delle mutande anche cugini e amiche, come riposizionavo le mutande ecco che qualcuna le riportava a mezza chiappa, vincere non si poteva quindi lascia che le abbassassero abbastanza per farle cadere e una volta arrivate alle caviglie le calciai via.
Insomma Gonna corta e sedere al vento, era fatta il gesto diede la stura alla corsa a toccarmi o a schiaffeggiarmi il culo, le due cuginette ma anche gli altri erano s**tenati, i commenti e le battute fioccavano e vi dirò ero ormai talmente a mio agio con loro da trovarlo eccitante.
La sera era piuttosto afosa, dopo due ore di balli eravamo accaldatissimi, i cugini Francesco e Marco ed io ci fermammo e ci portammo sulla riva del vicino fiume, un attimo di silenzio in quella sera calma e con una cielo pieno di stelle e una falce di luna. Non avevo perso tempo a rimettermi in giro per le strade sterrate non circolava nessuno, e poi mi ero talmente abituato che manco ci pensavo più.
Passeggiavamo lentamente chiacchierando del più e del meno Francesco al mio fianco e poco dietro Marco lanciava sassi nel fiume, quando sentii prima una mano sul fianco e poi sul sedere, lo lasciai fare, anzi gli spedii un bacio e forse fingendo o forse no dissi con fare femmineo: ” “Franci questa sera il mi culo è stato l’attrazione, magari vorresti di più”.
Rimase interdetto : “Veramente cosa intendi per di più forse … non avevo il coraggio di chiederti di farmelo provare”, mi fermai e protesi il sedere all’indietro, lui puntai il suo dito indice sul mio sfintere, : “Dai spingilo dentro”, e lui eseguì.
Dovete sapere che eravamo molto affiatati, a lui avevo confessato che a tredici anni, mentre ero in colonia, con uno degli amichetti con i quali avevo scoperto la sessualità, sera dopo sera erano riuscirti a infilarmelo in culo e per una settimana tutte le sere ci trovavamo in bagno.
La casa era lontana, il buio quasi totale, solo la falce di luna illuminava la campagna, gli unici rumori erano quello dei grilli e dell’acqua che scorreva lenta, solo lontano sulla strada qualche auto passava veloce riprendemmo a camminare mentre quel dito si insinuava sempre di più.
Marco dietro a noi aveva notato le manovre di Francesco e il fatto che io ci stavo, nel buio si era tolto i bermuda e le mutande, mi raggiunse ,mi abbracciò da dietro e mi appoggiò il membro durissimo, colmo dell’ironia quelle zeppe che indossavo mi tenevano all’altezza giusta per farmelo puntare diritto.
Non stavo più facendo finta sentivo un formicolio piacevole , allargai le gambe mi umettai il culo e anche lui infilò un dito ben in fondo, ero perso mi piacevano le donne ma mi turbava positivamente anche quella situazione, ormai era da risolvere.
Tolse il dito e appoggio la cappella la incitai: “Marco a questo punto … coraggio spingilo dentro e inculami, dopo Faccio divertire anche te Franci”
Me lo fece entrare piano arrivato al punto di resistenza mi fermai un attimo lui con un colpetto deciso lo inserì tutto e un calore intenso mi prese al interno, Francesco mi chiese cosa provavo risposi solamente “ uuu mmmm” .
La posizione era scomoda, ci mettemmo sulla sponda rialzata del Mincio in mezzo all’ erba e allora cominciò pompare meglio.
Un rumore lontano ci distolse, era un contadino che andava verso i campi in bicicletta, ci acquattammo dietro i rovi e i gelsi nell’erba, mentre passava il contadino me lo tenne spinto fortissimo in culo e anzi il passaggio di quello straniero mi eccitò al massimo sentivo che glielo stringevo come non mai, passato il pericolo riprese con maggior foga, mi piaceva, con un urlo soffocato venne riempiendomi con uno schizzo di liquido caldissimo, e finimmo con una risata reciproca.
Francesco venne vicino con una risata:“Seee ti è piaciuto vero, però avevi promesso prima a me di farti inculare“.
“Che vuoi lui è stato più svelto, ma c’è ne anche per te tranquillo” invece dell’imbarazzo c’era che ci stavamo divertendo,: “Dai vai … il culo è tuo … , adesso che sò com’è non deludermi .. ma dacci dentro”.
Si vedeva poco alla luce della luna ma appena lo estrasse mi resi conto che aveva uno di quegli uccelli che si tengono con due mani, una specie di manico di badile, fece fatica ad entrare e faceva un pochino male, dovette ins****re e bagnarmi almeno tre o quattro volte per superare il punto di non ritorno, ma appena assuefattomi mi rilassi mi lasciai inculare, decisamente lavorava con impegno, aumentò il ritmo prima di venire, sentii uno schizzo caldo in me e me lo spinse in fondo al massimo e lo tenne premuto, sottovoce mugolava di piacere, terminato fui io che venni masturbandomi, schizzando e contorcendomi per quanto godevo.
Tornammo alla casa non prima di esserci rinfres**ti nel fiume, sperando che gli altri non avessero notato la nostra assenza, mi ricomposi per tornare a casa, quella notte non riuscii a dormire tanto era stata l’emozione mi avevano sodomizzato qualsiasi cosa pensassero non mi interessava ero felice.
  Nei pomeriggi della dormiente estate delle campagne mantovane andavano riempite con qualche attività, scarseggiando i soldi bisognava inventarsi qualcosa.
Se non puoi permetterti il campo da tennis ecco che il piazzale del campo di tamburello va benissimo. Era il martedì seguente seguente, primo pomeriggio, sole a picco, caldo incredibile, ma di starsene a casa a poltrire non se ne parlava.
Va bene che eravamo giovani e per non ustionarci con il sole usavamo la mitica crema nivea, ma dopo un ora di batti e ribatti eravamo decisamente cotti, quindi altra decisione, tutti e tre a tuffarsi nel Mincio, sotto la fresca ombra dei pioppi.
Erano forse le due del pomeriggio, tutto il popolo dei bifolchi dormiva al fresco, il solo rumore era del vento tra le foglie e lo sciabordio dell’acqua, facemmo una bella nuotata e ci lavammo con un pezzo di grezzo sapone da bucato.
Eravamo stesi all’ ombra freschi e profumati, da una sacca appesa alla moto Francesco estrasse dei panini e qualcosa da bere, poi con fare titubante mi fece guardare nella sacca che aveva dall’altro lato della moto, li dove aveva riposto la racchetta e le palle, dentro vi erano i sandali della cugina Liliana un vestito bianco da tennis, naturalmente femminile con gonna a pieghe, una maschera veneziana di quelle a mezzo volto tutta colorata e fortunato lui una macchina fotografica Polaroid a viluppo istantaneo.
Quasi bisbigliando mi disse: “Volevo chiederti se ti faresti fare delle foto un po strane … sono a sviluppo istantaneo se non ti piacciono le stracci subito”, avevo dei dubbi, a quel tempo avevo corpo magro ben strutturato ed atletico, a quell’ora e in quel posto nessuno circolava se non noi tre, “ Ma si dai … però si tu che Marco non ne parlate con nessuno”. Non erano ancora gli anni in cui travestirsi era ben visto.
Vestito mascherato era calzato cercai di esibirmi nelle posizioni più stupide possibili, ma il fogliame i sassi e le ortiche erano fastidiose, anzi rischiavo an ogni movimento di cadere dalle scarpe.
Dovevamo trovare un teatro di posa migliore, ripartimmo com le moto per le strade di campagna certi che nessuno fosse in vista, cerca e ricerca ecco l’idea il torrione Gonzaga, una torre chiusa al pubblico, ma noi sapevamo come entrare arrampicarci.
Dal alto si scorgeva tutta la valle e il parco Sigurtà, sul terrazzone i vecchi merli dci riparavano dalla vista del mondo e li caricato un nuovo pacchettino di foto riprendemmo il gioco.
Mi sentivo talmente a mio agio con i due cugini, il il fotografo il regista e la modella.
Con quel vestitino molto corto per me che copriva a malapena metà le chiappe mi esibivo in pose sexi, Ispirato anche da quelle pubblicazioni semiclandestine dell’epoca, tolsi il vestito, sporsi il sedere appoggiai il manico della racchetta allo sfintere.
Già ero eccitato da quell’essere nudo all’aperto, con le scarpe alte, pervaso dalla piacevole sensazione di proibito, che bagnai bene il buchino e introdussi un centimetro dell’impugnatura, entrava a fatica era ricoperta con nastro telato, Francesco un tantino agitato dalla strana sensazione comunque i mi fotografò.
Ero preso dall’azione, Marco, che finché aveva potuto mi dirigeva nelle posizioni, mi guardava in trans mi incoraggiò : “Dai non fermarti … osa di più … dai prova … inventati qualcosa”, si ma il manico della racchetta non saliva, era ruvido. Come fare mi ricordai della s**toletta di crema nivea che portavo sotto il sellino, scesi nudo, recuperai veloce la crema, la spalmai con parsimonia sul manico per bene, appena ne misi un pochino sullo sfintere sentii un piacevole calore.
Ripresi a spingermi la racchetta in culo facendola oscillare la racchetta piano piano, ecco il punto critico, primo tentativo ma niente, secondo un pochino più su, poi una spina costante e leggera un piccolo dolore e il manico s**ttò all’interno, mi venne un uuuu di piacere. Intanto Francesco s**ttava le foto, io sempre con la racchetta infilata per bene mi sdraiai ginochhia a terra, protesi il culo in alto, facevo oscillare quel attrezzo senza tenerlo con le mani, mi piaceva.
Giratomi sul fianco afferrai la racchetta e iniziai a mandarla avanti e indietro sempre più forte. Marco guardava fisso quel manico nel mio culo andare avanti e indietro sempre più profondamente, ormai estraevo la racchetta è la rinfilavo con foga.
Francesco era con la lingua a penzoloni aveva smesso di fotografare, si avvicinò afferro la racchetta e continuò a mandarmela dentro e fuori, io riuscivo solo a mugolare.
A marco venne l’ispirazione, “cosa ne pensi se Franci fa una bella mentre ti inculo”.
Ero perso nel mio ruolo “Siii daiiii … dopo però ne fai una a Franci mntre mi incula … ha un cazzo da competizione”.Tolta la racchetta si porto dietro me e prese and incularmi con foga, ormai la strada era fatta e a me piaceva.
Francesco rimase a fotografare, ogni tanto controllava che nessuno arrivasse, Marco era eccitatissimo e in breve mi inondo di liquido caldo agitando il bacino in modo incontrollato,poi si lascio andare al sole sfinito.
Mi dimenticai delle foto, mi posizionai pancia a terra, Francesco si divertiva a spingerlo con forza in me, sperava forse che mi lamentassi ma più accelerava e batteva più mi piaceva terminò anche lui abbastanza alla svelta, ma neanche il tempo di sfilarlo che mi ritrovai ancora Marco,stavolta agì con più calma, e neanche a dirlo, dopo di lui ancora Francesco.
Finita quella follia mi rivestii normalmente e tornammo alle moto, Marco scese a stento dal torrione gli tremavano le gambe tanto aveva dato.
Nel passare dei giorni in quell’agosto caldissimo appena possibile ci riunivamo e ogni volta mi proponevano di infilarmi qualcosa di più grosso e quando ci riuscivo la cosa mi piaceva, a volte esageravamo; mi eccitavano i posti all’aperto, la sequenza, prima la vestizione poi l’esibizione dove anche loro partecipavano a sodomizzarmi con l’oggetto, se passava ma anche se non passava, presi in quel turbine eccitatissimi non mancavano mai le favolose inculate finali.
   Iniziazione al cinema
 "Sentii le mani dello sconosciuto cingermi la vita e portarmi dietro delle pesanti tende di cui ignoravo l’esistenza e dietro le quali il buio era totale..."
Quella mattina le lezioni erano finite alle 11 perché mancava un docente. Di andare in biblioteca a studiare non ne aveva voglia nessuno; era l’inizio di giugno e pensammo di andarcene in giro a goderci la bella giornata di sole. La giornata era bella ed era piacevole passeggiare per il centro. Eravamo io e Alessandra insieme a due suoi amici; essendo arrivata solo quest’anno in città, Alessandra si era mostrata gentile ad introdurmi nell’ambiente, dato che lei era di casa, essendo già al terzo anno, mentre io ero solo una matricola. Ad un certo punto, uno dei ragazzi propose di andare in un cinema lì vicino; si trattava di un cinema a luci rosse e io mi mostrai decisamente contrariata, ma Alessandra mi disse di non fare la provinciale e di non rovinarle la festa, perché mi confidò in un orecchio, di volersi fare un giro con Marco. Non me la sentii di oppormi e ci avviammo verso il cinema. Arrivati alla cassa, il cassiere disse a Roberto strizzandogli l’occhio: “allora ce l’hai fatta a venire!”. A quel punto pensai che la cosa non fosse troppo improvvisata, ma ormai mi trovavo lì e poi si trattava del solito pretesto del film porno, per far eccitare le ragazze; ma questo si usava a 16 anni!
Entrammo e feci fatica ad abituarmi all’oscurità perché la sala era nel buio più assoluto, eccezion fatta per la luce dello schermo. Tra qualche risata e qualche difficoltà raggiungemmo dei posti liberi e cominciammo a guardare le immagini sullo schermo. Come mi aspettavo, niente di nuovo si presentava ai nostri occhi: la solita esibizione di corpi quasi perfetti che si esibivano in amplessi che miravano soprattutto a lasciare in primo piano i sessi degli attori. Cominciammo a scherzare sulla recitazione e sui dialoghi e sulla disposizione degli spettatori nel cinema: poca gente sparsa tra i sedili e guardandomi intorno, mi accorsi di un paio di persone che si masturbavano freneticamente. Questa scoperta mi turbò più del film e subito sentì uno strano calore arrivarmi tra le gambe.
Le accavallai e sentii subito una piacevole sensazione perché avevo solo una gonna leggera, senza calze dato che era arrivato il gran caldo già da qualche settimana. Le accavallai ancora e senti crescere il calore. Mi venne voglia di accarezzarmi, ma non ebbi il coraggio di farlo vicino ai miei amici, per cui decisi di alzarmi e di andare in bagno. Mentre mi avviavo verso i bagni, mi resi conto che per quanto mi fossi abituata al buio, al fondo della sala c’era davvero un’oscurità quasi impenetrabile. Mi accorsi di alcune sagome appoggiate contro il muro e quasi subito, avvertii la pressione delicata ma decisa di una mano sul mio culo. Trasalii un po’ per lo spavento e un po’ per l’eccitazione che mi stava portando verso i bagni e che, a causa di quel contatto inaspettato, mi fece sobbalzare il cuore in gola. Invece di continuare a camminare, mi fermai con la salivazione azzerata e il cuore che sembrava un cavallo impazzito. A quel punto, la mano prese coraggio e mi palpò con decisione assaporando la morbidezza delle mie curve e cominciò a baciarmi sul collo. Mi spaventai di me stessa e di quello che stavo lasciando che accadesse. Sentii le mani dello sconosciuto cingermi la vita e portarmi dietro delle pesanti tende di cui ignoravo l’esistenza e dietro le quali il buio era totale. Mi venne in mente che ero tra le mani di uno sconosciuto che avrebbe potuto essere vecchio e brutto, ma non riuscivo a dominare le scariche di desiderio che la situazione intrigante mi faceva nascere in mezzo alle gambe. Un viso si avvicinò al mio e subito avverti delle labbra sulle mie che erano già dischiuse dall’eccitazione, per cui la sua lingua mi riempì e la mia ricambiò con desiderio. Mentre mi baciava sentii un tramestio e qualcuno doveva essere entrato dietro le tende, perché sentii diverse mani accarezzarmi i fianchi, il seno e cominciarono a infilarsi sotto la gonna. Sentivo mani grosse e callose che mi rovistavano l’intimità e quando arrivarono a scostarmi le mutandine per infilarsi nella mia figa, spalancai ancora di più la bocca con cui stavo baciando lo sconosciuto. Lui prese la mia mano e se la portò sull’inguine, facendomi avvertire la presenza di un’erezione enorme e prepotente. Feci scorrere la mano su quel rigonfio e lui con pochi gesti si abbassò la tuta da ginnastica che indossava, liberando un cazzo poderoso. Continuavo a sentire la sua lingua in bocca, le sue mani stringermi con forza i capelli e non so quante mani scorrere sui miei fianchi, sul mio culo, tra le mie cosce. Presi ad accarezzare quel cazzo e mi gustavo la lunghezza, la larghezza e la consistenza. Mentre mi godevo tutto questo, sentii qualcuno dire: “toglile le mutandine” e un’altra voce subito aggiunse: “strappagliele e fatevela tutti quanti!”. Era la voce di Alessandra. Altro che giro con Roberto, avevano organizzato tutto da chissà quanto tempo! E adesso mi trovavo lì, in balìa di non so quanti sconosciuti che non vedevano l’ora di prendersi da me quello che volevano. Così fecero. Sentii le mie mutandine lacerarsi e delle mani che mi sollevavano sostenendomi per le gambe, che tenevano ben aperte e mi impalarono sullo sconosciuto che mi riempì in un colpo solo, con prepotenza, in profondità. Rimasi per qualche secondo senza respirare per poi espirare rumorosamente e profondamente, per sottolineare il piacere di essere piena di cazzo e di soddisfazione. La lentezza con cui iniziò a pomparmi nella figa, mi dava l’idea di un’escursione infinita del suo cazzo dentro di me e, per quanto fossi fradicia di umori, mi sentivo dilatare le carni e temevo di lacerarmi da un momento all’altro. Nonostante questo, non avevo modo di sottrarmi a quell’impalatura perché ero come un pupazzo tra le mani sconosciute che mi sostenevano e le spinte imperiose e impietose che lo sconosciuto prese a darmi con deliberata violenza. Mi sembrava di morire. Cominciai a gemere sempre più forte e intensamente finché l’orgasmo mi raggiunse violento come una frustata, scuotendo il mio corpo nonostante fosse sorretto da diversi uomini. Ancora semi stordita, mi sfilarono da quella pertica di carne e mi inginocchiarono davanti allo sconosciuto che si prese il suo piacere, riversandomi in bocca una sborrata liquida e abbondante; probabilmente si stava menando il cazzo da lungo tempo, perché la sentii scorrere in gola abbondante e con il suo piacevole sapore acre. Ma eravamo appena all’inizio. In quella posizione, sentii altre cappelle premere contro il mio viso e presi a distribuire succhiotti e leccate, sentendo i sapori e gli odori di ognuno. Ripensandoci, dovevano essere tutti extra comunitari che lavoravano al grande mercato vicino al cinema. Questa riflessione mi mise addosso la consapevolezza di essere prigioniera di un branco di neri, che avrebbero potuto farmi a brandelli, nella loro smania di spartirsi le mie carni bianche e delicate, di rossa naturale. Dopo qualche minuto passato a succhiare i cazzi che nel buio cercavano la mia bocca, mi fecero alzare e mi piegarono in avanti, appoggiandomi al muro. Sentivo la guancia contro la superficie fredda e ruvida del muro, mentre mani sconosciute mi rovistavano sotto la gonna e introducevano brutalmente due o tre dita nel mio sesso, fradicio e ancora aperto dalla violenta penetrazione dello sconosciuto. Quasi subito qualcuno si introdusse dentro di me e cominciò a muoversi in maniera lenta e intensa, con le unghie che artigliavano la carne dei miei fianchi, mentre altre mani si accanivano sul culo, introducendo uno o due dita, finchè non si sfilò da me per introdursi con decisione nel mio culo. Il dolore mi lasciò senza fiato e mi fece urlare. Alessandra, mi tappò la bocca dicendomi “zitta piccola, che poi ti piace…”. Mentre cominciavano a scendermi le lacrime mi aggrappai alle braccia che mi afferravano i fianchi, piantando le unghie in quei polsi che mi scuotevano, per far scorrere il suo palo dentro di me. Volevo ribellarmi, scappare da quella penetrazione devastante, ma mi tenevano per i capelli, con la faccia contro il muro, le gambe aperte e il culo in fuori e non so bene quanti fossero. Ogni tanto, il cazzo nel mio culo si ritraeva completamente per poi riaffondare nella mia morbidezza candida e lentigginosa, dopo aver sputato un paio di volte sul buchino rosa. Quando il cazzo usciva, mi sembrava di prendere fiato dopo una lunga immersione e quando rientrava, sentivo che il dolore cominciava diminuire e lasciava spazio alla piacevole sensazione di essere posseduta in maniera decisamente virile, quasi animalesca. Intanto Alessandra mi dava dei lievi baci sul viso e leccava le mie lacrime, finchè le nostre lingue non si intrecciarono in un bacio osceno e voglioso. Improvvisamente tutto si ferma e vengo portata verso l’ultima fila dove mi fanno appoggiare allo schienale delle poltrone. Mi ritrovo così piegata a novanta con gente davanti e gente dietro, che si alternavano nella mia bocca e nel mio culo. Una incredibile giostra di cazzi che mi sono entrati di prepotenza nel culo, schiaffeggiandomi sonoramente e prendendosi il mio calore, per venire a schizzare tutta la loro sborra nella mia bocca, tenendomi ferma per i capelli ed emettendo dei grugniti animaleschi quando cominciavano a schizzarmi in gola il loro piacere, con Alessandra che mi teneva fermo il viso e con le dita raccoglieva la sborra che fuoriusciva e me la ricacciava in bocca. Alla fine, mi ritrovai in bagno con Alessandra che mi aiutava a rimettermi in sesto, spiegandomi che era una sorta di rito di iniziazione per le matricole…particolarmente porche e carine come me! Da allora siamo diventate inseparabili compagne di studi, ma soprattutto di feste !
 Cugini
 Erano gli anni d’oro di Baglioni e dei Pooh, finita la scuola io e la frotta di cugini ci godevamo l’estate nella bassa Mantovano tra bagni nel Mincio e serate di gruppo ballando alla musica di quegli sgangherati mangiadischi.
Una sera di fine Luglio stavamo divertendoci nel ex fienile della cascina, indossavo dei bermuda molto in voga quell’anno, in oltre facendo nuoto liscio e depilato.
La cuginetta, sguardo acuto, e spirito da diavolo, frizzante ed eccitata venne vicino :
“Hei ma che belle gambe lisce che hai, saresti perfetto, perché non ti fai truccare, mi piacerebbe tanto, non ho mai truccato un maschio, dai qualcosa di diverso dal solito”
Lo sapevano tutti che se c’era da fare una follia io ero sempre in prima linea per tenere su la compagnia mi davo da far. in quel momento ero sinceramente combattuto, al concepimento siamo tutti femmine poi col proseguire ecco la trasmutazione e la parte femminile che ristagnava in me quasi quasi si sentiva gratificata da quei complimenti, comunque cercai di rifiutare: “ Ma sei matta e poi cosa penseranno?”
La mia cuginetta non sentiva ragioni e guardandomi con occhi da cerbiatta continuò ad ins****re: “ Dai .. daiiiii fallo per me… è solo per questa volta ti prego daiiii ”.
a darle manforte anche il fratello: “ Dai fai uno sforzo, ci facciamo quattro risate”
Insistettero tanto che cedetti : ”Mi domando perché devo sempre fare io la cavia, comunque sia facciamo anche questa follia, basta che poi non me la meniate per tutta l’estate” tanto dovevo rientrare a metà agosto e cosa peggiore avevo in mano la cartolina per la visita di leva”.
Nonostante fosse stata lei a dare il via alla questione, rimase un tantino dal fatto che avessi accettato.
“Davvero posso, che bello “ e così aiutata dalla cugina liliana iniziarono l’opera di restyling, pensavo si sarebbero limitate al trucco, mi sbagliavo, provvidero a fornirmi anche di gonna,mutande con pizzo, canottiera.
Speravo di averla scampata con le scarpe, io ho la taglia 41 mentre le ragazze al massimo avevano la quaranta, ma per mia sfortuna la cugina Liliana volle a tutti i costi farmi provare un paio i suoi sandali taglia quaranta e purtroppo riuscii a indossarli, così furono obbligate a terminare l’opera colorandomi le unghie dei piedi con un bel rosso.
L’effetto gonna era insolito, mi faceva sentire una strana frescura, le scarpe alte erano terribili, non perché scomode anzi, lo furono primi passi, mi muovevo come Frankestein inelegante e scoordinato, meno male che quelle zeppe in sughero mi davano un pochino di stabilità, furono prodighe di consigli e su come muovermi e in una decina di minuti ci riuscii ma sculettavo più delle ragazze.
Il momento più imbarazzante fu quando mi ripresentai alla combriccola, dopo un attimo di perplessità ci fu un applauso e degli ululati, tanto eravamo in piena campagna e quel sabato sera a parte noi ragazzi, tutto il parentado era riunito per una delle loro noiosissime cene del buon ricordo oltre Mantova e non sarebbero arrivati se non a ore tardissime.
ormai ero in confidenza con le scarpe, mi dimenavo e saltellavo in mezzo a tutti gli altri al ritmo regolare della musica anni 80/90, non esitai a fare il buffone ballando in maniera equivoca sul tavolone, le cugine invece avevano preso confidenza con quello stano travestito e mentre circolavo tra loro ne approfittavano per alzarmi il corto gonnellino, aggiungendo sempre commenti più spudorati sulle belle mutande di pizzo, prese sempre più dall’euforia della serata passarono ad azioni più incisive, con gesto rapido afferravano l’elastico delle mutande e abbassavano le mutande, non appena scoperta una parte di chiappa ecco che l’altra mi mollava una sculacciata.
Più che stare al gioco devo dire che davo corda io protendevo il sedere e ad ogni schiaffetto rispondevo mandando baci, perché rovinare la bella serata con assurde recriminazioni, in fondo mi ci ero infilato io nella situazione e conoscendo le cugine.
La cosa prese a precipitare ormai ero la vittima di quella serata, iniziarono a partecipare alla battaglia delle mutande anche cugini e amiche, come riposizionavo le mutande ecco che qualcuna le riportava a mezza chiappa, vincere non si poteva quindi lascia che le abbassassero abbastanza per farle cadere e una volta arrivate alle caviglie le calciai via.
Insomma Gonna corta e sedere al vento, era fatta il gesto diede la stura alla corsa a toccarmi o a schiaffeggiarmi il culo, le due cuginette ma anche gli altri erano s**tenati, i commenti e le battute fioccavano e vi dirò ero ormai talmente a mio agio con loro da trovarlo eccitante.
La sera era piuttosto afosa, dopo due ore di balli eravamo accaldatissimi, i cugini Francesco e Marco ed io ci fermammo e ci portammo sulla riva del vicino fiume, un attimo di silenzio in quella sera calma e con una cielo pieno di stelle e una falce di luna. Non avevo perso tempo a rimettermi in giro per le strade sterrate non circolava nessuno, e poi mi ero talmente abituato che manco ci pensavo più.
Passeggiavamo lentamente chiacchierando del più e del meno Francesco al mio fianco e poco dietro Marco lanciava sassi nel fiume, quando sentii prima una mano sul fianco e poi sul sedere, lo lasciai fare, anzi gli spedii un bacio e forse fingendo o forse no dissi con fare femmineo: ” “Franci questa sera il mi culo è stato l’attrazione, magari vorresti di più”.
Rimase interdetto : “Veramente cosa intendi per di più forse … non avevo il coraggio di chiederti di farmelo provare”, mi fermai e protesi il sedere all’indietro, lui puntai il suo dito indice sul mio sfintere, : “Dai spingilo dentro”, e lui eseguì.
Dovete sapere che eravamo molto affiatati, a lui avevo confessato che a tredici anni, mentre ero in colonia, con uno degli amichetti con i quali avevo scoperto la sessualità, sera dopo sera erano riuscirti a infilarmelo in culo e per una settimana tutte le sere ci trovavamo in bagno.
La casa era lontana, il buio quasi totale, solo la falce di luna illuminava la campagna, gli unici rumori erano quello dei grilli e dell’acqua che scorreva lenta, solo lontano sulla strada qualche auto passava veloce riprendemmo a camminare mentre quel dito si insinuava sempre di più.
Marco dietro a noi aveva notato le manovre di Francesco e il fatto che io ci stavo, nel buio si era tolto i bermuda e le mutande, mi raggiunse ,mi abbracciò da dietro e mi appoggiò il membro durissimo, colmo dell’ironia quelle zeppe che indossavo mi tenevano all’altezza giusta per farmelo puntare diritto.
Non stavo più facendo finta sentivo un formicolio piacevole , allargai le gambe mi umettai il culo e anche lui infilò un dito ben in fondo, ero perso mi piacevano le donne ma mi turbava positivamente anche quella situazione, ormai era da risolvere.
Tolse il dito e appoggio la cappella la incitai: “Marco a questo punto … coraggio spingilo dentro e inculami, dopo Faccio divertire anche te Franci”
Me lo fece entrare piano arrivato al punto di resistenza mi fermai un attimo lui con un colpetto deciso lo inserì tutto e un calore intenso mi prese al interno, Francesco mi chiese cosa provavo risposi solamente “ uuu mmmm” .
La posizione era scomoda, ci mettemmo sulla sponda rialzata del Mincio in mezzo all’ erba e allora cominciò pompare meglio.
Un rumore lontano ci distolse, era un contadino che andava verso i campi in bicicletta, ci acquattammo dietro i rovi e i gelsi nell’erba, mentre passava il contadino me lo tenne spinto fortissimo in culo e anzi il passaggio di quello straniero mi eccitò al massimo sentivo che glielo stringevo come non mai, passato il pericolo riprese con maggior foga, mi piaceva, con un urlo soffocato venne riempiendomi con uno schizzo di liquido caldissimo, e finimmo con una risata reciproca.
Francesco venne vicino con una risata:“Seee ti è piaciuto vero, però avevi promesso prima a me di farti inculare“.
“Che vuoi lui è stato più svelto, ma c’è ne anche per te tranquillo” invece dell’imbarazzo c’era che ci stavamo divertendo,: “Dai vai … il culo è tuo … , adesso che sò com’è non deludermi .. ma dacci dentro”.
Si vedeva poco alla luce della luna ma appena lo estrasse mi resi conto che aveva uno di quegli uccelli che si tengono con due mani, una specie di manico di badile, fece fatica ad entrare e faceva un pochino male, dovette ins****re e bagnarmi almeno tre o quattro volte per superare il punto di non ritorno, ma appena assuefattomi mi rilassi mi lasciai inculare, decisamente lavorava con impegno, aumentò il ritmo prima di venire, sentii uno schizzo caldo in me e me lo spinse in fondo al massimo e lo tenne premuto, sottovoce mugolava di piacere, terminato fui io che venni masturbandomi, schizzando e contorcendomi per quanto godevo.
Tornammo alla casa non prima di esserci rinfres**ti nel fiume, sperando che gli altri non avessero notato la nostra assenza, mi ricomposi per tornare a casa, quella notte non riuscii a dormire tanto era stata l’emozione mi avevano sodomizzato qualsiasi cosa pensassero non mi interessava ero felice.
  Nei pomeriggi della dormiente estate delle campagne mantovane andavano riempite con qualche attività, scarseggiando i soldi bisognava inventarsi qualcosa.
Se non puoi permetterti il campo da tennis ecco che il piazzale del campo di tamburello va benissimo. Era il martedì seguente seguente, primo pomeriggio, sole a picco, caldo incredibile, ma di starsene a casa a poltrire non se ne parlava.
Va bene che eravamo giovani e per non ustionarci con il sole usavamo la mitica crema nivea, ma dopo un ora di batti e ribatti eravamo decisamente cotti, quindi altra decisione, tutti e tre a tuffarsi nel Mincio, sotto la fresca ombra dei pioppi.
Erano forse le due del pomeriggio, tutto il popolo dei bifolchi dormiva al fresco, il solo rumore era del vento tra le foglie e lo sciabordio dell’acqua, facemmo una bella nuotata e ci lavammo con un pezzo di grezzo sapone da bucato.
Eravamo stesi all’ ombra freschi e profumati, da una sacca appesa alla moto Francesco estrasse dei panini e qualcosa da bere, poi con fare titubante mi fece guardare nella sacca che aveva dall’altro lato della moto, li dove aveva riposto la racchetta e le palle, dentro vi erano i sandali della cugina Liliana un vestito bianco da tennis, naturalmente femminile con gonna a pieghe, una maschera veneziana di quelle a mezzo volto tutta colorata e fortunato lui una macchina fotografica Polaroid a viluppo istantaneo.
Quasi bisbigliando mi disse: “Volevo chiederti se ti faresti fare delle foto un po strane … sono a sviluppo istantaneo se non ti piacciono le stracci subito”, avevo dei dubbi, a quel tempo avevo corpo magro ben strutturato ed atletico, a quell’ora e in quel posto nessuno circolava se non noi tre, “ Ma si dai … però si tu che Marco non ne parlate con nessuno”. Non erano ancora gli anni in cui travestirsi era ben visto.
Vestito mascherato era calzato cercai di esibirmi nelle posizioni più stupide possibili, ma il fogliame i sassi e le ortiche erano fastidiose, anzi rischiavo an ogni movimento di cadere dalle scarpe.
Dovevamo trovare un teatro di posa migliore, ripartimmo com le moto per le strade di campagna certi che nessuno fosse in vista, cerca e ricerca ecco l’idea il torrione Gonzaga, una torre chiusa al pubblico, ma noi sapevamo come entrare arrampicarci.
Dal alto si scorgeva tutta la valle e il parco Sigurtà, sul terrazzone i vecchi merli dci riparavano dalla vista del mondo e li caricato un nuovo pacchettino di foto riprendemmo il gioco.
Mi sentivo talmente a mio agio con i due cugini, il il fotografo il regista e la modella.
Con quel vestitino molto corto per me che copriva a malapena metà le chiappe mi esibivo in pose sexi, Ispirato anche da quelle pubblicazioni semiclandestine dell’epoca, tolsi il vestito, sporsi il sedere appoggiai il manico della racchetta allo sfintere.
Già ero eccitato da quell’essere nudo all’aperto, con le scarpe alte, pervaso dalla piacevole sensazione di proibito, che bagnai bene il buchino e introdussi un centimetro dell’impugnatura, entrava a fatica era ricoperta con nastro telato, Francesco un tantino agitato dalla strana sensazione comunque i mi fotografò.
Ero preso dall’azione, Marco, che finché aveva potuto mi dirigeva nelle posizioni, mi guardava in trans mi incoraggiò : “Dai non fermarti … osa di più … dai prova … inventati qualcosa”, si ma il manico della racchetta non saliva, era ruvido. Come fare mi ricordai della s**toletta di crema nivea che portavo sotto il sellino, scesi nudo, recuperai veloce la crema, la spalmai con parsimonia sul manico per bene, appena ne misi un pochino sullo sfintere sentii un piacevole calore.
Ripresi a spingermi la racchetta in culo facendola oscillare la racchetta piano piano, ecco il punto critico, primo tentativo ma niente, secondo un pochino più su, poi una spina costante e leggera un piccolo dolore e il manico s**ttò all’interno, mi venne un uuuu di piacere. Intanto Francesco s**ttava le foto, io sempre con la racchetta infilata per bene mi sdraiai ginochhia a terra, protesi il culo in alto, facevo oscillare quel attrezzo senza tenerlo con le mani, mi piaceva.
Giratomi sul fianco afferrai la racchetta e iniziai a mandarla avanti e indietro sempre più forte. Marco guardava fisso quel manico nel mio culo andare avanti e indietro sempre più profondamente, ormai estraevo la racchetta è la rinfilavo con foga.
Francesco era con la lingua a penzoloni aveva smesso di fotografare, si avvicinò afferro la racchetta e continuò a mandarmela dentro e fuori, io riuscivo solo a mugolare.
A marco venne l’ispirazione, “cosa ne pensi se Franci fa una bella mentre ti inculo”.
Ero perso nel mio ruolo “Siii daiiii … dopo però ne fai una a Franci mntre mi incula … ha un cazzo da competizione”.Tolta la racchetta si porto dietro me e prese and incularmi con foga, ormai la strada era fatta e a me piaceva.
Francesco rimase a fotografare, ogni tanto controllava che nessuno arrivasse, Marco era eccitatissimo e in breve mi inondo di liquido caldo agitando il bacino in modo incontrollato,poi si lascio andare al sole sfinito.
Mi dimenticai delle foto, mi posizionai pancia a terra, Francesco si divertiva a spingerlo con forza in me, sperava forse che mi lamentassi ma più accelerava e batteva più mi piaceva terminò anche lui abbastanza alla svelta, ma neanche il tempo di sfilarlo che mi ritrovai ancora Marco,stavolta agì con più calma, e neanche a dirlo, dopo di lui ancora Francesco.
Finita quella follia mi rivestii normalmente e tornammo alle moto, Marco scese a stento dal torrione gli tremavano le gambe tanto aveva dato.
Nel passare dei giorni in quell’agosto caldissimo appena possibile ci riunivamo e ogni volta mi proponevano di infilarmi qualcosa di più grosso e quando ci riuscivo la cosa mi piaceva, a volte esageravamo; mi eccitavano i posti all’aperto, la sequenza, prima la vestizione poi l’esibizione dove anche loro partecipavano a sodomizzarmi con l’oggetto, se passava ma anche se non passava, presi in quel turbine eccitatissimi non mancavano mai le favolose inculate finali.
11/7/2021                                    andrea farnese
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ことは✽鬼
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eddy77x · 3 years
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Sannomiya Tsubaki 三宮つばき
Apr 11, 2021.
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eddy77x · 3 years
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eddy77x · 3 years
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Diana Silvers photographed by Ryan Pfluger for Vanity Fair Magazine | June 15, 2021  
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eddy77x · 3 years
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Rapita dal nemico
 Quando aveva fatto le esercitazioni al campo militare, Laura era stata avvertita che se fosse stata catturata non sarebbe stata un’esperienza facile. In quella regione del centro Africa le tribù locali sottoponevano i soldati prigionieri a ogni tipo di tortura. Ma la passione di Laura per l’esercito, benché donna e molto bella, le aveva fatto cancellare ogni paura.
E così era partita per la sua prima missione di ricognizione in quel territorio lontano e quasi inesplorato, nel bel mezzo della foresta.
Erano in perlustrazione con la sua squadra, quando all’improvviso dal folto della boscaglia erano comparsi decine e decine di ribelli locali. Presto furono circondati e sottoposti a un fuoco incrociato.
La sua squadra in breve si disperse, ognuno per cercare di salvarsi. Così Laura rimase sola, nascosta dietro un folto cespuglio, sperando di passarla liscia. Ben presto, invece, venne avvistata e catturata. Era sola, gli altri commilitoni evidentemente erano riusciti in qualche modo a salvarsi. Dopo una lunghissima camminata venne condotta in un villaggio e qui incontrò l’unica persona che parlava la sua lingua. Questi era anche il capo villaggio e ben presto, in modo brutale, le spiegò la situazione: “maledetti bianchi, venite qui nella nostra terra e volete imporre la vostra legge, ma noi vi uccideremo tutti. Tu intanto resterai nostra prigioniera e useremo i filmati delle torture che ti faremo per convincere ogni altro invasore estero a lasciarci in pace”.
Venne portata in una capanna e legata all’interno di una gabbia e poi per qualche ora non successe più nulla. Dopo, il capo del villaggio, un negro alto quasi due metri con un corpo molto muscoloso, entrò nella capanna e le rivolse la parola. “Lurida troia, adesso vedrai cosa vuol dire far parte di un esercito nostro nemico. E stai tranquilla, filmeremo tutto e lo manderemo alle vostre televisioni”.
Quindi nella capanna entrarono altri due negri, uno con una telecamera e l’altro con una grande borsa. Laura venne presa, fatta uscire dalla gabbia, spogliata violentemente dai due negri, messa sdraiata su un tavolaccio che c’era lì e legata con mani e piedi alle quattro gambe del tavolo. Si trovò così in una posizione molto scomoda, con la testa fuori dal tavolo e con le gambe aperte in modo osceno.
Intanto avevano aperto la borsa e avevano cominciato a tirare fuori fruste, candele, mollette da bucato, corde e una serie di altri oggetti. Il capo del villaggio le si avvicinò, mentre un altro aveva già iniziato a riprendere tutta la scena con la telecamera. “Ora faremo vedere al mondo quanto sono troie le donne occidentali e cosa succederà a loro se continueranno a venire come forze di occupazione nella nostra terra”. Intanto aveva cominciato a toccarla con una mano, che partendo da una gamba risaliva fino all’inguine, passava sulla sua fica, sulla pancia e fino alle tette.
Laura aveva provato a urlare e a liberarsi: “maledetti bastardi lasciatemi stare”, ma uno schiaffo l’aveva immediatamente fatta desistere. Quella mano continuava a fare su e giù sul suo corpo, mentre il capo del villaggio parlava agli altri presenti in una lingua a lei incomprensibile. Laura, intanto, nonostante la situazione, con quelle carezze si stava un po’ sciogliendo. Incredibilmente si stava eccitando.
Improvvisamente il negro smise di toccarla, prese una frusta e cominciò a frustarla sulle tette e sulla fica. La frusta era fatta con fibre vegetali e ad ogni colpo bruciava, ma non così tanto. La cosa strana era che Laura tra le carezze di prima e questa situazione imbarazzante ormai era molto eccitata. In fin dei conti uno dei suoi sogni erotici ricorrenti era quello di essere violentata da un negro, che la trattava male e la sculacciava. Quante volte di notte si era ritrovata nel suo letto a immaginarsi questa situazione, per poi masturbarsi fino a raggiungere orgasmi fortissimi.
Questa volta, però, la situazione era vera e lei ne era terrorizzata. Ma nonostante tutto il suo corpo reagiva agli stimoli sorprendendola come mai avrebbe immaginato. Piano piano, ad ogni colpo di frusta che la colpiva sui capezzoli o sul clitoride, lei si eccitava sempre di più. I mugolii di dolore per le frustate si mischiarono così anche a lamenti di piacere e capezzoli e clitoride erano gonfi, dritti e duri come mai prima nella sua vita. Laura sperava che i suoi aguzzini non se ne accorgessero, perché sarebbe morta dalla vergogna a farsi scoprire in una situazione del genere, oltretutto mentre veniva filmata. Ma il capo del villaggio non ci mise molto a notare che la sua fica si era tutta bagnata. Immediatamente smise di frustarla e le mise una mano tra le gambe. Laura era un lago e i suoi umori le colavano ormai fuori dalla fica. Il capo scoppiò in una risata e disse qualcosa ai suoi compagni.
Quello con la telecamera si spostò subito in modo da poter riprendere bene in primo piano la sua fica. Quando il cameramen si fu ben posizionato, il capo le infilò brutalmente due dita nella fica, facendo gemere Laura. Iniziò a fare un lento dentro e fuori, ogni tanto tirando fuori la mano e dandole uno schiaffo proprio in mezzo alle cosce, sul clitoride. Laura ormai stava con le cosce apertissime, con gli occhi chiusi e sentiva l’orgasmo montarle dentro. A ogni schiaffo sulla fica emetteva un urletto per il momentaneo dolore, ma la cosa la eccitava sempre di più. Il suo clitoride era ormai gonfio e sporgente e la sua fica grondante di umori. Ogni tanto il capo tirava fuori le dita dalla sua fica e le mostrava gocciolanti alla telecamera ridendo. Poi gliele mise anche in bocca: “lecca troia, facci vedere quanto ti piace”. Laura non aveva mai fatto una cosa del genere e si sentiva umiliata ma era eccitatissima. In breve si trovò a leccare ben bene le dita di quell’uomo, che intanto con l’altra mano aveva ricominciato a toccarla tra le cosce.
Quando le dita furono ben pulite, con quella mano il negro cominciò a tirarle e a torcerle i capezzoli, che nel frattempo era anch’essi diventati lunghi e dritti. Laura mugolava, vinta dal dolore ma soprattutto dal piacere e ormai non capiva più niente. L’unica cosa che aveva in mente era l’orgasmo che le stava crescendo dentro e che tra breve sarebbe esploso. Improvvisamente l’uomo si fermò: “stupida puttana, pensi che siamo qui per farti divertire?” le disse. Laura era furibonda per tutta la situazione, perché non era riuscita e raggiungere l’orgasmo e anche per questa sua reazione all’accaduto. In fin dei conti era stata catturata dai nemici e lei invece di provare schifo e paura si era lasciata coinvolgere in quello che era diventato un vero gioco erotico.
Il capo allora aveva preso un grosso ramo di legno, inciso a forma di grosso cazzo e perfettamente levigato e glielo aveva infilato nella figa. Ma poi aveva anche preso le mollette da bucato e una ad una le aveva posizionate sui capezzoli e sul clitoride.
Laura aveva le parti intime in fiamme, ma quella grossa presenza nella sua fica le teneva vivo il moto dell’orgasmo, che era sempre lì, presente e pronto ad arrivare, ma che non riusciva a sfogarsi. Con una mano il capo faceva fare dentro e fuori al cazzo di legno, mentre con l’altra tirava le mollette su capezzoli e clitoride. Laura ormai gridava e gemeva come una cagna in calore, con la fica e le tette in fiamme ma bagnatissima. Soprattutto la molletta sul clitoride le dava sensazioni fortissime e stranissime. Sicuramente faceva male, ma in fondo proprio perché faceva male il suo corpo trovava la cosa eccitantissima. E nonostante tutto, ancora una volta stava per venire.
Il negro a quel punto le infilò un dito nel culo e iniziò un veloce e avanti e dietro che in breve portò Laura ad un orgasmo di un’intensità mai provata prima. Dalla sua fica partì un getto di umori, uno schizzo vero e proprio, che bagnò tutto il negro che la stava masturbando. Con l’orgasmo Laura non riuscì s trattenere un potente urlo liberatorio, seguito da una serie infinita di mugolii, ansimando e gemendo veramente come una cagna in calore, con spasmi che le squassavano tutto il corpo. Dopo un po’ le sensazioni dell’orgasmo svanirono e per Laura fu come risvegliarsi e tornare alla dura realtà. I negri ridevano e il capo le disse: “adesso mandiamo questo film alla CNN, così facciamo vedere al mondo di che pasta sono fatte le puttane bianche che vengono nel nostro paese”. Laura si sentì morire. Lei ripresa mentre veniva torturata, tutta nuda in posizione oscena e per di più che mostrava al mondo quanto la cosa le piacesse, con la sua fica tutta aperta e bagnata e con quell’orgasmo così umiliante per una soldatessa nella sua condizione.
Venne slegata e rimessa nella gabbia, seduta e con le mani legate ai lati: “così non puoi masturbarti, troia” le disse il capo ridendo. Il suo corpo era ancora incredibilmente eccitato e lei aveva una voglia matta di masturbarsi e di raggiungere l’orgasmo. La posizione in cui l’avevano messa, però, non le consentiva neanche di strusciare la fica contro il pavimento per provare a masturbarsi in quel modo. Era sfinita, eccitata come non mai nella sua vita e sconvolta dai mille pensieri che le frullavano nella testa. Ormai sola da un bel po’ di tempo, riuscì comunque ad addormentarsi.
Il giorno dopo il capo venne nella capanna svegliarla. “Lurida troia, adesso riprendiamo con il trattamento di ieri e con il filmato”. Questa volta la portarono fuori dalla capanna, all’aperto, in mezzo al villaggio, e la legarono in piedi ad una croce di pali messi a X. Ancora una volta era nuda, con le cosce aperte, alla mercé di chiunque volesse divertirsi con lei. Ben presto si avvicinò una piccola folla di abitanti del villaggio, che le urlavano contro, le tiravano contro frutta e ortaggi e le sputavano. Il capo venne e disse qualcosa e tutti smisero di darle addosso. E il suo compare con la telecamera si mise lì a fianco per filmarla di nuovo. Poi le disse: “ieri sembra proprio che ti sei divertita, adesso vediamo se è la stessa cosa”. Riprese a carezzarla sulla fica guardandola dritta negli occhi. “Vediamo se questa puttana bianca anche questa volta si eccita davanti a tutti”.
Laura si vergognava come mai nella vita, eppure sentiva ancora una volta l’eccitazione montarle dentro. “Sporco negro, non credere che mi fai paura” disse, quasi per darsi coraggio. Ma non fece in tempo a finire la frase che il capo le prese il clitoride tra indice e pollice e glielo strinse. Laura si piegò sulle gambe ed emise un forte mugolio. Sentì all’inizio una fitta dolorosa, ma poi come il giorno prima questo dolore si tramutò in eccitazione fortissima. Laura era stupita delle reazioni del suo corpo, che andavano assolutamente contro la sua volontà, ma non riusciva a trattenersi. Immediatamente il mugolio di dolore si tramutò in mugolio di piacere e la sua fica riprese a grondare succhi. Ancora una volta il capo le levò le dita dalla fica e mostrò alla folla quanto fossero bagnate, dicendo un qualcosa che s**tenò l’ilarità di tutti. “Questa volta, puttana, ti frusteremo ben bene, ma prima ti voglio fare un bel giochetto. Vedrai che sorpresa.
“Un altro negro venne con una corda in mano, una corda lunga, grossa e ruvida. Questa le fu legata in vita e poi passata da sotto in mezzo alle cosce. Tirata da davanti verso l’alto si andò a infilare tra le labbra della sua fica ormai lubrificata.
La corda venne legata alla parte alta della croce e tirata molto forte. Adesso Laura aveva la corda che le spaccava in due la fica e che le spingeva forte sul clitoride, già gonfio ed eccitato di suo. Inoltre ad ogni movimento la corda strusciava nelle sue parti intime. Un negro venne con una frusta e di nuovo Laura si trovò a dover subire colpi in tutte le parti del corpo, ma soprattutto sulle tette e sulla fica. Ad ogni colpo lei dava uno scossone con il corpo e la corda le schiacciava e irritava il clitoride. Il capo credeva che questo sarebbe stato veramente troppo per Laura, ma incredibilmente invece il suo corpo dimostrò di volerne sempre di più.
Ormai Laura aveva perso ogni remora: “Sporco negro, dai frustami, tanto non mi fai niente” urlava. Ma intanto gemeva sempre più forte e di nuovo sentiva l’orgasmo salirle dentro. Improvvisamente il capo con un colpo di machete tagliò la corda e smise di frustarla, proprio quando ormai Laura era prossima all’orgasmo. “Lurida troia, vuoi solo godere? E invece io non te lo permetterò”. Laura questa volta aveva veramente il terrore negli occhi. Si stava accorgendo che per lei la vera tortura non era ricevere frustate e maltrattamenti alla fica, ma non poter raggiungere l’orgasmo. Il negro prese a masturbarla quasi con dolcezza, ridendo e sghignazzando. Laura spingeva il bacino contro la sua mano con il viso stravolto dalla voglia di godere. Ma ogni volta che si avvicinava all’orgasmo, il capo levava la mano e un altro negro le tirava una secchiata di acqua gelida addosso. L’acqua le toglieva il fiato per alcuni secondi e aveva il potere di azzerare quasi del tutto il suo livello di eccitazione.
Poi si ricominciava da capo con le carezze, alternate ogni tanto a schiaffi sulla fica e sul clitoride. Laura era stravolta, gemeva e mugolava, aveva i succhi della sua fica che le colavano lungo le cosce, era sempre prossima all’orgasmo ma non gli veniva mai permesso di raggiungerlo. Per la prima volta cominciò a cedere psicologicamente e a chiedere pietà: “Maledetto porco fammi godere, dai infilami qualcosa nella fica e fammi godere”. Erano parole che fino a due giorni prima Laura non avrebbe mai immaginato che potessero uscire dalla sua bocca.
Ancora una volta il suo corpo prese alla sprovvista tutti, Laura per prima che in una situazione del genere aveva i sensi in fiamme, e il capo del villaggio che mai avrebbe creduto ad una reazione del genere da parte di una soldatessa bianca. Un nuovo potentissimo orgasmo si impossessò di Laura appena le dita del negro le strinsero con violenza per l’ennesima volta il clitoride e ancora una volta dalla sua fica sgorgarono copiosi umori come uno schizzo potente di sborra.
Laura era stravolta, ormai vinta fisicamente e psicologicamente, terribilmente combattuta internamente tra il terrore per la tortura subita e l’eccitazione sessuale che avrebbe trovato inimmaginabile fino a qualche giorno prima. Improvvisamente si sentirono partire dalla boscaglia dei colpi di mitragliatore. Dai margini del villaggio i suoi compagni militari stavano facendo un’irruzione tra i ribelli, che in brevissimo cominciarono a scappare e a dileguarsi nella boscaglia. Alcuni compagni immediatamente la slegarono e la portarono via, raccogliendo anche la telecamera che era caduta per terra. Laura a quel punto svenne.
Quando riprese conoscenza era nell’ospedale da campo del suo accampamento, con i commilitoni che le erano più amici lì vicino. Lei in realtà avevo solo bisogno di essere rifocillata e già la flebo che durante la notte le avevano fatta l’aveva di nuovo rimessa abbastanza in forma. In breve, sentendosi decisamente meglio, chiese di essere dimessa, anche perché sapeva di dover andare dal suo comandante per fare rapporto.
Appena un’ora dopo era libera e si stava dirigendo verso la casa del comandante. Quando entrò venne accolta molto bene e fatta subito mettere a suo agio. Le fu chiesto di raccontare per filo e per segno quello che le avevano fatto, per denunciare la cosa alla corte suprema, che avrebbe processato i ribelli catturati. Laura però si vergognava di raccontare esattamente tutte le sensazioni provate e fu molto vaga. Il comandante iniziò ad irritarsi, perché capiva che il racconto non era veritiero. Laura però non ce la faceva a confessare tutto. Allora l’atmosfera cambiò: “Cosa credi, che non l’abbiamo visto il filmato? Ti sei divertita a farti torturare dai negri ribelli? Ti sembra questo il comportamento per un soldato della nostra caratura?” Laura voleva morire per la vergogna, ma si ostinava a non voler ammettere al verità. Il comandante allora si alzò, girò intorno alla scrivania e le ordinò: “in piedi soldato”. Laura scattò sull’attenti. Il comandante le disse: “riposo soldato” e Laura assunse la classica posizione con le mani dietro la schiena e le gambe leggermente divaricate. Il comandante le mise una mano tra le cosce sibilando: “immobile soldato, se non vuoi finire sotto corte marziale” e prese a muovere la mano e a cercarle il clitoride. 
E Laura in un attimo fu di nuovo un lago...
 9/7/2021                                        andrea farnese 
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eddy77x · 3 years
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Lo sberleffo di una scimmia
  Mi hanno sempre infoiato gli uomini molto pelosi e, quando mi sono gustata un video porno di quelli speciali, ho capito perché. Il fatto è che le scimmie, meglio di certi uomini, sanno scatenare in me istinti primordiali che non ho nessuna intenzione di reprimere.
In quel video, quando ho visto il gorilla protagonista della scena hard montare tre donne una più assatanata dell’altra, quasi sono svenuta dall’eccitazione. Ho liberato orgasmi a catena colando come una fontana, rischiando la follia.
Quel primate imbruttito dall’istinto sessuale animalesco e aggressivo, tipico della sua razza, trafficava a cazzone teso nelle fessure delle tre femmine umane e le gonfiava di carne dura, brutale. Quelle scene esplicite e selvagge mi mandavano fuori di testa. Invidiavo quelle donne.
Un mio amico lavora allo zoo, non dista molto da casa mia, e per convincerlo a farmi entrare di nascosto lì, di notte, ho dovuto concedergli diverse porcate ma non mi pento affatto. Quando voglio una cosa, trovo sempre il modo di ottenerla.
E’ successo, in una notte di fine luglio. Il mio amico mi ha aperto le porte del grande cancello guardandosi intorno per controllare se qualcuno si fosse accorto di noi. Tutto sembrava filare liscio e tranquillo tranne me e i miei occhi da strega già pronta a sacrificarsi al dio scimmione scegliendo come altare la sua gabbia.
L’unica razza di scimmie che aveva a disposizione per me, in quello zoo, era uno scimpanzé di taglia più grossa dell’ordinario, che mi aveva già mostrato in foto. Non volevo perdere tempo. Le mie viscere ingorde erano stanche di aspettare. Gli ho chiesto dove fosse e mi ha fatto strada.
Lo scimpanzé adulto era solo nella gabbia. La sua femmina era morta un paio di mesi prima e lui se ne stava rannicchiato in un angolo, assorto e inquieto, triste e sconsolato.
Il mio amico stava per aprire la gabbia, ma l’ho fermato subito.
“No, aspetta… Passagli qualcosa da mangiare, fallo avvicinare alle sbarre… Lascia la gabbia chiusa, per ora…” gli ho ordinato a voce bassa ma decisa.
Ha tirato fuori una banana e lo scimpanzé, nero come la pece e con lo sguardo curioso, lentamente si è avvicinato a noi. Ha teso la mano rugosa verso la banana e ho approfittato subito di quel momento per afferrargli delicatamente il cazzo e le palle. Massaggiavo e lo fissavo negli occhi, mentre si lasciava toccare sbucciando la banana e mentre io sbucciavo – anzi sfoderavo  – la sua.
Mi cresceva in mano colando un po’ di liquido trasparente. Era pronto, eccome se lo era…
Ho preso a masturbarlo a ritmo sempre più veloce (ma non troppo) e, un po’ alla volta, mi toglievo i vestiti mostrandogli le tette gonfie, i capezzoli già rizzati dalla voglia, la fica pelosa, i piedi arcuati in attesa d’incassarlo dentro.
A forza di menarglielo, si tendeva sempre più verso di me, contro le sbarre, per porgermi bruscamente un cazzo eretto al massimo. Era pronto e, per dimostrarmelo, il suo muso (prima triste) mi ha sparato addosso a sorpresa il suo primo ghigno irriverente e provocatore, mostrandomi i denti e una voglia sinistra di spaccarmi in due.
Mi sono sistemata contro la gabbia piazzando il culo al centro della grande fessura tra le due sbarre che mi dividevano dallo scimmione per invitarlo a prendermi.
Con la mano guidavo il suo nerbo selvatico al centro della fica per puntare la cappella rossa contro la sorca allagata di desiderio animale. L’ha puntata premendo con tutte le sue forze e spingendo fino in fondo selvaggiamente. E’ scivolato tutto dentro, quel cazzone da scimpanzé opportunista, e ha preso a sbattermi meglio di un cane, con un movimento più simile all’uomo ma con un ritmo più cafone ed efficace.
Ghignava, urlettava e scopava, colando saliva e sudore.
Troppa foia lui, troppo bagnata io: scivolava e sgusciava fuori e, nel rificcarsi di nuovo dentro, ha sbagliato buco e mi ha inculata. Sentiva un piacere diverso forzando l’anello di carne. L’incastro era perfetto, lo sentiva tenero e cedevole, più elastico e forte. La bestia pelosa, sola da due mesi, aveva le palle piene e non ce la faceva più. Mi ha scaricato nell’intestino un’ondata di sperma che usciva fuori, a fiotti. Orgasmava ghignando, quel demone nero, e nell’aria si liberava un odore acre molto forte, mischiato al suo sudore di scimmia parecchio provata dall’inculata violenta.
Mi sono voltata e ho visto il suo muso teso in una strana smorfia di godimento. Mi ha ghignato in faccia, di nuovo, mostrando i denti e graffiandomi la schiena con un fare da padrone. Mi fissava le tette e, mentre si riprendeva dal violento orgasmo, gliel’ho offerte facendogli segno di ciucciarmi i capezzoli. L’ha fatto senza mordere, avviluppando i capezzoli con quelle grandi fauci da clown ma senza usare i denti. Mi rovistava le mammelle con la lingua e con lo sguardo mi pregava di non andare via. Anche con quel ramo rosso che aveva tra le gambe (e che tornava a svegliarsi) mi pregava di non andarmene e di non lasciarlo solo.
 A quel punto, volevo un incontro più ravvicinato.
“Apri la gabbia, adesso… e se vuoi gustati pure la scena…” ho detto al mio amico, che da un pezzo si stava facendo una ricca sega a distanza.
Sono entrata nella gabbia del grosso scimpanzé avvolta da una penombra ruffiana. Mi sono sistemata a quattro zampe al centro della sua prigione e ho aspettato che quella bestia pelosa e infoiata si avvicinasse per montarmi da dietro.
Poteva infilarmelo dove voleva (“serviti il pasto…”): in fica, in culo e in bocca. Ma doveva darsi da fare e sbattermi a dovere, doveva sudarselo il suo prossimo orgasmo.
Ho allargato cosce e chiappe divaricandole al massimo e l’ho sentito arrivare come una tempesta nel giro di pochi secondi.
Mi ha agguantata per i fianchi tremanti e ha consumato il banchetto improvvisando una specie di danza tribale, tuffandosi dentro di me divertito. S’impegnava come uno studente durante il compito in classe d’italiano, incastrato com’era col suo cazzone rosso e duro da culo.
E’ lì, nello sfintere che lo incuriosiva tanto, che si è divertito tutto il tempo gonfiandomelo per un’ora buona, venendo più volte, riposandosi un po’ e tornando a inculare testardo. Oh, lui non si chiedeva di certo fino a che punto stessi godendo io. E’ una scimmia, un animale cafone ed egoista, e pensava a fare i suoi porci comodi finché durava.
 La femmina scimmia deve essere insaziabile e accontentare tutti i maschi del branco, quindi il mio scimmione – tutto preso a graffiarmi e gonfiarmi il buco del culo a forza di stantuffare fino alle viscere – avrà pensato che avessi uno sfintere robusto e resistente, bravo ad incassare a lungo, abbastanza per stare al suo gioco. Beh, in fondo, ci ha preso perché in quel momento non avrei mai detto ‘basta’ e non mi sarei mai stancata di ospitare dietro il suo gran pisello lavoratore.
Il grosso scimpanzé agiva secondo natura: d’istinto, i maschi sono cacciatori e sono spinti a trombarsi il massimo numero di femmine, a fecondarle per riprodursi anche se, mentre si sbattono la loro troia del momento, non è che stanno lì a pensare al rapporto tra attrazione sessuale e concepimento. Se ne fregano loro, in quel momento, e pensano a indurire il cazzo, a montare, a sentirsi padroni del corpo che sfondano e a svuotarsi i coglioni.
Il loro sangue è aggressivo, il loro istinto sessuale è violento, l’incastro è stupro dettato dalla natura.
 Aggressione e stupro. Se questo connubio piace a una donna vuol dire che quella donna ha un’infinita forza, nella mente e nel culo. Aggressione e stupro mi provocano da sempre orgasmi feroci, nel letto della masturbazione.
Mentre quella bestia m’inculava ghignando cafona, capivo che nella scimmia cerco il maschio egoista al massimo, cacciatore, violento, opportunista, nato per catturare più femmine che può. Il migliore a scopare, senza dubbio.
Vieni, scimmia, sborrami ancora nel buco contro natura, allagalo di sperma, affonda, sfonda ancora un po’ e, poi, frena in un orgasmo che ti farà ghignare irriverente, una volta di più…
 Ho anche un altro amico che lavora come custode in un circo. Il circo è distante da casa mia e lui mi chiederà, in cambio del favore che mi serve, molte più porcate dell’altro. Ma chi se ne frega… Se voglio una cosa me la prendo, non importa come e quanto mi costerà.
Prima o poi, quest’altro mio amico dovrà presentarmi una delle star d’attrazione del circo, un gorilla superdotato. Al momento buono, mi farò fare la festa da una bestia ancora più grossa, aggressiva e impegnativa a costo di farmi colare rivoli di sangue tra le cosce. Voglio quella verga nera e cattiva e l’avrò.
9/7/2021                                   andrea farnese
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eddy77x · 3 years
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Voglio essere scopato così
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eddy77x · 3 years
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Eva, CAP D’AGDE
  Luglio 2020
Mi chiamo Eva e intendo parlarvi a lungo del mio sedere. Non crediate che sia fissata con questa parte del corpo, a dire il vero sono sempre stati i ragazzi a interessarsene tanto. Io non ne sono così entusiasta, avrei di gran lunga preferito essere più equilibrata, rinunciando volentieri a un po’ di culo in cambio di qualcosa di meglio di una seconda.
Un amico un giorno mi ha detto: “Se giocassi a volley con delle brasiliane sulle spiagge di Ipanema tutti quanti ammirerebbero le tue chiappe!”
Ma che gentile… Intendiamoci, ho un bel posteriore, ma se fosse un po’ meno grosso sarebbe meglio! L’unico vantaggio e non da poco, è che piace enormemente agli uomini. Comunque sia, sono considerata estremamente seducente.
Sono bionda con grandi occhi grigi, che ho ereditato dalla nonna svedese. Non ho mai conosciuto mio padre e ho l’impressione che mia madre non abbia mai saputo veramente chi fosse. Lei ha trentotto anni ed è bella. E’ da lei che ho preso il fisico magro e le chiappe bombate.
Mia madre fa la domestica. Non si può dire che ci siano dei mestieri umili, ma alcuni sono per lo meno più gloriosi di altri. Lei lavora da una quindicina d’anni presso la stessa famiglia. Io la conosco bene, dato che ogni mercoledì pomeriggio mi tocca raggiungerla per aiutare mia madre a fare il bucato e appenderlo.
I suoi datori di lavoro non sono cattivi, ma sono pur sempre dei padroni. C’è il Signore, la Signora, il Signor Louis e la Signorina Evelyne. E’ così che li devo chiamare ogni volta che vado a trovarla. Loro non si formalizzano affatto nel dirmi cose del tipo: “Eva, portami una Coca Cola” oppure: “Suonano, vai ad aprire.”
Quando mi lamento un po’ con mia madre (in fondo non sono io la persona di servizio) lei mi risponde sempre: “lascia perdere…”
Questi signori tengono molto alle usanze: uniforme, riverenza, campanello per chiamare la servitù… tutta la tiritera, insomma. Devo ammettere di aver sempre trovato sexy mia madre nella sua uniforme con il grembiule bianco. Le sue natiche sono ben valorizzate, soprattutto quando si inginocchia. Diciamo che ho dei sentimenti ambigui riguardo il suo lavoro. Giocare a essere la serva okay, ma esserlo veramente, questo mai.
Mi sono sempre detta: “Sarò medico o avvocato, guadagnerò molti soldi e sarò io ad avere una domestica.” Purtroppo però devo ammettere di non aver mai brillato negli studi, avendo conseguito a malapena il diploma.
Per scappare dalla mia condizione proletaria non mi resta che rimorchiare qualche riccone. Ammetto che non sia il massimo, ma che volete? Non sono affatto timida e so di piacere un sacco agli uomini!
Quest’estate mia madre deve andare a Touquet insieme alla famiglia per cui lavora. Ho deciso di partire sola per il sud della Francia e più esattamente per Cap d’Agde. Già mi immagino nuda sulla spiaggia a farmi corteggiare dai ricchi giovanotti. Conto di non restare sola a lungo, potendo usare la mia arma migliore, va a dire il mio magnifico culetto.
Gli scarsi mezzi a mia disposizione mi hanno obbligata a fare il viaggio di dodici ore fra Parigi e Marsiglia in pullman. Poi ne ho preso un altro per Béziers e un altro ancora per Cap d’Agde. Che strazio...
Naturalmente sono stata corteggiata durante il tragitto, ho persino flirtato giusto per passare il tempo. Non che abbia il peperoncino al culo, ma non mi si può certo paragonare a una città fortificata che non si arrenderà mai. Se un uomo mi piace, sono proprio il genere di città che gli dona le chiavi dicendogli: “Benvenuto straniero.”
Nella vita non mi faccio mettere i piedi in testa da nessuno, ma sessualmente, beh, è tutta un’altra cosa. L’ho scoperto molto presto: quando non sapevo ancora né leggere né scrivere, vidi un film in tv del genere “Mille e una notte”, nel quale c’erano delle schiave obbligate a obbedire sotto la minaccia della frusta.
Tutto ciò mi ha così profondamente impressionata al punto di voler scrivere la parola “schiava”, ma sapendo far bene solo la lettera “s” per finire la parola chiesi aiuto a mio zio. Da allora, anche nei miei sogni, sono una schiava in un harem. Con un partner, quasi senza rendermene conto, mi ritrovo in ginocchio o a tendere i polsi incrociati affinché mi tenga stretta. Ma quando esco dal letto ritorno “normale” e pure esigente!
Mi trovo finalmente a Cap d’Agde con il mio sacco a pelo. Vado nel villaggio naturista e mi spoglio in un angolo. Presto fatto, non indosso che un mini short di jeans e una t-shirt. Che impressione deliziosa…
Il vento leggero fa drizzare i miei capezzoli e arruffare i peli del pube.
Cammino emozionata nel villaggio. Quasi tutti sono nudi. Quelli che sono vestiti devono essere o degli operai venuti a fare qualche lavoro di manutenzione o dei poliziotti. C’è di tutto: belli, brutti, magri, grassi, ma nell’insieme vedo molte belle ragazze. La concorrenza sarà dura. Quasi tutte le ragazze hanno la vagina depilata o per lo meno curata, al contrario di me! Anche nel centro commerciale sono tutti svestiti, così come le donne sedute dal parrucchiere.
Prima cosa da fare: trovare un alberghetto a buon mercato.
Entro in un’edicola-tabaccheria e mi rivolgo a una bionda imponente, di circa cinquant’anni, dicendole: “Scusi signora, sono appena arrivata e cerco una camera non troppo cara.”
Con un forte accento del Midi mi risponde: “Mi dispiace piccolina! Tutto è molto caro qui. Dovresti andare a Agde città o, meglio ancora, a Béziers.”
Assumo l’aspetto della schiava dell’harem che teme di farsi frustare per domandarle: “E di lavoro, signora, crede che potrei trovarne?”
Lei mi osserva meglio e replica: “Carina come sei, è possibile. Potresti fare la cameriera.” Uffa… cameriera assomiglia molto a domestica, ma va bene lo stesso.
“Sì signora, d’accordo.” Lei scrive un indirizzo su un pezzo di carta e mi dice: “Questo è mio cognato, puoi dirgli che ti manda Mireille.”
La ringrazio di cuore. Lei mi indica il cammino, poi mi bacia sulla guancia e nel farlo preme le sue tettone contro il mio petto minuto dicendo: “Buona fortuna piccolina.”
Vado all’indirizzo che mi è stato dato, lungo un canale. Si tratta di un ristorante che si chiama Chez Bruno. C’è anche un dehors, ma per arrivarci bisogna prima entrare nel bar. Entro. Vedo un grand’uomo baffuto di una cinquantina d’anni dietro il banco e una dozzina di clienti che devono essere persone del posto, tipo operai o marinai che si occupano delle barche. Ce ne sono molte sul canale. Ciò che mi sorprende è che sono tutti vestiti, al contrario di me, nuda come un verme il giorno della nascita.
Gli dico: “Buongiorno signore. Vengo da parte della signora Mireille.”
“Sì, è mia cognata. Vuoi prenotare un tavolo per stasera?”
Mi trovo nel bar, di fronte al padrone e percepisco una dozzina di occhi che si posano sul mio sedere… E’ molto fastidioso e imbarazzante.
“La signora Mireille mi ha detto che sta cercando una cameriera.”
“Sì, avevo una cameriera ma mi ha lasciato. Tu hai già lavorato nel mondo della ristorazione?”
Non me la sento di mentire e gli rispondo: “No, ma sono motivata e lavorerò sodo.”
Un cliente dietro di me fa notare: “Non avrà esperienza, ma ha di meglio! Girati piccola e mostra al padrone il tuo lato migliore.”
Capisco bene cosa vuol dire. Arrossendo nuovamente, mi giro. Il gestore del bar fa un bel fischio e aggiunge: “E’ innegabile che le tue chiappe valgano più di qualsiasi attestato.” Tutti ridono, io un po’ meno.
“D’accordo, ti prendo in prova.”
“Grazie molte.” “Ascolta: qui il lavoro è duro. Dovrai aiutare nella pulizia fra le dieci e le undici insieme alle altre, poi fare servizio qui nel bar e nel dehors dalle undici a mezzanotte.”
Ah, bene, sono per lo meno quattordici ore di lavoro! E di pulizia, come mia madre. Certo che pulire tutta nuda, questo sì che sarà speciale! Ma in fondo quale altro lavoro potevo trovare? E poi, pensandoci bene, potrò incontrare molta gente…
A questo punto è decisivo che lui possa anche alloggiarmi. Per questo aggiungo: “Dovrei anche trovare una camera poco cara.”
Uno dei clienti mi dice: “Puoi venire da me, ho un gran letto.”
Grasse risate. Sono consapevole che tutti continuano ad ammirare le mie chiappe.
“C’è una piccola stanza qui, puoi dividerla con un’altra cameriera.”
Non mi resta che accettare. Gli do la mano, palmo verso l’alto: “Sono la sua nuova cameriera”. Lui mi dà il cinque. Abbiamo concluso l’affare, come dei mercanti di cavalli. Un cliente gli chiede: “Potrebbe cominciare subito, Bruno? Le daremo dei consigli.”
“Va bene. Posa il tuo sacco, piccola.”
Lo poso e senza di esso mi sento veramente nuda in mezzo a tutti quegli uomini. Il gestore mi chiede come mi chiamo. Eva, gli rispondo. Subito uno dei clienti mi chiama: “Eva, portami un petit Ricard, piccola.”
“E a me un pacchetto di patatine.”
“E un perroquet.”
Forza Eva, muovi il culo! Vado dietro il bancone, prendo un bicchierino e chiedo a Bruno: “Questo va bene per il pastis?”
“Sì.”
Prendo la bottiglia di Ricard e verso la giusta misura nel bicchierino. Apro il frigo. Il capo mi mostra dove sono i cubetti di ghiaccio. Ne metto due nel bicchiere e riempio una piccola caraffa d’acqua. Metto tutto su un vassoio e cerco di sollevarlo in maniera professionale, vale a dire con una sola mano da sotto. Io e il mio culo portiamo la consumazione. I clienti mi applaudono. Saluto facendo un inchino, mostrando di nuovo a Bruno fino a che punto sono adatta per questo lavoro. Poi, girandomi verso di lui, saluto di nuovo, il sedere rivolto ai clienti. Vengo applaudita ancor di più. Troppo facile, se fossi più flessibile mi bacerei senza esitare questa parte del corpo!
D’accordo che cameriera suona molto come domestica, eppure mi sento soddisfatta. Mi manca solo un bel giovanotto, ricco e al volante di un’auto di lusso.
Porto le patatine, il perroquet (un pastis con sciroppo di menta) e una caraffa di vino rosato. Bruno mi dà una cintura con una piccola borsa per metterci dentro i soldi. Devo ammettere che pur con questa saccoccia alla vita mi sento estremamente nuda. Sono emozionata, per non dire bagnata…
Dubito fortemente che il gestore del bar mi abbia presa solo per i miei begli occhi e il mio culo, deve avere senz’altro delle idee in testa. Questa sera rischio di dovergliela dare. Non mi piace, ma per lo meno ha un’aria simpatica. E poi c’è il trucco: la posizione a pecorina! Posso sempre immaginare di essere posseduta da un ricco playboy.
Bruno deve spiegarmi molte cose per aiutarmi a far bene il mio lavoro, ma è gentile e i clienti si dimostrano subito molto contenti. E se loro sono felici va tutto a suo beneficio.
Ho la fortuna di essere un po’ esibizionista. Ciò che mi intriga è comportarmi come se non mi rendessi conto della mia indecenza. Per esempio, le maniche della t-shirt sono molto larghe e facendo certi movimenti si può vedere il mio gran petto (seh, come no...) oppure divarico le gambe e non mi rendo conto di far vedere le mutandine… quelle che ho scordato d’indossare!
I clienti amano vedermi andare e venire. E’ incredibile l’effetto che può produrre un bel paio di chiappe…
Mi accorgo in fretta che gli avventori sono diventati alquanto maldestri! Lasciano cadere dei cucchiai e anche delle monete. Io mi precipito a ramazzare, senza piegare troppo le gambe. Da quella posizione godono di una vista panoramica sulla mia “luna piena”, così da non aver più dubbi sul fatto che sia una bella ragazza. Per fortuna le monete che cadono per terra sono mie di diritto. Il capo mi fa notare: “Qui siamo fra amici e ci si diverte, ma nel dehors ci sono soprattutto i turisti, non mostrare troppo la passera.”
Un po’ rossa rispondo: “Sì signore.”
“E poi, Eva.”
Mi indica il pube con il dito: “Lì bisogna potare tutto col decespugliatore.”
Non ci avevo pensato… amo i peli e ho la tendenza a tenere la vagina e anche le ascelle al naturale. I clienti si stanno divertendo. Ce n’è uno che mi dice:
“Ti sentirai tutta nuda senza la tua peluria.” E’ vero!
Un altro sogghigna: “Allora domani vedremo la tua fighetta?”
Il padrone interviene: “Ehi ragazzo, vacci piano!” ma si capisce che si diverte come gli altri.
Gli chiedo se devo rasarmi. Lui risponde: “No, depilati usando la crema. Aiscia se ne occuperà, dividerai la stanza con lei.”
Gli faccio notare: “Pensavo che i naturisti amassero la natura.”
“Vero, ma non per farsi servire a tavola, hanno paura di trovarsi un pelo di figa nella pietanza.” Logico. Due clienti lasciano il locale lasciandomi due sostanziose mance, ottimo.
Bruno mi dice: “Sai, usanza vuole che cameriere e sguattere si dividano le mance.”
“Ah, certo.”
Vedo arrivare una bella ragazza nuda. E’ Aiscia. Bruno si rivolge a lei: “Ecco Eva, rimpiazzerà Odette.”
Ci abbracciamo. “Buongiorno Eva.”
“Buongiorno Aiscia.”
Lei è più grande di me, ha dei seni più grossi e il suo pube è liscio come il sapone. Lei mi esamina e commenta: “Sei carina, ma…”
Mi osserva il pube e poi volta lo sguardo verso Bruno, che le domanda: “Te ne occupi tu?”
“Sì. Dai, vieni con me.”
Saliamo al primo piano ed entriamo in una stanzetta. C’è un letto di medie dimensioni e un lavabo, ma nessun armadio. Aiscia comincia dicendomi: “Mostrami le ascelle.”
Alzo il braccio bene in alto e incrocio i polsi. Per me si tratta di una posizione molto simbolica. Lei mi spalma la crema depilante e aggiunge: “Bisogna aspettare che faccia effetto. Nel frattempo occupiamoci della vagina.”
Posa un asciugamano sul letto. Io mi stendo con le gambe ben divaricate. Lei mi guarda ed esclama: “Che cespuglio! Vedrai che sarà tutto veramente molto sensibile una volta depilato. Non appena qualcosa ti sfiorerà, godrai!”
La guardo coi miei occhioni. Lei rincara: “Era tanto per dire, ma fare l’amore una volta depilati è un’esperienza che consiglio caldamente.”
Vengo riempita di crema. Ohi! Il fatto è che sono molto sensibile anche con i peli. E’ necessario attendere cinque minuti. Alzo nuovamente il braccio e Aiscia toglie la crema e i peli con la spatola. Addio, miei cari!
Ora è il momento della vagina. Aiscia rimuove la crema dal pube e anche i peli rimasti all’interno delle gambe. Poi mi prende le grandi labbra.
Io esclamo: “Oooohh!”
“Sei molto sensibile…”
“Eh, sì, in questo punto sì…”
Lei tira bene per togliere tutta la crema mentre io mi mordo la lingua.
“Sei veramente molto sensibile…”
“Scusa…”
“Non devi scusarti, è bene avere il sangue caldo.”
Mentre mi agito un po’, lei aggiunge:
“Molto, molto caldo…”
Dopo aver tolto tutto, mi sciacqua con una salvietta. Essere depilata è tutta un’altra cosa! Aiscia si rende conto che sono sempre più eccitata. Si mette a ridere, poi mette l’asciugamano sotto l’acqua fredda: “E’ meglio così, vero?”
“Sì, scusa, anche se è talmente sensibile.”
Mi dà un piccolo buffetto sulla vagina annunciandomi: “E voilà, sei a posto.”
Salgo su una sedia per ammirarmi nel piccolo specchio. “Oh! E’ indecente.”
Ho gli stessi peli di quando avevo cinque anni… Dato che sono magra si può vedere l’inizio delle mie grandi labbra e ho anche l’impressione che si possa scorgere il rigonfiamento del clitoride.
“Grazie per averlo fatto. Dimmi, il padrone sembra simpatico, ma per caso vuole che gliela diamo?”
Aiscia alza le spalle e mi spiega: “Sai com’è… ma non è esigente. Tutti i giorni una di noi gli fa un pompino. Lui lo chiama diritto di prelazione, ma in compenso mi copre anche se non sono del tutto in regola. Sai come sono i padroni… questo ti disturba?”
“No, non troppo, me lo aspettavo.”
Lei mi dice: “Vieni, scendiamo.”
A ogni passo sulle scale le gambe comprimono un po’ la vagina e questo mi fa un certo effetto! Arrivate in basso le dico: “Mi si vede parecchio la passera, sono davvero imbarazzata...”
“E’ normale, anch’io all’inizio ero molto a disagio.”
Andiamo nel bar e lì una dozzina di uomini, vale a dire ventiquattro occhi, sono fissi sul mio pube. Ognuno si sente libero di esprimere il proprio commento: “Oh, povera piccola bestiolina, dov’è finita la tua peluria?”
“Ti prenderai un raffreddore.”
“Dovremmo chiamare la Protezione animali”.
Pare che si divertano molto. Io dico loro: “Sono veramente imbarazzata.” Un cliente replica: “Certo, sei terribilmente indecente.” Non me lo dica!
“Ma no, scherzavo, sei molto carina, soprattutto quando ti devi abbassare per raccogliere qualcosa dal pavimento.”
Non ci avevo mai pensato! Il gioco, in seguito, è ovviamente quello di gettare degli oggetti a terra. A questo ritmo finirò par farmi male alla schiena. Approfitto che Bruno sia andato a cercare qualcosa in cantina per proporre loro: “Se ve la mostro la smettete di far cadere ogni cosa?”
“Ma certo che sì !”
Bene, giro la schiena, divarico le gambe e mi alzo un po’ sul piede sinistro e poi sul destro. A questo punto sento schiamazzi, fischi, dei “brava!”, dei “viva la figa di Eva!”
Sento il capo che torna e vado subito a togliere di mezzo un bicchiere vuoto.
Lui chiede: “Cosa avete da urlare, ragazzi?!”
“Niente, parlavamo ad alta voce.”
Avendo sentito “viva la figa di Eva”, Bruno si rivolge a me: “Gliel’hai fatta vedere?!”
“Ma no, non ho fatto niente…”
“E’ vero Bruno, la piccola non ha fatto niente.”
Lui borbotta un po’, ma sono sicura che tutto ciò lo diverta. I clienti che se ne vanno mi lasciano delle buone mance.
Uno di loro mi dice: “E’ per te. Grazie per il magnifico spettacolo.” A questo punto mi metto a ridere: “Grazie, lei è molto gentile, ma è solo una vagina, ce n’è dappertutto qui.”
“Una figa e un culo super.”  Ah, questo è senz’altro vero. Il tipo avanza timidamente la mano. Bruno non può vederci. Gli porgo le natiche, sta diventando un’abitudine. Dolcemente, a turno, tutti accarezzano il mio sedere. Se si può fare un favore a qualcuno…
L’unico problema è che ben presto mi sembra di avere un formicaio dentro le mutande (che non ho). Devo assolutamente calmare i miei bollenti spiriti. Chiedo a Bruno di poter andare a fare pipì.
“Ma certo.”
Vado alla toilette e do un bacetto al mio dito preferito, il medio destro. Nell’arco di tre minuti raggiungo l’orgasmo. Ah, era proprio indispensabile!
Uscendo dal bagno incrocio Aiscia che si sta occupando del ristorante. Divento tutta rossa. Lei è sorpresa e mi chiede: “Che ti succede?” Poi comprende tutto e sogghigna: “Troppo sensibile, vero?”
“Sì…”
Mi sono calmata, le formiche rosse hanno sloggiato e la mia vagina sonnecchia russando. Riprendo servizio, a condizione di poter andare di tanto in tanto alla toilette. Sono certa che ci troveremo bene qui, la mia passera e io.
La sera faccio la conoscenza della figliastra di Bruno. Aiscia mi dice: “E’ lei che comanda veramente. Si chiama Chris, ma bisogna chiamarla Mademoiselle o padrona.”
Lei si trova all’ingresso per accogliere i clienti. E’ bionda, ma sono sicura che si tinga. Deve avere la mia età, è carina e ovviamente anche lei è nuda. I miei occhi scendono subito verso il suo pube. Sono certa che i suoi peli siano neri quando non si depila. Mi rivolgo a lei con tono deferente: “Buonasera Mademoiselle, mi chiamo Eva, il suo patrigno mi ha assunta e…”
Chris mi guarda fissa negli occhi terminando la mia frase: “… e tu non hai alcuna esperienza… e allora per compensare mostri con compiacenza la figa ai clienti.”
Il suo tono è molto duro. Ovviamente divento tutta rossa, abbasso lo sguardo e balbetto: “Eh, è la prima volta che… ma io…”
“Dal momento che i clienti e Bruno sono contenti, per quanto mi riguarda potresti pure servire a quattro zampe.”
Sotto il suo sguardo mi ritrovo nell’harem. Lei nota il mio imbarazzo. Questa ragazza dà l’idea di trovare tutto ciò molto divertente. Si, ma sono nuda, anzi più che nuda, dato che non ho più un pelo sul pube, di fronte a una ragazza che ha dei modi e un tono che mi perforano in mezzo alle gambe, proprio nel punto che è diventato così liscio e sensibile. Avrà capito cosa provo? Può darsi di sì, dato che aggiunge: “Tu fai bene tutto ciò che ti si dice?”
“Si, Mademoiselle.”
“Ottimo, mi piacciono le ragazze obbedienti.”
Che ci volete fare? E’ duro giocare alla guerriera quando nell’animo si è una schiava.
“Aiscia ti spiegherà cosa devi fare.”
Poi si mette a osservare la mia vagina e chiede: “E’ lei che ti ha depilata?”
“Si, Mademoiselle.”
Lei posa il dorso della mano sul pube e mi domanda: “E’ molto sensibile all’inizio, vero?”
“Oh, eh, sì, molto, molto…”
“C’è un’unica soluzione in questi casi: andare a masturbarsi in bagno.”
La mia faccia assume una nuova tinta di rosso. Lei sapeva? La sua mano mi lascia rapidamente perché stanno arrivando dei clienti. Posso muovermi. Aiscia ha assistito alla scena e mi chiede: “Ti ha messa a disagio?”
“Beh, se non altro con la sua mano che non voleva andarsene da lì…”
“Sei davvero troppo sensibile. Vieni, ti presento alle altre.”
Ci sono due cameriere in più per il ristorante, fra cui Helena, una ragazza tedesca, occupata a mettere dei cesti di pane sui tavoli. L’altra ragazza è Alicia, che è di Béziers e oggi è in ferie. Helena e io ci abbracciamo. Si rivolge a me con un forte accento: “Sono contenta che tu sia qui.” Sembra simpatica. Non posso fare a meno di osservare il suo pube per vedere se le grandi labbra sono così appariscenti come le mie. Lei ride: “All’inizio facciamo tutte così.”
I clienti arrivano. Aiscia mi dà un consiglio: “Dovresti tornare al bar e soprattutto non dare troppa confidenza ai clienti e alle loro mano morte.”
“No, certamente.”
Ma poi aggiunge con voce più bassa: “Salvo che ti diano una grossa mancia.”
Lasciarmi mettere la mano sul sedere in cambio di una bella mancia è ciò che so fare meglio. Sono ancora imbarazzata per la mia nudità, essendo circondata da gente vestita. Inoltre, la mia vagina continua a essere tremendamente sensibile. Soprattutto non devo sfiorare niente, come mi ha detto Aiscia. Ho l’impressione che il pube abbia raddoppiato di volume e ogni tanto guardo l’inizio delle grandi labbra che mi spuntano in modo osceno. Sento pure che i capezzoli sono diventati duri. Non so che farci, sono di nuovo in calore! Comunque sia, devo riprendere rapidamente servizio. Un uomo maturo mi dà una bella mancia: “E’ un ringraziamento per lo spettacolo.”
“Lo spettacolo, signore?”
“Il tuo culo è una gioia per gli occhi!”
Bel complimento. Gli rispondo: “Il mio culo vi ringrazia dal profondo del cuore per la sua generosità.” Questo lo fa ridere. Oh! Lascio cadere la banconota che mi ha dato. Ritorno e mi piego per raccoglierla. Lo sento mormorare: “Una vera gioia…” Per una ragazza leggermente esibizionista, tipo “non mi rendo conto di mostrare tutto” è veramente il massimo fare la serva nuda. Ricevo delle mance e dei complimenti, anche se si tratta pur sempre di un lavoro molto faticoso. Devo servire i turisti nel dehors e la gente del posto nel bar. Fuori ci sono dei bambini e mi sembra davvero inappropriato apparire tutta nuda davanti a loro, essendomi pure depilata. Decisamente non posseggo il vero spirito naturista...
Poco prima di mezzanotte il capo annuncia la chiusura. Molti habitué mi abbracciano. Quando tutti se ne sono andati bisogna ancora fare la cassa e dividere le mance. Siamo in tre: Aiscia, Helena e io. Nude, siamo là a dividerci delle banconote e delle monete. Penso che siamo un po’ come delle prostitute in un bordello. L’importo delle mance sembra essere direttamente proporzionale all’importo dei conti. Le altre ragazze sono contente perché la ragazza che ho rimpiazzato faceva meno. Senza dubbio doveva ramazzava le cose da terra con meno grazia rispetto a me…
Sbadiglio. Questo lavoro mi ha sfiancata. Ci si dà la buona notte e salgo con Aiscia. Senza nemmeno struccarmi mi butto sul letto. Aiscia mi raggiunge. Fa molto caldo, la sua gamba sudata è contro la mia.
Mi addormento… Sogno Chris vestita di cuoio che tiene una frusta mentre io poso le labbra sul suo stivale balbettando che non lo faccio apposta a mostrare la figa a tutti.
Il giorno seguente vengo svegliata dal rumore dell’acqua. Aiscia si sta rinfrescando il viso nel piccolo lavabo. La saluto: “Ciao Aiscia, hai dormito bene?”
“Ah, ciao, grazie. Stanotte hai sognato e pure parlato.”
Ohi ohi! Cosa avrò mai detto? Evito di fare la domanda, ma lei prosegue: “Si trattava di harem e di frusta.”
“Doveva trattarsi di un incubo…”
“Sì, senza dubbio. A proposito, non lavarti qui adesso. Dopo le pulizie faremo una doccia.”
Le domando: “E’ duro fare le pulizie?”
“Devono essere impeccabili, c’è Chris a supervisionare e come hai notato può comportarsi da vera stronza.”
Sì, ho notato… Scendiamo, nude. Per pulire forse non è il massimo, ma fa molto caldo e non serve a niente sudare nei vestiti. E poi, dopotutto, siamo in un villaggio naturista.
Aiscia mi dice: “Sta a vedere che le latrine toccheranno senz’altro a noi due.”
“Ah! E perché?”
“Perché tu sei appena arrivata e perché le altre non lo vogliono fare.”
“Non è giusto.”
“Senza dubbio, ma comunque…”
Lei sospira, fatalista. Mangiamo su una grande tavola in cucina. Ci sono delle baguettes fresche, del pane al cioccolato, dei croissants, della marmellata e del caffè. Bene, ho proprio fame. Ieri sera ci si era date il cambio giusto per mangiare un sandwich in un angolo. Chris arriva e decide ciò che ciascuna di noi dovrà fare.
Ci annuncia: “Aiscia e Ada (Eva, voleva dire!) puliranno i cessi. Ada (Eva!) perché è l’ultima arrivata e con un culo come il suo le latrine sono proprio indicate.” Nessuno ride alla sua stupida battuta, ma lei se ne frega, agendo in completa disinvoltura. Lei sarebbe una buona… no, smetto di pensarci!
Riempiamo alcuni secchi con l’acqua saponata e degli altri con l’acqua chiara. Abbiamo anche delle spazzole e delle scope. Attraversiamo il ristorante dirigendoci verso le toilettes. Per caso vi ho mai detto che mia madre fa la domestica e che avevo giurato di non fare la stessa fine? Sembra invece che stia percorrendo le sue orme. Anzi, no, peggio ancora, dato che lavoro nuda! So bene che il rifiuto per ciò che fa mia madre è forse dovuto alla somiglianza con alcune delle mie propensioni, ma mi dà molto fastidio essere obbligata da Chris a pulire i cessi. Camminando dico ad Aiscia: “Che stronza quella Chris.” Lei sospira: “Non è così semplice… un mese fa lo ho chiesto un grande favore e lei me l’ha subito concesso.” Ah?
I bagni sono fatti da due water per le donne, due urinali e due wc per uomini. L’odore non è dei migliori - un misto di vecchia pipì e deodorante a buon mercato. Aiscia si dà molto da fare, lava usando molta acqua, spazzola, raschia, pulisce i muri e le piastrelle. Pulisce senza usare i guanti, fa così persino con la tazza dei cessi. Mi fa un po’ schifo essere nuda in una circostanza simile, ma va anche detto che se avessimo qualcosa addosso il nostro lavoro sarebbe ancor più faticoso, con queste temperature.
Aiscia mi dice: “Non è niente, si fa in fretta. E poi, dì a te stessa che tutto questo non è che un po’ di piscio, un po’ di merda e del profumo di vomito.”
Io la guardo e lei mi fa un gran sorriso. Scoppiamo a ridere! Ma sì, che volete che sia un po’ di merda?
Chris ci raggiunge commentando: “Sembra che vi stiate divertendo un sacco voi due.”
Aiscia risponde: “Stavo dicendo a Eva che il trucco è pensare di non avere mai a che fare con pipì, cacca o vomito.”
Chris sorride… non è poi così male in fondo. Siamo nel reparto uomini e mi trovo in ginocchio, occupata a pulire uno dei wc. Lei entra nella toilette dove lavoro e mi spinge un po’ per sedersi. E’ nuda e mi ritrovo fra le sue gambe divaricate. Lei piscia! Il suo getto fa un bel rumore di cas**tella e sento il suo odore. Lei mi guarda sorridendo: “Ah, che sollievo… dovevo proprio pisciare come una vacca!”
Scorgendo una strana espressione sul mio volto aggiunge: “E’ la prima volta che vedi una ragazza pisciare?”
“Ehm… da così vicino sì.”
“Beh, è quello che succede quando si è di corvè alle latrine.”
Si alza e mi ritrovo il viso a non più di venti centimetri dalla sua vagina. Lei se ne va senza pulirsi. La sua disinvoltura e mancanza di pudore mi fanno inorridire. Lei agisce in un modo così naturale, quasi fossi un oggetto o un animale domestico. Ho capito che le piace scioccare la gente.
Aiscia mi rimprovera: “Dovevi andartene.”
“Sì, ma…”
“Guarda che, se non reagisci mai, lei continuerà a fartene vedere delle belle.”
Il suo modo di fare non mi piace, ma mi eccita, come tutto quello che mi circonda qui. Sono già eccitata per essere nuda e depilata. Persino il bordo arrotondato del manico dello scopino mi dà delle idee…---Bisogna che trovi alla svelta un uomo per calmarmi, altrimenti finirò per lasciare una traccia dietro di me, come una lumaca ninfomane che va a una gang bang. Non m’importa chi! Devo placare la mia fame di sesso!
Lavoriamo bene e i bagni splendono. Dopo aver raggiunto le altre ci facciamo una doccia, che sollievo…
Alle undici sono finalmente pulita e profumata. Dunque vediamo… per andare al lavoro mi vesto oppure no? No, preferisco andarci nuda! Lo so, è folle. Vado nel bar. Alcuni clienti stanno aspettano nel dehors. È curioso come la gente del posto non ci resti mai e preferisca entrare dentro, mentre i turisti restano all’aria aperta. Le persone vestite dentro e quelle nude fuori, curioso. I rumors che è arrivata una nuova cameriera si sono sparsi ai quattro venti e ci sono molte persone venute apposta per rifarsi gli occhi. Questo mi fa molto effetto. Aiscia mi sostituisce mentre addento un pan bagnat. E’ buono, i pomodori sono molto più saporiti che a Parigi.
All’inizio del pomeriggio c’è l’ora della siesta e non ci sono più tanti clienti. Aiscia mi fa l’occhiolino: “Il capo vuole che tu vada nel suo ufficio per compilare le carte...”
Messaggio ricevuto. Mi sa che stavolta devo dargliela. Bruno non è certo il mio tipo, dato che non è più tanto giovane. Potrebbe persino essere mio nonno, ma più robusto e meno seducente. Ma ha comunque un cazzo e da come accarezzo il manico arrotondato dello scopino è evidente che mi serve un uomo e di corsa!
Vado nel suo studio. Lui mi accoglie dicendomi: “Lavori bene, ti assumo. Adesso dobbiamo preparare i documenti...”
“Se è possibile preferirei di no, dato che…”
Bruno alza gli occhi al cielo dicendo: “Non voglio avere delle noie, io. Potrei anche correre il rischio, ma ti converrà essere molto gentile…”
“Sì, boss, d’accordo.”
Sorpreso di sentirmi rispondere in quel modo così in fretta mi chiede: “Hai ben capito ciò che voglio dire?”
“Intendeva che io passi un po’ di tempo con lei nel suo ufficio. Per me va bene.”
Mi fa un grande sorriso. E va bene, non è che il signor Bruno, ma nello stato in cui sono, mi andrebbe bene anche un cane col cappello. E’ un modo di dire, naturalmente! Non parlo affatto di un cane vero. Non si può scrivere qualsiasi cosa ai giorni nostri…
“Bene bene…” replica lui “… ma dovrai essere molto gentile con la mia figliastra. Hai visto che si occupa di molte cose e inoltre mi ha detto che le vai a genio. Mi ha anche riferito che tu saresti d’accordo a essere a sua completa disposizione.”
Ohi! Presa in pieno in mezzo alle gambe.
“Sì capo, sono d’accordo su tutto, anche se fosse necessario andare sotto la sua scrivania.”
Leggermente colpito da tanta docilità, Bruno mi consiglia: “Vai a dirglielo.”
Vado all’ingresso. Chris sta facendo dei conti. La interrompo: “Scusi Mademoiselle, suo patrigno chiede che salga… le dirà lui il perché.”
“Più tardi.”
“La prego, si tratta della mia assunzione.”
Lei ride: “So bene che Bruno tiene molto al suo diritto di prelazione, ma non vedo perché abbia bisogno di me. In genere tutto si regola fra la tua bocca e il suo pene! Boh, se proprio devo ci vado.”
Saliamo verso il primo piano, lei davanti e, oh! Non mi nasconde più niente. Mi sembra che la sua passera mi faccia l’occhiolino. No, è sempre un modo di dire. Per quanto…
Bruno ci attende: “Entrate pure.”
Lo seguiamo. Lei gli domanda: “Da quando in qua hai bisogno di me per scoparti una puttanella?”
Lui arrossisce e balbetta: “E’ che… come hai detto ti piacerebbe…”
“Certo che l’ho detto, ma io fischio e lei accorre. Non sarà piuttosto che hai voglia di vedermi con una ragazza?”
“E’ vero che… voi due state bene insieme.”
Chris mi guarda: “Trovi anche tu che stiamo bene insieme?”
“Sì Mademoiselle.”
“Molto bene, vediamo quanto vali.”
Chris si siede su una poltrona e posa un tallone su un tavolino. Con il dito mi indica la vagina. Io mi precipito in ginocchio fra le sue gambe. In questa posizione sembra che il suo pube faccia il broncio, con una delle grandi labbra leggermente rialzata.
Lei mi intima: “Comincia baciandomela.”
Le ricopro la figa di baci e inalo il suo odore. Lei divarica le grandi labbra con due dita. La mia bocca va avanti indietro fra la vagina e il clitoride. Lei prosegue: “Mettici la lingua dentro!”
Il sapore è leggermente amaro. Preferisco l’odore e il gusto acido dalle parti del suo orifizio. Lei esclama: “Il clitoride!”
La mia tecnica si dimostra efficace perché ben presto sento fremere le sue gambe. Dopodiché il suo ventre si muove leggermente per accogliere meglio la mia lingua. Sono io ad avere il controllo, adesso. Le succhio delicatamente il clitoride e lei raggiunge l’orgasmo tenendomi premuto il viso contro di lei. Chris non si esprime né a parole né a gemiti. Poi d’un tratto mi respinge, dicendomi: “Sul letto, a quattro zampe, la fronte sulle mani e le chiappe all’aria.”
Oh sì! Mi metto subito in questa posizione e Bruno viene dietro di me, con il suo grosso glande che si posa sulla mia vagina inumidita. Mi chiede: “Ma che fai, mia cara?”
Giro un po’ la testa e scorgo Chris che prende il grosso cazzo del patrigno in mano per strofinarmelo sulla vagina. Chris risponde: “Faccio quello che volevi tu, accarezzo la figa di questa puttanella col tuo cazzone.”
Lei gioca ancora un po’, prima di dirgli: “Vai!”
Ohi! Bruno entra completamente in me! Mi sta scopando e mi piace. Una mano mi pizzica il clitoride. Ancora qualche movimento di bacino e posso percepire un orgasmo che si sta formando dentro di me, come un mini tsunami… Ci siamo! Vado al settimo cielo e senza più alcun controllo esclamo: “Ah… siii…. ooohhh aaah… è troppo bello…”
Bruno continua e Chris gioca con le mie tette, le pizzica, mi fa del bene e del male nello stesso tempo. Io la supplico: “Dolcemente Mademoiselle… ahi!”
Lei dice al suo patrigno: “Dalle una manata sul culo!”
“Sei sicura?”
“Fallo!”
PAF… PAF… PAF… “Ahi!”
Lei gli ordina: “Più forte!”
PAAF! PAAF! PAAF! “Aaahiii! Aaahi!”
Urlo e gioisco nuovamente, la vagina si contrae e anche Bruno ha il suo orgasmo.
Lui commenta: “Tieni, prendi questo e... ooohhhuuu...”
Restiamo ancora attaccati un istante. Poi Chris mi dice: “Lavati e ritorna a lavorare.”
Torno al piano terra a tutta birra. Mi sciacquo il viso e tutto il resto. Chris mi ammonisce: “Non credere che ti tratteremo diversamente. Domani sarai ancora di corvè alle latrine.”
“Sì Mademoiselle.”
Torno nel bar. Aiscia mi chiede: “E’ stata dura?”
“No, no.”
Le altre due cameriere mi chiedono anch’esse se non sia stata troppa dura. Rispondo loro: “No, è andato tutto bene…”
Difficile lamentarsi dopo le porcate con Chris, anche se dovrei farlo a pensarci bene. La giornata scivola via tranquilla, gli habitué sono gentili e generosi e io li ringrazio a dovere per le mance che mi elargiscono. Sto cominciando a sbrogliarmela sempre meglio, al punto che Bruno mi lascia persino gestire da sola il bar durante il pomeriggio.
Il giorno seguente è di nuovo tempo di pulizie. Chris distribuisce il lavoro: “Allora i cessi sono per… Aiscia e… Ada (Eva!)” Ma che razza di stronza!
Almeno Aiscia e io formiamo una bella squadra, lei mi fa persino ridere mentre facciamo questo sporco lavoro.
9/7/2021                                        andrea farnese
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eddy77x · 3 years
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La mia Krissy
  Mi guardo intorno, sogno, bacio.... penso...macino secondi di vita, penso alle emozioni e agli orgasmi…che ho regalato e che mi hanno procurato, uomini e donne. Era una fresca giornata primaverile quando, come ogni domenica pomeriggio, decisi di recarmi al solito bar in piazza, dove potevo leccare un freddo ghiacciolo stando comodamente seduto in posizione strategica per guardare le cosce delle belle signorine che passeggiavano per strada, immaginando la mia lingua intorpidita dal freddo che si riprendeva con il calore del loro inguine profumato.
Avevo la strana sensazione che quel pomeriggio avrei rimorchiato qualcuno, approfittando dell’intenso profumo di glicine che si stava diffondendo nell’aria e della complicità del sole che si poggiava soave sull’orizzonte proprio davanti ai miei occhi, rievocando in me anche l’aspetto più dolce e romantico. Passarono pochi minuti quando pensai di avere un’allucinazione vedendo una donna avanzare con un fare ondeggiante e provocatorio verso il mio tavolo. Misi a fuoco proprio nel momento in cui, ferma davanti alla porta del bar, la ragazza si lasciava travolgere dai raggi del sole che spavaldamente rendevano la sua veste chiara totalmente trasparente, non lasciando nulla alla mia già fin troppo fervida immaginazione. I miei occhi la fissarono a lungo, partendo dalle caviglie per poi salire fino alle cosce affusolate, dove persi il fiato alla visione delle sue piccole mutandine di pizzo rosa con alcuni fiorellini ricamati, che coprivano appena il suo dolce scrigno depilato, lasciando in bella mostra due glutei perfettamente curvi. Ripresi coscienza mentre oltrepassavo l’ombelico, ma sentii nuovamente il cuore fermarsi non appena giunsi al suo seno, due belle tette formose che mi fecero sussultare al solo pensiero di averle fra le mani. Sembrava che mi guardasse e ne ebbi la conferma quando con un sorriso invitante mi salutò. Misi per un attimo da parte la mia timidezza e la invitai ad accomodarsi al mio tavolino. Dopo essersi seduta, accavallò le gambe mostrandomi più da vicino il suo intimo che mi fece restare qualche secondo senza parole vista la bellezza che avevo davanti. Finalmente, riuscii a rispondere al suo saluto amichevole, balbettando la parola ciao. Quella piccola parola bastò a liberare i nostri pensieri e, dopo averle offerto da bere, cominciai a corteggiarla raccontandole la mia vita, come non avevo mai fatto prima d’ora.
Krissy, quel bel fiore davanti ai miei occhi, doveva essere mia e anche se era trascorso poco tempo, provavo un sentimento vero nei suoi confronti.
Anche lei sembrava molto interessata a me e quando la invitai a fare due passi insieme, mi rispose subito positivamente. Il sole tingeva l’atmosfera di rosso e colorava la sua pelle, bianca come il latte, con una deliziosa sfumatura rosa. Mentre guardavamo le vetrine passeggiando per le strade del centro, le nostre mani si intrecciarono e le nostre anime cominciarono a sfiorarsi, regalandoci la sensazione di una lunga conoscenza. Audace come mai, la cinsi alla vita e la mia iniziativa sembrò essere di suo gradimento, che strinse ancor di più il suo corpo al mio. Durante il percorso, parlammo di tutto ed i nostri discorsi si fecero più spinti davanti alla vetrina di un negozio di intimo sexy, dove senza alcun ritegno commentai un paio di mutandine di seta traforata. Rimasi folgorato quando mi disse che si stava bagnando e spinto dalla passione le baciai l’orecchio, afferrando delicatamente il lobo fra le labbra, e sentendo scuotere ogni singola cellula del mio corpo. Eravamo ufficialmente presi l’uno dall’altra. Dopo esserci seduti su una panchina, dove ci siamo baciati avidamente per almeno dieci minuti, decidemmo di camminare ancora e maliziosamente feci strada verso l’hotel del paese.
Non appena ci ritrovammo davanti alla struttura, baciai nuovamente Luana e le sussurrai all’orecchio ancora una volta i miei complimenti per la sua bellezza. Lei mi guardò con aria inaspettatamente incuriosita e con un cenno affermativo mi invitò ad entrare in albergo, nascondendo male una contrazione intima che mi fece aumentare la salivazione. Una volta entrati in camera, la passione ci scaraventò sul letto che profumava di pulito, dove abbiamo perso la cognizione del tempo in un lungo bacio, durante il quale le nostre lingue sapientemente intrecciate ci portarono al settimo cielo, regalandoci centinaia di brividi lungo tutta la schiena ed il ventre, per giungere fino al sensibile fulcro dell’amore. Non appena mi ripresi, la sua gonna e la camicetta erano già sul pavimento, mentre le mutandine intrise dei suoi odori le stringevo fra le mani e le portai sul mio viso, cercando di immortalare quel profumo nel mio cervello. I miei ormoni impazzirono del tutto e, frettoloso di sentire il contatto delle nostre pelli, sfilai jeans e maglietta e strappai brutalmente i miei slip, sfoderando la mia ascia di guerra pulsante e turgida, da cui fuoriuscirono le prime gocce di rugiada umettante. Presi Luana in braccio per portala sotto la doccia dove le insaponai il seno, riservandole un delicato massaggio che le fece diventare i capezzoli scuri e turgidi, proprio sotto le mie mani. Poi mi posizionai dietro lei, strusciando il mio pene contro il suo culo e cominciai ad insaponarle anche l’inguine, avendo poi l’accortezza di sciacquarla con un getto deciso di acqua tiepida, che le stimolò il clitoride ed i capezzoli, facendola contorcere un pochino. Ancora tutti bagnati ci rincorremmo per la stanza, cadendo infine sul letto dove la invitai a sdraiarsi supina e feci in modo che allargasse le gambe, afferrandola dolcemente per le caviglie. Eseguì l’ordine senza opporre alcuna resistenza e finalmente ebbi davanti a me uno spettacolo sublime: una figa totalmente depilata con due labbra carnose che racchiudevano un piccolo clitoride turgido e violaceo.
La voglia di baciarla e di amarla era infinita ma non volevo che il gioco finisse presto. Quindi, presi il comando sugli ormoni impazziti e cominciai a dedicare le mie attenzioni alle sue caviglie, che sormontavano piedi snelli ed affusolati.
La sua pelle liscia solleticò la mia lingua e mi donò nuovi stimoli. Mentre leccavo le sue caviglie, alzai gli occhi e mi sembrò quasi di vedere il paradiso fra le sue cosce: la sua chiocciolina era di nuovo lucente per via degli abbondanti umori vaginali che Krissy spalmò per bene sull’inguine, mentre alcune dita esploravano posti incantati. Non ce la facevo più, il richiamo era troppo forte a causa del suo odore di fica che pervadeva i miei respiri.
Decisi di avvicinarmi ancora un po’, giungendo all’interno coscia. Continuai a leccarla ed il sapore della sua pelle mi era ormai così familiare che l\’avrei riconosciuto ad occhi chiusi e nel frattempo mi godevo lo spettacolo della sua masturbazione mentre giocava con il clitoride. Stava quasi per raggiungere l’orgasmo quando una ventata di gelosia mi indusse a fermarla bruscamente.
Volevo essere io a farla godere la prima volta. Così affondai la mia bocca sulla sua gnoccolina straordinariamente bagnata e frizzante.
Seguii la linea invisibile che congiunge la chiocciolina all’ano e mi soffermai su quest’ultimo, fino a che il buchetto, esausto per le contrazioni d’eccitazione, lasciò andare la mia lingua più a fondo, facendo schizzare a mille l’adrenalina nelle mie vene. Mentre salivo lungo la sua schiena, seguendo la spina dorsale, notai i brividi sulla sua pelle estremamente ricettiva ed allo stesso tempo rabbrividii anche io mentre il mio cazzo strisciava fra le sue gambe, umide della mia saliva, fino ad adagiarsi nello spazio fra i suoi glutei. Ad aspettare le mie labbra, c’era il suo collo caldo e delicato, che profumava ancora di acqua di rose nonostante la doccia.
Le sensazioni che mi invasero erano così estreme che quasi a fatica trattenni lo sperma nei testicoli. Cercai di resistere con tutte le mie forze e finalmente giunsi sul suo viso, dove trovai due labbra pronte a dissetarmi senza alcun limite. Mi staccai forzatamente per ritornare sui suoi lobi, prima uno e poi l’altro, e mentre li succhiavo con passione sentivo spingere il mio arnese contro il suo culo, che sembrava volerlo accogliere senza opporre alcuna resistenza. Prima che fu troppo tardi, mi sfilai di colpo e le concessi una bella limonata, che aveva il sapore dolce della sua pelle e degli umori forti della sua figa e del buco del culetto.
Intanto, le mie mani si concentrarono sui seni, giocando con i capezzoli, fino a farle provare un pizzico di dolore e poi ancora carezze e baci che mi fecero scivolare velocemente nel suo intimo.
Rallentai un attino per il suo pancino piatto con un ombelico perfetto. Mi ritrovai nuovamente faccia a faccia con la sua nocciolina e, stavolta, senza tanti scrupoli, cominciai a penetrarla con la lingua, alternando periodicamente il suo culetto e la ciliegina. Sentivo la sua voglia aumentare sempre più, con il pollice giocavo con il clitoride, indice e medio si immergevano in vagina e l’anulare andava alla ricerca del buchetto del culo.
Il cuore cominciò a pulsare più forte nel petto perché sapevo che stava arrivando il momento e non feci in tempo a pensarlo che sentii colare tra le dita il suo orgasmo, mentre si contorceva soavemente inarcando il bacino in modo accentuato. Il silenzioso boato del suo orgasmo mi esaltò.
Mi lasciai travolgere anche io dalla passione e accontentai Krissy una seconda volta penetrandola con il mio cazzo, con colpi profondi e decisi, mentre leccavo le dita intrise dei suoi umori.
Ad un certo punto, i suoi occhi mi guardarono fisso e capii al volo il suo messaggio. Uscii dalla figa e con un solo movimento la misi in posizione doggy style per sfondarle il buco del culo, che mi lasciò entrare senza fatica. Continuai a cavalcarla prepotentemente. Mi inarcai per cercare le sue tette, che strizzai violentemente fino a sentirla gemere di piacere. Quello che scatenò tutte le mie fantasie fu la sua travolgente collaborazione, accogliendo senza esitazione ogni mia perversa attenzione. Senza uscire dal suo buchetto delizioso la spinsi a sdraiarsi sul letto dove, prendendola dalle gambe, la feci roteare fino a poterla guardare in faccia e poi continuai a stantuffarla a dovere. Sentivo ribollire lo sperma nei testicoli, non sarei riuscito a trattenermi ancora a lungo. La scopai ancora un po’ in vagina: Era favolosamente bagnata, un ambiente ideale dove riposi finalmente il mio bianco e cremoso nettare, ricco di virilità e passione.
Aspettai qualche minuto per far placare gli spasmi lussuriosi e mi rivolsi per l’ultima volta al suo fiore, per poter raccogliere nella mia bocca il seme versato poco prima. E fu con la bocca piena del mio stesso elisir che le concessi l’ultimo bacio, che aveva un sapore pastoso, inaspettatamente dolce e, allo stesso tempo, metallico, fino a che Morfeo non si prese gioco di noi, catturandoci in un sonno profondo, da cui mi risvegliai soddisfatto e pieno di energie, pronto a saziare nuovamente la dea del sesso, che, nuda, riposava ancora al mio fianco.
9/7/2021                      andrea farnese
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eddy77x · 3 years
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eddy77x · 3 years
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eddy77x · 3 years
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 Lettera a Gabriel
  “A volte
fra tanti sogni,
se ne infila uno
che non ha nulla a che fare
con la vita reale.”
Gabriel Garcia Marquez
     Ho letto tanto di te, dolce ed amato Gabriel. Mi hai insegnato uno stile.
Ho evitato tutti i traduttori in italiano delle tue opere.
Non volevo che tra me e te ci fossero intermediari linguistici. A te devo gli inizi della mia carriera di cronista, da te ho imparato l’umiltà, come fare la cronaca di un fatto ed ho capito come avvicinarmi, con prudenza, ai problemi della tua terra e dell’America Latina tutta.
Sono stato aiutato in questo lavoro da Riccardo Campa, un eccezionale professore universitario. Adesso mi manchi, Gabriel, mi manca il tuo stile, la tua ironia e l’attesa del tuo prossimo libro.
Purtroppo adesso scrivi per gli Angeli del Paradiso e  non più per i comuni mortali.
Ed io sono ancora una volta orfano di uno scrittore prezioso, come sono orfano di Leonardo Sciascia, di Gesualdo Bufalino, di Luigi Pirandello, di Corrado Alvaro, di Eugenio Montale di Alda Merini, di Pier Paolo Pasolini e di Giorgio Caproni. Li avevo eletti come tanti padri e tante madri per il rispetto che nutrivano per la lingua italiana.
Ogni volta che questi padri hanno poggiato la loro penna sulla carta, hanno sempre saputo, in caso di manipolazioni o di utilizzi artificiosi, di poter essere in presenza di un atto criminoso.
Nulla può esserci di più violento, osceno e pericoloso, che usare la lingua madre in modo improprio o impreciso. Queste persone fanno vedere chiaramente di aver amato, rispettato ed osannato la lingua italiana forse più della loro stessa madre.
Ammiro la loro attenzione nel dosaggio dei termini in ogni loro frase, in ogni loro verso. Alla fine hanno finito per comporre delle melodie in lingua, con la precisione ed il dosaggio musicale delle note, delle crome e delle biscrome.
Nulla esiste,scritto da questi autori, che sia offensivo, di troppo, ridondante, oltraggioso. Tutto risuona di una musicalità celestiale, pennellate date da un artista sapiente.
Sembrano quasi essere stati chiamati tutti da una divinità, di cui non hanno mai rivelato il nome, ad esaltare in forma di preghiera la loro lingua madre.
La lingua italiana merita un rispetto ed una venerazione antichi. In alcuni casi incute addirittura soggezione e non ama essere violata da improvvisazioni.
Per questi motivi, ogni parola scritta da questi autori risuona ancora nella mia mente come il rintocco di una campana, dolce ed vetusta, che mi accompagnerà fino al momento in cui lascerò questa terra e salirò, forse, in cielo per abbracciare tutti con un sorriso.
A questo punto non mi resta che rivolgere a te e a tutti quelli che hanno riempito la mia adolescenza e la mia giovinezza con l’utilizzo misurato e prodigioso delle loro parole, di fantasie,di sogni, di amore e di innamoramenti, di carezze.
Arrivederci Gabriel, non mi hai mai regalato un incubo ma hai riempito gli anni più belli della mia vita dei colori della tua terra e dei sogni che, a volte, utilizzo ancora…..quando, indegnamente, mi lancio nell’avventura di essere un mediocre artigiano di parole e burattinaio di personaggi senza anima. Ci rivedremo nei Campi Elisi, spero al più presto ciao, Gabriel.
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by arielmullen
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eddy77x · 3 years
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Sergey Grischuk "FOREVER LOVE" | музыка Сергей Грищук
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eddy77x · 3 years
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Sono Magia ed Estasi
Posso donare Vita
“Non andartene, non lasciare l’eclisse di te nella mia stanza. Chi ti cerca è il sole, non ha pietà della tua assenza il sole, ti trova anche nei luoghi casuali dove sei passata, nei posti che hai lasciato e in quelli dove sei inavvertitamente andata brucia ed equipara al nulla tutta quanta la tua fervida giornata. Eppure è stata, è stata, nessuna ora sua è vanificata”.
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